l`approfondimento su Sibilla Aleramo,28

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l`approfondimento su Sibilla Aleramo,28
La «crisi femminile» e le istanze dei movimenti emancipazionisti tra il 1870 e la Prima Guerra
Mondiale
La giornalista e scrittrice Donna Paola (Paola Barconchelli Grosson), nel 1917, provocatoriamente
individuava due fenomeni caratterizzanti il periodo compreso tra il 1870 e la Prima Guerra M ondiale: la
1
crisi europea e la crisi femminile .
L’accostamento non intendeva rinviare ad un’equivalenza tra i due fenomeni, ma sottolineare come
entrambe le crisi, maturate nell’Europa di fine Ottocento, fossero esplose in tutta la loro violenza
all’inizio del Novecento.
In questo periodo l’identità femminile aveva subito profonde trasformazioni e le donne avevano maturato
nuove aspettative riguardo al rapporto con l’uomo e con la società nel suo insieme.
Donna Paola è, dunque, un esempio di come l’intellighenzia italiana percepisse il cambiamento profondo
nel ruolo femminile tradizionale che da consumatrice stava divenendo a poco a poco produttrice. Questo
cambiamento veniva a rompere l’equilibrio tra i sessi determinatosi nei secoli precedenti. Un
cambiamento sociale di natura, dapprima economica, produsse come esito naturale la nascita del
movimento di emancipazione femminile e rappresentò, per il punto di vista degli intellettuali di fine
Ottocento e inizio Novecento, un evento epocale. I cambiamenti economici dovuti al processo di
industrializzazione e di inurbamento avevano investito tutta l’Europa e avevano portato sulla scena nuovi
soggetti sociali con diverse visioni della vita, dei rapporti umani e differenti bisogni: i lavoratori e le
donne.
Ciononostante in tutti gli stati del continente europeo restavano in vigore fortissime discriminazioni verso
le donne. In Italia era vigeva il concetto giuridico di minorità femminile, meglio noto come incapacità
della donna rispetto al Diritto. Le donne dovevano essere soggette a tutela da parte dell’uomo, ovvero
dovevano essere controllate e subordinate perché ritenute incapaci.
Per svolgere qualsiasi atto pubblico come la semplice iscrizione a un’associazione o a un abbonamento a
una rivista, le donne dovevano chiedere il permesso al loro tutore maschile (padre, fratello, marito). Erano
escluse dal voto, il lavoro era retribuito la metà di quello dell’uomo, era vietata loro la ricerca di paternità
di chi le aveva sedotte, era in vigore il delitto d’onore ecc..
Ciò avveniva in Italia ma anche oltralpe. Nel 1877 Victor Hugo, infatti, scriveva:
«è doloroso doverlo dire, ma nell’attuale civiltà c’è una schiava. La legge ha degli eufemismi:
quella che io chiamo schiava, essa la definisce una minore; questa minore secondo la legge,
questa schiava secondo me, è la donna … Nella nostra legislazione la donna non possiede, non
fa parte della giustizia, non vota, non conta, non esiste. Esistono dei cittadini, non delle
cittadine»2
Del resto mentalità ancora imperante a fine Ottocento era quella espressa, anni prima, da Vincenzo
Gioberti, primo presidente della Camera dei deputati del Regno di Sardegna:
«la femminilità risiede in una natura [non conclusa] e confusa, che non erompe in riflessione e
non si estrinseca che sotto forma istintiva del sentimento, onde la donna si sente, bisognosa di
appoggio e di aiuto; il suo amore è un abbandono, che ella fa di se medesima ad un essere più
forte che la protegge…. La donna, insomma, è in un certo senso verso l’uomo ciò che è … la
pianta parassita verso quella che si regge e sostenta da sé» 3
1
Inform azioni tratte, fino ad altra nota, da Annarita Buttafuo co, Vite esemplari. Donne nuove di primo Novecento, in Annarita
Buttafuoco, Marina Zan can (a cura di), Svelamento. Sibilla Aleramo: una biografia intellettuale, Milano, Feltrinelli, 1988, p.
139.
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Citazione tratta da Roberto Finzi, Mirella Bartolotti, Verso una storia planetaria 1, Zanichelli, Bologna, 1991, vol. 3, p. 1225.
3
Ivi, p. 1224.
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Testo di Enrica Cavina per il seminario del 28 gennaio 2011 a Ravenna
Libera e gagliarda. Omaggio a Sibilla Aleramo
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M a a partire dall’Unità d’Italia, nonostante tutto, erano intervenuti cambiamenti positivi per la condizione
delle donne: l’alfabetizzazione di massa, l’ingresso di centinaia di migliaia di operaie nel mercato del
lavoro, l’accesso ad alcune professioni da cui prima erano escluse.
Nella seconda metà del 1880, parallelamente alla crescita del movimento operaio era andato
sviluppandosi il movimento di emancipazione delle donne che, in Italia, affondava le sue radici nelle
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vicende politiche e culturali risorgimentali , con forti legami con la cultura mazziniana. M a c’era anche la
posizione di Anna M aria M ozzoni che sosteneva l’idea di uguaglianza sociale tra i sessi.
Nell’ultimo ventennio dell’800 e nei primi dieci anni del ‘900, l’emancipazionismo italiano si organizzò
in forme politiche con il fine di divulgare tali idee tra l’opinione pubblica, di lottare per la concessione dei
diritti di cittadinanza delle donne e di educare le donne che non avevano coscienza dello stato di
oppressione in cui vivevano 5.
Donna Paola, in Io, e il mio Elettore, 1910, p. 54
«Noi donne di questo secolo abbiamo sofferto di più, perché ci è toccato fare le equilibriste,
perché, nel mentre ci si concedevano i doveri della cittadina, della contribuente, della
professionista, della lavoratrice, non ci si concedevano i diritti relativi, tenendoci così librate
fra due forze contrapposte»
Un primo passo significativo in tal senso fu la pubblicazione di giornali dedicati a un pubblico femminile.
Il movimento emancipazionista iniziò a darsi una forma di coordinamento a livello nazionale su iniziative
quali il suffragio universale.
Ciò detto, queste donne si ponevano però il quesito di quale linea di azione potesse esprimere una
posizione prettamente femminile.
Giannina Franciosi, la donna e il suo cammino, 1919, p. 6
«Si voglia o no riconoscere, un profondo movimento psichico agita oggi l’anima femminile e
la parte migliore di essa. All’impulso d’inibizione per mezzo di formule tradizionali si viene
sostituendo l’impulso interiore verso una più cosciente esplicazione del proprio io»
Sicuramente l’emancipazione doveva passare dallo sviluppo del proprio io indipendentemente dall’uomo,
ma oltre a ciò doveva produrre un cambiamento a livello più ampio, sociale.
Per le donne emancipate si poneva il nodo della comunicazione tra militanti e donne comuni, di come le
prime potessero “svegliare” le seconde.
Maria Pastore Mucchi, I risultati della grande inchiesta. La donna e il problema dell’amore,
in «La donna», 5 aprile 1909
«Cosa vuole la donna moderna? Diventare ragione senza perdere il sentimento, diventare
diritto senza perdere il dovere, diventare lavoro senza perdere la poesia. Ecco perché la
mentalità a cui aspirano le donne contemporanee è uno dei più grandi segni precursori dei
tempi nuovi e sarà una delle più grandi potenze dell’avvenire. […] Noi vogliamo affrettare il
tramonto dell'antica civiltà, ripudiarne la ìmmoralissima morale, stracciare le leggi che
giustificano la schiavitù della donna, consacrano il capriccio dell'uomo; noi vogliamo
ricostruire la donna nella sua integrità […] Come si difendono adesso gli uomini e le donne
4
Franca Pierotti Bortolotti, Alle origini del movimento femminile in Italia 1848-1892, Torino, Einaudi, 1963; Beatrice Pisa,
Venticinque anni di emancipazione femminile in Italia. Gualberta Alaide Beccari e ka rivista “La donna” (1868-1890),
Quaderni Fiap, Roma 1983; Simonetta Soldani (a cura di), Scuola e modelli di vita femminili nell’Italia dell’Ottocento, Milano,
Franco Angeli; Annarita Buttafuo co (a cura di), Sul movimento politico delle donne. Scritti inediti, Utopia, Roma, 1987.
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Annarita Buttafuoco, Vite esemplari. Donne nuove di primo Novecento, cit., p. 141.
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Testo di Enrica Cavina per il seminario del 28 gennaio 2011 a Ravenna
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dell'antico regime? Essi lanciano contro le novatrici le loro satire impotenti, si attaccano alle
antiche formule, […] all'ignoranza, […]
Il proposito di risvegliare le altre sembrava dunque arduo e infatti l’evoluzione del movimento delle
donne ottocentesco-novecentesco non fu per nulla lineare.
I processi di modernizzazione avevano sollecitato i movimenti emancipazionisti, ma questi
coinvolgevano ancora èlites di donne che, sin dalla fine dell’Ottocento, si trovarono a dibattere sul
concetto di «Donna nuova»
La «Donna nuova» era un tema già presente nella produzione letteraria del Risorgimento, ma non aveva
dato vita ad un modello unico. Il concetto di «Donna nuova», infatti, assumeva significati diversi a
seconda di chi lo impiegasse. Perlopiù dette vita a nuovi stereotipi funzionali a differenti progetti di
6
famiglia e società .
In merito, per esempio, si era espressa anche la rivista «Italia femminile» nel presentare nel 1899 la sua
giovane nuova direttrice Rina Pierangeli Faccio:
«giovane d’anni ma nel pensiero matura, Rina Pierangeli Faccio è una donna nuova nel senso
migliore della parola, poiché è anzitutto sposa e madre modello ed ha per prima religione la
famiglia» 7.
La rivista si faceva ancora portavoce dello stereotipo di «Donna nuova» sviluppatosi nell’Italia
preunitaria, secondo cui la Donna nuova era la responsabile dell’ordine sentimentale e materiale della
famiglia, intesa come prima cellula della società e della nazione intera 8. Nel 1899 la rivista per donne
«Italia femminile» non aveva assunto nessuna delle modificazioni che il concetto di Donna nuova aveva
assunto a partire dall’Italia unitaria e dalla prima fase dell’industrializzazione. Alla fine dell’Ottocento,
infatti, iniziano a farsi strada vari stereotipi di Donne nuove, tutti funzionali al contesto sociale di
riferimento. La Donna nuova fu colei che: se povera, vendeva la propria forza lavoro per divenire
produttrice di ricchezza come operaia impegnandosi nel lavoro extradomestico; se di classe media si
impiegava come telegrafista, telefonista, contabile e maestra elementare. La maestra e l’operaia furono le
donne nuove per eccellenza perché concorsero all’unità e al benessere del paese.
Dopo la prima fase di industrializzazione, però, quando iniziò ad essere richiesta manodopera qualificata
e stabile per l’industria meccanica e pesante, si fece largo agli uomini e si denigrarono le donne operaie
come esempio di immoralità in fabbrica e causa di dissoluzione delle famiglia. In questo nuovo contesto
economico-sociale, lo stesso movimento operaio iniziò a considerare «Donne nuove» gli antichi angeli
del focolare, mentre le maestre furono private del loro valore ricevendo spesso la metà dello stipendio del
loro equivalente maschile.
Nel 1910 persistevano posizioni di uomini autodefinitisi progressisti come Scipio Sighele:
Per Scipio Sighele (esperto di psicologia collettiva e di sociologia criminale 1868-1913),
rappresentativo di una mentalità diffusa in alcuni circoli ritenuti progressisti,
emancipazione, femminismo e mascolinità erano interdipendenti. Il bisogno e la possibilità
stessa di emanciparsi dipendevano in una donna «dalla parte di mascolinità» che era in lei.
Si esprime così in Eva moderna, Fratelli Treves, Milano 1910, pp. 50-51.
«La volontà di rendersi uguale all'uomo, di raggiungere la completa indipendenza morale e
intellettuale è assente nella donna assoluta [...]. La donna veramente donna non ambisce
6
Diego Leoni, Camillo Zandra, Dalla “donna nuova” alla donna della “nuova” Italia in La Grande guerra. Esperienze,
memoria, immagini, Il Mulino, Bologna, 1986. A 940.3 GRAG Alfonsine
7
L’Italia femminile e la nuova direttrice, in « Italia femminile» , n. 41, 22 ottobre 1899.
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Fino ad altra nota, Annarita Buttafuo co, Vite esemplari. Donne nuove di primo Novecento, cit..
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uguaglianza, non sogna indipendenza, non chiede diritti maschili, ma è dolcemente fiera dei
suoi doveri femminili [...]. Coloro che aspirano ad emanciparsi, coloro che per ingegno, per
l'attività, per la volontà si sono acquistata una riputazione più o meno legittima, hanno
nell'aspetto fisico come nella fisionomia morale qualche cosa di mascolino. […] Si direbbe
che esse si sentano quasi uomini, e che sia appunto questa coscienza maschile che le
costringe a chiedere la liberazione spirituale»
Il perdurare di questo contesto ostile però non riuscì a contenere l’aumentare di donne che decisero di
arrogare a sé il potere di definirsi «donne nuove» riempiendo questa espressione con le loro specifiche
esperienze.
Sibilla Aleramo e i femminismi a lei coevi
In questo periodo di grandi trasformazioni, Rina Faccio fu tra le donne italiane che più visse le
contraddizioni relative all’identità femminile e che però seppe riconoscere come espressione di un
periodo storico-culturale e non come condizione esistenziale data per natura. Ciò la stimolò ad analizzare
gli aspetti dell’identità femminile indagandone cause e specificità.
Per esempio, in merito ai grandi cambiamenti prodotti dall’800, Sibilla individuò alcune sostanziali
differenze tra uomini e donne:
«Gli uomini ebbero in questo secolo a trasformare solo le idee, mentre le donne dovettero
inoltre modificare l’indirizzo totale della propria esistenza, facendo di un sol tratto quel
cammino che i primi avevan percorso lentamente e faticosamente sin dagli inizi della
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civiltà»
Il ruolo di Sibilla nel femminismo italiano fu legato non tanto alla sua partecipazione alle iniziative del
“femminismo sociale” (Unione Femminile romana – ambulatorio per i bambini e madri poveri del
quartiere Testaccio, scuole dell’Agro –), quanto al dibattito sulle tesi del suo primo romanzo Una donna.
Del resto la sua opera nasceva in un contesto culturale che si nutriva di almeno due generazioni di donne
sensibili agli stimoli della crisi femminile. Queste donne, infatti, sentivano di assistere a un periodo
cruciale per la storia del genere femminile e per lo sviluppo della sua psiche e consapevolezza.
Terreno fertile per questa azione di indagine e di confronto fu il “femminismo pratico” detto altresì
“filatropico” poiché univa all’aiuto diretto alle donne, lo scavo della loro psicologia al fine di poter
costruire una “politica femminile” finalizzata a costruire la vera “donna nuova”. Il tratto distintivo di
questo “femminismo pratico” era il confronto con le donne reali prima che con le istituzioni.
Le spinte a una nuova identità femminile, dunque, attraversavano trasversalmente tutti i movimenti delle
donne.
Ciascun movimento teneva conto del fatto che la storia delle donne era stata caratterizzata da una
specifica dinamica che aveva pervaso di sé l’identità femminile, una dinamica fatta di adeguamenti e
riserve. Scardinarli avrebbe significato mettere in discussione la nozione stessa di femminilità così come
si era definita nei secoli e così come era nota alle donne stesse che la vivevano come parte integrante della
autoimmagine.
Aldilà delle differenze, ciascun movimento condannava il mimetismo con il modello maschile.
In questo scenario ricco di sfaccettature Sibilla Aleramo si collocava con una caratteristica precisa.
9
Sibilla Aleramo, L’evoluzione della donna nel secolo XIX, in La donna e il femminismo. Scritti 1897-1910, a cura di Bruna
Conti, Editori riuniti, Roma, 1978, p. 131.
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M arina Zancan evidenzia il suo costante «sforzo auto-generativo, di furore autocreativo» , la spinta alla
ricerca e all’affermazione di “uno spirito femminile autonomo”, che per altro apparteneva anche ad altre
donne che stavano sviluppando un progetto su se stesse. Donne sostenute, più o meno direttamente dal
movimento emancipazionista che non si limitava a richiede una riforma dello status giuridico delle donne,
ma puntava a un rinnovamento generale della società attraverso l’uso di un’“etica femminile”.
Questa tensione non è rintracciabile nei documenti politici delle donne dei vari movimenti e associazioni,
ma la si scorge negli scritti più intimi, come i diari, le lettere, i taccuini d’appunti:
L’amicizia fra donne come motore del loro impegno politico e pubblico
In questi scritti intimi si comprende l’importanza che ebbe l’amicizia fra donne nel dare valore politico
alla loro azione, un’amicizia che ebbe sue note distintive. Si trattò infatti di una forma di amicizia tra
donne di generazioni diverse e non solo che innescò processi di sviluppo e di crescita dell’altro. Andando
a ricercare tra le forme di socialità femminile di fine Ottocento si è scoperto che l’amicizia femminile,
come relazione profonda aperta agli scambi affettivi ma anche intellettivi, aperta alla politica non è stata
un’esperienza che in Italia è iniziata solo negli anni 70 del Novecento, bensì trova le sue radici proprio già
a fine del XIX secolo. Fu proprio in questo periodo che l’opinione pubblica iniziò a percepire come
fenomeno nuovo e preoccupante l’amicizia fra donne. Le donne si riunivano sul lavoro e in associazioni
femminili per discutere della loro condizione. La donna iniziò ad avere una visibilità pubblica impensata.
M olti giornali sostennero che le donne si stavano snaturando, se non addirittura mascolinizzando.
Ai primi del Novecento, soprattutto nelle città del Nord Italia, l’aumentare delle attività extradomestiche
femminili, aumentò le occasioni di incontro tra donne favorendo lo sviluppo di solide reti di amicizia.
Si iniziò a parlare di «donne nuove», donne che volevano colmare il divario tra vita pubblica e vita
privata e che trovarono formule di impegno sociale e politico come il «femminismo pratico».
Significativa al riguardo è la lettera con cui la ventiduenne Rina Facio entrò in contatto con Alessandrina
Ravizza, esponente del «femminismo pratico» e direttrice delle scuole professionali femminili di M ilano
il 30 settembre 1989. In essa Rina dava il suo appoggio per raccogliere le firma di una petizione al
parlamento in difesa dei detenuti politici arrestati durante i moti milanesi del 1898. Ex mazziniana, la
Ravizza era l’animatrice del gruppo di 10 donne che aveva dato avvio all’iniziativa. Le donne dunque si
facevano portavoce di una loro specifica visione politica.
Il valore della corrispondenza tra donne
È nella fitta corrispondenza che queste donne si scambiarono che ritroviamo il tessuto di relazioni
femminili che già dilagava negli anni 80 dell’800. La lettera, in qualità di documento capace di restituire
una realtà complessa a metà strada tra la dimensione privata e la dimensione sociale, consentì a queste
donne di mantenere vivo un confronto. Ciò fu possibile sia per un aumento progressivo del tasso di
alfabetizzazione sia per un miglioramento del servizio postale del neonato Stato unitario. Nel 1868 saper
scrivere significava appartenere ad un’élite: le donne alfabetizzate infatti erano il 10% della popolazione
femminile 11. Le donne, inoltre, non venivano di certo invitate alla scrittura e ad instaurare rapporti esterni
alla vita domestica.
Nel 1882 però alle donne fu consentito di frequentare i ginnasi, i licei e le scuole magistrali, mentre già
nel 1873 era stato consentito loro l’accesso all’università, un accesso sulla carta o quanto meno
decisamente complesso dato che l’ammissione alle scuole superiori fu concessa quasi 10 anni dopo.
La pratica epistolare iniziò a diffondersi soprattutto tra le maestre, che già alla fine del secolo militavano
in gran numero sia nei partiti di sinistra sia nelle associazioni femminili, ma già nel 1868 il periodico
10
Direttrice di « Italia femminile» nel 1899 Sibilla scriveva: « Noi dobbiamo rifarci, ricostruire su basi di tanto più solide delle
passate, la nostra mente e la nostra anima, la nostra volontà e il nostro cuore, la nostra educazione e il nostro sentimento».
11
Emma Scaramuzza, La Santa e la Spudorata. Alessandrina Ravizza e Sibilla Aleramo. Amicizia, politica e scrittura, Napoli,
Liguori Editore, 2004, p. 27.
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Testo di Enrica Cavina per il seminario del 28 gennaio 2011 a Ravenna
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femminista «La donna» offriva la rubrica Corrispondenze in famiglia pensata per unire le lettrici in un
rapporto di sorellanza.
In questo contesto, dunque, Rina Faccio si colloca tra le esploratrici delle potenzialità della lettera, inteso
sia come strumento privato di svelamento di sé che come strumento pubblico di partecipazione attiva alla
vita sociale e politica del Paese.
Per Rina la scrittura di lettere fu un’abitudine appresa sin da bambina: 1883 è datata la sua prima lettera in
risposta al padre, un’abitudine che la portò a organizzare, in un vero e proprio archivio, la propria
corrispondenza. Del resto per la futura scrittrice, dedita la progetto di fondere vita e arte, la lettera
costituiva una grande risorsa dato che non escluse mai la pubblicazione della propria corrispondenza
privata.
Rina Faccio e la necessità di comunicare il proprio mondo interiore
Rina, infatti, comprese progressivamente che lo scrivere è un atto di autonomia e di affermazione di sé e
allo stesso tempo è un atto pubblico perché la scrittura ha intrinsecamente un carattere sociale. Al fine,
dunque, di raggiungere quell’ideale coincidenza tra vita e arte, scelse di rendere disponibile alla lettura
senza filtri la propria scrittura intima.
Del resto per Rina, sin da molto giovane, la scrittura rappresentò il mezzo tramite cui salvare se stessa
affermandosi:
Lettera di Rina Faccio a Giuseppina Tavola, Porto Civitanova, 5 febbraio 1898
«Sì!, buona M aestra come sempre ella ha letto nel mio spirito... Non tanto per ambizioso
orgoglio, ma per un antico, indistruttibile bisogno di tutta la mia anima io vorrei, io agognerei
di poter espandere in lunghe pagine tutto quanto mi ribolle nel cuore e nel pensiero, tutte le
mie povere idee, e quelle prese da altri»
La scrittura l’aveva salvata una volta di più dopo la scandalo scoppiato in paese in merito ad una ipotetica
sua relazione con un forestiero. Il marito Ulderico l’aveva letteralmente segregata in casa e la sola via di
conforto divenne la scrittura. Insieme alla lettura di vari giornali femministi, la scrittura indusse Rina a
partecipare al rinnovamento culturale in atto grazie al diffondersi del femminismo in Italia… ma in più di
un’occasione si trovò a dubitare dell’efficacia delle parole delle donne emancipate
Il timore di non essere ascoltata e necessità di comunicare con altre donne
Sibilla Aleramo, Scritto senza data, (inizio 1898)
«Sono ascoltate forse le nostre parole pronunciate a viva voce? […] Non osiamo nemmeno
dir forte tutto quanto ci agita, ci fa fremere e sperare: e ciò non tanto per invincibile
timidezza, quanto per la profonda e scoraggiante intuizione che il ridicolo ricadrebbe su di
noi […]»
Il senso comune ancora imperante cercava di neutralizzare le idee delle «donne nuove» e soprattutto la
loro diffusione ridicolizzandole. E giustamente Rina si chiedeva se fosse possibile contrastare tutto ciò:
Sibilla Aleramo, da un manoscritto di due facciate
«Parlare alle ragazze, infonder loro uno slancio, un entusiasmo, un fervore... rigenerarle nel
sangue... sì. M a come, ma fin dove? […] Noi abbiamo, […], una parola che rugge, in fondo
in fondo: che sale, clamorosa, che vuol ad ogni costo escire alla luce, fulgida di libera verità:
femminismo! E questa è la tortura grande, somma: quella di non poter dirla, questa parola a
quelle ragazze, perché non l'intenderebbero o la fraintenderebbero: perché tanto è stata
malmenata e misconosciuta e vilipesa, che noi stessi, suoi araldi, non abbiamo il coraggio di
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Testo di Enrica Cavina per il seminario del 28 gennaio 2011 a Ravenna
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gridarla alta dovunque, perché pronto sarebbe un novello dileggio, e lunga e difficile invece
la sempre rinnovellata difesa!»
Da queste sue considerazioni Rina sembrava demordere dall’intento di coinvolgere le giovani, ma in
realtà, pur inconsapevolmente stava costruendosi una personalità che l’avrebbe portata a trovare una
soluzione molto efficace a questo dilemma e la soluzione sarebbe la stesura e la pubblicazione del suo
primo romanzo: Una donna.
Da Rina Faccio a S ibilla Aleram: l’importanza del romanzo Una donna
La storia di Una donna
Visione di alcuni passaggi emblematici della mentalità dell’epoca
II puntata
18’-19’ 55’’ (secondo Ulderico lo stupro l’ha fatta diventare una donna)
34’32’’-37’43’’ (quando una donna è prima di tutto una moglie)
III puntata
1’37’’-3’20’’ (sono madre senza essere donna)
43’49’’-44’42’’ (meglio morire)
52’02’’-53’20’’ (riparazione)
V puntata
33’-36’11’’ (separazione)
VI puntata
9’56’’-11’20’’ (la sorella si scontra con Ulderico)
29’-33’08’’ (Sibilla scopre che anche la madre avrebbe voluto andarsene)
33’12’’-33’50’’ (la legge)
34’08’’-36’14’’ (ipotesi di abbandono)
VTS.05.2+4’ 22’’ del 3 (angoscia di Sibilla)
Prima di dare alle stampe il suo libro, Rina lo fece leggere come confidenza all’amica Ersilia M ajno.
Ersilia l’aveva sempre sostenuta nella sua decisione di abbandonare il marito, ma quando dal manoscritto
apprese che Sibilla si era anche innamorata di un altro uomo, il poeta Felice Damiani, mutò alquanto il
suo atteggiamento:
Botta e risposta tra Ersilia Majno e Sibilla Aleramo quando quest’ultima le sottopone il suo manoscritto
Lettera di Ersilia Majno a Rina Faccio, Milano, luglio 1903
Cara Rina,
Ti rimando il tuo manoscritto e ti chiedo: Hai tu pensato che tuo figlio leggerà un giorno il
tuo libro e ti giudicherà? Senza dire di altre persone che lo leggeranno e ti ravviseranno, si
ravviseranno in tutti i particolari che esponi intorno a te e alla tua famiglia e potranno pensare
che se un orgoglio sconfinato ha potuto farti credere interessante e ragione di un'opera
artistica, denudarti così davanti al pubblico, v'è però una misura anche per certe confessioni.
[…] La misura che dovrebbe importi il dovere verso il figlio che non ti ha chiesto la vita e pel
quale se non hai creduto di poter sacrificare i tuoi istinti, i tuoi desideri di donna, potresti,
dovresti sacrificare il desiderio di farti un posto tra le scrittrici, gettando a piene mani il fango
su tutto quanto e quanti saranno i ricordi della sua vita infantile. […]
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Testo di Enrica Cavina per il seminario del 28 gennaio 2011 a Ravenna
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Sibilla si sentì attaccata ma non cedette e portò avanti le proprie ragioni:
La risposta di Sibilla
II manoscritto che ti ho mandato non era un'opera d'arte: era una confidenza. Questa non è
che la sostanza che io devo plasmare in opera d'arte, o dirò meglio poiché io non voglio
affatto fare dell'arte, in opera di verità. […] Tu parli d'orgoglio a mio riguardo. Io ho sempre
fatto stupire chi mi conosce intimamente per l'assenza d'orgoglio. Io sono veramente una
donna, sento che non esisto per me, ma per gli altri o per un ideale, non ho orgoglio. […] Io
ho pensato ogni riga a mio figlio. Evidentemente non sono riuscita a far capire che io
scrivevo una difesa diretta a lui, il quale fino a vent'anni avrà intorno un "malfattore che si
fingerà un benefattore e in silenzio (poiché laggiù non sì fa il mio nome) mi biasimerà o mi
compiangerà. […] E tu parli di desiderio di farmi un posto tra le scrittrici! Come mi umilia
tutto ciò! […] Ho una forza: quella di manifestare delle idee, poche idee, ma imperative ed
urgenti; ebbene, per il rilevamento della donna al giorno d'oggi credo necessario di
manifestarle. […] M 'è triste difendermi anche di fronte a te: ho sempre parlato così poco del
mio io, ed è già stato un sì grave sforzo quello di analizzarmi nel libro! […]
La M ajno non desistette, le inviò una nuova lettera che segnò una sospensione della relazione ripresa
dopo circa un anno, per ritrovare toni affettuosi soltanto quando una grave dis grazia colpì la M ajno: la
malattia e poi la morte della figlia Carlotta, a cui Rina era molto legata.
Cara Rina,
ho ricevuto la tua lettera. Vivi sinceramente allora con il compagno che ti sei scelto non
ribellandoti se senti dire che è tale; non fìngendo anche presso gli amici ch'esso sia
semplicemente una conoscenza. […] Io credo che per affrancarsi d'una schiavitù non
bisogna cadere sotto un'altra, tanto più se si vuol compiere un'azione di elevazione della
donna. Da quanto narri e dalla tua vita attuale provi d'aver conservato una bella fede negli
uomini. […] Nel tuo caso specialmente mi strapperei il cuore piuttosto che amarne ancora
uno illudendomi che la felicità possa esser lì. La felicità per noi che siamo madri, sta nel
formare la coscienza dei nostri figli, nell'agire per purificare l'ambiente dove vivranno. […]
Le nostre vie sono ben diverse anche ed essenzialmente forse perché tu sei giovane ed
ottimista, io sono vecchia ed ereditai da mia madre certamente una assenza assoluta di fede
sulla specie di felicità che ci può dare l'uomo.
Lo scontro con Ersilia anticipava le discordanti reazioni che il libro avrebbe prodotto alla sua
pubblicazione. Infatti, un'altra amica di Sibilla, Alessandrina Ravizza, anch’ella femminista, di fronte alla
lettura della prima edizione di Una donna reagì così:
Lettera di Alessandrina Ravizza a Rina Faccio, 10 novembre 1906
Cara Rina […] [Il tuo libro] E’ bello, ed ho aggiunto, forte. Credo che sei l'unica donna in
storia che giunge a questa dignità di stima nell'essere veritiera. Gloria a te! E’ un atto di
coraggio verso la società e di amore per tuo figlio. Che la prima possa giudicarti come meriti,
e che tuo figlio possa avere ereditato da te tanta dignità di discernimento per essere degno di
tanto amore materno evoluto! M uovi tutto un mondo di cose cristallizzate.
[…] Possa il tuo tergere delle lacrime e far rialzare la fronte alla schiera degli oppressi, e
sono legioni. […]
Ed ancora:
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Lettera di Alessandrina Ravizza a Rina Faccio, 31 dicembre 1906
L'ipocrisia del mondo è tale che il tuo lavoro penetrerà nel fondo delle coscienze, ma pochi
avranno il coraggio di esporre alla luce l'emozione vissuta in questo forte e poderoso volume.
[…] Io ho fatto e farò comprender il più che posso «Una donna». […] Tu forse non lo saprai
mai ma sono pagine che daranno la forza per lottare ad altri infelici... […]
Non perdere mai la fiducia nell'efficacia del tuo libro! Non importa se certe nature nate
'retoriche' come lo è la M ajno che è stata chiamata la monaca laica gridano ai sette cicli che
il tuo libro le indigna! Il tuo libro darà vita, mentre le aspirazioni teoriche in tutti i tempi non
procurano che la morte. Nella tua sincerità altre sincerità si faranno strada. […]
Non solo le amiche riconobbero i meriti di Una donna, anche la letterata Ada Negri, che poi sarebbe
divenuta ostile a Sibilla, le inviò i suoi apprezzamenti:
Ada Negri a Rina faccio
M ilano, 21-11-06
Signora,
ho ricevuto il libro di Sibilla Aleramo ed ho pianto, sulle sue pagine ultime, tutte le mie
lagrime. Non so che cosa dire di più d'un libro che vuole (io credo) giungere al cuore e alla
coscienza di ogni donna.
Voi conoscere Sibilla Aleramo, Signora. Ditele che io l'ho seguita passo passo, con pietà
fraterna, nella sua via Crucìs. Ditele anche che io la compiango profondamente di non aver
potuto conquistare la sua libertà e dignità di essere umano e pensante, che a prezzo (a troppo
caro prezzo!) della perdita di suo figlio.
Il libro ha per me […] un alto valore letterario. L'indagine psicologica vi è acutissima... […]
Farsi ascoltare dagli uomini
Sibilla ave a scritto Una donna per farsi ascoltare da donne che avevano vissuto esperienze pari alle sue,
ma in realtà il suo intento era più ampio, in realtà sperava di contribuire a un rinnovamento delle
coscienze più ampio. In tal senso, già negli scritti successivi, mostrò la preoccupazione di farsi ascoltare
anche dagli uomini, un pensiero che aveva attraversato l’emancipazionismo italiano sin dal
12
Risorgimento . M a perché era così urgente questa necessità di farsi ascoltare dagli uomini? Perché
Sibilla, come molte sue coeve, desiderava «convincerli della serietà e del valore intellettuale delle donne,
dimostrare che la richiesta di un lavoro extradomestico retribuito non aveva nulla a che fare con la vanità
e la leggerezza, ma con la dignità umana» 13.
Sibilla iniziò a intravvedere nella scrittura non più solo un modo per affermare la propria autonomia ed
aiutare altre donne, ma anche un’arma per «riparare alle offese» fatte dagli uomini alle donne. Se ciò è
vero però si rammarica di utilizzare ancora una scrittura che si fa capire dagli uomini solo se ne imita i
modi:
Sibilla Aleramo, Andando e stando, Bemporad, Firenze, 1921
«Gli uomini ai quali parlo non sanno, quando mi dicono con leale stupore che hanno
l’impressione di discorrere con me da pari a pari, non sanno come echeggi penosa in fondo
al mio spirito quella pur così lugubre dichiarazione, a quale insolvibile dramma essa mi
richiami. Per conquistare questa necessaria stima dei miei fratelli, io ho dovuto adattare la
mia intelligenza alla loro, con sforzo di decenni: capire l’uomo, imparare il suo linguaggio,
è stato allontanarmi da me stessa»
12
13
Emma Scaramuzza, La Santa e la Spudorata, cit., p. 76.
Ibidem.
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Nel 1921 Sibilla, nonostante il successo riscosso, ripeté ancora, ma con rammarico, quegli atteggiamenti
adattivi che l’avevano portata a mutilare il proprio romanzo nel 1903. Il grado di consapevolezza però era
decisamente diverso, frutto di un percorso ricco di esperienze che portano Sibilla ad affermare ogni volta
di più la propria autonomia.
Nel 1903, però, quando Rina scrisse Una donna, aveva lasciato da qualche tempo il marito e viveva con
l’editore Cena. Sibilla vi si affidava e costui la indusse ad omettere l’amore che Sibilla aveva provato per
Damiani e che, sebbene non fosse stata la causa scatenante dell’abbandono della famiglia, aveva
contribuito alla sua decisione.
Da Taccuino di Sibilla, estate 1903
Ho scritto questo libro a intervalli, nell'epoca più intensa della mia vita, mentre amore e
dolore esaltavano in ogni ora la mia anima. […] Questo libro, testimonianza profonda di
sincerità, quella sincerità ch'io sentivo e sempre sentii quale norma suprema e forse unica, si
chiudeva, ecco, per l'intervento dell'uomo nelle deliberazioni della mia anima femminea, se
non proprio con una menzogna, per lo meno una mutilazione della verità. Era per amore che
avevo ceduto, sacrificio non tanto per ragion d'arte quanto, con orgoglio di maschio, perché
non si sapesse che avevo amato un altro prima di lui... [3,335,]
Nel 1903, per amore Sibilla cedette ai desideri del suo uomo, cliché culturale e topos letterario antico. La
sua scrittura non era ancora libera, occorreva un altro passaggio per iniziare quel lungo percorso alla
ricerca di uno scrivere sessuato.
La relazione con Cena era solida e come coppia erano molto presenti sulla scena sociale romana. M a da
qualche tempo Sibilla avvertiva una crescente insofferenza verso il compagno a causa del suo
atteggiamento da Pigmalione.
L’amore per Lina
Sibilla e Cena presenziarono insieme al Primo congresso femminile nazionale del 1908, l’evento durante
il quale Sibilla conobbe Cordula Poletti, una giovane e promettente letterata ravennate femminista. Sibilla
aveva 9 anni in più di Cordula, più famigliarmente Lina, e quando, dopo alcuni mesi si scoprì innamorata
14
di questa «fanciulla maschia», ne restò letteralmente e completamente sconvolta :
Sibilla scrive a Lina il 9 maggio 1909
Ecco, voglio mostrarti la mia anima sola dinanzi alla tua, con intorno il silenzio, e come se
il domani non dovesse venire. […] Lina, io non avevo mai in vita mia pensato alla
possibilità di amare una donna, mai, intendi? Non credevo se non all'amore della coppia
umana, all'integrazione dei due rami umani... […]
Lina, è stata un'immensa sciagura. M a, confortati, è stata anche un'immensa gioia. Forse più
grande questa di quella. Non so, e non importa.
Quel che importa è che t'ho amata e che ti amo.
Oh la tua anima! Perché era di donna, perché era di sorella l'ho sentita così vibrare accanto
alla mia come nessun'altra prima? […] E come s'è dilatata la mia al soffio di lei ampio e
possente! […]
Sibilla, grazie all’amore per Lina, si specchiò in lei scoprendo parti di sé che nel rapporto con gli uomini
le erano rimaste nascoste. Colse ciò perché l’anima di Lina, proprio perché anima di donna, era a lei
14
Inform azioni tratte, fino ad altra nota, da Emma Scaramuzza, La Santa e la Spudorata, cit., pp. 181-189.
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psicologicamente più vicina di quella di un uomo. Ciò detto, però, secondo Sibilla l’amore per Lina
restava un amore sterile
Sempre il 9 maggio 1909 Sibilla prosegue
L'amore era sempre stato nella mia anima sinonimo di vita. Se scriverò ancora qualcosa sarà
per fissare il ricordo dell'amore che m'illuminò quando conobbi il mio compagno: vita, sì,
vita feconda e perenne, oltre ogni strazio, vita a due, per sempre.
E questo non è l'amore nostro, Lina, In fondo al nostro c'è la condanna atroce della sua
sterilità.
Tuttavia l’intensa relazione con Lina, consentì a Sibilla di liberarsi dalla prigione dell’immaginario
sessuale maschile. Sibilla, grazie a Lina, cessò di sentirsi oggetto del desiderio maschile, e ciò le consentì
di entrare in contatto diretto con il proprio desiderio. In altre parole Sibilla, grazie a Lina, divenne
consapevole dell’autonomia del desiderio femminile e iniziò a percepirsi come soggetto di pulsione
erotica. Per Sibilla fu molto importante affermare la specificità e l’autonomia del femminile rispetto al
maschile e in tal senso entrò in conflitto con la visione di Lina:
Lettera di Sibilla a Lina non data ma attribuibile al 1910
Tu non dividi l'umanità in maschile e femminile, ma in attiva e passiva. Concezione
babelica, lo ammetti tu stessa. Ad ogni modo il fatto è che, attivi o passivi che siano
nell'ordine fisiologico e nell'ordine psicologico, gli uomini saranno sempre uomini nella
loro forma (forse il linguaggio non è scientifico, ma non importa), e le donne sempre donne.
Detto ciò, però, per Sibilla aveva grande rilievo anche il peso dell’educazione nella definizione dei
caratteri del maschile e del femminile e in tal senso auspicava una loro ricongiunzione all’interno di ogni
singolo individuo:
nella medesima lettera Sibilla prosegue
Né questo esclude ch'io sapessi prima come nelle nature ricche, negli individui cosiddetti
geniali, negli artisti specialmente, vi sia quasi sempre riunione dei caratteri psichici dei due
sessi: non esclude che io creda che l'umanità si avvii sempre più verso la complessità e
insieme l'unità di tipo psichico, per il semplice motivo che alcune generazioni di donne
colte e libere basteranno a modificare radicalmente il concetto femmineo su cui finora si
basò l'educazione e direi la formazione della psiche muliebre e a produrre dei figli
armonicamente duplici, mentre oggi ancora la dualità è fonte di guai.
Sibilla, dunque, credeva fermamente nel potere di queste «donne nuove» capaci di affermarsi come
soggetto e in tal senso anticipava molti temi propri della rivoluzione sessuale e del pensiero della
differenza degli anni Settanta del ventesimo secolo. Sibilla era una «donna nuova» che sentiva di poter
legittimamente chiedere il soddisfacimento dei propri desideri sfuggendo al luogo comune del sacrificio
femminile, per il marito, per i figli, per la società.
Per queste ragioni, apertamente, chiese a Cena e a Lina di rispettare l’amore che nutriva per entrambi.
Inizialmente Cena, in quanto esemplare a sua volta dell’«uomo nuovo», non le pose limiti, ma il rapporto
a tre, con il tempo, causò continui conflitti e alla fine la relazione tra Sibilla e Lina si interruppe quando
quest’ultima sposò Santi M uratori, direttore della Biblioteca Classense.
Sibilla e Lina vissero per oltre un anno la loro relazione alla luce del sole, in ciò facilitate dal clima
culturale dell’epoca. Gli anni tra il 1906 e il 1911, infatti, furono quelli del trionfo del femminismo come
stile di vita. Secondo le statistiche il numero delle donne nubili per scelta era in aumento, così come
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quello delle separazioni e delle convivenze fuori dal matrimonio. Donne famose del calibro di Giacinta
Pezzana, Anna Kuliscioff, Anna M aria M ozzoni e M aria M ontessori non vissero con i padri dei loro figli.
Ragazze-madri le chiameremmo impropriamente oggi.
Oltre alla manifestazione di queste nuove scelte di vita, stava emergendo anche la «questione sessuale»,
di cui si parlava non più solo nelle riviste specializzate ma anche in riviste quali «La Voce», attenta la
mondo letterario per esempio.
Una donna e l’inchiesta La donna e il problema dell’amore
M entre Sibilla inizia la relazione con Lina, parte un’inchiesta su La donna e il problema dell’amore, che a
sua volta aveva tratto spunto dal romanzo di Sibilla. L’idea dell’inchiesta era venuta alla danese Rosalia
Jacobsen che nel recensire il libro di Sibilla aveva sostenuto che il tema di fondo del romanzo non era la
maternità e le relative tematiche, bensì la sessualità nel rapporto con l’uomo. Così declina la sua
15
interpretazione nelle domande dell’inchiesta :
1) Pensa Lei che la donna nell'amore debba mettere i riguardi sociali (riguardi verso i figli, il
marito, la vita di famiglia, ecc.) sopra i riguardi dovuti alla sua propria felicità, allo sviluppo
della sua personalità libera 16?
2) pensa lei che il compenso, che l’uomo ha dato da secoli in diverse forme all’amore della
donna (pagamento in contanti, mantenimento, posto famigliare, culto cavalleresco, galanteria
odierna) indipendentemente dall’amore reciproco, sia una necessità naturale per essa? E se
non è una necessità costituisce un vantaggio reale?
Forse l’interpretazione fornita dalla Jacobsen non era andata tanto lontana dal vero. La protagonista di
Una donna, infatti, non riproduceva il canone antico della seduttrice, ma prospettava una figura nuova di
donna che si opponeva al potere dell’uomo anche per raggiungere la soddisfazione dei propri sensi.
All’inizio del Novecento la protagonista di Sibilla era una rivoluzionaria, una sovvertitrice della potestà
matrimoniale e della patria potestas. Secondo il codice civile del 1865 alla donna sposata era vietato «di
contrattare, di stare in giudizio e persino di iscriversi a un’associazione caritatevole senza il consenso del
marito». Le era vietato di effettuare o riceve donazioni, alienazioni di immobili, ipoteche, cessioni o
riscossioni di capitali e la gestione autonoma dei conti bancari. Se una donna incinta rimaneva vedova, la
famiglia del marito poteva nominare un «curatore del ventre» del nascituro.
Il controllo sulla donna, dunque, non era solo un controllo di natura amministrativa, ma soprattutto un
controllo esercitato sul suo corpo che la donna doveva sacrificare per beni più alti e non soddisfare. Del
resto una donna veniva giudicata socialmente una «brava donna» o una «donnaccia» in base all’uso che
faceva del proprio corpo, criterio che, per esempio, non veniva impiegato per giudicare la decenza o
l’indecenza morale degli uomini. Basti pensare che nel 1946, in Italia, dopo l’introduzione del suffragio
universale, le uniche donne escluse dal voto furono le prostitute.
Una donna, Sibilla e la critica
Nonostante Una donna fosse stato acclamato insieme a Casa di bambola di Ibsen come la bibbia del
femminismo, le polemiche, in Italia, non mancano anche nell'ambito femminista. A differenza di quanto
accadde all’estero, la critica si concentrò sul tema della maternità che produsse schieramenti contrapposti.
15
Inform azioni tratte, fino ad altra nota, da Emma Scaramuzza, La Santa e la Spudorata, cit., pp. 190-191.
Moltissime risposte, di moltissime femministe, videro conferm ata l’idea che la donna dovesse rispettare i doveri sociali di
madre e moglie a discapito della propria felicità.
16
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Da un lato c’erano posizioni come quelle espresse da Gina Lombroso, propense a considerare la
protagonista di Una donna come l’esempio della più ampia «questione femminile» e la vittima
dell’iniquità della legislazione italiana:
Gina Lombroso (scrittrice e giornalista), I diritti della maternità, in "Avanti!", 15 gennaio
1907.
...Gli è che le nostre leggi familiari sono mostruose. Per quanto spetta alla madre, nessun
diritto garantisce il suo affetto, nessuna legge riconosce i sacrifici che la natura le impone...
La legge non ha diritto di togliere alla madre ogni fiducia solo perché essa abbandona il tetto
maritale, o non ama più il marito...
Dall’altro c’erano femministe, come Virginia Olper M onis, che vedevano nella protagonista un esempio
di donna da cui allontanarsi in quanto donna imperfetta, se non addirittura carnefice del proprio figlio
unica vittima riconosciuta all’interno della narrazione:
Virginia Olper M onis, Una donna, in "L'Adriatico", 20 gennaio 1907.
...Risulta però nel libro il fatto che l'unica vittima è il figlio e perciò non è possibile porlo ad
esempio delle donne pensanti... Perciò il libro di Sibilla va letto e meditato. L'arte grave e
rude potrebbe farlo credere di un uomo, ma la psicologia dice la donna, la donna imperfetta,
di transizione, che ha sofferto e lottato per raggiungere la libertà...
All’estero, invece, prevarranno le accoglienze positive alle traduzioni del libro che, del resto, si
susseguirono rapidamente. Una donna fu tradotto in Francia nel 1908, nel 1909 in Germania e in
Inghilterra cui seguirono le traduzioni in russo, spagnolo, svedese, polacco.
Nei paesi in cui il femminismo aveva avuto un vigore e una diffusione maggiore, venne sottolineata la
capacità di denuncia del libro contro la violazione di quelli che oggi chiamiamo diritti umani:
Fernande Luchaire-Dauriac, Un cas de Féminisme pratique,in "Romanetvie", 1° giugno
1908.
...la storia di Una donna appare come uno di quegli eventi singolari dove si incontrano, […],
"i caratteri e le voci d'un'epoca". Ecco come vengono sollevati gravi problemi, che
riguardano non solo il femminismo ma l'intera questione sociale; ecco come sorgono le più
ardite e le più moderne concezioni del diritto alla vita, dei doveri nei riguardi di se stessi;
ecco come viene posto, in modo specifico il problema oggi tanto discusso, delle conseguenze
del divorzio, dal punto di vista della famiglia e della prole.
Dall’estero però giunsero anche condanne all’arretratezza del contesto culturale italiano in rapporto al
valore rivoluzionario riconosciuto a Una donna:
Stefan Zweig (scrittore 1881-1942) nella «Neue Freie Presse», Vienna, 1907.
Anche in Italia la donna è diventata viva, non è più l'ignava, l'ingannevole, la frivola di una
volta, la ignorante, sprezzata schiava dell'uomo e dell'amore. Il movimento femminile ha
trovato qui presto il suo seguito. La prima scrittrice a me nota, nelle opere della quale le
moderne idee d'indipendenza della donna hanno trovato una forte espressione, è Sibilla
Aleramo con il suo romanzo Una donna,che suscitò un anno fa generale sensazione in Italia e
che già anche in Francia desta vivo interesse.
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L’accoglienza in Italia
In Italia, in alcuni casi, si mise in evidenza anche la valenza innovativa del romanzo dal punto di vista
letterario.
Ojetti mette in luce la novità del topos letterario:
Ugo Ojetti (giornalista e scrittore 1871-1946), Una donna, in "Corriere della Sera", 14
dicembre 1906.
...Questo libro è sincero, è crudele, è modernissimo. Solo per la difesa della propria mente e
della propria individualità, nessuna donna, in nessun romanzo di vent'anni fa, sarebbe
fuggita. O ggi è possibile e questo romanzo purtroppo è verosimile... Ecco qui una donna
colta, intelligente, sincera, finzione di romanzo a sostegno d'una tesi o, se è vero che il libro
sia un'autobiografia, esempio vivo e franco d'una nuova morale che proclama il proprio
diritto alla libertà e all'intelligenza attiva, anche rinunciando al proprio figlio per sempre...
Graf, invece, non lo definì propriamente un romanzo, riconoscendone la carica realistica:
Arturo Graf (critico letterario e poeta 1848-1913), Una donna, in "Nuova Antologia”, 16
dicembre 1906
… M i accorgo di aver parlato di questo libro come dei romanzi non si usa parlare; ma ho già
detto che questo non è propriamente un romanzo. È libro di sdegno di alterezza di
esecrazione, di giustizia e di castigo. Chi non si spaventa di queste cose, lo legga...
Lo stesso Bontempelli, vide in questo “realismo” un elemento estetico, avvicinandosi a quello che
diventerà un obiettivo di Sibilla:
M assimo Bontempelli (scrittore 1878-1960) in "II grido del popolo", 29 dicembre 1907.
...Qualunque convinzione taluno possa essersi fatto sulla indifferenza necessaria all'arte, cade
di fronte alla sincerità grande dell'autrice, sincerità che subito si rivela, e diviene tosto un
elemento di vitalità estetica e la traduce in espressione viva...
E del medesimo avviso fu anche il grande Pirandello
Luigi Pirandello (scrittore 1867-1936) riconosce il valore di Una donna:
«Pochi romanzi moderni io ho letti, che racchiudano come questo un dramma così grave e
profondo nella sua semplicità, e lo rappresenta con pari arte, in una forma così nobile e
schietta, con tanta misura e tanta potenza»
M a molta critica, soprattutto maschile, stentò ad andare oltre al giudizio morale sull’autrice
Per Sibilla l’amore è un elemento essenziale nella ricerca di una propria poetica
Infatti in questi intellettuali, molti dei quali si dichiararono amici di Sibilla, prevalse il gusto di sminuire
la figura di Sibilla criticandone le scelte di vita e in particolare gli amori. A nulla valse il fatto che Sibilla
si era trasformata in una di quelle «donne nuove» che oltre a rivendicare la legittimità dei propri desideri,
in qualità di scrittrice perseguiva una poetica basata sul tentativo di far coincidere vita e arte e sulla
necessità di produrre una scrittura sessuata.
In merito Sibilla fu molto chiara, quando già nel 1921, dichiarava:
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Sibilla Aleramo, La Pensierosa, in Andando e stando, Bemporad, Firenze, 1921, p. 127.
«Io non sono punto soddisfatta di questo modo di esprimermi a cui sono pervenuta e che a
voi [uomini] si confà. In realtà io non mi esprimo, non mi traduco neppure: rifletto la vostra
rappresentazione del mondo, aprioristicamente ammessa, […], ma non vi do l'immagine delle
cose qual è nel mio profondo […]. Per estrarla, occorrerebbe che voi faceste verso di me lo
stesso sforzo d'attenzione e d'abnegazione ch'io ho usato con voi. [...]
Oh! Queste parole e questi nomi che voi m'avete insegnato ad adoperare, questo cozzo tra il
mio ritmo interno e il ritmo delle forme da voi trovate! Come liberarmi? Bisognerebbe che
mi ascoltaste come se io sognassi»
Rispetto agli anni precedenti Sibilla non aveva più intenzione di comunicare con gli uomini traducendo se
stessa nel loro linguaggio: era tempo che essi le prestassero ascolto. M a cosa intendeva Sibilla per
scrittura sessuata? Lo aveva spiegato quasi dieci anni prima nell’articolo del 9 aprile 1911 Apologia dello
spirito femminile sul giornale «Il M arzocco»:
«Non si tratta, s’intende, di creare un linguaggio speciale per la psiche femminile: il
linguaggio umano è uno. […] M a forse le segrete leggi del ritmo hanno sesso. Se siamo
persuasi di una profonda differenziazione spirituale fra l’uomo e la donna dobbiamo
persuaderci che essa implica una profonda diversità espressiva. […] Il mondo femmineo
dell’intuizione […] se la donna perverrà a renderlo, sarà certo con movenze nuove […]
sconosciut[e] alla poesia maschile».
M a gli intellettuali che vivevano i suoi stessi anni, non dimostrarono questa capacità o desiderio di
comprendere.
Del resto nella critica maschile alla letteratura femminile serpeggiava un sentimento a tratti misogeno.
Giovanni Papini, amante di Sibilla, scrisse in proposito
Giovanni Papini (scrittore 1881-1956) scriveva su «La Voce»
«Chi s’accosta alla letteratura italiana d’oggi […] dovrà credere che tutti i maschi sono morti,
e ch’è dato scrivere soltanto alle femmine. [I libri in circolazione sono per lo più] pasticci
fioriti e lavorati, ma di poco sapore […] scritti o da uomini infemminiti o da donne con
maschera e nome virili. […] Donne e femmine dappertutto»
M a anche Emilio Cecchi, suo amico, aveva ben poca stima della letteratura femminile
Emilio Cecchi scriveva anch’egli su «La Voce»
«Chiediamo, insomma che, mentre da parecchi si guarda verso l’attuale letteratura femminile
come verso una salvezza, la si interpreti per quello che è, e non si creda ch’essa possa
soddisfare quel bisogno di un’arte nitida e grave, piena di vita interiore […] E che non si
applaudisca, come a un rivelazione lirica di singolare importanza, una combination di seta
rosa»
Entrambi si prendevano beffe della scrittura femminile, confermando quell’atteggiamento che Sibilla e le
altre avevano denunciato anni prima. “Il ridicolo” è sempre stata l’arma che molti intellettuali uomini
hanno utilizzato e utilizzano per sminuire la produzione intellettuale femminile. In generale, va precisato,
che la linea editoriale de «La Voce» aveva portato ad astiose stroncature di varie scrittrici di successo.
Del resto la rivista letteraria aveva dedicato da sempre davvero poca attenzione alla questione femminile.
L’insofferenza per la letteratura femminile indusse questi intellettuali a pubblicare in 5 anni, dal 1910 al
1914 solo 5 recensioni ad opere narrative femminili. Inutile dire che, però, la posizione de «La Voce»
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rafforzò quella tendenza a trasformare le scritture delle «donne nuove» in un problema di cultura e di
etica.
Nel caso poi di Sibilla, questi attacchi si fecero anche più accaniti poiché detti intellettuali non le
perdoneranno mai, almeno fino alla nascita dell’Italia repubblicana, la dirompenza del suo status di donna
autonoma.
Più che criticarne l’opera, ne criticarono la vita cercando di squalificarne le capacità letterarie.
In un taccuino segreto, sempre l’amico Emilio Cecchi (scrittore e critico 1884-1966) nel
1916 scriveva: «Non ha bisogno che di sé. […] I suoi amori sono successive, spasmodiche,
confuse obiezioni al suo io d’ieri. Per l’educazione romantica, il residuo ibseniano, ecc., dà a
questi amori la illusione del definitivo: impianta nella sua vita sociale un problema erotico di
continuità che ormai dovrebbe conoscere impossibile al suo temperamento niente materno:
niente di abnegazione. […] Allora perché non si decide ad accettare di essere sola, […]? Sola
come una puttana intellettuale; […] Pigli pure l’amore quando le viene»
Sibilla fu definita «puttana intellettuale», strano commento per un critico letterario. M a vediamo cosa
della vita condotta da Sibilla fino al 1916 resta nella mente di Cecchi e cosa egli tralascia:
Sibilla donna
1902
Sibilla si separa dal marito ed è costretta ad
abbandonare il figlio
Vive una breve relazione con il poeta Felice
Damiani che la rende consapevole della propria
passionalità
1902-1910
A Roma convive con il direttore di «Nuova
Antologia» Giovanni Cena
1909-1910
Vive una relazione con la letterata Cordula
Poletti
Sibilla scrittrice e femminista
1899-1900
Scrive su vari periodici e dirige «Italia femminile»
1903-1906
Scrive il suo romanzo autobiografico Una donna
1914
Pubblica la novella Trasfigurazione, lettera rivolta
a Giacinta Papini, nella rivista «Grande
Illustrazione»
1915
Dirige la rivista «Grande Illustrazione»
1910
A Firenze vive una breve relazione con il poeta
ventenne Vincenzo Cardarelli
Poco dopo vive un fugace amore con il
giornalista ed editore Giovanni Papini
In Corsica, durante l’estate, ha un breve
relazione con il tunisino Joe
A Sorrento stringe un rapporto con il giovane
poeta Vincenzo Gerace
1910-1913
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A M ilano vive un intenso amore con Umberto
Boccioni
1915
Ha una relazione con lo scultore M ichele
Cascella
In estate frequenta per due mesi lo scrittore
Giovanni Boine
1916-1917
Ha una relazione con il poeta di M arradi Dino
Campana
Anche Benedetto Croce non si astenne dal rivolgerle un rimprovero moraleggiante quando ancora nel
1910 Sibilla gli chiese intercedere per lei presso l’ex amante
Così le rispose il filosofo:
«Anche voi cercate i rimedi negli incidenti e non nella sostanza: anche voi dovreste mutare
fondamentalmente il vostro atteggiamento verso la vita. Non faccio il moralista a buon
mercato; e intendo e scuso perfino il fallo commesso nell’impeto della giovinezza sensuale e
fantastica, quando avete abbandonato vostro marito e vostro figlio. Non ho mai creduto alle
giustificazioni ideali che avete dato di ciò nel vostro libro»
La scelta di Sibilla di perseguire la propria dignità fu a lungo biasimata e quando la scrittrice si concesse
nuovi amori, ricevette dei veri e propri insulti. Nel 1916 Giuseppe Prezzolini la definì
«lavatoio sessuale della letteratura italiana»
M entre altri le dettero il soprannome di Sibilla Amorale, anagrammandone il cognome
Significativi furono anche i titoli di alcune recensioni alle sue opere: Amori sibillini, Una donna e tre
uomini, La “bella belva bionda” 17
Sibilla fu dunque punita per la sua libertà e a nulla valse la copiosa produzione letteraria successiva se
non a confermare il disprezzo per la donna Sibilla da parte di una parte della critica maschile italiana.
Ciò detto, a partire dagli anni Venti del Novecento, per Sibilla iniziò una seconda fase della sua vita che
la portò a lasciarsi alle spalle la politica attiva e la prosa per dedicarsi alla poesia e alla scrittura creativa.
Ormai la lotta per l’uguaglianza tra i sessi propria del femminismo sociale le sembrava superata e si
dedicò ad appagare la propria libertà al fine di dare spazio a quello che definì «spirito autonomo
femminile». Si potrebbe dire, con Emma Scaramuzza, che da «femminista volle diventare una scrittrice
“femminile”» 18, praticando posizioni già delineate in suo articolo del 1911: Apologia dello spirito
femminile.
Sibilla donna
1918-1919
A Genzano vive con Gianni M erlo
Sibilla scrittrice e femminista
1919
Pubblica Il passaggio di cui è protagonista
17
Monika Antes, «Amo dunque sono» Sibilla Aleramo, pioniera del femminismo in Italia, Mauro Pagliai editore, Firenze,
2010, p. 17.
18
Emma Scaramuzza, La Santa e la Spudorata, cit., p. 212.
17
Testo di Enrica Cavina per il seminario del 28 gennaio 2011 a Ravenna
Libera e gagliarda. Omaggio a Sibilla Aleramo
www.gentesdeyilania.org
1920-1922
A Frascati ha una relazione con l’atleta Tullio
Bozza
1924
Ha una relazione con l’anarchico Anteo
Zaniboni, per la quale va in carcere anche se la
relazione era interrotta da oltre un anno
1925-1926
Vive una relazione con Giulio Parise ed ha una
forte amicizia con Julius Evola
Cordula Poletti. Insuccesso in Italia, ma ben
accolto in Francia.
1920
Pubblica il testo in prosa Andando e stando in cui
è presente Giovanni Papini
1921
Pubblica la raccolta di poesie Momenti
1923
Scrive il poema Endimione di cui è protagonista
Tullio Bozza. Successo in Francia, insuccesso in
Italia
1933
Ha una relazione con il ventitreenne giornalista
Enrico Emanuelli
1924
Pubblica le prose Il mio primo amore
1934
Vive un amore con Salvatore Quasimodo
1925
Firma il manifesto antifascista di Croce
1936-1946
Vive la lunga relazione con il poeta e letterato
Franco M atacotta di 40 anni più giovane
1927
Pubblica il romanzo-cronaca in forma epistolare
Amo dunque sono di cui è protagonista Giulio
Parise
1929
Pubblica le Poesie e scrive una prefazione a
Teresa di Arthur Schnitzler
1930
Pubblica le prose Gioie d’occasione, una delle
quali, Trapezio è dedicata a Julius Evola
1932
Pubblica il romanzo Il frustino, in cui racconta i
suoi amori per Giovanni Boine, M ichele Cascella,
Clemente Rebora e Giulio Parise. Il suo stile non
viene apprezzato
1934
Pubblica la terza raccolta di poesie Sì alla terra
1935
Traduce la princesse de Clèves
1938
Pubblica il libro Orsa Minore. Note di taccuino
1945
18
Testo di Enrica Cavina per il seminario del 28 gennaio 2011 a Ravenna
Libera e gagliarda. Omaggio a Sibilla Aleramo
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Pubblica dal mio diario (1940-1944)
1947
Pubblica Selva d’amore che raccoglie anche le
poesie precedenti
1949
Pubblica Il mondo è adolescente, raccolta di scritti
ideologicamente impegnati
1953
Pubblica la nuova raccolta di poesie Aiutatemi a
dire. Nuove poesie (1948-1951)
Pubblica Russia alto paese. Prose e poesie
1956
Pubblica le ultime poesie Luci della mia sera.
Poesie (1941-1946)
L’ evoluzione della produzione dell’Aleramo e della critica letteraria
M a i tempi cambiano e con essi le persone, non sempre facile dire se per convinzione o convenienza.
Esempio ne fu l’“amico” di Sibilla Emilio Cecchi.
Lo stesso che nel 1916 l’aveva definita «puttana intellettuale» in un suo taccuino, nel 1948 , in occasione
del premio Viareggio attribuitole per Selva d’amore, ma anche dopo il voto alle donne, la partecipazione
femminile alla Resistenza, il rinnovamento culturale in atto e l’impegno pubblico di molte associazioni
femminili nate dalla guerra, così si esprimeva sulla sua “amica”:
«Può darsi che a un certo momento per le donne in particolare la lettura di Sibilla costituisca
un passaggio obbligato. È una sorta di iniziazione a sentimenti e aspirazioni di libertà
morale, di affermazione del destino individuale».
E nel 1950, lo stesso, in occasione della ristampa di Una donna sottolineava:
«Nella condizione in cui le è toccato a vivere, non può che raccontare la via crucis della sua
solitudine; che per ragioni ogni volta diverse, è poi simile a quella di tante altre creature
muliebri. In Una donna, che ancora una volta oggi si ristampa, tale narrazione, come s’è
detto, fa perno su una quantità di motivi determinanti: le eredità famigliari, le difficoltà
economiche, le incompatibilità regionali, l’ipocrisia, l’ignoranza, le superstizioni, ecc. La
Aleramo denuncia cotesti motivi con una coraggiosa evidenza, con una crudezza, niente
ostentata di tratti, assai nuova a quell’epoca».
La critica del dopoguerra attenta ai rapporti tra letteratura e società e impersonata da figure quali
Giacomo Debenedetti, Natalino Sapegno, Carlo Salinari, evidenziò il significato innovativo e liberatorio
di Una donna.
19
Testo di Enrica Cavina per il seminario del 28 gennaio 2011 a Ravenna
Libera e gagliarda. Omaggio a Sibilla Aleramo
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Negli anni Settanta Rita Guerricchio mise in evidenza le componenti ideologiche di Una donna, in
particolare sottolineò le riflessioni sull’emancipazione femminile e la loro relazione con l’urgenza di una
rivoluzione sociale.
In quest’ottica l’autobiografia di Sibilla veniva intesa come una sorta di romanzo-saggio in prima
persona, una confessione finalizzata anche alla descrizione di idee socialmente rilevanti. Dal punto di
vista prettamente letterario il romanzo di Sibilla veniva inteso come un’opera di rottura con la tradizione
legata al puro intrattenimento delle lettrici. Dalla letteratura rosa di evasione Sibilla transitava verso nuovi
modelli letterari attraverso un testo che conteneva varie componenti: l’estetismo dannunziano, il senso
moderno dell’autobiografia, l’ideologia socialista, la coscienza femminile. Sibilla realizza
Per questa ragione il modello proposto dall’Aleramo sarebbe divenuto determinante per la narrativa
italiana tra le due guerre. Pur riconoscendo i riferimenti ottocenteschi di Sibilla, Ibsen, Nietzsche, ma
anche Toltoj, Sibilla veniva inserita tra quella schiera di intellettuali che anziché chiudere il vecchio
secolo, aprirono il nuovo alla luce della ricerca disperata del rapporto tra vita e stile.
Ancora negli anni Ottanta, Lea M elandri presentava anch’essa il romanzo Una donna «come un caso a sé,
ma
Lea Melandri nel saggio Un pudore selvaggio, una selvaggia nudità, 1978, p. 41 osserva:
per ragioni opposte a quelle che l’hanno reso famoso. [Secondo M elandri] il carattere
autobiografico, e probabilmente la vicenda che vi è narrata, per l’effetto emotivo e
fantastico che può suscitare, hanno tratto in inganno al punto da far confondere la
costruzione di una immagine ideale di sé, condotta con un rigore e una linearità quasi
geometrica, con l'esperienza reale dell'autrice. Dove si è voluto vedere l'esempio di un
cambiamento storico della personalità femminile, e la nascita di una donna, in realtà si
assiste alla nascita di un dio e di una religione […] Il libro, che doveva essere una fedele
trascrizione della vita, diventa il vangelo di chi si sente “depositarla di verità", destinata a
rappresentare "qualcosa di raro nella storia del sentimento umano".»
Nuovamente la critica si manifestava figlia del proprio tempo proponendo nuove interpretazioni di Una
donna di Sibilla.
Ciò accadde per tutta la sua produzione.
Negli anni Cinquanta, infatti, per il suo stile, Sibilla era stata inscritta nell’ambito dell’autobiografismo
vociano di cui Slataper era considerato un esempio ed era stata spesso accusata di estetismo. Nessuna
attenzione, dunque, per la ricerca sul linguaggio sessuato condotta dall’autrice. A quel tempo e finché le
fu possibile, Sibilla rigettò tali critiche sostenendo che si confondeva l’estetismo con una ricerca di una
scrittura prettamente femminile.
Successivamente, però, la critica interpretò l’opera di Sibillla come «il documento tipico della volontà di
liberazione del linguaggio poetico femminile nella coscienza letteraria del Novecento»19
Nel 1982 Gilberto Finzi osservava, nell’introduzione a Amo dunque sono che: «la donna per liberarsi ha
bisogno della parola: anche della parola poetica […] E alla specie femminina serve ottenere la parola.
Anzitutto col romanzo, la poesia, la critica, più tardi con le rivendicazioni sociali». Sibilla stessa aveva
avuto coscienza di ciò e si era impegnata in tale direzione. Secondo questo criterio interpretativo Sibilla
aveva stabilito « per la letteratura femminile italiana un codice di comportamento espressivo» del tutto
innovativo: consistente nel “prima vivere, poi poetare”. La necessità di Sibilla di tradurre in arte la sua
esperienza avrebbe determinato la specificità dominante della sua poesia, quella del frammento, la forma
più idonea a fissare l’attimo emotivo sentito da Sibilla 20.
19
20
Ivi, p. 98.
Ivi, p. 99.
20
Testo di Enrica Cavina per il seminario del 28 gennaio 2011 a Ravenna
Libera e gagliarda. Omaggio a Sibilla Aleramo
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La passionalità di Sibilla veniva classificata come moderna e novecentesca, volta a ricercare l’espressione
autentica dell’io profondo di donna.
Ancora negli anni Ottanta Giorgio Luti considerava la scrittura di Sibilla Aleramo come «una delle
21
scritture femminili più autorevoli e inquiete della letteratura italiana» . Anche l’ultima sua produzione,
quella degli ultimi 20 anni, dedicata all’impegno politico e sociale ed elaborata secondo la formula
espressiva dei Diari, costituì un unicum nel panorama della letteratura femminile italiana. In essi si legge
il passaggio definitivo di Sibilla dall’eros per un uomo all’amore per l’umanità. Se ciò costituì l’ennesima
novità nel percorso di Sibilla, restò tuttavia ad essa sotteso un forte elemento di continuità consistente
«nell’intima e personale lotta di far vivere una “sorellanza”, una libertà ed autonomia femminile non
contrapposta al maschile».
Ciò appare evidente nella lunga lettera con cui Sibilla Aleramo, chiedeva l’adesione al Partito Comunista
Italiano, adesione che fu accettata per acclamazione al congresso del partito nel gennaio 1946.
«Chiedo l’iscrizione al partito. La mia adesione mi vien dettata dalla coscienza di compiere
un dovere, e insieme rappresenta per me come il coronamento della mia vita di scrittrice e di
donna. Tutta la mia opera di quarant’anni è stata ispirata dalla fede in un più giusto e più
umano avvenire della nostra specie: della nostra specie tutta quanta, uomini e donne di tutta
la terra. Ho lavorato fin dalla prima giovinezza, non soltanto per la redenzione della
femminilità, per l’affermazione di un’autonoma spiritualità femminile, ma anche perché il
popolo venisse elevato a un’esistenza degna, fosse fatto partecipe di un benessere e di una
cultura creatori di una civiltà non fittizia: di quella civiltà che non s’è mai potuta realizzare
appunto perché la grande maggioranza è sempre stata esclusa dal collaborarvi.»
Non sono parole propagandistiche queste. Già in Una donna Sibilla aveva palesato le proprie posizioni.
Alla fine del libro, dopo l’abbandono del marito e del figlio, e di fronte alle sofferenze dei bambini che
accudisce con la sorella in uno dei dispensari per bimbi poveri e ammalati, creati da gruppi femminili,
Sibilla coglie i primi sintomi della sua rinascita:
«Da allora ho anche avuto il bisogno di sperare di nuovo: per tutti, se non per me. E quando
ho trovata intatta nella mia sostanza, nonostante il tragico sforzo compiuto, la fiducia in un
22
migliore avvenire umano, […] ho potuto ancora versare lagrime di conforto»
Sibilla e suo figlio
Sibilla aveva scritto Una donna per tutte le donne che avrebbero potuto trarre giovamento dal ritrovarsi
nella sua medesima situazione, ma non solo. In una lettera ad Ersilia M ajno, Sibilla disse molto
chiaramente che avrebbe voluto apporvi questa dedica:
«A mio figlio perché mi giudichi»
Sibilla vedeva nella sua scelta di verità un esempio anche per il figlio.
Per quasi trent’anni tra loro non vi saranno rapporti e quando si rivedranno nel 1934, il ritrovarsi non è
immediato. Sarà lei a raggiungerlo, perché Walter decide di non andare a trovarla.
Sibilla - diario
21
Giorgio Luti, Sibilla Aleramo nell’esperienza letteraria del Novecento in Franco Conrobia, Lea melandri, Alba Morino (a
cura di), Sibilla Aleramo. Coscienza e scrittura, Feltrinelli, Milano, 1976, p. 92.
22
Sibilla Aleramo, Una donna, Feltrinelli, Milano, 2009 (52ª ed.), p. 164.
21
Testo di Enrica Cavina per il seminario del 28 gennaio 2011 a Ravenna
Libera e gagliarda. Omaggio a Sibilla Aleramo
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...M io figlio mi pensa, stamane. Gli ho scritto qualche rigo, giorni fa. Tristezza irreparabile
del nostro rapporto, dappoi che ci siamo rivisti dopo i trent'anni d'intervallo e invano
abbiamo provato a sentire come una realtà il fatto ch'io sono sua madre e che lui è mio
figlio. Un solo momento abbiamo avuto: la prima sera del ritrovamento; un singhiozzo
profondo nel petto d'entrambi, […], un sorriso in cui ci specchiammo a vicenda […]
Il rapporto sembra irrecuperabile, ma dieci anni dopo scopriamo che Sibilla è stata accolta e investita di
un ruolo per lei decisamente inaspettato:
Sibilla - diario
Ancona, 5 novembre 1947, mattino
...Ritrovato mio figlio, dopo una decina d'anni che non ci si rivedeva, […]. Era molto
commosso, abbracciandomi alla stazione iersera. Ha molto sofferto per la morte del figlio
diciottenne, un anno fa. Non può dimenticarsene, se ben si faccia forza. L'altro figlio ha 22
anni, prepara un esame per incominciare il quarto anno di medicina a Bologna, è meno bello
di quello che è morto e che […] pare fosse vivacissimo. Questo è invece calmo, un po'
chiuso e timido, come il padre. Poco fa ha bussato all'uscio della stanza per portarmi il
giornale del mattino, e per la prima volta mi son sentita dire: "Buon giorno, nonna." Nonna.
La fanciulla «libera e gagliarda» è diventata «nonna». Ancora una volta Sibilla si apre a una nuova
espressione dell’amore, energia e tema della sua vita e della sua opera.
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Testo di Enrica Cavina per il seminario del 28 gennaio 2011 a Ravenna
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