" Carrara, città d`arte" di Irene Perfetti

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" Carrara, città d`arte" di Irene Perfetti
Carrara, città d’arte
Carrara è una città d'arte e più nessuno presta realmente attenzione alle opere disseminate nelle strade, nelle piazze,
nelle gallerie o all'interno degli edifici.
Cittadini e passanti si sono abituati alla bellezza, senza darle più il giusto peso. Ma è giusto “abituarsi”, vedere senza
guardare, sorvolare, non fare caso, dimenticare?
Faccio un esempio: la scultura di Aldo Buttini in largo XXV aprile incorniciata da una quinta di alberi secolari, non è
Venere. La “bagnante”, così i carraresi la chiamano nell'indecisione, è Frine, una cortigiana vissuta nel IV secolo a.C.,
e lo è sempre stata, fin dalle iniziali intenzioni del suo autore. E Frine con le acque del mare non ha mai avuto nulla a
che vedere.
Era molto bella, di una bellezza pura, e questo sì, aveva in comune con Venere.
Mnesarete (questo il suo vero nome), figlia di una
famiglia aristocratica della Beozia, fu costretta ad
emigrare ad Atene quando ancora era una ragazzina, ed
andò incontro alla povertà.
Si trovò presto un nome d'arte, Frine appunto dal
significato di “rospo”, in perfetta antitesi con la sua
bellezza.
Grazie alla sua indiscutibile avvenenza fisica, mista ad
una importante dose di scaltrezza, fu in grado di
accumulare un ingente patrimonio, divenendo cortigiana
capace di nutrire la passionalità e la mente degli uomini
che cercavano la sua compagnia, sollevandosi così dalle
proprie condizioni familiari (di cui, certo, non andava
fiera).
Era la donna più ammirata dei suoi tempi, divenne la
modella di Prassitele e di Apelle, il pittore caro agli dei,
colui che un giorno dipinse un quadro con dell'uva così realisticamente che uno stormo di uccelli
si fermò per beccarne gli acini.
La fortuna le voltò però le spalle: venne trascinata in tribunale con la grave accusa, punibile con
la morte, di essersi bagnata nelle sacre acque di Eleusi, e di aver inoltre venerato Isodaite, una
nuova dea.
Ma, con un'astuta mossa, il suo difensore - ed amante - Iperide le strappò i veli di dosso,
lasciandola completamente nuda davanti ad un'assemblea sbigottita e adorante delle sue fattezze
perfette e della pelle diafana.
Ecco come racconta l'episodio lo scrittore Mercier de Compiègne: <Questo spettacolo inatteso
produsse in tutta l'assemblea una specie di delirio; sembrò di vedere Venere
stessa, che sotto spoglie mortali aveva lasciato Cipro e Amatonte per ricevere
l'omaggio dei Greci e chiedere la grazia per l'accusata.
La gravità dei giudici lasciò il posto al fascino vincente della meraviglia, del
piacere e dell'ammirazione.
La bocca non trovava l'espressione per rendere il sentimento, ma il silenzio e
l'avidità degli sguardi, un grido generale di simpatia e di compassione tutto
completò il trionfo di Frine.
Era supplicante, piangente, curva sotto il peso dell'accusa: ma compare un
seno, ed ecco che torna la speranza, lei comanda da padrona, sottomette
chiunque posi gli occhi su di lei: “E bene - aggiunge il suo difensore,
approfittando del successo del suo stratagemma se lei è colpevole, chi di voi,
Ateniesi, oserà condannare a morte ciò che la natura ha fatto di più bello?
Osate guardare colei di cui volete versare il sangue, e se ci riuscite,
dimenticate di essere uomini.”
Così disse, e l'Aeropago, dimenticando il suo carattere augusto, riacquistò
unanimemente il senso di umanità. Frine fu dichiarata innocente e portata in
trionfo>.
Frine venne dunque scagionata e, nonostante di lei si perse ogni traccia
appena dopo il processo, l'eco della sua bellezza, divenuta leggendaria, è rimasta nei secoli successivi immutata e
forse persino accresciuta.
Molti storici contestano il denudamento in tribunale. Ma che sia leggenda o realtà, è bello poter credere che l'astuzia
umana sia capace di tanto; è bello poter studiare tempi antichi e trovare aneddoti simili.
Jean-Léon Gérôme dipinse un quadro nel 1861, “Frine davanti l'Aeropago” appunto -, esposto oggi al museo
Kunsthalle di Amburgo.
E Vittorio De Sica in “Altri tempi” del 1951 interpreta un avvocato che, con una coinvolgente e poi vincente arringa, fa assolvere una bellissima popolana, interpretata da Gina Lollobrigida, imputata per aver ucciso la suocera,
solo perché dotata di una bellezza mozzafiato, ricordando quanto accaduto alla stessa Frine, e definendo “arida”
la legge degli uomini che impone di condannare una donna, che invece dovrebbe essere assolta, così come gli
infermi di mente, perché <maggiorata fisica>, pur non potendo in quell'aula ripetere il gesto di Iperide.
Aldo Buttini decise dunque di ritrarre quella etera dell'antica Grecia che tanto fa discutere ancora oggi. La statua, in
marmo bianco di Carrara, è posizionata su di una fontana, creata per la prima (ed unica) festa del marmo voluta dal
regime nel 1934, e spostata in quella che è la sua ubicazione attuale solo negli anni '60.
Frine, nuda e con le braccia che cercano di nasconderle il volto, è contorniata da alcuni bassorilievi raffiguranti dei
putti in un girotondo. Di questi, l'unico cui sono stati disegnati gli occhi, ritrae il figlio dell'artista, morto suicida.
Irene Perfetti