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Home Chi siamo Attività Press room Eventi e News Un occhio bionico per la cura della retinite pigmentosa Non è la prima volta che tecnologia e robotica arrivano dove non riesce la medicina “tradizionale”. Solo in Italia circa 15 mila persone sono affette da retinite pigmentosa, una rara malattia genetica che porta a progressiva perdita della vista fino a completa cecità; e al momento tra le nuove studiate dai ricercatori – terapia genica, l’impianto di protesi retiniche e il trapianto di cellule – l’unica cosa che sembra funzionare è proprio la protesi retinica. Un occhio bionico in grado di ridare parzialmente la vista a queste persone. Certo per il momento Argus II – questo il nome dell’occhio bionico sviluppato dalla società californiana Second Sight Medical Products – permette “solo” di distinguere le sagome di parenti e amici e riconoscere gli oggetti in bianco e nero. Ma senza dubbio un grande passo avanti per tutte le persone affette da questa patologia. Argus II è la prima protesi approvata prima in Europa, e da quest’anno in America dalla Food and Drug Administration (Fda), per la retinite pigmentosa, e i primi interventi sono stati condotti proprio in Italia, dall’equipe medica di Stanislao Rizzo, direttore del reparto di Chirurgia oftalmica dell'Azienda Ospedaliero-Universitaria di Pisa, nell’ambito di un progetto portato avanti dalla regione Toscana. «La malattia – spiega Rizzo – consiste in un’alterazione dello strato retinico pigmentato, lo strato più esterno che porta nutrimento a fotorecettori, coni e bastoncelli. Questo determina la morte dei fotorecettori, provocando da prima la perdita del campo visivo periferico fino ad arrivare progressivamente anche alla visione centrale». L’unica nota “positiva”, se così si può dire, è che il nervo ottico non viene intaccato da questa malattia e non perde la sua funzione. Fondamentale per la strategia di funzionamento di Argus II. La protesi è formata da una microcamera incorporata in un paio di occhiali, che “cattura” l’immagine visiva e la trasmette a un’antenna. L’antenna a sua volta è collegata a un circuito elettrico e una piastrina, composta da 60 elettrodi, grande pochi millimetri, che viene impiantata internamente, sopra la retina in corrispondenza della macula. Gli elettrodi della piastrina ricevono gli impulsi della microcamera esterna tramite l’antenna e stimolano le cellule fotorecettrici ancora funzionanti. La luce esterna viene così convertita in impulsi elettrochimici trasmessi al cervello attraverso il nervo ottico – non compromesso dalla malattia – dove vengono decodificati in immagini. Quello che si ottiene è un'immagine con risoluzione a 50x60 pixel in bianco, nero e grigio. Secondo la testimonianza di un paziente italiano che si è sottoposto alla sperimentazione, dopo operazione e riabilitazione era in grado di distinguere gli oggetti, le sagome, e capire se si muovevano. «La protesi in pratica sostituisce la funzione dei fotorecettori – spiega Brian Mech, vice presidente della società californiana che lo ha prodotto – trenta persone di età compresa fra 28 e 77 anni, non vedenti, hanno partecipato alla sperimentazione clinica del prodotto con risultati diversi. Alcuni hanno tratto solo un po' di giovamento, mentre altri potrebbero addirittura leggere i titoli dei giornali». L’operazione per l’impianto della protesi dura quattro ora in anestesia generale e a Pisa ne sono già state eseguite quattro. Dopo l’operazione i pazienti devono effettuare un periodo di riabilitazione in cui gli viene insegnato a interpretare questi segnali luminosi recuperando in parte la funzionalità visiva. È fondamentale però che queste persone non siano cieche dalla nascita, perché il cervello non sarebbe in grado di interpretare gli stimoli inviati dalla protesi retinica non avendolo sviluppato prima la corteccia visiva. Per sviluppare Argus sono stati impiegati 20 anni di ricerca, tre studi clinici, e più di 100 milioni di dollari di investimenti pubblici finanziati dal Department of Energy del National Eye Institute, e la National Science Foundation. Più un ulteriore contributo di 100 milioni di dollari di investimenti privati . L’operazione al momento è ancora molto costosa – ogni protesi costa circa 78 mila euro – e a Pisa sono state eseguite grazie al contributo della regione Toscana, che però «in futuro non potrà continuare a gestire i costi della tecnologia per i pazienti di tutta Italia – spiega Elio Borgonovi, docente di Economia e Management delle Amministrazioni Pubbliche e presidente del Comitato Scientifico per la Protesi Retinica dell’Azienda Ospedaliera di Pisa – per questo motivo il Comitato Scientifico ha avviato un percorso di lavoro con la Regione Toscana per definire i migliori criteri di accessibilità e rimborsabilità dell’impianto presso il centro pisano». Intanto la società statunitense continua a lavorare alla protesi per rendere la visione sempre più nitida, precisa e a colori. Ma non è l’unica a lavorarci: al Massachusetts Institute of Technology, infatti, i ricercatori guidati da John Wyatt stanno cercando di mettere a punto un sistema con 400 elettrodi; mentre alla California Stanford University Daniel Palanker e i suoi collaboratori stanno provando a sostituire gli elettrodi con piccole celle fotovoltaiche. di Cristina Tognaccini Freelance Science Writer Ricerca Biomedica e Salute, Milano Link consigliati « Torna a "Recenti" RBS - Ricerca Biomedica e Salute, Foro Buonaparte 48, 20121 Milano - CF 97627870153