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Per un pugno di trivelle: una breve analisi degli idrocarburi in Sicilia
Francesco David e Luciano Lavecchia1
ECONOMIA SICILIANA
Si presenta una breve analisi della situazione e delle prospettive di sviluppo dell’industria
petrolifera in Sicilia
1. Introduzione. - Da oltre 50 anni, l’industria petrolifera rappresenta una componente
caratteristica dell’economia siciliana; le sue vicende sono profondamente legate alle tendenze
internazionali del settore. Nel corso degli anni duemila il mercato petrolifero è stato interessato da
importanti cambiamenti sia dal lato della domanda sia dal lato dell’offerta.
Nel primo caso, e soprattutto con riferimento ai paesi dell’Unione europea, si è assistito a un
progressivo calo dei consumi di derivati del petrolio, aggravatosi nel corso della crisi. Tra il 2000 e
il 2012, infatti, il consumo di greggio nei paesi dell’Unione è diminuito del 12,5 per cento; il calo
ha riguardato sia il consumo per finalità energetiche (generazione di energia elettrica e trasporti) sia
quello per finalità di trasformazione industriale. A partire dal 2007 si è intensificata la riduzione
della domanda nel settore dei trasporti, che da sola ha rappresentato il 50 per cento del calo dei
consumi. Oltre al rallentamento dell’attività economica connesso alla crisi internazionale, sul calo
della domanda hanno inciso la dinamica negativa del mercato automobilistico europeo e la
maggiore efficienza energetica dei nuovi veicoli.
Dal lato dell’offerta si sono registrate due importanti novità: nel segmento dell’estrazione e
della produzione (upstream), la rivoluzione dei nuovi idrocarburi non convenzionali (shale oil e
gas) che ha interessato principalmente il Nord America; nel comparto della raffinazione
(downstream), l’emergere di nuovi competitors internazionali, soprattutto asiatici, più efficienti di
quelli europei. L’affinamento della tecnica di fratturazione idraulica (o “fracking”), invero nota
dagli anni ’50, ha determinato una crescente indipendenza degli Stati Uniti dalle importazioni di
greggio e gas e, in combinazione con le restrizioni alle esportazioni imposte dal governo
statunitense, un vantaggio nei costi di approvvigionamento di materia prima per i produttori
americani. Le raffinerie asiatiche, più nuove e mediamente più grandi di quelle europee, godono di
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Banca d’Italia, Sede di Palermo. Le opinioni espresse sono personali e non riflettono in alcun modo l’opinione della Banca
d’Italia.
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maggiori economie di scala e vantaggi in termini di produttività, oltre a una legislazione ambientale
meno stringente di quella europea. Tutto ciò ha determinato un’erosione delle quote di mercato dei
produttori europei sui mercati internazionali.
Il risultato di queste tendenze è un persistente eccesso di capacità produttiva a livello
europeo, nonostante la chiusura di diverse raffinerie negli ultimi anni. Per le raffinerie italiane, a
queste criticità se ne aggiungono altre a carattere prettamente nazionale, tra le quali l’imposizione
fiscale aggiuntiva nota come “Robin Hood tax”2 e gli aggravi in termini di oneri gestionali e
burocratici legati alla stratificazione delle competenze amministrative a diversi livelli di governo. In
questa cornice si inseriscono le vicende dell’industria petrolifera siciliana, presente in regione in
tutti i segmenti della filiera: estrazione, raffinazione e distribuzione.
2. Una presenza storica. - Già al termine della Seconda guerra mondiale la regione è stata al
centro di ricerche di pozzi petroliferi sfruttabili, soprattutto da parte di aziende americane. Nel
dopoguerra si diede avvio all’attività estrattiva, inizialmente concentrata nell’area di Gela, ad opera
di imprese nazionali (Montecatini, Edison ed Eni) e straniere (in particolare l’americana Gulf oil).
L’entusiasmo iniziale si smorzò verso la fine degli anni ’50 quando fu chiaro che le aspettative, in
termini di quantità e qualità del greggio, si erano rivelate eccessive: il greggio che si estrae tutt’oggi
dai pozzi di Gela e Ragusa è di bassa qualità e comporta alti costi di raffinazione.
Contemporaneamente, la Sicilia, anche in virtù della sua posizione geografica, si affermò come hub
nazionale della raffinazione: nel 1949, su iniziativa di Angelo Moratti, nacque la raffineria
RASIOM di Augusta (oggi stabilimento della Esso); nel 1961 e nel 1962, l’Eni inaugurò le
Raffinerie di Milazzo e Gela (quest’ultima direttamente connessa ai pozzi estrattivi limitrofi); nel
1975 sorsero i due insediamenti “ISAB” (nord e sud) di Priolo Gargallo (in provincia di Siracusa)
ad opera della famiglia Garrone, oggi di proprietà della Lukoil.
3. La produzione di idrocarburi oggi. - Attualmente in Sicilia si estrae circa un milione di
tonnellate di greggio all’anno (poco meno di un quinto della produzione italiana, il resto è quasi
interamente estratto in Basilicata) ed è installata una capacità di raffinazione di 43 milioni di
tonnellate annue. L’estrazione avviene attraverso 81 pozzi a terra (on-shore) e 4 piattaforme in mare
(off-shore), gestiti da Eni Mediterranea idrocarburi S.p.A. (ENIMED), Edison S.p.A e Irminio S.r.l..
A fine 2012 gli occupati diretti erano 280, cui si aggiungevano i circa 650 addetti dell’indotto; nello
stesso anno il segmento dell’upstream ha generato quasi 90 milioni di gettito fiscale e circa 22
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La c.d. “Robin Hood tax” è un’addizionale all’IRES introdotta nel 2008 con aliquota del 6,5 per cento, successivamente
aumentata al 10,5 per cento per il triennio 2011-13.
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milioni di royalties per lo sfruttamento dei pozzi. Le 4 raffinerie siciliane, che producono circa il 40
per cento dei derivati petroliferi italiani, occupavano 3.350 addetti diretti e circa 5.800 nell’indotto.
Il gettito fiscale delle 3 raffinerie di Gela, Milazzo e Priolo3 alla fine del 2011 ammontava a poco
meno di 60 milioni; il downstream siciliano rappresenta inoltre il principale driver delle
esportazioni, con 7,9 miliardi di export in media all’anno nel 2010-2012 (pari al 72 per cento delle
esportazioni regionali).
4. Una nuova fase? - Alcuni recenti sviluppi meritano di essere menzionati. A giugno è stato
sottoscritto un protocollo di intesa tra la Regione Siciliana, Assomineraria (associazione di
categoria che rappresenta l’industria mineraria e petrolifera) e le 3 aziende attive in Sicilia
nell’upstream. Il documento stabilisce dei principi di leale collaborazione tra l’ente pubblico e le
imprese al fine di contemperare le esigenze di superamento della crisi e di recupero della
competitività di queste ultime con quelle di salvaguardia del territorio. A fronte di investimenti
previsti dai piani industriali delle aziende per circa 2,4 miliardi, la Regione si è impegnata a
mantenere un quadro normativo stabile e a intraprendere iniziative volte alla semplificazione e
velocizzazione degli iter autorizzativi, in modo da rispettare i tempi previsti dalle normative vigenti.
Nel mese di novembre, inoltre, è stato siglato, presso il Ministero dello Sviluppo economico, un
protocollo di intesa per la riconversione della raffineria Eni di Gela. Del protocollo, sottoscritto
dalla Regione Siciliana, dal Comune di Gela, dall’azienda e dalle organizzazioni sindacali e
datoriali, non si conoscono ancora i contenuti ufficiali; dalle notizie di stampa l’intesa raggiunta
sembra ruotare intorno alla trasformazione dello stabilimento in bio-raffineria e base logistica per le
attività on e offshore del gruppo (mantenendo così i livelli occupazionali diretti e dell’indotto), in
cambio dell’autorizzazione di nuove concessioni per la ricerca e l’estrazione sia di greggio che
soprattutto di gas, in particolare da piattaforme in mare4.
Il mantenimento degli impegni sottoscritti dalla Regione necessiterà della condivisione
politica degli obiettivi di politica industriale e del consenso sociale, soprattutto intorno alle nuove
attività estrattive, che si potrà ottenere con precisi impegni e garanzie di tutela ambientale da parte
delle aziende coinvolte.
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La raffineria di Augusta, essendo uno stabilimento produttivo senza autonomia giuridica, non redige un proprio bilancio.
Quest’ultimo elemento potrebbe beneficiare dei recenti provvedimenti governativi (art.38, comma 4 del D.L. 133/2014,
c.d. “Sblocca Italia”) che hanno stabilito un'accelerazione del processo di concessione dei permessi di ricerca e coltivazione
di idrocarburi, istituendo la possibilità di avocazione a livello centrale di procedimenti bloccati presso le amministrazioni
regionali.
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