Unioni civili, #rinvio al 2016

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Unioni civili, #rinvio al 2016
www.lacrocequotidiano.it
#quotidiano contro i falsi miti di progresso
€ 1,50 | Anno 1 | Numero 176 | Sabato 17 ottobre 2015 | Santo del Giorno: S, Abate |
#FATTI |
17 ottobre | 1346 – Re Davide II di Scozia viene catturato da Re Edoardo III di
Inghilterra a Calais; 1797 – Trattato di Campoformio: Napoleone e l’Austria siglano
la ratifica del Trattato di Leoben (in realtà a Passariano di Codroipo); 1888 – Thomas Edison presenta richiesta di brevetto per il “fonografo ottico” (il cinematografo);
1919 – Re Alfonso XIII di Spagna inaugura il primo tratto della metropolitana di Madrid;
1933 – Albert Einstein scappa dalla Germania nazista e si rifugia negli USA;
2011 – La cometa Elenin transita molto vicino alla Terra
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#CULTURA |
FRANCESCO
E MATTARELLA
CONTRO LA FAME
NEL MONDO
#CHIESA |
IL SINODO
VISTO
DAL GIAPPONE
PORNODIPENDENZA
NE PARLA
UN GESUITA
PSICOLOGO
di ADOLFO MARINI | pag. 3
di don ANTONELLO IAPICCA | pag. 5
di CLAUDIA CIRAMI | pag. 6
Kabul
I
PALAZZO MADAMA |
Unioni civili, #rinvio al 2016
I
“cattolici” sono destinati all’irrilevanza
politica? È la domanda che si siamo posti assistendo agli scossoni politici interni
all’area di Alleanza Popolare (NcD e UdC) a
seguito del colpo di mano ideologico del Pd
sulle unioni civili. Non battono colpo i “cattolici” del Partito Democratico che si schierano nei fatti allineati e coperti sulla linea
renziana (“cattolico” boy scout). Esalano
timidi vagiti anche quei “cattolici” piddini
provenienti dalla storia del Partito Popolare
Italiano di Martinazzoli del 1994, poi margheritini di Rutelli: Rosy Bindi, Giuseppe Fioroni, Pierluigi Castagnetti, per citarne alcuni. Persino Tiziano Guerrini, Vice-Segretario
Nazionale del PD (allora giovane popolare
pure lui), in questi giorni non fiata.
Quagliariello intanto si è dimesso da coordinatore nazionale NcD, Giovanardi tuona un
giorno sì e un giorno sì strappi e rotture immediate. Casini (UdC): non pervenuto.
Dentro a questo flash dello stato di salute
dei “cattolici” con attuali responsabilità di
Governo, Angelino Alfano pare essere l’unico a porre la questione in modo differente
e a rivendicare con orgoglio la bontà e l’efficacia della scelta di alleanza temporanea
con il Pd.
“Alfano: Quagliariello sbaglia tutto. Con il
Premier fino al 2018” titola l’intervista rilasciata dal Ministro degli Interni e Segretario Nazionale NcD a Repubblica: “anche la
manovra è di centrodestra. Alle elezioni ci
presenteremo da soli e non con il Pd. E non
penso all’idea di cambiare l’Italicum”.
Alfano nell’intervista rilasciata a “Repubblica” ribadisce che fino al 2018 questa alleanza di Governo non si tocca (“non possiamo cambiare idea troppo rapidamente. Si
può girare e rigirare, ma non siamo alle giostre, siamo al governo”); rivendica ad NcD i
meriti della legge di stabilità 2016 appena
varata (“abbiamo alzato il limite del contante a 3000 euro, messo 100 milioni di euro
MEDIO ORIENTE |
INCENDIATA
LA TOMBA
DI GIUSEPPE
A NABLUS
Poi lancia la prospettiva politica: “Noi dobbiamo anzitutto rivolgerci agli elettori moderati, non alle sigle. Come si è visto con
Brugnaro a Venezia, con Schittulli in Puglia
o Tosi in Veneto, esiste una vasta area moderata che non vuole votare Pd ma non si
riconosce in una destra anti-europea, inumana con i profughi, contro l’euro. Sta a noi
costruire un centrodestra della responsabilità che si possa presentare da solo alle
elezioni. Ma questo centrodestra non lo si
costruisce con i convegni, ma con i risultati
di governo”.
E a chi nel suo partito lo accusa di essere
subalterno a Renzi risponde: “Dobbiamo far
capire che il Pd da solo, senza di noi, non
avrebbe potuto far nulla di quello che si sta
facendo adesso. Il tema non è, come pensano i miei critici, l’alleanza con il Pd, ma che
Renzi, senza di noi, sarebbe sotto scacco da
parte della sua minoranza e non realizzerebbe le nostre idee storiche. Tutte le cose
che proponiamo le otteniamo. Ma non con
il conflitto, con la condivisione”.
Insomma, Alfano non se la sente di andare all’opposizione da subito e candidarsi a
tessere da subito un percorso politico più
ampio e innovativo. Lascia il campo ad altri.
“Fini e Casini avevano il 14 e il 7% e sono finiti a zero perché sono andati con la sinistra
– avverte secco l’On. Giovanardi-. Vogliamo
evitare di fare la stessa fine, siamo sempre
stati di centrodestra e non siamo qui per votare il programma elettorale del Pd, né sulle
unioni civili né su altro”.
E aggiunge: “In passato ho fatto parte del
Pdl ma io con Forza Italia non ho mai avuto
nulla a che spartire. Il Pdl doveva essere un
partito di ispirazione democratica, cristiana,
basato su congressi e classe dirigente. Forza
Italia invece si basa su un unico capo a vita:
Berlusconi. L’Italia ha bisogno di un vero
partito di centrodestra, non dell’uomo solo
al comando”.
Foto © ANSA
di Davide Vairani
sulla legge per il “dopo di noi”, una nostra
priorità. Siamo entrati in questa legislatura
chiedendo l’abolizione dell’Imu e l’abbiamo
ottenuta, abbiamo ottenuto la cancellazione dell’Imu agricola, abbiamo strappato il
bonus “mobili” per le giovani coppie).
L’azione svolta dal movimento di Piazza San Giovanni continua
a essere efficacemente ostativa nei confronti dei proponenti
del simil-matrimonio omosessuale. Continua la mobilitazione in
tutta Italia con la previsione di nuove manifestazioni
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LA DIFFICILE
SFIDA DELL’AREA
POPOLARE
Foto © ANSA
Il ministro per le Riforme, Maria Elena Boschi, ha affermato che il ddl Cirinnà bis andrà al voto non
prima del prossimo anno: «I tempi slitteranno». Per il governo è prioritaria la sessione di bilancio, ma
è escluso che il primo provvedimento a essere preso in esame dopo l’approvazione della manovra sia
proprio la normativa sulle unioni gay che legittima anche l’utero in affitto
l presidente del consiglio italiano,
Matteo Renzi, a seguito della presa
di posizione del presidente americano
Barak Obama, che ha deciso di trattenere in Afghanistan 5500 soldati a stelle e strisce ha annunciato: «Stiamo valutando la permanenza a Kabul per un
altro anno con la nostra missione militare, decideremo in queste ore». Renzi
in realtà pare avere già deciso: «Penso
sia giusto che anche da parte nostra ci
sia un impegno». Ad oggi sono 750 i
soldati italiani schierati tra la capitale
Kabul ed Herat. Da Mosca il ministero
degli Esteri russo bolla come “degno
del completo fallimento della campagna militare intrapresa dagli Usa”
la decisione di Obama di sospendere
il ritiro delle truppe dall’Afghanistan.
Nel giorno in cui Hamas
ha esortato al “venerdì della
rabbia”, un centinaio di
giovani Palestinesi è riuscito
a dare alle fiamme la tomba
di Giuseppe a Nablus. Per Abu
Mazen si è trattato di «un atto
irresponsabile». Uccisi quattro
palestinesi in Cisgiordania e
a Heretz. Obama condanna le
violenze: «Gli Stati uniti sono
molto preoccupati». Migliaia in
piazza ad Amman.
#EDITORIALINO |
IL FATTO VERO
di HASHTAG
“L
a storia che commuove il Sinodo” fa molto “la storia che commuove il
web”: un titolo facile e di sicuro effetto come un dolce con tanto zucchero e tanto burro. Lasciamo stare la questione salutista se faccia bene
o male, poniamocene una più da “gourmet”: è veramente buono come sembra? Vediamo con calma gli “ingredienti”: un parroco triestino racconta del bambino che,
il giorno della sua prima comunione, spezza in due la propria ostia per darla al papà
“separato in nuova unione”; anche un vescovo messicano ha un apologo analogo (lì
il bambino pensa anche alla madre, pure lei “in nuova unione”). E viene giù il web:
quelli che amano il dolce a dire che bisogna imparare dalla semplicità dei bambini;
quelli che preferiscono il salato a lamentare che se non si fosse concessa la comunione sulle mani cose simili neppure avverrebbero. Comunque il “fatto vero”, cioè la
verità fattuale di questa storia, ciò per cui simili racconti ci pizzicano qualche corda
da qualche parte, è proprio l’unità dell’ostia spezzata, cioè l’unità condivisa e la condivisione del tutto. In pratica l’indissolubilità del matrimonio. Il senso della fede del
ragazzino triestino e di quello messicano commuove perché ricorda ai rispettivi genitori che sono per sempre l’uno per l’altra marito e moglie, e a tutti i credenti (padri
sinodali in primis) che nessun adulterio può distruggere questa verità tanto strettamente correlata al Corpo di Cristo. Se invece il punto fosse che anche quei genitori
devono avere il “gettone di presenza”, “come tutti gli altri”... bah... perché parlarne?
>> a pag. 2
CACCIA |
UCCISO L’ELEFANTE
PIÙ GRANDE
DELLO ZIMBAWE
Dopo il caso del leone Cecil, torna prepotente la polemica
animalista a seguito di un altro animale-simbolo del paese
africano rimasto vittima del fucile di un cacciatore. Questa volta
si tratta di un elefante, definito «il più grosso mai visto prima
nella zona». La battuta di caccia è avvenuta lo scorso 8 ottobre e
il cacciatore è un tedesco che ha pagato 60mila dollari per poter
uccidere il grosso animale. L’immagine con il suo trofeo di caccia
appena abbattuto è stata pubblicata dal quotidiano britannito
The Telegraph e ha suscitato le ire degli animalisti. Il pachiderma
forse era ancora agonizzante.
17
Contro il totalitarismo dell’ideologia “Gender”
OTTOBRE
GENERAZIONE
FAMIGLIA
PER UNA RI-COSTITUENTE ANTROPOLOGICA
ORE 9:30 - TEATRO ADRIANO - ROMA
PIAZZA CAVOUR, 22 - METRO A, FERMATA LEPANTO (700 METRI)
IDEOLOGIA GENDER: Cogito Ergo Sum o Sum Ergo Cogito?
Diego FUSARO, Fabio TORRIERO, Marcello VENEZIANI, Alessandra SERVIDORI
FAMIGLIA NATURALE: La verità oltre l’amore.
Costanza MIRIANO, Sergio BELARDINELLI, Ettore GOTTI TEDESCHI, Massimo GANDOLFINI
FILIAZIONE: Dalla procreazione alla ri-creazione.
Alessandro MELUZZI, Eugenia ROCCELLA, Mario ADINOLFI, Luca VOLONTÈ
DIALOGO CON Ludovine DE LA ROCHÈRE
CONCLUSIONI: Filippo SAVARESE
CONTATTI q+ 39 393 8113528 E [email protected]
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Difendiamo i bambini e la famiglia!
#STOPCIRINNA
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Sabato 17 ottobre 2015 |
Che posto per i #cattolici in politica?
Se andiamo a vedere alcune voci che riguardano il welfare, ad esempio, ci accorgiamo
che poco troviamo di strutturale a favore
della famiglia.
Al di là di un generico impegno alla testimonianza personale e pubblica della propria fede, non
pare essere rimasto altro nell’agone della politica italiana. Il credente in politica cammina in bilico
tra il tradimento della propria vocazione e l’inefficacia dei propri sforzi. Occorre un rinnovato
impegno, che parta da un’elaborazione teorica di ampio respiro: una nuova narrazione politica
Si prefigurano investimenti per un totale di
circa 5 miliardi di euro nel triennio 20162018. “La prima misura contro la povertà è
naturalmente quella di creare ricchezza e
lavoro, ma per chi vive in quella situazione
c’è bisogno anche di un fondo”. Un fondo che
varrà 700 milioni nel 2016 (600 dello Stato
e 100 da fondazioni, comuni e terzo settore),
e un miliardo e 100 milioni nel 2017 e poi
nel 2018 (1 miliardo dello Stato e 100 milioni dalle fondazioni, enti locali e terzo settore)”, spiega “Redattore Sociale” Network.
Fra gli altri interventi, Renzi parla anche dello stanziamento di 100 milioni di euro per il
“dopo di noi”. “È una legge che nel 2016 va
approvata”, dice. “Il fondo sociale” che aveva
già 250 milioni di stanziamento dalla legge
di stabilità dello scorso anno viene portato
a 400 milioni: il riferimento è probabilmente al Fondo per la non autosufficienza, che
lo scorso anno era appunto arrivato a 400
milioni dagli iniziali 250. Dovrebbe invece
essere confermata a quota 300 milioni la dotazione strutturale del Fondo per le politiche
sociali”.
di Davide Vairani
I
“cattolici” sono destinati all’irrilevanza
politica? È la domanda che si siamo posti assistendo agli scossoni politici interni
all’area di Alleanza Popolare (NcD e UdC) a
seguito del colpo di mano ideologico del Pd
sulle unioni civili. Non battono colpo i “cattolici” del Partito Democratico che si schierano
nei fatti allineati e coperti sulla linea renziana
(“cattolico” boy scout). Esalano timidi vagiti anche quei “cattolici” piddini provenienti
dalla storia del Partito Popolare Italiano di
Martinazzoli del 1994, poi margheritini di
Rutelli: Rosy Bindi, Giuseppe Fioroni, Pierluigi Castagnetti, per citarne alcuni. Persino
Tiziano Guerrini, Vice-Segretario Nazionale
del PD (allora giovane popolare pure lui), in
questi giorni non fiata.
Quagliariello intanto si è dimesso da coordinatore nazionale NcD, Giovanardi tuona un
giorno sì e un giorno sì strappi e rotture immediate. Casini (UdC): non pervenuto.
Dentro a questo flash dello stato di salute
dei “cattolici” con attuali responsabilità di
Governo, Angelino Alfano pare essere l’unico
a porre la questione in modo differente e a
rivendicare con orgoglio la bontà e l’efficacia
della scelta di alleanza temporanea con il Pd.
“Alfano: Quagliariello sbaglia tutto. Con il
Premier fino al 2018” titola l’intervista rilasciata dal Ministro degli Interni e Segretario
Nazionale NcD a Repubblica: “anche la manovra è di centrodestra. Alle elezioni ci presenteremo da soli e non con il Pd. E non penso all’idea di cambiare l’Italicum”.
Alfano nell’intervista rilasciata a “Repubblica” ribadisce che fino al 2018 questa alleanza di Governo non si tocca (“non possiamo
cambiare idea troppo rapidamente. Si può
girare e rigirare, ma non siamo alle giostre,
siamo al governo”); rivendica ad NcD i meriti
della legge di stabilità 2016 appena varata (“abbiamo alzato il limite del contante a
3000 euro, messo 100 milioni di euro sulla
legge per il “dopo di noi”, una nostra priorità.
Siamo entrati in questa legislatura chiedendo l’abolizione dell’Imu e l’abbiamo ottenuta,
abbiamo ottenuto la cancellazione dell’Imu
agricola, abbiamo strappato il bonus “mobili”
per le giovani coppie).
Poi lancia la prospettiva politica: “Noi dobbiamo anzitutto rivolgerci agli elettori moderati, non alle sigle. Come si è visto con
Brugnaro a Venezia, con Schittulli in Puglia o
Tosi in Veneto, esiste una vasta area moderata che non vuole votare Pd ma non si riconosce in una destra anti-europea, inumana con
i profughi, contro l’euro. Sta a noi costruire
un centrodestra della responsabilità che si
possa presentare da solo alle elezioni. Ma
questo centrodestra non lo si costruisce con
i convegni, ma con i risultati di governo”.
E a chi nel suo partito lo accusa di essere
subalterno a Renzi risponde: “Dobbiamo far
capire che il Pd da solo, senza di noi, non
avrebbe potuto far nulla di quello che si sta
facendo adesso. Il tema non è, come pensano i miei critici, l’alleanza con il Pd, ma che
Renzi, senza di noi, sarebbe sotto scacco da
parte della sua minoranza e non realizzerebbe le nostre idee storiche. Tutte le cose che
proponiamo le otteniamo. Ma non con il conflitto, con la condivisione”.
Insomma, Alfano non se la sente di andare
all’opposizione da subito e candidarsi a tessere da subito un percorso politico più ampio
e innovativo. Lascia il campo ad altri.
“Fini e Casini avevano il 14 e il 7% e sono
finiti a zero perché sono andati con la sinistra
– avverte secco l’On. Giovanardi-. Vogliamo
evitare di fare la stessa fine, siamo sempre
stati di centrodestra e non siamo qui per votare il programma elettorale del Pd, né sulle
unioni civili né su altro”.
E aggiunge: “In passato ho fatto parte del
Pdl ma io con Forza Italia non ho mai avuto
nulla a che spartire. Il Pdl doveva essere un
partito di ispirazione democratica, cristiana,
basato su congressi e classe dirigente. Forza
Italia invece si basa su un unico capo a vita:
Berlusconi. L’Italia ha bisogno di un vero partito di centrodestra, non dell’uomo solo al
comando”.
Non siamo i soli a porre con insistenza il tema
del rischio di irrilevanza politica per i cattolici. “La voce dei cattolici in politica è quasi
sparita”, lo ha affermato poco tempo fa il
Cardinale di Milano, Angelo Scola, a margine
della tradizionale giornata di incontro con i
cresimandi allo stadio Meazza di Milano.
Quagliariello ha posto una questione seria:
“un’area centrista e liberale non può ripartire
da una posizione di governo obbligatoria. Per
essere minoranza creativa bisogna prendersi
dei rischi. Lo scenario è cambiato. La collaborazione tra centrosinistra ed eredi di una
destra liberaldemocratica ha prodotto un go-
verno di emergenza, per salvare il Paese e poi
tornare a dividersi”.
Una questione che implica riflessione: i temi
etici come le unioni civili, i «valori non negoziabili», sono considerati un tema di secondo piano? Che cosa significa oggi mettere al
centro la famiglia nelle politiche del Paese?
Eppure ci pare che nei fatti tutto questo non
stia accadendo.
Intanto, che la Legge di Stabilità 2016 sia
cosa buona e (addirittura) scritta con la pen-
IL NEOPERONISTA SCIOLI
VERSO LA CASA ROSADA
L’attuale governatore di Buenos Aires è dato al 39% dei
gradimenti popolari. La Chiesa chiede trasparenza al governo
di Giuseppe Brienza
L’
avvio formale delle presidenziali argentine, le cui elezioni sono in programma domenica 25, è stato sancito
il 9 agosto scorso con le primarie che hanno
visto l’attuale governatore di Buenos Aires,
Daniel Scioli, imporsi con un risultato che è andato molto al di là delle previsioni della vigilia.
Infatti, mentre i sondaggi lo davano tra il 20 e
il 30%, il leader neo-peronista ha ottenuto il
39 per cento dei voti, ponendo una ipoteca
non da poco sulla sua prossima conquista della Casa Rosada. Dietro di lui, con un distacco
di circa sette punti, si è classificata ad agosto
la lista “Cambiemos”, coalizione di centrodestra capeggiata da Mauricio Macri, sindaco
uscente della capitale federale Buenos Aires.
Le possibilità di vittoria di Scioli sono fondate
sulla popolarità della presidente uscente Cristina Fernández de Kirchner, che per ragioni
di carattere costituzionale non potrà ricandidarsi (ha raggiunto il limite dei due mandati).
Lo sfidante Macri potrebbe però raccogliere
i voti di altri partiti o elettori del fronte antikirchnerista, approfittando di un peggioramento che, nel frattempo, potrebbe intervenire nella situazione politico-economica
argentina. Punterebbe così al ballottaggio,
eventualmente in programma il 22 novembre. La legge elettorale, infatti, prevede due
turni nel caso in cui nessun candidato il 25
ottobre ottenga almeno il 45 per cento dei
voti al primo turno, oppure il 40 per cento
con più del 10 per cento di voti scarto però
dal secondo arrivato.
Spett.le
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Si parla di una manovra da 27-30 miliardi,
dei quali non c’è alcuna certezza ad oggi
(“elastico di cifre che dipende dal riconoscimento o meno in sede europea di un
margine di flessibilità pari allo 0,2% del Pil
-circa 3 miliardi di euro-, alla luce dell’emergenza migranti”, lo scrive ieri “Repubblica”, mica La Croce), dei quali 17 miliardi
“servono per sterilizzare le clausole di salvaguardia ereditate dal passato” (sempre
“Repubblica” di ieri).
ARGENTINA |
Vi informiamo che la fattura relativa alla pubblicazione in oggetto e completa del giustificativo di stampa
#quotidiano contro i falsi miti di progresso
na del centro-destra è tutto da dimostrare.
Scioli è stato il delfino dell’ex presidente, dal
1989 al 1999, Carlos Menem e ha sempre
avuto posizioni più neoliberiste rispetto a Cristina Fernández e al marito Néstor Kirchner
(1950-2010), a capo della nazione argentina
dal 2003 al 2007. Tuttavia la “presidenta” ha
scelto di appoggiarlo e ha chiesto una riforma
economica graduale del Paese. Riforma che
dovrà sciogliere due nodi principali: il rapporto con il dollaro e il controllo dell’inflazione.
Ha ricordato il professor Marco Olivetti in un
articolo pubblicato alla vigilia delle primarie
presidenziali, che il “kirchnerismo” rappresenta «l’ennesima reincarnazione del peronismo: dopo quella originaria, vagamente
fascistizzante, di Juan Domingo Perón ed Evita; quella degli anni Settanta, liberal-conservatrice, del Perón morente e della sua terza
moglie Isabelita; e quella iper-liberista di Carlos Menem negli anni Novanta» (M. Olivetti,
Argentina: primarie tra lotte, promesse e ombre, in Avvenire, 7 agosto 2015).
Cosa dire riguardo alle prossime elezioni, il
Papa e la Chiesa argentina? Intervistato in occasione del secondo anniversario sul Soglio di
Pietro, Papa Francesco ha lanciato tre importanti raccomandazioni ai governanti argentini
in vista delle elezioni presidenziali di ottobre.
Alla fine di una lunga e appassionata intervista rilasciata a “La Carcova News”, il Pontefice ha infatti detto di attendersi dai candidati
«che propongano una piattaforma elettorale
chiara», concreta e ben pensata, che tengano
fede alla «onestà nella presentazione della
propria posizione» e, infine, che conducano
per quanto possibile «una campagna elettorale di tipo gratuito», che non sia cioè frutto
di finanziamenti e giochi di interessi che poi
«chiedono il conto» (cit. in Salvatore Cernuzio, “Sono un peccatore”. L’intervista di Francesco a un giornale di periferia, in agenzia
“Zenit”, 10 marzo 2015)
La Conferenza Episcopale Argentina ha quindi appena pubblicato un documento sulle
prossime consultazioni, in cui sollecita nella
stessa linea le varie istituzioni governative a
«creare le condizioni oggettive che ne assicurino lo svolgimento trasparente».
Le prime reazioni del fronte peronista al governo, al tempo dell’elezione del primo Pontefice argentino furono traumatiche. L’allora
presidente Néstor Kirchner definì infatti Bergoglio il «capo spirituale dell’opposizione politica». Già nel maggio 2004, quando si compiva un anno dalla elezione di quest’ultimo
alla Casa Rosada, la Conferenza Episcopale
Dove sono finite nella Legge di Stabilità le
richieste fatte da Area Popolare non più
tardi dell’agosto 2015? Una “rivoluzione” in
tre punti, per rimettere la famiglia al centro
– annunciava allora Alfano. È il Family Act
di Area Popolare, che sulla falsariga del Jobs
Act mette insieme una serie di proposte di
sostegno e aiuti fiscali alle famiglie. Costo a
regime, cioè nel 2018, 7,6 miliardi di euro.
La proposta di legge è stata presentata il 6
agosto alla Camera dal ministro dell’interno
Angelino Alfano e dai capigruppo di Camera e Senato di Ap, Maurizio Lupi e Renato
Schifani. “Noi vogliamo che dei 48 miliardi di tagli delle tasse promessi dal premier
Renzi entro tre anni, una parte sia destinata
a un pacchetto di proposte che riguardano
– spiega Lupi – il trattamento fiscale delle
famiglie, misure di sostegno alla natalità per
la conciliazione tra lavoro e vita familiare e
agevolazioni per l’accesso alla locazione da
parte delle giovani coppie e trattamento fiscale dell’abitazione principale. L’obiettivo è
sostenere la famiglia così come riconosciuta
dalla nostra Costituzione“. “Uno dei pilastri
della riduzione delle tasse deve riguardare la
famiglia“, insiste Lupi. Così, aggiunge Paola
Argentina presieduta da Bergoglio pubblicò il
documento “Abbiamo bisogno di essere nazione”, nel quale si dichiarava che «il passato
ci pesa» per incoraggiare la riconciliazione
nazionale. Ciò significava, come ebbe a commentare allora il quotidiano conservatore “La
Nacion”, una chiara obiezione alla politica di
“revisione” della violenza politica degli anni
Settanta. Inoltre, Bergoglio approfittava del
Te Deum del successivo 25 maggio, il tradizionale appuntamento nella Cattedrale Metropolitana nel giorno dell’indipendenza al
quale assiste anche il Presidente della Repubblica, per criticare indirettamente il Governo
tramite un’omelia nella quale condannava
l’intolleranza, chiedeva più dialogo politico e
metteva in discussione «l’esibizionismo e gli
annunci stridenti» (La Nacion, 27/5/2004).
Da ricordare anche il conflitto attorno al vicario castrense Mons. Antonio Baseotto nel
2005, espulso dal Governo per le sue dichiarazioni gravissime contro il Ministro di Salute
(dovute alla posizione di quest’ultimo a favore della depenalizzazione dell’aborto e di una
politica di promozione degli anticoncezionali) e sostenuto invece dalla Conferenza Episcopale. Con la moglie Cristina succeduta alla
Casa Rosada, il Governo peronista argentino
ha però cambiato i toni, riaccomodato posizioni e, più volte negli ultimi due anni, Papa
Francesco ha persino ricevuto la “presidenta”
in Vaticano. D’allora quindi i giudizi da Buenos
Aires sono cambiati di 360 gradi, tanto che il
successore di Pietro è finito ad essere il «vero
peronista» di cui hanno persino parlato alcuni dirigenti dell’ala sinistra del movimento
kirchnerista.
Al candidato alla presidenza Scioli va riconosciuto il merito di essere fra quei peronisti che non hanno mai criticato in maniera
diretta o esplicita il Pontefice. Anzi, ancora
qualcuno ricorda quel passaggio da una sua
intervista nella quale, dopo l’elezione al soglio pontificio, riconobbe a Bergoglio la virtù
delle “tre P”. «In momenti difficili sia a livello
personale che istituzionale - ha dichiarato al
proposito in chiave persino “intimista” il governatore di Buenos Aires -, ho ricevuto aspre
critiche per continuare ad incontrarlo, ma lui
mi trasmetteva la pazienza, la perseveranza e
la prudenza, che è la formula delle tre P».
Inoltre Scioli, in qualità di vicepresidente
dell’Argentina, presenziò in maniera non protocollare alla cerimonia di beatificazione di
Zeffirino Namuncurá (1886-1905), giovane
alunno della Società Salesiana di San Giovanni Bosco, primo beato indigeno mapuche,
#quotidiano contro i falsi miti di progresso
Binetti, “ogni misura a favore della famiglia è
supportata dalla riduzione del carico fiscale,
che complessivamente ha un valore di circa 7 miliardi, a cui va aggiunta la riduzione
dell’Imu sulla prima casa per circa 10 miliardi”. “Non è tanto – osserva -: un 25% della
riduzione fiscale complessiva ipotizzata dal
presidente del Consiglio; infatti i circa 10 miliardi previsti dalla legge a regime, ossia tra
circa tre anni, sono in relazione diretta con
gli oltre 48 miliardi di riduzione fiscale compressiva prevista da Matteo Renzi. Si può fare
e vogliamo farlo a cominciare dalla prossima
legge di stabilità”.
Nella Legge di Stabilità 2016 nulla abbiamo
trovato di quanto proposto da Alleanza Popolare.
La diaspora che è seguita dal crollo della
DC ha cancellato e derubricato nell’agenda
il tema di fondo: che cosa significa oggi una
presenza cattolica in parlamento che non si
riduca o ad essere irrilevante o a difendere
(vanamente) piccoli fortini?
Al di là di un generico impegno alla testimonianza personale e pubblica della propria
fede – di trovare il modo di mediare «laicamente» i valori cristiani nella cultura e nella
società secolarizzata e pluralistica di oggi,
altro non pare essere rimasto nell’agone partito della politica italiana.
Lo sappiamo: il credente può e deve fare
politica – sapere e prassi che ha leggi e valori specifici che non possono venire posti a
lato – solo se pratica buone mediazioni, che
siano incarnazione dei principi o dei valori
attraverso l’azione. In caso contrario si condanna o al tradimento dei valori oppure all’inefficacia politica. La costruzione della mediazione è il modo
politico di mettere in pratica la necessaria
coerenza con i valori cristiani. È arrivato il momento irrinunciabile di ascoltare seriamente l’appello che qualche mese
fa Papa Francesco ha lanciato ai laici: basta
con i Vescovi-Pilota, siano i laici ad assumersi
fino in fondo la responsabilità sempre nuova
di metterci la faccia in ogni campo della vita.
Diversamente, a perdere è il Vangelo ma anche la città dove i cristiani, insieme a tutti gli
altri, vivono. n
presieduta a Chimpay, Río Negro, l’11 novembre 2007 dal Cardinale Tarcisio Bertone,
segretario di Stato e inviato papale, insieme
all’allora primate d’Argentina, Cardinale Jorge
Bergoglio e da una cinquantina di Vescovi.
Ma anche l’altro pretendente alla presidenza,
Mauricio Macri, da sindaco di Buenos Aires si
è distinto per aver festeggiato “in pompa magna” la nomina a Pontefice di Bergoglio. Chiamò infatti a raccolta, nella notte del 13 marzo
2013, tutti i cittadini della Capitale ad una veglia animata da concerti, facendo illuminare
l’obelisco del municipio con i colori vaticani.
Alle tre di mattino arrivò a sorpresa il messaggio di Papa Francesco, via telefonica, alla
“Plaza de Mayo” gremita: «Abbiate cura uno
degli altri, dei bambini, della natura. Dialogate, non fatevi del male e avvicinatevi a Dio».
Il Vescovo di Comodoro Rivadavia, Mons. Joaquín Gimeno Lahoz, in una intervista ad una
radio locale, Radio del Mar, il cui testo è pervenuto all’agenzia “Fides”, ha commentato
che l’obiettivo del recente documento della
Conferenza episcopale argentina è ricordare
che «l’esercizio del voto esprime anche la nazione che vogliamo. Quello che tutti noi vogliamo è consolidare e sviluppare il sistema
democratico nel nostro paese, ecco perché si
parla di trasparenza, di un atteggiamento di
rispetto e di dialogo sincero».
A questo proposito, Mons. Gimeno ha riconosciuto che ci deve essere una «triplice
responsabilità», vale a dire, dello Stato, dei
Partiti politici e dei cittadini per riuscire nella
ricomposizione dei «rapporti sociali», perché
«sembra che siamo amici o nemici, e questo
non può essere. Siamo fratelli, impegnati a
costruire un paese in cui tutti dobbiamo lavorare per il bene comune».
«Penso che dobbiamo imparare a scegliere prima di votare» ha sottolineato ancora il
Vescovo, e per riuscire in questo si deve essere informati sulle proposte. L’elettore deve
«conoscere e definire le proposte che meglio
rispondono ai suoi principi e convinzioni» tenendo conto «dell’affidabilità e della coerenza di coloro che cercano i nostri voti. E lì che
dobbiamo puntare» (cit. in C.E., Argentina:
vescovi chiedono trasparenza per le prossime
elezioni, in Radio Vaticana, 6 ottobre 2015).
Forse i candidati che gli argentini dovranno
scegliere il 25 ottobre cercheranno di tirare
a Bergoglio la tonaca da tutte le parti… Ma,
se almeno per qualcuno di essi sarà possibile passare dall’attrazione alla sequela, penso
potremmo giovarne molti.. n
#quotidiano contro i falsi miti di progresso
| Sabato 17 ottobre 2015
TRA L’EXPO E LA FAO |
Affamati, tra Papa e Presidente perfetta armonia
Papa Francesco e Sergio Mattarella hanno preso la parola sul tema nella Giornata mondiale dell’Alimentazione: dai testi emerge singolare concordia
di Adolfo Marini
L
a giornata mondiale dell’Alimentazione è stata l’occasione per ascoltare la voce alzata di due protagonisti
assoluti, che raramente parlano a caso. Il
presidente della Repubblica Sergio Mattarella e Papa Francesco sono stati protagonisti di due occasioni pubbliche, il primo in
visita ad Expo, il secondo con un messaggio
alla Fao. Due testi che vanno letti per comprendere l’urgenza della questione “fame
nel mondo”.
Leggiamo intanto l’intervento di Mattarella:
“Sono lieto di celebrare con voi la Giornata
Mondiale dell’Alimentazione nel contesto
dell’Esposizione Universale di Milano, che si
avvia alla conclusione avendo registrato un
grande successo di visitatori e avendo offerto al mondo intero non soltanto i valori e
la cultura dell’ospitalità italiana ma un’occasione di confronto costruttivo su un tema
decisivo per l’umanità e il suo futuro.
Nutrire il pianeta è la sfida epocale che abbiamo davanti, ed è un ideale oggi inseparabile dalla parola “pace”. Nutrire tutte le
persone del pianeta è un grande progetto
politico nella globalizzazione, dove talvolta
le regole della finanza prevalgono su quelle
dell’economia reale, e dove il diritto e gli
Stati nazionali misurano, ogni giorno, i propri limiti.
Il tema di questa Giornata dell’Alimentazione - “Protezione sociale e agricoltura per
spezzare il ciclo della povertà rurale” - ci
ricorda quante conoscenze sono necessarie, quante forze vanno raccolte, quante
scelte positive vanno compiute, e tra loro
poste in connessione, per ottenere concreti
risultati.
mondiale. Anche qui, in Lombardia, ora motore dell’economia italiana, settanta anni
fa si faceva la fila, tra le macerie di palazzi distrutti, per la distribuzione di generi di
prima necessità.
Se quelle immagini sono per noi un ricordo
lontano, lo dobbiamo alla lungimiranza dei
padri fondatori dell’Unione Europea, alla
pace che nuove istituzioni, a partire dalle
Nazioni Unite, hanno assicurato; lo dobbiamo all’uso è sede Milano al progresso economico e allo sviluppo sociale, ma anche
alla crescita democratica, dei diritti e dei
servizi, che hanno ridotto gli ostacoli verso
una effettiva uguaglianza tra i cittadini e i
popoli.
Questo dà la misura di quanta responsabilità sia affidata oggi ai leader delle nazioni
e degli organismi internazionali e sovranazionali, spesso i soli ad avere le dimensioni
per affrontare i problemi globali. Fame e
malnutrizione sono, ancora oggi, la drammatica realtà quotidiana per circa 800 milioni di persone. In questa cifra sono inclusi
circa 160 milioni di bambini minori di cinque anni.
Il cammino per azzerare fame e malnutrizione è ancora lungo, ma in questi 15 anni
tanti progressi sono stati fatti, anche grazie
al tenace lavoro compiuto dalla Fao, per il
quale ringrazio il Direttore Generale, Josè
Graziano da Silva.
La fame è stata dimezzata, la povertà assoluta è stata fortemente ridotta.
Sono le basi da cui ripartire.
La Generazione Fame Zero sta per nascere
e noi vogliamo accoglierla.
Le difficoltà dell’impresa non devono scoraggiarci: il traguardo può essere raggiunto,
Cibo e acqua sono lingua universale dei popoli.
il diritto al cibo e all’acqua può essere affermato in tutti i continenti. La cooperazione può prevalere sul conflitto. Il dialogo sul
fanatismo, la crescita delle opportunità può
restringere la forbice delle diseguaglianze.
Cibi diversi, ecosistemi diversi, che vanno preservati e valorizzati. Il linguaggio di
un’alimentazione sana e responsabile può e
deve finalmente diventare la base comune
di una nuova civiltà.
Signor Segretario Generale delle Nazioni
Unite,
Questo è un messaggio forte di Expo, la ragione di tanto interesse e tanto impegno.
le consegniamo oggi la Carta di Milano che
rappresenta il lascito dell’Expo e, al tempo
stesso, un impegno comune che dovrà continuare nel tempo. È il frutto di un lavoro
collettivo tra governi, società civile, imprese, università e organizzazioni internazionali: le adesioni raccolte hanno superato il
milione e costituiscono una autentica prova di cittadinanza globale.
L’Agenda per lo Sviluppo 2030, adottata il
25 settembre scorso dall’Assemblea generale dell’Onu, delinea, con i suoi 17 obiettivi, i cardini di un progetto di portata storica.
I risultati dell’Expo di Milano vogliono essere un contributo a questa visione integrata
dello sviluppo: porre fine alla fame e alla
povertà vuol dire ridurre le diseguaglianze, potenziare il lavoro e la responsabilità
femminile, garantire la pace e la crescita
sostenibile, investire sulla cooperazione
economica e culturale tra gli Stati e tra i
continenti. Non sono capitoli separati, ma
speranze di giustizia legate tra loro a doppio filo.
La Carta riconosce il diritto al cibo e quello
all’acqua quali diritti fondamentali ed elementi essenziali del più generale diritto alla
vita. Con forza, persone provenienti da ogni
parte del mondo hanno voluto ribadire che
soltanto un’azione corale può debellare la
malnutrizione e la povertà, promuovendo
un accesso equo alle risorse naturali e una
gestione sostenibile dei processi produttivi.
Quando, settanta anni fa, venne costituita
la FAO, l’Europa stava faticosamente emergendo dalle tenebre della seconda guerra
Signor Segretario Generale,
dall’inizio dell’anno scorso sulle coste italiane sono sbarcati quasi 310.000 migranti.
Ha avuto modo di constatare direttamente
il nostro impegno qualche settimana fa. La
maggior parte di queste persone ha ab-
bandonato le proprie case e i propri affetti
per sfuggire alla guerra, alle persecuzioni,
alle carestie e alla fame. Donne e uomini
che, come lei ha ricordato, ieri, parlando
al Parlamento italiano, hanno diritto, tutti,
alla tutela della loro dignità. La portata di
questi flussi ha scosso le opinioni pubbliche
europee, suscitando paure, mobilitando solidarietà, ponendo interrogativi sul futuro.
Di certo, si è posta con drammatica evidenza la necessità di contribuire a migliorare le
condizioni di vita nei Paesi di origine e di
transito dei flussi migratori, con strategie
che ne incentivino il progresso economico
e sociale.
Interventi che devono anche tenere in considerazione la necessità, come suggerisce
il tema di questa Giornata, di interventi di
protezione sociale efficienti e sostenibili
che consentano politiche di sviluppo e contrastino la sfiducia e l’abbandono.
Interventi che consentano di ridurre la povertà, favorendo la stabilità reddituale, l’accesso ai generi alimentari di base, alle cure
mediche e all’istruzione.
Le stesse rimesse degli immigrati in Europa
possono essere di grande aiuto alle comunità d’origine, a condizione che siano inserite in politiche di stabilizzazione e di crescita. Ancora una volta, il ruolo delle donne
è fondamentale: la denutrizione è più grave
dove più forte è la diseguaglianza di genere. Le società sono ovunque più ricche ed
equilibrate dove la presenza femminile è
più forte nei corpi sociali, nelle istituzioni,
nelle imprese: lo ha ricordato bene, pochi
giorni fa proprio qui, all’Expo, il Forum delle
donne parlamentari.
Signor Segretario Generale, Signore e Signori,
Tra poco più di un mese Parigi ospiterà un
altro grande appuntamento: la Conferenza
delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici. In quell’occasione saremo di nuovo
chiamati a un impegno comune: proteggere
il pianeta e le sue risorse, restituire ai nostri
figli il futuro che stiamo consumando. Le
lingue della guerra sono quelle di Babele,
dove nessuno comprende l’altro e dove il
dialogo non riesce mai a essere produttivo.
Il linguaggio della pace ci dice che la lotta
contro povertà, fame e malnutrizione passa
anche attraverso la conservazione e la protezione dell’ambiente che ci circonda.
Spero che questa Esposizione Universale di
Milano, in cui le Nazioni Unite sono state
protagoniste come mai prima, sia per tutti
il segno che una strada nuova può essere
condivisa.
Scelte unilaterali non portano al progresso
e alla pace. Il diritto internazionale invece
è una risorsa, da custodire e implementare:
questa risorsa aiuterà anche le nuove idee
e i nuovi protagonisti che si cimenteranno
per realizzare entro il 2030 l’obiettivo di
uno sviluppo equo, solidale e sostenibile”.
Di tenore analogo le parole di Papa Francesco rivolte in un messaggio al direttore generale della Fao: “Questa giornata, in cui si
celebra il settantesimo anniversario dell’istituzione della FAO, pone in primo piano
tanti nostri fratelli che, nonostante gli sforzi
compiuti, soffrono la fame e la malnutrizione, anzitutto per l’iniqua distribuzione dei
frutti della terra, ma anche a causa di un
mancato sviluppo agricolo. Viviamo un’epoca in cui l’affannosa ricerca del profitto,
la concentrazione su interessi particolari e
gli effetti di politiche ingiuste rallentano
le azioni all’interno dei Paesi o impediscono una cooperazione efficace in seno alla
comunità internazionale. In questo senso,
rimane molto da fare per quanto riguarda
la sicurezza alimentare, che appare ancora come un obiettivo lontano per molti.
Questo doloroso scenario, Signor Direttore
Generale, rende ancora più urgente il ritorno all’ispirazione che portò alla nascita di
codesta Organizzazione e ci impegna a trovare i mezzi necessari per liberare l’umanità
dalla fame e promuovere un’attività agricola capace di soddisfare le effettive necessità delle diverse aree del pianeta.
Si tratta di un obiettivo certamente ambizioso, ma improrogabile, che va perseguito con rinnovata volontà in un mondo
dove cresce il divario nei livelli di benessere, nei redditi, nei consumi, nell’accesso
all’assistenza sanitaria, nell’istruzione e per
quanto concerne una maggiore speranza di
vita. Siamo testimoni, spesso muti e paralizzati, di situazioni che non è possibile legare esclusivamente a fenomeni economici, poiché sempre di più la disuguaglianza
è l’effetto di quella cultura che scarta ed
esclude tanti nostri fratelli e sorelle dalla
vita sociale, non considera le loro capacità
e arriva a ritenere superfluo il loro apporto
alla vita della famiglia umana.
Il tema scelto per la Giornata Mondiale
dell’Alimentazione di quest’anno: Protezione sociale e agricoltura per spezzare il
ciclo della povertà rurale, è importante. Un
problema che pone in rilievo la responsabilità verso i due terzi della popolazione
mondiale a cui manca una protezione sociale anche minima. Un dato reso ancor più
allarmante dal fatto che la maggior parte
di queste persone vive nelle aree più svantaggiate di Paesi dove l’essere poveri è una
realtà dimenticata e l’unica fonte di sopravvivenza è legata ad una scarsa produzione
agricola, alla pesca artigianale o all’allevamento su piccola scala.
Infatti, la mancata protezione sociale pesa
anzitutto sui piccoli agricoltori, allevatori,
pescatori e forestali costretti a vivere nella
precarietà, poiché il frutto del loro lavoro è
subordinato per lo più a condizioni ambientali che spesso sfuggono al loro controllo,
e alla mancanza di mezzi per fronteggiare
cattivi raccolti o per procurarsi gli strumenti tecnici necessari. Paradossalmente, poi,
anche quando la produzione è abbondante,
essi incontrano serie difficoltà di trasporto,
di commercializzazione, di conservazione
del frutto del loro lavoro.
Nel corso dei viaggi e delle visite pastorali,
ho avuto numerose occasioni di ascoltare
queste persone esprimere le loro difficoltà, ed è naturale che io mi faccia portavoce
delle gravi preoccupazioni che mi hanno
confidato. La loro vulnerabilità, infatti, ha
ripercussioni molto pesanti sulla vita personale e familiare, già gravata da tante contrarietà o da giornate estenuanti e senza
limiti di tempo, diversamente da quanto
accade per altre categorie di lavoratori.
La condizione delle persone affamate e
malnutrite evidenzia che non basta e non
possiamo accontentarci di un generico appello alla cooperazione o al bene comune.
Forse la domanda da porre è un’altra: è ancora possibile concepire una società in cui
le risorse sono nella mani di pochi e i meno
privilegiati sono costretti a raccogliere solo
le briciole?
La risposta non può limitarsi a buoni propositi, ma consiste piuttosto nella «pace
sociale, vale a dire la stabilità e la sicurezza
di un determinato ordine, che non si realizza senza un’attenzione particolare alla
giustizia distributiva, la cui violazione genera sempre violenza» (Enc. Laudato si’,
157). Infatti, per le persone e le comunità,
la mancata protezione sociale è un fattore
negativo in sé stesso e non può essere limitata solo alle possibili minacce per l’ordine pubblico, dal momento che la disuguaglianza riguarda gli elementi fondamentali
del benessere individuale e collettivo, quali
sono ad esempio la salute, l’istruzione, la
partecipazione nei processi decisionali.
Penso ai più svantaggiati, a quanti, per la
mancata protezione sociale, patiscono le
conseguenze negative di una persistente
crisi economica o di fenomeni legati alla
corruzione e al malgoverno, oltre a subire i
cambiamenti climatici che compromettono
la loro sicurezza alimentare. Sono persone,
non numeri, e chiedono il nostro sostegno,
per poter guardare al futuro con un minimo
di speranza. Domandano ai Governi e alle
Istituzioni internazionali di operare tempestivamente, facendo tutto il possibile, per
quanto dipende dalla loro responsabilità.
Considerare i diritti dell’affamato e accoglierne le aspirazioni significa anzitutto una
solidarietà che si traduce in gesti concreti,
che richiede condivisione e non solo una
migliore gestione dei rischi sociali ed economici o un soccorso puntuale in occasione delle catastrofi e delle crisi ambientali.
È questo ciò che si chiede alla FAO, alle sue
decisioni e alle iniziative e ai programmi
concreti che si realizzano nei vari luoghi.
Questa prospettiva antropologica, però,
mostra che la protezione sociale non può
essere limitata all’incremento dei redditi,
o ridursi all’investimento in mezzi di sussistenza per un miglioramento della produttività agricola e la promozione di un equo
sviluppo economico. Essa deve concretizzarsi in quell’ “amore sociale” che è la chiave di un autentico sviluppo (cfr ibid., 231).
Se considerata nelle sue componenti essenzialmente umane, la protezione sociale
potrà aumentare nelle persone più svantaggiate la capacità di resilienza, di affrontare e superare le difficoltà e i contrattempi
e a tutti farà comprendere il giusto senso
dell’uso sostenibile delle risorse naturali e
del pieno rispetto della casa comune. Penso in particolare alla funzione che la prote-
zione sociale può svolgere per sostenere la
famiglia, nel cui seno i suoi membri imparano fin dall’inizio che cosa significa condividere, aiutarsi a vicenda, proteggersi gli uni
gli altri. Garantire la vita familiare significa
promuovere la crescita economica della
donna, consolidando così il suo ruolo nella società, come pure favorire la cura degli
anziani e permettere ai giovani di proseguire la formazione scolastica e professionale,
per accedere ben preparati al mondo del
lavoro.
La Chiesa non ha la missione di trattare direttamente tali problemi dal punto di vista
tecnico. Tuttavia, gli aspetti umani di queste situazioni non la lasciano indifferente.
Il creato e i frutti della terra sono doni di
Dio elargiti a tutti gli esseri umani, che ne
sono al tempo stesso custodi e beneficiari.
Per questo sono destinati ad essere equamente condivisi da tutti. Ciò esige una
ferma volontà per affrontare le ingiustizie
che riscontriamo ogni giorno, in particolare quelle più gravi, quelle che offendono la
dignità umana e toccano nel profondo la
nostra coscienza. Sono fatti che non consentono ai cristiani di astenersi dal fornire il
loro attivo contributo e la loro professionalità, soprattutto mediante diverse forme di
organizzazione che tanto bene fanno nelle
aree rurali.
Di fronte alle difficoltà non possono prevalere il pessimismo o l’indifferenza. Ciò
che è stato fin qui compiuto, nonostante la
complessità dei problemi, è già un motivo
di incoraggiamento per l’intera Comunità
internazionale, per le sue Istituzioni e le sue
linee di azione. Tra queste penso all’Agenda
2030 per lo Sviluppo Sostenibile, recentemente approvata dalle Nazioni Unite. Auspico che non resti solo un insieme di regole e di possibili accordi. Confido che ispiri
un modello diverso di protezione sociale,
a livello sia internazionale sia nazionale.
Si eviterà così di utilizzarla a vantaggio di
interessi contrari alla dignità umana, o che
non rispettano pienamente la vita, o per
giustificare atteggiamenti omissivi che lasciano i problemi irrisolti, aggravando in tal
modo le situazioni di disuguaglianza.
Ciascuno, per quanto è nelle proprie possibilità, dia il meglio di sé in spirito di genuino servizio agli altri. In tale sforzo, l’azione
della FAO sarà fondamentale se dispone
dei mezzi necessari per assicurare la protezione sociale nel quadro dello sviluppo
sostenibile e della promozione di quanti
vivono di agricoltura, allevamento, pesca e
foreste”.
I due testi, di Sergio Mattarella e di Papa
Francesco, rendono evidente come la questione della fame nel mondo sia al centro
dei pensieri delle autorità sia laiche che
spirituali del pianeta. La sintonia tra i due
messaggi pare evidente e forse per questo
qualche risultato concreto si comincia a
cogliere. Continuare su questa strada deve
essere l’eredità più significativa di questa
giornata mondiale dell’alimentazione appena trascorso, nei giorni in cui si conclude
l’Esposizione universale milanese dedicata
proprio al tema: “Nutrire il pianeta”. n
Sabato 17 ottobre 2015 |
Inizialmente avevamo accennato però alla
penna di Hadjadj. E allora conviene tornare al suo magico uso delle parole. Sì, perché si dà il caso che in un piccolo gioiello
fatto tradurre dalle benemerite edizioni
Ares («Ma che cos’è una famiglia? – La trascendenza nelle mutande & altri discorsi
ultra-sessisti») il filosofo franco-algerino
polemizzi contro una «sana famiglia» che
somiglia maledettamente a quella che piace tanto a Vendola.
Hadjadj a dire il vero duella in punta di penna col suo collega, il filosofo Michel Serres
(a ciascuno il suo) che su «Études», la rivista
dei gesuiti francesi, ha scritto un articolo
intitolato «La sana famiglia» (La saine famille).
Ma a parte questo, le somiglianze tra Serres
e Vendola superano di gran lunga le differenze. Anzitutto anche Serres, come Vendola (e non scordiamoci mai di Marino), si
professa cattolico. All’inizio del suo pezzo
avverte di voler offrire «una meditazione
propriamente cristiana, cioè cattolica, che
gli stessi vescovi avrebbero trascurato...».
#Nichi, la fobia del seme
e i “genitori spirituali”
Il triste siparietto in cui Nichi Vendola ha spinto Roberto Formigoni (preso
alla sprovvista: altre volte ha reagito meglio) permette di sottolineare una
volta di più la reminescenza catara (e gnostica) di certo omosessualismo
di Emiliano Fumaneri
E
h sì, penso: ci vorrebbe la magica penna di Fabrice Hadjadj per commentare la performance di Nichi Vendola a
Matrix, dove si è improvvisato teologo per
zittire le obiezioni di Formigoni contro l’utero in affitto e le adozioni gay. E così Nichi se
n’è uscito chiedendo con fare provocatorio:
«E se avessimo detto che Gesù è figliastro
di san Giuseppe?». Alla provocazione fantateologica è seguita immancabile la reazione
stizzita del Celeste, che lo ha accusato di
bestemmiare le verità della fede (si sa che
anche Vendola, al pari di Marino, si professa
cattolico).
Ma più che fermarsi all’accusa di Formigoni,
vale la pena di annotarsi la risposta di Vendola, che subito rinfaccia all’ex governatore
della Lombardia di avere «un’ossessione,
che è quella dello sperma». Formigoni, a
sentirsi dare dello spermossessivo, si infervora ancor di più. Nichi, vista messa in
dubbio la sua stessa cattolicità, idem. Ma
si trattiene per precisare meglio il proprio
pensiero: «Genitore non è un fatto biologico», dice. «La genitorialità è crescere, educarli, amarli i figli. Non lo sperma!».
catara prometteva ai suoi fedeli i mezzi per
evadere dalla tenebrosa prigione del corpo.
Il corpo del Cristo cataro è un puro «fantasma», che solo in apparenza muore sulla
croce, la quale d’altro canto non ha alcuna
funzione salvifica. Il ruolo di Gesù è stato
unicamente quello di rivelare gnosticamente agli uomini la loro vera natura: di risvegliare cioè dal sonno gli spiriti imprigionati
nella materia.
Si comprende perché la spermofobia fosse
propria del dualismo cataro, che con coerenza rifiutava con particolare vigore il matrimonio, accusato di santificare le unioni
carnali dalle quali nascevano senza posa
nuove prigioni corporee per le anime spirituali. Il filologo Francesco Zambon riassume
così i precetti che appaiono come rigorose
conseguenze della metafisica catara: «poiché tutto ciò che è materiale è di origine
diabolica, bisogna evitare qualsiasi contatto
con le realtà visibili e corporee. L’atto carnale era considerato il peccato per eccellenza». E oggi come allora si capisce perché
le due fedi, quella cristiana e quella catara,
vedessero l’una come un pericolo mortale
per l’altra (con tutto lo strazio e i lutti che
ne seguirono).
Hadjadj, da fine cesellatore qual è, direbbe
che la genitorialità aspermatica di Vendola
è la perfezione dell’orfanotrofio. A me invece – sarà perché ricorda la solita taccia
di «omofobia» – l’unica parola per definire
adeguatamente la reiterata antipatia del leader di Sel verso il seme maschile sembra
la più modesta «spermofobia». Che è pure
bruttina come parola. Ma ho una più che valida giustificazione: non sono Hadjadj.
Ma torniamo a Vendola. Giampaolo Pansa
nel suo «Tipi sinistri» lo soprannomina «Nichi il doppio», alludendo alla sua doppia
veste: se da un lato c’è il Vendola utopista,
il fervente trascinatore capace di catalizzare un ampio consenso a sinistra, dall’altro
c’è anche il Vendola uomo di potere, in cui
l’abbigliamento casual e i modi da libertario
cortese lasciano il posto a una gestione della politica di staliniana durezza.
Mentre riascoltavo le affabulazioni al calor
bianco dell’ex governatore della Puglia mi
veniva in mente che un rigurgito di spermofobia doveva ritrovarsi anche nel XII e
XIII secolo presso i Catari, per i quali la carne umana era generata nel peccato e per
mezzo del peccato, creata da un Dio falso
e menzognero che aveva ardito legare l’anima a un nodo perverso di spirito e di carne.
Nel Rituale di Lione è pregato affinché tronchi questo legame nefasto: «Non aver pietà
della carne nata dalla corruzione, ma abbi
pietà dello spirito rinchiuso in prigione».
In questo senso la mentalità di Vendola è un
esemplare rappresentante della leggendaria “doppiezza” comunista, un retaggio della militanza nel vecchio PCI. Ma che cos’era
la doppiezza? Consisteva in questo: Il Partito comunista, che non tollerava di avere
“nemici a sinistra”, manteneva un duplice
standard etico (detto “doppia prospettiva”,
“doppia verità”, “doppio binario”) rispetto al
sovversivismo rivoluzionario. Se da un lato
disapprovava radicalmente il metodo delle
proteste, dall’altro ne riconosceva, magari
con riluttanza, le ragioni. Così si prendevano
le distanze sia dai critici di quella forma di
lotta, sia da coloro che la praticavano.
Per i Catari non c’era un’unica creazione, ma
due: una creazione buona opera di un Dio
benigno, e una creazione cattiva opera di un
Dio malvagio. Quest’ultimo era identificato
col Dio creatore della Genesi e con Satana.
Deus iniquus, chiamavano il Dio dell’Antico
Testamento: un Dio usurpatore, falso e crudele. I Catari distinguevano nell’uomo tre
componenti: il corpo, di origine diabolica,
creato e plasmato dal Dio malvagio; l’anima
e lo spirito, che invece sono di origine divina. Lo spirito è la parte più alta del composto umano, ed è parzialmente caduta nel
mondo rimanendo incarcerata in una prigione di carne corporea. Questa porzione decaduta è l’anima, che aspira a ricongiungersi
con la parte rimasta in cielo.
La redenzione, per il catarismo, si conquistava rinnegando la creazione. E la religione
È sempre la doppiezza a permettere a Vendola di ibridare cattolicesimo e comunismo,
presentandosi al tempo stesso come difensore della Chiesa e sostenitore dell’aborto,
del divorzio, dell’eutanasia e dei matrimoni
omosessuali.
Qualche anno fa sul Sussidiario apparve
una acuta analisi della sua figura politica a
firma di Marco Cobianchi. Per capire Nichi
Vendola, sosteneva l’articolista, bisogna
tornare a leggere «Il suicidio della rivoluzione» (1978) di Augusto Del Noce e la sua
diagnosi sul destino della sinistra italiana
post-gramsciana. La prima evoluzione della
sinistra, disse Del Noce, sarebbe stata il libertinismo, cioè il permissivismo morale più
estremo. La licenziosità era la conseguenza
di una visione della storia come progressiva
“emancipazione” da un passato “oscurantista”.
Sempre Del Noce sosteneva però che il legame col popolo (guidare le masse è una
tipica ossessione gramsciana, e che ricorre
anche in Vendola) non sarebbe potuto avvenire che appropriandosi della radice culturale che lo ha plasmato nel corso della
storia: il cattolicesimo.
È così che Vendola ha fatto intitolare l’aeroporto di Bari a Karol Wojtyla nonostante
tutto l’insegnamento morale di Giovanni
Paolo II abbia ribadito l’opposizione della
Chiesa a tutte le battaglie con le quali il
leader di Sel caratterizza la propria azione
politica. Sarebbe un errore, ricorda Cobianchi. pensare che Vendola nel dare il nome
di Wojtyla all’aeroporto pugliese faccia del
banale populismo. Si tratta piuttosto di un
sofisticato tentativo di «collegarsi alla cultura popolare assumendone i simboli e, in
modo caotico, i valori purificandoli da ogni
riferimento trascendente e trasformati, dice
Del Noce, in “strumenti per l’accrescimento
del nostro tono vitale”».
Di queste simbologie Vendola si serve metabolizzandole e svuotandole, trasformandole
in altro. Come una specie di Caronte intenzionato a traghettare in terra sconsacrata il
residuo legame tra cultura popolare e fede
cattolica. Insomma, è la più classica tattica
di acculturazione che spiega il suo dirsi al
tempo stesso comunista, gay e cattolico,
cercando di accreditarsi come l’erede di
Pasolini (omosessuale ed “eretico” di due
chiese, come lui, e allo stesso tempo poeta,
scrittore, ma anche osservatore della politica) per assimilarne il carisma “profetico”. Più volte “Nichi il doppio” ha ribadito, con
i toni appassionati che gli sono propri, di
riconoscersi nel valore della famiglia, che
però svuota di significato sostenendo nel
medesimo tempo anche i matrimoni omosessuali. Vendola perciò non rinnega affatto la religione come pilastro della società,
a condizione che essa rimanga “materiale
culturale” da metabolizzare, senza avere alcuna influenza sull’azione politica.
Sempre come Nichi, anche Serres si improvvisa teologo e profeta di un nuovo evangelo. E quale tesi vuol difendere? Nulla di particolarmente originale. Sui social network è
di rito quando si parla di utero in affitto o
di procreazione artificiale. La tesi è questa
Gesù aveva due papà e una madre surrogata. Entrando più nel dettaglio, Giuseppe non
sarebbe che un padre adottivo, una specie
di genitore 2, mera figura di contorno del
Genitore 1 (e 3ino) per eccellenza.
Anche qui il francese Serres fila alla perfezione (potremmo dire figlia, ma date le circostanze sarebbe battuta di pessimo gusto)
con l’italiano Vendola. Gesù è il figliastro
di san Giuseppe mentre Maria provvede
pionieristicamente l’utero per una inaudita
GPA. E a pensarci bene cosa è l’Annunciazione se non il prototipo divino della PMA,
con lo Spirito Santo nelle vesti di inseminatore artificiale (ad ogni modo ben poco
naturale)?
Date queste premesse, Serres passa ad affermare che la condanna del matrimonio
omosessuale dei vescovi francesi poggia su
«criteri antropologici», cioè «naturalisti» e
dunque non evangelici né soprannaturali.
Già, perché è evidente che una Sacra Famiglia così poco naturale significa «che essa
disfa i legami carnali, biologici, sociali, naturali, o, come si è detto, strutturali: ciascuno
alla sua maniera, il padre non è il padre, né
il figlio è veramente il figlio, né la madre è
assolutamente la madre; diminuzione e soppressione delle relazioni di sangue».
Serres affianca l’emofobia alla spermofobia
di Vendola. Per lui il Vangelo neutralizza i
legami di sangue. Ecco, finalmente si manifesta l’ideale che presiede a questa nuova
lettura dei misteri della fede. È la disincarnazione, fa notare Hadjadj. Tutto il male,
secondo questa idea, sta nelle radici troppo
naturali, il negativo si ritrova nelle relazioni
di sangue. La parentela di sangue in fin dei
conti evoca gli oscuri spettri dell’esclusivismo, forse anche del razzismo. Meglio allora
una parentela – anzi, una genitorialità direbbe Nichi – più fluida, una parentela scelta,
libera e adottiva...
Anche Serres, come i catari, contrappone il
Dio creatore al Dio redentore. C’è contraddizione in lui tra il Dio della grazia e il Dio
della natura. Il suo errore, dice Hadjadj, sta
nell’aver abbracciato una visione concorrenziale della grazia e della natura. Per Serres il sovrannaturale coincide con il sovracreaturale: la sfera della soprannatura non
è di un altro ordine rispetto a quello della
natura e della cultura. Si trova sullo stesso
piano, e dunque in rapporto di competizione. Dio è una specie di Supercreatura che
occupa ogni spazio della creatura umana.
Abbracciando la dissoluzione di ogni valora morale, osservava Del Noce, la rivoluzione comunista però si “suicida” finendo
per stringere un’alleanza con la borghesia
– della quale Nichi Vendola non è avversario. E questo non per semplici interessi di
bottega e di cabina elettorale, ma perché,
spiega il filosofo, «la rinuncia del comunismo alla mentalità messianica coincide con
la rinuncia della borghesia alle norme della
morale. Si stabiliscono così le condizioni per
l’integrazione del comunismo alla società
democratico-borghese».
Secondo questo punto di vista, naturale e
soprannaturale, umano e divino sono in concorrenza: uno dei due dovrà per forza soppiantare l’altro. Dalla concorrenza si passa
prima alla negazione, poi alla distruzione.
O Dio negherà l’uomo oppure sarà l’uomo a
distruggere Dio. L’alternativa è secca: o fondamentalismo o ateismo, tertium non datur.
A tanto conducono emofobia e spermofobia: alla riproduzione della struttura mentale della gnosi catara, al disprezzo gnostico
per la carne. Serres, e con lui Vendola, plaude alla «grande operazione della decostruzione dei legami di parentela naturale o di
sangue» assicurata dal cristianesimo, che
«sostituisce la libertà individuale dell’amore
e della scelta».
Un progetto ambizioso, quello vendoliano, ma che appare fallito per via di una
eccessiva “velocità di marcia”. Per contro,
la marcia “più lenta” del renzismo pare
al momento in grado di portare avanti lo
stesso progetto politico in maniera decisamente più efficace.
Ma di che “cristianesimo” stiamo parlando?
È di nuovo il falso Cristo cataro, venuto a liberarci dal Carceriere veterotestamentario.
Il Cristo serresian-vendoliano è uno pseudo
Salvatore della Nuova Alleanza giunto ad
affrancarci dalla natura umana nella sua dimensione squisitamente materiale, opera di
#quotidiano contro i falsi miti di progresso
STORIE CHE “COMMUOVONO” |
SUL BIMBO CHE CONDIVIDE
LA COMUNIONE COI SUOI
C’è un rischio sottile nel raccogliere certi pur significativi
racconti sul solo versante emotivo: sciuparne la forza simbolica
di Filippo Fiani
V
orrei prendere spunto dal racconto
sul giovanissimo “Ministro dell’Eucarestia” che ha deciso di condividere
l’Ostia Consacrata con il padre e la madre,
divorziati ed entrambi risposati, che lo accompagnavano ad accogliere la Prima Comunione.
Questo episodio, descritto da un Vescovo al
Papa, durante il Sinodo della famiglia, ha portato la discussione sul tema della Comunione
alle persone divorziate e risposate, vedendo
contrapporsi due schieramenti: da una parte chi vorrebbe una dottrina e una pastorale
più capaci di riaccogliere, con percorsi penitenziali e cammini di fede, queste persone;
dall’altra una parte più conservatrice, nel
senso buono del termine, che non vuole sminuire il Sacramento e che vede in coloro che
subiscono i divorzi, rimanendo fedeli nella
castità alla promessa pronunciata di fronte a
Dio, una categoria di persone che verrebbero umiliate nel loro sacrificio da qualunque
apertura in questo senso.
Lascio al Sinodo il compito di dirimere la questione e di mettere in campo tutte le ragioni
dell’una dell’altra fazione, ma mi domando se,
come troppo spesso accade, con puntualità
svizzera, anche questo non sia un caso, solamente verosimile, montato ad arte affinché
si possa stimolare il dibattito dalla parte sbagliata, cioè quella delle emozioni e non quella, che in un Sinodo mi sembra più consona,
della razionalità.
Tempi e modalità televisive, mediatiche,
moderne sembrano fare da sfondo a questa vicenda che senza alcun dubbio ritengo
strumentale al bisogno di muovere l’opinione
pubblica verso un pietismo emotivo nei confronti di chi ha bisogno di tante cose, tranne
che di pietismo.
Comunque ribadisco la mia volontà di non
cercare soluzioni alla questione dell’accoglienza dei peccatori, qualunque peccato essi
abbiano compiuto, all’interno della Chiesa.
Mi interessa di più analizzare come sia avvenuto che un bambino abbia avuto modo di distribuire l’Eucarestia ai genitori. Di sicuro non
sarebbe potuto accadere prima del Concilio
Vaticano II, che ha lasciato alle singole Conferenze Episcopali la possibilità di richiedere
la facoltà di introdurre l’uso di ricevere la Comunione sulla mano.
La Conferenza Episcopale Italiana, ha recepito questa possibilità con molto ritardo, nel
1989, accompagnandone con questo testo
dell’Istruzione sulla Comunione Eucaristica
l’introduzione liturgica: «Particolarmente appropriato appare oggi l’uso di accedere processionalmente all’altare ricevendo in piedi,
con un gesto di riverenza, le specie eucaristiche, professando con l’Amen la fede nella presenza sacramentale di Cristo. Accanto
all’uso della comunione sulla lingua, la Chiesa
permette di dare l’eucaristia deponendola
sulla mano dei fedeli protese entrambe verso il ministro, (la sinistra sopra la destra), ad
accogliere con riverenza e rispetto il corpo
di Cristo. I fedeli sono liberi di scegliere tra
i due modi ammessi. Chi la riceve sulle mani
la porterà alla bocca davanti al ministro o
appena spostandosi di lato per consentire al
fedele che segue di avanzare. Se la comunione viene data per intenzione, sarà consentita
soltanto nel primo modo».
In quegli anni ero un adolescente e accolsi la
novità senza neanche pensare alla rivoluzione che una decisione del genere comportava,
ma soprattutto non mi interrogai su quale reale motivazione poteva aver portato il Conci-
un malvagio demiurgo, il cattivo spermofilo
che avrebbe intrappolato i puri spiriti coi legami di sangue.
Per contro Cristo, il vero Cristo della fede,
dice di non essere «venuto ad abolire, ma
a portare a compimento». E san Tommaso
si porrà sulla scia delle parole divine dicendo che «la grazia non distrugge la natura,
ma anzi la perfeziona». La grazia eleva e al
tempo stesso risana la natura umana ferita
dopo la caduta. E in un certo senso rende
l’uomo ancora più umano, permettendo di
far coincidere l’ordine morale con quello
carnale (il che spiega, come fa osservare il
filosofo di origine ebraica, perché la famiglia naturale non sia così frequentemente
lio a decidere di abolire un divieto e ristabilire
un permesso tolto nel medioevo. Tante sono
le voci riguardo a questo, ma ancora sembra
non esserci chiarezza alcuna.
Solo da adulto, maturando nella Fede e nella
cultura, iniziando a pormi delle domande a
volte scomode, ho affrontato anche questo
tema. Non nego di essere stato anche sollecitato e fortemente turbato da alcune campagne di informazione, come il video “Jesus is
on the floor” che senza mezze misure mostra
come il Corpo di Cristo possa essere fatto oggetto di disprezzo durante il passaggio sulle
mani, non trascurando di ricordare i Canoni
sul Santissimo Sacramento dell’Eucarestia del
Concilio di Trento (pg.47).
È abbastanza naturale immaginarsi che durante l’ultima cena, gli apostoli non siano stati imboccati da Gesù, anche perché nelle sue
stesse parole «[...] prendete e mangiatene
[...]» quand’anche uno volesse credere che
Gesù ne avesse dato uno per uno, non si può
che leggere una sequenza di azioni: prendere
(con le mani) e mangiare. E sarebbe presuntuoso credere che essi, nonostante si potessero considerare Vescovi Ordinati, avessero
capito quello che la stessa Chiesa ha sancito
secoli dopo, tra il XIII ed il XVI; per questo,
se anche ci immaginiamo un convivio dove
lo sbriciolarsi del pane ed il colare del vino
non fosse sacrilegio, è stato doveroso successivamente accedere alla Comunione con
devozione e precauzione affinché non se ne
facesse scempio né profanazione.
Le indicazioni dell’epoca prevedevano che
ci si accostasse al Sacramento, oltre che in
grazia di Dio dopo aver ricevuto il perdono,
utilizzando accorgimenti che tenessero nel
dovuto rispetto il gesto che si stava compiendo, sia che si ricevesse sulla lingua, sia che si
ricevesse sulle mani.
È del medioevo, la decisione di impedire l’uso, tutt’altro che diffuso, della Comunione
sulle mani. Quando alcune correnti teologiche misero in discussione la modalità della
presenza reale di Cristo nel Santissimo Sacramento (arrivando alcuni a definirlo come un
segno vuoto che richiama solo lontanamente la realtà sostanziale del Signore presente
in mezzo a noi) la reazione della comunità
ecclesiale fu di sottolineare maggiormente
la venerazione e l’adorazione per le Specie
Eucaristiche fino ad introdurre il nuovo rito
di ricevere la Comunione direttamente sulla
bocca ed in ginocchio proprio per sottolinearne la grandezza della presenza reale del
Corpo di Cristo.
Osservando quanto ci circonda, vedo oggi le
stesse problematiche, la stessa disinvoltura nel contestare il Magistero, la dottrina e
la pastorale. Senza contare gli innumerevoli
tentativi di tradurre e forzare le parole del
Papa affinché sembrino avallare le più bislacche e disparate teorie. Se anche è vero
che il dogma della transustanziazione non sta
subendo attacchi diretti, è anche vero che
c’è oggi più che mai bisogno di ritrovare la
forza della preghiera e dell’adorazione Eucaristica. In quest’ottica, la confidenza che si
finisce per percepire con l’Ostia Consacrata
non giova alla diffusione del Sacro timore di
Dio, dono dello Spirito che ci ricorda quanto
siamo piccoli di fronte a Dio e al suo amore e
che il nostro bene sta nel metterci con umiltà
e con rispetto nelle Sue mani.
Per questo mi auspico sommessamente che
con il tempo si possa tornare, prima per iniziativa personale, magari anche solo fiduciosa, e poi per decisione comunitaria, consapevole e condivisa, ad escludere la Comunione
sulle mani, come già richiesto nelle grandi
assemblee e in tutte le messe presiedute dal
Santo Padre. n
promossa dalle società cosiddette «primitive», presso le quali non sempre il padre e la
madre sul piano biologico lo sono anche sul
piano legale).
Papa Francesco negli Usa ha detto che «la
famiglia ha la carta di cittadinanza divina». Sulla stessa scia, Hadjadj conclude il
suo vertiginoso libro ricordando che è per
via della fecondità nativa dell’uomo e della
donna, a immagine di Dio, che anche «la famiglia «naturale» è l’icona del Soprannaturale». Ancora una volta il Dio della vita torna
a reclamare il suo posto e a scacciare idoli
come quello, falsissimo, di un vangelo emo
e spermofobico. Che, non dimentichiamolo,
solo un Dio dell’anti-vita può predicare. n
#quotidiano contro i falsi miti di progresso
| Sabato 17 ottobre 2015
Chiesa,
mondo,
famiglia:
il
Sinodo
visto
dal
Giappone
Una delle più marchiane deformazioni impresse dai media all’assise sinodale riunita con Francesco e sotto il suo carisma petrino è quella che dà
l’impressione che tutto sia poco più di una riunione di condominio allargata all’Italia, al più all’Europa o al “nord” del mondo. Il sud, perlopiù, è visto
(erroneamente) come “l’antagonista” del fronte liberale. La Chiesa si snoda però anche lungo i meridiani, e dall’estremo Oriente ci giunge una voce
di don Antonello Iapicca
D
al Giappone il Sinodo appare come
il Cenacolo tra il Venerdì Santo e la
sera della domenica di Pasqua. In
attesa cioè che Cristo appaia risorto e vittorioso sulla paura. Maddalena, la Chiesa
perdonata e riscattata, i cristiani dai quali
il Signore ha cacciato i sette demoni dei
peccati capitali hanno già bussato alle porte del Cenacolo, annunciando che Cristo è
risorto e lo hanno visto proprio nelle loro
famiglie, nel matrimonio ricostruito mille
volte nel perdono. E gli apostoli ascoltano,
alcuni credendo e facendo propria la testimonianza di tanti “fedeli laici”, purtroppo
ancora poco considerata, come lo era duemila anni fa quella di donne come Maria
Maddalena.
Ma da qui, a molte migliaia di chilometri,
abbiamo la certezza che la Chiesa riunita
in assise per discernere il soffio dello Spirito Santo in questo tempo così difficile
per la famiglia saprà riconoscerlo dove sta
fortificando e irrobustendo la fede di tante
famiglie sparse in tutto il mondo. No, non
prevarranno le ideologie, lo sappiamo per
certo: state tranquilli, Cristo è risorto davvero, e, nonostante le derive mondane e i
tentativi del serpente di ingannare e annacquare la Verità che fa liberi i coniugi
di amare sino al martirio, il Signore si farà
presente nell’Aula Sinodale. Non è vero
che hanno già vinto! È vero piuttosto che
il demonio ha già perso.
Fatevelo dire da chi vive da anni in terra
pagana dove, come recita il Vangelo della Messa di oggi (ieri per chi legge), tra la
folla anonima che si accalca e calpesta a
vicenda, i discepoli sono come il “lievito” nella massa: non si vede, ma esercita
una forza capace di sprigionare vita e fermentare tutta la pasta: “Il regno dei cieli
si può paragonare al lievito che una donna ha preso e impastato con tre misure di
farina perché tutta la pasta si fermenti”
(Mt 13,33). Qui in Giappone, con molti
anni di anticipo rispetto a quasi la totalità
del mondo, proprio la massa perseguita la
Chiesa, in modo così sottile e pernicioso
da far dire ad alcuni, direttamente o indirettamente – proprio come sta accadendo al Sinodo… - che è impossibile vivere
da cristiani in questo Paese. Che è meglio
adattare il Vangelo alla cultura, che è un
modo elegante e trendy per non dire che
è meglio annacquarlo, anzi direttamente
cambiarlo, per adeguarlo alle esigenze del
demonio, oops, scusate, della cultura indigena e dei tempi attuali. Di conseguenza,
sempre secondo alcuni, è impossibile vivere il matrimonio secondo il Vangelo nel
Giappone del 2015, perché il demonio, da
queste parti, si veste con l’abito più che
corretto dell’onestà e della probità sul
lavoro, facendo affogare l’unicità delle
persone nelle sabbie mobili dell’apparente bene comune; l’uniformità soffoca la
diversità, preludio sinistro a una società
“gender” a tutto tondo.
La teoria gender, infatti, negando alla radice la irriducibilità della persona umana
nella sua differenziazione originaria tra
maschio e femmina, produce una serie infinita di generi solo apparentemente diversi.
Sono invece figli dell’uniformità satanica
che, pur indossando le sembianze ipocrite
delle varie sigle di genere che spuntano
come funghi, nascondono la tragica realtà
della solitudine
di chi ha
perso il
“tu” originale
nel quale
trascendere
il proprio
“io”. Per
questo,
ogni “genere” diverso da
quelli originali
di “maschio” e
“femmina” sono
una truffa, schiacciano l’uomo contro
il muro dell’autodeterminazione affettiva, obbligandolo a specchiarsi nel
proprio “io” come . Eliminate le
differenze tra “maschio” e “femmina” non resta altro che l’autoerotismo, degenerazione del già degenerato
erotismo sganciato dall’agape che lo sublima e riscatta. E quel che è più grave, è che
questo egoismo estremo di chi vive spesso
inconsciamente la solitudine più oscura,
raggiunge e ferisce anche altre persone,
i figli della masturbazione e dell’utero
in affitto. Perdonatemi la crudezza, ma è
così, inutile girarci intorno. Chi, tra i tanti
sponsor delle nozze e dell’adozione gay, ha
davvero riflettuto un solo minuto su come
si potrà sentire un bambino che diventerà
adolescente e poi adulto, quando scoprirà di essere il frutto di una masturbazione,
accolto poi da un utero preso in affitto per
nove mesi, e infine preso tra le braccia di
due papà. Chi, con un briciolo di ragione,
potrebbe definire tutto questo diversamente che un abominio mostruoso?
Lo stesso mostro che recide le radici e
l’identità fagocita oggi giovani, adulti e
anziani in Giappone. È molto più subdolo,
e per questo più pericoloso. Come fai, tu
cristiano, a combattere contro l’onestà e
il sacrificio per gli altri sul posto di lavoro? Capite come si tratta della stessa ideologia satanica del gender, solo impressa
sulla faccia opposta della stessa medaglia.
Da una parte il lavoro e il bene comune,
dall’altra il diritto all’amore e alla paternità
e maternità. Goccia dopo goccia, insieme
alla stessa ragionevolezza che ha legittimato il divorzio e l’aborto, i sofismi del demonio ci stanno prendendo alla gola, alla
stessa maniera dei terroristi islamici.
Ma proprio perché perseguitata, sciolta
cioè nel martirio come sale e lievito, la
Chiesa può illuminare il mondo intero. È il
paradosso cristiano nel quale siamo stati
coinvolti con la chiamata che ci ha raggiunti: come il nostro Signore ci aspetta un
torchio dove essere spremuti sino all’ultima goccia, perché il sangue di Cristo giunga ad ogni uomo; la missione della Chiesa,
infatti, è lasciarsi impastare nel mondo per
andare a scovare coloro che sono schiavi
dell’egoismo perché, bagnati dal sangue
di Cristo che li purifica, possano essere
presentati insieme ai cristiani a Dio come
un’oblazione pura.
I martiri ci indicano il cammino, come quelli di Nagasaki, che sulla Croce cantavano i
salmi con cui facevano risuonare, proprio
per i loro carnefici, le melodie che gli angeli cantano in Cielo per l’eternità. A questo
to, o la
diversità
esplode nella
vita di
tutti
i
giorni, se
gli sposi
hanno
fede
possono
entrarvi distendendo le
braccia sulla
Croce. Se non
ce l’hanno divorzieranno, e cercheranno come rifarsi una vita. Certo, le
coppie di risposati sono
una realtà diffusa, è una
ferità di questa generazione,
e occorre cercare ogni pecora
perduta, e riportarla con misericordia all’ovile, e superare i moralismi
che schiacciano e non salvano nessuno. canto tra le
fiamme
della
fornace ardente delle tentazioni e delle persecuzioni siamo chiamati
tutti, in Giappone come in ogni parte del
mondo. Il Sinodo qui, a parte alcune dichiarazioni da parte della Gerarchia, è soprattutto la candida schiera dei martiri che, in
diversi modi, da più di cinquecento anni
stanno imporporando questa terra. Famiglie che vivono in Cristo la loro vocazione
opponendosi con parresia alla “massa” che
le vorrebbe scolorire nel grigio dell’irrilevanza. E invece no, sostenuti dalla Grazia
dello Spirito Santo, un pugno di mariti e
padri, missionari e giapponesi del cammino
Neocatecumenale, al prezzo della carriera
e di un’emarginazione sicura, tornano a
casa in tempo per cenare con moglie e figli, dicendo no allo “straordinario” per tutti
diventato “ordinario”. E così educano i loro
figli a mettere Dio al primo posto, e a non
inchinarsi all’imperatore di turno. Il Sinodo
in Giappone è un manipolo di famiglie sante che, come già secoli fa, annunciano che
Gesù Cristo è risorto ed è il Kyrios, l’unico
Signore della loro vita; anche a prezzo della vita dei figli, che difendono eroicamente
la santità della Domenica rinunciando alle
attività della scuola che così li emargina e
li retrocede a studenti di serie B. Genitori
che, nonostante i costi enormi per la scuola e l’Università, continuano a fidarsi del Signore nella certezza della sua vittoria sulla
morte, e si aprono alla vita in obbedienza
alla “Humanae Vitae”, e le loro famiglie
numerose con quattro, sei e anche undici
figli, sono una luce che illumina le tenebre
dell’uniformità sociale.
La Chiesa, in Giappone come in ogni altra
parte del mondo, ci sta insegnando come
innalzare nel mondo l’inno di lode a Dio,
bestemmiato e dimenticato da questa
generazione. Unico pericolo, l’“ipocrisia”,
peggiore dei peccati stessi, perché, occultando la realtà e dissimulando la debolezza dell’uomo ferito dal peccato originale,
rende vana la Croce di Cristo, e frustra così
la missione della Chiesa. L’ipocrisia è il
“lievito” malvagio di una vita doppia che
infetta tutta la pasta: “Corruptio optimi
pessima”, ovvero “ciò che era ottimo, una
volta corrotto, è pessimo” (San Gregorio
Magno). Per questo Gesù si dirige “innanzitutto ai suoi amici” per metterli
in guardia dall’ipocrisia, che è
il vero pericolo
per la Chiesa; se
una comunità è
ipocrita diventa
come Il sale che
perde il sapore,
inutilizzabile e
buono solo ad
essere gettato
e
calpestato:
come quei farisei
diventati
sepolcri di cui
nessuno si avvede e per questo
calpestati; come
ciascuno di noi,
quando, perdendo la primogenitura profetica,
torniamo ad essere folla anonima che si calpesta a vicenda.
L’ipocrisia è
l’antitesi
della
profezia, della novità, della
Verità che illumina e libera. È l’hametz che
impedisce la pasqua, il fermento dell’uomo
vecchio che si corrompe e si chiude all’annuncio della liberazione.
Gli “amici” di Gesù sono invece chiamati
alla “parresia”, la libertà e il coraggio di
annunciare con franchezza e senza sconti
il Vangelo che trasforma una massa anonima in una comunità. Quello che gli apostoli predicavano “nel segreto” del catecumenato e delle assemblee delle comunità
sparse nel mondo, una volta fatto carne e
vita nei cristiani rinati da acqua e da Spirito, era “annunciato sui tetti”, sino al martirio. E così è stato durante tutta la storia
della Chiesa, sino ad oggi. Se frequentare
la Chiesa non è una vernice di ipocrisia
spalmata su una vita doppia, da una parte
il culto e dall’altra la condotta di ogni giorno, ma ha condotto alla fede adulta, essa
fermenterà ogni pensiero, parola e gesto,
e così vincerà il mondo.
Ma è necessaria una seria formazione, è
cioè fondamentale avere “stanze più interne”, come il Cenacolo dove gli apostoli si erano nascosti per timore dei Giudei
e hanno visto Gesù vivo passare oltre le
porte della morte e della paura, lo hanno
ascoltato mentre annunciava la Pace, hanno mangiato con Lui e hanno ricevuto lo
Spirito Santo vittorioso su ogni timidezza
che li ha spinti fuori sino agli estremi confini della terra, ad annunciare quello che
avevano visto e udito, anche a costo della
propria vita. Il Cenacolo è immagine delle piccole comunità dove i cristiani della
Chiesa primitiva si nascondevano nell’intimità con Cristo, come poi ogni casa, ogni
chiesa, nelle quali i discepoli dell’Agnello
si sono ritirati mentre infuriava la persecuzione, per “ascoltare” e “dirsi” le Parole della fede. Solo grazie al seno materno
della comunità, solo nel Cenacolo i cristiani possono ricevere lo Spirito Santo che li
conduce con letizia a lasciarsi oltraggiare
e uccidere per amore del Nome di Gesù.
Sulla croce infatti, nella persecuzione, nel
rifiuto, nel martirio, ogni segreto verrà alla
luce: se l’interno è stato purificato esso
splenderà nell’amore; se invece è pieno di
iniquità sarà svelata l’ipocrisia. I segreti dei
discepoli sono le cose nascoste ai sapienti
e agli intelligenti, i segreti del Regno e della vita celeste che, nella debolezza e nella
precarietà, essi vivono già qui sulla terra,
come primizie, lievito e profezia del destino a cui è chiamato ogni uomo. Per questo
non si può dare per scontata la fede, ed è
il più grande errore in cui molti incorrono
oggi nella Chiesa. E poi cercano, con criteri
mondani, di mettere delle pezze, quando
ormai i buoi sono scappati dalla stalla. Vi
risuona qualcosa delle troppe parole al
vento blaterate intorno e, a volte, anche
dentro l’aula sinodale?
Se un prete non è stato formato integralmente, se non ha ricevuto la spina dorsale della Croce, se il Vescovo e i formatori
non si sono preoccupati che abbia ha fede
autentica e provata, quando si presenta
la frustrazione, la solitudine, la sofferenza
che costituisce la missione, entrerà in crisi, e lascerà il ministero. Non c’entra nulla
il fatto di non essere sposato, perché ciò
vale anche per i matrimoni. C’entra la fede.
Quando arriva una difficoltà, un tradimen-
Ma la Chiesa è chiamata ad aprire le sue
porte perché le persone ricevano la fede in
una comunità concreta e per mezzo dell’iniziazione cristiana, perché solo la fede dà
la vita eterna. E chi ha vita eterna dentro
non teme le persecuzioni più feroci: sa che
ogni suo capello è contato, che la sua vita
è custodita nel cuore di Dio. Chi ha fede sa
che il vero inferno è il peccato, e la strada
per andarci è la disobbedienza che nasce
dalla superbia. Chi ha fede vive già le primizie del Cielo, è passato con Cristo dalla
morte alla vita, e può perdonare, può essere fedele, può lasciare il peccato; una moglie può tornare al marito che l’ha lasciata
anni prima, un marito può lottare contro
le tentazioni che ha in ufficio. Un cristiano
può amare. Può donarsi nel martirio, il lievito che salva il mondo. L’amore di Dio infatti è un talento che non
può restare «nascosto» nell’ipocrisia di
chi cerca in esso la propria gloria; l’amore invece è fecondo e
“svela” all’ “esterno”
le opere della fede che
colmano l’”interno”. Ė
come tra due sposi:
con pudore «nascondono»
nell’intimità
della «stanza più interna» effusioni e sguardi
in un linguaggio di parole e corpi che solo
loro comprendono. Ma
ognuno di quegli istanti
d’amore, pur restando
un “segreto” sigillato
tra i due, è destinato
a fissarsi scolpito nella
vita dei loro figli, che
in quei momenti ereditano dai genitori la
somiglianza. Così Gesù
rivela il suo mistero
“anzitutto” ai suoi discepoli,
scegliendoli
come primizie perché
“stiano con Lui” sperimentando il suo amore che li fa immagine
somigliante dello stesso Padre, per farlo poi
“conoscere” al mondo.
Nell’intimità della comunità essi si uniscono
allo Sposo, per poi offrire al mondo i frutti
della Grazia e della Parola che hanno accolto
e li ha ricreati. Per questo il Signore invita i suoi amici,
cominciando dai suoi apostoli riuniti al Sinodo, e poi ciascuno di noi, ad abbandonarsi a Lui e alla sua fedeltà, che è il significato ultimo del “timore” nella Scrittura.
Soprattutto, a non temere perché “anche
i capelli del nostro capo sono contati”,
e non è solo un modo di dire: è la realtà
dell’amore di Dio che conosce tutto di noi
e ci ama ed è fedele in ogni circostanza,
e ha potere sul peccato anche nelle situazioni più banali. Tutto di noi è “contato” perché nulla manchi all’appello della
sua misericordia che compie nell’amore la
nostra vita perché possiamo essere accolti nel Cielo. Ecco il punto! Vi è un destino
dopo la morte, e come si può parlare della
famiglia senza avere presente il Destino
che ci attende? La famiglia cristiana, infatti, è un segno profetico delle nozze eterne
tra Cristo e la sua Sposa, alle quali sono
chiamate anche le Nazioni pagane. Chi non
conosce il Signore potrà godere della sua
intimità nel Cielo se avrà dato un bicchiere d’acqua ai fratelli più piccoli di Gesù. Il
destino eterno degli uomini si gioca dunque sull’atteggiamento che avranno avuto
nei confronti degli apostoli, delle famiglie
cristiane. A patto che lo siano davvero! Ed
è ciò che stiamo sperimentando in Giappone. Quante persone sono toccate dalla testimonianza di famiglie numerose che per
questo vivono nella precarietà che diventa
un segno per tutti. Quanti stanno vedendo
il Signore pur senza saperlo nelle famiglie
in missione, straniere e per questo pellegrine e senza sicurezze in questo mondo;
o nelle famiglie giapponesi che, per vivere
cristianamente, si stanno accomodando
all’ultimo posto di questa società. Basta
uno sguardo di compassione su di loro per
entrare nel Cielo! Lo ha detto il Signore,
dicendo ai Padri Sinodali e a tutti noi che,
per compiere la sua missione di sacramento di salvezza per l’umanità, la Chiesa deve
ripartire dalla fede per formare famiglie
sante che la trasmettano ai loro figli e siano segno di cristo in questa generazione. n
><><><><><><><><><>
I
n quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Io vi dico: chiunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anche il Figlio dell’uomo lo riconoscerà davanti agli angeli di Dio; ma chi mi
rinnegherà davanti agli uomini, sarà rinnegato davanti agli angeli di Dio.
Chiunque parlerà contro il Figlio dell’uomo, gli sarà perdonato; ma a chi
bestemmierà lo Spirito Santo, non sarà perdonato.
Quando vi porteranno davanti alle sinagoghe, ai magistrati e alle autorità, non preoccupatevi di come o di che cosa discolparvi, o di che cosa
dire, perché lo Spirito Santo vi insegnerà in quel momento ciò che bisogna dire».
<><><><><><><><><>< Luca
12,8-12
Sabato 17 ottobre 2015 |
#quotidiano contro i falsi miti di progresso
#Pornodipendenza: ne parla un gesuita psicologo
È da pochi giorni in edicola il nuovo libro di Giovanni Cucci, gesuita, professore e psicologo: il tema è la diffusione sempre più capillare, incontrollabile
e devastante dell’atavica tendenza umana a depravare il desiderio sessuale. L’obiettivo è «arrivare a vivere la sessualità non come un impulso da scaricare
ma all’insegna della libertà e della donazione di sé». In mezzo c’è un mare di insidie, di silenzio e di solitudine. Questo libro può essere una zattera
«Io ho orecchio fine, ma faccio il sordo».
di Claudia Cirami
za. L’educazione e la prevenzione, in casi
di bambini e adolescenti, diventano allora
fondamentali e l’adulto è chiamato ad essere «educatore, non complice o compagno
del minore» (p. 87).
Il libro si rivela una lettura significativa per
capire quanto pornografia e chat erotiche
possano rovinare la vita di chi ne fa uso. Ci
concentriamo qui solo su due dei problemi
posti dalla dipendenza sessuale on line, lasciando gli altri alla scoperta del lettore. Il
primo motivo ha a che fare con l’esistenza
stessa del pornodipendente, che viene turbata, perché egli vive uno stato di malessere continuo. Se è vero che la pornografia
esisteva anche prima di internet, altrettanto vero risulta che, con il web, l’accesso
facilitato e l’anonimato garantiscono alle
persone la possibilità di trascorrere sempre
più ore davanti ad un pc a guardare video
ed immagini a sfondo sessuale e a scambiare materiale di tipo erotico. Il tempo
impiegato in questa attività non è privo di
conseguenze: senso di colpa, vergogna,
aggressività, spersonalizzazione arrivano a
creare un mix che rende la vita di un pornodipendente un inferno, più o meno invivibile, con serie ricadute sulla sua personalità,
sulle relazioni e, spesso, anche sul lavoro.
N
on sarebbe ora di intervenire? Leggendo il libro “Dipendenza sessuale
on line. La nuova forma di un’antica
schiavitù” (Editrice Ancora, 2015), già dopo
poche pagine di lettura si fa strada questa
domanda. Secondo il testo scritto dal padre
gesuita Giovanni Cucci, docente presso la
facoltà di Psicologia e Filosofia dell’Università Gregoriana di Roma, questo nuovo
tipo di dipendenza, a cui la pornografia on
line dà il via, ha conseguenze devastanti per l’animo umano. Di fronte a questa
schiavitù non c’è distinzione: ne è vittima
l’adolescente inesperto come l’adulto navigato. Consumare (sì, giusto usare un termine utilizzato per droga o alcol) pornografia
on line è un pericolo per tutti. «Se si fosse
trattato di un cibo – chiosa argutamente
padre Cucci – esso da tempo sarebbe già
stato ritirato dal commercio e i produttori
sarebbero stati arrestati» (p. 58).
Invece accade che, cifre alla mano – perché il pregio di questo libro è quello di
riportare dati e davanti a questi è difficile
voltare la testa – il mercato della pornografia on line è sempre più fiorente. Quando
si parla di materiale pornografico, si invoca
un presunto diritto alla libertà d’espressione. Una sciocchezza, se pensiamo agli strali
che le società civili mandano contro altri
fattori di rischio, come il fumo e l’obesità,
conducendo quasi campagne d’odio nei
confronti di fumatori e obesi, come fossero pericolosi criminali a piede libero. Come
mai poi – ci si chiede – le stesse società
sorvolano in modo disinvolto su altre dipendenze che possono avere effetti sociali
anche più gravi? Il silenzio sulla pornografia non è l’unico: turbano anche gli andamenti paradossali – un passo verso la cura,
uno verso l’incoraggiamento – nei riguardi
di gioco d’azzardo e legalizzazione delle
droghe leggere. Leggendo il libro di padre
Cucci, che si dedica solo alla dipendenza
sessuale on line, si comprende il perché:
«Emerge l’impasse delle odierne società
democratiche, che da un lato incoraggiano
ogni forma di comportamento e pensiero in
nome della libertà d’espressione, dall’altro
comminano punizioni sommarie (che alla
fine si rivelano simili alle celebri “grida”
manzoniane) non appena le conseguenze
nefaste divengono di dominio pubblico. In
ogni caso, ci si guarda bene dal mettere
in discussione i “serbatoi culturali” da cui
i perpetratori per lo più attingono, perché
ciò andrebbe a scapito di inveterati interessi economici e di potere» (p. 65). Un personaggio dello scrittore Joseph Roth direbbe:
Il secondo motivo ha a che fare con la percezione che il pornodipendente ha della donna. Costanza Miriano ci ripete da
tempo con un sorriso che uomini e donne
sono diversi. Questo libro lo conferma, sia
spiegandoci che sono principalmente i
maschi a cadere nella spirale della dipendenza sessuale on line, sia rivelandoci un
altro aspetto importante che a che fare con
questa differenza tra maschile e femminile. Scrive padre Cucci: «Le immagini dei siti
pornografici che mostrano donne bramose
di sesso sono finzioni ingannevoli» (p. 15).
Studi alla mano, infatti, emerge che sono
differenti sia le aspettative che i tempi e i
modi con i quali uomo e donna ricercano e
vivono l’atto sessuale. È vero che la teoria
del gender – leggiamo nel testo – sta progressivamente inducendo le persone verso
comportamenti più simili. È anche vero,
però, che certe differenze permangono ancora perché non sono culturali ma appartengono all’ordine della natura. Presentare
dunque donne che, in video e/o immagini,
si comportano come uomini, che ne diventano addirittura il corrispettivo femminile,
conduce a notevoli problemi nelle relazioni
reali. L’uomo finisce, infatti, per chiedere
alla donna di essere quella che non è e non
può diventare. Con pericolose ripercussioni
che possono sfociare anche nel crimine più
grave: l’omicidio.
Il libro è condotto con grande sapienza e
rigore, superando facili obiezioni. Pur avendo il suo humus cattolico, non assume, per
Si può uscire da questo tipo di dipendenza sessuale? Padre Cucci è possibilista. Il
percorso verso la guarigione richiede aiuto
specifico, ma, come in tutte le dipendenze,
anche per i pornodipendenti rinascere –
perché di rinascita si tratta – è possibile per
«arrivare a vivere la sessualità non come un
impulso da scaricare, ma all’insegna della libertà e della donazione di sé» (p.75). Dove
libertà qui non indica, come nella mentalità
corrente, un pericoloso sinonimo di libertinaggio. Significa, invece, saper dire di no a
impulsi deviati che arrivano a condizionare
pesantemente la vita. Essere davvero liberi,
dunque, non in “libertà condizionata” dai
sensi. n
#ESTRATTO |
CYBER-SEX ADDICTED: RICONOSCERLI
di GIOVANNI CUCCI
esempio, un tono confessionale, evitando
di incentrare il discorso sulla pornografia
come peccato per chi crede e mettendo
in rilievo quanto essa sia un grave danno
per tutti, credenti e non credenti. Perché –
come è noto – la società di oggi, sempre più
secolarizzata, si interessa poco ai problemi
della vita spirituale, non prestando attenzione ad essi nemmeno quando si notano
serie ricadute nella quotidianità. Inoltre,
il libro non cade nella trappola di presentare una logica causa-effetto. Riconosce,
infatti, che «le azioni e motivazioni umane,
fortunatamente, sono complesse, mai deterministiche e unidirezionali» (p. 59), ma
non può fare a meno di mostrare come alla
base di tanti comportamenti e atti violenti
ci sia la dipendenza da cybersex. Se infatti
non possiamo dire che ogni consumatore
di pornografia on line arriverà a compiere
azioni delittuose, è pure vero che quando
ci sono reati gravi commessi contro donne
o bambini, nella maggior parte dei casi, dietro c’è stato un consumo intenso di pornografia online.
Il libro del padre gesuita dedica poi particolare attenzione al problema “dipendenza
sessuale e minori”, tutto da approfondire
per le varie implicanze che assume. Emerge
subito la generale incapacità di tanti adulti
nel valutare il corretto rapporto tra minori
ed internet perché spesso proprio chi dovrebbe vigilare finisce per essere invischiato nelle stesse dinamiche di dipendenza sia
da internet che, in molti casi, dal cybersex.
Ma le sofferenze per i minori possono essere veramente intense se manca la vigilan-
1. La persona si mostra sempre più introversa, silenziosa, triste, ha smarrito
ogni tipo di interesse per ciò che prima la entusiasmava. Perde con facilità la pazienza, appare tesa, scontrosa. Ma soprattutto essa si mostra
restia a parlare di ciò che la preoccupa e la fa soffrire. È il segno di una
situazione sempre più difficile da gestire. Nello stesso tempo mostra una
ossessione crescente nei confronti della sessualità e di ciò che lo psichiatra Otto Kernberg chiama gli «oggetti parziali», di corpi maschili o femminili: l’oggetto parziale è un elemento caratteristico della perversione,
la tendenza a focalizzarsi sul dettaglio erotico piuttosto che sulla persona
nella sua globalità. Per Kernberg
questo interesse ossessivo è il
sintomo di uno sviluppo bloccato dal punto di vista psicologico,
in particolare dell’incapacità a
coinvolgersi affettivamente e di
incontrare l’altro nella sua dimensione di tenerezza e di cura,
in una relazione alla pari.
2. Un altro punto importante è il
tempo trascorso a navigare alla
ricerca di immagini. Cooper […],
già nel 1998 notava come la
quasi totalità del campione di
ricerca trascorresse in attività
legate al cybersex almeno 10 ore
alla settimana. Il tempo libero (e
non solo) finisce per essere progressivamente speso di fronte
allo schermo di un computer, al
punto da ritardare sempre più l’orario del sonno.
3. Vi è poi, come in ogni dipendenza, l’incapacità di fermarsi, di staccare, di
dire di no al pensiero di continuare a navigare. Gli studiosi parlano della dipendenza sessuale associandola al craving (desiderio irrefrenabile),
proprio anche della dipendenza da sostanze. Qui non si danno disturbi fisici per le crisi di astinenza (che è soprattutto di tipo psicologico), ma
piuttosto un forte malessere generale e una crescente irritabilità. Nelle
dipendenze in genere, e in quella sessuale in particolare, si mostra una
personalità rimasta allo stadio infantile, passiva, incapace di andare controcorrente di fronte alle spinte del piacere o della vergogna, per cui tutto
il proprio mondo ruota attorno a un bisogno considerato come necessario
e irrefrenabile.
(Dipendenza sessuale on line, pp. 13-14)
#BERLICCHE IN “MALEDETTI BEATI”
6: PURA LIBIDINE!
* www.berlicche.wordpress.com
di Antonio Benvenuti*
Avviso al lettore: i diavoli “credono in Dio”, e questo in particolare svolazza un po’ su un
po’ giù, ma complessivamente
diretto verso l’alto – verso
quel cielo di cui ha nostalgia.
A
ncora una volta, cari colleghi e discepoli nella difficile arte della tentazione, prenderemo in esame una
differente categoria di quei mortali chiamati
“beati”. Per quanto sia disgustoso affrontare certi argomenti è necessario conoscere
bene il proprio nemico. Non volete restare
digiuni, vero? E allora seguitemi con attenzione, perché imparare a conoscere e
neutralizzare questi odiosi esseri è fondamentale per continuare ad avere le ottime
performance produttive degli anni passati.
Non si porta alla perdizione il genere umano
se si ha paura di poche anime belle.
Quelle di cui parliamo oggi sono proprio
le più fastidiose creature che potrebbe capitarvi di incontrare. Per nostra fortuna si
tratta di un genere in estinzione: il nostro
obbiettivo come azienda globale è la loro
totale eliminazione entro una trentina di
anni umani. Stiamo parlando di quella specie elusiva nota come i “puri di cuore”.
La beatitudine promessa ai puri di cuore è
quella di vedere D-, ahem, il Nemico-chesta-lassù. È conseguenza dei fatti. È cosa risaputa che quanto più sei impuro, contorto
ed egoista tanto più distante vuoi restare
dal nostro avversario. Non per niente noi ci
rintaniamo qui sotto, quanto più lontano è
possibile da quella fastidiosa luce del bene.
In una certa maniera anche noi siamo puri:
ma all’estremo opposto. Nostro Padre Infernale esige dai suoi figli l’assoluta mancanza
di misericordia e amore. Se uno di noi avesse
un pensiero che sia meno che menzognero
e perverso dovrebbe immediatamente fare
un esame di coscienza per liberarsene.
Puro significa senza scorie; se non c’è
manco una sfumatura di perversione, il
bene scorre liberamente in quelle menti
troppo ottuse per capire la gioia di procurare sofferenza. Logico che stiano alla presenza del Nemico. Lui è tutto così. La sua
luce le attraversa senza difficoltà, senza
proiettare neanche un’ombra. Quelle ombre dove noi viviamo.
Si potrebbe dire: bene, se piace tanto,
che ci vadano. Il guaio è che un puro spicca in mezzo agli altri mortali come un faro
su una collina. La luce che diffonde permette alle persone di vedere meglio tutte
le nostre trappole e le nostre promesse
menzognere. Capite anche voi che questo
non deve essere permesso. Un beato di
questo tipo per noi è veleno. Coloro che
possiedono questa purezza devono essere perciò i bersagli privilegiati per tutti i
nostri attacchi. Devono essere eliminati
prima che si può.
La purezza è di due tipi: una arriva dal non
sapere, l’altra dal non volere. La prima modalità, tipica dei cuccioli umani, può essere
curata facilmente.
Il cuore dell’umano deve essere, appena
possibile, sporcato. Basta poco: anche una
singola venatura di sudiciume, se opportunamente coltivata, porterà nel tempo alla
completa contaminazione del nostro soggetto. I nostri sforzi, con gli anni, sono diventati sempre più precisi e meglio diretti,
tanto che ormai quasi più nessun mortale
oltrepassa la fase della crescita con il cuore intatto. Questo risultato eccezionale si è
ottenuto convincendo coloro che dovrebbero vegliare sulla purezza che essa è una
disgrazia.
Quanti falsi miti abbiamo dovuto creare!
Quante menzogne architettare! Ma, per
quanto sia stato piacevole, ormai possiamo dire che ulteriori sforzi non sono quasi
più necessari. Siamo arrivati al punto che
se un bambino non è venuto a conoscenza
dei fatti della vita, desta orrore e preoccupazione. E con “fatti della vita” noi demoni
intendiamo ogni modo di usare e abusare
dell’altro.
Fin dalla più tenera età il mortale è bombardato dalle immagini dei peggiori peccati
e vizi, che gli sono illustrati nei particolari
dai suoi educatori. Lo scopo dovrebbe essere levare loro l’ingenuità, ma ingenui sono
coloro che lo pensano davvero. Facciamo in
modo che conoscano il male perché lo possano scegliere.
Abbiamo tolto infatti dalla loro educazione
tutto ciò che avrebbe fatto capire le conseguenze delle loro decisioni. Senza criteri
di giudizio, se ogni cosa vale l’altra, se non
esiste una verità, perché non provare tutto?
Se la malvagità è superstizione e non una
scelta che sono chiamati a fare, sarà proprio
quella scelta la prima che compiranno. Sapete come me quanto sono marci i mortali.
Come farà, l’anima che conosce tutto ma
non sa il valore di niente, a resistere al luccichio con il quale non manchiamo mai di
cospargere le nostre tentazioni?
Se la scuola non basta, ci penseranno gli
amici; niente di più contagioso del peccato comunicato con malizia, magari ammiccando. Le tecnologie di comunicazione
sono strumenti imprescindibili per i nostri
traffici. Basta anche solo il contatto superficiale con un’immagine, una parola sporca per iniettare nel giovane ancora puro
il seme della sua caduta. Quella venatura
di sporcizia che contaminerà irrimediabilmente la sua limpidezza.
E per questo che i puri più complicati da
trattare non sono coloro che non sanno, ma
coloro che non vogliono sapere. Rifiutano
ogni nostro suggerimento deviato, capiscono la menzogna e non vogliono averci a che
fare. Sanno cos’è una bugia, ma non è roba
per loro. Per quanti vantaggi noi illustriamo,
per quanto seducente sia la prospettiva,
niente, la rifiutano. Potere. Denaro. Sesso.
Riescono a vedere cosa siano davvero, e li
mettono da parte. Il loro cuore non è tanto
puro, quanto purificato. La loro stessa presenza ci riempie di dolore, perché è forte attraverso loro quella luce velenosa del vero
che abbiamo rifiutato tanto tempo fa.
La nostra sola strada è allora farli rifiutare,
isolarli, additarli come dei poveri ebeti, degli illusi. Schernirli come ignoranti dei fatti
della vita, relitti dei tempi passati, inguaribili
ingenui, bambini mai cresciuti. E se coloro che li circondano dovessero, vedendoli,
provare a loro volta dolore per quello che
sono diventati, per la perdita della purezza
originaria, beh, allora dovete essere svelti
a consolarli con le gioie della mancanza di
quella purezza.
Che saranno pure vuote ed effimere, ma che
delizioso sapore di pura corruzione danno
all’anima! n
#quotidiano contro i falsi miti di progresso
| Sabato 17 ottobre 2015
Falcone e Borsellino alla
Festa del Cinema di Roma
Una storia toccante ed esemplare ha dato il via alla decima edizione
della Festa del Cinema di Roma, manifestazione che mette al centro i film,
gli incontri, le retrospettive e gli omaggi, ma si corconda di eventi, party e
coktail per tutta la sua durata (ovvero dal 16 al 24 ottobre
di Raffaele Dicembrino
L
e immagini di un’isola affascinante ma
anche luogo di detenzione raccontano
una parentesi importante della vita di
due uomini che hanno sacrificato la loro vita
per il prossimo. Falcone e Borsellino, l’uno
ateo, l’altro cattolico, l’uno di sinistra, l’altro
di destra ma uniti da un cuore grande, dal
credere nella giustizia immersi in un lavoro
enorme per preparare quel maxi processo
contro la mafia che costerà loro la vita. “Era
d’estate” è stata un’anteprima di successo
(alla presenza dei familiari dei due giudici
assassinati) per donare al pubblico un tratto,
un breve ma intenso periodo della storia di
due famiglie. Paolo Borsellino e la “sacralità”
della sua famiglia, unita, forte, costretta ad
accompagnare un padre ed un marito coraggioso (minacciati di attentato), dalla Sicilia
alla Sardegna, dalla Palermo in cui vivevano
catapultati in un isola sperduta, in un carcere, tra delle mura sconosciute. Giovanni
Falcone con Francesca Morvillo, uniti nel
lavoro, uniti come coppia, uniti dal legame
con i Borsellino.
Una storia toccante ed esemplare ha dato il
via alla decima edizione della Festa del Cinema di Roma, manifestazione che mette
al centro i film, gli incontri, le retrospettive
e gli omaggi ma si circonda di eventi, party
e cocktail, in programma per tutta la durata
della manifestazione che si svolgerà dal 16
al 24 ottobre.
binieri dell’Ucciardone, è grave: un attentato
contro i due giudici e i loro familiari partito
dai vertici di Cosa Nostra.
È un’estate calda, come non se ne vedevano
da tempo, e nella piccola foresteria di Cala
D’oliva, i due magistrati e le loro famiglie
vivono completamente isolati dalla piccola
comunità di civili dell’Asinara, controllati a
vista da una pilotina e dalle guardie penitenziare. Una condizione che non tutti riescono
a sopportare. Così accade che Lucia, la figlia
più grande dei Borsellino, cada lentamente
in uno stato di così grande malessere che
dovrà essere riportata a Palermo, dove Paolo, imponendosi ai suoi superiori, la accompagnerà. Così accade che Manfredi, scosso
anche da quello che è successo alla sorella
Lucia, si avventuri in una fuga senza meta
alla scoperta dell’isola, e verrà ritrovato in
mezzo ai detenuti che distribuisce nutella
e racconta barzellette. Passano i giorni, ci si
organizza, i rapporti a poco a poco fra tutti diventano più intimi, ed è come se quella
vacanza obbligata desse modo ad ognuno
di scoprire l’altro. Così trascorre un mese
fatto di notti insonni, di sorrisi, di scherzi,
di pensieri, una lunga, inaspettata tregua in
attesa di riprendere il lavoro, in attesa che
il ministero fornisca le carte per continuare
la stesura dell’ordinanza-sentenza del maxi
processo, il capolavoro di Falcone e Borsellino che affermerà una volta per tutte che
la mafia esiste e ha un nome “Cosa Nostra”.
Finalmente le carte arriveranno, Paolo e
Giovanni ricominceranno a lavorare giorno
e notte e una nuova, sconosciuta armonia
sembra nascere in quell’angolo di mondo,
un’inedita serenità familiare che potrebbe
durare anche per sempre. Invece poi succede che rientrato il pericolo, arriva l’ordine
di tornare di nuovo Palermo. E, nello stesso
modo improvviso in cui erano partiti, così
all’improvviso devono ripartire. Tornare verso Palermo.
Tutti verso l’inesorabile sorte che li colpirà
nel 1992.
La regista Fiorella Infascelli aveva già girato
sull’isola nel 2011 il documentario A pugni
chiusi, storia degli operai del petrolchimico di Porto Torres che, dopo la chiusura del
Vinils, si sono reclusi per un anno e mezzo
nel carcere dell’Asinara. È stato in occasione di quelle riprese che le è venuta l’idea di
scrivere una sceneggiatura con un contesto
storico preciso e mai raccontato ma che lasciasse spazio all’inconsapevolezza di cosa
fosse realmente accaduto durante quell’arco di tempo. L’unica fonte di notizie più o
meno certe è stata la testimonianza della
moglie di Paolo, Agnese Borsellino, con la
quale ha instaurato un rapporto di sincera
amicizia.
Dopo che il produttore Domenico Procacci ebbe visionato la sceneggiatura scritta
a quattro mani con Antonio Leotti, non ci
sono stati dubbi: il film si doveva fare! L’unica cosa che ha ostacolato la ricerca di fondi
maggiori per una miglior riuscita del progetto, è stato un avvenimento abbastanza
particolare: ogni attore che era stato designato come “prima scelta”, aveva accettato
la parte senza esitazioni. Sono occasioni da
non lasciarsi scappare nel mondo del cinema; così in un batter d’occhio Beppe Fiorello
diventa Borsellino, Claudia Potenza sua moglie Agnese, Massimo Popolizio prende le
fattezze di Falcone e Valeria Solarino quelle
di Francesca Morvillo che, all’epoca, non era
ancora sposata con Giovanni. Lucia, Manfredi e Fiammetta (i tre figli di Paolo) sono
interpretati rispettivamente da Elvira Cammarone, Giovanni D’Aleo e Sofia Langlet.
#SPETTACOLO |
CARMELITANE
SENZA FRONTIERE
R
ingraziamo, dal profondo del cuore, il giornalista di Avvenire, Gigio Rancilio,
che, in questi giorni, ha recuperato dal web una piccola delizia per gli occhi,
le orecchie e, soprattutto, l’anima. Rancilio si è accorto di un video (in ritardo
ma, come è noto, meglio tardi che mai) e l’ha proposto all’attenzione dei lettori.
Immagini e musica accompagnano l’esibizione di un coro virtuale di carmelitane –
composto da 93 suore dislocate in ogni parte del mondo: un’esperienza che ha del
miracoloso se si guarda al risultato – per i 500 anni della nascita di santa Teresa d’Avila, riformatrice dell’ordine, avvenuta il 28 Marzo del 1515. Basta digitare su Google
“il coro delle carmelitane” per godere di questa meraviglia, che è stata realizzata,
per la parte tecnica, da Scott Haines, e messa in musica da suor Claire Sokol.
La gioia della vocazione al Carmelo traspare dalle voci armoniose delle suorine e
dall’ incanto delle immagini che mostrano i frutti più belli di questa avventura spirituale, che continua nel tempo: i volti di Teresa Benedetta della Croce, di Teresa di
Lisieux, di Elisabetta della Trinità, delle sorelle martiri di Guadalajara… e di Teresa
d’Avila, naturalmente, la riformatrice che seppe dare nuova linfa, nuove prospettive,
nuova espansione alla vocazione carmelitana. Questi volti, di una compostezza mite
e incantevole – mentre scorrono le note di “Nada te turbe”, magnifica preghiera della santa – dicono, da soli, quello che difficilmente riesce ad esperire chi si trova al di
fuori del Carmelo. Dicono pace, ordine, equilibrio, candore. Dicono amore per Cristo
e la sua croce fino al martirio, a colpi di spillo o a colpi di spada. Dicono il bene che
permane al di là delle infedeltà umane e che, dal di fuori, si può solamente intuire,
come un rimando vago ad una bellezza che, nella conferma quotidiana di questa
specifica vocazione, trova la sua piena espressione.
Col senno di poi, per noi è quasi impossibile
concepire una riuscita del film migliore di
quella avuta. Il budget relativamente contenuto non ha sminuito il film anzi, lo ha reso
semplice come doveva essere.
Lo svolgimento della storia è tutto da seguire: nel film ci si sente vicini ai protagonisti e
la sensazione è quella di vivere le loro emozioni.
Molto della pellicola e dei suoi personaggi
resta nel cuore e negli occhi: su tutto una
frase di Paolo Borsellino che dice tutto sulla
società odierna: “Palermo ingoia tutto, ingoierà anche questa”.
Ci si trova a L’Asinara nel 1985. In una notte come tante sbarcano sull’isola Giovanni
Falcone e Paolo Borsellino con le proprie famiglie. Il trasferimento è improvviso, rapido,
non c’è nemmeno tempo di fare i bagagli,
d’altronde la minaccia, intercettata dai Cara-
Purtroppo è drammatico constatare quanto
il mondo intero somigliasse alla sua Palermo. n
#PROGRAMMITV
#PROGRAMMITV
06:00 Cinematografo (Gigi Marzullo)
06:10 Il caffè di Raiuno
06:30 TG1
06:43 CCISS Viaggiare informati
06:45 Unomattina
06:55 Parlamento Telegiornale
07:00 TG1
07:10 Unomattina
07:30 TG1 L.I.S.
07:33 Unomattina
08:00 TG1
08:25 Che tempo fa
08:27 Unomattina
09:00 TG1
09:03 Dreams Road 2012 Europa
09:30 TG1 FLASH
09:35 Unomattina
10:25 Linea verde orizzonti estate
11:35 Food Markets
12:30 Road Italy
13:30 TELEGIORNALE
14:00 Easy Driver
14:30 Linea blu
16:05 Legàmi
17:00 TG1
17:15 A sua immagine
17:45 Passaggio a Nord-Ovest
18:50 L’Eredità
20:00 TELEGIORNALE
20:30 Affari tuoi
21:20 Una voce per Padre Pio XVI edizione
00:05 Italiani - Con Paolo Mieli e Giovanni
Spadolini
00:55 TG1 NOTTE
01:05 Che tempo che fa
02:35 Una giornata particolare
03:40 Mekong
05:00 DA DA DA
06:00 Parlamento punto Europa
06:00 Settimo cielo
06:30 Nautilus - l’Italia non è un Paese per orsi
07:00 Come essere un gentleman
07:45 Due uomini e mezzo
08:00 Lassie
08:30 I signori del vino
09:00 Sulla via di Damasco
09:30 Rai parlamento
09:58 Meteo 2
10:00 Dream hotel: Bali
11:25 Il nostro amico Charly
12:00 Mezzogiorno in famiglia
13:00 TG2 GIORNO
13:25 Sereno variabile estate
14:00 Detto fatto sabato
15:45 Squadra speciale Colonia
17:10 Sereno variabile
17:45 TG2 flash L.I.S.
18:05 Gran premio d’Austria di Formula 1 Qualifiche
20:30 TG2 20:30
21:05 Rex 8
21:50 Elementary
22:40 TG2
22:55 RAI Player
23:00 Sabato sprint
23:50 TG2 dossier
02:20 Bulldozer
04:15 Videocomic Passerella di comici in tv
04:55 Once (Irlanda 2006)
06:00 Fuori orario. Cose (mai) viste
07:05 Tablet - Italia in 4D
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Sabato 17 ottobre 2015 |
MOBILITAZIONE NAZIONALE |
|
#quotidiano contro i falsi miti di progresso
SPEDITECI LE FIRME A PIAZZA DEL GESÙ 47, 00186 ROMA
I #FIGLI NON SI PAGANO
Per una #moratoria Onu sull’utero in affitto
AL SEGRETARIO GENERALE DELLE NAZIONI UNITE
BAN KI MOON
E per conoscenza
AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI ITALIANO
MATTEO RENZI
AL PRESIDENTE DELL’EUROPARLAMENTO
MARTIN SCHULZ
Roma, 28 gennaio 2015
Nel nome di Sushma Pandey – ragazza 17enne indiana morta a causa dei trattamenti ormonali di stimolazione ovarica propedeutici alla fornitura di ovuli per una procedura di
utero in affitto acquistata da due ricchi occidentali – i sottoscrittori di questo documento chiedono ai potenti della terra e alle Nazioni Unite di indire una moratoria sull’applicazione delle leggi che consentono di accedere a forme di genitorialità surrogata.
Nella neolingua di chi pensa che esista un diritto ad avere un figlio – ignorando l’unico vero diritto che è quello di un figlio a non essere considerato un prodotto da acquistare tramite contratto di compravendita (oltre a quello di avere un papà e una mamma che non l’hanno ridotto a cosa) – alcuni governi hanno consentito al varo di normative
che prevedono la “gestazione di sostegno”, la “gestazione per altri” o, appunto, la “maternità surrogata”. Sono tutte espressioni che servono a mascherare la realtà dei fatti.
Si chiama comunemente utero in affitto, perché questo è: un passaggio di denaro tra un acquirente o locatario e un venditore o locatore, la cui finalità è la consegna alla fine
del processo di un “prodotto” che è però un essere umano. Un bambino.
I firmatari di questo documento affermano che le persone non sono cose, gli esseri umani non possono mai essere considerati oggetti, meno che mai i bambini. I figli non si
pagano. Il desiderio di avere un figlio è un desiderio naturale che non può travalicare i limiti della natura stessa e mai e poi mai legittima l’attivazione di meccanismi di compravendita che reificano la persona umana.
Le procedure che portano alla nascita di questi bambini-oggetto sono terrificanti: dalla ricerca di “donatrici di ovulo” (eufemismo in neolingua: non donano alcunché, ci sono
dei ricchi borghesi che se li comprano, quegli ovuli, e costringono una donna in stato di bisogno ad accettare pochi denari per venderli sotto la pressione di agenzie specializzate – le quali sono i veri lucratori di queste procedure); alla stimolazione ovarica via bombardamento ormonale, la quale porta danni pesantissimi alle donne che vi si sottopongono (fino alla morte, come nel caso di Sushma Pandey); all’operazione di agoaspirazione in sedazione profonda che viene attuata per “catturare” l’ovulo bombardato.
Dopo la fecondazione l’ovulo viene inserito nell’utero affittato di un’altra donna, anche essa pagata dall’agenzia intermediaria, in modo che il bambino che nascerà non abbia
alcun riferimento a una figura materna essendo questa stata parcellizzata, nel frattempo, spezzata in due. E sia la “donatrice di ovulo” sia l’affittatrice di utero firmano comunque contratti dove per pochi spiccioli rinunciano a qualsiasi contatto diretto con il nascituro.
Il momento del parto è poi dolorosissimo, per donna e neonato. Il bambino, infatti, appena venuto al mondo viene adagiato solo per qualche secondo sul petto della madre
partoriente per tranquillizzarlo, e viene poi brutalmente strappato non appena cerca di avvicinarsi al suo seno, per essere consegnato nel pianto disperato alla coppia di ricchi
che quel bambino s’è comprato.
Questa è una pratica barbara e noi sottoscrittori chiediamo ai governi di India, Cina, Bangladesh, Thailandia, Russia, Ucraina, Grecia, Spagna, Regno Unito, Canada e degli otto
Stati degli Stati Uniti dove è consentita di aderire ad una moratoria immediata sull’applicazione delle proprie normative sull’utero in affitto e di impedire che a tale pratica
possano accedere coppie di stranieri.
Le conseguenze terrificanti di queste pratiche, con bambini rifiutati perché nati affetti da qualche malattia, secondo la logica dell’eliminazione del “prodotto fallato” conseguente alla trasformazione delle persone in cose, ha già interrogato molti governi. In Cina si sta procedendo con molta energia per impedire alle agenzie intermediarie, vere
responsabili dell’ampliamento di quello che viene considerato da loro un mero business, di operare; in India è stato vietato l’accesso alla maternità surrogata sia agli omosessuali sia ai single; in Thailandia si va verso l’abolizione totale della possibilità di ricorso a questa pratica, dopo l’incredibile vicenda del piccolo Gammy rifiutato perché affetto
da sindrome di Down dalla coppia di australiani che avevano affittato l’utero di una giovanissima thailandese e si sono poi portati in Australia solo la sorella gemella nata sana.
Solo in Europa, incredibilmente, la Corte di Strasburgo ha sanzionato l’Italia perché non riconosce questa supposta “genitorialità surrogata”, affermando di conseguenza la
legittimità delle pratiche di utero in affitto. Ma è un’Europa che dimentica le sue radici quella che acconsente allo sfruttamento del corpo della donna, alla mercificazione del
corpo della donna, alla trasformazione della persona in cosa, del figlio in oggetto di una compravendita.
Noi siamo italiani orgogliosi del nostro Paese che considera inaccettabile questa violazione plateale dei diritti elementari della donna e del bambino. Per questo diciamo e
chiediamo a tutti i cittadini del mondo di dire con noi – in tutte le lingue per arrivare attraverso i governi nazionali e le associazioni interessate fino all’assemblea generale
delle Nazioni Unite – che i figli non si pagano e gli uteri non si affittano.
I firmatari di questo documento chiedono, signor Segretario generale dell’Onu, di convocare l’assemblea del Palazzo di Vetro per mettere in votazione la proposta di moratoria
delle pratiche di utero in affitto e di genitorialità surrogata in tutto il mondo, nel rispetto particolare che si deve ai soggetti più deboli che più fatica fanno a far valere i propri
diritti umani e civili come le donne in condizioni di bisogno e i bambini appena nati.
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