Dai Battuti.. a località turistica Cenni di Storia L`emigrazione

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Dai Battuti.. a località turistica Cenni di Storia L`emigrazione
Pelugo e li avrebbe sostituiti con delle piccole
chiese. La leggenda del passaggio è
iconograficamente confermata negli affreschi
cinquecenteschi della chiesetta di Santo Stefano
di Carisolo e ripresa nel relativamente recente
toponimo di Passo Campo Carlo Magno a
Madonna di Campiglio.
Dai Battuti..
a località turistica
La storia medioevale di Pinzolo vede la
presenza di una delle prime Compagnie dei
Battuti del Trentino.
Durante il XV secolo operarono sul territorio i
Baschenis, famiglia di pittori itineranti che
lasciarono importanti testimonianze artistiche
Le vicende politiche della Rendena e delle
Giudicarie, sottoposte all’amministrazione del
principato vescovile di Trento fin dal 1027,
sono state sempre fortemente condizionate da
eventi occorsi al di fuori dei confini del
principato. Accanto alle intrusioni violente e alle
battaglie tra le signorie lombarde e venete che
pure incisero sul suo destino, l’avvicinanza col
mondo italiano si alimentò di una ininterrotta
tradizione di rapporti economici con i tessuti
produttivi delle realtà padane. Un intreccio di
relazioni che si risolse anche nell’ambito delle
esperienze artistiche che portarono in Rendena,
tra gli altri, i Baschenis, una famiglia di artisti
girovaghi, che tra la metà del 1400 e la metà del
secolo successivo lasciarono segni significativi
della loro arte sulle pareti della maggior parte
delle chiese della valle.
Nel 1823 nacque a Pinzolo Nepomuceno
Bolognini, figura rappresentativa del
Risorgimento trentino, fondatore della SAT,
studioso e divulgatore della storia di Pinzolo.
La prima guerra mondiale ebbe uno dei suoi
più importanti teatri nella zona dell'Adamello e
non risparmiò il paese di Pinzolo.
La povertà diffusa spinse molti valligiani ad
emigrare, spesso come arrotini, alla ricerca di
lavoro e un minimo di benessere.
Nel 1952 fu costituito qui il primo Corpo di
Soccorso Alpino
La Pinzolo turistica nasce d'estate grazie alla
sua posizione di mezza quota, ideale per tutti.
Presto si sviluppa anche il turismo invernale e la
località va sempre più affinando la vocazione di
luogo ideale per la vacanza della famiglia,
in tutte le stagioni.
La peste di manzoniana memoria raggiunse
Pinzolo e la Val Rendena nel 1630: la strage di
uomini fu alimentata dalla endemica debolezza e
dalla povertà della popolazione e aggravata dalla
scarsità di mezzi ricavabili dalla montagna.
Buona parte della comunità adulta e maschile fu
costretta a cercare altrove una speranza per se e
le proprie famiglie.
Cenni di Storia
L’emigrazione
Pinzolo e la Val Rendena
La storia della Val Rendena ebbe inizio durante
l’età del bronzo, epoca in cui avvennero i primi
insediamenti umani tutt’ora riconoscibili nei
castellieri comunitari di Massimeno, Giustino,
Pelugo e Verdesina. La valle fu abitata da
popolazioni celtiche e retiche che
successivamente furono coinvolte nel processo
di Romanizzazione del territorio. Per l’Alto
Medioevo la documentazione non consente
riscontri puntuali, al punto da confondersi con la
leggenda ed i racconti della tradizione orale.
L’emigrazione è un capitolo che ha segnato
la storia della Val Rendena.
L’esodo di migliaia di suoi abitanti è continuato
fin dopo la Seconda Guerra Mondiale, quando il
boom economico ha avuto riflessi anche in valle,
portando sempre più corposi flussi di turisti e
favorendo un miglioramento nelle condizioni di
vita della popolazione residente.
L’origine del paese di Spiazzo Rendena, ad
esempio, appare intimamente legata
all’esistenza di un santuario eretto a memoria
del martirio subito in quel luogo da San Vigilio,
vescovo trentino vissuto all’inizio del 400,
recatosi in Rendena per evangelizzare le
popolazioni ancora fedeli ai culti precristiani di
Saturno e di altri dei.
Il periodo franco appare connotato da una
tradizione suggestiva, sebbene mai provata,
secondo la quale lungo la valle sarebbe
transitato nel 774 l’imperatore germanico Carlo
Magno, diretto in Italia con il suo esercito. Egli
avrebbe abbattuto i castelli di Carisolo e di
L’arrotino, “Come eravamo” a Caderzone
1
del risorgimento trentino, e di Prospero
Marchetti.
Il Bolognini fu anche attento studiosio della
cultura locale rendenese: a lui il merito di aver
compilato con passione, nei suoi numerosi testi
(tra cui “Le Leggende della Rendena”, “Le
Matinade della Rendena”), una sorta di
enciclopedia dei racconti, delle leggende e delle
tradizioni, molte delle quali noi oggi altrimenti
non conosceremmo.
All’inizio del XX secolo l’emigrazione raggiunse
forme consistenti, esportando vere e proprie
specialità professionali: i rendenesi si
dedicarono con maggiore profitto ai mestieri di
arrotino (detti in dialetto “i moleti”; a loro è
dedicato un monumento posto all’ingresso del
paese di Pinzolo), di segantini (cioè di
lavoratori del legno) e di salumai, competenze
esportate negli Stati Uniti, in Argentina, in
Canada ed i molti paesi europei. I salumieri
partivano dal paese di Strembo fin dall’inizio
dell’800 e raggiungevano Mantova e le città della
pianura per vendere i loro insaccati ed in
particolare il gustosissimo “salam da l’ai” (il
salame all’aglio) nel periodo “dai santi
(novembre) fino alla quaresima”, dopodiché
tornavano in Rendena per lavorare i campi ed
attendere l’allevamento del bestiame.
Questa emigrazione specializzata portò con se la
coniazione di un gergo di mestiere, il taron, una
parlata usata all’interno di questa comunità
all’estero ed elaborata allo scopo di non farsi
comprendere nell’esercizio degli affari
alimentando l’identità degli emigranti.
L’economia
Alla fine del secolo scorso all’imbocco della Val
Genova, a Carisolo, era in attività la “fabbrica
dei vetri”, la vetreria, della famiglia Bolognini,
le cui strutture si sono conservate fino ad oggi.
L’economia della Rendena era tuttavia dominata
da ben altre forme produttive: la lavorazione
del legno (artigianato e piccola industria),
l’allevamento e commercio di bestiame, una
scarsissima produzione agricola (soprattutto di
patate).
In valle nel 1712 furono importate dalla
Svizzera delle vacche capostipite della razza
Rendena, particolarmente adattabili al terreno
povero e ricche di latte, razza oggi tra le più
rinomate ed importanti.
Capitolo recente della storia rendenese è la
Prima Guerra Mondiale (1915-1918)
combattuta sui ghiacciai dell’Adamello (da cui il
termine di “guerra bianca” ad indicare l’episodio)
a quote superiori ai 3000 metri con schieramenti
dell’esercito austriaco che fronteggiavano le
parti dei nemici italiani. Il comando austroungarico del gruppo delle forze dell’Adamello
rendenese era stabilito a Pinzolo.
L’arte
Il nome di San Vigilio ricorre spesso nei
luoghi d’arte della Rendena.
A Pinzolo sorge la chiesetta cimiteriale a lui
dedicata: costruita prima del Mille poco fuori
l’abitato di Pinzolo, verso nord, fu rifatta nel XV
secolo e ampliata nel 1515. Tra il 1539 e il 1548
la facciata meridionale dell’edificio fu affrescata
da Simone Baschenis di Averaria con il
motivo iconografico della Danza Macabra: su
una lunghezza di 21 metri si dispongono 40
figure accompagnate da didascalie poetiche in
volgare.
Il soldato, “Come eravamo” a Caderzone
Il paese era già allora meta di un
pionieristico turismo estivo, che puntava ad
ascensioni e traversate nel gruppo AdamelloPresanella e nelle Dolomiti di Brenta. Nel 1864
Julius von Payer conquistò la Cima Adamello, il
Corno Bianco e il Corno di Cavento e, geografo
di professione oltre che alpinista per passione,
dette una cartografia aggiornata delle Dolomiti
di Brenta.
A Pinzolo, inoltre, fu fondata la prima sezione
del Corpo Soccorso Alpino alla fine del XIX
secolo per iniziativa di Nepomuceno
Bolognini, una delle figure più rappresentative
Danza Macabra, Chiesa di S. Vigilio, Pinzolo
2
Per più di ottant’ anni, dal 1474 al 1555, i
Baschenis popolarono con le loro policrome
immagini le facciate di chiese e l’interno di absidi
e cappelle. Intento comune fra committenti ed
artisti, era quello di istruire tramite le immagini,
di esortare ad una vita lontana dal peccato
mediante una sorta di “biblia pauperum” di
medioevale ascendenza.
Sono gli scheletri che ammoniscono con un
messaggio di morte i simboli del potere e la
vanità dei valori dell’uomo medioevale: il Papa, il
cardinale, il re, la ricchezza, la gioventù, la
bellezza. Nella Danza Macabra trova sintesi la
visione cupa e pessimistica della vita, propria di
una sensibilità ancora prettamente medioevale,
dominata dall’idea dell’inesorabilità e
dell’uguaglianza di tutti di fronte alla morte.
Questa “biblia pauperum” consegna tuttavia
anche un messaggio di vita: la morte non è vista
solo come potenza invincibile, ma come realtà
che è stata vinta dal sacrificio di Cristo e dai
meriti di ogni singolo uomo che fa il bene.
Fonti documentarie e “istrumenti di disciplina”
ritrovati nel cimitero di San Vigilio, confermano
come la vita di Pinzolo in quell’epoca fosse
profondamente modellata dalla presenza e dalle
pratiche della Confraternita dei Battuti o
“Fredaya de li Batuti”, una congregazione
religiosa formata da laici dediti ad una
spiritualità fatta di lunghe orazioni, severe
penitenze e di azioni sociali e caritative (la
Confraternita fu sciolta solo nel 1820). La sua
attività getta una luce sulla storia della cultura,
della religiosità e della società di Pinzolo: una
certa vivacità ed indipendenza dei laici rispetto
all’autorevolezza della chiesa si
accompagnavano ad una nuova sensibilità nei
confronti della condizione terrena e una
rinnovata centralità dell’uomo nella società,
attraverso la priorità dei suoi bisogni esistenziali
su quelli della comunità. Secondo la tradizione
sarebbe stata la Confraternita a commissionare
gli affreschi cinquecenteschi – e in specie le due
danze macabre – che campeggiano sulle facciate
esterne delle chiesette di San Vigilio a Pinzolo e
di Santo Stefano a Carisolo.
Chiesa di Santo Stefano, Carisolo
La chiesa di S. Stefano e’ una suggestiva
chiesa arroccata su una rupe granitica che
domina l’intera vallata.
La parte meridionale e’ interamente affrescata
con pitture di Simone Baschenis; tema
centrale è quello della Danza Macabra
sviluppato su due registri (così come in quella di
Pinzolo): nel primo la morte danza ed
ammonisce chi e’ ancora vivo circa la sua
ineluttabilità livellatrice, nel secondo sono
presentati i sette peccati capitali (15191532).
Sulle parti interne, ritroviamo affreschi
risalenti a vari periodi; tra essi la raffigurazione
di San Cristoforo, a sinistra della scalinata
esterna.
La chiesa è gotica su chiara struttura
romanica, fiancheggiata dal campanile a bifore
romaniche. Si vuole sia sorta sull’area di un
castello distrutto da Carlo Magno. I toponimi Sot
Castel, Masdel Castel, fontana del Castel
lasciano supporre che il colle abbia accolto un
castelliere preistorico forse usufruito nell’Alto
Medioevo.
Chiese e Santuari
Carisolo, Chiesetta di S. Martino, medievale
1312
Di origine medioevale, se ne ha memoria a
partire dal 1312, fu custodita fino al 1850 da un
eremita.
Il racconto popolare narra che costui fosse
mantenuto dalla carità dei fedeli.
L’eremita morì in un gelido giorno di gennaio e
le piante di maggiociondolo (in dialetto: egal)
fiorirono avvisando in tal modo la gente del
luttuoso evento.
Pinzolo, Chiesa di San Vigilio
La Chiesa di S. Vigilio fu fondata nel 1362 e
successivamente ampliata nel 1515, ha pianta
rettangolare a 3 navate, con archi e volte a
sesto acuto sorrette da colonne in granito.
La facciata medioevale è ricoperta da affreschi
risalenti ad epoche diverse: il più importante e
singolare per il tema trattato è sicuramente la
ormai famosa “Danza Macabra” che ritroviamo
anche all’esterno della Chiesa di Santo Stefano a
Carisolo.
Entrambi gli affreschi furono realizzati dal pittore
Simone II Baschenis di Averaria che visse
Carisolo, S. Stefano, gotico romanica
Nel periodo artistico di passaggio dal Gotico al
Rinascimentale, molti edifici religiosi del Trentino
sono accomunati dall’opera di una famiglia di
frescanti proveniente da una località
bergamasca, Averaria.
3
tra il 1490 e il 1555 ed è considerato il più
grande e famoso dei numerosi pittori Baschenis,
che affrescarono molte chiese del trentino tra la
metà del 1400 e del 1500.
L’affresco di Pinzolo occupa una fascia alta più di
2 metri e larga più di 22. Come in tutte le Danze
Macabre, anche in quella di Pinzolo, le immagini
sono accompagnate da didascalie; nell’affresco
di Pinzolo ai testi dialettali di tono popolare si
aggiungono citazioni di carattere dotto in lingua
latina o volgare: i primi sono ordinatamente
disposti nella fascia orizzontale che corre sotto le
figure, mentre le altre sono inserite in
cartigli portati dagli stessi scheletri.
Diversamente da quanto avviene in molte
Danze Macabre dell’area franco-germanica, qui
le scritte non presentano la forma di dialogo tra
morto e vivo, bensì quella di un monologo
recitato solo dal morto che invita il vivo ad
entrare nel ballo.
Venne terminato nell’ottobre del 1539, ed
unitamente agli affreschi che si possono vedere
all’interno della chiesa di San Vigilio (sempre
datati 1539), rappresenta nel suo insieme il
maggior complesso pittorico di Simone II
Baschenis di Averaria.
Massimeno, Chiesetta di S. Giovanni
Battista, medievale
Dalla piazzetta del paese, lungo una stradina
ombreggiata da noci, si sale al dosso della
Chiesetta di S. Giovanni Battista, uno degli
elementi del paesaggio culturale caratteristico
della Rendena.
La chiesa è medioevale; fu rimaneggiata nel XVI
secolo e, in tale occasione, fu affrescata da
Simone Baschenis.
Il Corteo della Danza Macabra inizia a sinistra,
con la figura della Morte che suona la
cornamusa: seduta su di una specie di trono, è
incoronata a simbolo del suo assoluto dominio
sull’umanità intera. Vi sono poi in successione 18
personaggi appartenenti alle diverse categorie
religiose e sociali, tra i quali si notano un papa,
un cardinale, un vescovo, un sacerdote, un
frate, un imperatore, un re, una regina ed un
duca. Ad un livello più basso della scala sociale
si incontrano un medico, un guerriero, un ricco
avaro, un giovane vanitoso, un mendicante, ed
infine una monaca, una dama ed un bimbo. Ad
ognuno di questi personaggi, accompagnati dal
proprio scheletro, corrisponde una scritta in
versi, dipinta sotto l’affresco.
A destra irrompe rapida e saettante la Morte –
raffigurata da uno scheletro con la faretra piena
di frecce – che cavalca un bianco cavallo alato
che calpesta i cadaveri a terra. Nell’ultima parte
della fascia si notano S. Michele Arcangelo e il
Diavolo.
Tutto il dipinto rivela un’attenta cura nei
particolari ed un’efficace varietà degli
atteggiamenti e delle espressioni beffarde degli
scheletri.
Chiesa di San Giovanni Battista: 1)Facciata 2) Acquasantiera murata
Sulla facciata principale si apre un grande
portale di granito con croce scolpita
sull’architrave; a sinistra campeggia un S.
Cristoforo affrescato con santi e paesaggio
rendenese sullo sfondo.
Sopra il portale c’è una Madonna con Bambino
e angeli, i santi Antonio Abate e Giovanni
Battista (S. Baschenis).
Nella cornice in basso la data 1533 e il ricordo
del rifacimento del 1694 affidato al Comune di
Massimeno a “Francesco Comiti muratore
comasco”.
L’acquasantiera di granito murata è collegata
ad una singolare leggenda: chi desiderava avere
un figlio metteva la testa nel foro della pietra.
La località dove sorge la chiesa è chiamata
Castèl: sul pianoro subito sopra, m. 890, la
tradizione popolare colloca il primitivo paese di
Massimeno che sarebbe stato sepolto da una
frana o distrutto dal fuoco. Si tratta
probabilmente dell’area di
un castelliere preistorico forse fortificato in
epoca alto medioevale, come fanno sospettare i
toponimi di Guardia e di Torre.
Caderzone, Chiesa di S. Giuliano di Cilicia ,
1292, m.1941
Sulla riva orientale del lago di S. Giuliano c’è
la Chiesetta-santuario dedicata a S.
Interno della Chiesa di S.Vigilio, Pinzolo
4
Giuliano di Cilicia. La chiesa, già celebre per la
sua fonte di “ acqua buona per le febbri”, era un
tempo custodita da un eremita.
La prima notizia è del 1292. Sarebbe stata
ricostruita nel 1488 dai Lodron sul luogo dove
la credenza popolare dice che S. Giuliano si ritirò
a vita cenobitica in espiazione dell’uccisione dei
suoceri per tragico errore di gelosia nei confronti
della sua bella consorte. L’attuale edificio è del
1868.
Nelle estati tra il 1649 e il 1654 amava
soggiornare nell’edificio annesso al tempietto il
principe vescovo Carlo Emanuele Madruzzo.
Pelugo, S. Antonio Abate, affreschi di
Baschenis, 1474
Chiesa di Santa Maria Antica, Madonna di Campiglio
L’istituzione svolse per secoli al sua provvida
funzione in favore dei pellegrini che qui venivano
ospitati e rifocillati con grande generosità.
Col volgere degli anni la primitiva cappella fu
trasformata in un bellissimo santuario a tre
navate con tre altari che durò fino al 1895, anno
in cui fu demolito perché fatiscente. Fu sostituito
con l’attuale chiesetta alpina di stile neogotico,
tutta in granito del luogo, inaugurata il 16
agosto del 1895.
La Casa d’Austria che aveva scelto Madonna di
Campiglio come residenza estiva e, primo fra
tutti, l’Imperatore Francesco Giuseppe, vollero
legare il proprio nome a questo sacro luogo,
donando il pulpito e il confessionale sito in cima
alla navata (sui quali appunto è scritto in
tedesco e in italiano il nome dell’imperatore), il
rivestimento in cirmolo delle pareti del coro con
le figure dei Santi più cari al culto popolare e
alcune delle belle finestre, istoriate a tinte calde
e vivaci.
Su una di queste è raffigurato S. Bartolomeo
apostolo, compatrono della parrocchia, che
impugna il coltello del suo martirio, mentre su di
un’altra campeggia la figura di Carlo Magno che
in alcune diocesi tedesche era venerato come
santo e al cui nome è dedicato il vicino passo.
Spicca sul pavimento la tomba di Franz
Joseph Oesterreicher (1848-1909), figlio
naturale – si dice – dell’imperatore d’Austria. Sui
banchi finemente lavorati si leggono, scritti in
bei caratteri gotici, i nomi dei rispettivi donatori.
Tra essi c’è anche quello della famiglia Righi,
resasi benemerita per l’opera coraggiosa di quel
Gian Battista che fu il pioniere e il principale
promotore dello sviluppo turistico di Madonna di
Campiglio.
L’opera pittorica dei Baschenis, la famiglia di
pittori itineranti bergamaschi, prese inizio nella
chiesa di S. Antonio Abate a Pelugo, dove
Cristoforo, il primo della dinastia a giungere in
terra trentina, firmò nel 1474 un imponente
affresco rappresentante S. Antonio Abate
sopra la porta della chiesa.
Completata con l’aiuto del fratello Simone,
troviamo un tratto caratteristico: nella chiesa di
Sant’Antonio Abate compare per la prima volta
un vero e proprio ciclo dedicato ad un solo
tema e sviluppato con grande numero di
immagini corredata da didascalie in lingua
volgare.
La chiesa ha un’unica navata non molto
ampia, coperta da tetto a capanna sorretto sul
fronte da una capriata. Elemento caratteristico il
campanile a bifore in tipologia romanica con
cuspide ghibellina.
Madonna di Campiglio, Chiesetta di Santa
Maria Antica
Le prime notizie storiche su Madonna di
Campiglio risalgono al 1188 e sono contenute in
una lettera a Corrado II da Beseno, Vesovo di
Trento. In quell’epoca, e più precisamente
attorno al 1180, un certo Raimondo costruì
nella zona un piccolo ospizio “a vantaggio della
propria anima, in onore della Beata Vergine
Maria, Madre di Dio, in aiuto dei poveri e a
difesa dei passanti, presso il Monte Campiglio, in
un luogo solitario ed inabitato, ove spesso chi
transitava, veniva depredato e ucciso”.
Ben presto al buon Raimondo si aggiunsero
altri fedeli che misero in comune i loro beni per
cui, grazie anche alle generose oblazioni dei
benefattori, il monastero-ospizio fu ampliato e
dotato di una cappella dedicata a Maria
Santissima da cui poi la casa e la località
presero il nome.
Nella chiesetta di Santa Maria Antica, da un
punto di vista artistico meritano particolare
attenzione:
1. L’antichissimo Crocifisso, di stile
prettamente nordico, che campeggia nell’arco
del Presbiterio e che risale al secolo XII. Il volto
di Cristo, pur nello strazio dell’enorme ferita al
petto, è soffuso da una serenità e da una pace
infinite, quasi ad esprimere il sentimento di
volontaria accettazione della morte in perfetta
5
da Giovanni XXIII è opera del pittore spagnolo
Joaguin de Angulo y Garcia e riproduce
interpretandolo liberamente un affresco risalente
al 1502 che esiste a Algeciras presso Gibilterra.
L’effige è ora esposta presso la chiesa di Campo
Carlo Magno, eretta nel 1997.
obbedienza al Padre.
2. Il bellissimo trittico della Madonna con
Bambino e Sante (S. Barbara con il calice e S.
Caterina con l’arma del martirio) che troneggia
in mezzo al presbiterio. Le portelle mostrano
quattro episodi della vita della Vergine:
Annunciazione, Presepio, Visitazione, Adorazione
dei Magi. Sul retro delle stesse, figurano quattro
dipinti che rappresentano i più noti Dottori della
Chiesa. Sullo stesso lato si vedono 8 stemmi
gentilizi, il più antico dei quali appartiene al
Vescovo Giovanni IV Hinderbach insigne
benefattore, zelante promotore di questo, come
di altri ospizi della regione (1486). L’insieme è
opera quattrocentesca tra le più pregevoli,
attribuito alla Scuola di Maestro Narciso,
notissima personalità della pittura e della
scultura altoatesina del periodo tardogotico,
importante soprattutto perché nella sua opera i
modi nordici ed in particolare l’arte sveva si
incontrano con le prime esperienze della nostra
Rinascenza.
S. Antonio di Mavignola, Chiesa di S.
Antonio
La chiesa parrocchiale, dal tetto a capanna
molto aggettante, conserva affreschi attribuiti a
Cristoforo Baschenis (primi anni del XVI
secolo) e, probabilmente, ad un altro pittore per
gli affreschi della facciata (1481).
3. La scultura lignea della “Vergine del
Fico” , databile XIV secolo, a cui si rivolsero
numerosi pellegrini per secoli. La Madonna
sprigiona dal suo volto un senso di maestà e di
bontà con cui si accorda perfettamente il gesto
generoso della mano che porge aiuto e ristoro al
pellegrino affaticato dal lungo cammino
Affresco sul portone della Chiesa di S. Antonio, S. Antonio di Mavignola
La facciata, al di sopra del portale di granito
ad architrave accompagnato da due finestrelle e
da quattro gradini, è bellamente affrescata: nella
grande lunetta gotica la Deposizione, ai lati sei
santi e la data 1481. Anche l’interno è
affrescato.
Madonna di Campiglio, Chiesa di Santa
Maria Nuova
Accanto all’antica cappella si trova la nuova
chiesa: fu costruita negli anni 1970-72 su
progetto dell’architetto Marcello Armani di
Trento che riuscì ad armonizzare le esigenze
della liturgia ed i mezzi espressivi propri
dell’architettura moderna.
Baschenis e Danza Macabra
All’occhio del visitatore l’edificio si presenta
con l’andamento irregolare della facciata e del
muro perimetrale che vogliono adattarsi a quello
- pur esso irregolare e imprevisto - della
montagna su cui esso si adagia. Il grande tetto è
modellato, parte a capanna, parte a tenda, quasi
a ricordare che la vita stessa non è che un
momento di passaggio verso una meta più
sicura e definitiva. I materiali impiegati per la
costruzione della chiesa sono essenzialmente
legno e granito.
Particolarità degna di nota è la forma circolare
e digradante dello spazio interno riservato
all’Assemblea dei fedeli che disposti intorno
all’altare avvertono così più vivo il senso della
loro unità e della loro partecipazione alla Mensa
dei figli di Dio.
I Baschenis in Val Rendena
Nel quadro della pittura a fresco trentina un
ruolo del tutto particolare svolgono i Baschenis,
affrescatori itineranti di Averaria, nel
bergamasco.
Per oltre settant'anni fra il 1470 e il 1540 circa,
una decina di loro, padre e figlio, zio e cugino,
nonno e nipote l'uno dell'altro, oltre che nelle
loro terre di origine, furono attivi in dozzine di
chiese delle Valli Giudicarie, Rendena, di Sole, di
Non e di Molveno.
Le loro pitture sono molto omogenee, tanto che
anche per gli esperti in molti casi è difficile
attribuirle all'uno o all'altro. E' un'arte povera di
prospettive, di sfumati e di cura nella resa
anatomica dei corpi, ma ricca di colori, di fede e
di voglia di rendere più consone al culto queste
chiesette.
Dal punto di vista iconografico il bagaglio dei
Baschenis di Averaria è piuttosto compatto.
Bisogna ricordare a tutti che Campiglio è stata
scelta come sede della “Madonna d’Europa”,
speranza e simbolo dell’unificazione spirituale e
morale del continente. La tela che fu benedetta
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Nel particolare dell’Ultima Cena interessante è
l’accurata descrittività degli oggetti sul tavolo:
bicchieri di diversa forma, ampolle di vino bianco
e rosso, gli immancabili pani e pesci. Peculiarità
che si ritrova in altri affreschi è la presenza
d’una specie di gambero rosso, originale nota
di personalizzazione dei Baschenis.
I santi proposti sono sempre quelli, i santi di
una fede semplice ben evidenziati negli attributi
che li contraddistinguono. Le martiri Caterina,
Agata, Lucia e Barbara con la ruota, il seno, gli
occhi e la torre o la pisside. Francesco con le
stigmate, Antonio con il maialino e il bordone,
Martino che taglia in due il mantello, Sebastiano
trafitto dalle frecce, Lorenzo con la graticola,
Rocco che mostra il bubbone. Oltre ovviamente
ai locali Vigilio con lo zoccolo e al "beato"
Simonino ricoperto di ferite e con la sciarpa
bianca attorno al collo. Sullo sfondo maestose
Crocifissioni, sulle pareti tante Ultime Cene.
Sulle volte absidali i quattro Evangelisti ed i
quattro Padri e Dottori della Chiesa, illustrati
in combinazioni originali sempre così
frequentemente da doverli considerare un'altra
costante dell'iconografia bascheniana.
Risalendo la valle lungo il Sarca, due tappe
irrinunciabili: Carisolo e Pinzolo con le rispettive
Danze Macabre.
Carisolo
Con l’impressione di chi si vuol nascondere, la
Chiesa cimiteriale di S. Stefano a Carisolo
appare come antico documento in attesa. Solo
un imponente pino sembra far compagnia al
romanico campaniletto.
Sono le sue pitture a narrare lunghe suggestive
credenze. La parete meridionale affrescata da
Simone nel 1519, come attestano le numerose
firme autografe, correda con didascalie in
volgare le storie di Santo Stefano (entro venti
scomparti), la Danza Macabra (dove le figure,
accoppiate a scheletri, sono disposte in ordine
gerarchico a rappresentazione delle diverse
categorie sociali), i sette vizi capitali.
Anche all’interno l’andamento iconografico, la
ricerca del reale, la disinvoltura delle figure,
veleggiano nell’arte nuova. Sulla parete
meridionale della navata campeggia
l’Annunciazione, d’una freschezza e purezza
rara nell’opera più matura di Simone.
La luminosità cromatica crea un’emozione che
prende immediata. L’intimità e il rispetto di
questi affreschi trasmettono una forza maggiore
di tanta cosiddetta arte colta.
Lo attesta l’impianto scenografico dell’Ultima
Cena, ricchissimo di simboli sacri e biblici, con il
sottostante corteo di santi.
L’affresco del battesimo di un catecumeno
parla della leggenda secondo cui Carlo Magno
avrebbe attraversato la Val Rendena col suo
seguito di vescovi e guerrieri. Sotto questo
affresco, collocato sulla parte di fondo dell’aula,
si conserva una lunga iscrizione in caratteri
gotici che narra del passaggio del re dei
Franchi.
Pelugo
Il primo momento documentato e attendibile,
in ordine cronologico, dell’attività dei Baschenis
in Rendena, è la Chiesa dedicata a S. Antonio
Abate presso Pelugo, solitaria pieve romanica
nella scenografica cornice del gruppo Adamello
Brenta.
Un gigantesco S. Cristoforo sulla facciata
principale, reca un cartiglio con data e nome del
pittore, Dionisio de Avevaria, 1493. Il
Bambino Gesù sulla spalla, poco più grande del
volto del santo, e la posizione frontale, delineano
ancora una forte ieraticità propria di un approcio
artistico ancora pre-rinascimentale.
Maestosa nella ritmica composizione è
l’immagine della Trinità a contorno del gotico
portale. In un cromatico e geometrico equilibrio
si fonde la Croce di Cristo col trono.
Pinzolo
A Pinzolo, a distanza di pochi anni, nel 1539,
Simone Baschenis riprese l’argomento Danza
Macabra che da un punto di vista iconologico era
quasi obbligato in chiese e cimiteri nordici.
Una rappresentazione statica dei Sacri Misteri
che le Compagnie dei Battuti di Pinzolo, segno
dei movimenti religiosi riformisti italiani ,
recitavano sulle vie e piazze per la penitenza
delle folle.
Chiesa di S. Antonio Abate, Pelugo
Un caratteristico fregio decorativo introduce
questa parte affrescata con storie di S. Antonio.
La suddivisione in riquadri e le sottostanti
didascalie in volgare rappresentano un
significativo esempio di “bibbia dei poveri”,
ovvero la semplicità di un comunicare per
immagini.
Dionisio, legato a certi formalismi goticizzanti
di facile simpatia alla sensibilità religiosa
valligiana, decora con storie di Cristo la grande
lunetta interna.
In facile risalto appaiono i tentativi prospettici.
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Datazione e attribuzione degli affreschi sulla
facciata e dell’interno, molto danneggiato, sono
discusse.
Una dolce Madonna in trono, affiancate da
S. Antonio Abate e S. Barbara, allieta assieme
ad angeli musicanti, la parete di fondo.
Il tentativo prospettico del trono e la
distribuzione cromatica, indicano una ormai
accertata componente rinascimentale.
L’influsso rinascimentale e l’alternarsi di più
componenti della dinastia Baschenis è
riconoscibile anche nel fondersi di motivi ancora
tardo gotici, come la croce, e motivi
culturalmente più avanzati come i ricami floreali.
Un’ulteriore, ma consueta iconografia di S.
Antonio è individuabile su un affresco murale di
mano bascheniana sempre a S. Antonio di
Mavignola. Il motivo decorativo schematizzato di
fondo è realizzato nelle tecnica a stampo. Tale
tecnica, tipicamente bascheniana o più
semplicemente quattrocentesca, consentiva di
ripetere diverse tipologie ad ornamento con
un’unica matrice ottenendo una pulizia di
disegno e colore.
Chiesa di San Vigilio, Pinzolo
Un importante momento iconograficoletterario relativo alla morte campeggia sulla
parete sud della chiesa cimiteriale di S. Vigilio a
Pinzolo, la Danza Macabra, che svolge, lungo
circa venti metri il tema del richiamo al
pentimento, al rigetto di ogni presunzione di
casta, alla conversione.
Il monito posto a commento delle immagini
suona cosi:
Giustino
La parrocchiale di S. Lucia di Giustino e
precisamente l’affresco interno della Natività,
datano l’attività di Simone Baschenis al 1540
circa. Interessante la ricerca paesaggistica, il
realismo delle figure alla finestra, le case dal
tetto coperto di paglia.
Il presbiterio della chiesa era decorato con
pitture di Simone, andate perdute in seguito
all’opera di ampliamento dell’edificio, nel 1866.
Molto suggestivo il pannello posto in sacrestia
quale tassello musivo, formato da frammenti e
particolari di volti preventivamente staccati da
resti altrimenti illeggibili, nella decorazione della
chiesa.
“Io sont la Morte che porto corona, sonte signora
de ognia persona at cossa fiera forte et dura che
trapasso le porte et utre le mura et sono quela
che fa tremare el mondo...”.
Tutti devono seguire la triste guida. Vittoriosa
l’idea che la Morte e il tempo sono la sola cosa
che renda tutti uguali.
Luminosi e contrastanti gli scheletri bianchi,
conduttori di forme simboliche, in ogni singolo
corredo allegorico: una teoria di personaggi, dal
papa all’imperatore, danza con gli scheletri che li
accompagnano fino all’incontro con la Morte.
L’epilogo della Danza è il trionfo della morte.
Dal suo cavallo bianco tende l’arco: molti sono a
terra colpiti dalle frecce, e la folla avanza verso il
destino. Anche nel coro, all’interno della chiesa,
l’arte bascheniana si eleva chiara e umana ad
esprimere la fede dei cuori devoti, la
consolazione nell’umiltà della preghiera. Un’arte
che tocca la vita, che si fa vita, efficace ed
accessibile alla comprensione dei più semplici.
La dialettica ”popolare-colto” è il dato più
significativo, radicale per cogliere il principio
ideale lavorativo della Danza Macabra.
Un decorazione unitaria ricopre le pareti e la
volta del presbiterio: la storia di S. Viglilio in 26
episodi, restituiti alla luce grazie ad un delicato
lavoro di restauro, incorniciata da eleganti fregi
rinascimentali.
Panello ligneo nella Chiesa di S. Lucia, Giustino
S. Antonio di Mavignola
Poco distante da Pinzolo, prima di giungere a
Madonna di Campiglio, la parrocchiale di S.
Antonio di Mavignola, dal tetto a capanna
aggettante.
La pulizia formale, il rispetto ai costumi del
tempo, la fedeltà caricaturale di personaggi della
Rendena sono cifre del livello qualitativo
raggiunto dall’arte pittorica di Simone Baschenis.
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minuziosamente la leggendaria spedizione de
re franco da Bergamo in Valle Camonica ed in
Trentino.
In attesa che gli storici facciano piena luce su
questo antico documento non c'è dubbio che la
leggendaria spedizione di Carlo Magno, descritta
minuziosamente nel "Privilegio di Santo Stefano"
di Carisolo, trova precisi riscontri e conserva,
ancora oggi, a distanza di tanti secoli, un fascino
straordinario...
Massimeno
Danneggiati appaiono i dipinti esterni ed
interni dell’antichissima Chiesa di S. Giovanni
Battista a Massimeno.
Per tutte le informazioni sulla leggendaria
spedizione di Carlo Magno, visita il
sito: www.carolusmagnus.it
Chiesa di S. Giovanni Battista, Massimeno
Chiesetta nascosta nel verde, alta e panoramica
sulla Val Rendena. Il bel S. Cristoforo che
campeggia sulla facciata, opera di Simone, è
rapportabile al modulo iconografico- simbolico
tipico degli Averaria.
Affresco della leggendaria spedizione di Carlo Magno dipinto da Simone
Baschenis (1519), Chiesa di S. Stefano, Carisolo
Leggende e Tradizione
Javrè
La Chiesetta di S. Valentino all’estremità
dell’omonima valle, scrigno di antichi affreschi di
Dionisio, fu costruita per il “mal delle bestie”,
ovvero a benedizione delle mandrie che si
muovevano all’alpeggio dei ricchi pascoli
attorno.
L’interno della chiesetta è arricchito dal
programma iconografico ideato da Simone
Baschenis: il Padreterno e l’Annunciazione
sulle due vele di centro, gli Evangelisti seduti
su vaporose nuvole, i Dottori della chiesa
intorno.
A Javrè, frazione di Villa Rendena, i Baschenis
de Averaria lasciarono tracce di sé nella
decorazione della chiesa parrocchiale di S. Maria
Assunta.Siamo in data 1543.
La parete di fondo absidale offre una
particolareggiata e colta Crocifissione. Ultima
fatica di Simone prima di far ritorno alla sua
Lombardia. Interessante il particolare dello
scorpione sullo stendardo.
La composizione prospettica dei personaggi, la
cura dell’abbigliamento, il verosimile del bianco
cavallo, sono fattori che rivelano il progressivo,
ma unitario procedere dei Baschenis nella
cultura dell’arte; un itinerario figurativo e
culturale modulato sulle facciate e sulle pareti
dei templi religiosi in Val Rendena.
La cultura popolare della Rendena, esuberante
nelle sue manifestazioni, sta impoverendosi per
la graduale sovrapposizione della cultura
imposta dall’economia turistica e del
consumismo. Restano tuttora tracce di
antichissime espressioni letterarie, quali le laudi
della compagnia medievale dei Battutti, ormai
solo oggetto di indagine storica, e delle canzoni
popolari a carattere amoroso, le “maitinade” (i
componimenti che gli amanti eseguivano non la
sera, ma all’alba), satire e poemetti
improvvisati dai cantastorie, i “satari”, e i balli
comunitari, le “manfrine”.
Molti i racconti e le credenze diffuse in
Rendena che richiamano i cicli nordici e palesano
reminiscenze altomedievali. Tra gli argomenti: il
mostro del lago di Nambino, il Volpàt del Lago di
Ritorto, il pane che non lievita a Mortaso dopo
l’uccisione di S. Vigilio, l’ebreo di Pelugo
impiccato da Carlo Magno, il raccoglitore di
“rasa” (resina) e il misterioso uomo dai
marenghi d’oro, i tesori custoditi dagli spiriti o
dal diavolo, le streghe che si possono incontrare
la notte dell’Epifania ai crocicchi delle strade dei
campi, le gesta della “lega dei baldanza”, la
spartizione dei masi, l’agrifoglio e il
maggiociondolo di S. Martino, il “martel”
(mortella) di S. Stefano, il dare il letto ai morti,
la fata di Nardis che insegna a caserare ai
pastori, il Bedù (fiume) rosso di sangue per le
lotte tra pastori, il “tirar al gal” di Bocenago, le
usanze ritualistico-allegoriche legate alle
ricorrenze cristiane del Natale – Epifania e della
Settimana Santa.
La leggendaria spedizione di Carlo
Magno
La lunga scritta murale del 1500, proprio alla
base del grande affresco, risale a pergamene
ancora più antiche. Essa descrive
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La Valle di Genova, tra le più significative
dell’intero arco alpino per l’aggressività
selvaggia e la concentrazione di paesaggi
naturali molto vari e spettacolari, ha sempre
impressionato la fantasia dei montanari che
l’hanno frequentata fin dall’antichità. Da qui
derivano le leggende e le credenze popolari che
l’avvolgono, conferendole un pizzico di
misteriosa suggestività.
Cort da Togno
SPIAZZO
tel. 0465 801544
MUSEI :
Mostra della Guerra Bianca Adamellina
1915-1918
Indirizzo: c/o Scuole Medie, Spiazzo Rendena
Telefono e Fax: 0465 801544
Descrizione: Sorto nel 1973 per iniziativa di due
cugini Giovanni Pellizzari e Sergio Collini in
memoria dei soldati caduti durante la Grande
Guerra, questo Museo raccoglie e ripropone
quanto si è potuto recuperare dai ghiacciai
dell'Adamello che la Grande Guerra ha lasciato.
Materiale bellico, effetti personali, capi di
vestiario, slitte, sci, che unitamente ad una
numerosa raccolta di documenti, fotografie e
libri offrono al visitatore una documentata
informazione dei fatti della Prima Guerra
Mondiale. Costituitasi in Associazione Culturale è
stata recentemente riconosciuta dalla Provincia
di Trento quale Mostra Permanente; attualmente
la Mostra è ospitata presso le Scuole Medie di
Spiazzo Rendena.
Museo della Malga
Indirizzo: Rione Lodron-Bertelli, Caderzone
Telefono e Fax: 0465 804899
E-mail: [email protected]
Descrizione: Museo monotematico sul lavoro
svolto presso gli alpeggi sparsi sul territorio delle
Giudicarie; mette in mostra gli strumenti che il
tempo e l'esperienza hanno perfezionato per la
lavorazione del latte e dei suoi derivati.
Si articola presso il piano terreno delle scuderie
del Rione Lodron-Bertelli a Caderzone in Val
Rendena.
Orario di apertura: dal 01/06 al 30/09 ore
15,00-19,00 (lunedì chiuso)
dal 01/10 al 31/05 ore 8,00-12,30 (sabato,
domenica, lunedì chiuso)
Cascate Nardis, Val Genova
Si vuole, tra l’altro, che i Padri del Concilio di
Trento, vi abbiano relegato streghe e diavoli.
Molti dei toponimi della valle, legati a curiosità
naturalistiche, sono poeticamente espressivi: la
Preda da la Luna (il sasso della luna), Pebordù, il
Saltum Malum o Tof del Mal Neò (il dirupo del
cattivo nipote), Il Dos de la Chosina (il dosso
della cucina), i Tovi de l’acqua, l’Or de Folgòrida,
l’Or dei Chioch.
Nepomuceno Bolognini, colonnello
garibaldino nativo di Pinzolo ed appassionato
etnografo della sua terra, battezzò con nomi
fiabeschi i macigni erratici che si incontrano
risalendo la valle, attribuendo a ciascuno l’onore
di un racconto: Zampa da Gal, Schena da Mul,
Specchi delle Streghe, Calcarot, Coa de Caval,
Manarot, l’Orco, il Belaial e il Pontirol, la Cazetta
rossa, il Polpalpegastro e Barzola.
Centro Glaciologico "Julius Payer"
Centro Glaciologico
Tel. 0461 981871
Il Centro Glaciologico "Julius Payer" al Mandron
sull'Adamello, a 2430 m di quota, viene
inaugurato nel 1994. Intitolato al Payer,
l'ufficiale austriaco che fu tra i primi scalatori
dell'Adamello (1864) , è frutto del lavoro della
SAT (Società Alpinisti Trentini) con la
collaborazione del Museo Trentino di Scienze
Naturali. Tra le sue finalità ci sono lo studio e la
divulgazione delle conoscenze in campo
glaciologico, in particolare del Gruppo Adamello Presanella. Alestito nel vecchio Rifugio Mandron,
presenta una mostra permanente sui ghiacciai e
l'ambiente montano. Vi si tengono corsi di studio
con la possibilità di soggiorno, grazie
all'appoggio del vicino rifugio Città di Trento.
Raggiungibile dalla Val di Genova.
Palazzi, Masi, Corti e Musei
PALAZZI, MASI E CORTI :
Palazzo Bertelli
via Regina Elena, 45 - CADERZONE
tel. 0465 804214
Maso Curio "ca da mont"
via Regina Elena, 42 - CADERZONE
tel. 0465 804214
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