Corriere del Ticino

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Corriere del Ticino
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Corriere del Ticino
Mercoledì 19 agosto 2015
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solidarietà
«E la bimba parigina mi chiamò papà»
Da decenni l’associazione Kovive si impegna per mandare in vacanza i bambini socialmente in difficoltà
La testimonianza di una famiglia ticinese che ha accolto per quindici giorni una piccola ospite francese
Ospitare un bambino tramite un’associazione specializzata in questo genere
di scambi (nel nostro caso l’associazione Kovive)? In Svizzera e in Ticino lo
hanno fatto in molti, ma queste esperienze di un paio di settimane (o anche di
più) vissute intensamente restano spesso confinate nell’intimo familiare.
Quanto segue è il racconto, strettamente autobiografico e soggettivo, di quello che ho vissuto con la mia famiglia dal 1. al 15 agosto di questa estate.
PagiNa di
Gianni riGhinETTi
zxy È 1. agosto di questa torrida e arida
estate, una giornata eccezionalmente
«fresca» e uggiosa. Sono le 17.48 e lungo
il binario 3 della stazione di Lugano stanno per iniziare due settimane difficili da
dimenticare. Sul treno che da Parigi via
Zurigo sta giungendo in Ticino, ci sono
una trentina di bambini che arrivano
dalla Francia, specie da Parigi, dalle
banlieu, lontano dai fasti della Tour Eiffel
o dei Champs Elysées, quartieri nei quali
vivere è durissima e avere un’infanzia
che noi definiremmo «normale», praticamente impossibile. Su quella carrozza
c’è anche Samuella, 8 anni, una bambina
di colore d’origine africana, che abbiamo
solo visto in fotografia e conosciuta (si fa
per dire) grazie a una scheda che ne descriveva i tratti essenziali: nome, cognome, età, cosa mangia, cosa non mangia e
cosa teme.
La targhetta al collo
I bambini, accompagnati dai volontari
della Croce Rossa francese scendono tenendosi per mano con l’amichetto conosciuto nel lungo viaggio, c’è chi corre
verso la famiglia che lo attende; sono coloro che tornano in Ticino e che ritrovano chi li aveva già accolti. E c’è chi con lo
sguardo un po’ perso e con una targhetta
al collo con il nome, la destinazione e le
generalità di chi lo ospiterà, aspetta di
incrociare lo sguardo di chi, con un misto
di curiosità ed emozione, l’attende sul
marciapiede. Ecco Samuella, è un po’ diversa dalla foto che ci era stata inviata, i
capelli non sono più corti, ora ha delle
treccine applicate, ma prima di noi è lei
che ci riconosce. Sorride e ci presentiamo. Mia moglie Nancy fa gli onori di casa
e nostra figlia Simona osserva sorridente
e intimidita colei che sarà al centro dell’esperienza che sta per iniziare e che anche lei stessa ha deciso assieme a noi di
vivere. Già, perché non si è trattata di una
scelta verticistica, ma partecipativa, perché è a Simona che in questi quindici
giorni è stato chiesto di suddividere con
una bimba meno fortunata di lei l’affetto
di mamma e papà.
La doccia gelata
Samuella estrae la foto che le avevamo
inviato e che custodiva nel suo piccolo
zainetto che conteneva panini, biscotti e
acqua per il tragitto. Nemmeno il tempo
di un veloce giro di presentazioni, dopo
che lei accenna ad un «voi» di cortesia e
le diciamo che può darci del «tu», le ricordiamo i nomi e arriva la prima doccia
gelata: «Ma io preferirei chiamarvi mamma e papà». Sono momenti in cui a
chiunque mancherebbero le parole. «Ma
certo che sì», rispondiamo in coro ancora un po’ storditi. Ma non era una boutade per fare colpo, da quel momento noi
siamo mamma e papà. I nostri nomi ricevuti alla nascita non contano nulla. Un
fatto che, un po’ incredibilmente, non
disturba Simona.
Le paure superate
Una decina di minuti e siamo a casa,
quella che sarà la sua casa per il soggiorno previsto. L’avvisiamo: «Abbiamo un
gatto, ma è molto timido e non aggressivo». Non gradisce. Ha paura dei gatti (che
alle sue latitudini sono più randagi che
domestici), dei ragni, delle mosche, delle
api, e di ogni insetto in genere. Inutile
forzare la mano. Per il gatto con l’arrivo
dell’ospite la casa diventa invalicabile. Il
felino insiste, non capisce e vuole entrare, Samuella lo guarda un po’ titubante
dopo aver segnalato la presenza di due
ragnetti che ho dovuto cercare con il mi-
Un’estate diversa Nella foto piccola in alto una banlieu di Parigi. a sinistra e sopra simona e samuella.
Un aiUto all’infanzia
aTTivi daL 1954
Kovive è un ente di aiuto sociale che
fin dal 1954 si impegna a favore di
bambini socialmente svantaggiati e
delle loro famiglie in svizzera ed in
europa. anno dopo anno offre vacanze e riposo a centinaia di bambini
provenienti sia dal nostro Paese, sia
dall’estero, in famiglie svizzere ospitanti, in campi di vacanza per bambini e giovani o mediante l’organizzazione di vacanze economiche per
nuclei familiari. Kovive crea nuovi
spazi che permettano il riposo, che
diano nuove prospettive e che favoriscano lo sviluppo di una maggiore
autostima. il lavoro dell’associazione viene finanziato mediante le offerte elargite da privati, autorità ecclesiastiche e persone giuridiche come
pure mediante legati. l’associazione
ha sede a lucerna, è apolitica e
aconfessionale e può contare sulla
collaborazione di più di 2.000 volontari. si tratta di famiglie ospitanti, di
collaboratori regionali, di responsabili di campi di vacanza e di accompagnatori.
quaLChE Cifra
oggi nella sola svizzera 260.000
bambini vivono in situazione di povertà. Per questo motivo Kovive negli
scorsi anni ha in particolare sviluppato il proprio aiuto per i bambini
provenienti dalla svizzera. Nel solo
2014 Kovive ha assicurato vacanze
in famiglie ospitanti per 124 bambini
provenienti dalla svizzera, 260 bambini provenienti dalla germania, 469
bambini provenienti dalla Francia.
l’associazione ha inoltre garantito
un programma di sostegno alle richieste di enti che si occupano di
bambini per 23 di loro provenienti
dalla svizzera, ha organizzato vacanze per famiglie a 137 bambini e 88
adulti e campi di vacanze per 190 tra
bambini e giovani.
Per maggiori informazioni: www.kovive.ch
croscopio. Se è vero che il primo amore è
quello che non si scorda mai, va detto
che tra Samuella e Matisse (il micio) sarà
subito intesa. Una paura è stata così superata, ma quella per gli insetti no.
che non è il tuo, ma è giusto mostrare che
nella vita si deve considerare anche chi ti
sta a fianco. Questo nonostante il tanto
chiudere gli occhi su abitudini e ordine
vigenti normalmente a casa nostra.
La povertà
Samu, il soprannome coniato da Simona
(comunemente Simo), chiama sua
mamma a Parigi per un saluto e per dirle
che il viaggio è andato bene. La percezione immediata è di un rapporto sano e
profondo tra mamma e figlia ed è lei
stessa a mostrare la foto della madre e a
tessere le lodi di colei che le vuole bene,
ma che si è vista costretta a privarsi della
figlia per due settimane per evidenti problemi economici. Le informazioni che
abbiamo di lei e del suo vissuto sono
scarne. Il papà non c’è e Samu vive sola
con la mamma in uno spazio esiguo, in
un palazzo al primo piano con alle finestre le inferriate e la paura dei ladri e
della criminalità. Nella valigia non ha
molto: un libro, un nuovo diario e vestiti
che, per dimensione non adatta e stato,
denotano il vero problema: la povertà.
Ma il compito di una famiglia ospitante
non è quello di sondare il passato e il
presente, neppure di fare un terzo grado
a una bambina, ma solo di regalarle serenità, un sorriso e due settimane da sogno. Da lì via lei ci parlerà pochissimo del
suo vissuto, più che altro a me, nei momenti trascorsi assieme quando Simona
fa i compiti con Nancy e noi siamo intenti ad innaffiare i fiori o a fare lavoretti
nell’orto. Ben si comprende che per lei la
figura del papà è un’assoluta novità.
Sull’altalena in pigiama
Le giornate trascorrono velocemente
all’aperto grazie al bel tempo. Samu ama
la piscina, adora dondolarsi sull’altalena
in giardino già prima della colazione e
ancora in pigiama, stare all’aria aperta,
mangia con gusto e dorme senza difficoltà. Non bisogna nascondere che
qualche difficoltà di gestione si è manifestata, ma sono cose così piccole che
menzionarle significherebbe dare loro
un’importanza che in realtà non hanno.
Più che altro ad essere messa alla prova
è Simona che, di punto in bianco, si vede
«invadere» tutti i suoi spazi 24 ore su 24,
mentre a noi adulti non resta più tempo
libero, trovandoci letteralmente assorbiti da una bambina che necessita di attenzioni e presenza continue. Samu è in
difficoltà nel giocare con gli altri bambini, forse perché non ha mai avuto modo
di esercitare tutto questo. Conosce diverse canzoni che vanno per la maggiore, le canticchia in auto e accenna a ballare imitando le mosse delle adolescenti
appena ne ha l’occasione. È un po’ la testa di una bambina su un corpo di una
ragazzina: basti dire che tra Simo e Samu ci sono diversi centimetri e 20 kg di
differenza.
Lo spirito di conservazione
Samu prende ben presto le dimensioni
della nuova realtà e dell’ampio spazio di
manovra che ha rispetto ai pochi metri
della sua casa parigina. L’euforia talvolta
prende il volo e l’incapacità di gestire
tante novità la porta a comportarsi con
una certa euforia, quasi voglia vivere
tutto d’un fiato per il timore di perderlo e
non più recuperarlo. Quasi per manifestare uno spirito di conservazione che
solo chi ha poco e deve lottare per quel
poco tutti i giorni, sa bene cosa significa.
Il nostro interrogativo è: mostrarsi accondiscendenti lasciando andare le cose
senza regole o mettere dei minimi paletti? Prevale la seconda opzione, suggerita
anche da chi ci ha indirizzato perché occorre tenere presente che ci sono delle
regole del vivere comune e anche Samu
deve sottostare alle stesse come tutti.
Non si educa in due settimane un figlio
La prima mucca
Samuella è interessata alle novità, a volte di fronte alle stesse resta pietrificata.
Come quando con Nancy e Simona,
passando da una fattoria vede una mucca. E non è una mucca qualsiasi. È la sua
prima mucca «live». Mai nei primi otto
anni della sua vita ne aveva vista una.
Dice di sapere che il latte che beve a colazione viene generato delle mucche,
ma nell’affermarlo non pare troppo convincente. E dopo le mucche, nel corso di
una gita in quota in Vallemaggia, è il
turno di una ventina di capre. Pure questa un’autentica novità. E poi, quando
siamo ormai a quota 2.300 metri al bordo di un laghetto con il cielo azzurro e
un aereo di passaggio Samu ci dice:
«Mai visto qualcosa di simile, sembra di
toccare i cielo con la mano».
il linguaggio silenzioso
Giorno dopo giorno Simona e Samuella
familiarizzano, giocano e bisticciano:
come accade tra fratelli o tra amichetti
che trascorrono le vacanze assieme. A
me e Nancy il compito di essere imparziali: non privilegiare la figlia in quanto
tale o l’ospite perché resterà poco e vive
solitamente una realtà ben diversa dalla nostra. Così i rimproveri e le lodi
vengono impartiti ad entrambe, in francese e in italiano. Ma più passano i
giorni, più cresce il feeling e l’affiatamento familiare, nonché la capacità di
Simo e Samu di capirsi pur parlando
due lingue differenti. Incredibile ma
vero, a volte è Simona che si fa portavoce dello stato d’animo di Samuella.
L’abbraccio finale
È arrivata la mattina del 15 agosto, il
giorno della partenza e dei saluti. L’abbraccio finale è alla stazione di Bellinzona da dove, alle 10.34 è partito il treno
che ha riportato Samuella e i suoi compagni di viaggio a casa. Samu vive uno
stato d’animo lacerante. Da una parte la
voglia di riabbracciare la sua adorata
mamma, dall’altra la consapevolezza di
avere vissuto una bella esperienza, con
un papà e una mamma e una sorella a
tempo determinato: di essere stata all’aria aperta senza il timore dei ladri e di
violenze d’ogni genere, di aver dormito
la notte con la finestra aperta mentre a
casa sua resterà sprangata per i motivi
descritti e per quello che Samu ha definito come «assordante rumore che c’è
dalle 7 del mattino alla 1 di notte». Forse
sono piccole cose per chi le considera
scontate, ma grandi per chi le ha scoperte e sa di doverle abbandonare.
Quella che è ormai anche un pochino
«la nostra Samu» parte anche con una
borsa in più rispetto al suo arrivo, con
dei doni materiali (vestiario) che parenti e amici hanno voluto regalarle. Ma la
speranza mia, di Nancy e Simona è che
possa essere ripartita con un briciolo di
serenità e di determinazione in più rispetto al giorno del suo arrivo. E che
tutto questo possa servirle a meglio affrontare la sua dura realtà. Restano le
lacrime per il distacco: quelle di Samu
che guarda triste la pioggia che scivola
sul finestrino del treno, e quelle di Simo
che, singhiozzante, guarda le stesse
gocce dal finestrino dell’auto.
In molti ci chiedono se tornerà nell’estate 2016. È possibile, forse anche probabile. L’esperienza vissuta è stata comunque eccezionale, ancor prima di
pensare se ripeterla o meno, è però il
caso di suggerirla a chi sarà arrivato,
pazientemente, fino al punto finale di
questo racconto.