Il corpo gioioso Do Brazil - Teatro Comunale di ferrara
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Il corpo gioioso Do Brazil - Teatro Comunale di ferrara
IL CORPO GIOIOSO DO BRAZIL di Elisa Guzzo Vaccarino Brasile e colore, Brasile e musica, Brasile e danza respirano insieme, nel sentire e nell’immaginazione comuni, evocando samba, Carnaval, bossa nova, tropicalismo musicale. La gioia di esprimere con il corpo ritmi e suoni ha trovato una casa speciale nel grande paese latino che parla portoghese, che ha prodotto narrazioni seducenti come la storia surreale di Dona Flor e i suoi due mariti o di Gabriella garofano e cannella , dove il grande affabulatore Jorge Amado associa amore, eros e succulente ricette di cucina. Ricchezza e povertà, fantasia e talento: il Brasile è un paese a tinte forti, una fucina di artisti immaginosi e carismatici. Produce étoile come la Divina Marcia Haydée e Thiago Soares, ora principal al Royal Ballet inglese; sorprende con personalità originalissime come Guilherme Botelho (i suoi visionari Mister Winter e Sideways Rain sono stati un successo a Ferrara); entusiasma con gruppi come il Ballet de Rua, nato tra i ragazzi disagiati di Uberlândia, che mixa con glamour samba, capoeira marziale, folk e funk di stile carioca, acrobazia in salsa MTV. Ma un caso davvero speciale, nel panorama brasiliano, è quello di Grupo Corpo, una compagnia di danza e insieme un’impresa familiare nata nel 1975 a Belo Horizonte, prima città modernamente disegnata in Brasile, nel Minas Gerais, al terzo posto tra le aree più popolate del paese, a partire dalla casa messa disposizione come sede di lavoro da Isabel Pederneiras e Manoel de Carvalho Barbosa perché i loro figli potessero imboccare un percorso autenticamente professionale, dando vita a Grupo Corpo, oggi invitato e apprezzato in tutto il mondo. E non solo i ragazzi Pederneiras, ma anche le loro mogli, e cognate e nipoti hanno saputo far tesoro del talento maison per l’arte coreografica. In primis Rodrigo Pederneiras, danzatore e autore, dal 1981 coreografo in titolo di Grupo Corpo, e Paulo, direttore artistico, nonché scenografo-illuminotecnico, che impagina la danza con mano di artista dando una preziosa unità estetica a ogni allestimento; a loro va aggiunta la sorella Miriam, già ballerina e ora assistente coreografa, nonché capo del progetto di comunità Corpo Cidadão. E poi ci sono Luis, fotografo; Pedro, direttore tecnico; Gabriel, coordinatore tecnico; André, tecnico. Il team Pederneiras è una fucina di successi orami da quarant’anni, appena festeggiati con il debutto della creazione Dança Sinfônica, e resta l’anima pulsante della compagnia, dove i ballerini permangono a lungo assicurando la trasmissione del repertorio. Anche le collaborazioni artistiche in casa Pederneiras sono durevoli, sia per il décor, con Freusa Zechmeister, signora dell’architettura, e Fernando Velloso, dai tardi anni ’70 in poi, sia per il sound con musicisti brasiliani di spicco come Tom Zé, polistrumentista e cantautore riscoperto da David Byrne, Caetano Veloso, campione del movimento tropicalista e figura pubblica impegnata, Arnaldo Antunes, poeta del rock, artista tribalista e VJ, e con il gruppo Uakti (WAHK-chee), famoso per creare da sé i suoi stessi strumenti, su cui suona e arrangia brani propri come I Ching e altrui, dai Beatles a Philip Glass (Aguas de Amazonia). L’humus della propria terra natale in cui pesca e prospera Grupo Corpo è nutriente, forte e coerente. Ne è derivato uno stile che è diventato inconfondibile con una lunga serie di titoli fortunatissimi, in grado di stilizzare in forme raffinate e colte gli elementi di una cultura locale rendendola globalmente comprensibile e godibile a qualunque pubblico. Pavimento elastico, corpi elastici, tocco musicale elastico: ogni elemento nelle creazioni di Grupo Corpo congiura per ideare lavori emozionanti che si presentano come vere e proprie opere sonoroplastico-visuali. Slancio in perpetua dinamica, rimbalzi senza sforzo, stacchi fluidi dal suolo: ci si passa il movimento tra ballerini come se fosse parola condivisa in sintonia e in sincronia perfette. Questo è un profilo della compagnia come la conosciamo oggi, ma è bello ripercorrerne il cammino sul filo di più decenni. GRUPO CORPO, LA HISTÓRIA La prima fase degli spettacoli siglati Grupo Corpo, narrativa, inizia nel 1976 con Maria Maria, storia di una donna afro-brasiliana povera, su musica di Milton Nascimento e script di Fernando Brant, e con la coreografia dell’argentino Oscar Araiz. Il successo internazionale arriva subito, con sei anni di tour in 14 paesi. Ancora Nascimento e Araiz firmeranno poi Último Tren nel1980 sempre a tema sociale. Dall’anno seguente, nella decade ’80-’90, la cura delle scene tocca regolarmente a Paulo Pederneiras, mentre il fratello Rodrigo si dedica a coreografare danze formali, senza più racconti espliciti, soprattutto su musica classica, come nel caso di Prelúdios su Chopin del 1985, o di altri brani fortunati costruiti su Richard Strauss, Heitor Villa-Lobos, Edward Elgar. Ed ecco poi negli anni ’90, quando il Brasile riprende la strada della democrazia e della crescita economica, la ricerca di una “etnicità” specifica, di un linguaggio peculiare, guardando alla maneira brasileira de se mover , sia folk sia urbana, per fondare una danza contemporanea originale soprattutto su musica originale di compositori brasiliani, salvo un delizioso Lecuona su temi del più eminente compositore cubano per duetti ad alto tasso romantico, una sorta di versione latina dei Nine Sinatra Songs di Twyla Tharp. Il mondo della danza internazionale porta al trionfo Grupo Corpo con Nazareth del 1993, presentato l’anno dopo alla Biennale de la Danse de Lyon con grandissimo favore di pubblico e di critica. Dopo di che, dal 1996 al 1999, la compagnia si guadagnerà la residenza alla Maison de la Danse lionese, che fa l’andatura e influenza i cartelloni di tutta Europa, portando al debutto qui i suoi Bach, che fonde barocco e ritmica brasiliana per mano di Marco Antônio Guimarães, il colorito Parabelo su musica di Tom Zé e José Miguel Wisnik e Benguelê su musica di João Bosco, accreditato di insinuanti retrogusti afro. Hit planetaria, Nazareth è ispirato all’opera di Joaquim Maria Machado de Assis (1839-1908), considerato il più grande scrittore del suo paese, e ai lavori di Ernesto Nazareth (1863-1934), figura seminale della musica e della canzone popolare brasiliana, compositore erudito, inventore del “tango brasiliano”, a cui ha messo mano José Miguel Wisnik, fine musicista e teorico. In bianco e nero, con i pois, le righe, le rose, i turbanti, i corsetti, i lacci, i tutu-lingerie, i gilet, le bretelle, le ghette, i frac, disegnati con delizia da Freusa Zechmeister, Nazareth strizza l’occhio a una moda ironicamente optical e vintage, per armare uno pseudoballo di sala sofisticato, condito di leggerezza sensuale e di buon umore; un tono che si affermerà come marchio della fabbrica Pederneiras. TRIZ E PARABELO Rodrigo Pederneiras è il brillante coreografo dei due lavori di scena adesso a Ferrara, Triz e Parabelo. Al di là dell’evidente creatività, è inevitabile interrogarsi sull’itinerario della sua formazione: e risulta che è stato allievo di professori brasiliani come il primo ballerino Aldo Lotufo, di padre italiano, e Jane Blauth, venezuelani come Freddy Romero e argentini come Oscar Araiz, Gustavo Mollajoli, Hugo travers, Héctor Zaraspe e Ilse Wiedmann, ma anche di Tatiana Leskova, già componente del Ballet Russe del Colonel de Basil, e di Isabel Santa Rosa, che negli anni ’90 sarà direttrice del Balletto Nazionale Portoghese, la Companhia Nacional de Bailado. La conoscenza della danza moderna americana si profila sullo sfondo, come si vedrà, di una matrice inventiva composita e feconda, che sostanzia “la ricetta Pederneiras”. Per Triz del 2013 Rodrigo Pederneiras si è valso della musica di Lenine , ovvero Osvaldo Lenine Macedo Pimentel, chitarrista e cantautore di Recife, Pernambuco, vincitore nel 2005 di due Latin Grammy, caratterizzandosi per un originale mixaggio dei ritmi e stili del Nord-Est brasiliano, da cui proviene, con quelli della musica pop internazionale. Ha scritto anche per altri grandi del suo paese, Maria Bethânia e lo stesso Milton Nascimento, campione di world music. Anche in Triz, come in Nazareth, domina il bianco e nero, ma spaccato a metà in verticale sulle calzamaglie unisex; la scena è a striature grafiche sale e pepe verticali; il trucco aggiunge una densa striscia nera a livello degli occhi. Tutto è chiaro e lineare. La danza, che non è priva di zone di lirismo con duetti e trii, è intessuta principalmente di piccoli ritmi su cui il gruppo saltella unitario come un sol uomo, con effetti quasi ipnotici: ogni danzatore tiene le mani allacciate davanti a sé con le braccia a cesto che girano in tondo, per aprirsi quando le gambe scattano come molle scagliate morbidamente di lato, a freccia. Lo spazio è vissuto muovendosi sulla scena come se questa fosse il mondo intero, avanti e indietro, incrociandosi, allargandosi, ricompattandosi, ritrovandosi, cambiando fronte, oscillando sull’asse, cavalcando l’aria con un’energia costante, senza fine, in un’infinità di combinazioni e di varianti di traiettorie. L’uscita finale in quinta fa pensare che la danza continuerà dietro, per sempre. In Triz è come se il postmodern statunitense, delle camminate che sono già di per sé danza, sul silenzio, avesse incontrato ballerini brillanti tecnicamente, “per natura”, che incorporano la musica e la indossano come una seconda pelle. Parabelo del 1997, il lavoro considerato “più brasiliano” di Grupo Corpo, si fa ricordare per i ritmi cangianti, tipici del Brasile, della musica ispirata ai canti devozionali e di lavoro di Tom Zé e José Miguel Wisnik, sui quali Rodrigo Pederneiras disegna giocando con punti e contrappunti i tratti di un’arte del movimento che sposa la danza erudita e la cultura popolare, senza più frontiere, dissolte in una delle sue tipiche coreografie cariche di sfumature di sapore “regionale”, ma aperte alla comprensione universale. Rosso, giallo, pois, color terra, le tinte scelte per i costumi, esplodono calorosamente nell’ultima sezione del pezzo vivacizzando le ondulazioni dei fianchi e la mobilità dei bacini, con eleganza per l’uomo, con grazia per la donna. Saltelli, percussioni dei piedi, piccole corse, calcetti, mezzi giri veloci su se stessi, al dirito e al rovscio, astratti come sarebbe piaciuto al guru statunitense del postmodern Merce Cunningham, scolpiscono un flusso di movimento esuberante e allegro- come nello stile ottimista di David Parsons- che usa il canto come ritmo puro, come conteggio infallibile, in forme tanto nitide da farsi ammirare come tanti bellissimi scatti fotografici in sequenza. L’oasi romantica di un duetto con la donna tra le braccia del partner, abbandonata e reattiva al tempo stesso, o un duo maschile ginnicamente virtuoso, impreziosiscono la struttura coreografica di Parabelo che scorre come un nastro orizzontale con onde di alterazioni in verticale e che si intensifica nelle variazioni dinamicoemozionali che punteggiano il continuum dell’azione ininterrotta. La scenografia rimanda alle chiese rurali e alle offerte devozionali, non di rado ingenuamente surrealiste, che i fedeli vi collocano. Il corpo “è danzato” dal ritmo: forse è questa la ricetta Pederneiras, vuoi che si applichi alla Misa do Orfanato mozartiana oppure al minimalismo di Philip Glass in Sete ou Oito Peças para um Ballet o alla pulsazione- fin nelle luci- del chitarrista Arnaldo Antunes per O corpo o sulle note di Carlos Núñez e José Miguel Wisnik da canzoni di Codax, per Sem Mim con bellissimi top a decori tatuaggio e kilt ridisegnati con ironia per i volteggi più divertenti. Il primitivismo più colto si sposa con il cosmopolitismo più sensibile in un habitat gestuale vigoroso, positivo, moderno, nel rigore di una “danza-danza” che cattura irresistibilmente: Grupo Corpo conosce il segreto di piacere a qualunque platea e ovunque sul nostro pianeta puntando sulla qualità più alta e più autentica.