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rivista del
dal 1928
M E N S I L E N . 3 M A R Z O 2 0 0 9 € 3,50
Berlino 59
La rivincita del cinema
a sud del mondo
Sfida tra
giganti
I Monsters
di Katzenberg e il
genio di Miyazaki
Colpo di
fulmine
Mastandrea e la
Golino in Giulia non
esce la sera
BIGGER
THAN
LIFE
fondazione ente™
dello spettacolo
La vita oltre la morte:
l’eredità di Stanley
Kubrick a dieci anni
dalla scomparsa
Poste Italiane SpA - Sped. in Abb. Post. - D.I. 353/2003
(conv. in L. 27.02.2004, n° 46), art. 1, comma 1, DCB Milano
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rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
Nuova serie - Anno 79 N. 3 marzo 2009
In copertina Stanley Kubrick
pu nt i di vist a
DIRETTORE RESPONSABILE
Dario Edoardo Viganò
CAPOREDATTORE
Marina Sanna
REDAZIONE
Gianluca Arnone, Federico Pontiggia, Valerio Sammarco
CONTATTI
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PROGETTO GRAFICO
P.R.C. - Roma
ART DIRECTOR
Alessandro Palmieri
HANNO COLLABORATO
Giulio Brillarelli, Gianluigi Ceccarelli, Pietro Coccia, Silvio
Danese, Antonio D’Olivo, Massimo Favia, Bruno Fornara,
Antonio Fucito, Jean-Pierre Hippo, Enrico Magrelli, Massimo
Monteleone, Franco Montini, Morando Morandini, Roberto
Nepoti, Peppino Ortoleva, Luca Pallanch, Anna Maria Pasetti,
Giorgia Priolo, Marco Spagnoli, Paolo Travisi
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N. 380 del 25 luglio 1986
Iscrizione al R.O.C. n. 15183 del 21/05/2007
STAMPA
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PRESIDENTE
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Antonio Urrata
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COMUNICAZIONE E SVILUPPO
Franco Conta
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Oscar e cinema d’autore
Gli 81°Academy Awards ci hanno insegnato
qualcosa: lì, la legge dei grandi numeri non vale.
The Millionaire (15 milioni di dollari di budget)
vince su Il curioso caso di Benjamin Button (150
milioni): 8 statuette a 3. Davide batte Golia, con
la favola indiana di Boyle che si assicura i premi
più importanti: miglior film, regia, sceneggiatura
non originale, fotografia, montaggio, colonna
sonora, canzone originale e suono. Vittoria
annunciata, come quella di Kate Winslet tra le
interpreti, di Ledger tra i non protagonisti, e di
Wall.E per l’animazione. Meno prevedibili gli
Oscar a Sean Penn (Milk), preferito a Mickey
Rourke (The Wrestler) tra gli attori protagonisti,
e al giapponese Departures tra i film stranieri,
categoria nella quale i giurati dell’Academy,
dopo l’esclusione di Gomorra, hanno fatto
un’altra vittima eccellente: il favoritissimo
Valzer con Bashir.
Stanley Kubrick nel
decennale della
morte, ci aiutano a
riflettere
sull’evoluzione del
cinema d’autore, alla
luce anche del
prepotente ritorno “degli autori” nel nostro
paese. Tra questi vanno annoverati
sicuramente Giuseppe Piccioni e Marco Risi,
nelle sale con Giulia non esce la sera e
Fortapasc, opere tematicamente agli antipodi
– l’una intimista, l’altra d’impegno civile – che
condividono però un’idea forte di cinema,
tanto etica quanto estetica.
L’Italia che aspetta i suoi autori è la stessa
che piange i suoi grandi. Se n’è andato il 19
febbraio scorso Oreste Lionello.
Romano doc, garbato come la
sua satira, trasformista a teatro,
E a proposito di premi al
“Una due giorni ospitata
inconfondibile al cinema, dove
cinema, vale la pena ricordare
dall’Ambasciata di Francia per tutti resterà la voce di
il riconoscimento che la
a Roma che ha coinvolto
Woody Allen. Al suo alter ego
nostra Fondazione ha tributato
studiosi di fama
americano ha regalato, con le
al Cinema con la “c”
afasie e i sospiri, una fisionomia,
maiuscola: il convegno di
internazionale”
un carattere riconoscibile,
studi sulla Nouvelle Vague.
l’irresistibile fascino di un
Una due giorni ospitata
imbranato cronico. E a noi una
dall’Ambasciata di Francia a
profonda nostalgia rasserenata dall’epitaffio
Roma che ha coinvolto studiosi di fama
più bello, quello che si era scritto da solo:
internazionale, sulla forza dirompente del
“Che cos’è la vita? Una grande piscina: ogni
movimento e le ricadute su presente e futuro
della settima arte, 50 anni dopo la proiezione a tanto uno nuovo ci si tuffa, cioè nasce, e un
altro ne esce, cioè muore...ma l’acqua non
Cannes de I quattrocento colpi. Iniziative che,
come lo speciale dedicato in questo numero a viene mai cambiata”.
COORDINAMENTO SEGRETERIA
Marisa Meoni
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marzo 2009
rivista del cinematografo
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5
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La Linea di CHANEL - Numero con addebito ripartito 840.000.210 (0,08 € al minuto)
s o m m a r io
n. 3
marz o
2009
SERVIZI
20 Quel che resta degli Oscar
The Millionaire pigliatutto. Sean Penn
mette KO Rourke
FILM DEL MESE
54
58
60
62
62
63
63
22 Berlino Sudamericana
L’esordio del Perù in competizione
premiato con l’Orso d’Oro: La teta
asustada. Attenzione a The Messenger
PERSONAGGI
48 Katzenberg in 3D
La rivoluzione animata in casa DreamWorks
inizia con Mostri contro alieni
64
65
65
66
66
67
68
68
Gran Torino
Live!
Giulia non esce la sera
Verso l’Eden
I Love Shopping
L'onda
La verità è che non gli
piaci abbastanza
Due partite
Ponyo sulla scogliera
Two Lovers
The International
La Pantera rosa 2
Watchmen
Nemico pubblico n.1 L’istinto di morte
Louise & Michel
51 Tradizione Miyazaki
Emozioni in mare aperto con la pesciolina
Ponyo, ultima creatura
dello Studio Ghibli
Renée Zellweger
in cerca di marito
a Berlino - Foto
Pietro Coccia
Jeffrey Katzenberg
della DreamWorks
26 COVER
Clint Eastwood sul set di Gran
Torino
Impero Kubrick
Decennale di un’assenza, tra leggende ed
eterne chimere: misteri, odissee e orizzonti
nell’universo filmico di un grande maestro
som ma rio
Ponyo sulla scogliera
di Hayao Miyazaki
18
Hollywood Ending
10
Ruga per la vittoria: Demi
Moore, Michelle Pfeiffer e
Renée Zellweger al tappeto
con gli Orsi
Morandini in pillole
La scomparsa di Harold
Pinter e il silenzio dei
quotidiani
72
Dvd & Satellite
12
Circolazione
extracorporea
Dai Marginalia di Edgar Allan
Poe alla frammentazione dei
modelli di comunicazione
14
Glamorous
News e tendenze: guerra
aperta tra Hilary Duff e
Faye Dunaway, bacio
al veleno per Harry Potter
16
Colpo d’occhio
Niente statuetta né
marito per la Hathaway.
Provaci ancora Anne
Doppio Mabuse di Lang da
collezione, tutto Bourne in
Blu-ray e Fenech in orbita
78
Borsa del cinema
Opere prime disperse in
sala, rischio invisibilità.
Distribuzione nel mondo
arabo: parla Chakra
80
Libri
Orson Welles riletto da
Mereghetti, Bogdanovich
racconta Chi c’è in quel film?
82
Colonne sonore
Alexandre Desplat per
Benjamin Button.
Springsteen canta The
Wrestler
pensieri e parole
Quello che gli altri non dicono: riflessioni a posteriori di
un critico DOC
MORANDINI in pillole
di Morando Morandini
Ignoranza
Sabato 27 dicembre 2008, con una sola eccezione, nessun
importante quotidiano italiano ha dato in prima pagina la notizia
della morte di Harold Pinter che se ne è andato, come Beckett,
alla vigilia di Natale. L’eccezione è “il Manifesto”, che gli ha
dedicato il titolo di prima pagina con una grande fotografia e l’inizio di un articolo di Gianfranco Capitta. Il critico ricorda, tra
l’altro, che dopo l’11 settembre 2001 Pinter disse: “Ho pensato
subito che era prevedibile, in qualche modo inevitabile, dopo
tanti anni di terrorismo di Stato, che potesse, esserci una reazione così violenta”. Il titolo è “Messaggero d’amore”. Si riferisce alla versione italiana di un
memorabile film di Joseph
Losey (The Go Between, 1970)
di cui Pinter scrisse la sceneggiatura, in cui si ascolta questa
battuta: “Il passato è un paese
straniero”, ricalcato molti anni
dopo da Gianrico Carofiglio nel
romanzo Il passato è una terra
straniera e nel film omonimo di
Daniele Vicari. Quando in qualche giuria giornalistica/letteraria, con due pizzichi di provocazione sostengo che “il Manifesto” è il quotidiano più culturale
della penisola, mi prendono per un fanatico marlen (marxistaleninista).
Ma perché non
si dovrebbe
sindacare,
cioè sottoporre
a controlli e
giudizi,
il pubblico?
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rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
Insindacabile?
Sul n. 22 del “Giornale dello Spettacolo” ho letto un fondo
pagina titolato “Fa discutere Albakiara” dal quale apprendo
che il film non è costato 1,2 milioni di euro e nemmeno 2, ma 3
milioni, come afferma Alessandro Usai, amministratore delegato Mikado che l’ha coprodotto e distribuito. Pur non avendo
capito i motivi dell’imponente fiducia preventiva sul successo
di pubblico, non intervengo nella discussione perché non m’interessa. Ho qualcosa da eccepire, però, sulla conclusione di
Usai: “In questo mestiere strano e imprevedibile, la sola cosa
certa è che il pubblico è l’unico insindacabile giudice del film. A
questo ogni buon distributore, produttore, regista dovrebbe
rassegnarsi”.
Già la parola “giudice” applicata ai critici non mi garba perché
un buon critico non dovrebbe essere soltanto un giudice, ma
perché non si dovrebbe sindacare, cioè sottoporre a controlli e
giudizi, il pubblico? Almeno nel campo della comunicazione e
dell’espressione non c’è nulla e nessuno di insindacabile. Da
molti anni in Italia i cittadini sopra i 14 anni che vanno al cinema
sono una minoranza che non supera il 20%, 1 su 5. Mi occorrerebbe un lungo articolo per analizzare il comportamento e indicare i torti di questa minoranza. Nella quale, anzitutto, c’è un
diffuso pregiudizio negativo verso i film italiani.
marzo 2009
FINE PEN(N)A MAI
VISIONI FORZATE E INDULTI
CRITICI
In principio era Caos calmo, poi è successo di tutto: Ferrari trasformate in
Por(s)che, Moretti in Brando. Con querela finale: Bertolucci contro Grimaldi,
a suon di tango. #### La verità è che
non gli piaci abbastanza: più di un titolo,
una confessione allo spettatore… ####
Rubicondi e alla Ventura: così gli alfieri
tricolori al Los Angeles, Italia Film,
Fashion and Art Festival. Cinema o no,
il miglior modo di superare la crisi è
sempre lo stesso: esportarla… ####
Schwarzenegger e Stallone per la
prima volta insieme: è The
Expendables, letteralmente “I sacrificabili”... #### Monteleone vs. Comencini:
Due partite, una palla, zero punti…
ALMOST (IN)FAMOUS: DALLE
STALLE ALLE STARLETTE
“Liberamente tratto dall’ Otello di
Shakespeare”: è lo Iago di Volfango De
Biasi, con Nicolas Vaporidis e la
Desdemona Laura Chiatti. Pronta la
contromossa inglese: Mr. Bean dirigerà
Divine Comedy, con Camilla e Carlo nel
ruolo di Beatrice e Dante. STOP L’unico
party post Oscar? Quello di Madonna. E
Hollywood si riscopre pia. STOP Ponyo
sulla scogliera: anime e cozze… STOP
Violante Placido è Moana Pozzi per Sky:
il grande incubo di papà Michele? STOP
Dopo il (tentato) suicidio, il ritorno:
Owen Wilson ritrova Kate Hudson, l’attrice di Come farsi lasciare in 10 giorni,
Le divorce e Quando meno te lo
aspetti…
Federico Pontiggia
circolazione extracorporea
Fruizioni multiple nell’era della riproducibilità
a cura di Peppino Ortoleva
A PEZZI E
BOCCONI
Il processo dominante non è “l’insediarsi del
giornalismo al posto delle dissertazioni”, ma il mutare
della comunicazione in informazione manipolabile
“VIVIAMO IN UN’EPOCA in cui la concisione, la condensazione, la pre-digestione
si impongono al posto della voluminosità... Abbiamo bisogno dell’artiglieria leggera, non delle armi di grande gittata dell’intelletto. Certo, non penso che gli uomini
di oggi pensino più profondamente di quanto facessero
mezzo secolo fa, ma non c’è dubbio che pensino più rapidamente, e in modo più organizzato, con più metodo e
con meno gonfiori nel pensiero. A parte questo, gli uomini di oggi hanno molto più materiale per pensare;
hanno più fatti su cui ragionare”. Così scriveva Edgar
Allan Poe in uno dei suoi Marginalia del settembre 1845,
dedicato allo sviluppo delle riviste e del giornalismo a
spese del consumo di libri e della letteratura. Poe non si
faceva lodatore del presente o profeta di chi sa quale rivoluzione culturale, semplicemente cercava di comprendere lo spirito dei tempi. È anche per questo che la sua
nota letta oggi suona così attuale. Siamo di fronte a una
svolta di portata simile a quella che lui descriveva: oggi
però il processo dominante non è “l’insediarsi del giornalismo al posto delle dissertazioni” ma la trasformazione di tutti i tipi di comunicazione in informazione manipolabile dopo essere stata segmentata in unità ridotte e
compresse. Ridotte in termini di durata, compresse in
termini di contenuto, per adeguarsi non solo a una disponibilità sempre minore di tempo ma anche da un lato
alle esigenze di una gestione dell’informazione stessa per mezzo di banche dati,
dall’altro a uno dei problemi più caratteristici della nostra epoca: la segmentazione del tempo, la difficoltà di trovare due ore filate per leggere un testo, per immergersi in una mostra. Per guardare un film.
La circolazione extracorporea del cinema risponIl trailer è una forma
de alle regole della concisione e della compressione: è una forma di compressione il trailer, lo è di compressione,
la sintesi in tre minuti dei contenuti di un film, o
così come la sintesi
la selezione della sola scena “culminante”. La
compressione giornalistica dei fatti e dei pensieri in tre minuti dei
di cui parlava Poe è entrata col passare dei de- contenuti di un film
cenni nelle nostre abitudini diventando per noi
seconda natura. Per contro, la frammentazione e
compressione dei film esercitata da YouTube e dalla rete più in generale sul cinema, arte che per un verso è frutto essa stessa di un processo di sintesi e di compressione (il montaggio), per un altro è arte della durata al pari della musica, continua ad apparirci una forma di violenza: un intervento arbitrario e artificioso contro l’integrità di opere concepite unitariamente.
DA POE ALLA FRAMMENTAZIONE
Già nel 1845 ne parlava Edgar Allan
Poe nei suoi Marginalia: “Gli uomini
di oggi hanno molto più materiale
per pensare”
12
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
marzo 2009
glamo rous
Ultimissime dal pianeta cinema: news e tendenze
14
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
marzo 2009
a cura di
Arnone
luca
Gian
IL PARADISO (NON)
PUO’ ATTENDERE
Qualcuno la ricorderà insieme a Clooney nello
spot di una nota marca di caffè. Qualcun altro
avrebbe voluto dimenticarla dopo averla
vista in 10.000 A.C di Emmerich. Ora
Camille Belle promette di
convertire gli scettici.
Occasione più unica che rara:
sarà la protagonista di Mary,
Mother of Christ. Con lei
Jonathan Rhys Meyers, nel
doppio ruolo dell’Arcangelo
Gabriele e di Lucifero, e Peter
O’Toole nelle vesti di Symeon.
Contattato anche l’avvocato del
diavolo, Al Pacino.
IL PRIMO BACIO
Emma Watson è nervosa: “Mi disturba il
pensiero di doverlo fare, e non avere il
coraggio di farlo”. Il cruccio della
maghetta? Baciare il collega Rupert Grint
in Harry Potter e i Doni della Morte,
ultimo capitolo della saga. Grint ha
cercato di tranquillizzare la collega
spiegandole che dopo un paio di ciak
l’imbarazzo passa. Peccato che con l’alito
cattivo a non passare mai siano i ciak.
I PIEDI IN FACCIA
Guerra aperta tra Hilary Duff e
Faye Dunaway. Da quando l’attrice
e cantante statunitense ha
annunciato che sarà Bonnie in The
Story of Bonnie and Clyde, remake
del film del ’67 con la Dunaway e
Warren Beatty, si è scatenato un
tiro al bersaglio degno dei due
celebri criminali. La Dunaway ha
stabilito che Hilary “non sa
recitare”; la Duff ha replicato
etichettando Faye come vecchia
befana sorpassata. Che ora ha
almeno la scopa dalla parte del
manico.
ATTRAZIONE FATALE
Ti amo da morire, le disse. E poco ci
mancò che lo facesse sul serio. Tutti
ricorderanno il tentato suicidio di Owen
Wilson dopo la rottura con Kate
Hudson. Era l’estate del 2007. A un
anno e mezzo da quel gesto
sconsiderato, Owen ha ritrovato il
sorriso. E l’amore. Grazie a chi? Ma alla
bella Kate naturalmente, tornata sui
suoi passi. Dio non voglia che Wilson
ripercorra i suoi.
marzo 2009
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
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colpo d’occhio
La Hathaway non
ha preso né Oscar,
né marito. Ma per
vincere c’è tempo,
se avrà fortuna
R is o a m aro
PIU’ CHE COLPO D’OCCHIO,
colpo gobbo per la povera
Anne Hathaway. A Venezia a
strapparle la Coppa Volpi era
stata Dominique Blanc. Agli
Oscar a rubarle la statuetta è
stata Kate Winslet. Ha pagato
forse lo scotto della prima
volta e le 5 candidature a
vuoto della rivale (alla sesta
l’Academy, da sempre
sensibile alla questione del
risarcimento, ha detto sì).
D’altra parte la giustizia non
è di questa Hathaway. Vedi la
catastrofica love story con
Raffaello Follieri e i suoi
strascichi giudiziari. Altra
materia da romanzo. Ma la
bella Anne non si perda
d’animo. Il talento non le
manca. Per il futuro basterà
solo un po’ di fortuna. (GA)
A SINISTRA. Anne Hathaway si getta
l’Oscar alle spalle
ACCANTO. Sognando le nozze in Bride
Wars e con… Raffaello Follieri
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rivista del cinematografo
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SOPRA. Il brusco
risveglio: Rachel si è
sposata, lei no
HANNO I VOSTRI SOLDI
DECIDONO DELLA VOSTRA VITA
CONTROLLANO OGNI COSA
MA C’È UN UOMO
SU CUI NON HANNO POTERE.
DAL 20 MARZO AL CINEMA
Ruga per la vittoria
Sono belle, sagge e non hanno paura
di invecchiare: a Berlino il glamour
ha superato la soglia degli anta
FE ST IVAL DE L M ES E
di Massimo Monteleone
Carol Reed e Claire Denis in retrospettiva
a Bergamo. Korea a Firenze, corti a
Tampere e donne a Créteil
ANKARA INTERNATIONAL
FILM FESTIVAL
XX edizione per la
manifestazione competitiva a cui
partecipano produzioni turche
(lungometraggi, “corti”,
documentari e film
d’animazione). Proiezioni di
opere internazionali non in
concorso.
Località Ankara, Turchia
Periodo 12-22 marzo
tel. (0090-312) 4687745
Sito web www.filmfestankara.org.tr
E-mail
[email protected]
Resp. Can Ozgun
1
BERGAMO FILM MEETING
XXVII edizione dell’autorevole
vetrina del cinema indipendente
internazionale, con anteprime. I
film della mostra-concorso
partecipano per l’assegnazione
delle Rose Camune. In
programma una retrospettiva su
Carol Reed e una personale su
Claire Denis.
5
SAMSUNG KOREA FILM
2 FEST
H o ll y wo o d
Ending
VII edizione del festival
internazionale di cinema e
cultura della Corea del Sud,
unico nel suo genere in Italia,
che offre circa 40 film fra
anteprime e classici. Previsti
anche cortometraggi,
retrospettive e dibattiti sul
folclore coreano.
Località Firenze, Italia
Periodo 20-28 marzo
tel. (055) 5048516
Sito web www.koreafilmfest.com
E-mail [email protected]
Resp. Riccardo Gelli
FESTIVAL DU CINEMA
3 NORDIQUE
XXII edizione della
manifestazione competitiva che
presenta produzioni
cinematografiche provenienti
dalla Scandinavia e dai paesi
baltici.
Località Rouen, Francia
Periodo 18-29 marzo
tel. (0033-2) 32767322
MAGICA DEMI
La Pfeiffer si sbottona: “E’ liberatorio per una donna
di mezza età, farlo con uno più giovane”. Michelle suona così la carica delle cougar, donne mature in cerca
di sbarbatelli. E alle aspiranti neofite, svela il segreto
per mantenersi belle. “Quando lavoro mi trucco molto,
quando non lavoro non mi faccio vedere”.
COSI’ RENÉE SE VI APPARE
FOTO: PIETRO COCCIA
Di rosso vestita e con la faccia lucida, Renée
Zellweger è venuta alla Berlinale con l’intenzione di
trovare marito. Sostenuta da una granitica certezza:
“Un donna non appare mai così intelligente agli occhi
di un uomo come quando lo ascolta”. Non sarà che
in certi casi è meglio tacere?
18
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
marzo 2009
ANN ARBOR FILM FESTIVAL
6 XLVII
edizione della longeva
rassegna internazionale
competitiva, specializzata nelle
opere indipendenti, sperimentali
e d’animazione, corti e
lungometraggi.
Località Ann Arbor (Michigan),
USA
Periodo 24-29 marzo
tel. (001-734) 9955356
Sito web www.aafilmfest.org
E-mail [email protected]
Resp. Donald Harrison
FESTIVAL INTERNATIONAL
7 DE
FILMS DE FEMMES
“Quant’è bella giovinezza che si
fugge tuttavia”, declamava Lorenzo
il Magnifico. Aveva torto. Da Berlino
Demi Moore proclama gioie e delizie
delle stagionate: “Abbiamo conquistato la libertà di non invecchiare”. Come?
Un marito che la coccola, la segue
dappertutto e ha 16 anni meno di lei.
LE RELAZIONI MIRACOLOSE
Località Bergamo, Italia
Periodo 7-15 marzo
tel. (035) 363087
Sito web
www.bergamofilmmeeting.it
E-mail
[email protected]
Resp. Angelo Signorelli
XXXI edizione del noto festival
europeo dedicato alle donne
registe. Le novità sono nella
sezione competitiva (film a
soggetto, documentari e “corti”).
Località Créteil, Francia
Periodo 13-22 marzo
tel. (0033-1) 49803898
Sito web
www.filmsdefemmes.com
E-mail
[email protected]
Resp. Jackie Buet
Sito web www.festival-cinemanordique.asso.fr
E-mail
festival.cinema.nordique@wanad
oo.fr
Resp. Jean-Michel Mongrédien
N.I.C.E. OLANDA
XIII edizione per la
manifestazione organizzata dal
“New Italian Cinema Events” di
Firenze. In programma 7
lungometraggi, selezionati fra le
migliori opere italiane di autori
emergenti, eventi speciali, una
retrospettiva ed incontri con i
registi.
Località Amsterdam, Olanda
Periodo 31 marzo – 8 aprile
tel. (055) 290393 (riferimento a
Firenze)
Sito web www.nicefestival.org
E-mail [email protected]
Resp. Viviana del Bianco
4
TAMPERE INTERNATIONAL
8 SHORT
FILM FESTIVAL
XXXIX edizione della maggiore e
longeva rassegna nordeuropea
dedicata ai cortometraggi. Il
concorso riguarda opere di
fiction, d’animazione e
documentaristiche, anche
realizzate da studenti.
Località Tampere, Finlandia
Periodo 4-8 marzo
tel. (00358-3) 2235681
Sito web
www.tamperefilmfestival.fi
E-mail
[email protected]
Resp. Jukka-Pekka Laakso
Oscar
politico
Otto statuette al milionario Danny
Boyle, sconfitto a sorpresa Ari Folman:
il compromesso vince sull’arte
di Marina Sanna
Sean Penn tra
Ron Howard e
Frank Langella
NESSUNA SORPRESA. Anzi una
grande: Valzer con Bashir non ha vinto.
E’ stato battuto dal giapponese
Departures, interessante incursione nel
rito funebre che accompagna la
scomparsa di un parente, sicuramente
meno ingombrante del bellissimo film
di Ari Folman, sul coinvolgimento
israeliano nelle stragi di Sabra e
Shatila nel 1982. The
Millionaire di Danny
Boyle ha incassato
otto statuette, di
cui alcune pesanti
(film, regia, script
non originale,
montaggio e
fotografia).
Eppure nelle
cinquine principali
c’era il notevole
Frost/Nixon di Ron
20
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
marzo 2009
Howard e il Curioso caso di Benjamin
Button di David Fincher. Gli Oscar,
come gli Orsi, le Palme, i Leoni non
premiano (più) l’arte, sono espressione
di compromessi ed emozioni.
Impossibile quindi che Benjamin
Button, troppo lungo e non perfetto,
potesse portare a casa più di tre premi
di consolazione (scenografia, trucco,
effetti speciali).
La storia degli Academy Awards
racconta di grandi registi non premiati,
Tutti i premi
8 The Millionaire (Film, Regia,
Sceneggiatura non originale,
Fotografia, Montaggio, Colonna
sonora, Canzone originale,
Suono)
3 Il curioso caso di Benjamin
Button (Scenografia, Trucco,
Effetti speciali)
2 Milk (Sean Penn: Attore
protagonista, Sceneggiatura)
2 Il cavaliere oscuro (Heath
Ledger: Attore non protagonista,
Montaggio sonoro)
The Reader (Kate Winslet:
Attrice protagonista)
Vicky Cristina Barcelona
(Penélope Cruz: Attrice non
protagonista)
Departures (Film straniero)
Wall·E (Film d’animazione)
Man on Wire (Documentario)
La Duchessa (Costumi)
Smile Pinki (Cortometraggio
documentario)
La maison en petits cubes
(Cortometraggio d’animazione)
Spielzeugland (Toyland)
(Cortometraggio)
Stanley Kubrick o Scorsese fino a The
Departed, o di film dimenticati:
Apocalypse Now, per citarne uno, vinse
per la fotografia e il suono, o
quest’anno la doppietta ChangelingGran Torino di Clint Eastwood.
Che The Millionaire sia un film
ricattatorio, e un risarcimento tardivo
all’India sfruttata e derelitta, è fuor di
dubbio: come poteva persino Brad Pitt
competere con le lacrime di un
bambino seviziato, e una love story fuori
dal set che sa tanto di trovata
pubblicitaria? La politica del
compromesso al primo posto.
%
Nella pagina accanto Kate Winslet, in alto
The Millionaire. Sopra Penélope Cruz e Heath
Ledger, Oscar postumo
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tendenze
Berlino,
a sud del
mondo
Non è tempo di eroi: la guerra in Iraq
non fa più notizia e le tragedie al
femminile travolgono la 59ma edizione
del Festival
di Marina Sanna
LE SCELTE DELLE GIURIE servono a dare
una mappatura geografica dello stato
dell’arte e a focalizzarne le tendenze. In
questo senso i premi del 59° festival di
Berlino sono un ottimo indicatore del
cinema contemporaneo. Intanto c’è la
crisi, pochi film interessanti anche da
parte di registi autorevoli, come
Stephen Frears o Bertrand Tavernier.
La guerra e soprattutto quella in Iraq,
non fa più notizia: The Messenger di
Oren Moverman, che distribuirà la
Lucky Red, ha portato a casa solo il
riconoscimento per la sceneggiatura.
Le donne sono al centro dell’universo.
Stupri, ossessioni catartiche e tragedie
singole e collettive hanno catalizzato
attenzione e gusti dei giurati, capitanati
dalla volitiva Tilda Swinton. A partire da
La teta asustada di Claudia Llosa, Orso
Asghar Farhadi, Adrián Biniez, Birgit Minichmayr in Alle
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Anderen e il cast di La teta asustada. Sopra una scena di About Elly e di La testa asustada - Foto: Pietro Coccia
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tendenze
d’Oro, che racconta il dolore delle
donne peruviane rapite e violentate
negli anni del terrore, dal 1980 al 2000,
alla miglior regia ad Ashgar Farhadi
per About Elly, altro dramma
ambientato però nella Teheran di oggi.
Tre premi all’argentino Gigante di
Adrián Biniez, tra cui opera prima,
l’innamoramento di un addetto alle
telecamere di sorveglianza di un
supermercato e una donna delle
pulizie; migliore attore l’africano
Sotigui Kouyate per London River di
Rachid Bouchareb, sull’incontro di due
genitori (brava Brenda Blethyn) che
scoprono di aver perso i figli negli
attentati a Londra del luglio 2005. E’
stata un’edizione particolarmente
fiacca, con molte star (Renée
Zellweger, Demi Moore, Kate Winslet,
Michelle Pfeiffer) e titoli altalenanti (lo
stravagante Ricky di François Ozon o il
pretenzioso Mammoth di Lukas
Moodysson), che sul pubblico ha avuto
però grande presa se si considera la
cifra considerevole dei 270.000 biglietti
venduti e un Marché piuttosto vivace,
nonostante la crisi globale. Qualche
punta di diamante: Singularidades de
uma rapariga loura è l’ultimo
divertissement del grande vecchio
Manoel De Oliveira. Una storia d’amore
fatalmente destinata a fallire,
raccontata con ironia e maestria, che
tiene lo spettatore col fiato sospeso per
oltre sessanta minuti. La memoria, ci
dice il centenario De Oliveira, è il bene
più prezioso che abbiamo, si può
interpretare il presente solo partendo
The Messenger affronta il disastro
iracheno da una nuova angolazione,
senza nessuna indulgenza
dal passato. Da non perdere la
riflessione socioeconomica di Michael
Winterbottom e la sociopolitica
dell’israeliano Moverman. Che
evidenziano la coesistenza di due
Americhe. Quella che sogna con
Obama, scena con cui si conclude il bel
documentario di Winterbottom, The
Shock Doctrine, e l’altra di The
London River di Bouchareb, premio all’attore Kouyate. In alto Woody Harrelson in The Messenger
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Messenger. Viaggiano in parallelo,
raccontando vicende diverse:
Winterbottom prende la dottrina
liberista del Nobel (contestato)
americano Milton Friedman e il libro
inchiesta di Naomi Klein sulle
disfunzioni del capitalismo e le applica
quasi pedissequamente, a volte anche in
modo didascalico, a epoche diverse e a
forme di governo dittatoriali. Utilizzando
immagini di repertorio mai viste prima:
la dottrina shock parte dall’11 settembre
per attraversare a ritroso la Storia,
passando dalle dittature sudamericane
al metodo Thatcher, e arrivare di nuovo
ai giorni nostri, perché come spiega il
regista è un work in progress, vale a
dire: al peggio non c’è mai fine. The
Messenger, magnificamente
interpretato da Ben Foster, Woody
Harrelson e Samantha Morton (ma c’è
anche un bellissimo cammeo di Steve
Buscemi), affronta il disastro iracheno
da una nuova angolazione.
Dalla parte degli americani, senza
nessuna indulgenza, straziante e
realistico, camera a mano, nel mettere a
nudo rabbia e sofferenza delle vittime:
madri, padri, figli dei soldati che
muoiono ogni giorno per una guerra
inutile.
%
RAI CINEMA E CATTLEYA PRESENTANO
MARGHERITA
BUY
ISABELLA
FERRARI
MARINA
MASSIRONI
PAOLA
CORTELLESI
CONCEPT
© CATTLEYA S.P.A./FOTO: PHOTOMOVIE - CHICO DE LUIGI
DUE PARTITE
CAROLINA
VALERIA
CLAUDIA
ALBA
CRESCENTINI MILILLO PANDOLFI ROHRWACHER
CRISTINA COMENCINI
regia di ENZO MONTELEONE
dalla commedia di
RAI CINEMA
E CATTLEYA PRESENTANO UNA PRODUZIONE CATTLEYA E RAI CINEMA "DUE PARTITE" CON MARGHERITA BUY ISABELLA FERRARI MARINA MASSIRONI PAOLA CORTELLESI CAROLINA CRESCENTINI VALERIA MILILLO CLAUDIA PANDOLFI ALBA ROHRWACHER
TRATTO DALLA COMMEDIA TEATRALE DI CRISTINA COMENCINI FELTRINELLI EDITORE SCENEGGIATURA CRISTINA COMENCINI E ENZO MONTELEONE AIUTO REGIA MATTEO ALBANO COSTUMI MARINA ROBERTI SCENOGRAFIA PAOLA COMENCINI SUONO ANDREA GIORGIO MOSER MUSICA GIULIANO TAVIANI
MONTAGGIO CECILIA ZANUSO FOTOGRAFIA DANIELE NANNUZZI PRODUTTORE ESECUTIVO BRUNO RIDOLFI PRODUTTORE ESECUTIVO CATTLEYA MATTEO DE LAURENTIIS PRODUTTORE DELEGATO GINA GARDINI PRODOTTO DA RICCARDO TOZZI GIOVANNI STABILINI MARCO CHIMENZ REGIA DI ENZO MONTELEONE
DAL 6 MARZO AL CINEMA
www.yahoo.it/duepartite
COVER
PRENDIAMO L’IDEA COMUNE, scolastica, universitaria,
della grandezza degli autori al cinema, l’impatto di un’opera
che, nella storia sociale dell’arte e nella percezione
generale, massmediale, è riconosciuta, istituita,
istituzionalizzata, imposta e corrisposta (consideriamo
risolto l’impossibile, ovviamente, cioè la coincidenza tra
giudizio di gusto, conoscenza critica, condivisione culturale,
eccetera). Un giro di cerchi concentrici raggiunge la
periferia, e dalla periferia ritorna a confermare le emittenti
focali, legittimate, e per tutti, per “chi sa” perché, per chi lo
intuisce, per chi lo sente dire, Chaplin è il poeta massimo
del riscatto umoristico e romantico dell’umile, Fellini il
grottesco onirico, non sempre facile da capire, della crisi dei
miti del soggetto collettivo, Bergman la meditazione a ogiva
sul Senso, Herzog l’immagine raggiunta, mai-vista, nuova,
come esorcismo del conforme dell’occhio-cuore del cinema.
D’accordo, è quasi un gioco, un generatore di marchi, e
siamo già a definizioni ben diverse dalle probabili “popolari”:
pesante, ma importante Bergman; Fellini, così toccante e
coinvolgente, lo rivedrei sempre. Ma forse ci siamo capiti.
C’è sempre qualcosa che si coglie di un’opera complessiva
di un autore, che cerca e sente di cogliere chi lo avvicina, chi
lo riceve, lo sfiora, come il famoso “pessimismo”
leopardiano, l’“eclettismo” del genio per Leonardo o “il
dolore spensierato” di Mozart. “La vera grandezza è come
MISTERO
DA DIECI ANNI IL CINEMA E’
ORFANO DEL GRANDE MAESTRO.
VIAGGIO INTORNO ALLA
COMPONENTE PLASTICA DEI
SUOI FILM
DI SILVIO DANESE
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KUBRICK
Stanley Kubrick e
Tom Cruise sul
set di Eyes Wide
Shut
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COVER
2001: Odissea
nello spazio.
Sotto Keir Dullea
l’infinito, non la si può misurare. In
generale, gli sforzi che facciamo per
valutare le opere d’arte alterano la
nostra capacità di esperienza”, scrive
Stephen Vizinsczey.
Restano, i marchi di Chaplin, Bergman,
Fellini, e Kubrick, Rossellini, Hitchcock,
Billy Wilder, Kurosawa, Leone, ma
anche, ormai, Spielberg, Sokurov,
Cronenberg, per dire, come un’impronta
della individuale cometa artistica, ed è
soltanto un bel complesso di colpevole
superiorità che pensa di poter lasciare al
“popolo” queste banali fissazioni di
sentenza. E’ nel destino del tempo che il
profilo di un’opera si compie in un
marchio come nella dimenticanza. La
nostra è essenzialmente l’epoca del
marchio per la dimenticanza, d’accordo,
ma dallo studente al cultore, dal lettorespettatore all’artista, si muove un “idolo”
dell’artista che insieme lo riduce e lo
innalza e che sembra necessario per la
sua identità. Di che “sistema”, di che
“progetto”, di che “grandezza” è fatto? Di
Kubrick, del regista il cui sistema è la
composizione di progetti diversi, un
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Tra i due poli, del Bene e del Male,
la nostra natura perturbata sceglie
l’identità nel Male
evidente depistamento, una fuga
identitaria ormai già “scoperta” dalla
letteratura critica come arte della regia,
ci viene da dire che il marchio è la mano
di Dio sul cinema imperfetto. E’ la sua
tensione etica.
Dei suoi film, la componente plastica,
visivo-pittorica-ideologica che gli
assomiglia, anzi che lo rigetta come uno
specchio ossessivo, è il monolite di 2001.
Gli corrisponde la tensione di una
perfezione riposta, che vive nell’interno
inconoscibile, nel mistero-Kubrick, nella
ricerca priva di un’esibita soluzione,
senza compromessi. Con scarsa
lungimiranza, Kirk Douglas disse: “Un
giorno sarà un bravo regista se solo gli
capiterà una volta di dare una testata
contro il muro e accettare il
compromesso”, e prendiamo questa
battuta riportata in “L’uomo dietro la
leggenda” di Vincent Lo Brutto per tutta
l’aneddotica, le informazioni, i documenti
di un leggendario e reale lavorio intorno
alla formula esatta di ogni progetto,
sempre sull’orlo della disconoscenza per
la radicale, dissacrante, divisione del
lavoro e riduzione dell’identità
dell’industria cinematografica. Non
sapremo mai quanto è stato soddisfatto
Kubrick di ogni suo film, chiuso nel
laboratorio dell’idea come la massa
spessa del suo magico pezzo di ferro.
Probabile anche che si possa discutere
sulle scelte, proprio sul cosa e sul come
(essere all’altezza o alla profondità di
spettro…). Lo fa per esempio il
compositore e direttore Gerry Goldsmith
(parla di “errore”), che si occupava però
di Patton il generale d’acciaio, Atto di
forza e Basic Instinct, a proposito della
partitura originale scritta da Alex North
per il valzer di 2001, a cui Kubrick preferì
Strauss. E c’è la celebre battuta di
Pauline Kael, “un film afflitto da una
monumentale mancanza di
immaginazione”, questo detto per
parcellizzare l’insieme di “crisi” del
giudizio possibili, plausibili forse, sulla
prima battuta dell’opera d’arte che si
affaccia al mondo. Di quel monolite si
sono tentate interpretazioni di ogni
genere. E’ il mistero però che decide
oltre ogni dubbio: è pura possibilità, cioè
“angoscia”. E tra i due poli, che
rappresenti il Bene o il Male, la nostra
natura perturbata sceglie l’identità nel
Male. La vera “odissea”, una volta che
l’azione diventa crimine con il fossile di
un osso prototipo di tutte le spade, le
pistole, le mazze da baseball e le
atomiche del mondo, è il viaggio intorno
al silenzio (celeste) del Nulla o di Dio, il
navigare in un ciclo del tempo oltre i
tempi nell’illusione che la tecnica ci
salverà. Tutti ancora a danzare intorno a
quel totem levigato che, spostandosi
nell’universo e nei tempi, portando in
giro la beffarda sostanza della muta
impenetrabilità, ci lascia nella ridicola
vanità di ogni esplorazione, di ogni futuro
e di ogni “ritorno al primo sguardo”. Lo
sguardo finale, in sala, del ri-nato neonato è, e insieme trascende, l’innocenza,
quel “non sapere” da cui muove la
riorganizzazione del sapere, per Kubrick
a partire dal “far cinema” come gesto
etico totale.
%
Ancora 2001. In basso
Eyes Wide Shut e, a
destra, i primati. Sopra
il James Mason di
Lolita
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COVER
L’INVENTORE DI GE
DALLA FANTASCIENZA AL KOLOSSAL STORICO E AL NOIR: KUBRICK CAMBIA TUTTO E
DI ROBERTO NEPOTI
SE MAI SIA LECITO aspettarsi
un’eredità dai grandi artisti, il lascito più
cospicuo di Stanley Kubrick – dopo la
sua stessa filmografia – riguarda la
ridefinizione dei generi cinematografici.
Passatoci lui, nessun genere sarà più
uguale a prima, ma dovrà sparigliare in
qualche modo il suo paradigma di
norme, stili, rimandi. Senza peraltro
poterlo imitare, tale è la singolarità
delle sue opere: le incursioni di Kubrick
nei generi sono, allo stesso tempo,
seminali e irriproducibili, negano le
vecchie regole ma non permettono
d’instaurarne di nuove. Il noir ridisegna
i propri confini con Rapina a mano
armata (1956), che sembra un epigono
dello hustoniano Giungla d’asfalto e,
invece, sovverte la diegesi, molto meno
attento alla storia da raccontare che alle
modalità della sua messa in scena:
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esemplare l’epilogo dell’hold-up, le cui
fasi sono ripetute più volte con
inquadrature riprese da differenti punti
di vista. La ricaduta nel genere è lunga;
e sarebbe difficile immaginare un film
come Pulp Fiction di Tarantino senza il
lontano precedente kubrickiano. La
ridistribuzione dei parametri di genere
si fa tanto più evidente, addentrandosi
nella fantascienza di 2001: Odissea
nello spazio (1968). Anche in questo
caso ci sono un “prima” e un “dopo”:
ove prima c’era la space-opera, più o
meno ingenua anche quando conteneva
accenni metafisici, con 2001 le
aspettative consolidate dello spettatore
vanno completamente disattese,
mettendolo a confronto con un oggetto
volante non identificato, gravido di
senso (di sensi) nuovo e –
contemporaneamente - anticipatore
Spartacus.
Accanto Barry
Lyndon e ancora
Kirk Douglas. In
basso Kubrick sul
set di 2001
NERI
ROMPE LE REGOLE
della stagione del grande Effetto
Speciale. Inarrestabile, Kubrick
“riforma” poi il film storico, che
s’illudeva fissato nella pigra tradizione
del kolossal hollywoodiano (dove
Stanley s’era addentrato con Spartacus,
perdendo la partita a causa della
propria alterità), dirigendo Barry
Lyndon (1975). Qui, eccezionalmente,
siamo di fronte a un unicum che non “fa
scuola”: troppo difficile concepire un
film in costume come una riflessione sul
rapporto tra cinema e storia e, insieme,
un’occasione di sperimentazione
linguistica (le lenti Zeiss, lo studio sulla
luminosità naturale). Palese, invece,
l’influenza di Shining (1980) sul
successivo cinema “fantastico”
(unitamente al ruolo, ancora,
dell’innovazione tecnico-linguistica: vedi
l’introduzione della steadycam). La
messa-in-abisso del senso narrativo
diventerà una ricorrenza del genere,
anche se in forme assai semplificate;
ma è soprattutto un’“atmosfera” inedita
a permeare il film; tanto da giustificare
le perplessità di Stephen King, che non
vi riconosce nulla del proprio romanzo.
Ma, forse, il caso più singolare (o
emblematico?) è Full Metal Jacket
(1987), Nam-movie interamente
elaborato in base alla gestione logistica
della percezione: i carrelli avantiindietro della prima parte (che ne
disegnano l’appropriazione), contro
quelli collaterali e sghembi della
seconda, (che indicano una topografia
sfuggente e inoccupabile). Il quasi coevo
Platoon di Stone produrrà molti più
replicanti; e tuttavia non c’è film di
guerra, di lì in avanti, che non debba fare
i conti con Kubrick.
%
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COVER
QUEL
PORTENTO DI
STANLEY
L’UOMO, L’ARTISTA, L’INTELLETTUALE:
L’UNIVERSO KUBRICKIANO SECONDO IL CRITICO
MICHEL CIMENT
DI ANTONIO D’OLIVO*
“MI PIACE VIVERE: è l’insensatezza
della vita che obbliga l’uomo a crearsi
un proprio senso. I bambini iniziano a
vivere con un senso immacolato di
stupore, con la capacità di provare una
felicità assoluta di fronte a qualcosa di
così semplice come il verde di una
foglia. Ma, quando crescono, la
consapevolezza della morte e della
dissoluzione inizia a incidere sulla loro
coscienza. A erodere, piano piano, la
gioia di vivere. Quando un bambino
diventa adulto vede, ovunque, morte e
dolore, e inizia a perdere la fede nella
fede e nella bontà intrinseca dell’uomo.
Ma se ha forza potrà emergere da
questo crepuscolo dell’anima
nonostante l’insensatezza della vita,
potrà forgiarsi un nuovo modo di vedere
il mondo. Non tornerà mai puro e
stupito come quando era bambino ma
darà forma a ‘qualcosa’ in grado di
sostenerlo”. Così parlava Stanley
Kubrick in una delle interviste concesse
al critico e studioso Michel Ciment. Per
lui, che lo ha conosciuto, frequentato e
intervistato per molti anni, Kubrick è
stato “un vero genio perché pur avendo
realizzato solo 13 film non solo non si è
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mai ripetuto ma, con ogni film, ha
reinventato il cinema”.
Michel Ciment, come definirebbe la
grandezza di Kubrick?
Kubrick mi fa pensare a un rabbino che
studia il Talmud, o ad un alchimista del
Medioevo che vuole trasformare il
piombo in oro. C’era in lui qualcosa che
faceva pensare alla ricerca della pietra
filosofale. Alla ricerca dell’assoluto. Una
ricerca che, alle volte, porta a fermarsi,
a bloccarsi, come il giocatore di scacchi
che fa ottime mosse e poi si ferma e ha
paura di giocare. E’ per questo che c’era
sempre una maggiore distanza tra un
film e l’altro. La sua morte è simbolica:
è morto 4 giorni dopo avere consegnato
la copia del suo film Eyes Wide Shut.
Esaurito dalla stanchezza e dal lavoro.
“C’era in lui qualcosa che faceva
pensare alla ricerca della pietra
filosofale, alla ricerca dell’assoluto”
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COVER
E siccome non aveva fatto film da 12
anni e aveva 70 anni, forse per il
prossimo film ne avrebbe avuti 85.
Quindi aveva compiuto, in qualche
modo, la sua opera, era un uomo che si
prendeva tutto il tempo di cui aveva
bisogno per ricercare, in ogni film, la
perfezione.
Ci racconti il suo primo incontro con
Kubrick. Che tipo era? Che impressione
le ha fatto?
Kubrick mi è sembrato subito una
persona molto concentrata.
Estremamente precisa, attenta, che
desiderava rispondere seriamente alle
mie domande. Non era arrogante, come
molti giovani cineasti o autori. Era
disponibile anche se difficile da
avvicinare. Se non ricordo male era
stata la rivista L’Express a dargli una
lista di tre persone e lui aveva scelto me
per un incontro a Londra su Arancia
meccanica. Indossava una specie di
tuta, l’abbigliamento di un uomo che
lavora. Più invecchiava e meno amava
parlare. Credo avesse paura di dire
troppe cose, non voleva che si facesse
un discorso unico sui suoi film, voleva
molteplici interpretazioni. Per lui
l’immagine era polivalente e quindi ogni
espressione verbale ne riduceva il
significato. Inoltre pensava di essere
goffo, maldestro e di non essere
all’altezza di quello che voleva dire.
Si parla tanto delle fobie di Kubrick:
paura di volare, di andare in auto, di
vedere gente, di incontrare i
giornalisti, il suo maniacale
perfezionismo. Quanto di tutto questo è
vero?
Ovviamente non voglio trasformare
Kubrick in una persona normale.
Sarebbe impossibile. La sua cultura era
immensa: spaziava dalla letteratura alla
matematica, dalla fisica all’architettura,
dalla pittura alla storia. Era un raffinato
esperto di tutti i tipi di musica, e aveva
un’incredibile conoscenza dei mezzi
tecnici con cui si fa un film. Ed era
attentissimo a tutte le novità che
potessero migliorare ulteriormente il
suo modo di fare cinema. Certo non
amava viaggiare, non amava la velocità
in auto. Però aveva un brevetto di pilota
e a 20 anni guidava gli aerei. Ma non
voleva più prenderli perché volare
comportava dei rischi che poteva
evitare. Era un uomo che amava prima
di tutto il suo lavoro. Ed era un
perfezionista. E lei sa che per la
perfezione ci vuole moltissimo tempo e
quindi non voleva perderne nei viaggi, le
interviste, i festival. Per me la sua
morte è stata una specie di sfinimento,
di esaurimento di un’artista che ha
lavorato due anni sulle riprese, uno sul
montaggio; lavorando 18 ore al giorno
sottoposto ad una pressione psicologica
immensa. La sua passione era l’arte: la
perfezione nell’arte. Non aveva la fobia
delle persone come dice lei. Aveva
amici, collaboratori con cui parlare.
Aveva rapporti telefonici con Polanski,
Spielberg, Bergman, Lucas. Seguiva il
baseball, leggeva i giornali, seguiva la
Borsa, vedeva tutti i film che uscivano
(se li faceva mandare a casa), non era
un eremita. Non rifletteva in solitudine.
Con internet, fax, telefono, video,
televisione, le cassette, Kubrick era in
contatto con il mondo intero. Ma era lui
a decidere che cosa lo interessasse.
Aveva un grosso senso dello humour,
faceva domande e aveva risposte
spiritose sempre pronte. Mi è stato
detto che era addirittura timido quando
incontrava qualcuno. Per esempio
quando aveva conosciuto Harold Pinter
aveva avuto una folgorazione, era
veramente un ebreo intellettuale. Molto
curioso, interessato alle manifestazioni
dell’intelletto: filosofia, psicanalisi, tutti
gli aspetti dell’arte. Credo vada visto
così: era un autentico genio.
%
*critico cinematografico del Giornale Radio Rai
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VINCITORE DI 8 PREMI OSCAR
TRA CUI
MIGLIORE FILMUMIGLIORE REGIA
“Un'esplosione di energia”
VARIETY
Dal regista di
Trainspotting
Jamal deve rispondere
alla domanda finale
per vincere 20 milioni.
Come è arrivato fin qui?
o astuzia
o inganno
o coraggio
amore
o
THE
MILLIONAIRE
UN FILM DI DANNY BOYLE
WWW.LUCKYRED.IT
COVER
REGISTA
DI MARIONETTE
NON AMAVA LE STAR: GLI ATTORI DOVEVANO
ESSERE AUTOMI AL SUO SERVIZIO
DI GIANLUCA ARNONE
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CONTRARIAMENTE ALLA FAMA di uomo
scontroso, Stanley Kubrick perse la
pazienza in pubblico in una sola
occasione. Fu a ridosso dell’uscita di Full
Metal Jacket, quando non riuscì a
trattenersi davanti a un cronista che lo
accusava di maltrattare gli attori: “I
giornalisti esagerano! Parlano di me
come fossi una specie di dottor Mabuse”.
Naturalmente aveva torto. A fornire
pretesti alla stampa erano gli interpreti,
che tacendo avrebbero reso al maestro
un servizio forse peggiore. Nel caso dei
geni i pettegolezzi, quando invecchiano,
diventano miti. Ma quanto c’é di vero
negli aneddoti che si tramandano? Molto,
probabilmente. Il perfezionismo
maniacale di Kubrick - unito al controllo
assoluto sul film - non ammetteva
intromissioni né iniziative personali. Il
“tiranno” fece le sue vittime: da Kirk
Douglas, che tagliò ogni rapporto con lui
dopo l’estenuante lavorazione di
Spartacus (celebre la sua dedica al
maestro: “Una merda di talento!”), a
Marlon Brando, che avrebbe voluto
affidargli il timone de I due volti della
vendetta prima d’impantanarsi nella
personalità del regista, ingombrante più
della sua. Non si contano poi i ciak che
faceva ripetere ai suoi attori. Tom Cruise
non ha ancora dimenticato le 93 volte in
cui dovette rifare la stessa scena in Eyes
Wide Shut, e Malcolm McDowell dopo
l’esperienza di Arancia meccanica ha
Marlon Brando e Kubrick: unione impossibile.
Nella pagina accanto il regista e Tom Cruise
dichiarato: “Non ho voluto più
incontrarlo. Non era il tipo col quale
avresti preso volentieri una birra, ma un
capo assoluto che ti usava senza
vergogna. Non si arrabbiava né alzava
mai la voce. Semplicemente ti ignorava e
procedeva dritto per la sua strada. Era
impossibile sapere dove ti avrebbe
portato, e in fin dei conti non importava a
nessuno: volevamo solo finire quel
maledetto lavoro”. Freddezza, fiducia
cieca nei propri mezzi, annientamento
della soggettività degli attori. Più che
misantropia, la crudeltà di Kubrick è
modus operandi, e il film un costrutto
organico in cui ogni elemento ha senso
solo accanto agli altri e dentro l’insieme.
Musica, luce, colore, recitazione,
vengono destituiti del loro valore
intrinseco per essere ridotti a unità
sintagmatiche, tessere di un mosaico
d’autore. L’attore diventa un mezzo,
perciò lo si può usare senza vergogna; la
soggettività un ostacolo al piano
dell’opera. Kubrick raramente utilizzò
delle star, e trattò le poche che furono
scritturate (Sellers, Nicholson e la coppia
Kidman-Cruise) alla stregua di
comparse. Era un regista di marionette,
ma non per liberare “una tranquillità,
una leggerezza, una grazia, da sbalordire
chiunque abbia un’anima che pensa”
(Von Kleist), ma al fine di piegare la
volontà individuale alle necessità
dell’arte e il personaggio al giogo del
determinismo sociale. Un punto,
quest’ultimo, centrale nell’impianto
filosofico kubrickiano. La distruzione
della coscienza del singolo sotto i colpi
dell’ordine storico-culturale è un tema
che attraversa quasi tutta la sua
filmografia (si pensi al filone “di guerra”
Orizzonti di gloria, Il dottor Stranamore e
Full Metal Jacket, o all’epopea di Barry
Lyndon). La pressione dell’ambiente è
insostenibile, e si esaurisce solo con
l’espropriazione di sé del soggetto (i
personaggi catatonici di 2001 e gli
“automi” di Eyes Wide Shut), o con la
dissoluzione del legame psico-sociale col
mondo (gli iperattivi “drughi” di Arancia
meccanica e il Nicholson di Shining).
Non c’è dialettica tra il “dentro” e il
“fuori”. Il mondo esterno piega quello
interno ai suoi dettami, lasciando
all’individuo di Kubrick solo una libertà di
riflesso: l’odissea del folle volo verso
l’alba (illusoria?) di un uomo nuovo.
%
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COVER
LA LUCCICANZA
DELLO SGUARDO
LO STRANO CASO DI
SHINING E IL TUO VIZIO E’
UNA STANZA CHIUSA DI
SERGIO MARTINO
DI LUCA PALLANCH
POSTI DI FRONTE alla pagina bianca e
alla difficoltà di scrivere in poche righe
sul cinema di Stanley Kubrick, come
resistere alla tentazione di ripetere
ossessivamente la stessa frase: “Il
mattino ha l’oro in bocca”, senza bisogno
di ulteriori aggiunte, reiterando
all’infinito uno dei tanti misteri che il
regista americano si è ben guardato dal
risolvere? Nulla sarebbe più kubrickiano
che la riproduzione-ripetizione di quella
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frase, l’unica partorita dalla mente del
(presunto) scrittore Jack Torrance in
Shining. Sennonché un’altra tentazione,
non meno cinefila, ci spinge più lontani,
quasi a osare l’impossibile. Quella di
interpretare quella frase come
l’equivalente della parola magica di
Quarto potere. “Il mattino ha l’oro in
bocca” come “Rosebud”: quale
significato poteva avere quella frase per
Jack Torrance (Kubrick, con il suo
proverbiale perfezionismo, approvò le
versioni della frase in ogni lingua;
nell’originale la frase rinvia a un
proverbio inglese: “All work and no play
makes Jack a dull boy”, ovvero “Troppo
lavoro e niente gioco fanno di Jack un
ragazzo noioso”)? Come in Quarto
potere, il nostalgico ritorno all’infanzia,
quando ci si alzava presto spinti dalla
curiosità della vita? Oppure
un’invocazione di luce per allontanare le
tenebre che si innalzano dall’abisso della
memoria, facendo riaffiorare un antico
delitto? Del resto a non minori
interpretazioni si prestava la “Rosebud”
di Orson Welles e la tentazione era di
ridimensionarne la portata piuttosto che
alimentarla inseguendo argute chiavi di
lettura. Ecco allora che si affaccia dinanzi
a noi un’ulteriore suggestione: uno
scrittore insegue i suoi fantasmi in una
villa in campagna e sfoga le sue nevrosi
sulla moglie, terrorizzandola. Una frase,
pronunciata da un altro personaggio,
contribuisce a delinearne l’inquieta
Orrore in Shining. Sopra l’Overlook Hotel, in
basso Kubrick e il direttore della fotografia
John Alcott. Nell’altra pagina Jack Nicholson e
il piccolo Danny Lloyd
personalità (e a distanza anche quella di
Jack): “Uno scrittore porta tutto il suo
mondo dentro”. “Il mattino ha l’oro in
bocca” e “Uno scrittore porta tutto il suo
mondo dentro”: due piccoli varchi per
entrare nel labirinto della mente umana.
Due scrittori affini, concepiti nel
medesimo periodo, gli anni Settanta, a
notevole distanza spaziale l’uno
dall’altro. In America Jack Torrance, in
Italia Oliviero Ruevigny, protagonista del
misconosciuto thriller di Sergio Martino
Il tuo vizio è una stanza chiusa e solo io
ne ho la chiave del 1972, una
rielaborazione del racconto di Poe The
Black Cat. Oliviero Ruevigny (interpretato
da un grande Luigi Pistilli), rinchiuso
nella sua villa veneta, gioca a gatto con il
topo con la moglie. Su di lei riversa le
sue amarezze, le sue frustrazioni, le sue
colossali sbornie, i suoi tradimenti, ma,
come sempre succede in questi casi, la
verità è diversa da come appare. E così
come la schizofrenia dilagante di Jack
Torrance si rivela agli occhi della moglie
attraverso la lettura di centinaia di
pagine su cui è impressa sempre la
stessa frase: “Il mattino ha l’oro in
bocca”, così la moglie di Oliviero si fa
un’idea definitiva della personalità (e
degli intenti) del marito leggendo la
frase: “Uccidere e murare in cantina”.
Una frase ripetuta, anche in questo caso,
all’infinito, echeggiata dal medesimo
rumore della macchina da scrivere. Con
il medesimo, geniale, espediente i
personaggi femminili dei due film hanno
la percezione esatta dell’abisso in cui
sono piombati i rispettivi mariti e
capiscono che non c’è più via d’uscita:
non rimane che la “vendetta”, parola che
nel film di Martino è scritta
ripetutamente a macchina per creare
ulteriore suspense, o la fuga. Si
potrebbero cercare altre affinità, ma
volendo stabilire una vera luccicanza alla
maniera di Kubrick, ecco, pronti a
soccorrerci, i versi del poeta americano
Robert Frost, che hanno ispirato la
scrittrice S.E. Hinton per il suo
capolavoro The Outsiders (in italiano I
ragazzi della 56ª strada): “Della natura il
primo verde è d’oro,/ il più raro ed
effimero color./ La prima foglia è un fior/
che dura un’ora sola./ Poi, foglia cede a
foglia./ Così l’Eden piombò nella doglia;/
così l’alba nel giorno si cala./ Ciò che è
d’oro non dura”. Nothing Gold Can Stay.
Il mattino ha l’oro in bocca…
%
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COVER
DAL ‘900 ALLA CARROZZELLA
DI DICK CHENEY, KUBRICK HA
RIVOLUZIONATO IL CONFLITTO.
TRA SCACCHIERE E LABIRINTI:
PAROLA DI ESPERTO, GIAIME
ALONGE
DI FEDERICO PONTIGGIA
ORIZZONTI DI
LA SCACCHIERA E IL LABIRINTO: le
due facce della guerra secondo Stanley
Kubrick. “Questi due modelli
funzionano per il cinema di guerra in
generale, e pure per la letteratura: da
un lato, la scacchiera, l’occhio oggettivo
del De bello gallico di Cesare e del
narratore ottocentesco; dall’altro, il
labirinto, immagine canonizzata nel
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rivista del cinematografo
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marzo 2009
Fabrizio Del Dongo della Certosa di
Parma a Waterloo”, dice Giaime Alonge,
professore di Storia del
cinema all’Università di
Torino e autore del saggio
Cinema e guerra (Utet,
2001). “La prima opzione
è quella del comandante
in capo: mosse e
contromosse, geometrie su una carta
geografica, un’opzione in cui gli eventi
bellici, pur brutali, hanno
razionalità, mentre nella
prospettiva del fante,
quella della prima linea,
ogni ipotesi logica salta.
E’ una dualità che
attraversa tutta la storia
GUERRA
della settima arte, ma che in Kubrick –
afferma Alonge – assume pregnanza
particolare: ne fa l’oggetto stesso del
suo cinema, a partire dallo scarto
irriducibile tra i generali e i soldati sul
campo di Orizzonti di gloria. Due
paesaggi visivi e sonori inconciliabili: da
un lato, le soggettive dei generali senza
il boato terrificante dell’artiglieria
tedesca, dall’altro, l’attacco nonsense
al Formicaio”.
Se le immagini della scacchiera e del
labirinto, che ritorna pure nella villa di
Eyes Wide Shut, sono esplicitamente
ricavate dalla filmografia di Kubrick,
“tutto il suo cinema – dice Alonge – è
bellico, nella misura in cui ragiona
sulla violenza e sul contenimento della
violenza della società novecentesca,
che però spesso si inceppa e si rivolta
contro di sé: vedi Palla di lardo in Full
Metal Jacket e il congegno Fine di
mondo nel Dottor Stranamore”.
Si può dunque parlare di anticipazione
della guerra contemporanea per
Kubrick? “Non so, il suo cinema è
profondamente radicato nella storia
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COVER
del XX secolo e Kubrick muore
all’alba del nuovo, ma indubbiamente
da Lolita in poi i suoi film hanno
segnato la cultura di massa
contemporanea: tutti conoscono battute
di Shining e Arancia meccanica e nei tg
per parlare della guerra in Vietnam si
fanno vedere Apocalypse Now e il
sergente Hartman”. Rimane comunque
il fatto che Kubrick si confronta con una
guerra oggi superata: “FMJ è il
racconto bellico del ‘900 per
antonomasia con dei giovani borghesi
forzatamente trasformati in soldati:
oggi la leva obbligatoria non esiste più,
anche se probabilmente avrebbe
scongiurato la guerra in Iraq, dove sono
andati solo i figli dei poveracci”. Se
prima dell’introduzione – con le guerre
napoleoniche - del servizio militare
obbligatorio non esisteva il problema
del reinserimento dei reduci cui il
cinema ha dedicato un filone ad hoc,
viceversa, il richiamo alle armi spiega il
conflitto tra il colonnello Dax e
PULP BASTERDS
“Quentin tarantineggia alla
grande!”. Parola di uno che se ne
intende, Enzo G. Castellari: il suo
Quel maledetto treno blindato del
’77 rivivrà al prossimo festival di
Cannes con Inglorious Basterds
di Tarantino, che il regista italiano
– in cammeo nel film - definisce
“non un remake, ma un
omaggio”. The Inglorious
Full Metal Jacket. Nelle
pagine precedenti
un’altra scena del film e
Giaime Alonge
Bastards fu proprio il titolo che
Castellari scelse per la
distribuzione americana ma,
eredità a parte, il peso del pulpwar movie di Tarantino è tutto
proiettato in avanti: “You haven’t
seen war until you’ve seen it
through the eyes of Quentin
Tarantino” recita il trailer, e
potrebbe non essere solo un
claim promozionale. Almeno a
giudicare dalle prime immagini:
urla, scalpi e sangue a fiotti, con
Brad Pitt e i suoi otto Basterds,
soldati ebrei americani, alla caccia
di nazi. Chissà, se Tarantino
riuscisse davvero a rivoluzionare
il genere bellico, il primo a
essergliene grato potrebbe essere
proprio Stanley Kubrick: i suoi
Orizzonti non attendono che di
(FP)
farsi Inglorious…
Quentin Tarantino.
Accanto una scena di
Inglorious Basterds
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l’establishment militare, e non solo: la
leva è tradizione del racconto bellico
del ‘900, da I migliori anni della nostra
vita a FMJ. Nondimeno, Kubrick sa
guardare oltre il XX secolo, con “campi
di battaglia caotici, entropici, in cui le
coordinate spaziali saltano e il nemico è
sostanzialmente invisibile: se in Barry
Lyndon le battaglie sono geometriche e
a viso aperto, la città e la ragazzacecchino di Full Metal Jacket e il
Formicaio inquadrato sempre in campo
lungo, come fosse la fortezza del
Deserto dei tartari, di Orizzonti di gloria
sono sintomatici delle contemporanee
guerre a bassa intensità, dall’Iraq a
Gaza fino a Valzer con Bashir, dove il
nemico non lo vedono quasi mai”.
Al contrario, l’11 settembre Kubrick
non l’ha preconizzato: “Per lui, la
guerra è ancora tra Stati, e quella al
terrore un’espressione anomala. Di
certo, il 9/11 è un evento capitale, e
Kubrick era estremamente interessato
alla politica internazionale: avrebbe
potuto farlo un film sulle “operazioni di
polizia” post 11 settembre, ma i suoi
tempi divenuti così lenti dopo Shining e
la sua fredda prospettiva storicofilosofica paiono ostacoli quasi
insormontabili. Senza considerare che
la velocità della comunicazione, e del
cinema contemporaneo nel trattare
l’Iraq l’avrebbero sicuramente
spiazzato”. Ma in realtà, conclude
Alonge, “il film di Kubrick sull’11
settembre, come dice mia moglie,
l’abbiamo già visto: all’insediamento di
Barack Obama, con Dick Cheney sulla
sedia a rotelle come il Dr.
Stranamore…”.
%
MIRAGGIO
NAPOLEONICO
155 PAGINE DI SCRIPT PER LA PIÙ IMPORTANTE OPERA
CINEMATOGRAFICA MAI REALIZZATA: IL SOGNO
“IMPERIALE” DI STANLEY
DI VALERIO SAMMARCO
“CONSIDERO KUBRICK UN GIGANTE”.
Lo diceva Orson Welles già nel ’56, ancor
prima dei suoi lavori immortali (dal
Dottor Stranamore a Shining, da 2001 ad
Arancia meccanica), ancor prima che lo
stesso Kubrick iniziasse solamente a
pensare al Napoleon, sogno infranto che
non trovò altra realizzazione se non sulla
carta. 155 pagine di script (qualche anno
fa comparso misteriosamente su
Internet, tuttora consultabile), frutto di un
lavoro maniacale e della collaborazione
con l’esperto napoleonico Felix Markham,
tanto da portare il regista a dichiarare di
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COVER
sapere “quello che l’imperatore aveva
fatto e dove si trovasse ogni singolo
giorno della sua esistenza”.
“L’epica definitiva” (ipotizzava Bob
Gaffney, collaboratore del regista in
2001), la risposta colossale al già di per
sé colossale film di Abel Gance (“in
anticipo sui tempi dal punto di vista
tecnico, ma tremendo e rozzo per quanto
riguarda trama e recitazione”, come lo
definì Kubrick), 50.000 comparse solo per
ricreare le scene di marce, campagne e
battaglie, per le quali ancora non si erano
trovati i “terreni” giusti, anche se alla fine
erano state scelte la Romania e/o la
Jugoslavia, epopea – dalla nascita alla
morte dell’imperatore – che non conobbe
neanche un solo giorno di produzione.
Inizialmente approvato dalla MGM, che
poi rifiutò il progetto a causa del
disastroso esito commerciale (come da
titolo…) di Waterloo (Sergei Bondarchuk,
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“L’epica definitiva”,
in risposta al
kolossal di Abel
Gance
1970), l’ambizioso sogno del regista
newyorkese non si spegne, ma anzi lo
accompagna per molti anni a venire: la
stesura della sceneggiatura è datata
settembre ’69 (un anno dopo 2001:
Odissea nello Spazio), poi arriva Arancia
meccanica e Kubrick riprende a parlare
del Napoleon, tanto che durante la
lavorazione di Barry Lyndon (1975) in
molti pensarono che alcune riprese delle
scene di battaglia sarebbero poi servite
per l’altro film… Che invece non partirà
mai (anche se Jack Nicholson – che
Kubrick avrebbe preferito al posto di
Marlon Brando nei panni dell’imperatore
– parlava del progetto ancora nell’86, sei
anni dopo Shining, come riportato nel
prezioso volume “Stanley Kubrick –
L’uomo dietro la leggenda” di Vincent Lo
Brutto), rimanendo per sempre il più
grande film mai realizzato della storia del
cinema. Oggi – ironia della sorte – trova
posto accanto a tre progetti maledetti di
Orson Welles: il film sul Brasile, la
trasposizione del capolavoro di Cervantes
e The Other Side of the Wind: ma, a
differenza di quelli (i primi due sono stati
più o meno filologicamente ricostruiti in
It’s All True e Don Quijote, il terzo
potrebbe finalmente essere terminato da
Peter Bogdanovich), il Napoleon di
Kubrick è rimasto una chimera,
intangibile e lontanissimo miraggio. In
due parole: il film perfetto.
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cartoni d’autore
Arrivano
Sfida extraterrestre per Jeffrey Katzenberg, una pesciolina mutante per Miyazaki
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i mostri
e la Laguna d’Oro della Pixar: per grandi e piccini, è febbre cartoon
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Alla rivoluzione
Il guru della DreamWorks non ha
dubbi: “La nuova era dell’animazione
inizia da qui”. La scommessa
tridimensionale è Mostri contro alieni
di Valerio Sammarco
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cartoni d’autore
con il 3D
L’amministratore
delegato della
DreamWorks
Animation
Jeffrey
Katzenberg
“D’ORA IN POI REALIZZEREMO ogni
titolo in 3D e non sarà come una volta,
quando i film venivano fatti in 2D e poi
trasformati in post-produzione, ma il
contrario: sarà un processo che inizierà
già dalla stesura degli storyboard, con i
disegnatori che devono concepire sin
dall’inizio l’animazione non più appiattita
bidimensionalmente, ma del tutto
immersa nella storia”.
La rivoluzione è in atto, parola di Jeffrey
Katzenberg, amministratore delegato e
guru della DreamWorks Animation che,
dal 3 aprile, sdoganerà in tutto il mondo
la sua ultima creatura Mostri contro
Alieni. Tributo animato alla sci-fi anni
’50, il film diretto da Rob Letterman e
Conrad Vernon racconta di una ragazza
californiana, Susan Murphy (a darle voce
è Reese Witherspoon), che il giorno del
suo matrimonio viene colpita da un
meteorite e si trasforma in una
gigantessa di 15 metri. Portata in
un’area segreta del governo USA, e
ribattezzata Ginormica, viene messa
insieme ad un gruppetto di ex-umani,
ormai diventati mostri: il geniale Dottor
Professor Scarafaggio, il super macho
Anello Mancante, metà scimmia e metà
pesce, il gelatinoso ed indistruttibile
B.O.B e il bruco Insectosaurus, lungo
più di 100 metri. Convocati dal
Presidente degli Stati Uniti su
suggerimento del generale W.R.
Monger, i mostri dovranno controbattere
l’offensiva dell’alieno Gallaxhar che
minaccia di distruggere il mondo.
Di 3D si parla da anni, cosa cambia oggi
in termini pratici?
Dopo il sonoro e il colore, quella del 3D
sarà la vera terza rivoluzione nella
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cartoni d’autore
storia del cinema. Dimenticate i
ridicoli occhialetti di cartone con una
lente rossa e l’altra verde, dimenticate
quel fastidioso senso di nausea provato
al termine della proiezione.
Quella tecnologia era
primitiva: oggi la parola
d’ordine è digitale, quindi
precisione, di conseguenza
perfezione.
Da un punto di vista
squisitamente “narrativo”,
quali sono gli accorgimenti
che intervengono nella
storia da raccontare?
La storia rimane l’elemento
portante per ogni prodotto,
guai a sottometterla
inserendo elementi inutili
solo per aumentare effetti o
colpi sensazionali: un brutto
film rimane tale anche se
viene concepito o
trasformato in 3D, quello che
intendiamo fare noi è offrire
allo spettatore la possibilità
di realizzare quel sogno che
lo accompagna non appena il
buio scende in sala, ovvero
entrare completamente nella
storia che gli viene
raccontata.
Tecnicamente parlando?
Dal punto di vista tecnico le
migliorie rispetto al passato
per quello che riguarda la
tridimensionalità non
possono prescindere
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Gallaxhar incombe
La minaccia arriva dallo
spazio. E’ l’alieno Gallaxhar il
nemico da cui mettersi in
salvo. Per farlo, il governo
USA si affida ai suoi mostri:
la nuova arrivata Ginormica
sarà affiancata ai vecchi BOB
(gelatinoso e indistruttibile),
al Professor Scarafaggio (Dr.
Dr. Cockroach in originale), al
gigantesco bruco
Insectosaurus e al super
macho Anello Mancante. La
battaglia ha inizio!
dall’evoluzione della tecnologia digitale:
ora è finalmente possibile sincronizzare
perfettamente le due macchine da
presa per ottenere la visione
stereoscopica delle immagini e,
soprattutto, riprodurle in sala per
mezzo di un unico proiettore, evitando
così i problemi di un tempo, quando ne
occorrevano due e il processo era
ancora meccanico.
Ma le strutture ci sono? E i costi?
Nel giro di qualche anno, recessione
globale permettendo, il miraggio del 3D
non sarà più tale: oggi come oggi negli
States circa 1400 sale possono
proiettare in 3D, a livello internazionale
contiamo che già dalla prossima
primavera si possa arrivare almeno a
500 e in Italia a 60, puntando per gli USA
all’80% della copertura totale nell’estate
del 2010, in concomitanza con l’uscita di
Shrek 4. Per quello che riguarda i costi,
invece, dal punto di vista produttivo il
budget aumenta di circa 50 milioni
di dollari per singolo film e facendo una
stima solo ipotetica, ogni biglietto per
l’ingresso in sala costerà grosso modo
quanto oggi per le sale con tecnologia
IMAX, circa 5 dollari in più.
Un aumento non da poco…
Come azienda stiamo investendo
moltissimo per raggiungere una qualità
sempre più elevata. Ci vorrà più tempo
per trovare una risposta al nostro
lavoro? Pazienza: qualsiasi tipo di
business al mondo, offrendo un
prodotto migliore ai suoi clienti, non può
non essere apprezzato.
%
Anime infantili
“Sono i bambini a darmi la forza”, confessa Miyazaki. Dalla rivalsa sul
“materialista” Andersen, ecco la sua Ponyo-Sirenetta
di Federico Pontiggia
JOHN “PIXAR” LASSETER, per molti
l’unico erede di Walt Disney, dice che “è
il più grande maestro dell’animazione,
anzi il più grande regista vivente”. Il
connazionale Akira Kurosawa affermava
che “non si può sminuire l’importanza
della sua opera paragonandola alla
mia”. Capelli e barba bianchi, sigaretta
perennemente accesa, il regista non si
dice d’accordo con gli illustri colleghi,
ma non è questo un altro sintomo della
grandezza di Hayao Miyazaki, 68 anni,
Leone d’Oro alla carriera nel 2005,
professione creatore di anime?
Al Lido, Miyazaki è tornato con Ponyo
sulla scogliera (Ponyo on the Cliff by the
Sea), portando in dote l’inno dell’ultima
Mostra: “Ponyo Ponyo Ponyo…” e
commuovendo con la consueta ricetta, la
semplicità: semplicità grafica,
artigianalità di tratto, fattura e
lavorazione distante anni luce dai byte
della CGI di Pixar e DreamWorks, e
semplicità di caratteri, che nascono per i
bambini e crescono fino a regalare un
insegnamento morale agli adulti.
Oltre 17.000 i quadri disegnati a matita,
perché “con la computer grafica - spiega
il co-creatore di Heidi e Lupin s’indebolisce la vera forza
dell’immagine. La tecnologia può aiutare
a realizzare un film, ma credo che
l’animazione abbia bisogno della mano
dell’uomo: spero di usare la matita il più
a lungo possibile”. Ma sbaglia chi crede
in una concorrenza, pur leale,
all’universo hi-tech della Pixar: “Quando
è finita la guerra, avevo 4 anni, molti film
arrivavano dall’America, ma nessuno mi
ha influenzato. L’animazione è un mondo
vasto, non siamo in competizione, ma in
amicizia: nella Pixar ci sono tante
persone a me care”.
Invidia e competizione non abitano
nemmeno nella casa sospesa sul mare,
dove vivono il piccolo Sosuke, la madre
Lisa e, più raramente, il padre marinaio.
Un giorno, Sosuske incontra una
pesciolina rossa scappata dagli abissi,
che ribattezza Ponyo: i due si
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cartoni d’autore
innamorano. Infanzia, ecologia,
tolleranza, diversità, anzianità e
femminismo affiorano sul mare animato
di Miyazaki depurati di qualsiasi scoria
stilistica, poetica e pedagogica, creando
ondate di tenerezza: “Nel mio staff,
molti hanno avuto dei figli di recente, e
questo mi ha dato la motivazione per
realizzare Ponyo: d’altronde, sono i
bambini che mi danno la forza per
andare avanti”. Ecco, dunque, Ponyo,
che corre sui cavalloni, adora il
prosciutto e porta sulla terra la luce
La pesciolina
Ponyo. Sopra
Miyazaki e tutte
le sue creature
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degli abissi, e Sosuke, che regala
l’infanzia alle vecchiette e piange per la
madre che non trova, protagonisti di
“una fiaba avventurosa sull’amore
infantile e una risposta alle afflizioni dei
nostri tempi”, un romanzo di formazione
“al contrario”, letto dai bambini ai
genitori.
Negando di aver ricreato “il mio
maremoto” sulla scorta dello tsunami di
Phuket e Krabi del 2004, Miyazaki canta
le lodi dell’oceano: “Il mare va, il mare
viene: l‘uomo non può farci niente, solo
accettarlo. C’è una ciclicità negli eventi a
cui non ci si può opporre: così per me è
la vita“. Vita da cittadino del mondo, che
artisticamente ingloba tradizioni
europee e nipponiche: “In Giappone,
crediamo gli opposti si attraggano,
creando metamorfosi e sodalizi: ho fatto
in modo che il film potesse interessare
tutti”, confessa Miyazaki. E sulla
tavolozza trova anche i colori per
evocare La valchiria di Wagner: “Quando
Ponyo ritorna al mare cavalca le onde,
esattamente come le valchirie: Brunilde
mi sembrava il nome più adatto per
lei…” e La sirenetta: “A nove anni ho
letto la favola di Andersen, ma non mi è
mai andato giù che le sirene non
potessero avere un’anima come gli
umani: da questo desiderio di rivalsa è
nata Ponyo”.
%
“Il mare va e viene, come la vita:
l’uomo può solo accettarlo”, dice il
maestro nipponico
Un Leone di cartone
Pixel doc alla Mostra: Venezia premia John Lasseter, fondatore della Pixar
di Gianluca Arnone
QUATTRO TITOLI non sono molti per un
Leone d’oro alla Carriera. Il caso di John
Lasseter, però, fa eccezione. Innanzitutto
per la misura dei suoi lavori. Geniali,
appassionanti, poetici, i lungometraggi
firmati dal regista californiano – i due Toy
Story, A Bug’s Life e Cars - sono gioiellini
che hanno rivoluzionato il mondo
dell’animazione (Toy Story è il primo
cartoon completamente realizzato al
computer), e restituito al cinema
americano i fasti dell’epoca classica. Un
mix di creatività, spettacolarità e forza
drammaturgica, sorretto dalla
consapevolezza che “nessun computer
potrà mai salvare una brutta storia”.
Inoltre, come direttore artistico (e
fondatore) della Pixar, Lasseter è stato
artefice indiretto della migliore
animazione di questi anni - da Monsters
& Co a Gli incredibili, da Ratatouille fino
all’ultimo splendido Wall.E -,
contribuendo a fare della computer
graphic uno dei principali motori
dell’industria dell’intrattenimento, e a
trasformarla in straordinaria “forza
espressiva del nuovo millennio”. I numeri
John Lasseter con l’ultima creatura della Pixar:
Wall.E. Sotto con la troupe di Nemo
parlano chiaro: in poco più di vent’anni lo
studio nordamericano (nato nel 1986
come costola della LucasFilm) ha
collezionato 10 titoli, 22 Oscar e oltre 5
miliardi d’incasso al botteghino,
divenendo il simbolo della rinascita
hollywoodiana. Non a caso ad
accompagnare Lasseter al Lido ci sarà il
nucleo storico della Pixar, da Brad Bird a
Peter Docter, da Lee Unkirch a Andrew
Stanton (il regista di Alla ricerca di Nemo
e di Wall.E): il riconoscimento veneziano
- a differenza di quello conferito nel 2005
ad un altro campione dell’animazione,
Hayao Miyazaki – è un premio al gruppo,
non al singolo autore. E’ il gruppo –
l’inesauribile bagaglio tecnico, il talento
artigianale, l’acume manageriale - ad
avere tradotto l’intuizione di Lasseter in
arte pop, marchio rinomato e prodotto
per grandi e piccini. Un modello che ha
generato una lunga scia d’imitatori: gli
antagonisti storici - la Dreamworks di
Shrek e i Blue Sky Studios de L’era
glaciale – e i medi e piccoli esperimenti
di cartoon all’avanguardia, come quelli
tentati da Luc Besson con la sua
Europacorp (Arthur e il popolo dei
Minimei), o dalla Rainbow CGI del nostro
Iginio Straffi (padre delle Winx). Per non
dire dell’animazione “adulta” che
gareggia nei festival con le tradizionali
opere d’autore, come mostrano i recenti
esempi di Persepolis e Valzer con Bashir,
film capaci di affrontare temi delicati
quali l’intolleranza e la guerra. Segno che
al richiamo dei pixel non resiste più
nessuno. Nemmeno la realtà.
%
CAPOLAVORO
DA NON PERDERE
BUONO
DISCRETO
DELUDENTE
Gran Torino
Kowalski è la variazione crepuscolare
dell’ispettore Callaghan. E per Eastwood quello
che Il Grinta è per John Wayne
i film del mese
in uscita
DA NON PERDERE
WALT KOWALSKI, da poco vedovo, sta
seduto nel suo piccolo portico come un
soldato stanco dopo tante battaglie. Beve
birra, parlotta con se stesso o con il suo
cane, Daisy. Osserva, accigliato e
scorbutico, i nuovi vicini: Hmong che
arrivano dal Laos, dalla Thailandia e dalla
Cina. Per loro non sa trovare parole
gentili e il razzismo, sordo e colpevole, di
Walt lo tiene prigioniero dell’odio. Ultimo
superstite, con il fucile, di una guerra mai
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Regia
Con
Genere
Distr.
Durata
finita che ha l’ambivalenza
dell’intolleranza. L’old man che ha
la postura e la faccia solenne di
Clint Eastwood (di nuovo attore
dopo Million Dollar Baby) vive
ancora negli anni ‘50. È un reduce
della guerra in Corea ed è un reduce
delle catene di montaggio della Ford,
prima che gli americani cominciassero a
comprare automobili fabbricate in Asia.
Non è un nostalgico, ma i giorni andati
Clint Eastwood
Clint Eastwood, Ahney Her
Drammatico, Colore
Warner Bros. Pictures Italia
116’
risuonano nella sua memoria come
meravigliosi e l’idea sublimata del tempo
perduto ha la linea, vintage e elegante, di
una magnifica automobile del 1972. La
Ultima prova d’attore
per Clint Eastwood?
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i film del mese
Gran Torino custodita con cura maniacale
nel garage di casa. Il personaggio di Walt
Kowalski, sostenuto dalla sceneggiatura
dell’esordiente Nick Schenk, è una
variazione crepuscolare di Dirty Harry
Callaghan. Esaminate tutte le differenze,
Gran Torino è per Eastwood quello che Il
Grinta è stato per John Wayne. Walt-Clint
ringhia e brontola contro tutto quello che
non gli piace o che disapprova, porta la
mano verso un’invisibile fondina e punta il
pollice e l’indice contro i “nemici” come se
le sue dita avessero incorporato una
pistola pronta a sparare. Regista e attore
prolifico, Eastwood è sempre più attento
all’idea di uomini in declino, in un’America
che (la lezione di Lettere da Iwo Jima
resta esemplare) riflettendo su sconfitte,
falle, errori, deve trovare l’energia e la
volontà di una riconciliazione razziale,
etnica, culturale. Il melting pot rimane la
radice e la punta dell’albero, il dna
irrinunciabile, il patto sociale del vecchio
e del futuro grande Paese. In questa
direzione si muove il suo cinema e i suoi
film sono il riflesso di questa elaborazione
iterata e coerente. La linea narrativa e la
messa in scena di Gran Torino aspirano
ad una classicità d’altri tempi e a
soluzioni dell’intreccio poco interessate
ad un’originalità ottenuta con ogni mezzo
e ad ogni costo. Il tentativo di furto della
preziosa automobile, come prova di
iniziazione per entrare in una gang da
parte di Thao (Bee Vang), un adolescente
introverso, figlio dei nuovi vicini, avvicina il
grintoso Walt e il confuso ragazzo. Per
Ahney Her in una
scena del film. In basso
ancora Eastwood
Si sentono i cilindri e il rombo di un
motore che gareggia sui circuiti del
cinema da oltre 50 anni
entrambi comincia un corso di
educazione affettiva e civica, la scoperta
di se stessi e la riscoperta dell’altro. La
piena coscienza che il piccolo prato
davanti alla veranda non deve essere,
ogni giorno, un muro o una trincea con il
filo spinato è acquisita anche grazie
all’incontro con Sue (Ahney Her,
interpretazione fresca e convincente), la
sorella di Thao. Più spigliata e decisa del
fratello, snida il bilioso Walt e lo aiuta,
insieme al prete cattolico che insiste per
avere cura del suo dolore e dei suoi sensi
di colpa, a depurarsi, a liberarsi dal ruolo
di Scrooge e delle sue diffidenze. Gran
Torino non è un film perfetto ma funziona
su vari livelli. È una scocca disegnata e
accessoriata su misura per Clint. Nella
sua interpretazione si sentono i cilindri e
il rombo di un motore che gareggia sui
circuiti del cinema da oltre cinquanta
anni. Il pit stop può attendere.
ENRICO MAGRELLI
%
56
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
marzo 2009
Alba 17-22 marzo 2009
Sala Ordet - Cityplex Cine4 - Fondazione Ferrero
8ª E D I Z I O N E
www.albafilmfestival.com
i film del mese
Live!
Regia
Con
Genere
Distr.
Durata
DA NON PERDERE
Eva Mendes, David Krumholtz
Drammatico, Colore
Moviemax
Roulette russa per un inquietante
mockumentary. Con una strepitosa Eva Mendes
93’
“DAL COLOSSEO… alle folle a Parigi
che venivano a vedere la ghigliottina, gli
uomini sono sempre stati affascinati
dalla morte e, più importante, dal fatto
di assistere alla morte”. Parola di Katy
Courbet (Eva Mendes), produttrice del
reality più estremo mai realizzato: una
roulette russa in diretta, con sei
partecipanti (un surfista spirito libero;
un padre con figlio e azienda malati;
un’aspirante attrice; una performer
femminista; un latino gay; un laureato
afroamericano) pronti a morire per
cinque milioni di dollari.
Scritto e diretto dall’esordiente alla
finzione Bill Guttentag, già premio
Oscar per i corti documentari Twin
Towers (2003) e You Don’t Have to Die
(1989), interpretato da un’ottima Eva
Mendes (anche produttrice esecutiva) e
David Krumholtz (il Rex di Num3ers)
58
in uscita
Bill Guttentag
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
marzo 2009
nei panni del regista che sta girando un
doc sullo show, Live! Ascolti record al
primo colpo è un interessante
mockumentary, il più interessante di un
genere negli ultimi anni sulla cresta
dell’onda, da Death of a President a
Borat fino a JCVD.
Al centro, l’eterna battaglia televisiva, e
più in generale dello showbiz, tra indici
d’ascolto e moralità, in un mix serrato
Eva Mendes e il cast del film
ed emozionante: finirà, anzi no, con una
doppia tragedia, un suicidio-omicidio in
diretta, dopo aver stracciato audience e
share di ogni Superbowl, per tradizione
l’evento più seguito del piccolo
schermo Usa.
Se per il critico del Corriere Aldo
Grasso, il reality è “discutibile per tanti
versi ma anche interessante. Per la sua
straordinaria, balzachiana capacità di
entrare in corto circuito con la realtà,
per essere, nella sua irrealtà, più vero
del vero”, Live! dimostra quanto sia
reale il confine, per giunta ormai
raggiunto dalle varie “real-tv”,
dell’irrealtà: uno sparo alla tempia, a
uso e consumo dei Cesare sulla
poltrona: morituri te salutant… Nella
stupida corsa all’inedito, la morte ora
corre “viva” (live) in diretta. E’ forse
l’ultimo stratagemma possibile per una
fratellanza catodica universale: piccoli
Big Brother crescono...
FEDERICO PONTIGGIA
%
i film del mese
Giulia
non esce
la sera
Esistenze sospese a filo d’acqua
per la nuova scommessa metalinguistica
di Piccioni. Bravi gli attori
Regia
Con
Genere
Distr.
Durata
DA NON PERDERE
Valeria Golino, Valerio Mastandrea
Drammatico, Colore
01 Distribution
105’
SCRITTORE PER CASO, e di successo,
Guido Montani (Mastandrea) entra nella
cinquina di finalisti per un prestigioso
premio letterario. La cosa lo coinvolge
relativamente, così come tutti gli altri
aspetti della sua esistenza. Sposato con
Benedetta (Bergamasco) e padre della
preadolescente Costanza (l’esordiente
60
in sala
Giuseppe Piccioni
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
marzo 2009
Domiziana Cardinali), si disinteressa
pressoché totalmente del trasloco verso
la nuova casa, più vicina alla città, e
decide di proseguire il corso di nuoto
iniziato (malvolentieri) e abbandonato
dalla figlia. Qui conosce l’istruttrice
Giulia (Golino), donna di un fascino
misterioso, che “non esce mai la sera”,
appesantita da un vuoto incolmabile,
segnata da un passato doloroso e
incatenata ad un presente senza
speranza. Iniziano a frequentarsi, ma
illuminare le rispettive zone d’ombra
non sarà così semplice.
Corpi fluttuanti ed esistenze sospese:
cinque anni dopo La vita che vorrei,
Giuseppe Piccioni (anche autore della
sceneggiatura insieme a Federica
Pontremoli) torna a confrontarsi con il
reale attraverso un cinema che si fa
metalinguaggio, non più “film nel film”,
ma film nel libro, e viceversa. Come
sullo schermo prendono vita i
personaggi creati da Guido (l’uomo
degli ombrelli, il tormentato Padre
Rosario), così sulla pagina inizia a
prendere forma Giulia, attrice in ombra
di una vita a libertà vigilata, poco a poco
protagonista in una nuova esistenza fino
a quel momento solamente trascinata
dagli eventi. Perché Guido – con il quale
Mastandrea riesce a stabilire una
simbiosi non solo di facciata –
malinconico e sfuggente, sembra
risvegliarsi dal torpore di una medietà
che lo porta a non scegliere, quasi a
“non essere” in nessuna delle situazioni
che lo riguardano: conoscendo Giulia,
forse innamorandosene, l’uomo non
smette di osservare ma al tempo stesso
è come se proiettasse su di lei la
speranza di un cambiamento. La esorta
a riallacciare i rapporti con la figlia
abbandonata nove anni prima, arriva
persino a scrivere una lettera alla
ragazza per favorirne l’incontro, e
intanto porta avanti questa storia sugli
appunti per una nuova, ipotetica
pubblicazione. Come al solito fuggendo
qualsiasi concessione al banale o al
consolatorio, Piccioni (che ritrova
collaborazioni importanti, come quelle
di Esmeralda Calabria al montaggio e
Luca Bigazzi alla fotografia) è bravo ad
inscrivere i due protagonisti in un
Contesto che non
appiattisce, ma che
amplifica le
sfumature dei
personaggi
contesto che anziché semplificare tende
a sottolineare le rispettive sfumature,
dall’ambiente dell’editoria (ennesima,
grande prova di Piera Degli Esposti) alla
piscina dove lavora Giulia, non luogo
che tende ad escluderli dal mondo,
dove ogni gesto diventa meccanico,
ripetitivo, ma al tempo stesso regala
loro l’illusione di un continuo, nuovo
inizio.
VALERIO SAMMARCO
%
marzo 2009
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
61
i film del mese
Verso
l’Eden
La verità è che non
Riccardo Scamarcio novello Candido
per Constantin Costa-Gavras: irrisolto
Regia
Con
Genere
Distr.
Durata
Constantin Costa-Gavras
Riccardo Scamarcio, Ulrich Tukur
Drammatico, Colore
Medusa
111’
in uscita
C’È UNA BELLA LUCE ad incontrare il barcone di migranti che
attraversano il Mar Egeo alla ricerca del paradiso. Ma l’Eden
non esiste, tanto meno nell’Europa occidentale dei loro sogni.
Costa-Gavras, da greco che era, queste cose le conosce,
capisce e mette in campo attraverso un giovane alter ego
venuto dal nulla e diretto a Parigi, la sua patria attuale. Il
migrante Elias è un novello Candido con lo sguardo marino di
Riccardo Scamarcio e per questo oggetto di desiderio
sessuale per chiunque. Ma non basta la poesia dei silenzi del
protagonista – pochissime le battute pronunciate in un
francese elementare – per mettere sullo schermo una
convincente odissea del clandestino di oggi. Il problema è ben
altro e stupisce che un regista di capolavori come Z –L’orgia
del potere, Missing o Music Box – Prova d’accusa non abbia
voluto affrontarlo con la profondità che gli appartiene. Verso
l’Eden appare infatti come il calvario agrodolce di Elias, che
passa dalla protezione di una tedesca in cerca di avventure
erotiche ad incontri più o meno (s)fortunati quanto improbabili
in giro per l’Europa. La Ville Lumière diventa il suo destino su
invito di un prestigiatore che opera al Lido. Ma la magia, si sa,
non è amica degli ultimi, se non nelle fiabe.
ANNA MARIA PASETTI
%
in uscita
DISCRETO
LOREM IPSUM DOLOR SIT AMET,
consectetuer adipiscing elit.
alla (disperata) ricerca
Donec vel mauris in diam
dell’anima
gemella:
cast
all-star, noia a 5 stelle
imperdiet aliquam. Nullam
fermentum. Sed consequat.
In commedia
“SE LUI NON TI AMA, se lui non ti sposa, se lui non ti dice
mai ti amo, non farti illusioni...”, predica La verità è che non
gli piaci abbastanza, ma non merita ulteriori illusioni. Dal
bestseller degli sceneggiatori di Sex and the City, Greg
Behrendt e Liz Tuccillo, le storie variamente incrociate e
I Love Shop
Dai bestseller della Kinsella, la versione
outlet di Sex and the City: senza emozione
NEW YORK. La 25enne giornalista Rebecca Bloomwood (Isla
Fisher, Due single a nozze e Definitely, Maybe) ha
un’ossessione-compulsione per lo shopping: armadio pieno,
conto vuoto, e il sogno di un impiego ad Alette, la Bibbia del
fashion. Finirà dietro una scrivania nello stesso grattacielo, ma
qualche piano più sotto, alla redazione di un giornale
economico: guidata dal fascinoso Luke Brandon (Hugh Dancy),
troverà successo planetario con “La ragazza con la sciarpa
verde”, rubrica di consigli per i non acquisti. Ma Rebecca
predica bene, e razzola male: i debiti si fanno insormontabili, un
riscossore la perseguita, amore e amicizia scappano.
Dai bestseller di Sophie Kinsella, I Love Shopping e I love
Regia
Con
Genere
Distr.
Durata
62
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
marzo 2009
DELUDENTE
P.J. Hogan
Isla Fisher, Hugh Dancy, Joan Cusack
Commedia, Colore
Walt Disney Motion Pictures
105’
gli piaci abbastanza
Regia
Con
Genere
Distr.
Durata
L’onda
Il nazismo
tra i banchi: nella Germania
d’oggi. Il prezioso monito di Dennis Gansel
Ken Kwapis
Jennifer Aniston, Scarlett Johansson
Commedia, Colore
01 Distribution
120’
uniformemente incasinate di un gruppo di ventenni e
trentenni di Baltimora: al centro, i fraintendimenti e gli
equivoci tra i sessi, ovvero le difficoltà del trovare un’anima più o meno - gemella. Il materiale di partenza, per gli amanti
del genere, è buono, il pubblico potenziale – e non solo, 60
milioni di dollari in 12 giorni negli Usa – c’è, il cast all-star
(Jennifer Aniston, Ben Affleck, Drew Barrymore, Jennifer
Connelly, Ben Affleck, Justin Long), ma la noia a cinque
stelle: due lunghissime ore di incastri, dai-e-vai, toccate e
fughe, tradimenti e astinenze (per scelta altrui),
inframmezzati solo dai divertenti siparietti illustrativi di
perfetti sconosciuti. Se la Barrymore è poco più di un
cammeo, la Connelly triste più del richiesto,la Johansson
tanto prosperosa quanto incolore, a convincere è solo la
coppia Aniston-Affleck, protagonisti di un idillio tormentato.
Ma mai quanto lo spettatore…
JEAN-PIERRE HIPPO
%
ping
Regia
Con
Genere
Distr.
Durata
Dennis Gansel
Jürgen Vogel, Frederick Lau
Drammatico, Colore
Bim
107’
“E’ POSSIBILE che nella Germania attuale, tanto liberale e
rispettabile, ritorni il nazismo?“. Per spiegare la storia del
partito nazionalsocialista e la dittatura di Hitler, l’insegnante
di un istituto superiore tedesco, Rainer Wegner, mette in
pratica un esperimento, creando in classe un movimento
chiamato L’Onda, caratterizzato da un particolare saluto e
l’obbedienza a ferree regole di disciplina: ben presto, L’Onda
governerà non solo all’interno della classe, ma sull’intera
scuola. E’ L’Onda – singolare omonimia con il movimento
studentesco italiano – del 34enne Dennis Gansel, caso
cinematografico in patria e premio per la sceneggiatura a
Torino. Basato sulla storia accaduta nel 1967 in una scuola
di Palo Alto in California, che ha ispirato Il segno dell’onda di
Ted Strasser (testo scolastico in Germania), è l’ultima Onda
della burrasca neonazista che ha recentemente travolto gli
schermi, da Operazione Valchiria a The Reader. Ma qui la
rievocazione è proiettata nel futuro prossimo, con
drammaticità e pericolosità che nemmeno il finale cruento,
punitivo e diverso dal libro pare scongiurare. Furbetto,
ammiccante? Forse, ma prezioso: la libertà in gioco esalta
qualsiasi monito. E Die Welle lo è: da vedere.
FEDERICO PONTIGGIA
%
in sala
in sala
DA NON PERDERE
DISCRETO
shopping a New York, e dal produttore Re Mida Jerry
Bruckheimer, ecco la versione outlet di Sex and the City: le
boutique per happy few di Carrie & Co. lasciano spazio alle
svendite prese d’assalto da Rebecca: shopaholic sì, ma di taglia
(e classe) media. Diretta con leggerezza da Hogan, la commedia
tuttavia non emoziona: colpa dei déjà-vu (anche Il diavolo veste
Prada, con Kristin Scott Thomas novella Miranda), lo scarso
appeal della Fisher, comprimari poco azzeccati e una fastidiosa
sensazione: che in saldo non siano solo i vestiti…
FEDERICO PONTIGGIA
%
marzo 2009
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
63
i film del mese
Due partite
in uscita
Regia
Con
DELUDENTE
Enzo Monteleone
Margherita Buy, Isabella
Ferrari, Paola Cortellesi
Genere
Distr.
Durata
Commedia, Colore
della Comencini. Due epoche, otto donne e un
mistero: perché?
01 Distribution
94’
DUE GENERAZIONI di donne a confronto.
La prima, maturata negli anni ’60, è
formata da quattro amiche che ogni
giovedì si ritrovano attorno a un tavolo
per giocare a carte. Sfumature
dell’universo femminile: la sarcastica
(Margherita Buy), l’avvelenata (Paola
Cortellesi), la romantica (Marina
Massironi) e l’ingenua (Isabella Ferrari),
quest’ultima in dolce attesa. Sul tavolo,
oltre alle carte, segreti e bugie del
gentil sesso. Chi ha il marito con
l’amante, chi l’amante e il marito, chi
combatte con la distrazione degli
uomini, chi con le preoccupazioni del
parto, e tutte con la frustrazione
latente. Passano 30 anni e intorno a
quel tavolo si siedono le figlie (Carolina
Crescentini, Valeria Milillo, Claudia
Pandolfi e Alba Rohrwacher). I tempi
64
Monteleone “filma” la pièce teatrale
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
marzo 2009
sono cambiati, gli uomini hanno perso
potere e gli angeli del focolare hanno
fatto carriera. Ma il pianeta donna non
ha ancora trovato la sua bussola…Tratto
dalla pièce di Cristina Comencini, Due
partite è Quello che le donne non
dicono per immagini, con la fatica di
durare molto di più. Monteleone,
lontano dal cinema dai tempi di El
Alamein (2002), ci mette la firma e
nulla di più. Conserva il tavolo da gioco,
Il regista Enzo Monteleone
i colori pop, la ferrea suddivisione in 2
atti: il primo finisce con una nascita, il
secondo inizia con una morte. Ci
spalma sopra canzoni d’epoca (3 sono
di Mina: Se telefonando, E’ l’uomo per
me e Un anno d’amore, con l’aggiunta
di un brano di Ludovico Einaudi che nei
’60 avrà avuto dieci anni!), citazioni
colte (Silvia Plath e Rilke), qualche
rigurgito post-femminista, e la frittata è
fatta. Insipida e indigesta. Un’ora e
mezza di primi e primissimi piani
all’interno di uno spazio unico, e
interminabili monologhi su famiglia,
figli e lavoro che, se esaltano tic e
smancerie delle interpreti, stordiscono
il pubblico. Dopo venti minuti manca già
l’aria, ma a restarci secca è soprattutto
la personalità della donna, capace di
definirsi solo a partire da un paradigma
maschile. Doppio equivoco, ideativo e
formale, e un pessimo risultato: Due
partite, zero punti.
GIANLUCA ARNONE
%
Two Lovers Ponyo sulla
scogliera
La matita di Miyazaki disegna le magie
dell’amore. Per una fiaba genuina e utopica
Regia
Genere
Distr.
Durata
anteprima
BUONO
Cinefilo e talentuoso: James Gray
combatte per amore. Ottimi Phoenix e la
Paltrow
EMERGONO ALL’IMBRUNIRE e prendono forma di notte.
Come enigmi visibili al neon, i personaggi di James Gray
stavolta combattono per amore. Two Lovers per tre
personaggi. Leonard (Joaquin Phoenix) vuole farla finita
dal ponte: la vita se lo riprende. Incontra la mite Sandra
(Vanessa Shaw) e la vampira Michelle (Gwyneth Paltrow),
donne diverse ma entrambe assetate di amore totale. Il
panorama interiore non potrebbe essere più borderline.
Entrano in gioco le famiglie di Leonard e Sandra:
tradizione ebraica, valori concreti, pianificazioni di vite. Il
rifugio tra l’ufficialità con Sandra per Leonard si chiama
appunto Michelle: dark lady della porta accanto, fragile
come una piuma, trappola per definizione.
Il regista di New York ama i suoi personaggi di passione
pura, e per questo non li abbandona all’inferno della loro
indole. Li prende per mano, li fa (s)ragionare, dialoga con
loro. Risultato interessante anche grazie a due
performance già decise all’origine del progetto: l’attore
feticcio-disfunzionale Phoenix e l’algida Paltrow. Dalle
atmosfere narrative notevoli ma prevedibili, Two Lovers
conferma il talento di Gray, cinefilo, citazionista
intelligente (Sliding Doors e Match Point) e curioso di
umane imperfezioni.
ANNA MARIA PASETTI
%
Regia
Con
Genere
Distr.
Durata
Hayao Miyazaki
Animazione , Colore
Lucky Red
100’
UNA PESCIOLINA ROSSA, Ponyo, risale le profondità del
mare per scoprire il mondo umano. Qui conosce Sosuke, un
bambino che vive in una casa sulla scogliera. Tra i due
nascerà una tenera amicizia che sfiderà le leggi della natura
e cambierà per sempre i loro destini. Di una semplicità
disarmante, l’ultimo capolavoro di Hayao Miyazaki è un
omaggio a un classico della cultura europea, La sirenetta di
Andersen, riassorbito nel suo personalissimo universo
poetico. Lontano dal perfezionismo dell’animazione digitale,
Ponyo sulla scogliera è un tassello ulteriore dell’essenzialità
ricercata – film dopo film - dal maestro giapponese. Matita e
fantasia sono gli unici artifici che Miyazaki si concede per
dare vita a un mondo capace ancora di avvicinarsi a ciò che
non conosce (le realtà comunicanti – qui la terra e il mare sono una costante di tutto il suo cinema), per accoglierlo,
custodirlo e farsi cambiare. Essenzialità, per Miyazaki, fa
rima con genuinità. E l’insistenza sull’animazione artigianale
rappresenta il corollario formale di quella purezza
vagheggiata da un ostinato creatore di sogni. Che rinuncia
persino ai cattivi, cogliendo il paradosso di ogni utopia:
credibile anche quando è impossibile.
GIANLUCA ARNONE
%
anteprima
CAPOLAVORO
James Gray
Joaquin Phoenix, Gwyneth Paltrow
Drammatico , Colore
Bim
100’
marzo 2009
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
65
i film del mese
La pantera
rosa 2
The
International
Clive Owen
e Naomi Watts in crisi
(finanziaria): thriller cerebrale, con poche
emozioni
Regia
Con
Genere
Distr.
Durata
in uscita
DELUDENTE
Secondo, imbarazzante
remake per l’ispettore Clouseau: era Peter
Sellers, ora è il pagliaccio Steve Martin
DOPO AVER RISOLTO IL MISTERO della “pantera rosa”, il
diamante scomparso nel primo episodio, il disastroso
ispettore Clouseau (Steve Martin) torna in azione, insieme
al suo assistente Ponton (Jean Reno), per fermare “Il
Tornado”, un elusivo maestro del furto sulle cui tracce
vengono sguinzagliati i più valenti detective del pianeta.
Dopo aver diretto il remake del 2006, Shawn Levy produce
questo sequel mettendo al timone il norvegese Harald
Zwart: tutt’altro che entusiasmante, ma vista la qualità
del primo capitolo sarebbe stato difficile fare di peggio.
Che cosa non va? Innanzitutto, il Clouseau di Steve
Martin, che, rispetto all’ispettore Peter Sellers nei film di
Blake Edwards degli anni ’60, tira allo spasmo gli elastici
della mimica, dell’andatura, dell’accento francese... ma a
che pro? Nel Clouseau di Sellers gli spettatori si riconoscevano: ridendo di lui, ridevano un po’ di se stessi; il
Clouseau di Martin è solo un pagliaccio da sbeffeggiare,
esposto al pubblico ludibrio. “A Peter... il solo ed unico
ispettore Clouseau.”, si legge nei titoli di testa di Sulle
orme della Pantera Rosa del 1982, a due anni dalla morte
dell’attore: oggi più che mai valida epigrafe. Ma forse,
ogni epoca ha i Clouseau che si merita.
GIULIO BRILLARELLI
%
Regia
Con
Genere
Distr.
Durata
66
Harald Zwart
Steve Martin, Jean Reno
Commedia, Colore
Sony Pictures Italia
90’
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
marzo 2009
Tom Tykwer
Clive Owen, Naomi Watts
Thriller, Colore
Sony Pictures Italia
122’
ALL’ORIGINE della crisi finanziaria mondiale era The
International. Ironia a parte, l’ultima fatica del tedesco Tom
Tykwer, nonché la sua prima hollywoodiana, sembra il paranoic-conspiracy-thriller più calzante a spiegare parte dei
tempi duri attualmente in corso. Itinerante come da titolo,
The International trasporta un eroe dell’Interpol (Clive
Owen) con qualche macchia ma senza paura nel circolo
vizioso del sistema bancario internazionale, corrotto sine
limite in complicità con produttori e commercianti d’armi,
nonché con reti criminali. Partner di (dis)avventure di Owen
è l’Assistent District Attorney Naomi Watts: insieme si troveranno impantanati negli ingranaggi di una “macchina” che
sembra infallibile. Buona parte del set è italiana: Milano
soprattutto, dove un inedito Luca Barbareschi veste i panni
di un businessman miliardario candidato alla leadership
politica del Belpaese. Con un partito dal nome Futuro Italia e
un simbolo dai tre colori nazionali, non lascia dubbi sull’identità della fonte d’ispirazione. Complessivamente, benché
non privo di interessanti spunti visivi, il film risulta un
costante ma fallito tentativo di decollo dalla sfera cerebrale,
non riuscendo mai a irrompere nelle emozioni, neppure
quando si fa puro action.
ANNA MARIA PASETTI
%
anteprima
DISCRETO
film del mese
Watchmen
in uscita
Regia
Genere
Distr.
Durata
DA NON PERDERE
Zack Snyder
Fantasy, Colore
Universal
Ambizioso, violento e apocalittico: ecco il
kolossal tratto dalla graphic novel di Alan Moore
160’
POSSO CAMBIARE TUTTO, non la natura
umana, dice Dr. Manhattan prima di
andare in esilio su Marte. Siamo nel
1985 e una bomba ha appena ucciso
milioni di persone. Ma il fine ultimo, la
pace, è stato raggiunto. Dietro al
disastro nucleare non i leader delle
superpotenze, ma un vigilante con un
sogno: ripulire il mondo. Il kolossal
diretto da Zack Snyder, (2 ore e 40’ e 150
milioni di dollari di budget) gronda
sangue e violenza come l’originale
Watchmen, fumetto cult degli anni
Ottanta, sceneggiato dal genio di Alan
Moore (V for Vendetta, From Hell) e
illustrato dal guru Dave Gibbons. La
decostruzione del mito del supereroe è
l’elemento innovativo, che Snyder
ripropone fedelmente, la carrellata di
personaggi esemplificativa, quasi tutti in
bilico tra Bene e Male. Rorschach
(Jackie Earle Haley), la Maschera per
eccellenza, è più psicopatico che eroico,
Il Comico (Jeffrey Dean Morgan), ne ha
fatte di cotte e di crude, Ozymandias
(Matthew Goode), il cui vero nome è
Adrian Veidt, è affetto da megalomania.
Il film, come la graphic novel, è
ambientato in un universo parallelo, i cui
riferimenti sono reali e alterati allo
stesso tempo da avvenimenti portati alle
La squadra degli eroi originali: i Miliziani
estreme conseguenze. E’ il caso del
presidente Nixon, che ha cambiato la
legge rimanendo in carica per quattro
mandati consecutivi, instaurando una
forma di dittatura mascherata (le
analogie con il presente sono
inequivocabili e inquietanti). Mentre
scorrono le immagini catastrofiche di
una Storia alternativa in cui il Vietnam si
è risolto con successo grazie
all’intervento di Dr. Manhattan (Billy
Crudup), unico vero mutante della
squadra, la colonna sonora passa dalle
note selvagge della Cavalcata delle
Valchirie a quelle malinconiche di The
Times They are A-changing di Bob
Dylan. Apocalittico, visionario, fin troppo
sofisticato nelle citazioni extratestuali (si
passa da Giovenale a Brecht), Watchmen
mantiene intatto il fascino brutale del
fumetto, con un cast azzeccato e la
consapevolezza dell’ineluttabile destino
degli esseri umani.
MARINA SANNA
%
marzo 2009
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
67
Louise &
Michel
Nemico
pubblico n.1
L’istinto di morte
Cassel muscolare e convincente per ridare
vita al gangster-icona francese
anteprima
Regia
Con
Genere
Distr.
Durata
commedia nerissima per uscire dalla crisi.
Tra gli applausi
LE LAVORATRICI DI UNA FABBRICA in Picardia, Francia,
si svegliano con una triste notizia: lo stabilimento ha
chiuso, l’attività trasferita altrove, per ognuna un
indennizzo di 2mila euro, dopo 40 anni di servizio. Riunite
al pub, le operaie votano all’unanimità la proposta di
Louise (Yolande Moreau): mettere insieme le buonuscite
e assoldare un killer professionista per uccidere il loro ex
capo. La scelta di Louise cadrà su Michel (Bouli Lanners),
sicario che più improbabile non si può: da Amiens a
Bruxelles, fino a un remoto paradiso fiscale, i due si
lasceranno dietro una scia di morti collaterali, una sana
dose d’anarchia, e un bebè in arrivo…
Come ti risolvo la crisi? Con una commedia nerissima e
surreale, che fa la guerra con i sessi, le convenzioni del
genere (noir) e le aspettative del pubblico, con silenzi
assordanti, dialoghi secchi e sparuti, e qualche
esecuzione alla ricerca della felicità. Vendetta sarà fatta,
ma a che prezzo? Quello del biglietto, che nel caso di
Louis & Michel pare davvero a buon mercato. Meno duro,
e più fine, del connazionale belga Ex Drummer, meno
pretenzioso degli Idioti di Lars Von Trier, ecco il Thelma &
Louise del XXI secolo: per diventarlo ha tutti i numeri, ma
non il genere…
FEDERICO PONTIGGIA
%
68
Benoît Delépine e Gustave Kervern
Yolande Moreau, Bouli Lanners
Commedia, Colore
Fandango
90’
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
Vincent Cassel, Gerard Depardieu
Azione, Colore
Eagle Pictures
110’
DA NON PERDERE
Dal Belgio con stupore: una
Regia
Con
Genere
Distr.
Durata
Jean-Francois Richet
marzo 2009
SOLDATO RIBELLE dell’esercito francese durante la guerra
d’Algeria, Jacques Mesrine torna in patria e si ritrova ad un
bivio: sceglierà la via più spettacolare, non meno pericolosa, di
un’esistenza criminale, alleandosi con un esponente dell’OAS
(Depardieu), diventando in breve tempo il Nemico pubblico n.1
di un’intera nazione. Omaggio dichiarato al polar, il robusto
action di Richet – film in due parti (la seconda arriverà in Italia
il 17 aprile) ispirato all’autobiografia dello stesso Mesrine – non
può prescindere dalla convincente, muscolare interpretazione
del protagonista, un Vincent Cassel a suo agio nel (ri)dare
corpo e vita ad uno “showman” che, ancora oggi, è considerato
come icona del contropotere francese, radicato nella memoria
popolare e da molti visto alla stessa stregua di un eroe. Cosa
che Mesrine non era, e che il film evita di sottolineare, gettando
sul personaggio la dovuta ambiguità che lo accompagnò in
tutte le sue “performance”. Affascinante nelle atmosfere e
nella ricostruzione, il film si affida però con troppa semplicità
ad ellissi temporali, utilissime per evitare spiegazioni che,
forse, in alcuni frangenti, sarebbe stato meglio non omettere.
VALERIO SAMMARCO
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Mereghetti racconta Orson
Welles e Bogdanovich svela il
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Il Mabuse di Fritz
Lang, l’altra faccia del
Decalogo e prime
visioni in Blu-ray
Borsa del Cinema
Esordi made in Italy:
chi l’ha visti? A tu per
tu con il distributore
d’Oriente
Libri
Immagini al potere,
terrore sul video:
grande schermo e Tv
a confronto
Colonne sonore
Partiture al
contrario per
Alexandre Desplat:
Benjamin Button
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di Valerio Sammarco
In un cofanetto da
collezione il camaleontico
genio criminale, portato
sullo schermo da Fritz
Lang. Restaurato e con
extra da brivido
Il Ritorno del Dr.
Mabuse
72
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
marzo 2009
“MABUSE NON È SOLO UN
personaggio, né solo una tradizione tematica (il ‘genio del
male’), ma è piuttosto una parola, opaca e trasparente, un principio, qualcosa di astratto come
una geometria. Un concetto allo
stesso tempo assoluto (la
volontà di potenza al di là del
bene e del male) e terribilmente
concreto e materialista. Un concetto che si inserisce in un contesto storico-sociale determinato. Perché Mabuse può esistere
ed è concepibile solo come
figura tedesca”.
Dice bene Philippe Dubois,
professore all’università Sorbonne Nouvelle - Paris 3: il dottor Mabuse – personaggio creato
dallo scrittore lussemburghese
Norbert Jacques nel 1921 e portato sullo schermo l’anno
seguente da Fritz Lang – non
avrebbe trovato altra (e migliore) rappresentazione cinematografica se non nella Germania
espressionista dei primi anni
’20. Falsario, criminale ipnotizzatore, assetato di soldi e potere
quanto e forse più rispetto al
predecessore (e, in un certo
senso, modello) Dottor Caligari,
rappresenta la nuova figura del
malessere dei tempi borghesi,
che rifiuta la società alla quale è
comunque consapevole di
appartenere, presente ovunque
ma in nessun luogo identificabi-
le. Trasformismo che diventa
dapprima emblema – nella
Germania in ginocchio all’indomani della disastrosa guerra
mondiale – del male che serpeggia minando la coscienza di un
popolo e successivamente profezia di quello che accadrà negli
anni seguenti: nel 1932 – ricorda Kracauer in “Cinema tedesco (1918 – 1933)” – “con Il
testamento del dottor Mabuse, Lang
riesumò la sua figura di supercriminale per rispecchiarne le
evidenti analogie con Hitler.
Alla luce di questo secondo
film, il primo appare non tanto
un documento quanto uno di
quei profondi presentimenti che
serpeggiavano nello schermo
tedesco del dopoguerra”.
Restaurati e in versione integrale, i due film vengono riproposti in un cofanetto da collezione: tra i numerosi extra, l’edizione francese de Il testamento del
dottor Mabuse, l’intervista a Fritz
Lang realizzata da Erwin Leiser
nel ‘68 e il documentario
Identità cinematografiche, lungo
percorso delle varie incarnazioni cinematografiche del Dr.
Mabuse.
DISTR. SINISTER FILM/CECCHI GORI HV
marzo 2009
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
73
Telecomando
DVD • BORSA DEL CINEMA • LIBRI • COLONNE SONORE
DVD
Blu-ray
Bourne
La cl as se de i cl as si ci
a cura di Bruno Fornara
Ultimate Collection in alta definizione
per lo smemorato Matt Damon
REGIA Paul Leni
CON Laura La Plante,
Creighton Hale
GENERE Grottesco
(1927)
DISTR. Exa Cinema
Il castello degli spettri
PAUL LENI, regista tedesco di
intonazione espressionista e
fantastica (Il gabinetto delle figure di
cera, 1924), viene ingaggiato a
Hollywood dalla Universal e
ottiene subito un grande successo con The Cat and the Canary, da
noi intitolato Il castello degli spettri.
In realtà di spettri nel film non
ce n’è. Ci sono invece il canarino e tanti gatti. Canarino è l’eccentrico miliardario Cyrus West
che muore in apertura di film:
gatti sono i parenti che aspettano avidamente l’eredità. Il riccone, beffardo, lascia solo due
buste: una con il testamento, da
leggersi però vent’anni dopo la
sua morte; l’altra, misteriosa, da
DAL RIPESCAGGIO IN MARE APERTO alla
spasmodica ricerca della verità su se stesso: senza
memoria, con un passato da riportare in vita per
assicurarsi la sopravvivenza futura. Universal ripropone la trilogia di Jason Bourne (Identity, Supremacy,
Ultimatum) nuovamente in cofanetto, stavolta in
alta definizione grazie alla tecnologia Blu-ray. Tre
dischi per scoprire tutti i dettagli dietro la genesi
cinematografica dell’agente segreto più accattivante
dell’ultimo decennio, nato dalla penna di Robert
Ludlum e portato sullo schermo prima da Doug
Liman, poi (e meglio) da Paul Greengrass: oltre alle
scene eliminate per ogni capitolo, tra gli extra da
segnalare “Inizio alternativo e finale alternativo”
per Identity, “Il cervello di Bourne e La diagnosi di
Bourne” per Supremacy, “Scuola Guida,
Inseguimento a New York e L’Addestramento di
Bourne” per Ultimatum. Che l’avventura (ri)abbia
inizio!
DISTR. UNIVERSAL
74
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
marzo 2009
aprirsi solo se le clausole del
testamento non saranno state
esattamente rispettate. Giusto
vent’anni dopo, i nipoti si ritrovano nella grotesque mansion per
l’apertura della o delle buste. E
ne segue una notte di (finti) fantasmi, complotti e sorprese.
Film con motivi espressionisti:
ombre, immagini sovrapposte,
deformazioni, bottiglie gigantesche, teschi, asimmetrie, stilizzazioni, mani gattesche con artigli... Film con toni da commedia nera e azzeccate notazioni
horror. Film inaugurale della
serie di racconti ambientati nella
haunted old dark house. Film sempre molto godibile.
Fi lm in or bi ta
a cura di Federico Pontiggia
Edwige Fenech
(Sky Cinema Max)
Omaggio alla regina dei B-Movies nostrani: da Quel
gran pezzo dell’Ubalda tutta nuda tutta calda a
Giovannona coscialunga disonorata con onore, 9
titoli “scottanti” con Edwige Fenech sugli scudi.
Casa Saddam
(Sky Cinema 1)
Il Grande Fratello insegna: in tv c’è casa per tutti!
Ecco, dunque, una miniserie made in Usa (2 puntate,
produce HBO) sull’ascesa al potere di Saddam
Hussein e della sua famiglia. Quando eravamo raìs…
American Dreams
(Mya)
In prima tv, la family-series creata da Jonathan Prince,
che ripercorre gli anni ’60 con gli occhi
dell’adolescente Meg (Brittany Snow), ballerina dello
show American Bandstand.
Venezia, Italia
PRANZO DI FERRAGOSTO
Il 60enne Di
Gregorio dagli
script per
Garrone alla
messa in scena
della sua
esperienza di
vita: mamma e
arzille vecchiette
a carico per un pranzo trasteverino
da non saltare.
DISTR. FANDANGO/CECCHI GORI HV
MACHAN
La storia di un
gruppo di
cingalesi che per
arrivare in
Germania si
iscrive ad un
torneo di
pallamano. Regia
di Uberto
Pasolini, produttore di Full Monty.
DISTR. DOLMEN HOME VIDEO
UN GIORNO PERFETTO
L’altra faccia di
Kieslowski
Editati per la prima volta i lunghi Non uccidere e Non desiderare la donna d’altri
Per la prima volta in Dvd, i due film di
Krzystztof Kieslowski, poi ridotti, adattati ed inseriti nel Decalogo, opera
destinata al piccolo schermo: in cofanetto, entrambi con il commento di
Claudio G. Fava, Non desiderare la
donna d’altri (infelice “traduzione” di
Brève Histoire d’amour - che ha causato non poca confusione con l’omonimo
nono episodio del Decalogo - poi modificato nel finale e inserito da Kieslowski
nel Decalogo come sesto episodio Non commettere atti impuri), e Breve
film sull’uccidere, mai distribuito in
Italia e poi “ridotto” per il quinto episodio (Non uccidere) del Decalogo, forse
il più “caro” a Krzysztof Piesiewicz,
noto avvocato e difensore di molti
oppositori del regime, al quale si deve
la paternità ideale dell’opera.
DISTR. MULTIMEDIA SANPAOLO
Commento audio
del regista e
making of tra gli
extra per il
controverso
lavoro di Ferzan
Ozpetek, tratto
dal libro di Melania
Mazzucco.
Mastandrea e Ferrari ai “ferri” corti.
DISTR. 01 DISTRIBUTION
LA TERRA DEGLI
UOMINI ROSSI
Il cinema
d’esplorazione di
Marco Bechis
per il dramma
degli Indios. In
Mato Grosso do
Sul la dolorosa
rappresentazione
del confronto tra
due mondi contrapposti.
DISTR. MEDUSA
marzo 2009
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
75
Telecomando
DVD • BORSA DEL CINEMA • LIBRI • COLONNE SONORE
DVD
Prime HD
CHANGELING
Angelina Jolie
mamma coraggio
per Clint Eastwood.
Funzione U-Control
per vedere i
contenuti speciali
senza
interrompere il film,
tra gli extra “Los Angeles: allora e
adesso”.
DISTR. UNIVERSAL
NESSUNA VERITA’
Viaggio in America
Dalla Cina per riavvicinare la figlia: Mille anni di buone preghiere
“TU NON PARLAVI, MA GLI ALTRI SÌ.
Alle tue spalle, davanti a me e alla mamma”.
Aspetta molto, Yilan (Feihong Yu), prima di
dire all’anziano padre (Henry O) quello che
aveva sempre saputo e che, molto probabilmente, l’aveva allontanata da lui per sempre.
E’ nella silenziosa ricerca di un dialogo che
Wayne Wang (Smoke, Blue in the Face) fa muovere i suoi due protagonisti, un vecchio
comunista arrivato in America da Pechino e
la figlia di questi, da poco divorziata. Un
padre consapevole di non esser stato all’altezza e che, adesso, cerca in tutti i modi di ricucire un rapporto intervenendo nell’esistenza
della figlia. Presentato al Festival di Torino nel
2007, mai uscito nelle nostre sale, arriva in
DVD senza contenuti speciali. Merita comunque una visione.
Mostri contro
Alieni
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
marzo 2009
QUANTUM OF SOLACE
DISTR. 20TH CENTURY FOX ENTERTAINMENT
Su Console e PC per rivivere la goliardica
avventura DreamWorks
76
DISTR. WARNER BROS HOME VIDEO
Tradito dalla donna
che amava, 007
deve evitare che la
sua missione si
trasformi in una
questione
personale. Tra gli
extra: “Bond on
Location”, “Olga Kurylenko e
l’inseguimento in barca”.
DISTR. DOLMEN HOME VIDEO
Dal 3D al joyp ad
Il campo dell’animazione 3D è ormai decisamente
all’avanguardia, dove a contendersi la palma di
miglior casa di sviluppo ci sono Pixar e
Dreamworks. Proprio quest’ultima il prossimo 3
aprile arriverà in tutti i cinema con Mostri contro
Alieni e, come oramai di consueto, non si farà
attendere il videogioco basato su tale licenza, che
sarà disponibile in contemporanea su tutte le
Console (anche PlayStation 2 e Nintendo DS) e PC.
Mostri Contro Alieni sarà un avventura che
ricalcherà lo stesso spirito goliardico della
Di Caprio agente
CIA in Medio
Oriente. Scene
supplementari con
introduzione di
Ridley Scott. Finale
alternativo solo in
versione Blu-ray,
codici per accedere alla copia
digitale.
RIFLESSI DI PAURA
produzione cinematografica e sarà dotata
dell’interessante possibilità di giocare assieme ad
un’altra persona per avere la meglio sui nemici e
per risolvere i puzzle presenti all’interno del gioco.
Per saperne di più visitate
http://www.multiplayer.it
ANTONIO FUCITO
Remake di un
horror coreano per
Alexandre Aja, che
getta in un incubo
di specchi Kiefer
“Jack Bauer”
Sutherland.
Making of, scene
tagliate con il commento del regista
e finale alternativo.
DISTR. 20TH CENTURY FOX ENTERTAINMENT
Telecomando
DVD • BORSA DEL CINEMA • LIBRI • COLONNE SONORE
Borsa del cinema
di Franco Montini
Film invisibili
Grazie alle nuove tecnologie è possibile
arrivare in sala con costi molto più contenuti.
Ma a quale prezzo?
NEL 2008 IN ITALIA SONO
stati prodotti 154 film: ben 33
in più rispetto all’anno precedente e 38 in più rispetto al
2006. Questa improvvisa
impennata di titoli farebbe
pensare ad una cinematografia
in espansione, ma l’investimento complessivo nella produzione è passato da 312
milioni di euro nel 2007 a 330
nel 2008, con una crescita del
5,7%, assai più contenuta
rispetto all’aumento percentuale dei film prodotti. Grazie
alla progressiva affermazione
del digitale, il fenomeno emerso nel corso del 2008 è stato il
forte incremento di film a bassissimo costo. Come si rileva
dalle tradizionali statistiche
realizzate dall’Ufficio Studi
dell’Anica, i titoli realizzati con
un budget inferiore ai 200mila
euro, sono stati 29, contro i 5
del 2007.
Il fatto che, in virtù delle
nuove tecnologie, oggi si possano realizzare film a costi
assai più contenuti rispetto al
passato non può che facilitare
l’approdo al mondo del cinema da parte di nuovi autori,
ma anche di giovani produttori, sceneggiatori, attori e tecnici, favorendo ricambi nei vari
e diversi comparti.
Il rischio, tuttavia, è che questi
film poveri rimangano in
78
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
marzo 2009
Migliorano le
condizioni per la
produzione, resta un
enorme ostacolo: la
visibilità di certi
prodotti
Cast & Crew
di Marco Spagnoli
O ri e n t- E x p re s s
Intervista a Gianluca Chakra, distributore del mondo arabo
realtà sconosciuti al pubblico.
E’ assai significativo e preoccupante quanto accaduto a
cavallo dei mesi di novembre e
dicembre 2008. Nel giro di
poche settimane sono approdate in sala quasi una decina di
opere prime o seconde, condannate ad una distribuzione
di nicchia, lanciate senza un’adeguata campagna promozionale e sparite rapidamente
dalla programmazione.
L’elenco comprende: Il pugile e
la ballerina di Francesco
Suriano; Ossidiana di Silvana
Maja; Le cose in te nascoste di
Vito Vinci; Se chiudi gli occhi di
Livia Romano; Io non ci casco di
Pasquale Falcone; Un attimo
sospesi di Peter Marcias; Stare
fuori di Fabiomassimo Lozzi;
Padiglione 22 di Livio Bordone;
Diari di Attilio Azzola.
Alcuni di questi titoli hanno
alle spalle partecipazioni e
riconoscimenti in festival prestigiosi, ma alla fine sono stati
tutti risucchiati in una sorta di
buco nero di disattenzione ed
indifferenza: il fatto di essere
usciti quasi in contemporanea
non ha aiutato nessuno, determinando una sorta di cannibalizzazione fra poveri e suscitando una sorta di aprioristica
diffidenza anche da parte della
critica.
In altre parole, migliorano le
condizioni per la produzione,
ma resta un enorme ostacolo
la visibilità di certi prodotti.
Forse fra i registi citati non c’è
nessun nuovo Nanni Moretti e
nessun titolo possiede la freschezza e l’immediatezza di Io
sono un autarchico, ma non si
può non guardare con nostalgia e rimpianto ad un’epoca in
cui un giovane e sconosciuto
Il 32enne italo-libanese Gianluca Chakra si è
trasferito sei anni fa a Dubai, diventando uno
dei principali distributori cinematografici del
mondo arabo. E’ stato il primo, con la sua
società Front Row Entertainment, a portare
il cinema italiano nei 22 territori che costituiscono il mercato mediorientale. “Nei paesi
musulmani, spiega Chakra, i film non prodotti localmente arrivano ad un massimo del
5% del mercato e i Multiplex, per quello che
riguarda la produzione straniera, programmano esclusivamente cinema americano”.
Come ha incominciato?
Ho fatto questo lavoro a Beirut. Poi sono
venuto negli Emirati Arabi Uniti, a Dubai,
dove ho iniziato a distribuire piccoli film al
cinema e titoli italiani in Dvd. Insieme ad
alcuni soci abbiamo puntato alla creazione di
un mercato e alla diffusione del cinema indipendente e internazionale. La televisione si è
accorta del successo di questi prodotti, acquistando alcuni titoli in lingua straniera non
inglese e trasmettendo City of God, El
Alamein e L’ultimo bacio in pay per view.
Quali sono i problemi principali?
Le difficoltà derivano dall’avere a che fare
con un mercato complesso e pieno di regole,
talora contraddittorie. La censura è un altro
tema molto importante: sono persino finito
in prigione per due giorni, scoprendo solo
dopo che si trattava di qualcosa collegato alla
mia attività distributiva e alla censura.
Quale qualità riconosce alla sua società?
Quella di avere avuto il coraggio di programmare un cinema alternativo che, pian piano,
ha incontrato il favore del pubblico.
box office (aggiornato al 23 febbraio)
1
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3
4
5
6
7
8
9
10
Il curioso caso di Benjamin Button € 36,693,042
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Inkheart - La leggenda di cuore... € 11.926,381
Bride Wars - La mia migliore nemica € 15.677,302
Questo piccolo grande amore
€ 13,311,779
The Reader - A voce alta
€ 11.537,987
Underworld - La ribellione dei Lycans € 33,487,513
Venerdì 13
€ 21,122,459
Operazione Valchiria
€ 24,423,258
Viaggio al centro della terra 3D
€ 37,673,214
N.B. Le posizioni sono da riferirsi all’ultimo weekend preso in esame. Gli incassi sono complessivi
regista poteva portare il suo
super8 in copia unica in un
cineclub romano, nel caso specifico era il mitico Filmstudio,
e suscitare un caso nazionale.
Oggi c’è quasi la certezza che
un evento del genere non
potrebbe più prodursi e il
danno per tutto il cinema ita-
liano è enorme. Non basta
realizzare un grande film per
riuscire a farsi notare.
Più in generale, non è sufficiente produrre un maggior
numero di film: è necessario
che i film possano confrontarsi
con il proprio pubblico potenziale. Del problema dovrebbe
farsi carico anche lo Stato, perché alcuni di questi “invisibili”
sono stati anche realizzati con
il concorso di denaro pubblico,
e sarebbe opportuno cercare di
recuperare le risorse investite,
assicurando alle pellicole in
questione una reale programmazione.
marzo 2009
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
79
Telecomando
DVD • BORSA DEL CINEMA • LIBRI • COLONNE SONORE
Libri
Dal potenziale
eversivo dei nuovi
media al Sessantotto.
Mereghetti a tutto
Welles, poi largo ai
Filmmaker
Terrore
audiovisivo
Vid eo sho ck
Ond a diro mp ent e
Il terrore corre sul video, l’ottimo lavoro di Christian Uva
(Rubettino, pagg.141, € 10,00) ripercorre ed analizza il
fenomeno della violenza terroristica audiovisiva, dal rapimento
di Roberto Peci ai videomessaggi di Bin Laden. Il volume
scandaglia con un’accurata analisi semiologico/semantica il
potenziale terroristico dei nuovi media che attraverso le videodecapitazioni e i testamenti audiovisivi dei kamikaze “si
incuneano nelle crepe più sottili
dell’immaginario occidentale producendone
la progressiva devastazione all’interno”.
L’immagine priva di legami spazio-temporali
e carica di significati simbolici legati alla
“morte in diretta” diviene il nuovo vettore del
terrore islamico contro la civiltà occidentale.
L’autore si sofferma inoltre sul cinema
americano post 11/9 tutto improntato sui
riflessi sociali ed esistenziali della tragedia.
Cos’ha rappresentato il Sessantotto per il
cinema? La forza dirompente di cambiamento,
di rottura che il movimento studentesco ha
avuto a livello sociale e culturale, è stata tale
anche nel cinema? Evidentemente sì, risponde
Raffaele Cavalluzzi autore del saggio Le
immagini al potere (Progedit, pagg. 84, € 12,00).
Quell’anno ha segnato una data epocale anche nella storia
della settima arte. L’autore ricostruisce quel periodo, ripensa
al fervore creativo degli anni ‘60, rivedendo quelle teorie nate
dentro e fuori le aule universitarie. Prendendo in
considerazione le eredità di oggi e le avanguardie di ieri. Ma
non solo. La critica militante, la coscienza politica, il rapporto
col cinema engagé della Nouvelle Vague. Ed ovviamente i film
che hanno cavalcato “l’onda”, e che da quell’onda (per
esempio il genere a stelle e strisce del road movie) sono poi
nati.
MASSIMO FAVIA
80
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
marzo 2009
PAOLO TRAVISI
L’infernale Welles
“Un autore che ha saputo misurarsi con l’universo dei mass
media, che è riuscito a lottare (anche se non necessariamente
a vincere) contro le sirene della fama e del potere, che ha
riflettuto con lucidità sul ruolo dell’intellettuale”. Già
nell’introduzione al suo Orson Welles – Introduzione a un
maestro (Rizzoli, pagg. 190, € 17,00), Paolo Mereghetti traccia
il senso e la portata di un lavoro rigoroso e al tempo stesso
accattivante: seguendo cronologicamente i passaggi
dell’incredibile carriera di Welles, Mereghetti
si sofferma su ogni tappa – Esordio;
Hollywood; Shakespeare; Europa –
analizzando testo filmico e riportando alla
luce i consueti problemi che accompagnavano
la produzione di tutte le sue opere. Comprese
quelle mai terminate (da It’s All True a The
Other Side of the Wind) e le “sceneggiature
nel cassetto”.
Bogdanovich
su tutti
Appassionante, prezioso, arguto: “Il cinema è
una questione di recitazione” di Enrico Magrelli
VALERIO SAMMARCO
Ital ia ‘60
Italia 1960. Con La dolce vita di Fellini e Rocco e i suoi fratelli
di Visconti il cinema italiano volta pagina e si ripropone al
pubblico internazionale. Il libro di Alberto Pesce (Cinema
italiano sessanta, liberedizioni, pagg. 263, € 27,00), dopo uno
specchio introduttivo sul panorama cinematografico e sociale
di quegli anni, approfondisce attraverso una serie di schede
critiche, i film che ne fecero parte, dal boom economico alla
contestazione giovanile. Un nuovo corso di giovani registi
supportati da produttori del calibro di
Lombardo, Rizzoli e De Laurentiis riportano
il cinema italiano all’attenzione della critica
oltreoceano. Ma questo slancio in avanti nel
tempo si declina verso generi più popolari
come Il sorpasso, che rispecchiano le
contraddizioni di quella Italia borghese poi
duramente criticata dal “cinema contro”
sessantottino.
MASSIMO FAVIA
Film ma ker ogg i
Grazie ai nuovi strumenti digitali siamo ormai tutti potenziali
“filmmaker”. La diffusione di facili strumenti di ripresa,
montaggio e sonorizzazione ha reso però ancora più evidente
che possedere la tecnica non basta a raccontare una storia e a
farlo in modo interessante. Lo sa bene Daniele Maggioni,
produttore, sceneggiatore e Direttore della Scuola di Cinema
di Milano, autore, con Daniele Albertini, di Filmmaker Digitale
– dal progetto alla distribuzione (Hoepli, pagg. 212, € 19,00).
Non solo un esauriente manuale tecnico
pratico, ma anche un invito a riflettere sulla
creatività e le ragioni che ci spingono a
filmare. Se poi volete trarre ispirazione dalle
avventurose esperienze di uno dei più
originali filmmaker italiani, approfondite con
South by Southwest – Il cinema di Corso
Salani, a cura di A. Morsiani e S. Augusto (Il
Castoro, pagg. 110, € 16,00).
GIORGIA PRIOLO
Chi c’è in quel film?
Ritratti e
conversazioni con
le stelle di
Hollywood
Peter Bogdanovich
Ed. Fandango libri
€ 29,50
L’eccezionale presenza di spirito di Cary Grant, la
splendida rudezza (simulata ) di Humphery Bogart,
la stoica fragilità di James Stewart, il carisma
dell’attore-personaggio John Wayne, l’irripetibile
presenza di Audrey Hepburn, la grazia, non
mortificata dalle stagioni, di Lilian Gish. Peter
Bogdanovich nel suo libro, appassionante,
prezioso, arguto, Chi c’è in quel film?, edito da
Fandango, condivide con il lettore le sue amicizie,
le sue conversazioni, le sue impressioni su grandi
attori e attrici che ha conosciuto e frequentato per
anni, che ha incontrato con minore assiduità di
altri, che, a volte ha solo sfiorato o, come nel caso
di Bogart, non hai mai incrociato. Bogdanovich,
prima di essere un regista-attore, ha la curiosità, la
trepidazione, il trasporto e il rispetto per chi, su un
palcoscenico o su uno schermo, ha costruito una
leggenda ed è stato modellato dalla mitologia del
cinema classico. L’unico divo al quale abbia mai
chiesto un autografo, Marlon Brando, o la prima
star vista in un teatro di Broadway, Henry Fonda,
“recitano” in questo mosaico di memorie da ultimo
spettacolo insieme a Jerry Lewis, Charlie Chaplin,
Dean Martin, John Cassavetes, Marylin Monroe,
Marlene Dietrich e molti altri. Passando da un
ritratto all’altro, l’autore si associa, almeno in
parte, all’eresia del suo amico Orson Welles: i
registi e la regia sono ridicolmente sopravvalutati.
Il cinema è una questione di recitazione.
marzo 2009
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
81
Telecomando
DVD • BORSA DEL CINEMA • LIBRI • COLONNE SONORE
di Gianluigi Ceccarelli
Colonne Sonore
Visti da vicino
Score curioso
Una vita al contrario: suggestioni felliniane e
jazz per il Desplat di Benjamin Button
ALEXANDRE DESPLAT
è ormai garanzia di qualità
per l’establishment hollywoodiano, dopo l’ottimo
lavoro svolto ne Il velo
dipinto (con variazioni su
Satie) e la confer ma di
Lussuria, il cui leit motiv
entrava nei cuori dello
spettatore molto più della
pellicola di Ang Lee. Per Il
curioso caso di Benjamin
Button, il compositore francese opta per uno score
classico, rigoroso nel tema
portante (Postcards), poco a
poco contaminato dal
Nino Rota più felliniano
nella linea melodica progressivamente contrappuntata dagli archi (Meeting
Daisy/A New Life). Echi di
Rota che per mangono
anche nei brani di maggiore pathos (The Accident,
Submarine Attack), donando una levità inaspettata al
tragico quanto al luttuoso.
Al jazz, genere narrativamente “diegetico” al film
(Button nasce e prende
confidenza del mondo nei
primi anni del secolo) è
dedicato il secondo cd
dello score, con brani d’epoca “sporchi” di nomi
illustri (Sidney Bechet,
Boswell Sisters), mentre
nel primo Desplat dà vita a
un intimismo “da camera”,
con un’orchestra essenziale
e succinta che punta al dettaglio per rendere atemporale una vicenda che fa
dello scorrere del tempo il
suo perno.
Se a tratti l’operazione riesce (Little Man Oti, con
vibrafono e bonghi), l’ascolto complessivo manca
probabilmente di quel
picco emotivo presente nei
precedenti lavori di
Desplat, quel genere di
difetto spesso presente in
lavori fluviali come questo.
Per tut ti i gus ti
a cura di Federico Pontiggia
The Wrestler
Bruce
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The Wrestler, miglior canzone originale ai
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82
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
marzo 2009
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Ponyo sulla
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Cliff: Alle musiche, Joe Hisaishi, garanzia di
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Miyazaki.
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