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rivista del dal 1928 M E N S I L E N . 3 M A R Z O 2 0 0 9 € 3,50 Berlino 59 La rivincita del cinema a sud del mondo Sfida tra giganti I Monsters di Katzenberg e il genio di Miyazaki Colpo di fulmine Mastandrea e la Golino in Giulia non esce la sera BIGGER THAN LIFE fondazione ente™ dello spettacolo La vita oltre la morte: l’eredità di Stanley Kubrick a dieci anni dalla scomparsa Poste Italiane SpA - Sped. in Abb. Post. - D.I. 353/2003 (conv. in L. 27.02.2004, n° 46), art. 1, comma 1, DCB Milano [email protected] rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo Nuova serie - Anno 79 N. 3 marzo 2009 In copertina Stanley Kubrick pu nt i di vist a DIRETTORE RESPONSABILE Dario Edoardo Viganò CAPOREDATTORE Marina Sanna REDAZIONE Gianluca Arnone, Federico Pontiggia, Valerio Sammarco CONTATTI [email protected] PROGETTO GRAFICO P.R.C. - Roma ART DIRECTOR Alessandro Palmieri HANNO COLLABORATO Giulio Brillarelli, Gianluigi Ceccarelli, Pietro Coccia, Silvio Danese, Antonio D’Olivo, Massimo Favia, Bruno Fornara, Antonio Fucito, Jean-Pierre Hippo, Enrico Magrelli, Massimo Monteleone, Franco Montini, Morando Morandini, Roberto Nepoti, Peppino Ortoleva, Luca Pallanch, Anna Maria Pasetti, Giorgia Priolo, Marco Spagnoli, Paolo Travisi REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE DI ROMA N. 380 del 25 luglio 1986 Iscrizione al R.O.C. n. 15183 del 21/05/2007 STAMPA Società Tipografica Romana S.r.l. - Via Carpi 19 - 00040 Pomezia (RM) Finita di stampare nel mese di febbraio 2009 MARKETING E ADVERTISING Eureka! S.r.l. - Via L. Soderini, 47 - 20146 Milano Tel./Fax: 02-45497366 - Cell. 335-5428.710 e-mail: [email protected] DISTRIBUTORE ESCLUSIVO ME.PE. MILANO ABBONAMENTI ABBONAMENTO PER L’ITALIA (10 numeri) 30,00 euro ABBONAMENTO PER L’ESTERO (10 numeri) 110 euro SERVIZIO CORTESIA S.A.V.E. Srl, Fiano Romano (RM) tel. 0765.452243 Fax 0765.452201 [email protected]. PROPRIETA’ ED EDITORE PRESIDENTE Dario Edoardo Viganò DIRETTORE Antonio Urrata UFFICIO STAMPA [email protected] COMUNICAZIONE E SVILUPPO Franco Conta [email protected] Oscar e cinema d’autore Gli 81°Academy Awards ci hanno insegnato qualcosa: lì, la legge dei grandi numeri non vale. The Millionaire (15 milioni di dollari di budget) vince su Il curioso caso di Benjamin Button (150 milioni): 8 statuette a 3. Davide batte Golia, con la favola indiana di Boyle che si assicura i premi più importanti: miglior film, regia, sceneggiatura non originale, fotografia, montaggio, colonna sonora, canzone originale e suono. Vittoria annunciata, come quella di Kate Winslet tra le interpreti, di Ledger tra i non protagonisti, e di Wall.E per l’animazione. Meno prevedibili gli Oscar a Sean Penn (Milk), preferito a Mickey Rourke (The Wrestler) tra gli attori protagonisti, e al giapponese Departures tra i film stranieri, categoria nella quale i giurati dell’Academy, dopo l’esclusione di Gomorra, hanno fatto un’altra vittima eccellente: il favoritissimo Valzer con Bashir. Stanley Kubrick nel decennale della morte, ci aiutano a riflettere sull’evoluzione del cinema d’autore, alla luce anche del prepotente ritorno “degli autori” nel nostro paese. Tra questi vanno annoverati sicuramente Giuseppe Piccioni e Marco Risi, nelle sale con Giulia non esce la sera e Fortapasc, opere tematicamente agli antipodi – l’una intimista, l’altra d’impegno civile – che condividono però un’idea forte di cinema, tanto etica quanto estetica. L’Italia che aspetta i suoi autori è la stessa che piange i suoi grandi. Se n’è andato il 19 febbraio scorso Oreste Lionello. Romano doc, garbato come la sua satira, trasformista a teatro, E a proposito di premi al “Una due giorni ospitata inconfondibile al cinema, dove cinema, vale la pena ricordare dall’Ambasciata di Francia per tutti resterà la voce di il riconoscimento che la a Roma che ha coinvolto Woody Allen. Al suo alter ego nostra Fondazione ha tributato studiosi di fama americano ha regalato, con le al Cinema con la “c” afasie e i sospiri, una fisionomia, maiuscola: il convegno di internazionale” un carattere riconoscibile, studi sulla Nouvelle Vague. l’irresistibile fascino di un Una due giorni ospitata imbranato cronico. E a noi una dall’Ambasciata di Francia a profonda nostalgia rasserenata dall’epitaffio Roma che ha coinvolto studiosi di fama più bello, quello che si era scritto da solo: internazionale, sulla forza dirompente del “Che cos’è la vita? Una grande piscina: ogni movimento e le ricadute su presente e futuro della settima arte, 50 anni dopo la proiezione a tanto uno nuovo ci si tuffa, cioè nasce, e un altro ne esce, cioè muore...ma l’acqua non Cannes de I quattrocento colpi. Iniziative che, come lo speciale dedicato in questo numero a viene mai cambiata”. COORDINAMENTO SEGRETERIA Marisa Meoni [email protected] DIREZIONE E AMMINISTRAZIONE Via G. Palombini, 6 - 00165 Roma - Tel. 06.66.37.455 - Fax 06-66.37.321 [email protected] Associato all’USPI Unione Stampa - Periodica Italiana Iniziativa realizzata con il contributo della Direzione Generale Cinema - Ministero per i Beni e le Attività Culturali La testata fruisce dei contributi statali diretti di cui alla legge 7 agosto 1990, n. 250 marzo 2009 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo 5 www.chanel.com La Linea di CHANEL - Numero con addebito ripartito 840.000.210 (0,08 € al minuto) s o m m a r io n. 3 marz o 2009 SERVIZI 20 Quel che resta degli Oscar The Millionaire pigliatutto. Sean Penn mette KO Rourke FILM DEL MESE 54 58 60 62 62 63 63 22 Berlino Sudamericana L’esordio del Perù in competizione premiato con l’Orso d’Oro: La teta asustada. Attenzione a The Messenger PERSONAGGI 48 Katzenberg in 3D La rivoluzione animata in casa DreamWorks inizia con Mostri contro alieni 64 65 65 66 66 67 68 68 Gran Torino Live! Giulia non esce la sera Verso l’Eden I Love Shopping L'onda La verità è che non gli piaci abbastanza Due partite Ponyo sulla scogliera Two Lovers The International La Pantera rosa 2 Watchmen Nemico pubblico n.1 L’istinto di morte Louise & Michel 51 Tradizione Miyazaki Emozioni in mare aperto con la pesciolina Ponyo, ultima creatura dello Studio Ghibli Renée Zellweger in cerca di marito a Berlino - Foto Pietro Coccia Jeffrey Katzenberg della DreamWorks 26 COVER Clint Eastwood sul set di Gran Torino Impero Kubrick Decennale di un’assenza, tra leggende ed eterne chimere: misteri, odissee e orizzonti nell’universo filmico di un grande maestro som ma rio Ponyo sulla scogliera di Hayao Miyazaki 18 Hollywood Ending 10 Ruga per la vittoria: Demi Moore, Michelle Pfeiffer e Renée Zellweger al tappeto con gli Orsi Morandini in pillole La scomparsa di Harold Pinter e il silenzio dei quotidiani 72 Dvd & Satellite 12 Circolazione extracorporea Dai Marginalia di Edgar Allan Poe alla frammentazione dei modelli di comunicazione 14 Glamorous News e tendenze: guerra aperta tra Hilary Duff e Faye Dunaway, bacio al veleno per Harry Potter 16 Colpo d’occhio Niente statuetta né marito per la Hathaway. Provaci ancora Anne Doppio Mabuse di Lang da collezione, tutto Bourne in Blu-ray e Fenech in orbita 78 Borsa del cinema Opere prime disperse in sala, rischio invisibilità. Distribuzione nel mondo arabo: parla Chakra 80 Libri Orson Welles riletto da Mereghetti, Bogdanovich racconta Chi c’è in quel film? 82 Colonne sonore Alexandre Desplat per Benjamin Button. Springsteen canta The Wrestler pensieri e parole Quello che gli altri non dicono: riflessioni a posteriori di un critico DOC MORANDINI in pillole di Morando Morandini Ignoranza Sabato 27 dicembre 2008, con una sola eccezione, nessun importante quotidiano italiano ha dato in prima pagina la notizia della morte di Harold Pinter che se ne è andato, come Beckett, alla vigilia di Natale. L’eccezione è “il Manifesto”, che gli ha dedicato il titolo di prima pagina con una grande fotografia e l’inizio di un articolo di Gianfranco Capitta. Il critico ricorda, tra l’altro, che dopo l’11 settembre 2001 Pinter disse: “Ho pensato subito che era prevedibile, in qualche modo inevitabile, dopo tanti anni di terrorismo di Stato, che potesse, esserci una reazione così violenta”. Il titolo è “Messaggero d’amore”. Si riferisce alla versione italiana di un memorabile film di Joseph Losey (The Go Between, 1970) di cui Pinter scrisse la sceneggiatura, in cui si ascolta questa battuta: “Il passato è un paese straniero”, ricalcato molti anni dopo da Gianrico Carofiglio nel romanzo Il passato è una terra straniera e nel film omonimo di Daniele Vicari. Quando in qualche giuria giornalistica/letteraria, con due pizzichi di provocazione sostengo che “il Manifesto” è il quotidiano più culturale della penisola, mi prendono per un fanatico marlen (marxistaleninista). Ma perché non si dovrebbe sindacare, cioè sottoporre a controlli e giudizi, il pubblico? 10 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo Insindacabile? Sul n. 22 del “Giornale dello Spettacolo” ho letto un fondo pagina titolato “Fa discutere Albakiara” dal quale apprendo che il film non è costato 1,2 milioni di euro e nemmeno 2, ma 3 milioni, come afferma Alessandro Usai, amministratore delegato Mikado che l’ha coprodotto e distribuito. Pur non avendo capito i motivi dell’imponente fiducia preventiva sul successo di pubblico, non intervengo nella discussione perché non m’interessa. Ho qualcosa da eccepire, però, sulla conclusione di Usai: “In questo mestiere strano e imprevedibile, la sola cosa certa è che il pubblico è l’unico insindacabile giudice del film. A questo ogni buon distributore, produttore, regista dovrebbe rassegnarsi”. Già la parola “giudice” applicata ai critici non mi garba perché un buon critico non dovrebbe essere soltanto un giudice, ma perché non si dovrebbe sindacare, cioè sottoporre a controlli e giudizi, il pubblico? Almeno nel campo della comunicazione e dell’espressione non c’è nulla e nessuno di insindacabile. Da molti anni in Italia i cittadini sopra i 14 anni che vanno al cinema sono una minoranza che non supera il 20%, 1 su 5. Mi occorrerebbe un lungo articolo per analizzare il comportamento e indicare i torti di questa minoranza. Nella quale, anzitutto, c’è un diffuso pregiudizio negativo verso i film italiani. marzo 2009 FINE PEN(N)A MAI VISIONI FORZATE E INDULTI CRITICI In principio era Caos calmo, poi è successo di tutto: Ferrari trasformate in Por(s)che, Moretti in Brando. Con querela finale: Bertolucci contro Grimaldi, a suon di tango. #### La verità è che non gli piaci abbastanza: più di un titolo, una confessione allo spettatore… #### Rubicondi e alla Ventura: così gli alfieri tricolori al Los Angeles, Italia Film, Fashion and Art Festival. Cinema o no, il miglior modo di superare la crisi è sempre lo stesso: esportarla… #### Schwarzenegger e Stallone per la prima volta insieme: è The Expendables, letteralmente “I sacrificabili”... #### Monteleone vs. Comencini: Due partite, una palla, zero punti… ALMOST (IN)FAMOUS: DALLE STALLE ALLE STARLETTE “Liberamente tratto dall’ Otello di Shakespeare”: è lo Iago di Volfango De Biasi, con Nicolas Vaporidis e la Desdemona Laura Chiatti. Pronta la contromossa inglese: Mr. Bean dirigerà Divine Comedy, con Camilla e Carlo nel ruolo di Beatrice e Dante. STOP L’unico party post Oscar? Quello di Madonna. E Hollywood si riscopre pia. STOP Ponyo sulla scogliera: anime e cozze… STOP Violante Placido è Moana Pozzi per Sky: il grande incubo di papà Michele? STOP Dopo il (tentato) suicidio, il ritorno: Owen Wilson ritrova Kate Hudson, l’attrice di Come farsi lasciare in 10 giorni, Le divorce e Quando meno te lo aspetti… Federico Pontiggia circolazione extracorporea Fruizioni multiple nell’era della riproducibilità a cura di Peppino Ortoleva A PEZZI E BOCCONI Il processo dominante non è “l’insediarsi del giornalismo al posto delle dissertazioni”, ma il mutare della comunicazione in informazione manipolabile “VIVIAMO IN UN’EPOCA in cui la concisione, la condensazione, la pre-digestione si impongono al posto della voluminosità... Abbiamo bisogno dell’artiglieria leggera, non delle armi di grande gittata dell’intelletto. Certo, non penso che gli uomini di oggi pensino più profondamente di quanto facessero mezzo secolo fa, ma non c’è dubbio che pensino più rapidamente, e in modo più organizzato, con più metodo e con meno gonfiori nel pensiero. A parte questo, gli uomini di oggi hanno molto più materiale per pensare; hanno più fatti su cui ragionare”. Così scriveva Edgar Allan Poe in uno dei suoi Marginalia del settembre 1845, dedicato allo sviluppo delle riviste e del giornalismo a spese del consumo di libri e della letteratura. Poe non si faceva lodatore del presente o profeta di chi sa quale rivoluzione culturale, semplicemente cercava di comprendere lo spirito dei tempi. È anche per questo che la sua nota letta oggi suona così attuale. Siamo di fronte a una svolta di portata simile a quella che lui descriveva: oggi però il processo dominante non è “l’insediarsi del giornalismo al posto delle dissertazioni” ma la trasformazione di tutti i tipi di comunicazione in informazione manipolabile dopo essere stata segmentata in unità ridotte e compresse. Ridotte in termini di durata, compresse in termini di contenuto, per adeguarsi non solo a una disponibilità sempre minore di tempo ma anche da un lato alle esigenze di una gestione dell’informazione stessa per mezzo di banche dati, dall’altro a uno dei problemi più caratteristici della nostra epoca: la segmentazione del tempo, la difficoltà di trovare due ore filate per leggere un testo, per immergersi in una mostra. Per guardare un film. La circolazione extracorporea del cinema risponIl trailer è una forma de alle regole della concisione e della compressione: è una forma di compressione il trailer, lo è di compressione, la sintesi in tre minuti dei contenuti di un film, o così come la sintesi la selezione della sola scena “culminante”. La compressione giornalistica dei fatti e dei pensieri in tre minuti dei di cui parlava Poe è entrata col passare dei de- contenuti di un film cenni nelle nostre abitudini diventando per noi seconda natura. Per contro, la frammentazione e compressione dei film esercitata da YouTube e dalla rete più in generale sul cinema, arte che per un verso è frutto essa stessa di un processo di sintesi e di compressione (il montaggio), per un altro è arte della durata al pari della musica, continua ad apparirci una forma di violenza: un intervento arbitrario e artificioso contro l’integrità di opere concepite unitariamente. DA POE ALLA FRAMMENTAZIONE Già nel 1845 ne parlava Edgar Allan Poe nei suoi Marginalia: “Gli uomini di oggi hanno molto più materiale per pensare” 12 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo marzo 2009 glamo rous Ultimissime dal pianeta cinema: news e tendenze 14 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo marzo 2009 a cura di Arnone luca Gian IL PARADISO (NON) PUO’ ATTENDERE Qualcuno la ricorderà insieme a Clooney nello spot di una nota marca di caffè. Qualcun altro avrebbe voluto dimenticarla dopo averla vista in 10.000 A.C di Emmerich. Ora Camille Belle promette di convertire gli scettici. Occasione più unica che rara: sarà la protagonista di Mary, Mother of Christ. Con lei Jonathan Rhys Meyers, nel doppio ruolo dell’Arcangelo Gabriele e di Lucifero, e Peter O’Toole nelle vesti di Symeon. Contattato anche l’avvocato del diavolo, Al Pacino. IL PRIMO BACIO Emma Watson è nervosa: “Mi disturba il pensiero di doverlo fare, e non avere il coraggio di farlo”. Il cruccio della maghetta? Baciare il collega Rupert Grint in Harry Potter e i Doni della Morte, ultimo capitolo della saga. Grint ha cercato di tranquillizzare la collega spiegandole che dopo un paio di ciak l’imbarazzo passa. Peccato che con l’alito cattivo a non passare mai siano i ciak. I PIEDI IN FACCIA Guerra aperta tra Hilary Duff e Faye Dunaway. Da quando l’attrice e cantante statunitense ha annunciato che sarà Bonnie in The Story of Bonnie and Clyde, remake del film del ’67 con la Dunaway e Warren Beatty, si è scatenato un tiro al bersaglio degno dei due celebri criminali. La Dunaway ha stabilito che Hilary “non sa recitare”; la Duff ha replicato etichettando Faye come vecchia befana sorpassata. Che ora ha almeno la scopa dalla parte del manico. ATTRAZIONE FATALE Ti amo da morire, le disse. E poco ci mancò che lo facesse sul serio. Tutti ricorderanno il tentato suicidio di Owen Wilson dopo la rottura con Kate Hudson. Era l’estate del 2007. A un anno e mezzo da quel gesto sconsiderato, Owen ha ritrovato il sorriso. E l’amore. Grazie a chi? Ma alla bella Kate naturalmente, tornata sui suoi passi. Dio non voglia che Wilson ripercorra i suoi. marzo 2009 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo 15 colpo d’occhio La Hathaway non ha preso né Oscar, né marito. Ma per vincere c’è tempo, se avrà fortuna R is o a m aro PIU’ CHE COLPO D’OCCHIO, colpo gobbo per la povera Anne Hathaway. A Venezia a strapparle la Coppa Volpi era stata Dominique Blanc. Agli Oscar a rubarle la statuetta è stata Kate Winslet. Ha pagato forse lo scotto della prima volta e le 5 candidature a vuoto della rivale (alla sesta l’Academy, da sempre sensibile alla questione del risarcimento, ha detto sì). D’altra parte la giustizia non è di questa Hathaway. Vedi la catastrofica love story con Raffaello Follieri e i suoi strascichi giudiziari. Altra materia da romanzo. Ma la bella Anne non si perda d’animo. Il talento non le manca. Per il futuro basterà solo un po’ di fortuna. (GA) A SINISTRA. Anne Hathaway si getta l’Oscar alle spalle ACCANTO. Sognando le nozze in Bride Wars e con… Raffaello Follieri 16 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo SOPRA. Il brusco risveglio: Rachel si è sposata, lei no HANNO I VOSTRI SOLDI DECIDONO DELLA VOSTRA VITA CONTROLLANO OGNI COSA MA C’È UN UOMO SU CUI NON HANNO POTERE. DAL 20 MARZO AL CINEMA Ruga per la vittoria Sono belle, sagge e non hanno paura di invecchiare: a Berlino il glamour ha superato la soglia degli anta FE ST IVAL DE L M ES E di Massimo Monteleone Carol Reed e Claire Denis in retrospettiva a Bergamo. Korea a Firenze, corti a Tampere e donne a Créteil ANKARA INTERNATIONAL FILM FESTIVAL XX edizione per la manifestazione competitiva a cui partecipano produzioni turche (lungometraggi, “corti”, documentari e film d’animazione). Proiezioni di opere internazionali non in concorso. Località Ankara, Turchia Periodo 12-22 marzo tel. (0090-312) 4687745 Sito web www.filmfestankara.org.tr E-mail [email protected] Resp. Can Ozgun 1 BERGAMO FILM MEETING XXVII edizione dell’autorevole vetrina del cinema indipendente internazionale, con anteprime. I film della mostra-concorso partecipano per l’assegnazione delle Rose Camune. In programma una retrospettiva su Carol Reed e una personale su Claire Denis. 5 SAMSUNG KOREA FILM 2 FEST H o ll y wo o d Ending VII edizione del festival internazionale di cinema e cultura della Corea del Sud, unico nel suo genere in Italia, che offre circa 40 film fra anteprime e classici. Previsti anche cortometraggi, retrospettive e dibattiti sul folclore coreano. Località Firenze, Italia Periodo 20-28 marzo tel. (055) 5048516 Sito web www.koreafilmfest.com E-mail [email protected] Resp. Riccardo Gelli FESTIVAL DU CINEMA 3 NORDIQUE XXII edizione della manifestazione competitiva che presenta produzioni cinematografiche provenienti dalla Scandinavia e dai paesi baltici. Località Rouen, Francia Periodo 18-29 marzo tel. (0033-2) 32767322 MAGICA DEMI La Pfeiffer si sbottona: “E’ liberatorio per una donna di mezza età, farlo con uno più giovane”. Michelle suona così la carica delle cougar, donne mature in cerca di sbarbatelli. E alle aspiranti neofite, svela il segreto per mantenersi belle. “Quando lavoro mi trucco molto, quando non lavoro non mi faccio vedere”. COSI’ RENÉE SE VI APPARE FOTO: PIETRO COCCIA Di rosso vestita e con la faccia lucida, Renée Zellweger è venuta alla Berlinale con l’intenzione di trovare marito. Sostenuta da una granitica certezza: “Un donna non appare mai così intelligente agli occhi di un uomo come quando lo ascolta”. Non sarà che in certi casi è meglio tacere? 18 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo marzo 2009 ANN ARBOR FILM FESTIVAL 6 XLVII edizione della longeva rassegna internazionale competitiva, specializzata nelle opere indipendenti, sperimentali e d’animazione, corti e lungometraggi. Località Ann Arbor (Michigan), USA Periodo 24-29 marzo tel. (001-734) 9955356 Sito web www.aafilmfest.org E-mail [email protected] Resp. Donald Harrison FESTIVAL INTERNATIONAL 7 DE FILMS DE FEMMES “Quant’è bella giovinezza che si fugge tuttavia”, declamava Lorenzo il Magnifico. Aveva torto. Da Berlino Demi Moore proclama gioie e delizie delle stagionate: “Abbiamo conquistato la libertà di non invecchiare”. Come? Un marito che la coccola, la segue dappertutto e ha 16 anni meno di lei. LE RELAZIONI MIRACOLOSE Località Bergamo, Italia Periodo 7-15 marzo tel. (035) 363087 Sito web www.bergamofilmmeeting.it E-mail [email protected] Resp. Angelo Signorelli XXXI edizione del noto festival europeo dedicato alle donne registe. Le novità sono nella sezione competitiva (film a soggetto, documentari e “corti”). Località Créteil, Francia Periodo 13-22 marzo tel. (0033-1) 49803898 Sito web www.filmsdefemmes.com E-mail [email protected] Resp. Jackie Buet Sito web www.festival-cinemanordique.asso.fr E-mail festival.cinema.nordique@wanad oo.fr Resp. Jean-Michel Mongrédien N.I.C.E. OLANDA XIII edizione per la manifestazione organizzata dal “New Italian Cinema Events” di Firenze. In programma 7 lungometraggi, selezionati fra le migliori opere italiane di autori emergenti, eventi speciali, una retrospettiva ed incontri con i registi. Località Amsterdam, Olanda Periodo 31 marzo – 8 aprile tel. (055) 290393 (riferimento a Firenze) Sito web www.nicefestival.org E-mail [email protected] Resp. Viviana del Bianco 4 TAMPERE INTERNATIONAL 8 SHORT FILM FESTIVAL XXXIX edizione della maggiore e longeva rassegna nordeuropea dedicata ai cortometraggi. Il concorso riguarda opere di fiction, d’animazione e documentaristiche, anche realizzate da studenti. Località Tampere, Finlandia Periodo 4-8 marzo tel. (00358-3) 2235681 Sito web www.tamperefilmfestival.fi E-mail [email protected] Resp. Jukka-Pekka Laakso Oscar politico Otto statuette al milionario Danny Boyle, sconfitto a sorpresa Ari Folman: il compromesso vince sull’arte di Marina Sanna Sean Penn tra Ron Howard e Frank Langella NESSUNA SORPRESA. Anzi una grande: Valzer con Bashir non ha vinto. E’ stato battuto dal giapponese Departures, interessante incursione nel rito funebre che accompagna la scomparsa di un parente, sicuramente meno ingombrante del bellissimo film di Ari Folman, sul coinvolgimento israeliano nelle stragi di Sabra e Shatila nel 1982. The Millionaire di Danny Boyle ha incassato otto statuette, di cui alcune pesanti (film, regia, script non originale, montaggio e fotografia). Eppure nelle cinquine principali c’era il notevole Frost/Nixon di Ron 20 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo marzo 2009 Howard e il Curioso caso di Benjamin Button di David Fincher. Gli Oscar, come gli Orsi, le Palme, i Leoni non premiano (più) l’arte, sono espressione di compromessi ed emozioni. Impossibile quindi che Benjamin Button, troppo lungo e non perfetto, potesse portare a casa più di tre premi di consolazione (scenografia, trucco, effetti speciali). La storia degli Academy Awards racconta di grandi registi non premiati, Tutti i premi 8 The Millionaire (Film, Regia, Sceneggiatura non originale, Fotografia, Montaggio, Colonna sonora, Canzone originale, Suono) 3 Il curioso caso di Benjamin Button (Scenografia, Trucco, Effetti speciali) 2 Milk (Sean Penn: Attore protagonista, Sceneggiatura) 2 Il cavaliere oscuro (Heath Ledger: Attore non protagonista, Montaggio sonoro) The Reader (Kate Winslet: Attrice protagonista) Vicky Cristina Barcelona (Penélope Cruz: Attrice non protagonista) Departures (Film straniero) Wall·E (Film d’animazione) Man on Wire (Documentario) La Duchessa (Costumi) Smile Pinki (Cortometraggio documentario) La maison en petits cubes (Cortometraggio d’animazione) Spielzeugland (Toyland) (Cortometraggio) Stanley Kubrick o Scorsese fino a The Departed, o di film dimenticati: Apocalypse Now, per citarne uno, vinse per la fotografia e il suono, o quest’anno la doppietta ChangelingGran Torino di Clint Eastwood. Che The Millionaire sia un film ricattatorio, e un risarcimento tardivo all’India sfruttata e derelitta, è fuor di dubbio: come poteva persino Brad Pitt competere con le lacrime di un bambino seviziato, e una love story fuori dal set che sa tanto di trovata pubblicitaria? La politica del compromesso al primo posto. % Nella pagina accanto Kate Winslet, in alto The Millionaire. Sopra Penélope Cruz e Heath Ledger, Oscar postumo marzo 2009 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo 21 tendenze Berlino, a sud del mondo Non è tempo di eroi: la guerra in Iraq non fa più notizia e le tragedie al femminile travolgono la 59ma edizione del Festival di Marina Sanna LE SCELTE DELLE GIURIE servono a dare una mappatura geografica dello stato dell’arte e a focalizzarne le tendenze. In questo senso i premi del 59° festival di Berlino sono un ottimo indicatore del cinema contemporaneo. Intanto c’è la crisi, pochi film interessanti anche da parte di registi autorevoli, come Stephen Frears o Bertrand Tavernier. La guerra e soprattutto quella in Iraq, non fa più notizia: The Messenger di Oren Moverman, che distribuirà la Lucky Red, ha portato a casa solo il riconoscimento per la sceneggiatura. Le donne sono al centro dell’universo. Stupri, ossessioni catartiche e tragedie singole e collettive hanno catalizzato attenzione e gusti dei giurati, capitanati dalla volitiva Tilda Swinton. A partire da La teta asustada di Claudia Llosa, Orso Asghar Farhadi, Adrián Biniez, Birgit Minichmayr in Alle 22 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo marzo 2009 Anderen e il cast di La teta asustada. Sopra una scena di About Elly e di La testa asustada - Foto: Pietro Coccia marzo 2009 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo 23 tendenze d’Oro, che racconta il dolore delle donne peruviane rapite e violentate negli anni del terrore, dal 1980 al 2000, alla miglior regia ad Ashgar Farhadi per About Elly, altro dramma ambientato però nella Teheran di oggi. Tre premi all’argentino Gigante di Adrián Biniez, tra cui opera prima, l’innamoramento di un addetto alle telecamere di sorveglianza di un supermercato e una donna delle pulizie; migliore attore l’africano Sotigui Kouyate per London River di Rachid Bouchareb, sull’incontro di due genitori (brava Brenda Blethyn) che scoprono di aver perso i figli negli attentati a Londra del luglio 2005. E’ stata un’edizione particolarmente fiacca, con molte star (Renée Zellweger, Demi Moore, Kate Winslet, Michelle Pfeiffer) e titoli altalenanti (lo stravagante Ricky di François Ozon o il pretenzioso Mammoth di Lukas Moodysson), che sul pubblico ha avuto però grande presa se si considera la cifra considerevole dei 270.000 biglietti venduti e un Marché piuttosto vivace, nonostante la crisi globale. Qualche punta di diamante: Singularidades de uma rapariga loura è l’ultimo divertissement del grande vecchio Manoel De Oliveira. Una storia d’amore fatalmente destinata a fallire, raccontata con ironia e maestria, che tiene lo spettatore col fiato sospeso per oltre sessanta minuti. La memoria, ci dice il centenario De Oliveira, è il bene più prezioso che abbiamo, si può interpretare il presente solo partendo The Messenger affronta il disastro iracheno da una nuova angolazione, senza nessuna indulgenza dal passato. Da non perdere la riflessione socioeconomica di Michael Winterbottom e la sociopolitica dell’israeliano Moverman. Che evidenziano la coesistenza di due Americhe. Quella che sogna con Obama, scena con cui si conclude il bel documentario di Winterbottom, The Shock Doctrine, e l’altra di The London River di Bouchareb, premio all’attore Kouyate. In alto Woody Harrelson in The Messenger 24 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo marzo 2009 Messenger. Viaggiano in parallelo, raccontando vicende diverse: Winterbottom prende la dottrina liberista del Nobel (contestato) americano Milton Friedman e il libro inchiesta di Naomi Klein sulle disfunzioni del capitalismo e le applica quasi pedissequamente, a volte anche in modo didascalico, a epoche diverse e a forme di governo dittatoriali. Utilizzando immagini di repertorio mai viste prima: la dottrina shock parte dall’11 settembre per attraversare a ritroso la Storia, passando dalle dittature sudamericane al metodo Thatcher, e arrivare di nuovo ai giorni nostri, perché come spiega il regista è un work in progress, vale a dire: al peggio non c’è mai fine. The Messenger, magnificamente interpretato da Ben Foster, Woody Harrelson e Samantha Morton (ma c’è anche un bellissimo cammeo di Steve Buscemi), affronta il disastro iracheno da una nuova angolazione. Dalla parte degli americani, senza nessuna indulgenza, straziante e realistico, camera a mano, nel mettere a nudo rabbia e sofferenza delle vittime: madri, padri, figli dei soldati che muoiono ogni giorno per una guerra inutile. % RAI CINEMA E CATTLEYA PRESENTANO MARGHERITA BUY ISABELLA FERRARI MARINA MASSIRONI PAOLA CORTELLESI CONCEPT © CATTLEYA S.P.A./FOTO: PHOTOMOVIE - CHICO DE LUIGI DUE PARTITE CAROLINA VALERIA CLAUDIA ALBA CRESCENTINI MILILLO PANDOLFI ROHRWACHER CRISTINA COMENCINI regia di ENZO MONTELEONE dalla commedia di RAI CINEMA E CATTLEYA PRESENTANO UNA PRODUZIONE CATTLEYA E RAI CINEMA "DUE PARTITE" CON MARGHERITA BUY ISABELLA FERRARI MARINA MASSIRONI PAOLA CORTELLESI CAROLINA CRESCENTINI VALERIA MILILLO CLAUDIA PANDOLFI ALBA ROHRWACHER TRATTO DALLA COMMEDIA TEATRALE DI CRISTINA COMENCINI FELTRINELLI EDITORE SCENEGGIATURA CRISTINA COMENCINI E ENZO MONTELEONE AIUTO REGIA MATTEO ALBANO COSTUMI MARINA ROBERTI SCENOGRAFIA PAOLA COMENCINI SUONO ANDREA GIORGIO MOSER MUSICA GIULIANO TAVIANI MONTAGGIO CECILIA ZANUSO FOTOGRAFIA DANIELE NANNUZZI PRODUTTORE ESECUTIVO BRUNO RIDOLFI PRODUTTORE ESECUTIVO CATTLEYA MATTEO DE LAURENTIIS PRODUTTORE DELEGATO GINA GARDINI PRODOTTO DA RICCARDO TOZZI GIOVANNI STABILINI MARCO CHIMENZ REGIA DI ENZO MONTELEONE DAL 6 MARZO AL CINEMA www.yahoo.it/duepartite COVER PRENDIAMO L’IDEA COMUNE, scolastica, universitaria, della grandezza degli autori al cinema, l’impatto di un’opera che, nella storia sociale dell’arte e nella percezione generale, massmediale, è riconosciuta, istituita, istituzionalizzata, imposta e corrisposta (consideriamo risolto l’impossibile, ovviamente, cioè la coincidenza tra giudizio di gusto, conoscenza critica, condivisione culturale, eccetera). Un giro di cerchi concentrici raggiunge la periferia, e dalla periferia ritorna a confermare le emittenti focali, legittimate, e per tutti, per “chi sa” perché, per chi lo intuisce, per chi lo sente dire, Chaplin è il poeta massimo del riscatto umoristico e romantico dell’umile, Fellini il grottesco onirico, non sempre facile da capire, della crisi dei miti del soggetto collettivo, Bergman la meditazione a ogiva sul Senso, Herzog l’immagine raggiunta, mai-vista, nuova, come esorcismo del conforme dell’occhio-cuore del cinema. D’accordo, è quasi un gioco, un generatore di marchi, e siamo già a definizioni ben diverse dalle probabili “popolari”: pesante, ma importante Bergman; Fellini, così toccante e coinvolgente, lo rivedrei sempre. Ma forse ci siamo capiti. C’è sempre qualcosa che si coglie di un’opera complessiva di un autore, che cerca e sente di cogliere chi lo avvicina, chi lo riceve, lo sfiora, come il famoso “pessimismo” leopardiano, l’“eclettismo” del genio per Leonardo o “il dolore spensierato” di Mozart. “La vera grandezza è come MISTERO DA DIECI ANNI IL CINEMA E’ ORFANO DEL GRANDE MAESTRO. VIAGGIO INTORNO ALLA COMPONENTE PLASTICA DEI SUOI FILM DI SILVIO DANESE 26 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo marzo 2009 KUBRICK Stanley Kubrick e Tom Cruise sul set di Eyes Wide Shut marzo 2009 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo 27 COVER 2001: Odissea nello spazio. Sotto Keir Dullea l’infinito, non la si può misurare. In generale, gli sforzi che facciamo per valutare le opere d’arte alterano la nostra capacità di esperienza”, scrive Stephen Vizinsczey. Restano, i marchi di Chaplin, Bergman, Fellini, e Kubrick, Rossellini, Hitchcock, Billy Wilder, Kurosawa, Leone, ma anche, ormai, Spielberg, Sokurov, Cronenberg, per dire, come un’impronta della individuale cometa artistica, ed è soltanto un bel complesso di colpevole superiorità che pensa di poter lasciare al “popolo” queste banali fissazioni di sentenza. E’ nel destino del tempo che il profilo di un’opera si compie in un marchio come nella dimenticanza. La nostra è essenzialmente l’epoca del marchio per la dimenticanza, d’accordo, ma dallo studente al cultore, dal lettorespettatore all’artista, si muove un “idolo” dell’artista che insieme lo riduce e lo innalza e che sembra necessario per la sua identità. Di che “sistema”, di che “progetto”, di che “grandezza” è fatto? Di Kubrick, del regista il cui sistema è la composizione di progetti diversi, un 28 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo marzo 2009 Tra i due poli, del Bene e del Male, la nostra natura perturbata sceglie l’identità nel Male evidente depistamento, una fuga identitaria ormai già “scoperta” dalla letteratura critica come arte della regia, ci viene da dire che il marchio è la mano di Dio sul cinema imperfetto. E’ la sua tensione etica. Dei suoi film, la componente plastica, visivo-pittorica-ideologica che gli assomiglia, anzi che lo rigetta come uno specchio ossessivo, è il monolite di 2001. Gli corrisponde la tensione di una perfezione riposta, che vive nell’interno inconoscibile, nel mistero-Kubrick, nella ricerca priva di un’esibita soluzione, senza compromessi. Con scarsa lungimiranza, Kirk Douglas disse: “Un giorno sarà un bravo regista se solo gli capiterà una volta di dare una testata contro il muro e accettare il compromesso”, e prendiamo questa battuta riportata in “L’uomo dietro la leggenda” di Vincent Lo Brutto per tutta l’aneddotica, le informazioni, i documenti di un leggendario e reale lavorio intorno alla formula esatta di ogni progetto, sempre sull’orlo della disconoscenza per la radicale, dissacrante, divisione del lavoro e riduzione dell’identità dell’industria cinematografica. Non sapremo mai quanto è stato soddisfatto Kubrick di ogni suo film, chiuso nel laboratorio dell’idea come la massa spessa del suo magico pezzo di ferro. Probabile anche che si possa discutere sulle scelte, proprio sul cosa e sul come (essere all’altezza o alla profondità di spettro…). Lo fa per esempio il compositore e direttore Gerry Goldsmith (parla di “errore”), che si occupava però di Patton il generale d’acciaio, Atto di forza e Basic Instinct, a proposito della partitura originale scritta da Alex North per il valzer di 2001, a cui Kubrick preferì Strauss. E c’è la celebre battuta di Pauline Kael, “un film afflitto da una monumentale mancanza di immaginazione”, questo detto per parcellizzare l’insieme di “crisi” del giudizio possibili, plausibili forse, sulla prima battuta dell’opera d’arte che si affaccia al mondo. Di quel monolite si sono tentate interpretazioni di ogni genere. E’ il mistero però che decide oltre ogni dubbio: è pura possibilità, cioè “angoscia”. E tra i due poli, che rappresenti il Bene o il Male, la nostra natura perturbata sceglie l’identità nel Male. La vera “odissea”, una volta che l’azione diventa crimine con il fossile di un osso prototipo di tutte le spade, le pistole, le mazze da baseball e le atomiche del mondo, è il viaggio intorno al silenzio (celeste) del Nulla o di Dio, il navigare in un ciclo del tempo oltre i tempi nell’illusione che la tecnica ci salverà. Tutti ancora a danzare intorno a quel totem levigato che, spostandosi nell’universo e nei tempi, portando in giro la beffarda sostanza della muta impenetrabilità, ci lascia nella ridicola vanità di ogni esplorazione, di ogni futuro e di ogni “ritorno al primo sguardo”. Lo sguardo finale, in sala, del ri-nato neonato è, e insieme trascende, l’innocenza, quel “non sapere” da cui muove la riorganizzazione del sapere, per Kubrick a partire dal “far cinema” come gesto etico totale. % Ancora 2001. In basso Eyes Wide Shut e, a destra, i primati. Sopra il James Mason di Lolita marzo 2009 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo 29 COVER L’INVENTORE DI GE DALLA FANTASCIENZA AL KOLOSSAL STORICO E AL NOIR: KUBRICK CAMBIA TUTTO E DI ROBERTO NEPOTI SE MAI SIA LECITO aspettarsi un’eredità dai grandi artisti, il lascito più cospicuo di Stanley Kubrick – dopo la sua stessa filmografia – riguarda la ridefinizione dei generi cinematografici. Passatoci lui, nessun genere sarà più uguale a prima, ma dovrà sparigliare in qualche modo il suo paradigma di norme, stili, rimandi. Senza peraltro poterlo imitare, tale è la singolarità delle sue opere: le incursioni di Kubrick nei generi sono, allo stesso tempo, seminali e irriproducibili, negano le vecchie regole ma non permettono d’instaurarne di nuove. Il noir ridisegna i propri confini con Rapina a mano armata (1956), che sembra un epigono dello hustoniano Giungla d’asfalto e, invece, sovverte la diegesi, molto meno attento alla storia da raccontare che alle modalità della sua messa in scena: 30 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo marzo 2009 esemplare l’epilogo dell’hold-up, le cui fasi sono ripetute più volte con inquadrature riprese da differenti punti di vista. La ricaduta nel genere è lunga; e sarebbe difficile immaginare un film come Pulp Fiction di Tarantino senza il lontano precedente kubrickiano. La ridistribuzione dei parametri di genere si fa tanto più evidente, addentrandosi nella fantascienza di 2001: Odissea nello spazio (1968). Anche in questo caso ci sono un “prima” e un “dopo”: ove prima c’era la space-opera, più o meno ingenua anche quando conteneva accenni metafisici, con 2001 le aspettative consolidate dello spettatore vanno completamente disattese, mettendolo a confronto con un oggetto volante non identificato, gravido di senso (di sensi) nuovo e – contemporaneamente - anticipatore Spartacus. Accanto Barry Lyndon e ancora Kirk Douglas. In basso Kubrick sul set di 2001 NERI ROMPE LE REGOLE della stagione del grande Effetto Speciale. Inarrestabile, Kubrick “riforma” poi il film storico, che s’illudeva fissato nella pigra tradizione del kolossal hollywoodiano (dove Stanley s’era addentrato con Spartacus, perdendo la partita a causa della propria alterità), dirigendo Barry Lyndon (1975). Qui, eccezionalmente, siamo di fronte a un unicum che non “fa scuola”: troppo difficile concepire un film in costume come una riflessione sul rapporto tra cinema e storia e, insieme, un’occasione di sperimentazione linguistica (le lenti Zeiss, lo studio sulla luminosità naturale). Palese, invece, l’influenza di Shining (1980) sul successivo cinema “fantastico” (unitamente al ruolo, ancora, dell’innovazione tecnico-linguistica: vedi l’introduzione della steadycam). La messa-in-abisso del senso narrativo diventerà una ricorrenza del genere, anche se in forme assai semplificate; ma è soprattutto un’“atmosfera” inedita a permeare il film; tanto da giustificare le perplessità di Stephen King, che non vi riconosce nulla del proprio romanzo. Ma, forse, il caso più singolare (o emblematico?) è Full Metal Jacket (1987), Nam-movie interamente elaborato in base alla gestione logistica della percezione: i carrelli avantiindietro della prima parte (che ne disegnano l’appropriazione), contro quelli collaterali e sghembi della seconda, (che indicano una topografia sfuggente e inoccupabile). Il quasi coevo Platoon di Stone produrrà molti più replicanti; e tuttavia non c’è film di guerra, di lì in avanti, che non debba fare i conti con Kubrick. % marzo 2009 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo 31 COVER QUEL PORTENTO DI STANLEY L’UOMO, L’ARTISTA, L’INTELLETTUALE: L’UNIVERSO KUBRICKIANO SECONDO IL CRITICO MICHEL CIMENT DI ANTONIO D’OLIVO* “MI PIACE VIVERE: è l’insensatezza della vita che obbliga l’uomo a crearsi un proprio senso. I bambini iniziano a vivere con un senso immacolato di stupore, con la capacità di provare una felicità assoluta di fronte a qualcosa di così semplice come il verde di una foglia. Ma, quando crescono, la consapevolezza della morte e della dissoluzione inizia a incidere sulla loro coscienza. A erodere, piano piano, la gioia di vivere. Quando un bambino diventa adulto vede, ovunque, morte e dolore, e inizia a perdere la fede nella fede e nella bontà intrinseca dell’uomo. Ma se ha forza potrà emergere da questo crepuscolo dell’anima nonostante l’insensatezza della vita, potrà forgiarsi un nuovo modo di vedere il mondo. Non tornerà mai puro e stupito come quando era bambino ma darà forma a ‘qualcosa’ in grado di sostenerlo”. Così parlava Stanley Kubrick in una delle interviste concesse al critico e studioso Michel Ciment. Per lui, che lo ha conosciuto, frequentato e intervistato per molti anni, Kubrick è stato “un vero genio perché pur avendo realizzato solo 13 film non solo non si è 32 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo marzo 2009 mai ripetuto ma, con ogni film, ha reinventato il cinema”. Michel Ciment, come definirebbe la grandezza di Kubrick? Kubrick mi fa pensare a un rabbino che studia il Talmud, o ad un alchimista del Medioevo che vuole trasformare il piombo in oro. C’era in lui qualcosa che faceva pensare alla ricerca della pietra filosofale. Alla ricerca dell’assoluto. Una ricerca che, alle volte, porta a fermarsi, a bloccarsi, come il giocatore di scacchi che fa ottime mosse e poi si ferma e ha paura di giocare. E’ per questo che c’era sempre una maggiore distanza tra un film e l’altro. La sua morte è simbolica: è morto 4 giorni dopo avere consegnato la copia del suo film Eyes Wide Shut. Esaurito dalla stanchezza e dal lavoro. “C’era in lui qualcosa che faceva pensare alla ricerca della pietra filosofale, alla ricerca dell’assoluto” marzo 2009 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo 33 COVER E siccome non aveva fatto film da 12 anni e aveva 70 anni, forse per il prossimo film ne avrebbe avuti 85. Quindi aveva compiuto, in qualche modo, la sua opera, era un uomo che si prendeva tutto il tempo di cui aveva bisogno per ricercare, in ogni film, la perfezione. Ci racconti il suo primo incontro con Kubrick. Che tipo era? Che impressione le ha fatto? Kubrick mi è sembrato subito una persona molto concentrata. Estremamente precisa, attenta, che desiderava rispondere seriamente alle mie domande. Non era arrogante, come molti giovani cineasti o autori. Era disponibile anche se difficile da avvicinare. Se non ricordo male era stata la rivista L’Express a dargli una lista di tre persone e lui aveva scelto me per un incontro a Londra su Arancia meccanica. Indossava una specie di tuta, l’abbigliamento di un uomo che lavora. Più invecchiava e meno amava parlare. Credo avesse paura di dire troppe cose, non voleva che si facesse un discorso unico sui suoi film, voleva molteplici interpretazioni. Per lui l’immagine era polivalente e quindi ogni espressione verbale ne riduceva il significato. Inoltre pensava di essere goffo, maldestro e di non essere all’altezza di quello che voleva dire. Si parla tanto delle fobie di Kubrick: paura di volare, di andare in auto, di vedere gente, di incontrare i giornalisti, il suo maniacale perfezionismo. Quanto di tutto questo è vero? Ovviamente non voglio trasformare Kubrick in una persona normale. Sarebbe impossibile. La sua cultura era immensa: spaziava dalla letteratura alla matematica, dalla fisica all’architettura, dalla pittura alla storia. Era un raffinato esperto di tutti i tipi di musica, e aveva un’incredibile conoscenza dei mezzi tecnici con cui si fa un film. Ed era attentissimo a tutte le novità che potessero migliorare ulteriormente il suo modo di fare cinema. Certo non amava viaggiare, non amava la velocità in auto. Però aveva un brevetto di pilota e a 20 anni guidava gli aerei. Ma non voleva più prenderli perché volare comportava dei rischi che poteva evitare. Era un uomo che amava prima di tutto il suo lavoro. Ed era un perfezionista. E lei sa che per la perfezione ci vuole moltissimo tempo e quindi non voleva perderne nei viaggi, le interviste, i festival. Per me la sua morte è stata una specie di sfinimento, di esaurimento di un’artista che ha lavorato due anni sulle riprese, uno sul montaggio; lavorando 18 ore al giorno sottoposto ad una pressione psicologica immensa. La sua passione era l’arte: la perfezione nell’arte. Non aveva la fobia delle persone come dice lei. Aveva amici, collaboratori con cui parlare. Aveva rapporti telefonici con Polanski, Spielberg, Bergman, Lucas. Seguiva il baseball, leggeva i giornali, seguiva la Borsa, vedeva tutti i film che uscivano (se li faceva mandare a casa), non era un eremita. Non rifletteva in solitudine. Con internet, fax, telefono, video, televisione, le cassette, Kubrick era in contatto con il mondo intero. Ma era lui a decidere che cosa lo interessasse. Aveva un grosso senso dello humour, faceva domande e aveva risposte spiritose sempre pronte. Mi è stato detto che era addirittura timido quando incontrava qualcuno. Per esempio quando aveva conosciuto Harold Pinter aveva avuto una folgorazione, era veramente un ebreo intellettuale. Molto curioso, interessato alle manifestazioni dell’intelletto: filosofia, psicanalisi, tutti gli aspetti dell’arte. Credo vada visto così: era un autentico genio. % *critico cinematografico del Giornale Radio Rai 34 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo marzo 2009 VINCITORE DI 8 PREMI OSCAR TRA CUI MIGLIORE FILMUMIGLIORE REGIA “Un'esplosione di energia” VARIETY Dal regista di Trainspotting Jamal deve rispondere alla domanda finale per vincere 20 milioni. Come è arrivato fin qui? o astuzia o inganno o coraggio amore o THE MILLIONAIRE UN FILM DI DANNY BOYLE WWW.LUCKYRED.IT COVER REGISTA DI MARIONETTE NON AMAVA LE STAR: GLI ATTORI DOVEVANO ESSERE AUTOMI AL SUO SERVIZIO DI GIANLUCA ARNONE 36 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo marzo 2009 CONTRARIAMENTE ALLA FAMA di uomo scontroso, Stanley Kubrick perse la pazienza in pubblico in una sola occasione. Fu a ridosso dell’uscita di Full Metal Jacket, quando non riuscì a trattenersi davanti a un cronista che lo accusava di maltrattare gli attori: “I giornalisti esagerano! Parlano di me come fossi una specie di dottor Mabuse”. Naturalmente aveva torto. A fornire pretesti alla stampa erano gli interpreti, che tacendo avrebbero reso al maestro un servizio forse peggiore. Nel caso dei geni i pettegolezzi, quando invecchiano, diventano miti. Ma quanto c’é di vero negli aneddoti che si tramandano? Molto, probabilmente. Il perfezionismo maniacale di Kubrick - unito al controllo assoluto sul film - non ammetteva intromissioni né iniziative personali. Il “tiranno” fece le sue vittime: da Kirk Douglas, che tagliò ogni rapporto con lui dopo l’estenuante lavorazione di Spartacus (celebre la sua dedica al maestro: “Una merda di talento!”), a Marlon Brando, che avrebbe voluto affidargli il timone de I due volti della vendetta prima d’impantanarsi nella personalità del regista, ingombrante più della sua. Non si contano poi i ciak che faceva ripetere ai suoi attori. Tom Cruise non ha ancora dimenticato le 93 volte in cui dovette rifare la stessa scena in Eyes Wide Shut, e Malcolm McDowell dopo l’esperienza di Arancia meccanica ha Marlon Brando e Kubrick: unione impossibile. Nella pagina accanto il regista e Tom Cruise dichiarato: “Non ho voluto più incontrarlo. Non era il tipo col quale avresti preso volentieri una birra, ma un capo assoluto che ti usava senza vergogna. Non si arrabbiava né alzava mai la voce. Semplicemente ti ignorava e procedeva dritto per la sua strada. Era impossibile sapere dove ti avrebbe portato, e in fin dei conti non importava a nessuno: volevamo solo finire quel maledetto lavoro”. Freddezza, fiducia cieca nei propri mezzi, annientamento della soggettività degli attori. Più che misantropia, la crudeltà di Kubrick è modus operandi, e il film un costrutto organico in cui ogni elemento ha senso solo accanto agli altri e dentro l’insieme. Musica, luce, colore, recitazione, vengono destituiti del loro valore intrinseco per essere ridotti a unità sintagmatiche, tessere di un mosaico d’autore. L’attore diventa un mezzo, perciò lo si può usare senza vergogna; la soggettività un ostacolo al piano dell’opera. Kubrick raramente utilizzò delle star, e trattò le poche che furono scritturate (Sellers, Nicholson e la coppia Kidman-Cruise) alla stregua di comparse. Era un regista di marionette, ma non per liberare “una tranquillità, una leggerezza, una grazia, da sbalordire chiunque abbia un’anima che pensa” (Von Kleist), ma al fine di piegare la volontà individuale alle necessità dell’arte e il personaggio al giogo del determinismo sociale. Un punto, quest’ultimo, centrale nell’impianto filosofico kubrickiano. La distruzione della coscienza del singolo sotto i colpi dell’ordine storico-culturale è un tema che attraversa quasi tutta la sua filmografia (si pensi al filone “di guerra” Orizzonti di gloria, Il dottor Stranamore e Full Metal Jacket, o all’epopea di Barry Lyndon). La pressione dell’ambiente è insostenibile, e si esaurisce solo con l’espropriazione di sé del soggetto (i personaggi catatonici di 2001 e gli “automi” di Eyes Wide Shut), o con la dissoluzione del legame psico-sociale col mondo (gli iperattivi “drughi” di Arancia meccanica e il Nicholson di Shining). Non c’è dialettica tra il “dentro” e il “fuori”. Il mondo esterno piega quello interno ai suoi dettami, lasciando all’individuo di Kubrick solo una libertà di riflesso: l’odissea del folle volo verso l’alba (illusoria?) di un uomo nuovo. % marzo 2009 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo 37 COVER LA LUCCICANZA DELLO SGUARDO LO STRANO CASO DI SHINING E IL TUO VIZIO E’ UNA STANZA CHIUSA DI SERGIO MARTINO DI LUCA PALLANCH POSTI DI FRONTE alla pagina bianca e alla difficoltà di scrivere in poche righe sul cinema di Stanley Kubrick, come resistere alla tentazione di ripetere ossessivamente la stessa frase: “Il mattino ha l’oro in bocca”, senza bisogno di ulteriori aggiunte, reiterando all’infinito uno dei tanti misteri che il regista americano si è ben guardato dal risolvere? Nulla sarebbe più kubrickiano che la riproduzione-ripetizione di quella 38 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo marzo 2009 frase, l’unica partorita dalla mente del (presunto) scrittore Jack Torrance in Shining. Sennonché un’altra tentazione, non meno cinefila, ci spinge più lontani, quasi a osare l’impossibile. Quella di interpretare quella frase come l’equivalente della parola magica di Quarto potere. “Il mattino ha l’oro in bocca” come “Rosebud”: quale significato poteva avere quella frase per Jack Torrance (Kubrick, con il suo proverbiale perfezionismo, approvò le versioni della frase in ogni lingua; nell’originale la frase rinvia a un proverbio inglese: “All work and no play makes Jack a dull boy”, ovvero “Troppo lavoro e niente gioco fanno di Jack un ragazzo noioso”)? Come in Quarto potere, il nostalgico ritorno all’infanzia, quando ci si alzava presto spinti dalla curiosità della vita? Oppure un’invocazione di luce per allontanare le tenebre che si innalzano dall’abisso della memoria, facendo riaffiorare un antico delitto? Del resto a non minori interpretazioni si prestava la “Rosebud” di Orson Welles e la tentazione era di ridimensionarne la portata piuttosto che alimentarla inseguendo argute chiavi di lettura. Ecco allora che si affaccia dinanzi a noi un’ulteriore suggestione: uno scrittore insegue i suoi fantasmi in una villa in campagna e sfoga le sue nevrosi sulla moglie, terrorizzandola. Una frase, pronunciata da un altro personaggio, contribuisce a delinearne l’inquieta Orrore in Shining. Sopra l’Overlook Hotel, in basso Kubrick e il direttore della fotografia John Alcott. Nell’altra pagina Jack Nicholson e il piccolo Danny Lloyd personalità (e a distanza anche quella di Jack): “Uno scrittore porta tutto il suo mondo dentro”. “Il mattino ha l’oro in bocca” e “Uno scrittore porta tutto il suo mondo dentro”: due piccoli varchi per entrare nel labirinto della mente umana. Due scrittori affini, concepiti nel medesimo periodo, gli anni Settanta, a notevole distanza spaziale l’uno dall’altro. In America Jack Torrance, in Italia Oliviero Ruevigny, protagonista del misconosciuto thriller di Sergio Martino Il tuo vizio è una stanza chiusa e solo io ne ho la chiave del 1972, una rielaborazione del racconto di Poe The Black Cat. Oliviero Ruevigny (interpretato da un grande Luigi Pistilli), rinchiuso nella sua villa veneta, gioca a gatto con il topo con la moglie. Su di lei riversa le sue amarezze, le sue frustrazioni, le sue colossali sbornie, i suoi tradimenti, ma, come sempre succede in questi casi, la verità è diversa da come appare. E così come la schizofrenia dilagante di Jack Torrance si rivela agli occhi della moglie attraverso la lettura di centinaia di pagine su cui è impressa sempre la stessa frase: “Il mattino ha l’oro in bocca”, così la moglie di Oliviero si fa un’idea definitiva della personalità (e degli intenti) del marito leggendo la frase: “Uccidere e murare in cantina”. Una frase ripetuta, anche in questo caso, all’infinito, echeggiata dal medesimo rumore della macchina da scrivere. Con il medesimo, geniale, espediente i personaggi femminili dei due film hanno la percezione esatta dell’abisso in cui sono piombati i rispettivi mariti e capiscono che non c’è più via d’uscita: non rimane che la “vendetta”, parola che nel film di Martino è scritta ripetutamente a macchina per creare ulteriore suspense, o la fuga. Si potrebbero cercare altre affinità, ma volendo stabilire una vera luccicanza alla maniera di Kubrick, ecco, pronti a soccorrerci, i versi del poeta americano Robert Frost, che hanno ispirato la scrittrice S.E. Hinton per il suo capolavoro The Outsiders (in italiano I ragazzi della 56ª strada): “Della natura il primo verde è d’oro,/ il più raro ed effimero color./ La prima foglia è un fior/ che dura un’ora sola./ Poi, foglia cede a foglia./ Così l’Eden piombò nella doglia;/ così l’alba nel giorno si cala./ Ciò che è d’oro non dura”. Nothing Gold Can Stay. Il mattino ha l’oro in bocca… % marzo 2009 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo 39 COVER DAL ‘900 ALLA CARROZZELLA DI DICK CHENEY, KUBRICK HA RIVOLUZIONATO IL CONFLITTO. TRA SCACCHIERE E LABIRINTI: PAROLA DI ESPERTO, GIAIME ALONGE DI FEDERICO PONTIGGIA ORIZZONTI DI LA SCACCHIERA E IL LABIRINTO: le due facce della guerra secondo Stanley Kubrick. “Questi due modelli funzionano per il cinema di guerra in generale, e pure per la letteratura: da un lato, la scacchiera, l’occhio oggettivo del De bello gallico di Cesare e del narratore ottocentesco; dall’altro, il labirinto, immagine canonizzata nel 40 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo marzo 2009 Fabrizio Del Dongo della Certosa di Parma a Waterloo”, dice Giaime Alonge, professore di Storia del cinema all’Università di Torino e autore del saggio Cinema e guerra (Utet, 2001). “La prima opzione è quella del comandante in capo: mosse e contromosse, geometrie su una carta geografica, un’opzione in cui gli eventi bellici, pur brutali, hanno razionalità, mentre nella prospettiva del fante, quella della prima linea, ogni ipotesi logica salta. E’ una dualità che attraversa tutta la storia GUERRA della settima arte, ma che in Kubrick – afferma Alonge – assume pregnanza particolare: ne fa l’oggetto stesso del suo cinema, a partire dallo scarto irriducibile tra i generali e i soldati sul campo di Orizzonti di gloria. Due paesaggi visivi e sonori inconciliabili: da un lato, le soggettive dei generali senza il boato terrificante dell’artiglieria tedesca, dall’altro, l’attacco nonsense al Formicaio”. Se le immagini della scacchiera e del labirinto, che ritorna pure nella villa di Eyes Wide Shut, sono esplicitamente ricavate dalla filmografia di Kubrick, “tutto il suo cinema – dice Alonge – è bellico, nella misura in cui ragiona sulla violenza e sul contenimento della violenza della società novecentesca, che però spesso si inceppa e si rivolta contro di sé: vedi Palla di lardo in Full Metal Jacket e il congegno Fine di mondo nel Dottor Stranamore”. Si può dunque parlare di anticipazione della guerra contemporanea per Kubrick? “Non so, il suo cinema è profondamente radicato nella storia marzo 2009 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo 41 COVER del XX secolo e Kubrick muore all’alba del nuovo, ma indubbiamente da Lolita in poi i suoi film hanno segnato la cultura di massa contemporanea: tutti conoscono battute di Shining e Arancia meccanica e nei tg per parlare della guerra in Vietnam si fanno vedere Apocalypse Now e il sergente Hartman”. Rimane comunque il fatto che Kubrick si confronta con una guerra oggi superata: “FMJ è il racconto bellico del ‘900 per antonomasia con dei giovani borghesi forzatamente trasformati in soldati: oggi la leva obbligatoria non esiste più, anche se probabilmente avrebbe scongiurato la guerra in Iraq, dove sono andati solo i figli dei poveracci”. Se prima dell’introduzione – con le guerre napoleoniche - del servizio militare obbligatorio non esisteva il problema del reinserimento dei reduci cui il cinema ha dedicato un filone ad hoc, viceversa, il richiamo alle armi spiega il conflitto tra il colonnello Dax e PULP BASTERDS “Quentin tarantineggia alla grande!”. Parola di uno che se ne intende, Enzo G. Castellari: il suo Quel maledetto treno blindato del ’77 rivivrà al prossimo festival di Cannes con Inglorious Basterds di Tarantino, che il regista italiano – in cammeo nel film - definisce “non un remake, ma un omaggio”. The Inglorious Full Metal Jacket. Nelle pagine precedenti un’altra scena del film e Giaime Alonge Bastards fu proprio il titolo che Castellari scelse per la distribuzione americana ma, eredità a parte, il peso del pulpwar movie di Tarantino è tutto proiettato in avanti: “You haven’t seen war until you’ve seen it through the eyes of Quentin Tarantino” recita il trailer, e potrebbe non essere solo un claim promozionale. Almeno a giudicare dalle prime immagini: urla, scalpi e sangue a fiotti, con Brad Pitt e i suoi otto Basterds, soldati ebrei americani, alla caccia di nazi. Chissà, se Tarantino riuscisse davvero a rivoluzionare il genere bellico, il primo a essergliene grato potrebbe essere proprio Stanley Kubrick: i suoi Orizzonti non attendono che di (FP) farsi Inglorious… Quentin Tarantino. Accanto una scena di Inglorious Basterds 42 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo marzo 2009 l’establishment militare, e non solo: la leva è tradizione del racconto bellico del ‘900, da I migliori anni della nostra vita a FMJ. Nondimeno, Kubrick sa guardare oltre il XX secolo, con “campi di battaglia caotici, entropici, in cui le coordinate spaziali saltano e il nemico è sostanzialmente invisibile: se in Barry Lyndon le battaglie sono geometriche e a viso aperto, la città e la ragazzacecchino di Full Metal Jacket e il Formicaio inquadrato sempre in campo lungo, come fosse la fortezza del Deserto dei tartari, di Orizzonti di gloria sono sintomatici delle contemporanee guerre a bassa intensità, dall’Iraq a Gaza fino a Valzer con Bashir, dove il nemico non lo vedono quasi mai”. Al contrario, l’11 settembre Kubrick non l’ha preconizzato: “Per lui, la guerra è ancora tra Stati, e quella al terrore un’espressione anomala. Di certo, il 9/11 è un evento capitale, e Kubrick era estremamente interessato alla politica internazionale: avrebbe potuto farlo un film sulle “operazioni di polizia” post 11 settembre, ma i suoi tempi divenuti così lenti dopo Shining e la sua fredda prospettiva storicofilosofica paiono ostacoli quasi insormontabili. Senza considerare che la velocità della comunicazione, e del cinema contemporaneo nel trattare l’Iraq l’avrebbero sicuramente spiazzato”. Ma in realtà, conclude Alonge, “il film di Kubrick sull’11 settembre, come dice mia moglie, l’abbiamo già visto: all’insediamento di Barack Obama, con Dick Cheney sulla sedia a rotelle come il Dr. Stranamore…”. % MIRAGGIO NAPOLEONICO 155 PAGINE DI SCRIPT PER LA PIÙ IMPORTANTE OPERA CINEMATOGRAFICA MAI REALIZZATA: IL SOGNO “IMPERIALE” DI STANLEY DI VALERIO SAMMARCO “CONSIDERO KUBRICK UN GIGANTE”. Lo diceva Orson Welles già nel ’56, ancor prima dei suoi lavori immortali (dal Dottor Stranamore a Shining, da 2001 ad Arancia meccanica), ancor prima che lo stesso Kubrick iniziasse solamente a pensare al Napoleon, sogno infranto che non trovò altra realizzazione se non sulla carta. 155 pagine di script (qualche anno fa comparso misteriosamente su Internet, tuttora consultabile), frutto di un lavoro maniacale e della collaborazione con l’esperto napoleonico Felix Markham, tanto da portare il regista a dichiarare di marzo 2009 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo 43 COVER sapere “quello che l’imperatore aveva fatto e dove si trovasse ogni singolo giorno della sua esistenza”. “L’epica definitiva” (ipotizzava Bob Gaffney, collaboratore del regista in 2001), la risposta colossale al già di per sé colossale film di Abel Gance (“in anticipo sui tempi dal punto di vista tecnico, ma tremendo e rozzo per quanto riguarda trama e recitazione”, come lo definì Kubrick), 50.000 comparse solo per ricreare le scene di marce, campagne e battaglie, per le quali ancora non si erano trovati i “terreni” giusti, anche se alla fine erano state scelte la Romania e/o la Jugoslavia, epopea – dalla nascita alla morte dell’imperatore – che non conobbe neanche un solo giorno di produzione. Inizialmente approvato dalla MGM, che poi rifiutò il progetto a causa del disastroso esito commerciale (come da titolo…) di Waterloo (Sergei Bondarchuk, 44 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo marzo 2009 “L’epica definitiva”, in risposta al kolossal di Abel Gance 1970), l’ambizioso sogno del regista newyorkese non si spegne, ma anzi lo accompagna per molti anni a venire: la stesura della sceneggiatura è datata settembre ’69 (un anno dopo 2001: Odissea nello Spazio), poi arriva Arancia meccanica e Kubrick riprende a parlare del Napoleon, tanto che durante la lavorazione di Barry Lyndon (1975) in molti pensarono che alcune riprese delle scene di battaglia sarebbero poi servite per l’altro film… Che invece non partirà mai (anche se Jack Nicholson – che Kubrick avrebbe preferito al posto di Marlon Brando nei panni dell’imperatore – parlava del progetto ancora nell’86, sei anni dopo Shining, come riportato nel prezioso volume “Stanley Kubrick – L’uomo dietro la leggenda” di Vincent Lo Brutto), rimanendo per sempre il più grande film mai realizzato della storia del cinema. Oggi – ironia della sorte – trova posto accanto a tre progetti maledetti di Orson Welles: il film sul Brasile, la trasposizione del capolavoro di Cervantes e The Other Side of the Wind: ma, a differenza di quelli (i primi due sono stati più o meno filologicamente ricostruiti in It’s All True e Don Quijote, il terzo potrebbe finalmente essere terminato da Peter Bogdanovich), il Napoleon di Kubrick è rimasto una chimera, intangibile e lontanissimo miraggio. In due parole: il film perfetto. % cartoni d’autore Arrivano Sfida extraterrestre per Jeffrey Katzenberg, una pesciolina mutante per Miyazaki 46 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo marzo 2009 i mostri e la Laguna d’Oro della Pixar: per grandi e piccini, è febbre cartoon marzo 2009 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo 47 Alla rivoluzione Il guru della DreamWorks non ha dubbi: “La nuova era dell’animazione inizia da qui”. La scommessa tridimensionale è Mostri contro alieni di Valerio Sammarco 48 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo marzo 2009 cartoni d’autore con il 3D L’amministratore delegato della DreamWorks Animation Jeffrey Katzenberg “D’ORA IN POI REALIZZEREMO ogni titolo in 3D e non sarà come una volta, quando i film venivano fatti in 2D e poi trasformati in post-produzione, ma il contrario: sarà un processo che inizierà già dalla stesura degli storyboard, con i disegnatori che devono concepire sin dall’inizio l’animazione non più appiattita bidimensionalmente, ma del tutto immersa nella storia”. La rivoluzione è in atto, parola di Jeffrey Katzenberg, amministratore delegato e guru della DreamWorks Animation che, dal 3 aprile, sdoganerà in tutto il mondo la sua ultima creatura Mostri contro Alieni. Tributo animato alla sci-fi anni ’50, il film diretto da Rob Letterman e Conrad Vernon racconta di una ragazza californiana, Susan Murphy (a darle voce è Reese Witherspoon), che il giorno del suo matrimonio viene colpita da un meteorite e si trasforma in una gigantessa di 15 metri. Portata in un’area segreta del governo USA, e ribattezzata Ginormica, viene messa insieme ad un gruppetto di ex-umani, ormai diventati mostri: il geniale Dottor Professor Scarafaggio, il super macho Anello Mancante, metà scimmia e metà pesce, il gelatinoso ed indistruttibile B.O.B e il bruco Insectosaurus, lungo più di 100 metri. Convocati dal Presidente degli Stati Uniti su suggerimento del generale W.R. Monger, i mostri dovranno controbattere l’offensiva dell’alieno Gallaxhar che minaccia di distruggere il mondo. Di 3D si parla da anni, cosa cambia oggi in termini pratici? Dopo il sonoro e il colore, quella del 3D sarà la vera terza rivoluzione nella marzo 2009 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo 49 cartoni d’autore storia del cinema. Dimenticate i ridicoli occhialetti di cartone con una lente rossa e l’altra verde, dimenticate quel fastidioso senso di nausea provato al termine della proiezione. Quella tecnologia era primitiva: oggi la parola d’ordine è digitale, quindi precisione, di conseguenza perfezione. Da un punto di vista squisitamente “narrativo”, quali sono gli accorgimenti che intervengono nella storia da raccontare? La storia rimane l’elemento portante per ogni prodotto, guai a sottometterla inserendo elementi inutili solo per aumentare effetti o colpi sensazionali: un brutto film rimane tale anche se viene concepito o trasformato in 3D, quello che intendiamo fare noi è offrire allo spettatore la possibilità di realizzare quel sogno che lo accompagna non appena il buio scende in sala, ovvero entrare completamente nella storia che gli viene raccontata. Tecnicamente parlando? Dal punto di vista tecnico le migliorie rispetto al passato per quello che riguarda la tridimensionalità non possono prescindere 50 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo marzo 2009 Gallaxhar incombe La minaccia arriva dallo spazio. E’ l’alieno Gallaxhar il nemico da cui mettersi in salvo. Per farlo, il governo USA si affida ai suoi mostri: la nuova arrivata Ginormica sarà affiancata ai vecchi BOB (gelatinoso e indistruttibile), al Professor Scarafaggio (Dr. Dr. Cockroach in originale), al gigantesco bruco Insectosaurus e al super macho Anello Mancante. La battaglia ha inizio! dall’evoluzione della tecnologia digitale: ora è finalmente possibile sincronizzare perfettamente le due macchine da presa per ottenere la visione stereoscopica delle immagini e, soprattutto, riprodurle in sala per mezzo di un unico proiettore, evitando così i problemi di un tempo, quando ne occorrevano due e il processo era ancora meccanico. Ma le strutture ci sono? E i costi? Nel giro di qualche anno, recessione globale permettendo, il miraggio del 3D non sarà più tale: oggi come oggi negli States circa 1400 sale possono proiettare in 3D, a livello internazionale contiamo che già dalla prossima primavera si possa arrivare almeno a 500 e in Italia a 60, puntando per gli USA all’80% della copertura totale nell’estate del 2010, in concomitanza con l’uscita di Shrek 4. Per quello che riguarda i costi, invece, dal punto di vista produttivo il budget aumenta di circa 50 milioni di dollari per singolo film e facendo una stima solo ipotetica, ogni biglietto per l’ingresso in sala costerà grosso modo quanto oggi per le sale con tecnologia IMAX, circa 5 dollari in più. Un aumento non da poco… Come azienda stiamo investendo moltissimo per raggiungere una qualità sempre più elevata. Ci vorrà più tempo per trovare una risposta al nostro lavoro? Pazienza: qualsiasi tipo di business al mondo, offrendo un prodotto migliore ai suoi clienti, non può non essere apprezzato. % Anime infantili “Sono i bambini a darmi la forza”, confessa Miyazaki. Dalla rivalsa sul “materialista” Andersen, ecco la sua Ponyo-Sirenetta di Federico Pontiggia JOHN “PIXAR” LASSETER, per molti l’unico erede di Walt Disney, dice che “è il più grande maestro dell’animazione, anzi il più grande regista vivente”. Il connazionale Akira Kurosawa affermava che “non si può sminuire l’importanza della sua opera paragonandola alla mia”. Capelli e barba bianchi, sigaretta perennemente accesa, il regista non si dice d’accordo con gli illustri colleghi, ma non è questo un altro sintomo della grandezza di Hayao Miyazaki, 68 anni, Leone d’Oro alla carriera nel 2005, professione creatore di anime? Al Lido, Miyazaki è tornato con Ponyo sulla scogliera (Ponyo on the Cliff by the Sea), portando in dote l’inno dell’ultima Mostra: “Ponyo Ponyo Ponyo…” e commuovendo con la consueta ricetta, la semplicità: semplicità grafica, artigianalità di tratto, fattura e lavorazione distante anni luce dai byte della CGI di Pixar e DreamWorks, e semplicità di caratteri, che nascono per i bambini e crescono fino a regalare un insegnamento morale agli adulti. Oltre 17.000 i quadri disegnati a matita, perché “con la computer grafica - spiega il co-creatore di Heidi e Lupin s’indebolisce la vera forza dell’immagine. La tecnologia può aiutare a realizzare un film, ma credo che l’animazione abbia bisogno della mano dell’uomo: spero di usare la matita il più a lungo possibile”. Ma sbaglia chi crede in una concorrenza, pur leale, all’universo hi-tech della Pixar: “Quando è finita la guerra, avevo 4 anni, molti film arrivavano dall’America, ma nessuno mi ha influenzato. L’animazione è un mondo vasto, non siamo in competizione, ma in amicizia: nella Pixar ci sono tante persone a me care”. Invidia e competizione non abitano nemmeno nella casa sospesa sul mare, dove vivono il piccolo Sosuke, la madre Lisa e, più raramente, il padre marinaio. Un giorno, Sosuske incontra una pesciolina rossa scappata dagli abissi, che ribattezza Ponyo: i due si marzo 2009 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo 51 cartoni d’autore innamorano. Infanzia, ecologia, tolleranza, diversità, anzianità e femminismo affiorano sul mare animato di Miyazaki depurati di qualsiasi scoria stilistica, poetica e pedagogica, creando ondate di tenerezza: “Nel mio staff, molti hanno avuto dei figli di recente, e questo mi ha dato la motivazione per realizzare Ponyo: d’altronde, sono i bambini che mi danno la forza per andare avanti”. Ecco, dunque, Ponyo, che corre sui cavalloni, adora il prosciutto e porta sulla terra la luce La pesciolina Ponyo. Sopra Miyazaki e tutte le sue creature 52 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo marzo 2009 degli abissi, e Sosuke, che regala l’infanzia alle vecchiette e piange per la madre che non trova, protagonisti di “una fiaba avventurosa sull’amore infantile e una risposta alle afflizioni dei nostri tempi”, un romanzo di formazione “al contrario”, letto dai bambini ai genitori. Negando di aver ricreato “il mio maremoto” sulla scorta dello tsunami di Phuket e Krabi del 2004, Miyazaki canta le lodi dell’oceano: “Il mare va, il mare viene: l‘uomo non può farci niente, solo accettarlo. C’è una ciclicità negli eventi a cui non ci si può opporre: così per me è la vita“. Vita da cittadino del mondo, che artisticamente ingloba tradizioni europee e nipponiche: “In Giappone, crediamo gli opposti si attraggano, creando metamorfosi e sodalizi: ho fatto in modo che il film potesse interessare tutti”, confessa Miyazaki. E sulla tavolozza trova anche i colori per evocare La valchiria di Wagner: “Quando Ponyo ritorna al mare cavalca le onde, esattamente come le valchirie: Brunilde mi sembrava il nome più adatto per lei…” e La sirenetta: “A nove anni ho letto la favola di Andersen, ma non mi è mai andato giù che le sirene non potessero avere un’anima come gli umani: da questo desiderio di rivalsa è nata Ponyo”. % “Il mare va e viene, come la vita: l’uomo può solo accettarlo”, dice il maestro nipponico Un Leone di cartone Pixel doc alla Mostra: Venezia premia John Lasseter, fondatore della Pixar di Gianluca Arnone QUATTRO TITOLI non sono molti per un Leone d’oro alla Carriera. Il caso di John Lasseter, però, fa eccezione. Innanzitutto per la misura dei suoi lavori. Geniali, appassionanti, poetici, i lungometraggi firmati dal regista californiano – i due Toy Story, A Bug’s Life e Cars - sono gioiellini che hanno rivoluzionato il mondo dell’animazione (Toy Story è il primo cartoon completamente realizzato al computer), e restituito al cinema americano i fasti dell’epoca classica. Un mix di creatività, spettacolarità e forza drammaturgica, sorretto dalla consapevolezza che “nessun computer potrà mai salvare una brutta storia”. Inoltre, come direttore artistico (e fondatore) della Pixar, Lasseter è stato artefice indiretto della migliore animazione di questi anni - da Monsters & Co a Gli incredibili, da Ratatouille fino all’ultimo splendido Wall.E -, contribuendo a fare della computer graphic uno dei principali motori dell’industria dell’intrattenimento, e a trasformarla in straordinaria “forza espressiva del nuovo millennio”. I numeri John Lasseter con l’ultima creatura della Pixar: Wall.E. Sotto con la troupe di Nemo parlano chiaro: in poco più di vent’anni lo studio nordamericano (nato nel 1986 come costola della LucasFilm) ha collezionato 10 titoli, 22 Oscar e oltre 5 miliardi d’incasso al botteghino, divenendo il simbolo della rinascita hollywoodiana. Non a caso ad accompagnare Lasseter al Lido ci sarà il nucleo storico della Pixar, da Brad Bird a Peter Docter, da Lee Unkirch a Andrew Stanton (il regista di Alla ricerca di Nemo e di Wall.E): il riconoscimento veneziano - a differenza di quello conferito nel 2005 ad un altro campione dell’animazione, Hayao Miyazaki – è un premio al gruppo, non al singolo autore. E’ il gruppo – l’inesauribile bagaglio tecnico, il talento artigianale, l’acume manageriale - ad avere tradotto l’intuizione di Lasseter in arte pop, marchio rinomato e prodotto per grandi e piccini. Un modello che ha generato una lunga scia d’imitatori: gli antagonisti storici - la Dreamworks di Shrek e i Blue Sky Studios de L’era glaciale – e i medi e piccoli esperimenti di cartoon all’avanguardia, come quelli tentati da Luc Besson con la sua Europacorp (Arthur e il popolo dei Minimei), o dalla Rainbow CGI del nostro Iginio Straffi (padre delle Winx). Per non dire dell’animazione “adulta” che gareggia nei festival con le tradizionali opere d’autore, come mostrano i recenti esempi di Persepolis e Valzer con Bashir, film capaci di affrontare temi delicati quali l’intolleranza e la guerra. Segno che al richiamo dei pixel non resiste più nessuno. Nemmeno la realtà. % CAPOLAVORO DA NON PERDERE BUONO DISCRETO DELUDENTE Gran Torino Kowalski è la variazione crepuscolare dell’ispettore Callaghan. E per Eastwood quello che Il Grinta è per John Wayne i film del mese in uscita DA NON PERDERE WALT KOWALSKI, da poco vedovo, sta seduto nel suo piccolo portico come un soldato stanco dopo tante battaglie. Beve birra, parlotta con se stesso o con il suo cane, Daisy. Osserva, accigliato e scorbutico, i nuovi vicini: Hmong che arrivano dal Laos, dalla Thailandia e dalla Cina. Per loro non sa trovare parole gentili e il razzismo, sordo e colpevole, di Walt lo tiene prigioniero dell’odio. Ultimo superstite, con il fucile, di una guerra mai 54 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo marzo 2009 Regia Con Genere Distr. Durata finita che ha l’ambivalenza dell’intolleranza. L’old man che ha la postura e la faccia solenne di Clint Eastwood (di nuovo attore dopo Million Dollar Baby) vive ancora negli anni ‘50. È un reduce della guerra in Corea ed è un reduce delle catene di montaggio della Ford, prima che gli americani cominciassero a comprare automobili fabbricate in Asia. Non è un nostalgico, ma i giorni andati Clint Eastwood Clint Eastwood, Ahney Her Drammatico, Colore Warner Bros. Pictures Italia 116’ risuonano nella sua memoria come meravigliosi e l’idea sublimata del tempo perduto ha la linea, vintage e elegante, di una magnifica automobile del 1972. La Ultima prova d’attore per Clint Eastwood? marzo 2009 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo 55 i film del mese Gran Torino custodita con cura maniacale nel garage di casa. Il personaggio di Walt Kowalski, sostenuto dalla sceneggiatura dell’esordiente Nick Schenk, è una variazione crepuscolare di Dirty Harry Callaghan. Esaminate tutte le differenze, Gran Torino è per Eastwood quello che Il Grinta è stato per John Wayne. Walt-Clint ringhia e brontola contro tutto quello che non gli piace o che disapprova, porta la mano verso un’invisibile fondina e punta il pollice e l’indice contro i “nemici” come se le sue dita avessero incorporato una pistola pronta a sparare. Regista e attore prolifico, Eastwood è sempre più attento all’idea di uomini in declino, in un’America che (la lezione di Lettere da Iwo Jima resta esemplare) riflettendo su sconfitte, falle, errori, deve trovare l’energia e la volontà di una riconciliazione razziale, etnica, culturale. Il melting pot rimane la radice e la punta dell’albero, il dna irrinunciabile, il patto sociale del vecchio e del futuro grande Paese. In questa direzione si muove il suo cinema e i suoi film sono il riflesso di questa elaborazione iterata e coerente. La linea narrativa e la messa in scena di Gran Torino aspirano ad una classicità d’altri tempi e a soluzioni dell’intreccio poco interessate ad un’originalità ottenuta con ogni mezzo e ad ogni costo. Il tentativo di furto della preziosa automobile, come prova di iniziazione per entrare in una gang da parte di Thao (Bee Vang), un adolescente introverso, figlio dei nuovi vicini, avvicina il grintoso Walt e il confuso ragazzo. Per Ahney Her in una scena del film. In basso ancora Eastwood Si sentono i cilindri e il rombo di un motore che gareggia sui circuiti del cinema da oltre 50 anni entrambi comincia un corso di educazione affettiva e civica, la scoperta di se stessi e la riscoperta dell’altro. La piena coscienza che il piccolo prato davanti alla veranda non deve essere, ogni giorno, un muro o una trincea con il filo spinato è acquisita anche grazie all’incontro con Sue (Ahney Her, interpretazione fresca e convincente), la sorella di Thao. Più spigliata e decisa del fratello, snida il bilioso Walt e lo aiuta, insieme al prete cattolico che insiste per avere cura del suo dolore e dei suoi sensi di colpa, a depurarsi, a liberarsi dal ruolo di Scrooge e delle sue diffidenze. Gran Torino non è un film perfetto ma funziona su vari livelli. È una scocca disegnata e accessoriata su misura per Clint. Nella sua interpretazione si sentono i cilindri e il rombo di un motore che gareggia sui circuiti del cinema da oltre cinquanta anni. Il pit stop può attendere. ENRICO MAGRELLI % 56 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo marzo 2009 Alba 17-22 marzo 2009 Sala Ordet - Cityplex Cine4 - Fondazione Ferrero 8ª E D I Z I O N E www.albafilmfestival.com i film del mese Live! Regia Con Genere Distr. Durata DA NON PERDERE Eva Mendes, David Krumholtz Drammatico, Colore Moviemax Roulette russa per un inquietante mockumentary. Con una strepitosa Eva Mendes 93’ “DAL COLOSSEO… alle folle a Parigi che venivano a vedere la ghigliottina, gli uomini sono sempre stati affascinati dalla morte e, più importante, dal fatto di assistere alla morte”. Parola di Katy Courbet (Eva Mendes), produttrice del reality più estremo mai realizzato: una roulette russa in diretta, con sei partecipanti (un surfista spirito libero; un padre con figlio e azienda malati; un’aspirante attrice; una performer femminista; un latino gay; un laureato afroamericano) pronti a morire per cinque milioni di dollari. Scritto e diretto dall’esordiente alla finzione Bill Guttentag, già premio Oscar per i corti documentari Twin Towers (2003) e You Don’t Have to Die (1989), interpretato da un’ottima Eva Mendes (anche produttrice esecutiva) e David Krumholtz (il Rex di Num3ers) 58 in uscita Bill Guttentag rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo marzo 2009 nei panni del regista che sta girando un doc sullo show, Live! Ascolti record al primo colpo è un interessante mockumentary, il più interessante di un genere negli ultimi anni sulla cresta dell’onda, da Death of a President a Borat fino a JCVD. Al centro, l’eterna battaglia televisiva, e più in generale dello showbiz, tra indici d’ascolto e moralità, in un mix serrato Eva Mendes e il cast del film ed emozionante: finirà, anzi no, con una doppia tragedia, un suicidio-omicidio in diretta, dopo aver stracciato audience e share di ogni Superbowl, per tradizione l’evento più seguito del piccolo schermo Usa. Se per il critico del Corriere Aldo Grasso, il reality è “discutibile per tanti versi ma anche interessante. Per la sua straordinaria, balzachiana capacità di entrare in corto circuito con la realtà, per essere, nella sua irrealtà, più vero del vero”, Live! dimostra quanto sia reale il confine, per giunta ormai raggiunto dalle varie “real-tv”, dell’irrealtà: uno sparo alla tempia, a uso e consumo dei Cesare sulla poltrona: morituri te salutant… Nella stupida corsa all’inedito, la morte ora corre “viva” (live) in diretta. E’ forse l’ultimo stratagemma possibile per una fratellanza catodica universale: piccoli Big Brother crescono... FEDERICO PONTIGGIA % i film del mese Giulia non esce la sera Esistenze sospese a filo d’acqua per la nuova scommessa metalinguistica di Piccioni. Bravi gli attori Regia Con Genere Distr. Durata DA NON PERDERE Valeria Golino, Valerio Mastandrea Drammatico, Colore 01 Distribution 105’ SCRITTORE PER CASO, e di successo, Guido Montani (Mastandrea) entra nella cinquina di finalisti per un prestigioso premio letterario. La cosa lo coinvolge relativamente, così come tutti gli altri aspetti della sua esistenza. Sposato con Benedetta (Bergamasco) e padre della preadolescente Costanza (l’esordiente 60 in sala Giuseppe Piccioni rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo marzo 2009 Domiziana Cardinali), si disinteressa pressoché totalmente del trasloco verso la nuova casa, più vicina alla città, e decide di proseguire il corso di nuoto iniziato (malvolentieri) e abbandonato dalla figlia. Qui conosce l’istruttrice Giulia (Golino), donna di un fascino misterioso, che “non esce mai la sera”, appesantita da un vuoto incolmabile, segnata da un passato doloroso e incatenata ad un presente senza speranza. Iniziano a frequentarsi, ma illuminare le rispettive zone d’ombra non sarà così semplice. Corpi fluttuanti ed esistenze sospese: cinque anni dopo La vita che vorrei, Giuseppe Piccioni (anche autore della sceneggiatura insieme a Federica Pontremoli) torna a confrontarsi con il reale attraverso un cinema che si fa metalinguaggio, non più “film nel film”, ma film nel libro, e viceversa. Come sullo schermo prendono vita i personaggi creati da Guido (l’uomo degli ombrelli, il tormentato Padre Rosario), così sulla pagina inizia a prendere forma Giulia, attrice in ombra di una vita a libertà vigilata, poco a poco protagonista in una nuova esistenza fino a quel momento solamente trascinata dagli eventi. Perché Guido – con il quale Mastandrea riesce a stabilire una simbiosi non solo di facciata – malinconico e sfuggente, sembra risvegliarsi dal torpore di una medietà che lo porta a non scegliere, quasi a “non essere” in nessuna delle situazioni che lo riguardano: conoscendo Giulia, forse innamorandosene, l’uomo non smette di osservare ma al tempo stesso è come se proiettasse su di lei la speranza di un cambiamento. La esorta a riallacciare i rapporti con la figlia abbandonata nove anni prima, arriva persino a scrivere una lettera alla ragazza per favorirne l’incontro, e intanto porta avanti questa storia sugli appunti per una nuova, ipotetica pubblicazione. Come al solito fuggendo qualsiasi concessione al banale o al consolatorio, Piccioni (che ritrova collaborazioni importanti, come quelle di Esmeralda Calabria al montaggio e Luca Bigazzi alla fotografia) è bravo ad inscrivere i due protagonisti in un Contesto che non appiattisce, ma che amplifica le sfumature dei personaggi contesto che anziché semplificare tende a sottolineare le rispettive sfumature, dall’ambiente dell’editoria (ennesima, grande prova di Piera Degli Esposti) alla piscina dove lavora Giulia, non luogo che tende ad escluderli dal mondo, dove ogni gesto diventa meccanico, ripetitivo, ma al tempo stesso regala loro l’illusione di un continuo, nuovo inizio. VALERIO SAMMARCO % marzo 2009 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo 61 i film del mese Verso l’Eden La verità è che non Riccardo Scamarcio novello Candido per Constantin Costa-Gavras: irrisolto Regia Con Genere Distr. Durata Constantin Costa-Gavras Riccardo Scamarcio, Ulrich Tukur Drammatico, Colore Medusa 111’ in uscita C’È UNA BELLA LUCE ad incontrare il barcone di migranti che attraversano il Mar Egeo alla ricerca del paradiso. Ma l’Eden non esiste, tanto meno nell’Europa occidentale dei loro sogni. Costa-Gavras, da greco che era, queste cose le conosce, capisce e mette in campo attraverso un giovane alter ego venuto dal nulla e diretto a Parigi, la sua patria attuale. Il migrante Elias è un novello Candido con lo sguardo marino di Riccardo Scamarcio e per questo oggetto di desiderio sessuale per chiunque. Ma non basta la poesia dei silenzi del protagonista – pochissime le battute pronunciate in un francese elementare – per mettere sullo schermo una convincente odissea del clandestino di oggi. Il problema è ben altro e stupisce che un regista di capolavori come Z –L’orgia del potere, Missing o Music Box – Prova d’accusa non abbia voluto affrontarlo con la profondità che gli appartiene. Verso l’Eden appare infatti come il calvario agrodolce di Elias, che passa dalla protezione di una tedesca in cerca di avventure erotiche ad incontri più o meno (s)fortunati quanto improbabili in giro per l’Europa. La Ville Lumière diventa il suo destino su invito di un prestigiatore che opera al Lido. Ma la magia, si sa, non è amica degli ultimi, se non nelle fiabe. ANNA MARIA PASETTI % in uscita DISCRETO LOREM IPSUM DOLOR SIT AMET, consectetuer adipiscing elit. alla (disperata) ricerca Donec vel mauris in diam dell’anima gemella: cast all-star, noia a 5 stelle imperdiet aliquam. Nullam fermentum. Sed consequat. In commedia “SE LUI NON TI AMA, se lui non ti sposa, se lui non ti dice mai ti amo, non farti illusioni...”, predica La verità è che non gli piaci abbastanza, ma non merita ulteriori illusioni. Dal bestseller degli sceneggiatori di Sex and the City, Greg Behrendt e Liz Tuccillo, le storie variamente incrociate e I Love Shop Dai bestseller della Kinsella, la versione outlet di Sex and the City: senza emozione NEW YORK. La 25enne giornalista Rebecca Bloomwood (Isla Fisher, Due single a nozze e Definitely, Maybe) ha un’ossessione-compulsione per lo shopping: armadio pieno, conto vuoto, e il sogno di un impiego ad Alette, la Bibbia del fashion. Finirà dietro una scrivania nello stesso grattacielo, ma qualche piano più sotto, alla redazione di un giornale economico: guidata dal fascinoso Luke Brandon (Hugh Dancy), troverà successo planetario con “La ragazza con la sciarpa verde”, rubrica di consigli per i non acquisti. Ma Rebecca predica bene, e razzola male: i debiti si fanno insormontabili, un riscossore la perseguita, amore e amicizia scappano. Dai bestseller di Sophie Kinsella, I Love Shopping e I love Regia Con Genere Distr. Durata 62 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo marzo 2009 DELUDENTE P.J. Hogan Isla Fisher, Hugh Dancy, Joan Cusack Commedia, Colore Walt Disney Motion Pictures 105’ gli piaci abbastanza Regia Con Genere Distr. Durata L’onda Il nazismo tra i banchi: nella Germania d’oggi. Il prezioso monito di Dennis Gansel Ken Kwapis Jennifer Aniston, Scarlett Johansson Commedia, Colore 01 Distribution 120’ uniformemente incasinate di un gruppo di ventenni e trentenni di Baltimora: al centro, i fraintendimenti e gli equivoci tra i sessi, ovvero le difficoltà del trovare un’anima più o meno - gemella. Il materiale di partenza, per gli amanti del genere, è buono, il pubblico potenziale – e non solo, 60 milioni di dollari in 12 giorni negli Usa – c’è, il cast all-star (Jennifer Aniston, Ben Affleck, Drew Barrymore, Jennifer Connelly, Ben Affleck, Justin Long), ma la noia a cinque stelle: due lunghissime ore di incastri, dai-e-vai, toccate e fughe, tradimenti e astinenze (per scelta altrui), inframmezzati solo dai divertenti siparietti illustrativi di perfetti sconosciuti. Se la Barrymore è poco più di un cammeo, la Connelly triste più del richiesto,la Johansson tanto prosperosa quanto incolore, a convincere è solo la coppia Aniston-Affleck, protagonisti di un idillio tormentato. Ma mai quanto lo spettatore… JEAN-PIERRE HIPPO % ping Regia Con Genere Distr. Durata Dennis Gansel Jürgen Vogel, Frederick Lau Drammatico, Colore Bim 107’ “E’ POSSIBILE che nella Germania attuale, tanto liberale e rispettabile, ritorni il nazismo?“. Per spiegare la storia del partito nazionalsocialista e la dittatura di Hitler, l’insegnante di un istituto superiore tedesco, Rainer Wegner, mette in pratica un esperimento, creando in classe un movimento chiamato L’Onda, caratterizzato da un particolare saluto e l’obbedienza a ferree regole di disciplina: ben presto, L’Onda governerà non solo all’interno della classe, ma sull’intera scuola. E’ L’Onda – singolare omonimia con il movimento studentesco italiano – del 34enne Dennis Gansel, caso cinematografico in patria e premio per la sceneggiatura a Torino. Basato sulla storia accaduta nel 1967 in una scuola di Palo Alto in California, che ha ispirato Il segno dell’onda di Ted Strasser (testo scolastico in Germania), è l’ultima Onda della burrasca neonazista che ha recentemente travolto gli schermi, da Operazione Valchiria a The Reader. Ma qui la rievocazione è proiettata nel futuro prossimo, con drammaticità e pericolosità che nemmeno il finale cruento, punitivo e diverso dal libro pare scongiurare. Furbetto, ammiccante? Forse, ma prezioso: la libertà in gioco esalta qualsiasi monito. E Die Welle lo è: da vedere. FEDERICO PONTIGGIA % in sala in sala DA NON PERDERE DISCRETO shopping a New York, e dal produttore Re Mida Jerry Bruckheimer, ecco la versione outlet di Sex and the City: le boutique per happy few di Carrie & Co. lasciano spazio alle svendite prese d’assalto da Rebecca: shopaholic sì, ma di taglia (e classe) media. Diretta con leggerezza da Hogan, la commedia tuttavia non emoziona: colpa dei déjà-vu (anche Il diavolo veste Prada, con Kristin Scott Thomas novella Miranda), lo scarso appeal della Fisher, comprimari poco azzeccati e una fastidiosa sensazione: che in saldo non siano solo i vestiti… FEDERICO PONTIGGIA % marzo 2009 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo 63 i film del mese Due partite in uscita Regia Con DELUDENTE Enzo Monteleone Margherita Buy, Isabella Ferrari, Paola Cortellesi Genere Distr. Durata Commedia, Colore della Comencini. Due epoche, otto donne e un mistero: perché? 01 Distribution 94’ DUE GENERAZIONI di donne a confronto. La prima, maturata negli anni ’60, è formata da quattro amiche che ogni giovedì si ritrovano attorno a un tavolo per giocare a carte. Sfumature dell’universo femminile: la sarcastica (Margherita Buy), l’avvelenata (Paola Cortellesi), la romantica (Marina Massironi) e l’ingenua (Isabella Ferrari), quest’ultima in dolce attesa. Sul tavolo, oltre alle carte, segreti e bugie del gentil sesso. Chi ha il marito con l’amante, chi l’amante e il marito, chi combatte con la distrazione degli uomini, chi con le preoccupazioni del parto, e tutte con la frustrazione latente. Passano 30 anni e intorno a quel tavolo si siedono le figlie (Carolina Crescentini, Valeria Milillo, Claudia Pandolfi e Alba Rohrwacher). I tempi 64 Monteleone “filma” la pièce teatrale rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo marzo 2009 sono cambiati, gli uomini hanno perso potere e gli angeli del focolare hanno fatto carriera. Ma il pianeta donna non ha ancora trovato la sua bussola…Tratto dalla pièce di Cristina Comencini, Due partite è Quello che le donne non dicono per immagini, con la fatica di durare molto di più. Monteleone, lontano dal cinema dai tempi di El Alamein (2002), ci mette la firma e nulla di più. Conserva il tavolo da gioco, Il regista Enzo Monteleone i colori pop, la ferrea suddivisione in 2 atti: il primo finisce con una nascita, il secondo inizia con una morte. Ci spalma sopra canzoni d’epoca (3 sono di Mina: Se telefonando, E’ l’uomo per me e Un anno d’amore, con l’aggiunta di un brano di Ludovico Einaudi che nei ’60 avrà avuto dieci anni!), citazioni colte (Silvia Plath e Rilke), qualche rigurgito post-femminista, e la frittata è fatta. Insipida e indigesta. Un’ora e mezza di primi e primissimi piani all’interno di uno spazio unico, e interminabili monologhi su famiglia, figli e lavoro che, se esaltano tic e smancerie delle interpreti, stordiscono il pubblico. Dopo venti minuti manca già l’aria, ma a restarci secca è soprattutto la personalità della donna, capace di definirsi solo a partire da un paradigma maschile. Doppio equivoco, ideativo e formale, e un pessimo risultato: Due partite, zero punti. GIANLUCA ARNONE % Two Lovers Ponyo sulla scogliera La matita di Miyazaki disegna le magie dell’amore. Per una fiaba genuina e utopica Regia Genere Distr. Durata anteprima BUONO Cinefilo e talentuoso: James Gray combatte per amore. Ottimi Phoenix e la Paltrow EMERGONO ALL’IMBRUNIRE e prendono forma di notte. Come enigmi visibili al neon, i personaggi di James Gray stavolta combattono per amore. Two Lovers per tre personaggi. Leonard (Joaquin Phoenix) vuole farla finita dal ponte: la vita se lo riprende. Incontra la mite Sandra (Vanessa Shaw) e la vampira Michelle (Gwyneth Paltrow), donne diverse ma entrambe assetate di amore totale. Il panorama interiore non potrebbe essere più borderline. Entrano in gioco le famiglie di Leonard e Sandra: tradizione ebraica, valori concreti, pianificazioni di vite. Il rifugio tra l’ufficialità con Sandra per Leonard si chiama appunto Michelle: dark lady della porta accanto, fragile come una piuma, trappola per definizione. Il regista di New York ama i suoi personaggi di passione pura, e per questo non li abbandona all’inferno della loro indole. Li prende per mano, li fa (s)ragionare, dialoga con loro. Risultato interessante anche grazie a due performance già decise all’origine del progetto: l’attore feticcio-disfunzionale Phoenix e l’algida Paltrow. Dalle atmosfere narrative notevoli ma prevedibili, Two Lovers conferma il talento di Gray, cinefilo, citazionista intelligente (Sliding Doors e Match Point) e curioso di umane imperfezioni. ANNA MARIA PASETTI % Regia Con Genere Distr. Durata Hayao Miyazaki Animazione , Colore Lucky Red 100’ UNA PESCIOLINA ROSSA, Ponyo, risale le profondità del mare per scoprire il mondo umano. Qui conosce Sosuke, un bambino che vive in una casa sulla scogliera. Tra i due nascerà una tenera amicizia che sfiderà le leggi della natura e cambierà per sempre i loro destini. Di una semplicità disarmante, l’ultimo capolavoro di Hayao Miyazaki è un omaggio a un classico della cultura europea, La sirenetta di Andersen, riassorbito nel suo personalissimo universo poetico. Lontano dal perfezionismo dell’animazione digitale, Ponyo sulla scogliera è un tassello ulteriore dell’essenzialità ricercata – film dopo film - dal maestro giapponese. Matita e fantasia sono gli unici artifici che Miyazaki si concede per dare vita a un mondo capace ancora di avvicinarsi a ciò che non conosce (le realtà comunicanti – qui la terra e il mare sono una costante di tutto il suo cinema), per accoglierlo, custodirlo e farsi cambiare. Essenzialità, per Miyazaki, fa rima con genuinità. E l’insistenza sull’animazione artigianale rappresenta il corollario formale di quella purezza vagheggiata da un ostinato creatore di sogni. Che rinuncia persino ai cattivi, cogliendo il paradosso di ogni utopia: credibile anche quando è impossibile. GIANLUCA ARNONE % anteprima CAPOLAVORO James Gray Joaquin Phoenix, Gwyneth Paltrow Drammatico , Colore Bim 100’ marzo 2009 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo 65 i film del mese La pantera rosa 2 The International Clive Owen e Naomi Watts in crisi (finanziaria): thriller cerebrale, con poche emozioni Regia Con Genere Distr. Durata in uscita DELUDENTE Secondo, imbarazzante remake per l’ispettore Clouseau: era Peter Sellers, ora è il pagliaccio Steve Martin DOPO AVER RISOLTO IL MISTERO della “pantera rosa”, il diamante scomparso nel primo episodio, il disastroso ispettore Clouseau (Steve Martin) torna in azione, insieme al suo assistente Ponton (Jean Reno), per fermare “Il Tornado”, un elusivo maestro del furto sulle cui tracce vengono sguinzagliati i più valenti detective del pianeta. Dopo aver diretto il remake del 2006, Shawn Levy produce questo sequel mettendo al timone il norvegese Harald Zwart: tutt’altro che entusiasmante, ma vista la qualità del primo capitolo sarebbe stato difficile fare di peggio. Che cosa non va? Innanzitutto, il Clouseau di Steve Martin, che, rispetto all’ispettore Peter Sellers nei film di Blake Edwards degli anni ’60, tira allo spasmo gli elastici della mimica, dell’andatura, dell’accento francese... ma a che pro? Nel Clouseau di Sellers gli spettatori si riconoscevano: ridendo di lui, ridevano un po’ di se stessi; il Clouseau di Martin è solo un pagliaccio da sbeffeggiare, esposto al pubblico ludibrio. “A Peter... il solo ed unico ispettore Clouseau.”, si legge nei titoli di testa di Sulle orme della Pantera Rosa del 1982, a due anni dalla morte dell’attore: oggi più che mai valida epigrafe. Ma forse, ogni epoca ha i Clouseau che si merita. GIULIO BRILLARELLI % Regia Con Genere Distr. Durata 66 Harald Zwart Steve Martin, Jean Reno Commedia, Colore Sony Pictures Italia 90’ rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo marzo 2009 Tom Tykwer Clive Owen, Naomi Watts Thriller, Colore Sony Pictures Italia 122’ ALL’ORIGINE della crisi finanziaria mondiale era The International. Ironia a parte, l’ultima fatica del tedesco Tom Tykwer, nonché la sua prima hollywoodiana, sembra il paranoic-conspiracy-thriller più calzante a spiegare parte dei tempi duri attualmente in corso. Itinerante come da titolo, The International trasporta un eroe dell’Interpol (Clive Owen) con qualche macchia ma senza paura nel circolo vizioso del sistema bancario internazionale, corrotto sine limite in complicità con produttori e commercianti d’armi, nonché con reti criminali. Partner di (dis)avventure di Owen è l’Assistent District Attorney Naomi Watts: insieme si troveranno impantanati negli ingranaggi di una “macchina” che sembra infallibile. Buona parte del set è italiana: Milano soprattutto, dove un inedito Luca Barbareschi veste i panni di un businessman miliardario candidato alla leadership politica del Belpaese. Con un partito dal nome Futuro Italia e un simbolo dai tre colori nazionali, non lascia dubbi sull’identità della fonte d’ispirazione. Complessivamente, benché non privo di interessanti spunti visivi, il film risulta un costante ma fallito tentativo di decollo dalla sfera cerebrale, non riuscendo mai a irrompere nelle emozioni, neppure quando si fa puro action. ANNA MARIA PASETTI % anteprima DISCRETO film del mese Watchmen in uscita Regia Genere Distr. Durata DA NON PERDERE Zack Snyder Fantasy, Colore Universal Ambizioso, violento e apocalittico: ecco il kolossal tratto dalla graphic novel di Alan Moore 160’ POSSO CAMBIARE TUTTO, non la natura umana, dice Dr. Manhattan prima di andare in esilio su Marte. Siamo nel 1985 e una bomba ha appena ucciso milioni di persone. Ma il fine ultimo, la pace, è stato raggiunto. Dietro al disastro nucleare non i leader delle superpotenze, ma un vigilante con un sogno: ripulire il mondo. Il kolossal diretto da Zack Snyder, (2 ore e 40’ e 150 milioni di dollari di budget) gronda sangue e violenza come l’originale Watchmen, fumetto cult degli anni Ottanta, sceneggiato dal genio di Alan Moore (V for Vendetta, From Hell) e illustrato dal guru Dave Gibbons. La decostruzione del mito del supereroe è l’elemento innovativo, che Snyder ripropone fedelmente, la carrellata di personaggi esemplificativa, quasi tutti in bilico tra Bene e Male. Rorschach (Jackie Earle Haley), la Maschera per eccellenza, è più psicopatico che eroico, Il Comico (Jeffrey Dean Morgan), ne ha fatte di cotte e di crude, Ozymandias (Matthew Goode), il cui vero nome è Adrian Veidt, è affetto da megalomania. Il film, come la graphic novel, è ambientato in un universo parallelo, i cui riferimenti sono reali e alterati allo stesso tempo da avvenimenti portati alle La squadra degli eroi originali: i Miliziani estreme conseguenze. E’ il caso del presidente Nixon, che ha cambiato la legge rimanendo in carica per quattro mandati consecutivi, instaurando una forma di dittatura mascherata (le analogie con il presente sono inequivocabili e inquietanti). Mentre scorrono le immagini catastrofiche di una Storia alternativa in cui il Vietnam si è risolto con successo grazie all’intervento di Dr. Manhattan (Billy Crudup), unico vero mutante della squadra, la colonna sonora passa dalle note selvagge della Cavalcata delle Valchirie a quelle malinconiche di The Times They are A-changing di Bob Dylan. Apocalittico, visionario, fin troppo sofisticato nelle citazioni extratestuali (si passa da Giovenale a Brecht), Watchmen mantiene intatto il fascino brutale del fumetto, con un cast azzeccato e la consapevolezza dell’ineluttabile destino degli esseri umani. MARINA SANNA % marzo 2009 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo 67 Louise & Michel Nemico pubblico n.1 L’istinto di morte Cassel muscolare e convincente per ridare vita al gangster-icona francese anteprima Regia Con Genere Distr. Durata commedia nerissima per uscire dalla crisi. Tra gli applausi LE LAVORATRICI DI UNA FABBRICA in Picardia, Francia, si svegliano con una triste notizia: lo stabilimento ha chiuso, l’attività trasferita altrove, per ognuna un indennizzo di 2mila euro, dopo 40 anni di servizio. Riunite al pub, le operaie votano all’unanimità la proposta di Louise (Yolande Moreau): mettere insieme le buonuscite e assoldare un killer professionista per uccidere il loro ex capo. La scelta di Louise cadrà su Michel (Bouli Lanners), sicario che più improbabile non si può: da Amiens a Bruxelles, fino a un remoto paradiso fiscale, i due si lasceranno dietro una scia di morti collaterali, una sana dose d’anarchia, e un bebè in arrivo… Come ti risolvo la crisi? Con una commedia nerissima e surreale, che fa la guerra con i sessi, le convenzioni del genere (noir) e le aspettative del pubblico, con silenzi assordanti, dialoghi secchi e sparuti, e qualche esecuzione alla ricerca della felicità. Vendetta sarà fatta, ma a che prezzo? Quello del biglietto, che nel caso di Louis & Michel pare davvero a buon mercato. Meno duro, e più fine, del connazionale belga Ex Drummer, meno pretenzioso degli Idioti di Lars Von Trier, ecco il Thelma & Louise del XXI secolo: per diventarlo ha tutti i numeri, ma non il genere… FEDERICO PONTIGGIA % 68 Benoît Delépine e Gustave Kervern Yolande Moreau, Bouli Lanners Commedia, Colore Fandango 90’ rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo Vincent Cassel, Gerard Depardieu Azione, Colore Eagle Pictures 110’ DA NON PERDERE Dal Belgio con stupore: una Regia Con Genere Distr. Durata Jean-Francois Richet marzo 2009 SOLDATO RIBELLE dell’esercito francese durante la guerra d’Algeria, Jacques Mesrine torna in patria e si ritrova ad un bivio: sceglierà la via più spettacolare, non meno pericolosa, di un’esistenza criminale, alleandosi con un esponente dell’OAS (Depardieu), diventando in breve tempo il Nemico pubblico n.1 di un’intera nazione. Omaggio dichiarato al polar, il robusto action di Richet – film in due parti (la seconda arriverà in Italia il 17 aprile) ispirato all’autobiografia dello stesso Mesrine – non può prescindere dalla convincente, muscolare interpretazione del protagonista, un Vincent Cassel a suo agio nel (ri)dare corpo e vita ad uno “showman” che, ancora oggi, è considerato come icona del contropotere francese, radicato nella memoria popolare e da molti visto alla stessa stregua di un eroe. Cosa che Mesrine non era, e che il film evita di sottolineare, gettando sul personaggio la dovuta ambiguità che lo accompagnò in tutte le sue “performance”. Affascinante nelle atmosfere e nella ricostruzione, il film si affida però con troppa semplicità ad ellissi temporali, utilissime per evitare spiegazioni che, forse, in alcuni frangenti, sarebbe stato meglio non omettere. VALERIO SAMMARCO % in uscita BUONO AIUTIAMO A MATURARE LE VOSTRE SCELTE. OFFRIAMO ALLA CLIENTELA PRIVATA E ISTITUZIONALE SOLUZIONI PERSONALIZZATE E INNOVATIVE RIGUARDANTI LA GESTIONE DEL PROPRIO PATRIMONIO . Viale Angelico, 163 - 00195 Roma Tel./Fax 06.37.51.33.48 sito web: www.studiobarocci.it e-mail: info @ studiobarocci.it Ufficio di Rappresentanza presso Banca Euromobiliare - Direzione di Area - Via Rasella, 155 00187 Roma Tel. 06.42.01.79.31 - Fax 06.42.01.23.67 non guardare un film dal buco della serratura La qualità che meriti è offerta solo dal prodotto originale Migliaia di addetti lavorano ogni giorno per offrirti la migliore qualità tecnica e le vere emozioni del grande cinema a casa tua Il tuo tempo è prezioso, non sprecarlo con un video pirata! Campagna sperimentale Univideo contro la pirateria telecomando ra: novità e bilanci atu ter let e a tri us ind a, sic mu , eo Homevid Maestri allo specchio Mereghetti racconta Orson Welles e Bogdanovich svela il proprio mondo DVD Il Mabuse di Fritz Lang, l’altra faccia del Decalogo e prime visioni in Blu-ray Borsa del Cinema Esordi made in Italy: chi l’ha visti? A tu per tu con il distributore d’Oriente Libri Immagini al potere, terrore sul video: grande schermo e Tv a confronto Colonne sonore Partiture al contrario per Alexandre Desplat: Benjamin Button Telecomando DVD • BORSA DEL CINEMA • LIBRI • COLONNE SONORE DVD di Valerio Sammarco In un cofanetto da collezione il camaleontico genio criminale, portato sullo schermo da Fritz Lang. Restaurato e con extra da brivido Il Ritorno del Dr. Mabuse 72 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo marzo 2009 “MABUSE NON È SOLO UN personaggio, né solo una tradizione tematica (il ‘genio del male’), ma è piuttosto una parola, opaca e trasparente, un principio, qualcosa di astratto come una geometria. Un concetto allo stesso tempo assoluto (la volontà di potenza al di là del bene e del male) e terribilmente concreto e materialista. Un concetto che si inserisce in un contesto storico-sociale determinato. Perché Mabuse può esistere ed è concepibile solo come figura tedesca”. Dice bene Philippe Dubois, professore all’università Sorbonne Nouvelle - Paris 3: il dottor Mabuse – personaggio creato dallo scrittore lussemburghese Norbert Jacques nel 1921 e portato sullo schermo l’anno seguente da Fritz Lang – non avrebbe trovato altra (e migliore) rappresentazione cinematografica se non nella Germania espressionista dei primi anni ’20. Falsario, criminale ipnotizzatore, assetato di soldi e potere quanto e forse più rispetto al predecessore (e, in un certo senso, modello) Dottor Caligari, rappresenta la nuova figura del malessere dei tempi borghesi, che rifiuta la società alla quale è comunque consapevole di appartenere, presente ovunque ma in nessun luogo identificabi- le. Trasformismo che diventa dapprima emblema – nella Germania in ginocchio all’indomani della disastrosa guerra mondiale – del male che serpeggia minando la coscienza di un popolo e successivamente profezia di quello che accadrà negli anni seguenti: nel 1932 – ricorda Kracauer in “Cinema tedesco (1918 – 1933)” – “con Il testamento del dottor Mabuse, Lang riesumò la sua figura di supercriminale per rispecchiarne le evidenti analogie con Hitler. Alla luce di questo secondo film, il primo appare non tanto un documento quanto uno di quei profondi presentimenti che serpeggiavano nello schermo tedesco del dopoguerra”. Restaurati e in versione integrale, i due film vengono riproposti in un cofanetto da collezione: tra i numerosi extra, l’edizione francese de Il testamento del dottor Mabuse, l’intervista a Fritz Lang realizzata da Erwin Leiser nel ‘68 e il documentario Identità cinematografiche, lungo percorso delle varie incarnazioni cinematografiche del Dr. Mabuse. DISTR. SINISTER FILM/CECCHI GORI HV marzo 2009 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo 73 Telecomando DVD • BORSA DEL CINEMA • LIBRI • COLONNE SONORE DVD Blu-ray Bourne La cl as se de i cl as si ci a cura di Bruno Fornara Ultimate Collection in alta definizione per lo smemorato Matt Damon REGIA Paul Leni CON Laura La Plante, Creighton Hale GENERE Grottesco (1927) DISTR. Exa Cinema Il castello degli spettri PAUL LENI, regista tedesco di intonazione espressionista e fantastica (Il gabinetto delle figure di cera, 1924), viene ingaggiato a Hollywood dalla Universal e ottiene subito un grande successo con The Cat and the Canary, da noi intitolato Il castello degli spettri. In realtà di spettri nel film non ce n’è. Ci sono invece il canarino e tanti gatti. Canarino è l’eccentrico miliardario Cyrus West che muore in apertura di film: gatti sono i parenti che aspettano avidamente l’eredità. Il riccone, beffardo, lascia solo due buste: una con il testamento, da leggersi però vent’anni dopo la sua morte; l’altra, misteriosa, da DAL RIPESCAGGIO IN MARE APERTO alla spasmodica ricerca della verità su se stesso: senza memoria, con un passato da riportare in vita per assicurarsi la sopravvivenza futura. Universal ripropone la trilogia di Jason Bourne (Identity, Supremacy, Ultimatum) nuovamente in cofanetto, stavolta in alta definizione grazie alla tecnologia Blu-ray. Tre dischi per scoprire tutti i dettagli dietro la genesi cinematografica dell’agente segreto più accattivante dell’ultimo decennio, nato dalla penna di Robert Ludlum e portato sullo schermo prima da Doug Liman, poi (e meglio) da Paul Greengrass: oltre alle scene eliminate per ogni capitolo, tra gli extra da segnalare “Inizio alternativo e finale alternativo” per Identity, “Il cervello di Bourne e La diagnosi di Bourne” per Supremacy, “Scuola Guida, Inseguimento a New York e L’Addestramento di Bourne” per Ultimatum. Che l’avventura (ri)abbia inizio! DISTR. UNIVERSAL 74 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo marzo 2009 aprirsi solo se le clausole del testamento non saranno state esattamente rispettate. Giusto vent’anni dopo, i nipoti si ritrovano nella grotesque mansion per l’apertura della o delle buste. E ne segue una notte di (finti) fantasmi, complotti e sorprese. Film con motivi espressionisti: ombre, immagini sovrapposte, deformazioni, bottiglie gigantesche, teschi, asimmetrie, stilizzazioni, mani gattesche con artigli... Film con toni da commedia nera e azzeccate notazioni horror. Film inaugurale della serie di racconti ambientati nella haunted old dark house. Film sempre molto godibile. Fi lm in or bi ta a cura di Federico Pontiggia Edwige Fenech (Sky Cinema Max) Omaggio alla regina dei B-Movies nostrani: da Quel gran pezzo dell’Ubalda tutta nuda tutta calda a Giovannona coscialunga disonorata con onore, 9 titoli “scottanti” con Edwige Fenech sugli scudi. Casa Saddam (Sky Cinema 1) Il Grande Fratello insegna: in tv c’è casa per tutti! Ecco, dunque, una miniserie made in Usa (2 puntate, produce HBO) sull’ascesa al potere di Saddam Hussein e della sua famiglia. Quando eravamo raìs… American Dreams (Mya) In prima tv, la family-series creata da Jonathan Prince, che ripercorre gli anni ’60 con gli occhi dell’adolescente Meg (Brittany Snow), ballerina dello show American Bandstand. Venezia, Italia PRANZO DI FERRAGOSTO Il 60enne Di Gregorio dagli script per Garrone alla messa in scena della sua esperienza di vita: mamma e arzille vecchiette a carico per un pranzo trasteverino da non saltare. DISTR. FANDANGO/CECCHI GORI HV MACHAN La storia di un gruppo di cingalesi che per arrivare in Germania si iscrive ad un torneo di pallamano. Regia di Uberto Pasolini, produttore di Full Monty. DISTR. DOLMEN HOME VIDEO UN GIORNO PERFETTO L’altra faccia di Kieslowski Editati per la prima volta i lunghi Non uccidere e Non desiderare la donna d’altri Per la prima volta in Dvd, i due film di Krzystztof Kieslowski, poi ridotti, adattati ed inseriti nel Decalogo, opera destinata al piccolo schermo: in cofanetto, entrambi con il commento di Claudio G. Fava, Non desiderare la donna d’altri (infelice “traduzione” di Brève Histoire d’amour - che ha causato non poca confusione con l’omonimo nono episodio del Decalogo - poi modificato nel finale e inserito da Kieslowski nel Decalogo come sesto episodio Non commettere atti impuri), e Breve film sull’uccidere, mai distribuito in Italia e poi “ridotto” per il quinto episodio (Non uccidere) del Decalogo, forse il più “caro” a Krzysztof Piesiewicz, noto avvocato e difensore di molti oppositori del regime, al quale si deve la paternità ideale dell’opera. DISTR. MULTIMEDIA SANPAOLO Commento audio del regista e making of tra gli extra per il controverso lavoro di Ferzan Ozpetek, tratto dal libro di Melania Mazzucco. Mastandrea e Ferrari ai “ferri” corti. DISTR. 01 DISTRIBUTION LA TERRA DEGLI UOMINI ROSSI Il cinema d’esplorazione di Marco Bechis per il dramma degli Indios. In Mato Grosso do Sul la dolorosa rappresentazione del confronto tra due mondi contrapposti. DISTR. MEDUSA marzo 2009 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo 75 Telecomando DVD • BORSA DEL CINEMA • LIBRI • COLONNE SONORE DVD Prime HD CHANGELING Angelina Jolie mamma coraggio per Clint Eastwood. Funzione U-Control per vedere i contenuti speciali senza interrompere il film, tra gli extra “Los Angeles: allora e adesso”. DISTR. UNIVERSAL NESSUNA VERITA’ Viaggio in America Dalla Cina per riavvicinare la figlia: Mille anni di buone preghiere “TU NON PARLAVI, MA GLI ALTRI SÌ. Alle tue spalle, davanti a me e alla mamma”. Aspetta molto, Yilan (Feihong Yu), prima di dire all’anziano padre (Henry O) quello che aveva sempre saputo e che, molto probabilmente, l’aveva allontanata da lui per sempre. E’ nella silenziosa ricerca di un dialogo che Wayne Wang (Smoke, Blue in the Face) fa muovere i suoi due protagonisti, un vecchio comunista arrivato in America da Pechino e la figlia di questi, da poco divorziata. Un padre consapevole di non esser stato all’altezza e che, adesso, cerca in tutti i modi di ricucire un rapporto intervenendo nell’esistenza della figlia. Presentato al Festival di Torino nel 2007, mai uscito nelle nostre sale, arriva in DVD senza contenuti speciali. Merita comunque una visione. Mostri contro Alieni rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo marzo 2009 QUANTUM OF SOLACE DISTR. 20TH CENTURY FOX ENTERTAINMENT Su Console e PC per rivivere la goliardica avventura DreamWorks 76 DISTR. WARNER BROS HOME VIDEO Tradito dalla donna che amava, 007 deve evitare che la sua missione si trasformi in una questione personale. Tra gli extra: “Bond on Location”, “Olga Kurylenko e l’inseguimento in barca”. DISTR. DOLMEN HOME VIDEO Dal 3D al joyp ad Il campo dell’animazione 3D è ormai decisamente all’avanguardia, dove a contendersi la palma di miglior casa di sviluppo ci sono Pixar e Dreamworks. Proprio quest’ultima il prossimo 3 aprile arriverà in tutti i cinema con Mostri contro Alieni e, come oramai di consueto, non si farà attendere il videogioco basato su tale licenza, che sarà disponibile in contemporanea su tutte le Console (anche PlayStation 2 e Nintendo DS) e PC. Mostri Contro Alieni sarà un avventura che ricalcherà lo stesso spirito goliardico della Di Caprio agente CIA in Medio Oriente. Scene supplementari con introduzione di Ridley Scott. Finale alternativo solo in versione Blu-ray, codici per accedere alla copia digitale. RIFLESSI DI PAURA produzione cinematografica e sarà dotata dell’interessante possibilità di giocare assieme ad un’altra persona per avere la meglio sui nemici e per risolvere i puzzle presenti all’interno del gioco. Per saperne di più visitate http://www.multiplayer.it ANTONIO FUCITO Remake di un horror coreano per Alexandre Aja, che getta in un incubo di specchi Kiefer “Jack Bauer” Sutherland. Making of, scene tagliate con il commento del regista e finale alternativo. DISTR. 20TH CENTURY FOX ENTERTAINMENT Telecomando DVD • BORSA DEL CINEMA • LIBRI • COLONNE SONORE Borsa del cinema di Franco Montini Film invisibili Grazie alle nuove tecnologie è possibile arrivare in sala con costi molto più contenuti. Ma a quale prezzo? NEL 2008 IN ITALIA SONO stati prodotti 154 film: ben 33 in più rispetto all’anno precedente e 38 in più rispetto al 2006. Questa improvvisa impennata di titoli farebbe pensare ad una cinematografia in espansione, ma l’investimento complessivo nella produzione è passato da 312 milioni di euro nel 2007 a 330 nel 2008, con una crescita del 5,7%, assai più contenuta rispetto all’aumento percentuale dei film prodotti. Grazie alla progressiva affermazione del digitale, il fenomeno emerso nel corso del 2008 è stato il forte incremento di film a bassissimo costo. Come si rileva dalle tradizionali statistiche realizzate dall’Ufficio Studi dell’Anica, i titoli realizzati con un budget inferiore ai 200mila euro, sono stati 29, contro i 5 del 2007. Il fatto che, in virtù delle nuove tecnologie, oggi si possano realizzare film a costi assai più contenuti rispetto al passato non può che facilitare l’approdo al mondo del cinema da parte di nuovi autori, ma anche di giovani produttori, sceneggiatori, attori e tecnici, favorendo ricambi nei vari e diversi comparti. Il rischio, tuttavia, è che questi film poveri rimangano in 78 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo marzo 2009 Migliorano le condizioni per la produzione, resta un enorme ostacolo: la visibilità di certi prodotti Cast & Crew di Marco Spagnoli O ri e n t- E x p re s s Intervista a Gianluca Chakra, distributore del mondo arabo realtà sconosciuti al pubblico. E’ assai significativo e preoccupante quanto accaduto a cavallo dei mesi di novembre e dicembre 2008. Nel giro di poche settimane sono approdate in sala quasi una decina di opere prime o seconde, condannate ad una distribuzione di nicchia, lanciate senza un’adeguata campagna promozionale e sparite rapidamente dalla programmazione. L’elenco comprende: Il pugile e la ballerina di Francesco Suriano; Ossidiana di Silvana Maja; Le cose in te nascoste di Vito Vinci; Se chiudi gli occhi di Livia Romano; Io non ci casco di Pasquale Falcone; Un attimo sospesi di Peter Marcias; Stare fuori di Fabiomassimo Lozzi; Padiglione 22 di Livio Bordone; Diari di Attilio Azzola. Alcuni di questi titoli hanno alle spalle partecipazioni e riconoscimenti in festival prestigiosi, ma alla fine sono stati tutti risucchiati in una sorta di buco nero di disattenzione ed indifferenza: il fatto di essere usciti quasi in contemporanea non ha aiutato nessuno, determinando una sorta di cannibalizzazione fra poveri e suscitando una sorta di aprioristica diffidenza anche da parte della critica. In altre parole, migliorano le condizioni per la produzione, ma resta un enorme ostacolo la visibilità di certi prodotti. Forse fra i registi citati non c’è nessun nuovo Nanni Moretti e nessun titolo possiede la freschezza e l’immediatezza di Io sono un autarchico, ma non si può non guardare con nostalgia e rimpianto ad un’epoca in cui un giovane e sconosciuto Il 32enne italo-libanese Gianluca Chakra si è trasferito sei anni fa a Dubai, diventando uno dei principali distributori cinematografici del mondo arabo. E’ stato il primo, con la sua società Front Row Entertainment, a portare il cinema italiano nei 22 territori che costituiscono il mercato mediorientale. “Nei paesi musulmani, spiega Chakra, i film non prodotti localmente arrivano ad un massimo del 5% del mercato e i Multiplex, per quello che riguarda la produzione straniera, programmano esclusivamente cinema americano”. Come ha incominciato? Ho fatto questo lavoro a Beirut. Poi sono venuto negli Emirati Arabi Uniti, a Dubai, dove ho iniziato a distribuire piccoli film al cinema e titoli italiani in Dvd. Insieme ad alcuni soci abbiamo puntato alla creazione di un mercato e alla diffusione del cinema indipendente e internazionale. La televisione si è accorta del successo di questi prodotti, acquistando alcuni titoli in lingua straniera non inglese e trasmettendo City of God, El Alamein e L’ultimo bacio in pay per view. Quali sono i problemi principali? Le difficoltà derivano dall’avere a che fare con un mercato complesso e pieno di regole, talora contraddittorie. La censura è un altro tema molto importante: sono persino finito in prigione per due giorni, scoprendo solo dopo che si trattava di qualcosa collegato alla mia attività distributiva e alla censura. Quale qualità riconosce alla sua società? Quella di avere avuto il coraggio di programmare un cinema alternativo che, pian piano, ha incontrato il favore del pubblico. box office (aggiornato al 23 febbraio) 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 Il curioso caso di Benjamin Button € 36,693,042 Ex € 38,843,795 Inkheart - La leggenda di cuore... € 11.926,381 Bride Wars - La mia migliore nemica € 15.677,302 Questo piccolo grande amore € 13,311,779 The Reader - A voce alta € 11.537,987 Underworld - La ribellione dei Lycans € 33,487,513 Venerdì 13 € 21,122,459 Operazione Valchiria € 24,423,258 Viaggio al centro della terra 3D € 37,673,214 N.B. Le posizioni sono da riferirsi all’ultimo weekend preso in esame. Gli incassi sono complessivi regista poteva portare il suo super8 in copia unica in un cineclub romano, nel caso specifico era il mitico Filmstudio, e suscitare un caso nazionale. Oggi c’è quasi la certezza che un evento del genere non potrebbe più prodursi e il danno per tutto il cinema ita- liano è enorme. Non basta realizzare un grande film per riuscire a farsi notare. Più in generale, non è sufficiente produrre un maggior numero di film: è necessario che i film possano confrontarsi con il proprio pubblico potenziale. Del problema dovrebbe farsi carico anche lo Stato, perché alcuni di questi “invisibili” sono stati anche realizzati con il concorso di denaro pubblico, e sarebbe opportuno cercare di recuperare le risorse investite, assicurando alle pellicole in questione una reale programmazione. marzo 2009 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo 79 Telecomando DVD • BORSA DEL CINEMA • LIBRI • COLONNE SONORE Libri Dal potenziale eversivo dei nuovi media al Sessantotto. Mereghetti a tutto Welles, poi largo ai Filmmaker Terrore audiovisivo Vid eo sho ck Ond a diro mp ent e Il terrore corre sul video, l’ottimo lavoro di Christian Uva (Rubettino, pagg.141, € 10,00) ripercorre ed analizza il fenomeno della violenza terroristica audiovisiva, dal rapimento di Roberto Peci ai videomessaggi di Bin Laden. Il volume scandaglia con un’accurata analisi semiologico/semantica il potenziale terroristico dei nuovi media che attraverso le videodecapitazioni e i testamenti audiovisivi dei kamikaze “si incuneano nelle crepe più sottili dell’immaginario occidentale producendone la progressiva devastazione all’interno”. L’immagine priva di legami spazio-temporali e carica di significati simbolici legati alla “morte in diretta” diviene il nuovo vettore del terrore islamico contro la civiltà occidentale. L’autore si sofferma inoltre sul cinema americano post 11/9 tutto improntato sui riflessi sociali ed esistenziali della tragedia. Cos’ha rappresentato il Sessantotto per il cinema? La forza dirompente di cambiamento, di rottura che il movimento studentesco ha avuto a livello sociale e culturale, è stata tale anche nel cinema? Evidentemente sì, risponde Raffaele Cavalluzzi autore del saggio Le immagini al potere (Progedit, pagg. 84, € 12,00). Quell’anno ha segnato una data epocale anche nella storia della settima arte. L’autore ricostruisce quel periodo, ripensa al fervore creativo degli anni ‘60, rivedendo quelle teorie nate dentro e fuori le aule universitarie. Prendendo in considerazione le eredità di oggi e le avanguardie di ieri. Ma non solo. La critica militante, la coscienza politica, il rapporto col cinema engagé della Nouvelle Vague. Ed ovviamente i film che hanno cavalcato “l’onda”, e che da quell’onda (per esempio il genere a stelle e strisce del road movie) sono poi nati. MASSIMO FAVIA 80 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo marzo 2009 PAOLO TRAVISI L’infernale Welles “Un autore che ha saputo misurarsi con l’universo dei mass media, che è riuscito a lottare (anche se non necessariamente a vincere) contro le sirene della fama e del potere, che ha riflettuto con lucidità sul ruolo dell’intellettuale”. Già nell’introduzione al suo Orson Welles – Introduzione a un maestro (Rizzoli, pagg. 190, € 17,00), Paolo Mereghetti traccia il senso e la portata di un lavoro rigoroso e al tempo stesso accattivante: seguendo cronologicamente i passaggi dell’incredibile carriera di Welles, Mereghetti si sofferma su ogni tappa – Esordio; Hollywood; Shakespeare; Europa – analizzando testo filmico e riportando alla luce i consueti problemi che accompagnavano la produzione di tutte le sue opere. Comprese quelle mai terminate (da It’s All True a The Other Side of the Wind) e le “sceneggiature nel cassetto”. Bogdanovich su tutti Appassionante, prezioso, arguto: “Il cinema è una questione di recitazione” di Enrico Magrelli VALERIO SAMMARCO Ital ia ‘60 Italia 1960. Con La dolce vita di Fellini e Rocco e i suoi fratelli di Visconti il cinema italiano volta pagina e si ripropone al pubblico internazionale. Il libro di Alberto Pesce (Cinema italiano sessanta, liberedizioni, pagg. 263, € 27,00), dopo uno specchio introduttivo sul panorama cinematografico e sociale di quegli anni, approfondisce attraverso una serie di schede critiche, i film che ne fecero parte, dal boom economico alla contestazione giovanile. Un nuovo corso di giovani registi supportati da produttori del calibro di Lombardo, Rizzoli e De Laurentiis riportano il cinema italiano all’attenzione della critica oltreoceano. Ma questo slancio in avanti nel tempo si declina verso generi più popolari come Il sorpasso, che rispecchiano le contraddizioni di quella Italia borghese poi duramente criticata dal “cinema contro” sessantottino. MASSIMO FAVIA Film ma ker ogg i Grazie ai nuovi strumenti digitali siamo ormai tutti potenziali “filmmaker”. La diffusione di facili strumenti di ripresa, montaggio e sonorizzazione ha reso però ancora più evidente che possedere la tecnica non basta a raccontare una storia e a farlo in modo interessante. Lo sa bene Daniele Maggioni, produttore, sceneggiatore e Direttore della Scuola di Cinema di Milano, autore, con Daniele Albertini, di Filmmaker Digitale – dal progetto alla distribuzione (Hoepli, pagg. 212, € 19,00). Non solo un esauriente manuale tecnico pratico, ma anche un invito a riflettere sulla creatività e le ragioni che ci spingono a filmare. Se poi volete trarre ispirazione dalle avventurose esperienze di uno dei più originali filmmaker italiani, approfondite con South by Southwest – Il cinema di Corso Salani, a cura di A. Morsiani e S. Augusto (Il Castoro, pagg. 110, € 16,00). GIORGIA PRIOLO Chi c’è in quel film? Ritratti e conversazioni con le stelle di Hollywood Peter Bogdanovich Ed. Fandango libri € 29,50 L’eccezionale presenza di spirito di Cary Grant, la splendida rudezza (simulata ) di Humphery Bogart, la stoica fragilità di James Stewart, il carisma dell’attore-personaggio John Wayne, l’irripetibile presenza di Audrey Hepburn, la grazia, non mortificata dalle stagioni, di Lilian Gish. Peter Bogdanovich nel suo libro, appassionante, prezioso, arguto, Chi c’è in quel film?, edito da Fandango, condivide con il lettore le sue amicizie, le sue conversazioni, le sue impressioni su grandi attori e attrici che ha conosciuto e frequentato per anni, che ha incontrato con minore assiduità di altri, che, a volte ha solo sfiorato o, come nel caso di Bogart, non hai mai incrociato. Bogdanovich, prima di essere un regista-attore, ha la curiosità, la trepidazione, il trasporto e il rispetto per chi, su un palcoscenico o su uno schermo, ha costruito una leggenda ed è stato modellato dalla mitologia del cinema classico. L’unico divo al quale abbia mai chiesto un autografo, Marlon Brando, o la prima star vista in un teatro di Broadway, Henry Fonda, “recitano” in questo mosaico di memorie da ultimo spettacolo insieme a Jerry Lewis, Charlie Chaplin, Dean Martin, John Cassavetes, Marylin Monroe, Marlene Dietrich e molti altri. Passando da un ritratto all’altro, l’autore si associa, almeno in parte, all’eresia del suo amico Orson Welles: i registi e la regia sono ridicolmente sopravvalutati. Il cinema è una questione di recitazione. marzo 2009 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo 81 Telecomando DVD • BORSA DEL CINEMA • LIBRI • COLONNE SONORE di Gianluigi Ceccarelli Colonne Sonore Visti da vicino Score curioso Una vita al contrario: suggestioni felliniane e jazz per il Desplat di Benjamin Button ALEXANDRE DESPLAT è ormai garanzia di qualità per l’establishment hollywoodiano, dopo l’ottimo lavoro svolto ne Il velo dipinto (con variazioni su Satie) e la confer ma di Lussuria, il cui leit motiv entrava nei cuori dello spettatore molto più della pellicola di Ang Lee. Per Il curioso caso di Benjamin Button, il compositore francese opta per uno score classico, rigoroso nel tema portante (Postcards), poco a poco contaminato dal Nino Rota più felliniano nella linea melodica progressivamente contrappuntata dagli archi (Meeting Daisy/A New Life). Echi di Rota che per mangono anche nei brani di maggiore pathos (The Accident, Submarine Attack), donando una levità inaspettata al tragico quanto al luttuoso. Al jazz, genere narrativamente “diegetico” al film (Button nasce e prende confidenza del mondo nei primi anni del secolo) è dedicato il secondo cd dello score, con brani d’epoca “sporchi” di nomi illustri (Sidney Bechet, Boswell Sisters), mentre nel primo Desplat dà vita a un intimismo “da camera”, con un’orchestra essenziale e succinta che punta al dettaglio per rendere atemporale una vicenda che fa dello scorrere del tempo il suo perno. Se a tratti l’operazione riesce (Little Man Oti, con vibrafono e bonghi), l’ascolto complessivo manca probabilmente di quel picco emotivo presente nei precedenti lavori di Desplat, quel genere di difetto spesso presente in lavori fluviali come questo. Per tut ti i gus ti a cura di Federico Pontiggia The Wrestler Bruce Springsteen con The Wrestler, miglior canzone originale ai Golden Globes, Madonna e gli Scorpions per il ritorno sul ring hollywoodiano di Mickey Rourke. Ma la colonna sonora non è disponibile… 82 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo marzo 2009 Duplicity James Newton Howard per la spy-story di Tony Gilroy. Ritmo frizzantino, accordi spensierati e buonumore “filodiffuso” a tallonare lo spionistico idillio tra Julia Roberts e Clive Owen: se son cuori, batteranno… Ponyo sulla scogliera Le voci di Takaaki Fujioka, Naoya Fujimaki e Nozomi Ohashi per un “Inno alla Gioia” a misura di bambino: Ponyo on the Cliff: Alle musiche, Joe Hisaishi, garanzia di qualità audio made in Japan, da Kitano a Miyazaki. Salone professionale per il cinema, la televisione e il multimedia L’INDUSTRIA AUDIOVISIVA HA IDEE FANTASTICHE 12>14NOVEMBRE09TORINO W W W . C I N E S H O W . I T