Dai Battuti.. a località turistica Cenni di Storia L`emigrazione
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Dai Battuti.. a località turistica Cenni di Storia L`emigrazione
Pelugo e li avrebbe sostituiti con delle piccole chiese. La leggenda del passaggio è iconograficamente confermata negli affreschi cinquecenteschi della chiesetta di Santo Stefano di Carisolo e ripresa nel relativamente recente toponimo di Passo Campo Carlo Magno a Madonna di Campiglio. Dai Battuti.. a località turistica La storia medioevale di Pinzolo vede la presenza di una delle prime Compagnie dei Battuti del Trentino. Durante il XV secolo operarono sul territorio i Baschenis, famiglia di pittori itineranti che lasciarono importanti testimonianze artistiche Le vicende politiche della Rendena e delle Giudicarie, sottoposte all’amministrazione del principato vescovile di Trento fin dal 1027, sono state sempre fortemente condizionate da eventi occorsi al di fuori dei confini del principato. Accanto alle intrusioni violente e alle battaglie tra le signorie lombarde e venete che pure incisero sul suo destino, l’avvicinanza col mondo italiano si alimentò di una ininterrotta tradizione di rapporti economici con i tessuti produttivi delle realtà padane. Un intreccio di relazioni che si risolse anche nell’ambito delle esperienze artistiche che portarono in Rendena, tra gli altri, i Baschenis, una famiglia di artisti girovaghi, che tra la metà del 1400 e la metà del secolo successivo lasciarono segni significativi della loro arte sulle pareti della maggior parte delle chiese della valle. Nel 1823 nacque a Pinzolo Nepomuceno Bolognini, figura rappresentativa del Risorgimento trentino, fondatore della SAT, studioso e divulgatore della storia di Pinzolo. La prima guerra mondiale ebbe uno dei suoi più importanti teatri nella zona dell'Adamello e non risparmiò il paese di Pinzolo. La povertà diffusa spinse molti valligiani ad emigrare, spesso come arrotini, alla ricerca di lavoro e un minimo di benessere. Nel 1952 fu costituito qui il primo Corpo di Soccorso Alpino La Pinzolo turistica nasce d'estate grazie alla sua posizione di mezza quota, ideale per tutti. Presto si sviluppa anche il turismo invernale e la località va sempre più affinando la vocazione di luogo ideale per la vacanza della famiglia, in tutte le stagioni. La peste di manzoniana memoria raggiunse Pinzolo e la Val Rendena nel 1630: la strage di uomini fu alimentata dalla endemica debolezza e dalla povertà della popolazione e aggravata dalla scarsità di mezzi ricavabili dalla montagna. Buona parte della comunità adulta e maschile fu costretta a cercare altrove una speranza per se e le proprie famiglie. Cenni di Storia L’emigrazione Pinzolo e la Val Rendena La storia della Val Rendena ebbe inizio durante l’età del bronzo, epoca in cui avvennero i primi insediamenti umani tutt’ora riconoscibili nei castellieri comunitari di Massimeno, Giustino, Pelugo e Verdesina. La valle fu abitata da popolazioni celtiche e retiche che successivamente furono coinvolte nel processo di Romanizzazione del territorio. Per l’Alto Medioevo la documentazione non consente riscontri puntuali, al punto da confondersi con la leggenda ed i racconti della tradizione orale. L’emigrazione è un capitolo che ha segnato la storia della Val Rendena. L’esodo di migliaia di suoi abitanti è continuato fin dopo la Seconda Guerra Mondiale, quando il boom economico ha avuto riflessi anche in valle, portando sempre più corposi flussi di turisti e favorendo un miglioramento nelle condizioni di vita della popolazione residente. L’origine del paese di Spiazzo Rendena, ad esempio, appare intimamente legata all’esistenza di un santuario eretto a memoria del martirio subito in quel luogo da San Vigilio, vescovo trentino vissuto all’inizio del 400, recatosi in Rendena per evangelizzare le popolazioni ancora fedeli ai culti precristiani di Saturno e di altri dei. Il periodo franco appare connotato da una tradizione suggestiva, sebbene mai provata, secondo la quale lungo la valle sarebbe transitato nel 774 l’imperatore germanico Carlo Magno, diretto in Italia con il suo esercito. Egli avrebbe abbattuto i castelli di Carisolo e di L’arrotino, “Come eravamo” a Caderzone 1 del risorgimento trentino, e di Prospero Marchetti. Il Bolognini fu anche attento studiosio della cultura locale rendenese: a lui il merito di aver compilato con passione, nei suoi numerosi testi (tra cui “Le Leggende della Rendena”, “Le Matinade della Rendena”), una sorta di enciclopedia dei racconti, delle leggende e delle tradizioni, molte delle quali noi oggi altrimenti non conosceremmo. All’inizio del XX secolo l’emigrazione raggiunse forme consistenti, esportando vere e proprie specialità professionali: i rendenesi si dedicarono con maggiore profitto ai mestieri di arrotino (detti in dialetto “i moleti”; a loro è dedicato un monumento posto all’ingresso del paese di Pinzolo), di segantini (cioè di lavoratori del legno) e di salumai, competenze esportate negli Stati Uniti, in Argentina, in Canada ed i molti paesi europei. I salumieri partivano dal paese di Strembo fin dall’inizio dell’800 e raggiungevano Mantova e le città della pianura per vendere i loro insaccati ed in particolare il gustosissimo “salam da l’ai” (il salame all’aglio) nel periodo “dai santi (novembre) fino alla quaresima”, dopodiché tornavano in Rendena per lavorare i campi ed attendere l’allevamento del bestiame. Questa emigrazione specializzata portò con se la coniazione di un gergo di mestiere, il taron, una parlata usata all’interno di questa comunità all’estero ed elaborata allo scopo di non farsi comprendere nell’esercizio degli affari alimentando l’identità degli emigranti. L’economia Alla fine del secolo scorso all’imbocco della Val Genova, a Carisolo, era in attività la “fabbrica dei vetri”, la vetreria, della famiglia Bolognini, le cui strutture si sono conservate fino ad oggi. L’economia della Rendena era tuttavia dominata da ben altre forme produttive: la lavorazione del legno (artigianato e piccola industria), l’allevamento e commercio di bestiame, una scarsissima produzione agricola (soprattutto di patate). In valle nel 1712 furono importate dalla Svizzera delle vacche capostipite della razza Rendena, particolarmente adattabili al terreno povero e ricche di latte, razza oggi tra le più rinomate ed importanti. Capitolo recente della storia rendenese è la Prima Guerra Mondiale (1915-1918) combattuta sui ghiacciai dell’Adamello (da cui il termine di “guerra bianca” ad indicare l’episodio) a quote superiori ai 3000 metri con schieramenti dell’esercito austriaco che fronteggiavano le parti dei nemici italiani. Il comando austroungarico del gruppo delle forze dell’Adamello rendenese era stabilito a Pinzolo. L’arte Il nome di San Vigilio ricorre spesso nei luoghi d’arte della Rendena. A Pinzolo sorge la chiesetta cimiteriale a lui dedicata: costruita prima del Mille poco fuori l’abitato di Pinzolo, verso nord, fu rifatta nel XV secolo e ampliata nel 1515. Tra il 1539 e il 1548 la facciata meridionale dell’edificio fu affrescata da Simone Baschenis di Averaria con il motivo iconografico della Danza Macabra: su una lunghezza di 21 metri si dispongono 40 figure accompagnate da didascalie poetiche in volgare. Il soldato, “Come eravamo” a Caderzone Il paese era già allora meta di un pionieristico turismo estivo, che puntava ad ascensioni e traversate nel gruppo AdamelloPresanella e nelle Dolomiti di Brenta. Nel 1864 Julius von Payer conquistò la Cima Adamello, il Corno Bianco e il Corno di Cavento e, geografo di professione oltre che alpinista per passione, dette una cartografia aggiornata delle Dolomiti di Brenta. A Pinzolo, inoltre, fu fondata la prima sezione del Corpo Soccorso Alpino alla fine del XIX secolo per iniziativa di Nepomuceno Bolognini, una delle figure più rappresentative Danza Macabra, Chiesa di S. Vigilio, Pinzolo 2 Per più di ottant’ anni, dal 1474 al 1555, i Baschenis popolarono con le loro policrome immagini le facciate di chiese e l’interno di absidi e cappelle. Intento comune fra committenti ed artisti, era quello di istruire tramite le immagini, di esortare ad una vita lontana dal peccato mediante una sorta di “biblia pauperum” di medioevale ascendenza. Sono gli scheletri che ammoniscono con un messaggio di morte i simboli del potere e la vanità dei valori dell’uomo medioevale: il Papa, il cardinale, il re, la ricchezza, la gioventù, la bellezza. Nella Danza Macabra trova sintesi la visione cupa e pessimistica della vita, propria di una sensibilità ancora prettamente medioevale, dominata dall’idea dell’inesorabilità e dell’uguaglianza di tutti di fronte alla morte. Questa “biblia pauperum” consegna tuttavia anche un messaggio di vita: la morte non è vista solo come potenza invincibile, ma come realtà che è stata vinta dal sacrificio di Cristo e dai meriti di ogni singolo uomo che fa il bene. Fonti documentarie e “istrumenti di disciplina” ritrovati nel cimitero di San Vigilio, confermano come la vita di Pinzolo in quell’epoca fosse profondamente modellata dalla presenza e dalle pratiche della Confraternita dei Battuti o “Fredaya de li Batuti”, una congregazione religiosa formata da laici dediti ad una spiritualità fatta di lunghe orazioni, severe penitenze e di azioni sociali e caritative (la Confraternita fu sciolta solo nel 1820). La sua attività getta una luce sulla storia della cultura, della religiosità e della società di Pinzolo: una certa vivacità ed indipendenza dei laici rispetto all’autorevolezza della chiesa si accompagnavano ad una nuova sensibilità nei confronti della condizione terrena e una rinnovata centralità dell’uomo nella società, attraverso la priorità dei suoi bisogni esistenziali su quelli della comunità. Secondo la tradizione sarebbe stata la Confraternita a commissionare gli affreschi cinquecenteschi – e in specie le due danze macabre – che campeggiano sulle facciate esterne delle chiesette di San Vigilio a Pinzolo e di Santo Stefano a Carisolo. Chiesa di Santo Stefano, Carisolo La chiesa di S. Stefano e’ una suggestiva chiesa arroccata su una rupe granitica che domina l’intera vallata. La parte meridionale e’ interamente affrescata con pitture di Simone Baschenis; tema centrale è quello della Danza Macabra sviluppato su due registri (così come in quella di Pinzolo): nel primo la morte danza ed ammonisce chi e’ ancora vivo circa la sua ineluttabilità livellatrice, nel secondo sono presentati i sette peccati capitali (15191532). Sulle parti interne, ritroviamo affreschi risalenti a vari periodi; tra essi la raffigurazione di San Cristoforo, a sinistra della scalinata esterna. La chiesa è gotica su chiara struttura romanica, fiancheggiata dal campanile a bifore romaniche. Si vuole sia sorta sull’area di un castello distrutto da Carlo Magno. I toponimi Sot Castel, Masdel Castel, fontana del Castel lasciano supporre che il colle abbia accolto un castelliere preistorico forse usufruito nell’Alto Medioevo. Chiese e Santuari Carisolo, Chiesetta di S. Martino, medievale 1312 Di origine medioevale, se ne ha memoria a partire dal 1312, fu custodita fino al 1850 da un eremita. Il racconto popolare narra che costui fosse mantenuto dalla carità dei fedeli. L’eremita morì in un gelido giorno di gennaio e le piante di maggiociondolo (in dialetto: egal) fiorirono avvisando in tal modo la gente del luttuoso evento. Pinzolo, Chiesa di San Vigilio La Chiesa di S. Vigilio fu fondata nel 1362 e successivamente ampliata nel 1515, ha pianta rettangolare a 3 navate, con archi e volte a sesto acuto sorrette da colonne in granito. La facciata medioevale è ricoperta da affreschi risalenti ad epoche diverse: il più importante e singolare per il tema trattato è sicuramente la ormai famosa “Danza Macabra” che ritroviamo anche all’esterno della Chiesa di Santo Stefano a Carisolo. Entrambi gli affreschi furono realizzati dal pittore Simone II Baschenis di Averaria che visse Carisolo, S. Stefano, gotico romanica Nel periodo artistico di passaggio dal Gotico al Rinascimentale, molti edifici religiosi del Trentino sono accomunati dall’opera di una famiglia di frescanti proveniente da una località bergamasca, Averaria. 3 tra il 1490 e il 1555 ed è considerato il più grande e famoso dei numerosi pittori Baschenis, che affrescarono molte chiese del trentino tra la metà del 1400 e del 1500. L’affresco di Pinzolo occupa una fascia alta più di 2 metri e larga più di 22. Come in tutte le Danze Macabre, anche in quella di Pinzolo, le immagini sono accompagnate da didascalie; nell’affresco di Pinzolo ai testi dialettali di tono popolare si aggiungono citazioni di carattere dotto in lingua latina o volgare: i primi sono ordinatamente disposti nella fascia orizzontale che corre sotto le figure, mentre le altre sono inserite in cartigli portati dagli stessi scheletri. Diversamente da quanto avviene in molte Danze Macabre dell’area franco-germanica, qui le scritte non presentano la forma di dialogo tra morto e vivo, bensì quella di un monologo recitato solo dal morto che invita il vivo ad entrare nel ballo. Venne terminato nell’ottobre del 1539, ed unitamente agli affreschi che si possono vedere all’interno della chiesa di San Vigilio (sempre datati 1539), rappresenta nel suo insieme il maggior complesso pittorico di Simone II Baschenis di Averaria. Massimeno, Chiesetta di S. Giovanni Battista, medievale Dalla piazzetta del paese, lungo una stradina ombreggiata da noci, si sale al dosso della Chiesetta di S. Giovanni Battista, uno degli elementi del paesaggio culturale caratteristico della Rendena. La chiesa è medioevale; fu rimaneggiata nel XVI secolo e, in tale occasione, fu affrescata da Simone Baschenis. Il Corteo della Danza Macabra inizia a sinistra, con la figura della Morte che suona la cornamusa: seduta su di una specie di trono, è incoronata a simbolo del suo assoluto dominio sull’umanità intera. Vi sono poi in successione 18 personaggi appartenenti alle diverse categorie religiose e sociali, tra i quali si notano un papa, un cardinale, un vescovo, un sacerdote, un frate, un imperatore, un re, una regina ed un duca. Ad un livello più basso della scala sociale si incontrano un medico, un guerriero, un ricco avaro, un giovane vanitoso, un mendicante, ed infine una monaca, una dama ed un bimbo. Ad ognuno di questi personaggi, accompagnati dal proprio scheletro, corrisponde una scritta in versi, dipinta sotto l’affresco. A destra irrompe rapida e saettante la Morte – raffigurata da uno scheletro con la faretra piena di frecce – che cavalca un bianco cavallo alato che calpesta i cadaveri a terra. Nell’ultima parte della fascia si notano S. Michele Arcangelo e il Diavolo. Tutto il dipinto rivela un’attenta cura nei particolari ed un’efficace varietà degli atteggiamenti e delle espressioni beffarde degli scheletri. Chiesa di San Giovanni Battista: 1)Facciata 2) Acquasantiera murata Sulla facciata principale si apre un grande portale di granito con croce scolpita sull’architrave; a sinistra campeggia un S. Cristoforo affrescato con santi e paesaggio rendenese sullo sfondo. Sopra il portale c’è una Madonna con Bambino e angeli, i santi Antonio Abate e Giovanni Battista (S. Baschenis). Nella cornice in basso la data 1533 e il ricordo del rifacimento del 1694 affidato al Comune di Massimeno a “Francesco Comiti muratore comasco”. L’acquasantiera di granito murata è collegata ad una singolare leggenda: chi desiderava avere un figlio metteva la testa nel foro della pietra. La località dove sorge la chiesa è chiamata Castèl: sul pianoro subito sopra, m. 890, la tradizione popolare colloca il primitivo paese di Massimeno che sarebbe stato sepolto da una frana o distrutto dal fuoco. Si tratta probabilmente dell’area di un castelliere preistorico forse fortificato in epoca alto medioevale, come fanno sospettare i toponimi di Guardia e di Torre. Caderzone, Chiesa di S. Giuliano di Cilicia , 1292, m.1941 Sulla riva orientale del lago di S. Giuliano c’è la Chiesetta-santuario dedicata a S. Interno della Chiesa di S.Vigilio, Pinzolo 4 Giuliano di Cilicia. La chiesa, già celebre per la sua fonte di “ acqua buona per le febbri”, era un tempo custodita da un eremita. La prima notizia è del 1292. Sarebbe stata ricostruita nel 1488 dai Lodron sul luogo dove la credenza popolare dice che S. Giuliano si ritirò a vita cenobitica in espiazione dell’uccisione dei suoceri per tragico errore di gelosia nei confronti della sua bella consorte. L’attuale edificio è del 1868. Nelle estati tra il 1649 e il 1654 amava soggiornare nell’edificio annesso al tempietto il principe vescovo Carlo Emanuele Madruzzo. Pelugo, S. Antonio Abate, affreschi di Baschenis, 1474 Chiesa di Santa Maria Antica, Madonna di Campiglio L’istituzione svolse per secoli al sua provvida funzione in favore dei pellegrini che qui venivano ospitati e rifocillati con grande generosità. Col volgere degli anni la primitiva cappella fu trasformata in un bellissimo santuario a tre navate con tre altari che durò fino al 1895, anno in cui fu demolito perché fatiscente. Fu sostituito con l’attuale chiesetta alpina di stile neogotico, tutta in granito del luogo, inaugurata il 16 agosto del 1895. La Casa d’Austria che aveva scelto Madonna di Campiglio come residenza estiva e, primo fra tutti, l’Imperatore Francesco Giuseppe, vollero legare il proprio nome a questo sacro luogo, donando il pulpito e il confessionale sito in cima alla navata (sui quali appunto è scritto in tedesco e in italiano il nome dell’imperatore), il rivestimento in cirmolo delle pareti del coro con le figure dei Santi più cari al culto popolare e alcune delle belle finestre, istoriate a tinte calde e vivaci. Su una di queste è raffigurato S. Bartolomeo apostolo, compatrono della parrocchia, che impugna il coltello del suo martirio, mentre su di un’altra campeggia la figura di Carlo Magno che in alcune diocesi tedesche era venerato come santo e al cui nome è dedicato il vicino passo. Spicca sul pavimento la tomba di Franz Joseph Oesterreicher (1848-1909), figlio naturale – si dice – dell’imperatore d’Austria. Sui banchi finemente lavorati si leggono, scritti in bei caratteri gotici, i nomi dei rispettivi donatori. Tra essi c’è anche quello della famiglia Righi, resasi benemerita per l’opera coraggiosa di quel Gian Battista che fu il pioniere e il principale promotore dello sviluppo turistico di Madonna di Campiglio. L’opera pittorica dei Baschenis, la famiglia di pittori itineranti bergamaschi, prese inizio nella chiesa di S. Antonio Abate a Pelugo, dove Cristoforo, il primo della dinastia a giungere in terra trentina, firmò nel 1474 un imponente affresco rappresentante S. Antonio Abate sopra la porta della chiesa. Completata con l’aiuto del fratello Simone, troviamo un tratto caratteristico: nella chiesa di Sant’Antonio Abate compare per la prima volta un vero e proprio ciclo dedicato ad un solo tema e sviluppato con grande numero di immagini corredata da didascalie in lingua volgare. La chiesa ha un’unica navata non molto ampia, coperta da tetto a capanna sorretto sul fronte da una capriata. Elemento caratteristico il campanile a bifore in tipologia romanica con cuspide ghibellina. Madonna di Campiglio, Chiesetta di Santa Maria Antica Le prime notizie storiche su Madonna di Campiglio risalgono al 1188 e sono contenute in una lettera a Corrado II da Beseno, Vesovo di Trento. In quell’epoca, e più precisamente attorno al 1180, un certo Raimondo costruì nella zona un piccolo ospizio “a vantaggio della propria anima, in onore della Beata Vergine Maria, Madre di Dio, in aiuto dei poveri e a difesa dei passanti, presso il Monte Campiglio, in un luogo solitario ed inabitato, ove spesso chi transitava, veniva depredato e ucciso”. Ben presto al buon Raimondo si aggiunsero altri fedeli che misero in comune i loro beni per cui, grazie anche alle generose oblazioni dei benefattori, il monastero-ospizio fu ampliato e dotato di una cappella dedicata a Maria Santissima da cui poi la casa e la località presero il nome. Nella chiesetta di Santa Maria Antica, da un punto di vista artistico meritano particolare attenzione: 1. L’antichissimo Crocifisso, di stile prettamente nordico, che campeggia nell’arco del Presbiterio e che risale al secolo XII. Il volto di Cristo, pur nello strazio dell’enorme ferita al petto, è soffuso da una serenità e da una pace infinite, quasi ad esprimere il sentimento di volontaria accettazione della morte in perfetta 5 da Giovanni XXIII è opera del pittore spagnolo Joaguin de Angulo y Garcia e riproduce interpretandolo liberamente un affresco risalente al 1502 che esiste a Algeciras presso Gibilterra. L’effige è ora esposta presso la chiesa di Campo Carlo Magno, eretta nel 1997. obbedienza al Padre. 2. Il bellissimo trittico della Madonna con Bambino e Sante (S. Barbara con il calice e S. Caterina con l’arma del martirio) che troneggia in mezzo al presbiterio. Le portelle mostrano quattro episodi della vita della Vergine: Annunciazione, Presepio, Visitazione, Adorazione dei Magi. Sul retro delle stesse, figurano quattro dipinti che rappresentano i più noti Dottori della Chiesa. Sullo stesso lato si vedono 8 stemmi gentilizi, il più antico dei quali appartiene al Vescovo Giovanni IV Hinderbach insigne benefattore, zelante promotore di questo, come di altri ospizi della regione (1486). L’insieme è opera quattrocentesca tra le più pregevoli, attribuito alla Scuola di Maestro Narciso, notissima personalità della pittura e della scultura altoatesina del periodo tardogotico, importante soprattutto perché nella sua opera i modi nordici ed in particolare l’arte sveva si incontrano con le prime esperienze della nostra Rinascenza. S. Antonio di Mavignola, Chiesa di S. Antonio La chiesa parrocchiale, dal tetto a capanna molto aggettante, conserva affreschi attribuiti a Cristoforo Baschenis (primi anni del XVI secolo) e, probabilmente, ad un altro pittore per gli affreschi della facciata (1481). 3. La scultura lignea della “Vergine del Fico” , databile XIV secolo, a cui si rivolsero numerosi pellegrini per secoli. La Madonna sprigiona dal suo volto un senso di maestà e di bontà con cui si accorda perfettamente il gesto generoso della mano che porge aiuto e ristoro al pellegrino affaticato dal lungo cammino Affresco sul portone della Chiesa di S. Antonio, S. Antonio di Mavignola La facciata, al di sopra del portale di granito ad architrave accompagnato da due finestrelle e da quattro gradini, è bellamente affrescata: nella grande lunetta gotica la Deposizione, ai lati sei santi e la data 1481. Anche l’interno è affrescato. Madonna di Campiglio, Chiesa di Santa Maria Nuova Accanto all’antica cappella si trova la nuova chiesa: fu costruita negli anni 1970-72 su progetto dell’architetto Marcello Armani di Trento che riuscì ad armonizzare le esigenze della liturgia ed i mezzi espressivi propri dell’architettura moderna. Baschenis e Danza Macabra All’occhio del visitatore l’edificio si presenta con l’andamento irregolare della facciata e del muro perimetrale che vogliono adattarsi a quello - pur esso irregolare e imprevisto - della montagna su cui esso si adagia. Il grande tetto è modellato, parte a capanna, parte a tenda, quasi a ricordare che la vita stessa non è che un momento di passaggio verso una meta più sicura e definitiva. I materiali impiegati per la costruzione della chiesa sono essenzialmente legno e granito. Particolarità degna di nota è la forma circolare e digradante dello spazio interno riservato all’Assemblea dei fedeli che disposti intorno all’altare avvertono così più vivo il senso della loro unità e della loro partecipazione alla Mensa dei figli di Dio. I Baschenis in Val Rendena Nel quadro della pittura a fresco trentina un ruolo del tutto particolare svolgono i Baschenis, affrescatori itineranti di Averaria, nel bergamasco. Per oltre settant'anni fra il 1470 e il 1540 circa, una decina di loro, padre e figlio, zio e cugino, nonno e nipote l'uno dell'altro, oltre che nelle loro terre di origine, furono attivi in dozzine di chiese delle Valli Giudicarie, Rendena, di Sole, di Non e di Molveno. Le loro pitture sono molto omogenee, tanto che anche per gli esperti in molti casi è difficile attribuirle all'uno o all'altro. E' un'arte povera di prospettive, di sfumati e di cura nella resa anatomica dei corpi, ma ricca di colori, di fede e di voglia di rendere più consone al culto queste chiesette. Dal punto di vista iconografico il bagaglio dei Baschenis di Averaria è piuttosto compatto. Bisogna ricordare a tutti che Campiglio è stata scelta come sede della “Madonna d’Europa”, speranza e simbolo dell’unificazione spirituale e morale del continente. La tela che fu benedetta 6 Nel particolare dell’Ultima Cena interessante è l’accurata descrittività degli oggetti sul tavolo: bicchieri di diversa forma, ampolle di vino bianco e rosso, gli immancabili pani e pesci. Peculiarità che si ritrova in altri affreschi è la presenza d’una specie di gambero rosso, originale nota di personalizzazione dei Baschenis. I santi proposti sono sempre quelli, i santi di una fede semplice ben evidenziati negli attributi che li contraddistinguono. Le martiri Caterina, Agata, Lucia e Barbara con la ruota, il seno, gli occhi e la torre o la pisside. Francesco con le stigmate, Antonio con il maialino e il bordone, Martino che taglia in due il mantello, Sebastiano trafitto dalle frecce, Lorenzo con la graticola, Rocco che mostra il bubbone. Oltre ovviamente ai locali Vigilio con lo zoccolo e al "beato" Simonino ricoperto di ferite e con la sciarpa bianca attorno al collo. Sullo sfondo maestose Crocifissioni, sulle pareti tante Ultime Cene. Sulle volte absidali i quattro Evangelisti ed i quattro Padri e Dottori della Chiesa, illustrati in combinazioni originali sempre così frequentemente da doverli considerare un'altra costante dell'iconografia bascheniana. Risalendo la valle lungo il Sarca, due tappe irrinunciabili: Carisolo e Pinzolo con le rispettive Danze Macabre. Carisolo Con l’impressione di chi si vuol nascondere, la Chiesa cimiteriale di S. Stefano a Carisolo appare come antico documento in attesa. Solo un imponente pino sembra far compagnia al romanico campaniletto. Sono le sue pitture a narrare lunghe suggestive credenze. La parete meridionale affrescata da Simone nel 1519, come attestano le numerose firme autografe, correda con didascalie in volgare le storie di Santo Stefano (entro venti scomparti), la Danza Macabra (dove le figure, accoppiate a scheletri, sono disposte in ordine gerarchico a rappresentazione delle diverse categorie sociali), i sette vizi capitali. Anche all’interno l’andamento iconografico, la ricerca del reale, la disinvoltura delle figure, veleggiano nell’arte nuova. Sulla parete meridionale della navata campeggia l’Annunciazione, d’una freschezza e purezza rara nell’opera più matura di Simone. La luminosità cromatica crea un’emozione che prende immediata. L’intimità e il rispetto di questi affreschi trasmettono una forza maggiore di tanta cosiddetta arte colta. Lo attesta l’impianto scenografico dell’Ultima Cena, ricchissimo di simboli sacri e biblici, con il sottostante corteo di santi. L’affresco del battesimo di un catecumeno parla della leggenda secondo cui Carlo Magno avrebbe attraversato la Val Rendena col suo seguito di vescovi e guerrieri. Sotto questo affresco, collocato sulla parte di fondo dell’aula, si conserva una lunga iscrizione in caratteri gotici che narra del passaggio del re dei Franchi. Pelugo Il primo momento documentato e attendibile, in ordine cronologico, dell’attività dei Baschenis in Rendena, è la Chiesa dedicata a S. Antonio Abate presso Pelugo, solitaria pieve romanica nella scenografica cornice del gruppo Adamello Brenta. Un gigantesco S. Cristoforo sulla facciata principale, reca un cartiglio con data e nome del pittore, Dionisio de Avevaria, 1493. Il Bambino Gesù sulla spalla, poco più grande del volto del santo, e la posizione frontale, delineano ancora una forte ieraticità propria di un approcio artistico ancora pre-rinascimentale. Maestosa nella ritmica composizione è l’immagine della Trinità a contorno del gotico portale. In un cromatico e geometrico equilibrio si fonde la Croce di Cristo col trono. Pinzolo A Pinzolo, a distanza di pochi anni, nel 1539, Simone Baschenis riprese l’argomento Danza Macabra che da un punto di vista iconologico era quasi obbligato in chiese e cimiteri nordici. Una rappresentazione statica dei Sacri Misteri che le Compagnie dei Battuti di Pinzolo, segno dei movimenti religiosi riformisti italiani , recitavano sulle vie e piazze per la penitenza delle folle. Chiesa di S. Antonio Abate, Pelugo Un caratteristico fregio decorativo introduce questa parte affrescata con storie di S. Antonio. La suddivisione in riquadri e le sottostanti didascalie in volgare rappresentano un significativo esempio di “bibbia dei poveri”, ovvero la semplicità di un comunicare per immagini. Dionisio, legato a certi formalismi goticizzanti di facile simpatia alla sensibilità religiosa valligiana, decora con storie di Cristo la grande lunetta interna. In facile risalto appaiono i tentativi prospettici. 7 Datazione e attribuzione degli affreschi sulla facciata e dell’interno, molto danneggiato, sono discusse. Una dolce Madonna in trono, affiancate da S. Antonio Abate e S. Barbara, allieta assieme ad angeli musicanti, la parete di fondo. Il tentativo prospettico del trono e la distribuzione cromatica, indicano una ormai accertata componente rinascimentale. L’influsso rinascimentale e l’alternarsi di più componenti della dinastia Baschenis è riconoscibile anche nel fondersi di motivi ancora tardo gotici, come la croce, e motivi culturalmente più avanzati come i ricami floreali. Un’ulteriore, ma consueta iconografia di S. Antonio è individuabile su un affresco murale di mano bascheniana sempre a S. Antonio di Mavignola. Il motivo decorativo schematizzato di fondo è realizzato nelle tecnica a stampo. Tale tecnica, tipicamente bascheniana o più semplicemente quattrocentesca, consentiva di ripetere diverse tipologie ad ornamento con un’unica matrice ottenendo una pulizia di disegno e colore. Chiesa di San Vigilio, Pinzolo Un importante momento iconograficoletterario relativo alla morte campeggia sulla parete sud della chiesa cimiteriale di S. Vigilio a Pinzolo, la Danza Macabra, che svolge, lungo circa venti metri il tema del richiamo al pentimento, al rigetto di ogni presunzione di casta, alla conversione. Il monito posto a commento delle immagini suona cosi: Giustino La parrocchiale di S. Lucia di Giustino e precisamente l’affresco interno della Natività, datano l’attività di Simone Baschenis al 1540 circa. Interessante la ricerca paesaggistica, il realismo delle figure alla finestra, le case dal tetto coperto di paglia. Il presbiterio della chiesa era decorato con pitture di Simone, andate perdute in seguito all’opera di ampliamento dell’edificio, nel 1866. Molto suggestivo il pannello posto in sacrestia quale tassello musivo, formato da frammenti e particolari di volti preventivamente staccati da resti altrimenti illeggibili, nella decorazione della chiesa. “Io sont la Morte che porto corona, sonte signora de ognia persona at cossa fiera forte et dura che trapasso le porte et utre le mura et sono quela che fa tremare el mondo...”. Tutti devono seguire la triste guida. Vittoriosa l’idea che la Morte e il tempo sono la sola cosa che renda tutti uguali. Luminosi e contrastanti gli scheletri bianchi, conduttori di forme simboliche, in ogni singolo corredo allegorico: una teoria di personaggi, dal papa all’imperatore, danza con gli scheletri che li accompagnano fino all’incontro con la Morte. L’epilogo della Danza è il trionfo della morte. Dal suo cavallo bianco tende l’arco: molti sono a terra colpiti dalle frecce, e la folla avanza verso il destino. Anche nel coro, all’interno della chiesa, l’arte bascheniana si eleva chiara e umana ad esprimere la fede dei cuori devoti, la consolazione nell’umiltà della preghiera. Un’arte che tocca la vita, che si fa vita, efficace ed accessibile alla comprensione dei più semplici. La dialettica ”popolare-colto” è il dato più significativo, radicale per cogliere il principio ideale lavorativo della Danza Macabra. Un decorazione unitaria ricopre le pareti e la volta del presbiterio: la storia di S. Viglilio in 26 episodi, restituiti alla luce grazie ad un delicato lavoro di restauro, incorniciata da eleganti fregi rinascimentali. Panello ligneo nella Chiesa di S. Lucia, Giustino S. Antonio di Mavignola Poco distante da Pinzolo, prima di giungere a Madonna di Campiglio, la parrocchiale di S. Antonio di Mavignola, dal tetto a capanna aggettante. La pulizia formale, il rispetto ai costumi del tempo, la fedeltà caricaturale di personaggi della Rendena sono cifre del livello qualitativo raggiunto dall’arte pittorica di Simone Baschenis. 8 minuziosamente la leggendaria spedizione de re franco da Bergamo in Valle Camonica ed in Trentino. In attesa che gli storici facciano piena luce su questo antico documento non c'è dubbio che la leggendaria spedizione di Carlo Magno, descritta minuziosamente nel "Privilegio di Santo Stefano" di Carisolo, trova precisi riscontri e conserva, ancora oggi, a distanza di tanti secoli, un fascino straordinario... Massimeno Danneggiati appaiono i dipinti esterni ed interni dell’antichissima Chiesa di S. Giovanni Battista a Massimeno. Per tutte le informazioni sulla leggendaria spedizione di Carlo Magno, visita il sito: www.carolusmagnus.it Chiesa di S. Giovanni Battista, Massimeno Chiesetta nascosta nel verde, alta e panoramica sulla Val Rendena. Il bel S. Cristoforo che campeggia sulla facciata, opera di Simone, è rapportabile al modulo iconografico- simbolico tipico degli Averaria. Affresco della leggendaria spedizione di Carlo Magno dipinto da Simone Baschenis (1519), Chiesa di S. Stefano, Carisolo Leggende e Tradizione Javrè La Chiesetta di S. Valentino all’estremità dell’omonima valle, scrigno di antichi affreschi di Dionisio, fu costruita per il “mal delle bestie”, ovvero a benedizione delle mandrie che si muovevano all’alpeggio dei ricchi pascoli attorno. L’interno della chiesetta è arricchito dal programma iconografico ideato da Simone Baschenis: il Padreterno e l’Annunciazione sulle due vele di centro, gli Evangelisti seduti su vaporose nuvole, i Dottori della chiesa intorno. A Javrè, frazione di Villa Rendena, i Baschenis de Averaria lasciarono tracce di sé nella decorazione della chiesa parrocchiale di S. Maria Assunta.Siamo in data 1543. La parete di fondo absidale offre una particolareggiata e colta Crocifissione. Ultima fatica di Simone prima di far ritorno alla sua Lombardia. Interessante il particolare dello scorpione sullo stendardo. La composizione prospettica dei personaggi, la cura dell’abbigliamento, il verosimile del bianco cavallo, sono fattori che rivelano il progressivo, ma unitario procedere dei Baschenis nella cultura dell’arte; un itinerario figurativo e culturale modulato sulle facciate e sulle pareti dei templi religiosi in Val Rendena. La cultura popolare della Rendena, esuberante nelle sue manifestazioni, sta impoverendosi per la graduale sovrapposizione della cultura imposta dall’economia turistica e del consumismo. Restano tuttora tracce di antichissime espressioni letterarie, quali le laudi della compagnia medievale dei Battutti, ormai solo oggetto di indagine storica, e delle canzoni popolari a carattere amoroso, le “maitinade” (i componimenti che gli amanti eseguivano non la sera, ma all’alba), satire e poemetti improvvisati dai cantastorie, i “satari”, e i balli comunitari, le “manfrine”. Molti i racconti e le credenze diffuse in Rendena che richiamano i cicli nordici e palesano reminiscenze altomedievali. Tra gli argomenti: il mostro del lago di Nambino, il Volpàt del Lago di Ritorto, il pane che non lievita a Mortaso dopo l’uccisione di S. Vigilio, l’ebreo di Pelugo impiccato da Carlo Magno, il raccoglitore di “rasa” (resina) e il misterioso uomo dai marenghi d’oro, i tesori custoditi dagli spiriti o dal diavolo, le streghe che si possono incontrare la notte dell’Epifania ai crocicchi delle strade dei campi, le gesta della “lega dei baldanza”, la spartizione dei masi, l’agrifoglio e il maggiociondolo di S. Martino, il “martel” (mortella) di S. Stefano, il dare il letto ai morti, la fata di Nardis che insegna a caserare ai pastori, il Bedù (fiume) rosso di sangue per le lotte tra pastori, il “tirar al gal” di Bocenago, le usanze ritualistico-allegoriche legate alle ricorrenze cristiane del Natale – Epifania e della Settimana Santa. La leggendaria spedizione di Carlo Magno La lunga scritta murale del 1500, proprio alla base del grande affresco, risale a pergamene ancora più antiche. Essa descrive 9 La Valle di Genova, tra le più significative dell’intero arco alpino per l’aggressività selvaggia e la concentrazione di paesaggi naturali molto vari e spettacolari, ha sempre impressionato la fantasia dei montanari che l’hanno frequentata fin dall’antichità. Da qui derivano le leggende e le credenze popolari che l’avvolgono, conferendole un pizzico di misteriosa suggestività. Cort da Togno SPIAZZO tel. 0465 801544 MUSEI : Mostra della Guerra Bianca Adamellina 1915-1918 Indirizzo: c/o Scuole Medie, Spiazzo Rendena Telefono e Fax: 0465 801544 Descrizione: Sorto nel 1973 per iniziativa di due cugini Giovanni Pellizzari e Sergio Collini in memoria dei soldati caduti durante la Grande Guerra, questo Museo raccoglie e ripropone quanto si è potuto recuperare dai ghiacciai dell'Adamello che la Grande Guerra ha lasciato. Materiale bellico, effetti personali, capi di vestiario, slitte, sci, che unitamente ad una numerosa raccolta di documenti, fotografie e libri offrono al visitatore una documentata informazione dei fatti della Prima Guerra Mondiale. Costituitasi in Associazione Culturale è stata recentemente riconosciuta dalla Provincia di Trento quale Mostra Permanente; attualmente la Mostra è ospitata presso le Scuole Medie di Spiazzo Rendena. Museo della Malga Indirizzo: Rione Lodron-Bertelli, Caderzone Telefono e Fax: 0465 804899 E-mail: [email protected] Descrizione: Museo monotematico sul lavoro svolto presso gli alpeggi sparsi sul territorio delle Giudicarie; mette in mostra gli strumenti che il tempo e l'esperienza hanno perfezionato per la lavorazione del latte e dei suoi derivati. Si articola presso il piano terreno delle scuderie del Rione Lodron-Bertelli a Caderzone in Val Rendena. Orario di apertura: dal 01/06 al 30/09 ore 15,00-19,00 (lunedì chiuso) dal 01/10 al 31/05 ore 8,00-12,30 (sabato, domenica, lunedì chiuso) Cascate Nardis, Val Genova Si vuole, tra l’altro, che i Padri del Concilio di Trento, vi abbiano relegato streghe e diavoli. Molti dei toponimi della valle, legati a curiosità naturalistiche, sono poeticamente espressivi: la Preda da la Luna (il sasso della luna), Pebordù, il Saltum Malum o Tof del Mal Neò (il dirupo del cattivo nipote), Il Dos de la Chosina (il dosso della cucina), i Tovi de l’acqua, l’Or de Folgòrida, l’Or dei Chioch. Nepomuceno Bolognini, colonnello garibaldino nativo di Pinzolo ed appassionato etnografo della sua terra, battezzò con nomi fiabeschi i macigni erratici che si incontrano risalendo la valle, attribuendo a ciascuno l’onore di un racconto: Zampa da Gal, Schena da Mul, Specchi delle Streghe, Calcarot, Coa de Caval, Manarot, l’Orco, il Belaial e il Pontirol, la Cazetta rossa, il Polpalpegastro e Barzola. Centro Glaciologico "Julius Payer" Centro Glaciologico Tel. 0461 981871 Il Centro Glaciologico "Julius Payer" al Mandron sull'Adamello, a 2430 m di quota, viene inaugurato nel 1994. Intitolato al Payer, l'ufficiale austriaco che fu tra i primi scalatori dell'Adamello (1864) , è frutto del lavoro della SAT (Società Alpinisti Trentini) con la collaborazione del Museo Trentino di Scienze Naturali. Tra le sue finalità ci sono lo studio e la divulgazione delle conoscenze in campo glaciologico, in particolare del Gruppo Adamello Presanella. Alestito nel vecchio Rifugio Mandron, presenta una mostra permanente sui ghiacciai e l'ambiente montano. Vi si tengono corsi di studio con la possibilità di soggiorno, grazie all'appoggio del vicino rifugio Città di Trento. Raggiungibile dalla Val di Genova. Palazzi, Masi, Corti e Musei PALAZZI, MASI E CORTI : Palazzo Bertelli via Regina Elena, 45 - CADERZONE tel. 0465 804214 Maso Curio "ca da mont" via Regina Elena, 42 - CADERZONE tel. 0465 804214 10