KYUDO l`Arte Marziale del tiro con l`arco giapponese La storia L`arte

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KYUDO l`Arte Marziale del tiro con l`arco giapponese La storia L`arte
KYUDO l'Arte Marziale del tiro con l'arco giapponese
La storia
L'arte del tiro con l'arco venne rivoluzionata nel XV secolo dall’eroe mitico della
tormentata storia giapponese, Heki Danjo Masatsugo , grazie alla sua straordinaria abilità
e conoscenza. I suoi insegnamenti vennero seguiti e codificati dai guerrieri che li
trasmisero per generazioni. In questo modo la scuola Heki si diffuse in tutto il Giappone
differenziandosi in vari stili. Uno di questi aveva la sua sede a Kyoto, dove viveva il
Maestro Yoshida Issuiken Insai, che, agli inizi del XVII secolo (dopo la battaglia di
Sekigahara, ottobre 1600), fu chiamato dallo Shogun Tokugawa perché gli insegnasse la via
dell'arco (il kyudo ). Da allora questa scuola, che gli altri tiratori chiamano Heki Ryu Insai
Ha (scuola Heki stile Insai), ha potuto fregiarsi del titolo di Heki To-ryu, dove To-ryu sta
ad indicare proprio la casata dello shogun.
La tecnica e il sapere di questa scuola, che si sono sviluppate a partire dalle necessità del tiro in
battaglia per i guerrieri a piedi (hosha-shajutsu), sono state tramandate intatte fino ai nostri giorni da
una catena ininterrotta di maestri. In anni recenti il Maestro Inagaki Genshiro Yoshimichi , come
titolare della cattedra di kyudo all'università di Waseda, ha inaugurato una serie di studi tecnici
sperimentali per approfondire, spiegare e confermare, anche dal punto di vista scientifico, la profonda
qualità dell'insegnamento degli antichi testi della scuola. Alcuni di questi riguardano appunto la tecnica
e i suoi dettagli più sottili, altri invece riportano la filosofia e l’etica dell’arte marziale.
La tecnica
Si può iniziare per diporto o curiosità, poi la tecnica, la disciplina, l’estetica dell’arte del tiro con l’arco
portano alla passione. La caratteristica peculiare del tiro Heki è il lavoro della mano sinistra
(TSUNOMI NO HATARAKI ) che spinge e torce l’arco: una tecnica tramandata nei secoli. Dopo alcuni
movimenti preparatori molto precisi la freccia tocca lo zigomo (TSUMEAI) e si arriva a NOBIAI, gli
ultimi secondi prima dello sgancio, in cui si concentra tutta l’essenza del tiro. Allo sgancio (HANARE), la
freccia scocca, inizialmente, per volontà dell’arciere grazie al lavoro armonico di mano destra e mano
sinistra e ad una corretta tensione del corpo. Dopo anni di allenamento assiduo l’arciere è in grado di
sganciare con efficacia, naturalezza e colpisce il bersaglio (mato). Ciò è possibile se la tecnica è vera e
corretta e se lo spirito (kokoro) è sincero. Il kyudo non pone di fronte due contendenti, bensì un
arciere davanti ad un bersaglio, che attesta la corretta esecuzione. In un certo senso si può dire che il
kyudoka con la pratica si pone di fronte a se stesso, ai propri limiti, alle proprie potenzialità. Si tira a
piedi nudi su di un pavimento in legno, in un dojo (luogo dove si pratica la Via), in ogni stagione. I
bersagli sono situati in un terrapieno coperto, detto azuchi. All’inizio della giornata e, soprattutto per i
principianti, si tira al makiwara (paglione a distanza di due metri). Questo consente di studiare bene la
forma senza la distrazione e l’ansia che può creare il bersaglio. Si usa una freccia in bamboo senza
penne. Una lezione ordinaria prevede 100 frecce al mato, ovvero un bersaglio del diametro di 36cm, di
carta di colore bianco, con alcuni centri concentrici di colore nero, posto a distanza di 28 metri.
Durante un allenamento completo, ma soprattutto in caso di particolari ricorrenze o in presenza di
ospiti, vengono effettuate due frecce cerimoniali (TAI HAI ) al bersaglio: una in piedi e una in
ginocchio. Saltuariamente viene effettuato il tiro a 60 metri (ENTEKI) , ad un paglione del diametro di
circa un metro. La tecnica è la medesima, ma vengono utilizzate frecce più leggere, con penne più basse;
la mira viene leggermente alzata.
La filosofia
Il Kyudo è considerato un'Arte Marziale e viene praticato anche da persone che mirino al
raggiungimento di un particolare stato d'animo, al dominio del corpo, a una disciplina del comportamento
che poi pervadano il quotidiano per rifletterne la benefica influenza su tutta la vita. Il progresso nel
tiro e nella sua tecnica è frutto del miglioramento ottenuto con l'esercizio in quanto tale, insieme con
l'irrobustimento dello spirito ottenuto con la pratica. Il fine del kyudo consiste nel raggiungere la
conoscenza dello “spirito dell’arco” (yumi no kokoro), uno stato che spesso viene indicato usando il
termine tipicamente zen di satori. Un tiratore potrà raggiungere lo stato di “massimo livello di
comprensione dell'essenza delle cose” di mente libera, serena e vuota da futili pensieri, quando sarà in
grado di eseguire il giusto NOBIAI.
NOBIAI è una voce di difficile spiegazione per coloro che non hanno
una sufficiente pratica: oltre all'estrema tensione dell'arco significa
anche massima estensione orizzontale e verticale del corpo, estrema
espansione della persona, decisa intensificazione delle tecniche da
applicare nel momento, in uno con intensità dello spirito ed assenza
d'intenzione crescenti. Scopo di chi si esercita nel vero Kyudo è
raggiungere gradualmente uno stato d'animo limpido, esercitando
tenacemente proprio quella giusta tecnica che coltiva il tirare per
colpire forte, con piena energia. La comprensione è intesa
principalmente come mentale, l’apprendimento come fisicocorporale, insieme costituiscono il “capire per
averlo fatto”, per esperienza. Le qualità proprie del Bushido (quale morale eroica del guerriero
giapponese) come la determinazione, l’assiduità nello sforzo, l’intelligenza (l’intuizione), la rettitudine, la
serenità, l’equilibrio, la sincerità e la generosità nell’azione possono essere coltivate solo con il
perfezionamento della tecnica, seguendo con fedeltà le regole della tradizione. Il detto “kan chu kyu”,
colpire con potenza il centro sempre, riassume nel modo più sintetico possibile lo spirito della scuola.
Il Maestro Inagaki sosteneva a tale proposito che “visione serena dei doveri” nel suo insegnamento
significa accogliere l'esercizio dei propri doveri come occasione di miglioramento, naturalmente non
solo nella giusta pratica del Kyudo, ma anche nel quotidiano.
“Affinare spirito e volontà” è dovuto in ogni occasione per contribuire allo spessore e alla maturità della
persona. La pratica di tiro è soltanto una parte dell'allenamento complessivo dell'individuo: disciplina,
sacrificio e generosità non si esercitano solo tirando quando la mano duole, quando gela o andando a
recuperare le frecce proprie e altrui. In breve, le regole del kyudo e la disciplina del Dojo hanno
ragione d'essere per esemplificare ed influenzare il quotidiano.
La tecnica di tiro comprende forme e azioni proprie; essa può assumere taluni lineamenti delle tecniche
Zen, ma il Kyudo non è solo questo perché soltanto l'unione dei tre elementi, forma, azione e spirito fusi
insieme, può considerarsi vera e completa Arte nella sua forma migliore. Innanzi al bersaglio il kyudoka
fa i suoi passi e si dispone in posizione di tiro senza che la mente se ne occupi, i suoi gesti incoccano la
freccia poi eseguono TORIKAKE: si sviluppa la massima energia possibile del corpo e della mente, l'arco
viene teso fino allo stremo, infine la freccia è scoccata. Ecco che hanno agito assieme, con la massima
intensità, l'energia di tutto il corpo e lo spirito, dal profondo del cuore.