Dispensa PIANIFICAZIONE AMBIENTALE E SVILUPPO SOSTENIBILE

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Dispensa PIANIFICAZIONE AMBIENTALE E SVILUPPO SOSTENIBILE
Corso di Analisi del Territorio e degli Insediamenti
Modulo 5 - L’analisi delle risorse naturali e antropiche
A.A. 2013/14
Prof. Valeria Lingua
Dispensa
PIANIFICAZIONE AMBIENTALE E SVILUPPO
SOSTENIBILE
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RISORSE AMBIENTALI E SVILUPPO SOSTENIBILE
Il ritmo della crescita mondiale ha raggiunto livelli estremamente elevati: a partire dalla seconda guerra mondiale il volume delle risorse naturali utilizzate raddoppiato ogni 15 - 20 anni. Il loro consumo è in continua crescita.
La conoscenza degli effetti dannosi e della loro velocità di propagazione, indotti da una così
rapida crescita dei consumi energetici, è resa difficile dall'enorme aumento della produzione,
dall'accelerazione nella traduzione delle scoperte scientifiche in applicazione concreta, nonché
dalla complessità delle interrelazioni tra i sistemi economici a livello mondiale. Tutto ciò
mentre sta sempre più crescendo la consapevolezza che la natura non è una risorsa al servizio
della produzione, ma un sistema complesso, all'interno del quale l'uomo deve trovare una posizione di equilibrio.
D'altra parte il processo accelerato di esaurimento delle risorse e del loro inquinamento non
può essere arrestato (come in anni passati si pensava) dallo sviluppo tecnologico. Oggi appare
necessario favorire l'evoluzione verso quella che potrebbe essere definita un'economia "regolatrice" che prende cioè in conto i costi sociali delle proprie attività, ma ancora e più, che approfondisca e metta in atto quei meccanismi di regolazione che le consentano di mantenere,
nel lungo periodo, la simmetria della relazione uomo-natura.
Un ruolo strategico nella definizione dei meccanismi di regolazione di cui sopra è sicuramente
assolto - come già messo in evidenza nelle precedenti lezioni - dalla pianificazione in quanto
strumento in grado di relazionare gli effetti di ogni azione trasformativa al contesto territoriale-ambientale consentendo una valutazione a priori degli effetti potenziali sulla base dei quali
definire norme comportamentali in grado di garantire il mantenimento degli equilibri del sistema ambiente.
1.1 Le dimensioni dello sviluppo sostenibile
Per affrontare il problema della sostenibilità dello sviluppo occorre innanzitutto definire la
nozione di "sviluppo sostenibile e quindi trovare gli strumenti (tecniche, indicatori ecc.) per
renderlo concretamente operativo.
Lo sviluppo implica cambiamento, trasformazione dello status quo, alterazione, modifiche, e
quindi fluttuazioni turbolenze dovute alla compresenza di fattori tra di loro in tensione. La
sostenibilità va dunque vista come la capacità di mantenere un equilibrio dinamico tra fattori
eterogenei e conflittuali. In questo contesto il perseguimento di uno sviluppo sostenibile dovrebbe consistere nella ricerca di equilibri dinamici in grado di migliorare la qualità della vita
o il benessere in modo durevole nel tempo. Obiettivo perseguibile innanzitutto mantenendo
l'equilibrio del sistema naturale eco-biologico di supporto alla vita nelle sue diverse forme che
costituisce la "base" per qualsiasi attività umana.
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E' anche per questo che è necessario soddisfare i bisogni della gente a cominciare da quello
oggi particolarmente sentito del lavoro,1 e quindi di un reddito sufficiente per potere consumare/fruire di beni e servizi. Tutto ciò significa promuovere la crescita del sistema economico
e quindi utilizzare oggi l’insieme delle risorse di cui si dispone nel modo più efficiente senza
che ciò possa comportare domani una limitazione delle possibilità di scelta da parte delle generazioni future, cioè senza compromettere le loro diverse opzioni possibili. Nella nozione di
sviluppo sostenibile sono incorporate le tre dimensioni fondamentali, che dovrebbero coesistere: 1) la dimensione economica, 2) la dimensione ambientale, 3) la dimensione sociale.
Lo sviluppo sostenibile fu introdotto autorevolmente nell’agenda internazionale dal Rapporto
Bruntland2 che nel 1987 definiva ''Sviluppo sostenibile quello sviluppo capace di soddisfare i
bisogni della attuale generazione senza compromettere. il soddisfacimento dei bisogni delle
future generazioni". Si tratta di una concezione della sostenibilità che va al di là della semplice protezione ambientale integrandovi elementi economici (lo sviluppo), sociali (equità intra e
inter-generazionale), culturali e insediativi (la qualità della vita). Una definizione che mette in
evidenza, in primo luogo, la logica del lungo periodo che caratterizza la sostenibilità: il principio di equità è addirittura allargato alla prospettiva intergenerazionale.
L’attenzione alle soglie di reddito più marginali connota la nozione di sviluppo sostenibile ed
in questo senso si può parlare di dimensione etica dello sviluppo sostenibile. La condizione
essenziale per la sostenibilità in questa accezione è la conservazione dello stock di risorse che
costituiscono il capitale naturale di cui dispone l'attuale generazione e che ne determina il livello di benessere. Viene quindi introdotto un criterio chiave nello sviluppo: la sostenibilità
ecologica.
La creazione di ricchezza non deve avvenire a danno del sistema che è alla base della vita nelle sue diverse forme. Se ad oggi è stata assolutamente prevalente l'idea di valore strumentale
(cioè di mercato), oggi assume una valenza strategica il valore derivante dal non uso delle risorse. In questo senso possiamo parlare di approccio sistemico: occorre sempre considerare i
rapporti tra il sistema economico ed i suoi effetti su quello sociale e quello ambientale. Lo
sviluppo sostenibile dunque integra. compone, bilancia, le tre dimensioni cui si e fatto riferimento con quelli della giustizia, dell'utilità e dell'integrità ecologica.
Tali valori sono portati da una pluralità di soggetti diversi che possono anche confliggere tra
loro e, pertanto, l’obiettivo non può che consistere nella riduzione di tale conflitto ricercando
adeguati livelli di cooperazione tra i diversi attori interessati. Come è ovvio non è possibile
massimizzare contemporaneamente le tre dimensioni dello sviluppo cui si è fatto riferimento
per cui è indispensabile fare delle scelte. Scelte che non possono non riflettere dei giudizi di
valore.
Tutto ciò mette in evidenza un dato ineludibile: le scelte sulla quantità/qualità dello sviluppo
non sono affrontabili e risolvibili solo con strumenti tecnici, ricorrendo solo ad esperti, ma diventa indispensabile un processo di partecipazione. Lo sviluppo sostenibile è intrinsecamente
uno sviluppo partecipato: le scelte di sostenibilità non possono essere dettate dall'alto ma devono essere elaborate solo a livello locale se è vero che esso si concretizza ricercando il miglior uso possibile dell’energia consumata dal sistema dei trasporti, dal sistema produttivo e
1A causa della progressiva soppressione di posti di lavoro provocata dalla introduzione di nuove tecnologie e dalla mancanza
di nuovi i settori in grado di assorbire eccedenze.
2 Dal nome del primo ministro norvegese, signora Gro Bruntland, che presiedeva allora l'ONU World Commission on Environment and Development (WCED)
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dal sistema insediativo oltre a garantire il riciclo dei prodotti di rifiuto. La nozione di sviluppo
sostenibile è ben rappresentata graficamente da un triangolo equilatero3.
Il diagramma evidenzia tutte le possibili combinazioni tra le diverse dimensioni da quelle che
massimizzano un solo obiettivo (nei vertici A, B,C) a quelle che si muovono lungo il perimetro del triangolo (che combinano solo due obiettivi) a quelle che consentono il perseguimento
di tutte le tre dimensioni/obiettivi e che si trovano all’interno del perimetro. Il triangolo mette
anche in evidenza i diversi possibili approcci:
- quello dell’economista, interessato alla crescita,
- quello dell'ambientalista interessato alla tutela,
- quello del sociologo interessato all'equità.
Dimensione economica
(efficienza, crescita, stabilità)
A (100%)
Sviluppo
Sostenibile
B (100%)
Dimensione sociale
(povertà, equità intergeneraz., cultura)
C (100%)
Dimensione ecologica
(biodiversità, inquinamento,
risorse naturali, resilienza)
La particolare forma geometrica esprime anche la necessità di pervenire ad un compromesso
tra istanze/valori/obiettivi molteplici, eterogenei ed anche conflittuali: non c'è sviluppo sostenibile se non si riesce a trovare una integrazione tra queste tre dimensioni. Promuovere lo sviluppo sostenibile significa dunque ricercare l’equilibrio tra queste tre diverse dimensioni.
Si tratta di un equilibrio che ben difficilmente potrà, nel tempo, essere statico perché sarà continuamente rimesso in discussione dalle pressioni dovute alle esigenze di cambiamento di cui
si fanno interpreti molteplici e diversi soggetti pubblici e privati rimettendo continuamente in
discussione le priorità tra i tre obiettivi fondamentali.4
Va d'altra parte sottolineato come nell'attuale contesto, caratterizzato da sempre più rapidi
processi evolutivi e nel quale il pluralismo (molteplicità, varietà, diversificazione, ecc.) costituisce un elemento chiave, non sia proponibile una nozione di sviluppo sostenibile come un
equilibrio stabile. Lo sviluppo sostenibile è piuttosto definibile come un processo di equilibrio
dinamico da riformulare e ricostruire continuamente, sotto le pressioni appunto del cambiamento e della pluralità delle varie componenti interessate.
Un esempio di queste pressioni squilibranti è rappresentato dal continuo utilizzo di innovazioni nel processo produttivo che inducono certo un aumento di produttività e quindi di efficienza, ma anche l’espulsione di lavoro umano, con sempre più elevati livelli di marginalità in
grado di destabilizzare qualsiasi equilibrio.
3 Nijcamp P., Reggiani A., Interaction, Evolution, and Chaos in Space, Springer, Berlin, 1993
4 Tiezzi E., (a cura di), Ecologia e ....., Laterza, Bari, 1995
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1.1.1 La dimensione ambientale dello sviluppo sostenibile
La sostenibilità nella dimensione ambientale parte dal riconoscimento della frattura che esiste
tra processi economici e processi ecologici e, quindi, possiamo affermare che essa si fonda
sulla nozione di resilienza5. Una azione è sostenibile se mantiene la resilienza, e quindi preserva (o non pregiudica) il comportamento sistemico. In altri termini possiamo affermare che
la dimensione ambientale dello sviluppo sostenibile mette a fuoco il rischio che le attività umane possano compromettere i processi dinamici di autorganizzazione di un sistema ecologico (di cui le risorse naturali sono una componente) che si esplicitano in un insieme di rapporti
di interdipendenza. Ciò che conta, dunque, è la garanzia di continua adattabilità del sistema al
cambiamento mantenendo costante nel tempo il capitale naturale evitando qualunque perdita
rispetto al patrimonio di risorse naturali disponibili.
Per tutto ciò possiamo affermare che il perseguimento della sostenibilità ambientale si fonda:
- sulla conservazione delle condizioni che hanno consentito e consentono il perpetuarsi della
vita nel tempo (a cominciare dalla vita umana);
- sul controllo degli effetti negativi delle attività antropiche sul capitale ecologico (aria, acqua,
suolo, biodiversità6) minacciato dalla utilizzazione ad un tasso superiore alla capacità di rinnovo/rigenerazione.
Con riferimento all'economia “ecologica”, la sostenibilità si fonda su tre precise condizioni:
- il tasso di utilizzazione delle risorse rinnovabili non deve essere superiore a quello di rigenerazione delle stesse;
- il tasso di utilizzazione delle risorse non rinnovabili non può essere superiore al tasso di sviluppo delle risorse rinnovabili surrogabili o utilizzabili in alternativa;
- il tasso di inquinamento non deve superare la capacità di assorbimento dell'ambiente.
1.1.2 La dimensione culturale e sociale dello sviluppo sostenibile
E' questa una dimensione spesso trascurata, ma indispensabile per attuare la sostenibilità e si
riconnette alla conservazione/riproduzione di capitale umano e sociale.
Il pluralismo culturale7 è una condizione indispensabile per far coesistere culture diverse, farle dialogare e non contrapporle, farle modificare vicendevolmente e dunque co-evolvere.
Oggi le diverse culture coesistenti formano un mosaico di eccezionale ricchezza, ciascuna delle quali è capace di dare risposte in modo univoco e diversificato, evitando comportamenti
omologanti. Le culture locali esprimono, ad esempio, le diversità e le specificità, che si riflettono nella struttura della domanda, nell'uso delle risorse, nella scelta delle tecnologie; il risultato è la riduzione della competizione nell'uso di una stessa risorsa, e quindi dello squilibrio
tra domanda ed offerta. Comportamenti più omologati concentrano invece la domanda su una
offerta ridotta, con il duplice risultato del sovrautilizzo della stessa e del conflitto tra soggetti.
Il nostro futuro dipende dalla capacità di comprendere i limiti dell'attuale cultura e di saper
contribuire a promuovere un sistema di valori non incentrati soltanto sulla competizione,
sull'efficienza, sul dominio e l'espansione, ma anche sulla cooperazione, sulla reciprocità, sulla responsabilità.
5 Resilienza: capacità di un sistema di recuperare la sua struttura organizzativa. anche in presenza di forze esterne che le modificano.
6 Biodiversità: consistenza (misurabile con specfici metodi statistici) di varie specie animali e vegetali in un determinato ecosistema; è detta
anche diversità biologica.
7 Per cultura si intende l’insieme di significati, di simboli di valori, di idee, di regole organizzative di una società. che deter-
minano le modalità con le quali essa modella le sue istituzioni usa l'ambiente e la natura, regola i rapporti umani
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1.1.3 La dimensione economica dello sviluppo sostenibile
Il ricorso alle innovazioni tecnologiche comporta la progressiva espulsione di lavoro e quindi
un aumento della disoccupazione e delle condizioni di marginalità. Nessuna sostenibilità dello
sviluppo è possibile se nel tempo aumenta la povertà; questa non è soltanto una questione sociale rilevantissima, ma anche un fenomeno di spreco e d'inefficienza economica.
Uno sviluppo diventa sostenibile quando consente di procedere alla produzione di nuova ricchezza senza compromettere la base di risorse che rappresenta il "capitale" complessivo di
una comunità. Un capitale da conservare costante nel tempo senza farlo degradare nella ricerca della massima produzione. In questo contesto si impone la definizione di un limite nel consumo introducendo il concetto di "capitale critico" che consenta di identificare le soglie di
non sostituibili di alcuni tipi di risorse.
1.2 Le fasi dello sviluppo sostenibile

1972 Conferenza mondiale delle Nazioni unite a Stoccolma: sviluppo compatibile con
l'ambiente.
È la prima volta che vengono adottati a livello internazionale alcuni principi che saranno alla
base del concetto di sviluppo sostenibile: "L'uomo è portatore di una solenne responsabilità
per la protezione e il miglioramento dell'ambiente per le generazioni presenti e future", pertanto "Le risorse naturali della Terra, devono essere salvaguardate a beneficio delle generazioni presenti e future attraverso una programmazione e una gestione appropriata e attenta" ,
quindi "deve essere mantenuta e, ove possibile, ricostituita e migliorata la capacità della Terra
di produrre risorse vitali rinnovabili".
Voluta e organizzata dai paesi sviluppati, che si erano resi conto che il carico ambientale legato ad uno sviluppo incontrollato stava diventando insostenibile. Il problema più trattato è pertanto quello dell’inquinamento, che preoccupa soprattutto i paesi industrializzati. Il problema
dello sviluppo sostenibile è affrontato solo marginalmente.
In quest’occasione viene alla luce chiaramente il contrasto tra i paesi industrializzati e quelli
del Sud del mondo: i primi vogliono porre un freno agli inquinamenti e ai danni all’ambiente
in genere, e chiedono ai secondi di adottare anch’essi misure adeguate (per esempio, arrestare
la deforestazione). Nel contempo i paesi meno avanzati si vedono chiedere sacrifici senza aver contribuito che in minima parte agli squilibri. Inoltre, la maggior parte dei paesi partecipanti vede con preoccupazione i costi legati alle misure da adottare per la protezione ambientale, che quindi vengono ridotte al minimo.
Nel complesso, prevale il concetto della riparazione piuttosto che della prevenzione.
La conferenza si conclude con la creazione della commissione “United Nation Environment
Program”, alla quale tuttavia viene concessa poca autonomia decisionale.

1987 "Rapporto Bruntland" ("Our common future") della “Commission on Environment
and Development” dell’ONU.
Noto come Rapporto Bruntland, dal nome del presidente della commissione, definisce lo sviluppo sostenibile come "uno sviluppo che soddisfi i bisogni del presente senza compromettere
la capacità delle generazioni future di soddisfare i propri bisogni". Si tratta di una definizione
del tutto generale per un approccio unitario allo sviluppo e all'ambiente, in base alla conside5
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razione che un ambiente degradato e depauperato nelle sue risorse non può garantire uno sviluppo durevole e socialmente accettabile. La protezione dell'ambiente non viene più considerata un vincolo allo sviluppo, bensì una condizione necessaria per uno sviluppo duraturo.
 1992 Conferenza di Rio de Janeiro: Sviluppo sostenibile e Agenda XXI
Durante questa conferenza, a livello mondiale, vengono gettate le basi per dare l'avvio ai programmi di risanamento ambientale del nostro pianeta, vengono enunciati i principi su cui impostare le politiche nazionali ed internazionali e vengono posti in evidenza i problemi globali
che devono coinvolgere responsabilità ed azioni di tutti gli stati. Da questa scaturiscono tre
documenti principali: la Dichiarazione di Rio sull'ambiente e lo sviluppo, la Dichiarazione autorevole di principi sulle foreste e l’Agenda XXI, programma d’azione ambientale della comunità internazionale.
 1992 V° Programma d'azione della Comunità europea.
Il V° Programma d'azione dell'Unione Europea a favore dell'ambiente, sottotitolato "per uno
sviluppo durevole e sostenibile", ha introdotto importanti novità nella politica ambientale comunitaria: è la contestualizzazione in sede comunitaria dei principi introdotti dalla Conferenza
di Rio e, in particolare, dall'Agenda XXI.
 1993Piano nazionale per lo sviluppo sostenibile.
In Italia viene emanato il "Piano nazionale per lo sviluppo sostenibile, in attuazione dell'Agenda XXI" (provv. CIPE del 28/12/93): di fatto è un esame dello stato di attuazione delle politiche ambientali in atto, senza apportare sostanziali novità nella politica ambientale italiana.
 1994 Carta di Aalborg.
È il primo passo dell'attuazione dell'Agenda XXI locale, firmata da oltre 300 autorità locali
durante la "Conferenza europea sulle città sostenibili": vengono definiti i principi base per
uno sviluppo sostenibile delle città, che devono mantenersi in stretto contatto fra loro, e gli
indirizzi per i piani d'azione locali
 1996 Conferenza di Lisbona.
È un aggiornamento della carta di Aalborg in senso più applicativo, promuovendo strumenti
operativi (indicatori, gestione ambientale, VIA, EMAS, ecc.) e socio-politici (partecipazione,
consenso, cooperazione)
 1997 Convenzione sul Clima.
A Kyoto i paesi industrializzati si impegnano a ridurre del 5,2% le emissioni di CO2 (principale responsabile dell’effetto serra) nell’arco di 10-12 anni.
 1998 Convenzione di Aahrus.
Convenzione sull'accesso alle informazioni, la partecipazione del pubblico ai processi decisionali e l'accesso alla giustizia in materia ambientale, firmata ad Aarhus il 25 giugno 1998,
mira sostanzialmente a sollevare il velo sulla segretezza ambientale ed a rafforzare i diritti
ambientali dei cittadini. Ad oggi è stata ratificata da Albania, Armenia, Azerbaijan, Bielorussia, Danimarca, Estonia, Georgia, Ungheria, Italia, Kayakistan, Kyrgystan, Repubblica Moldava, Romania, l'ex Repubblica Jugoslavia della Macedonia, Tajikistan, Turkmenistan ed Ucraina.
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La Convenzione di Aarhus mira ad assicurare che tutti abbiano accesso alle informazioni di
carattere ambientale e tende ad evitare che i governi insabbino i disastri ambientali. Ciò dovrebbe prevenire qualunque tipo di ripetizione delle smentite e la confusione che seguirono al
disastro di Chernobyl nel 1986. La Convenzione permette inoltre ai cittadini comuni di avere
voce nel processo decisionale che incide sul loro ambiente, come ad esempio sull'ubicazione
delle discariche di rifiuti tossici. In ultimo, la convenzione mira ad assicurare che le autorità
pubbliche e gli inquinatori che contravvengono alle regole possano essere citati in giudizio sia
dai singoli che da organizzazioni non governative.
2000 III Conferenza Europea sulle Città sostenibili
A Hannover le Autorità locali di 32 paesi europei e regioni confinanti si incontrano per un bilancio sui risultati conseguiti dalla Carta di Aalborg e per concordare una comune linea d'azione nei futuri sviluppi. Il documento prodotto è L'Appello di Hannover, rivolto alla Comunità Internazionale, alle Istituzioni Europee, ai Governi nazionali e locali, ai vertici dell'Economia e della Finanza, a tutti gli attori coinvolti e coinvolgibili in processi di Agenda 21 affinché agiscano in clima di cooperazione.
2001 III Conferenza ambientale UE e VI Piano di Azione ambientale 2001-2010
Si tiene a Goteborg la III Conferenza ambientale UE. E' una delle conferenze ambientali dei
Ministri e dei leader politici regionali dell'Unione Europea. Il documento prodotto è la Risoluzione di Goteborg. La Risoluzione riguarda tre argomenti principali: l'attuazione e gli ulteriori sviluppi della legislazione ambientale della U.E.; i processi dell'Agenda 21 Regionale; il
"greening" dei fondi strutturali.
In questo stesso anno viene presentato a Bruxelles dall’Unione Europea il VI Piano di Azione
ambientale 2001-2010 “Ambiente 2010: il nostro futuro, la nostra scelta”.
Il Programma ruota attorno a quattro aspetti fondamentali: cambiamento climatico, ambiente
e salute, natura e biodiversità, gestione delle risorse naturali. Sottolinea inoltre l'importanza di
nuove forme di partecipazione di cittadini e imprese. Il VI Programma di Azione Ambientale,
in sintesi, delinea gli obiettivi e le priorità ambientali della strategia UE per lo sviluppo sostenibile e illustra in dettaglio le misure da intraprendere. Viene sottolineata l'importanza dell'integrazione delle politiche ambientali in tutte le aree politiche e si ribadisce che non può esserci protezione ambientale e sviluppo sostenibile senza un profondo cambiamento dei comportamenti che è possibile soltanto con lo strumento dell'educazione.
Il 12 gennaio 2001 è la data della Risoluzione dell’Unione Europea 13982/2000 sulla qualità
architettonica dell’ambiente urbano e rurale. La risoluzione deriva dalla spinta innovativa del
Forum Europeo per le Politiche Architettoniche, organismo non istituzionale, composto da 15
paesi membri dell’Unione Europea. Gli obiettivi di questo Forum sono lo sviluppo e
l’incoraggiamento per un’architettura di qualità e la realizzazione di azioni comuni in Europa.
Delinea gli obiettivi e le priorità ambientali della strategia UE per lo sviluppo sostenibile e illustra in dettaglio le misure da intraprendere. Viene sottolineata l'importanza dell'integrazione
delle politiche ambientali in tutte le aree politiche si ribadisce che non può esserci protezione
ambientale e sviluppo sostenibile senza un profondo cambiamento dei comportamenti che è
possibile soltanto con lo strumento dell'educazione.
In Italia, Il 27 febbraio 2004 è stato definitivamente approvato dal Consiglio dei Ministri il disegno di “Legge quadro sulla qualità architettonica” che dà attuazione alla Risoluzione sulla
qualità architettonica dell’ambiente urbano e rurale.
2002 World Summit on Sustainable Development
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Si tiene a Johannesburg il World Summit on Sustainable Development, Il Vertice mondiale
sullo Sviluppo sostenibile. Il Summit rappresenta un'occasione per incoraggiare la realizzazione degli obiettivi fissati a Rio de Janeiro e definisce nuovi impegni politici da parte di tutti
i Paesi nel cammino verso lo sviluppo sostenibile. Nel documento Rio + 10 viene convenuto
un monitoraggio e il proseguimento dei lavori ed identificati gli obiettivi più specifici in materia di sviluppo sostenibile: valutazione del progresso nell'attuazione dell'Agenda 21; adozione
di Strategie Nazionali per lo Sviluppo Sostenibile; fattori nuovi che richiedono cambiamenti
di strategia e correzioni di errori.
2004 IV Conferenza europea sulle città sostenibili Aalborg +10
Si tiene ad Aalborg la IV Conferenza europea sulle città sostenibili, chiamata anche Aalborg
+10. I rappresentanti di 110 amministrazioni locali approvano gli "Aalborg Commitments" e
sottoscrivono il documento come dichiarazione finale della Conferenza. I 10 Aalborg Commitments sono progettati per dare maggiore incisività alle azioni di sostenibilità locale e per
fornire nuovi impulsi ai processi di Agenda 21 Locale. Gli obiettivi sono: aumentare la consapevolezza e necessità per i governi locali di attuare politiche integrate in grado di affrontare
le sfide crescenti della sostenibilità; essere strumento pratico e flessibile.
2006 Strategia europea per lo sviluppo sostenibile
Viene presentata a Bruxelles la Strategia europea per lo sviluppo sostenibile 2006. Il Consiglio europeo adotta una strategia, rinnovata, ambiziosa e globale, dell'UE per lo sviluppo sostenibile. Nel Documento della Strategia vengono individuate sette sfide principali:
1 Cambiamenti climatici e energia pulita;
2 Trasporti sostenibili;
3 Consumo e Produzione sostenibili;
4 Conservazione e gestione delle risorse naturali;
5 Salute pubblica;
6 Inclusione sociale, demografia e migrazione;
7 Povertà mondiale e sfide dello sviluppo.
2007 V Conferenza europea sulle Città sostenibili e Carta di Lipsia
Si tiene a Siviglia, dove viene stabilito che la Campagna Europea Città Sostenibili continuerà
a diffondere la Carta di Aalborg e gli Impegni di Aalborg sostenendo le amministrazioni locali partecipanti. Con la Dichiarazione di Siviglia viene dichiarato e sottoscritto che la Campagna Europea Città Sostenibili offrirà una piattaforma europea attiva per informare e assistere i
Governi nazionali e le Istituzioni Europee, valuterà e controllerà il lavoro realizzato in relazione agli Impegni di Aalborg.
In questo anno viene predisposta dalla presidenza tedesca dell’UE “La Carta di Lipsia sulle
città europee sostenibili”. Gli Stati membri si impegnano a procedere con atti di pianificazione urbana integrata quale condizione essenziale per lo sviluppo sostenibile delle città europee,
utilizzando strategie per la valorizzazione del tessuto urbano, il miglioramento delle economie
locali e del mercato del lavoro, i mezzi di trasporto non inquinanti l’integrazione sociale.
2009 15esima Conferenza delle Nazioni Unite dedicata al clima
Si tiene a Copenhagen dal 7 al 18 dicembre 2009 la 15esima Conferenza delle Nazioni Unite
dedicata al clima. Si conclude con l’accordo di Copenhagen che non indica obiettivi di riduzione delle emissioni gas serra, né globali, né ripartiti per Paese, né per il 2020 né per altre da-
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te, né indica l'impegno ad arrivare ad un nuovo Trattato internazionale, legalmente vincolante,
per mitigare la crisi climatica. Per questo viene da molti considerato un flop.
Contiene, invece, due allegati, in bianco, dove i Paesi industrializzati dovranno scrivere, entro
gennaio 2010, non i loro impegni di riduzione, ma le misure che intendono prendere. Contiene infine un impegno di finanziamento per politiche e misure di mitigazione e di adattamento
di 30 miliardi di dollari per il periodo 2010-2012 di 100 miliardi di dollari entro il 2020, che
dovrebbero essere versati dai Paesi industrializzati ai Paesi in via di sviluppo, anche se non è
precisata la suddivisione di tali versamenti fra i Paesi industrializzati.
2012 Rio+20: Conferenza dell’ONU sullo sviluppo sostenibile
Quarant'anni dopo la Conferenza di Stoccolma sull'ambiente e vent'anni dopo quella sull'ambiente e lo sviluppo tenutasi a Rio de Janeiro, la comunità internazionale si ritrova per rinnovare l'impegno politico a favore dello sviluppo sostenibile, esaminare le lacune e i progressi
nell'attuazione delle decisioni precedenti ed individuare soluzioni per le nuove sfide. I temi
principali riguardano l'economia verde nell'ambito dello sviluppo sostenibile, la lotta alla povertà e la riforma della governance in materia di sostenibilità e ambiente all'interno dell'ONU.
Si è inoltre discusso in merito alla creazione di obiettivi globali di sostenibilità e all'adozione
di un piano d'azione volto a promuovere lo sviluppo sostenibile.
Il documento finale contiene alcuni punti potenzialmente decisivi nell'ambito dello sviluppo
sostenibile:
• è stato avviato un processo per l'elaborazione di obiettivi nell'ambito dello sviluppo sostenibile. Tali obiettivi sono importanti al fine di indicare la necessità d'intervento in ogni Paese e
di poter paragonare e valutare l'evoluzione dello sviluppo sostenibile;
• il tema dell'economia verde (green economy) è stato per la prima volta inserito nella principale agenda politica. Nel documento finale si riconosce esplicitamente che l'economia verde
può contribuire allo sviluppo sostenibile e alla lotta contro la povertà;
• è stato approvato un programma decennale per un comportamento di consumo e di produzione sostenibile. Il programma rappresenta uno strumento concreto per promuovere un modello di consumo e di produzione sostenibile e, quindi, realizzare un'economia più verde.
• è stata varata la formazione di un forum politico di massimo livello per lo sviluppo sostenibile, che dovrebbe sostituire la Commissione per lo sviluppo sostenibile. Le relative funzioni
sono state definite e il processo di realizzazione delle stesse è stato avviato;
• il Programma delle Nazioni Unite per l'ambiente (UNEP) è stato rafforzato introducendo l'adesione universale che includerà in futuro tutti i Paesi. In tal modo viene consolidata l'autorità politica e la legittimità dell'UNEP;
• infine si sono registrati dei progressi in settori specifici quali l'agricoltura e la sicurezza alimentare, la gestione dei prodotti chimici e dei rifiuti, la salute pubblica e le catastrofi naturali.
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I DIVERSI APPROCCI ALLO SVILUPPO SOSTENIBILE
2.1 L'approccio funzionalista
Nell'approccio funzionalista le politiche ambientali sono concepite come un aspetto settoriale
della pianificazione dello sviluppo, che continua ad essere governato dalle tradizionali leggi
economiche di produzione e di consumo. Lo sviluppo deve essere compatibile con le esigenze
di sopravvivenza e di riproducibilità della base fisica sulla quale esso si fonda: è in questa logica che va tutelato sia l'uomo (in quanto produttore e consumatore) che le risorse (in quanto
elementi essenziali per la produzione). La tecnica, secondo questo approccio, é (o sarà) in
grado di risolvere qualsiasi problema ambientale, di alimentazione e di salute.
La crisi ambientale si risolve adottando il mercato come strumento autoregolatore (espansione
dell'offerta e della domanda di beni e di qualità ambientali, monetizzazione di questi ultimi) e
attraverso misure correttive: dispositivi per la riduzione delle emissioni inquinanti (depuratori,
inceneritori, marmitte catalitiche, ecc.), procedure di VIA, piani di emergenza per le aree ad
alto rischio ambientale, tasse ecologiche, principio del "chi inquina paga", ecc.
Secondo questa concezione di sviluppo sostenibile il primato spetta comunque all'economia: i
valori ambientali sono sempre concepiti come esternalità e sono comprensibili e valutabili solo per quella parte che risulta monetizzabile: in questo senso vengono generalmente trascurati
o sottovalutati i rischi e i danni a lungo termine, la qualità estetica, il rispetto delle culture locali, ecc . In sintesi i caratteri distintivi (ed i limiti) di quest'approccio sono sinteticamente
riassumibili:
- prevalenza di normative ed interventi che tendono ad agire a valle dei fenomeni di degrado e
che non sono in grado di contrastare con continuità il riprodursi di tali fenomeni;
- scarsa attenzione nei confronti dei processi di artificializzazione e di semplificazione degli
ecosistemi;
- trasferimento della questione ambientale ai paesi poveri, dovuta principalmente alla subordinazione della qualità ambientale alla domanda di mercato di una popolazione attestata su
livelli di benessere medio-alti;
- territorio concepito come elemento astratto, spogliato nella sua identità e negato nella sua
memoria storica;
- forme di insediamento condizionate più dai principi di razionalità economica che dalle caratteristiche ambientali;
- più in generale, il concetto di sostenibilità è subordinato a quello di "capacità di carico".
La sostenibilità è assimilata ai limiti ammissibili di consumo di risorse, di sfruttamento di un
territorio, di inquinamento dell'ambiente, dove i limiti sono stabiliti dalla scienza ufficiale e
ratificati dalla sfera politico-amministrativa: cosa, come e dove produrre entro questi limiti lo
decidono le imprese, il mercato.
Ma quanto sono attendibili questi limiti? e come può avere successo l'opera mediatrice della
sfera politico-amministrattiva tra mondo tecnico-scientifico ed esigenze di mercato, in vista di
un equilibrio che si vorrebbe socialmente condiviso?
2.2 L'ambientalismo scientifico
Nell'ambientalismo scientifico viene compiuto uno spostamento di ottica fondamentale rispetto all'approccio funzionalista: la natura, i sistemi ambientali hanno diritti che devono essere
rispettati, pena anche la decadenza del sistema antropico. In questo approccio la sostenibilità
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ha valore di interazione reciproca tra insediamento antropico e ecosistema naturale: la salvezza dell'economia dell'uomo è subordinata alla ricostruzione dell'economia della natura.
Rispetto all'approccio funzionalista, esclusivamente regolativo e tutto teso alla ricerca dei limiti, l'ambientalismo scientifico assume un'ottica più propositiva e progettuale: la sostenibilità
diventa la condizione strutturale dello sviluppo economico (se nel primo approccio si può parlare di sviluppo compatibile, è con l'ambientalismo scientifico che assume un senso il concetto di sviluppo sostenibile).
Le tesi dell'ambientalismo scientifico trovano immediato riscontro nelle teorie dell’economia
ecologica, dove si assume che tutti gli scambi che si verificano nell'ambiente naturale e antropico sono analizzabili mediante una matrice di input-output. Nell'ecologia viene considerato
come input ogni forma di materia e di energia, e come output ancora la materia e l’energia
(trasformate nell'ambito dell'ecosistema), mentre i produttori di output sono i trasformatori
viventi e non viventi di materia ed energia (piante, animali, batteri; idrosfera, atmosfera, litosfera).
Per chiarire meglio questo punto occorre considerare il concetto termodinamico di entropia,
una grandezza fisica che misura la quantità di energia che non è più possibile convertire in lavoro.
Secondo il primo principio della termodinamica la quantità di energia totale dell'universo è
costante. Se valesse esclusivamente questo principio si potrebbe usare energia in quantità arbitrarie senza mai rischiare di esaurirla.
Il secondo principio della termodinamica stabilisce tuttavia che ogni volta che l'energia viene
trasformata da uno stato a un altro (ad es., da energia potenziale a energia cinetica) è necessario pagare un prezzo, rappresentato da una perdita della quantità di energia disponibile per eseguire in futuro qualunque tipo di lavoro. In altri termini, l'entropia totale dell'universo può
solo aumentare, mai diminuire.
Questa energia non disponibile è ciò che generalmente si chiama inquinamento. Molti pensano che l'inquinamento sia solo l'insieme dei sottoprodotti dei processi produttivi e di consumo. In realtà esso è la somma totale di tutta l'energia disponibile nel mondo che è stata trasformata in energia non disponibile. I rifiuti sono un tipo particolare di energia dissipata. Naturalmente è possibile capovolgere il processo entropico in una parte di un sistema isolato
come la Terra, cioè in un ambito limitato di tempo e di spazio del pianeta, ma solo utilizzando
altra energia e quindi aumentando comunque l'entropia totale del sistema. Questo concetto è
importante quando si parla di riciclaggio.
Molti credono che quasi ogni cosa che usiamo possa essere completamente riciclata e riutilizzata, purché si riesca a mettere a punto una tecnologia appropriata. Questo non è assolutamente vero. Anche se un riciclaggio più efficiente sarà essenziale per la sopravvivenza economica
del pianeta, non è possibile attuare un riciclaggio del 100%. Per il riciclaggio è necessario utilizzare nuova energia per la raccolta, il trasporto e la lavorazione dei materiali usati e questo
determina un aumento dell’entropia totale dell'ambiente.
Le risorse terrestri sono di due tipi:
- quelle rinnovabili in tempi a misura d'uomo
- quelle rinnovabili soltanto in tempi geologici che, dal punto di vista antropico, devono essere considerate non rinnovabili.
Le risorse terrestri non rinnovabili sono limitate nella quantità totale disponibile. Quelle rinnovabili, se sfruttate fino all'esaurimento, diventano uguali a quelle non rinnovabili. Il flusso
di energia solare e il processo di fotosintesi clorofilliana sono indispensabili per generare le
risorse materiali che sono necessarie per la sopravvivenza del pianeta e dunque dell'economia:
senza il continuo fluire di energia solare e l'abilità delle piante di catturare parte di questa e11
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nergia grazie al processo di fotosintesi, l'intero sistema, economia inclusa, collasserebbe in
breve tempo. Questo flusso rappresenta una fonte di energia disponibile praticamente illimitata nella quantità totale, ma rigorosamente limitata nel modo e nella velocità in cui si rende disponibile sulla Terra. Tutto ciò pone dei limiti alla crescita, che al contrario di quanto affermano molti esponenti dell’economia tradizionale, non può essere illimitata.
Quando i processi di produzione e consumo sono più veloci del tempo impiegato dall'ecosistema a ricostituire le risorse utilizzate, l'intero ecosistema collassa perché non ha più il tempo
necessario per assorbire, attraverso cicli biogeochimici, i rifiuti prodotti nell'ambito di questi
processi e per ricostituire, ad opera dell'energia solare, nuove strutture a bassa entropia.
2.3 L'approccio territorialista8
L'approccio territorialista è orientato alla definizione di modalità insediative che producano la
rinascita del territorio. La questione della sostenibilità dello sviluppo viene impostata mettendo in evidenza le regole genetiche dello sviluppo stesso.
Il concetto chiave è quello di sviluppo locale autosostenibile, dove il termine locale vuole
mettere in evidenza la valorizzazione delle risorse territoriali e l'identità di un luogo, mentre
autosostenibile sta ad indicare l'importanza di una ricerca di regole insediative produttrici di
omeostasi9 locali e di equilibri di lungo periodo tra insediamento umano e ambiente. Il punto
fondamentale dell'approccio è l'assunzione del territorio come elemento di riferimento dello
sviluppo locale autosostenibile al fine di costruire un insieme di relazione virtuose tra le sue
componenti costitutive.
L'approccio valorizza il territorio per tutelare l'ambiente fisico secondo un'ottica diretta a difendere la qualità della vita della specie umana (la qualità della vita comprende la qualità ambientale, ma non è sempre vero il contrario; basti pensare quanto, a volte, sono sgradevoli gli
edifici e i quartieri ecologici!). II paesaggio, in quanto manifestazione visibile dei processi di
co-evoluzione tra società locale e ambiente fisico, contiene in se i concetti di tempo e di relazione. Secondo l'approccio territorialista il degrado ambientale è la conseguenza di un processo di destrutturazione delle relazioni e delle proporzioni tra ambiente naturale, antropico e
costruito.
Per pervenire a condizioni di sviluppo sostenibile occorre pertanto individuare una serie di atti
che ricostruiscano quelle relazioni e che non possono riguardare esclusivamente l'ambiente
naturale ma anche le varie componenti del territorio. In pratica occorre alimentare la cura, la
rinascita e la crescita dei luoghi, intesi come "organismi viventi ad alta complessità" prodotti
dall'incontro tra eventi culturali e natura, dotati di identità, storia, carattere, occorre comprendere le regole che hanno consentito uno sviluppo armonico del territorio, inteso come sistema
integrato, e individuare nuove regole progettuali che contengano in se gli elementi generatori
di nuovi equilibri, di qualità sociale, ambientale ed estetica.
Lo scopo della pianificazione non può essere solo la salvaguardia ambientale, ma la qualità
del territorio e dell'abitare: abitare come fatto complesso che presuppone il radicamento in un
luogo specifico, che va vissuto, difeso, progettato, trasformato, del tutto diverso dal concetto
di abitare inteso come una delle funzioni - il risiedere - nelle quali l'urbanistica modernista ha
8 cfr. Magnaghi A. (la cura di) Il territorio dell'abitare, F. Angeli, Milano, 1994; Magnaghi A. e Paloscia R. (a cura di), Per una trasformazione ecologica degli insediamenti, F. Angeli, Milano, 1992; Magnaghi A. (a cura di), ll territorio degli abitanti, Dunod Italia, Milano,
1998.
9 Capacità di mantenere il proprio stato di equilibrio al mutare delle condizioni esterne
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separato l'organizzazione e l'uso della città industriale. Se la produzione moderna considera
l'abitante come il "consumatore" del "prodotto abitazione", l'approccio territorialista vuole restituire all'abitante un ruolo attivo di produttore diretto di manufatti e significati, e all'abitare
la sua dimensione processuale: da qui l'importanza delle pratiche di partecipazione, di autoproduzione, di autocostruzione.
Secondo l'approccio territorialista il termine "sviluppo" va allora inteso come sviluppo delle
culture, dei soggetti economici e delle tecniche in grado di avere cura dei bisogni fondamentali e, contemporaneamente, promuovere ecosviluppo, come la crescita delle società locali, il
rispetto delle differenze e delle specificità culturali, I'individuazione di modalità dell'abitare
fondate su nuovi principi quali l'autodeterminazione, la produzione di ricchezza riferita ai valori territoriali, il raggiungimento di equilibri ecosistemici alla scala locale.
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IL RUOLO DELL’AMBIENTE NEL PROCESSO DI PIANO
La Pianificazione territoriale più recente ed i nuovi quadri normativi delle Regioni che hanno
provveduto ad aggiornarli negli ultimi anni) sembrano fondarsi, nella maggior parte dei casi,
su di un presupposto: la pianificazione non può essere unicamente “urbanistica” in senso tradizionale; non può occuparsi solo di regolare i processi di urbanizzazione. Essa deve farsi carico, il più compiutamente possibile, delle esigenze della tutela del paesaggio e dell’ambiente:
deve attribuire “specifica considerazione ai valori” del paesaggio e dell’ambiente. Di conseguenza l’applicazione coerente della legge comporta il fatto che, nel processo di pianificazione, la valutazione delle caratteristiche dell’ambiente e la definizione delle condizioni poste
dall’ambiente (dall’esigenza della sua tutela nel duplice senso di valorizzarne e conservarne le
risorse e di evitarne i rischi) sono preliminari rispetto alle scelte di trasformazione del territorio.
Prima si stabilisce quali sono le condizioni che la tutela delle qualità e delle risorse pone alle
trasformazioni, e solo dopo, all’interno della griglia di possibilità così determinate, si decidono le trasformazioni. Ciò è deducibile dal rilevante peso che viene attribuito alla conoscenza
dell’ambiente. Infatti il “quadro descrittivo” o la “descrizione fondativa” della legge ligure, il
“quadro conoscitivo” di quella toscana da allegare ai diversi piani di tipo strutturale non sono
unicamente elaborati di analisi. Da essi discendono specifiche prescrizioni, le quali hanno un
particolare valore perché nel caso dei livelli provinciale e comunale sono effettivamente gli
elementi “fondativi” delle scelte di trasformazione territoriale.
Si può quindi certamente affermare che le nuove leggi urbanistiche regionali pongono la tutela delle qualità del territorio, della stratificazione storica in esso rappresentata, degli elementi
naturali e storici che costituiscono la risorsa essenziale per uno sviluppo sostenibile, e la salvaguardia dai rischi di degrado e di collasso (in sintesi: la tutela dell’identità culturale e
dell’integrità fisica) come la base, il fondamento, del processo di trasformazione del territorio.
Vanno infatti nella medesima direzione altri elementi previsti dalle nuove normative, quali lo
“studio di sostenibilità ambientale”, prescritto per le trasformazioni territoriali definite dai diversi livelli di piano per ricondurre all’interno del processo di pianificazione l’esigenza che
sta alla base della “Valutazione d’impatto ambientale”: quello di garantire adeguati livelli di
equilibrio tra esigenze di sviluppo ed esigenze di tutela.
In assenza di una legge nazionale in materia, le più recenti leggi urbanistiche regionali hanno
reso obbligatoria la valutazione di compatibilità ambientale delle previsioni dei piani, ad ogni
livello (Regionale, Provinciale, Comunale); nelle regioni che non hanno aggiornamento la legislazione urbanistica si è comunque provveduto in materia con legislazione specifica. I nuovi
quadri normativi prevedono generalmente, insieme a specifiche valutazioni degli effetti ambientali, attività valutative preliminari, di tipo strategico (“valutazioni strategiche”)10, che
hanno lo scopo di definire le condizioni per la trasformabilità delle risorse territoriali.
Le valutazioni strategiche si applicano alle azioni di trasformazione11 individuate nelle loro
prestazioni e connotazioni generali, quando lo strumento di pianificazione che le preveda rimandi ad altro strumento la loro ulteriore definizione urbanistica.
10 La valutazione strategica consiste nella raccolta ed elaborazione di elementi conoscitivi e nella formulazione di norme
metodologiche, criteri e parametri di riferimento per le scelte di pianificazione e programmazione territoriale e di indirizzo per successive fasi di valutazione.
11 Le azioni di trasformazione sono interventi previsti ed esplicitamente individuati negli strumenti urbanistici tramite localizzazioni puntuali, destinazioni d’uso e/o specifiche discipline urbanistico-edilizie, la cui realizzazione comporti significative modificazioni dello stato delle risorse essenziali. Sono generalmente considerate azioni di trasformazione soggette
a valutazione:
a) tutte le azioni di trasformazione che richiedono nuovi impegni di suolo a fini insediativi e infrastrutturali;
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Queste attività valutative sono presupposto per le valutazioni vere e proprie che hanno carattere operativo12. Le valutazioni operative non prendono in considerazione un atto di pianificazione territoriale nel suo insieme ma si applicano alle singole azioni di trasformazione. Esse
hanno come esito l’eliminazione o la mitigazione degli effetti ambientali negativi. Queste valutazioni si applicano ad azioni non assoggettate ad ulteriore elaborazione urbanistica di dettaglio, indipendentemente dal piano o programma dal quale siano previste. Le valutazioni operative sono generalmente previste quando sia dimostrata la necessità di nuovi impegni di
suolo, e/o di dotazioni di infrastrutture e servizi necessari per i nuovi insediamenti e gli interventi di sostituzione dei tessuti insediativi.
b) i nuovi insediamenti e gli interventi di sostituzione dei tessuti insediativi.
In particolare, si definiscono:
- nuovi impegni di suolo a fini insediativi e infrastrutturali: tutte le localizzazioni e i tracciati esterni al perimetro dei centri
abitati individuati dal piano, nonché i nuovi impegni di suolo previsti all’interno del suddetto perimetro in sostituzione di
aree verdi, spazi aperti, ecc. per interventi di edificazione di qualunque natura o per la realizzazione di infrastrutture;
- nuovi insediamenti: tutti gli insediamenti non preesistenti ma previsti dal PSC o dal Piano Operativo Comunale, ivi compresi gli interventi di ristrutturazione del patrimonio edilizio esistenti che prevedono l’impegno di nuove porzioni di suolo, così come stabilito nel PSC o dal Piano Operativo Comunale;
- interventi di sostituzione dei tessuti insediativi esistenti: tutti gli interventi urbanistici sul patrimonio edilizio o urbanistico
esistente che ne modificano l’impianto urbanistico, per i quali il PSC prevede che siano regolati con un piano attuativo.
12 Per valutazione operativa si intende una procedure a contenuto tecnico-scientifico avente lo scopo di fare esprimere un
giudizio sulla ammissibilità dell’azione di trasformazione in esame in relazione alle finalità della legge e ai contenuti degli
strumenti urbanistici di riferimento.
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