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Tutte le regole per le antenne televisive dopo la riforma del 2012
da Quotidiano del Condominio – Il Sole 24 Ore - di Giuseppe Marando
Continua la fioritura delle parabole televisive su balconi e pareti degli edifici, pur nell'esistenza di
un impianto centralizzato; in città, di solito, per usufruire dei programmi tv a pagamento, mentre in
altre zone (specie montane) per collegarsi al satellite (Tv-Sat) data l'insufficienza del digitale
terrestre. I problemi conseguenti si diramano in una triplice direzione: salvaguardia del decoro
architettonico dell'edificio e dell'aspetto paesaggistico, compatibilità con i regolamenti comunali,
decisioni delle assemblee sugli assetti condominiali.
Antenna singola
Il diritto all'installazione di impianti radiotelevisivi è ora per la prima volta esplicitamente regolato,
nella normativa condominiale, dal 1122-bis c.c. introdotto dalla riforma del 2012. In passato, si
erano avute a varie riprese (dalla legge n. 554/1940 a tutti i provvedimenti successivi, poi assorbiti
nel D.Lgs. 259/2003) disposizioni di carattere generale che confermavano questa facoltà
riconosciuta dalla giurisprudenza come diritto soggettivo perfetto di natura personale (Cass.
12295/03, ma già Cass. S.U. 3728/76) al quale vien data la base costituzionale (art. 21) del diritto
all'informazione (Cass. 7418/83). Il termine “radiodiffusione”, usato dalle precedenti leggi, si
riteneva comprensivo anche della diffusione televisiva (v. già Cass. 2862 /94 e poi D.M. delle
comunicazioni 11/11/05). Tale diritto compete, oltre che al condomino, anche al conduttore (Cass.
1176/86 e D.Lgs. 259/03 che parla all'art. 91 di “richieste di utenza degli inquilini o dei condomini”).
Le antenne si possono collocare su qualsiasi parte dell'immobile, anche altrui, purchè rispettino le
seguenti condizioni poste dal complesso delle varie norme interessate: a) recare il minor
pregiudizio alle parti comuni ed alle proprietà private; b) preservare in ogni caso il decoro
architettonico, la stabilità e sicurezza dell'edificio; c) non pregiudicare il libero uso della proprietà
altrui secondo la sua destinazione; d) non impedire agli altri condomini di fare parimenti uso del
bene comune secondo il loro diritto; e) non alterare la destinazione di tale bene. La possibilità di un
“minimo pregiudizio” costituisce una deroga al principio generale di evitare ogni danno alle parti
comuni (v. ad es. 1122) ed ai beni privati (209 D.Lgs. 259/03). L'installazione non richiede alcuna
autorizzazione e può avvenire sulle parti private altrui solo nell'impossibilità di utilizzare spazi
propri o di avvalersi di un'antenna comune (Cass. 9427/09 e Cass. 9393/05). I proprietari delle
varie unità immobiliari devono consentire l'accesso per la progettazione e l'esecuzione delle opere;
gli stessi ed il condominio non possono opporsi nemmeno al passaggio di condutture, fili o
qualsiasi altro impianto (con i limiti di salvaguardia sopra indicati).
Il criterio generale di preventiva informazione dell'amministratore per ogni opera da eseguire
nell'edificio (su beni propri o condominiali) si applica, per l'antenna, solo se occorre procedere a
modifiche delle parti comuni. In tal caso scatta una particolare procedura che vede l'assemblea
legittimata (con la maggioranza di 2/3 del valore edificio) ad imporre modalità “alternative” di
esecuzione, cautele a salvaguardia della stabilità, sicurezza o decoro del fabbricato, nonché
garanzie per eventuali danni. Naturalmente, in caso di disaccordo si arriverà all'intervento del
giudice e dei periti. Si può, comunque, ritenere che l'amministratore debba procedere alla
convocazione dell'assemblea straordinaria (e senza indugio) solo quando ciò si dimostri
necessario od anche solo opportuno, secondo la comune esperienza, per il tipo e l'entità delle
modifiche evidenziate dal contenuto specifico e dalle modalità di esecuzione che l'utente è
obbligato ad indicare. L'amministratore può avvalersi del parere del consiglio di condominio, ma in
definitiva la responsabilità per ogni valutazione rimane a suo carico.
L'antenna individuale, in quanto diritto autonomo ed insopprimibile, è indipendente dall'esistenza
originaria o sopravvenuta della centrale condominiale, che viene prevista da altra norma (1120
c.c.) senza che fra le due situazioni esista gerarchia di sorta; ed ancor prima degli accennati
sviluppi legislativi i giudici avevano sempre riconosciuto l'autonomia del diritto del singolo,
dichiarando nulla la delibera che vieta l'antenna per il solo fatto dell'esistenza di un impianto
centrale (Cass. 7825/90; Cass. 5399/85). Di conseguenza l'assemblea non può impedire
l'installazione, né imporre la rimozione dell'antenna; ed a sua volta l'amministratore non potrebbe
eseguire una delibera palesemente nulla (a pena anche di eventuali reati, come ad es.
danneggiamento).
Le stesse caratteristiche del diritto, che ne escludono la natura “affievolita” (cioè di interesse
legittimo), impediscono che le normative dei Comuni possano pregiudicarlo. In linea di massima gli
enti territoriali possono incidere su luogo e modalità di posizionamento (ubi e quomodo) ma non
sull'installazione, poiché il diritto è garantito da leggi dello Stato; mentre invece possono
pretendere che le parabole siano accorpate. Gli aspetti che vedono il loro intervento sono
essenzialmente due. Il primo riguarda la tutela del paesaggio, che ha un fondamento costituzionale
nell'art. 9 Cost. La l. 249/1997 (c.d.”legge Maccanico”) aveva imposto ai Comuni di emanare un
regolamento sull'installazione degli apparati di ricezione delle trasmissioni radiotelevisive satellitari
nei centri storici al fine di garantire la salvaguardia degli aspetti paesaggistici. Il perseguimento di
un tale interesse pubblico e l'ineludibile tutela di un diritto individuale comporta la necessità di un
bilanciamento fra le due situazioni protette, che si richiamano a norme di rango primario.
L'altro campo di intervento è quello del decoro architettonico, che la nuova disciplina impone di
“preservare in ogni caso” (1122-bis). La perentorietà della disposizione porta a ritenere che la linea
di tolleranza finora tendenzialmente adottata deve subire un'inversione di rotta perché, dopo la
riforma, la tutela di questo bene viene a prevalere sul diritto all'antenna, trasformato in “anarchia”
da un inarrestabile fenomeno di massa (relativo a parabole, climatizzatori, telefonia, ecc.) che ha
modificato in qualche misura il comune senso dell'estetica e del decoro. In genere i regolamenti
edilizi locali consentono solo antenne e parabole centralizzate sul tetto ovvero, in caso di
impossibilità tecnica, antenne singole ridotte al minimo poste sempre sulla copertura e non sulla
facciata.
Il problema è che non esiste una definizione legislativa del decoro architettonico e la sua
valutazione deve essere perciò effettuata caso per caso, con un'indagine di fatto riservata al
giudice di merito (già Cass. 428/84 e da ultimo Cass. 20985/14). Secondo gli indirizzi
giurisprudenziali, è vietata quell'opera che alteri le linee architettoniche del fabbricato o che si
rifletta negativamente sull'aspetto armonico di esso. Bisogna aver riguardo sia all'intero edificio che
a singole parti o elementi dello stesso dotati di sostanziale autonomia, ed alla consequenziale
diminuzione del valore di ciascuna delle unità immobiliari che lo compongono (Cass. 53/14; Cass.
1286/10, ecc.). Per una parte della giurisprudenza è necessario tener conto dello stato dell'edificio
al momento in cui l'innovazione viene posta in essere e dunque la lesività estetica non è rilevante
se il decoro architettonico era già stato gravemente compromesso da altre precedenti opere
sull'immobile di cui non sia stato preteso il ripristino (Cass. 1286/10; Cass. 26055/14); ma un tale
indirizzo non è univoco.
Nelle due situazioni finora delineate il giudice, nel caso di evidente pregiudizio all'aspetto
paesaggistico o al decoro architettonico, non si limiterà semplicemente a disporre la semplice
eliminazione della parabola (e con essa del diritto all'informazione), ma adotterà una soluzione che
consente la salvaguardia di entrambi i valori in gioco. Se non è possibile una diversa collocazione
delle parabole non rimane che la formazione di gruppi di utenze ovvero, in ultima analisi, il
collegamento con un impianto centralizzato (sempre che esista per quel tipo di servizio, cosa da
escludere in genere per la ricezione satellitare, a maggior ragione se a pagamento). Abbiamo visto
che quest'ultima via è stata seguita dalla giurisprudenza in un altro caso di diritti configgenti,
quando si trattava di invadere la proprietà altrui.
Rimangono salve, in ogni caso, eventuali clausole “contrattuali” del regolamento condominiale, che
possono condurre anche al sacrificio di un diritto individuale; mentre le altre, di natura
regolamentare, possono intervenire solo sulle modalità di installazione.
Antenna condominiale
Si deve intendere per impianto centralizzato quello idoneo a servire potenzialmente la generalità
dei condomini ed installato sia per volontà del costruttore fin dall'origine, sia successivamente per
effetto di delibera condominiale. L'orientamento del legislatore è di favorire la realizzazione di
queste strutture, con particolare riguardo agli impianti satellitari. La norma già citata della l.
249/1997 (dove l'espressione “antenne collettive” va intesa come “antenne condominiali”) ne
stabilisce l'obbligatorietà per tutti gli immobili di nuova costruzione o sottoposti a ristrutturazione
generale; e la l. 66/2001 qualifica le opere di installazione di nuovi impianti satellitari come
“innovazioni necessarie”. Il D.M. per lo sviluppo economico 22/1/2013, sulle regole tecniche per gli
impianti (terrestri e satellitari) centralizzati d'antenna, indica come scopo la “riduzione ed
eliminazione della molteplicità di antenne individuali, per motivi sia estetici sia funzionali”, ma fa
salvo il già richiamato disposto del 209 D.Lgs. 259/2003 che garantisce il diritto all'antenna singola
(ora, come s'è detto, ribadito e meglio disciplinato dal nuovo 1122-bis c.c.).
Posto, dunque, che la convivenza fra parabole individuali ed impianti centralizzati è perfettamente
legittima, sia pure nel rispetto delle condizioni in precedenza indicate, il discorso si sposta sulla
categoria di soggetti che devono sostenere l'onere dell'opera condominiale.
Nel caso di impianto (terrestre o satellitare) sorto insieme con l'edificio siamo in presenza di una
“parte comune” (prevista ora dalla riforma al n. 3 del 1117) che obbliga tutti i condomini alle spese
di gestione e conservazione (da ripartire in egual misura e non in base ai millesimi, perché l'uso
della tv prescinde dalle dimensioni dell'appartamento: Cass. 2916/69). È difficile, in questa
situazione, che possano sorgere antenne singole, attesa la mancanza di un interesse dell'utente
che gode già dello stesso servizio offerto dal condominio e posto anche a suo carico; a meno che
non si tratti di servizi aggiuntivi, satellitari (Tv-Sat, pay-tv) o terrestri.
Differente si profila la situazione quando l'impianto centralizzato viene successivamente deciso
dall'assemblea condominiale con le maggioranze del 1120 c.c. La l. 66/2001 stabilisce che “le
opere di installazione di nuovi impianti sono innovazioni necessarie” (art. 2-bis). Per alcuni autori
non è dato sapere cosa in realtà il legislatore abbia voluto intendere con tale espressione. Si
potrebbe pensare che lo scopo era quello di sottolineare (in modo poco felice) l'importanza
dell'evoluzione tecnologica ed una preferenza verso questi nuovi strumenti per le maggiori
opportunità che possono offrire in collegamento con il “mondo”; o più probabilmente che la
suddetta qualifica serviva a giustificare l'originario ridotto quorum di un terzo dei condomini e delle
quote millesimali (portato ora dalla riforma a 500 millesimi con la maggioranza degli intervenuti)
che consentiva una più facile realizzazione. Altri, invece, ritengono che il carattere di “innovazione
necessaria”, escludendo per definizione la natura voluttuaria dell'opera, negherebbe ai condomini
dissenzienti la possibilità di invocare la norma (1121) sulle innovazioni “voluttuarie” per essere
esonerati dal contributo.
La tesi non sembra convincente. Intanto la citata legge si riferisce solo agli impianti satellitari, per
cui resterebbero incomprensibilmente esclusi dal carattere di “necessarietà” gli impianti
tradizionali, che pure assolverebbero al compito di ridurre la selva delle antenne singole. In
secondo luogo, il 1121 prevede anche l'esonero per l'innovazione “gravosa” e tale potrebbe
risultare il nuovo impianto per chi ha già una sua fonte del servizio. Ma altri argomenti si possono
aggiungere, ben più sostanziali.
In realtà, il problema va considerato sotto una diversa angolatura alla luce di talune indicazioni che
provengono dal sistema: divisibilità del servizio (utilizzazione separata: 1121), possibilità di uso
diverso del medesimo (1123), necessarietà di alcune parti comuni per l'esistenza dell'edificio
(1117). Il servizio non si annovera tecnicamente tra i beni (cose ed impianti) e può formare oggetto
solo di godimento in comune (Cass. 9096/2000). Ma anche per i servizi bisogna distinguere fra
quelli necessari per la vita della comunità o destinati in permanenza per il titolo all'uso e godimento
collettivo (ad es. servizi idrici, fognari, di illuminazione, fornitura del gas, portierato) e tutti gli altri.
La Suprema Corte aveva ritenuto ammissibile la rinuncia agli impianti superflui o illegali, con il
conseguente esonero della spesa per la loro conservazione (Cass. 4652/91). Nel caso in esame,
più che di rinuncia, si tratterebbe di non partecipare all'uso di un servizio perché dello stesso già si
gode in base ad un proprio impianto individuale che si ha diritto di mantenere; e la “misura diversa”
(prevista dal 1123) in cui un condomino può servirsi del bene comprende anche il “livello zero”.
Non può l'assemblea violare la libertà della persona ed imporre un onere economico (contributo
per l'impianto ed acquisto del decoder) giustificandolo con l'offerta di programmi diversi ed ulteriori,
per il quali il condomino non ha interesse. A maggior ragione, poi, la decisione condominiale non è
vincolante in quei casi (in verità piuttosto rari) di soggetti che non sono interessati alla tv e
dovrebbero acquistare l'apparecchio, l'eventuale decoder e provvedere al pagamento del canone
Rai. La legge parla di “servizi nell'interesse comune” (1123, 1130 n. 2) e non è tale il servizio
televisivo centralizzato quando non risponde ai bisogni di alcuni condomini. Si aggiunga, infine,
che esistono poi i programmi della tv a pagamento, per i quali un impianto condominiale vincolante
richiederebbe l'unanimità di tutti i condomini. Si può, allora, concludere che l'antenna centralizzata
obbliga alla spesa solo coloro che l'hanno accettata; e dunque la coesistenza di impianti singoli
(quasi sempre parabole) e condominiali è, purtroppo, destinata a rimanere, con i limiti per
l'antenna individuale (comunque non indifferenti) che sono stati descritti in precedenza.
L'opera in esame fa parte delle innovazioni “sociali o agevolate” di cui al secondo comma del 1120
c.c. e va approvata con i 500 millesimi, ma senza spiegare effetti obbligatori, come s'è appena
detto, verso i condomini che godono già del servizio ed hanno diritto di mantenere la loro antenna.
A questo punto, non si vede come possa attribuirsi alla norma una portata generale, poiché non
siamo in presenza di una “innovazione” in senso tecnico se in sostanza si ricade nella installazione
di un'antenna “collettiva” appartenente ad un gruppo di condomini (come spiegato nel paragrafo
che segue) che non richiede alcuna maggioranza, tanto meno qualificata, ma solo il consenso
degli aderenti. L'efficacia della disposizione si riduce all'ipotesi di un coinvolgimento di tutti i
condomini od anche a quella di un bene “potenzialmente condominiale” che, pur rimanendo in uso
ed a carico dei soli consenzienti, è predisposto tecnicamente per la possibile utilizzazione
successiva degli altri condomini (si faccia l'ipotesi di obbligatorio smantellamento, iussu iudicis, di
alcune parabole) secondo la logica dell'ultimo comma del 1121. Ma pure questa ridotta eventualità
di configurare una “innovazione” con il suo quorum maggiorato viene a cadere quando l'opera non
altera la destinazione del bene comune né limita il diritto d'uso degli altri condomini. Almeno
questo è il senso da attribuire allo strano inciso introdotto nel 1120 (al n. 3 del secondo comma)
“ad esclusione degli impianti che non comportano modifiche in grado di alterare la destinazione
della cosa comune e di impedire agli altri condomini di farne uso secondo il loro diritto”: la
mancanza delle indicate modifiche elimina la qualifica di “innovazione” e ripristina la maggioranza
ordinaria (di 1° o di 2° convocazione).
Nel caso di rinnovo dell'impianto per intervenuta obsolescenza, l'opera costituisce una miglioria,
non un'innovazione; comunque delibera vincola sempre i soli condomini interessati.
Superfluo aggiungere che una chiarificazione legislativa sarebbe quanto mai necessaria su questi
come su altri punti della riforma.
Antenna collettiva
Più condomini possono consociarsi per installare una parabola multiuso, per godere di servizi
aggiuntivi (Tv-Sat, “pay-tv”) rispetto a quelli del digitale terrestre di cui è dotato il condominio
oppure per supplire (specie nelle zone montane) all'insufficiente ricezione del digitale stesso, od
infine (come sarebbe auspicabile) per disboscare la massa di antenne singole a tutto vantaggio
dell'estetica dell'edificio. Un tale l'impianto può chiamarsi “collettivo”, per distinguerlo da quello
condominiale che ha la sua fonte in una delibera assembleare rivolta ad una generalità di
condomini. Richiamando quanto detto nel primo paragrafo, i regolamenti comunali potrebbero
imporre l'accorpamento delle parabole in una o più (ma sempre limitate) antenne “collettive” per
salvaguardare il decoro dell'edificio. Se, ad es., in un edificio vi sono più scale, è ragionevole che
si installi una parabola per ogni scala a beneficio dei condomini che diano la loro disponibilità.
Insomma, se non è possibile che le antenne siano un bene comune di tutti i condomini bisogna
che siano almeno beni in comune di gruppi di condomini. In questi casi gli interessati provvedono a
proprie spese all'impianto collettivo secondo la medesima procedura (1122-bis) illustrata per
l'antenna individuale. Ne consegue la formazione, in tale limitato ambito, del c.d. “condominio
parziale”, ai sensi del 1123 che richiama anche”opere od impianti”. Poiché va comunque informato
l'amministratore, di norma gli si dà il mandato di organizzare il necessario lavoro e di scegliere
l'impresa esecutrice di comune accordo con i soli condomini richiedenti; mentre l'assemblea verrà
coinvolta solo se si rendano necessarie modifiche delle parti comuni.