EBITEMP brochure per pdf - Centro Studi Marco Biagi

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EBITEMP brochure per pdf - Centro Studi Marco Biagi
Lavoro in somministrazione
e Accesso al credito
esperienze e proposte
Consiglio Nazionale
dell'Economia e del Lavoro
Sala della Biblioteca
Roma, 13 aprile 2005
Lavoro in somministrazione
e Accesso al credito
esperienze e proposte
Consiglio Nazionale
dell'Economia e del Lavoro
Sala della Biblioteca
Roma, 13 aprile 2005
Indice
Apertura lavori
Enrico Marro
Corriere della Sera
1
Relazioni
Vincenzo Mattina
Presidente Ebitemp
4
Luigi Scrivani
Vice Presidente Ebitemp
6
Interventi
Gianni Bocchieri
Presidente APLA
10
Alessandro Brignone
Direttore AILT
12
Nicoletta Rocchi
Segretario Confederale CGIL
14
Mons. Paolo Tarchi
Direttore Ufficio Nazionale per i
problemi sociali e il lavoro CEI
18
Giuseppe Zadra
Direttore Generale ABI
21
Massimo Macchitella
Responsabile Funzione Family Area Retail
Banca di Roma
26
Giorgio Occhipinti
Responsabile Direzione Retail
Banca Monte dei Paschi di Siena
31
Carlo Fabio Canapa
Segretario Confederale UIL
33
Marco Serioli
Direzione Marketing Poste Italiane
37
Michele Amoroso
Presidente CONFINTERIM
41
Ivan Guizzardi
Presidente ALAI CISL
43
Sergio Veroli
NIdiL CGIL Nazionale
46
Francesco Salvaggio
Segretario Generale CONFINTERIM
47
Conclusioni
Vincenzo Mattina
Presidente Ebitemp
50
Appendice
Nota dell'Osservatorio - Centro Studi
54
Apertura lavori
Enrico Marro
«Corriere della Sera»
Moderatore
Buongiorno. Siamo qui oggi per un'iniziativa importante, perché, come sapete, vogliamo
discutere del fondo di garanzia per l'accesso ai crediti personali a favore dei lavoratori in
somministrazione, fortemente voluto da Ebitemp. E forse questa può essere anche l'occasione
per fare un primo bilancio di questa esperienza che va avanti ormai da un paio d'anni e che
ha coinvolto circa 1.200 giovani e non giovani.
Ci sono alcuni dati, secondo me, che possono servire per introdurre questa riflessione.
Sappiamo che più dell'80 per cento degli italiani ha la casa di proprietà, ma nella fascia
giovanile, tra 26 e 35 anni, questa percentuale scende al 35 per cento. Però sappiamo anche
che buona parte dei giovani si presenta sul mercato immobiliare per l'acquisto della casa.
Ma, diciamolo chiaramente, o questi giovani possono contare su un aiuto da parte di papà
e mamma oppure, soprattutto se non hanno un lavoro a tempo indeterminato, incontrano
grandissime difficoltà.
L'iniziativa di Ebitemp è un'iniziativa molto limitata perché, appunto, riguarda i piccoli
prestiti, però certamente può aprire il campo ad altre iniziative, più importanti, come quelle
sui mutui casa. E su questo poi sentiremo dalle banche come si stanno muovendo.
Intanto chiederei al presidente di Ebitemp Vincenzo Mattina di fare la sua relazione
introduttiva.
1
Relazioni
Enzo Mattina
Presidente Ebitemp
Ebitemp, l'ente bilaterale per il lavoro temporaneo, nel suo breve arco di vita, si è dato
l'obiettivo di costruire un sistema di tutele aggiuntive a quelle istituzionali a favore dei
lavoratori temporanei, oggi ridefiniti, a seguito della legge 30/2003, somministrati.
In questo quadro si colloca l'istituzione di un fondo di garanzia per l'accesso ai crediti
personali, la polizza assicurativa infortuni, la tutela sanitaria integrativa, che andrà in
funzione dal prossimo mese. Stiamo studiando anche l'istituzione di un fondo pensione
complementare.
Oggi vogliamo cominciare a discutere intorno alla possibilità per i lavoratori somministrati di
accedere ai mutui per l'acquisto della casa, un bene che rappresenta soprattutto per i giovani
la chiave per il raggiungimento dell'autonomizzazione dalla famiglia e il primo tassello per la
costruzione di un progetto di vita.
I lavoratori assunti dalle Agenzie per il lavoro e inviati a svolgere le loro prestazioni lavorative
presso imprese terze sono per l'80% giovani al di sotto dei 35 anni; nel 2003 sono stati
171.700 su un totale di 215.000 unità.
Questi lavoratori fruiscono di contratti a tempo limitato, ma assolutamente speculari a quelli
dei lavoratori con contratto a tempo indeterminato in forza alle imprese utilizzatrici.
Questa condizione li discosta dalla platea ben più vasta dei lavoratori atipici, i cui contratti di
lavoro sono altrettanto limitati nel tempo, ma del tutto arbitrari nei trattamenti salariali e
contributivi.
È parte costituente di questa specifica condizione anche il supporto formativo che viene
assicurato attraverso le contribuzioni del 4% versate al fondo Formatemp. E non a caso la
somma di esperienze lavorative e di formazione si è rivelato un fattore di acquisizione di
visibilità e di competenze, che agevola la stabilizzazione lavorativa per una quota non
inferiore al 30% dei lavoratori impiegati ogni anno dalle Agenzie.
La discontinuità lavorativa rende, in ogni caso, critica la possibilità di fruizione di determinati
servizi bancari, soprattutto la concessione di mutui per l'acquisto della casa.
Nell'ultimo anno abbiamo constatato che qualche grande Istituto bancario si è aperto verso i
lavoratori privi di rapporti di lavoro a tempo indeterminato.
Prendiamo atto di questa apertura e ce ne compiaciamo, ma riteniamo che si possa fare di più
e meglio. Ci rendiamo, peraltro, conto che un singolo Istituto bancario non può esporsi oltre
certi limiti.
La riflessione di oggi deve, innanzi tutto, soffermarsi sulla individuazione di requisiti meno
rigidi per l'accesso ai mutui, nel senso che è una irrisolubile contraddizione la richiesta di
continuità lavorativa per almeno tre anni a chi fruisce di contratti di lavoro discontinui. Un
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lavoratore a progetto, che gode di certezze retributive e contributive pari a zero, potrebbe
trovarsi in una posizione più favorevole di un lavoratore somministrato.
In secondo luogo, è necessario rendere l'interruzione lavorativa meno problematica,
prevedendo maggiore elasticità e minore discrezionalità da parte dell'Istituto di credito nella
sospensione del pagamento delle rate e nella posposizione a costo quasi zero.
Le parti sociali, tramite l'ente bilaterale, potrebbero istituire un nuovo fondo di garanzia, ma
non sarebbe sufficiente; mi chiedo, allora, se le banche non possano dar vita ad un fondo
interbancario in modo da accrescere la massa di risorse diponibili per i mutui casa.
Mi chiedo, altresì, se il Governo non possa intervenire a sua volta, attivando un ulteriore
canale di garanzia.
In poche parole, una combinazione di interventi della bilateralità, della Pubblica
amministrazione, del sistema bancario, potrebbe ben dar vita a un progetto che renda
l'acquistabilità della casa alla portata di tutti, anche di chi non dispone di un reddito certo e
continuativo. Come strutturare questa combinazione è materia di valutazione giuridica ed
economica; in questa sede confidiamo di poter raccogliere disponibilità e proposte.
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Moderatore
Grazie al presidente Mattina. Adesso chiederei al vicepresidente Scrivani di raccontarci più da
vicino l'esperienza dei prestiti personali per i lavoratori temporanei in modo da avere altri
elementi di valutazione. Ha funzionato questa esperienza?
Luigi Scrivani
Vice Presidente Ebitemp
Il rapporto contenuto in cartella e preparato dall’Osservatorio-Centro Studi di Ebitemp,
rappresenta e sintetizza l’esperienza, quasi biennale, che l’Ente sta attuando a favore dei
lavoratori in somministrazione a tempo determinato (ex interinali). I dati che abbiamo
raccolto e che ci consentono un monitoraggio costante ( l’apposita Commissione paritetica
costituita presso l’Ente lavora con riunioni settimanali per esaminare e decidere le erogazioni
dei prestiti), ci consentono altresì di tracciare un’identità del lavoratore-consumatore in
oggetto, e di affinare le conoscenze delle caratteristiche della domanda. Nel contempo, i dati
ci permettono di fare giustizia delle approssimazioni con le quali i lavoratori in
somministrazione e quelli atipici sono spesso indicati, quasi fossero espressione di un
modello antropologico indefinito.
La domanda che noi raccogliamo é quella di un lavoratore-consumatore assolutamente tipico:
tipico nelle propensioni generali al consumo e nelle aspirazioni ad accedere al credito per
motivazioni più importanti e impegnative dei prestiti al consumo, per programmare scelte
incisive della propria vita. Tipico, anche, nelle motivazioni addotte alle richieste dei prestiti,
che coincidono con quelle di Assofin e delle altre banche dati, e che vengono espresse per:
acquisto e manutenzione auto-moto veicoli, acquisto di beni mobili connessi all’abitazione,
spese personali e spese sanitarie. Dai dati che ricaviamo dall’erogazione delle altre nostre
prestazioni, emerge che questi lavoratori utilizzano largamente gli strumenti bancari
comunemente usati. Il 75% di essi, infatti, é titolare di almeno un conto corrente, e si sta
rapidamente diffondendo l’utilizzo di carte ricaricabili.
Precisate le caratteristiche della domanda, l’iniziativa odierna vuole meglio focalizzare quelle
dell’offerta. È indubbio che negli ultimi anni vi sia stato un certo dinamismo e uno sforzo da
parte del sistema creditizio e finanziario per adattare l’offerta ad una domanda in parte
nuova, più composita, che riflette e proietta anche sul versante dei consumi le trasformazioni
avvenute nel mercato del lavoro. Per definire l’utenza alla quale il marketing pare essere
sempre più interessato, vorrei usare, più che terminologie sociologiche o giuslavoriste, una
definizione più rispondente alle categorie del mercato, e cioé quella del lavoratoreconsumatore che non ha costanza di reddito. La tipologia contrattuale di cui noi
specificamente ci occupiamo é relativamente nuova, poiché siamo ormai entrati nell’ottavo
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anno di attività, e a maggior ragione ci pare che domanda e offerta di adeguati prodotti
finanziari non viaggino alla stessa velocità.
Certo, prodotti reclamizzati come “Duttilio”, “Slalom”, “Prestito tutto trasgressivo”, non
richiamano solo esercizi di fantasia semantica, ma quello che il più delle volte appare, é che i
nuovi prodotti, pur ampliando la gamma e le opportunità, siano spesso formule tecniche e
strumenti innovativi che facilitano l’accesso al credito per utenti ancora tradizionali, la cui
base reddituale ha autonome misure di garanzia. Pensiamo si possa fare di più per riconoscere
le garanzie che, percorsi lavorativi meno tradizionali, ma riconducibili a tipologie contrattuali
certe, sono in grado di fornire.
Ad esempio, in certe realtà territoriali, per i lavoratori in somministrazione, la percentuale di
conferma a tempo indeterminato a fine missione, è del 35-40%, e questi mutamenti di status,
in parte programmabili, andrebbero appunto accompagnati da politiche creditizie più flessibili.
Un ultimo accenno voglio fare ad un fenomeno che non é legato al credito, ma che riguarda
molti lavoratori del settore e la funzione esercitata dalle Banche, Poste Italiane comprese.
Come si evince dal nostro rapporto, più della metà dei richiedenti i prestiti sono lavoratori
provenienti da paesi extracomunitari, accentuandone la peculiarità, poiché la quota di questi
lavoratori sul totale dei somministrati a tempo determinato si aggira intorno al 20%, mentre
qui siamo oltre il 50%.
La cosa é spiegabile perché questi lavoratori non hanno quelle reti familiari, parentali e
amicali a cui possono rivolgersi i loro colleghi italiani per avere prestiti personali, e quindi la
nostra prestazione é per loro l’esclusiva possibilità.
Il trasferimento delle rimesse e quindi dei risparmi dei lavoratori immigrati verso i paesi di
origine, costituisce un fenomeno di proporzioni mai viste nella storia dell’umanità. Oltre ai
canali più strani e rischiosi che ci vengono evidenziati, esistono canali legali e regolari
utilizzati dai lavoratori. In particolare, due società multinazionali detengono il monopolio del
settore, e diversi Istituti bancari italiani hanno fatto convenzioni con esse per abbassare i costi
delle operazioni. È ovvio che quanto più saranno favorevoli le condizioni attraverso i canali
regolari, tanto più, anche per noi, sarà facile informare i lavoratori sulle modalità di maggiore
salvaguardia dei loro risparmi e favorirne gradualmente l’utilizzo. Per questo, chiediamo che si
possano fare altre iniziative oltre alle attuali convenzioni, perché, pur se è comprensibile che
vi siano costi onerosi da fronteggiare, è evidente che pagare 22 euro per trasferirne meno di
300 o 50 euro per trasferirne 1.000, non facilita l’intrapresa di azioni di pubblicizzazione a
favore delle opportunità legali.
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Interventi
Moderatore
Bene. Allora, io comincerei la tavola rotonda naturalmente dalle parti sociali, che sono
i protagonisti di questo accordo che ha portato al fondo di garanzia. E quindi partirei
dal presidente dell'Apla, Bocchieri, e dal direttore dell'Ailt, Brignone, chiedendo anche a loro
un giudizio su questa esperienza. Non solo. Vorrei anche che fosse raccolto uno spunto
dalla relazione del presidente Mattina, quando ha chiesto alle parti sociali di riflettere
sulla possibilità di un altro fondo, un fondo più importante, un fondo di garanzia sui mutui
per l'acquisto della casa.
Gianni Bocchieri
Presidente APLA Agenzie per il Lavoro Associate
Il giudizio delle parti sociali sull'esperienza di Ebitemp, io lo proietterei soprattutto guardando
il futuro perché sono convinto che la bilateralità è stato l'elemento attraverso cui far
accettare il lavoro temporaneo. Se non avessimo avuto la bilateralità così come è stata capace
di svilupparsi, non avremmo avuto l'accettazione sociale del lavoro temporaneo nella misura
in cui l'abbiamo avuta. Non per questo, però, credo che siamo alla fine di un percorso, perché
come ricordava il dottor Mattina, la forza lavoro assunta con contratti di lavoro temporaneo
costituisce l'1 per cento rispetto alle assunzioni a tempo indeterminato.
C'è un percorso ancora da compiere, ma questo percorso, secondo me, nel momento in cui è
arrivata la legge 196, poteva essere possibile solamente attraverso il coinvolgimento delle
parti sociali nella bilateralità. In questo ambito non c'è solamente Ebitemp, c'è anche il Fondo
per la formazione Formatemp, già previsto dalla legge. La formazione era un elemento
attraverso cui garantire una professionalizzazione costante, nonostante la discontinuità
presunta nel rapporto di lavoro. Il nostro modello bilaterale, di fonte legislativa e contrattuale,
dimostra che si è potuto fare qualcosa di più, e grazie ad esso si è generata l'esperienza che
oggi commentiamo, che è quella dell'accesso al credito. Questo impianto, dal mio punto di
vista, dovrebbe servire almeno a distinguere il lavoro in somministrazione da tutte le altre
forme di lavoro che, ingenerosamente, vengono definite atipiche.
Sulla definizione di atipico, per quanto riguarda il lavoro in somministrazione o di altre forme
contrattuali, potremmo anche discutere, ma se anche volessimo evitare di soffermarci su
discorsi definitori, io credo che l'esperienza della bilateralità, almeno di per sé, dovrebbe
sdoganare la somministrazione rispetto a quel mondo indistinto di figure che non hanno
avuto la possibilità di costruire intorno alla loro tipicità il sistema che oggi questa bilateralità
è riuscita a costruire. Cosa voglio dire? Voglio dire che dovremmo pensare di smettere di
parlare di atipico nel lavoro in somministrazione, perché l'atipicità del lavoro in
somministrazione non è la stessa delle collaborazioni coordinate continuative, in quanto il
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coinvolgimento delle parti sociali ha potuto dar luogo a questo tipo di iniziative. Ancor di più,
nel lavoro in somministrazione ci sono ulteriori sollecitazioni per andare oltre, e quindi l'idea
di andare oltre il credito al consumo e fare qualcosa in più rispetto al mutuo tradizionale, mi
sembrano aspetti da cogliere con la massima attenzione. L'invito che oggi ci viene rivolto è
quindi da raccogliere, e da questo punto di vista non mi preoccuperei del fatto che
nonostante i reiterati annunci, non si sia ancora riusciti a prevedere la costituzione di un
fondo di garanzia attraverso misure legislative. Io credo, invece, che questo possa essere il
momento in cui gli organismi intermedi siano protagonisti della costruzione di nuove
relazioni sindacali, e questo ci consentirebbe, senza aspettare provvedimenti legislativi, di
dimostrare, oltre a quello di cui siamo stati capaci di fare, di saper raccogliere più
impegnative sfide e di sfruttare questa opportunità, per essere noi stessi a costruire ulteriori
forme di tutele.
Penso che solo in questo modo si possa evitare di finire come quei giapponesi che sparavano
nell'isola del Pacifico quando la guerra già era finita, cioè se c'è una realtà come il lavoro in
somministrazione che ha ormai una sua effettività, salvaguardiamola, riprendiamola in questo
edificio della bilateralità che abbiamo costruito assieme. Proseguiamo nella costruzione, in
modo tale che questa tipologia contrattuale si distingua sempre di più dalle altre forme di
lavoro atipico, perché altrimenti rischieremmo, tra un po' di tempo, di dover parlare di come
creare fondi di garanzia per lavoratori in nero. Mi rendo conto che è una provocazione,
ma la voglio lanciare qui, per rafforzare il senso di cosa intendo, cioè che la bilateralità
è l'elemento che può distinguere la forma di lavoro in somministrazione rispetto
ad altre forme che con noi non ci azzeccano per nulla. Grazie
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Alessandro Brignone
Direttore AILT
Associazione Nazionale delle Imprese di Fornitura di Lavoro Temporaneo
Quando, nel 1997, fu approvata la legge Treu e il lavoro temporaneo fu introdotto in Italia, il
clima di pregiudizio, se non di sospetto, che aveva caratterizzato la discussione di quel
provvedimento legislativo era ancora palpabile.
In questi anni, anche dopo la riforma del mercato del lavoro del 2003, il lavoro temporaneo
ha saputo convincere anche gli osservatori più scettici attraverso la forza dei fatti:
un fatturato totale per il 2004 che ammonta a oltre 3,7 miliardi di euro (oltre 7100 miliardi di
lire);
900.000 rapporti di lavoro stipulati nel corso del 2004, per un totale, dal 1997, di oltre
4.000.000;
39.000 corsi di formazione promossi dalle Agenzie nel solo 2004, con oltre 208.000 lavoratori
coinvolti, il cui 60 % ha trovato una occupazione al termine del periodo formativo.
Anche grazie a questi risultati e alla affidabilità del sistema delle Agenzie per il Lavoro, la
riforma assegna loro un ruolo assai più ampio di quello per esse previsto dal cosidetto
Pacchetto Treu. Un ruolo, cioè, di partner per le risorse umane, per la loro capacità di offrire al
sistema delle imprese soluzioni diversificate in funzione delle esigenze organizzative e di
flessibilità, ma anche e soprattutto di attore sociale, per la capacità di incidere efficacemente
sulle politiche del lavoro, con azione concrete, giungendo a modificare il destino di persone
che, come alternativa, avevano il nulla.
In questo ambito, l’attività di Ebitemp, grazie a previsioni contrattuali di grande elasticità e
modernità, si è mossa coerentemente per la costruzione di un sistema di garanzie e tutele che,
nel panorama sindacale del nostro Paese, ha pochi precedenti.
Anzi, per la prestazione di accesso al credito a favore dei lavoratori, non ha alcun precedente.
E il fatto che attività di tale complessità e delicatezza siano state progettate e realizzate dalle
parti sociali, attraverso il contratto collettivo e poi, materialmente, attraverso l’Ente bilaterale,
è estremamente indicativo: la modernizzazione del mercato del lavoro e l’affinamento del
sistema di tutele a favore dei lavoratori e delle stesse imprese non possono essere resi effettivi
se non con un sistema di relazioni sindacali costruttivo e condiviso.
La positiva esperienza di Ebitemp a favore dei lavoratori, che non è limitata alla prestazione di
accesso al credito, ma comprende anche l’assicurazione integrativa contro gli infortuni e la
neonata prestazione sanitaria, ci indica anche il cammino da percorrere nei prossimi anni.
Alle parti sociali, la legge ora affida anche compiti di natura strettamente previdenziale, con
l’obiettivo – condiviso da parte delle associazioni datoriali e dal sistema delle imprese – di
costruire per i lavoratori un sistema di certezze e soprattutto di opportunità.
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La combinazione di azioni formative, che le Agenzie svolgono efficacemente attraverso
Formatemp, altro Ente bilaterale, di sostegno al reddito, di supporto economico nell’avvio
dell’attività lavorativa, di sostegno sanitario e assistenziale durante il rapporto di lavoro, pone
il lavoratore al centro di un sistema di garanzie che lo accompagna durante tutto l’arco della
sua esperienza alle dipendenze delle Agenzie, e anche dopo, e lo mette in condizione di
presentarsi sul mercato del lavoro con un bagaglio significativo di esperienze e di dotazioni
culturali e professionali.
Per poter proseguire nel cammino intrapreso, tuttavia, occorre che il clima di fiducia e la
spinta all’innovazione proprie del nostro settore divengano contagiosi e coinvolgano anche
altri settori dell’economia e dell’impresa. Il clima di tensione che ha accompagnato la riforma
del mercato del lavoro ha provocato ricadute negative anche sull’applicazione concreta di
istituti di tradizione consolidata come la somministrazione a tempo determinato.
La contrattazione collettiva delle imprese utilizzatrici non ha dato, negli ultimi 18 mesi, alcun
contributo costruttivo e anzi in alcuni CCNL l’applicazione della somministrazione a tempo
determinato è stata addirittura ridimensionata, a favore di altri strumenti di flessibilità che
certamente non offrono, né lo potrebbero, le garanzie che abbiamo costruito insieme in
questi anni.
L’invito che rivolgo ai colleghi del sindacato, agli osservatori del nostro settore, agli studiosi, è
– quindi – di guardare alla nostra esperienza con occhio libero da pregiudizi e con la
consapevolezza che vi è ancora la possibilità di migliorare l’esistente.
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Moderatore
Grazie. Abbiamo sentito due delle associazioni imprenditoriali, poi sentiremo anche la terza.
Adesso mi pare il momento di chiamare in causa il sindacato, anche perché dagli ultimi
interventi sono arrivati numerosi spunti di discussione che riguardano le organizzazioni dei
lavoratori. Quindi chiederei a Nicoletta Rocchi, segretario confederale della Cgil di rispondere
alle sollecitazioni che ha sentito. Alle quali io aggiungo una piccola provocazione: è noto che
la Cgil ha sempre guardato con una certa diffidenza la bilateralità; alla luce di questa
esperienza la Cgil ha qualcosa da rimproverarsi o no?
Nicoletta Rocchi
Segretario confederale Cgil
A proposito delle ultime cose sul tema della bilateralità, voglio innanzi tutto dire che c’è
bilateralità e bilateralità. Non abbiamo mica, noi della Cgil, dichiarato l’ostracismo al tema.
Abbiamo criticato e non condiviso un certo tipo di bilateralità, quella prevista dalla legge 30,
che si propone ad esempio l’obiettivo della certificazione dei contratti di lavoro, ma non
intendiamo rinnegare un’esperienza che è stata e resta molto importante nella vita sindacale
di molte categorie e che anzi valorizziamo, perché affronta problemi e si occupa di aspetti
della vita lavorativa delle persone che non possono diversamente essere affrontati. Pensiamo
tuttavia che non possa sostituirsi alla contrattazione che continua per noi a rappresentare la
parte saliente della funzione di rappresentanza sociale. Tutto qui.
Per venire al tema di oggi, seppur brevemente, parto anch’io da alcuni dati. Nel 1993 i giovani
tra i 18 e i 35 anni che vivevano in casa con i genitori erano più del 62% se maschi, il 48% se
femmine. Erano molti, erano gli adolescenti di lungo corso, che, a differenza dei loro coetanei
europei, non volevano spiccare il volo, colpiti da quella che veniva e viene definita la
sindrome di Peter Pan. Dopo 9 anni, nel 2002 i maschi che convivono in famiglia, con i loro
genitori sono diventati quasi il 67%, le femmine più del 52%, un incremento in 9 anni di oltre
il 4%. Questi sono i dati di sintesi della ricerca effettuata dal Censis per conto della Banca di
Roma, di recente pubblicati sui giornali che ricordava anche Enrico Marro in apertura; in un
paese in cui più dell’81% dei cittadini è proprietario della sua casa, solo il 35% di giovani tra i
26 e i 35 anni ne possiede una, quasi sempre non acquistata direttamente, trattandosi di
ricchezza accumulata dalla o dalle generazioni precedenti. Degli altri, quelli che non vivono
con i genitori ma vivono in affitto e sono circa il 34% del totale, più del 9% convive in coppia
o con amici o con colleghi. Se raffrontiamo questi dati al costo crescente delle abitazioni
specie nelle grandi città, abbiamo in evidenza un altro aspetto del disagio esistenziale delle
giovani generazioni. A questo punto abbiamo qualche elemento in più per domandarci: i
nostri giovani fanno fatica a crescere o cresce la loro impossibilità ad emanciparsi?
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Il lavoro discontinuo, è stato detto poco fa, riguarda una buona parte dei giovani occupati in
Italia, più del 2% ha un contratto atipico e questa percentuale è in crescita costante. Da
quanto detto da Enzo Mattina si evince poi che questo dato non rappresenta tutta la realtà. Il
lavoratore atipico si colloca infatti su un piano molto inclinato che sprofonda rapidamente
nella parte sommersa della nostra economia, quella parte che ancora contribuisce in modo
molto consistente alla composizione del nostro prodotto interno lordo. Oggi stiamo dunque
parlando di giovani. Giovani mediamente più scolarizzati delle precedenti generazioni anche
se ancora molto meno scolarizzati dei loro coetanei europei, giovani che sono cresciuti in
un’epoca di costante sviluppo del benessere e ora rischiano la regressione. Giovani precari,
incerti, non in condizione di programmare un futuro economicamente indipendente. Escono
il sabato sera, vanno in pizzeria, ridono, giocano, talvolta viaggiano, hanno una certa capacità
di spesa ma hanno orizzonti tremendamente abbreviati, non sono in grado di organizzarsi
oltre il presente e in tale impossibilità, rischiano di smarrire ogni prospettiva per il medio
periodo. A me sembra essere questo un danno incalcolabile che mina alle fondamenta le
potenzialità di un Paese come il nostro, che non possiede risorse naturali, mostra crescente
difficoltà a reggere la competizione economica e, in fin dei conti, non ha altra ricchezza a
disposizione che non sia la risorsa umana.
Poi a questi giovani italiani si aggiungono i migranti. Mi ha colpito un dato della ricerca
dell’Osservatorio - Centro studi per il lavoro temporaneo sull’attività di Ebitemp: il 56% circa
dei lavoratori temporanei che hanno fatto richiesta di piccoli prestiti sono stranieri. E anche
in questo caso stiamo parlando di giovani. Stando ai dati della ricerca infatti, quasi l’80% ha
meno di 40 anni.
È un mondo, quello dei giovani, e lo dico senza remore, che rischia di sfuggire alla
comprensione degli stessi soggetti che esercitano la rappresentanza sociale. Se non ci fossero
stati Nidil, Alai e Cpo, lo stesso sindacato confederale non avrebbe avuto sensori
sufficientemente sensibili per intercettare problemi, aspirazioni e il modo stesso di affrontare
la vita dei giovani. Il nostro è un po’ un sindacato di mezza età, specchio della società italiana.
Tende a rappresentare più genitori e nonni ma rischia di perdere contatti con le nuove
generazioni. Rischia di leggere e interpretare la realtà con gli occhi rivolti più al passato che
al futuro. Tuttavia, se i comportamenti soggettivi, individuali e collettivi stanno così
profondamente cambiando e se, nel contempo cambia così radicalmente il modo di
organizzare la produzione di beni e servizi, io credo che anche l’organizzazione della vita
sociale non sarà più quella del periodo fordista, caratterizzato da grandi concentrazioni di
lavoratori all’interno di unità produttive di gigantesche dimensioni, da aree territoriali
monoculturali, da sostanziale maggiore uniformità di situazioni e di problemi. Se cresce
il lavoro atipico e discontinuo in ragione della crescente flessibilità dei processi produttivi,
è un po’ tutto l’insieme che va riesaminato. Intanto, mi sia consentito, c’è da chiedersi quanto
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in termini di flessibilità del lavoro sia compatibile con uno sviluppo basato sulla qualità,
l’unico in grado di recuperare al nostro sistema Paese la capacità di competere con gli altri
sistemi Paese. Se è accettabile, anzi si deve parlare di flessibilità, questa non può essere
l’equivalente di precarietà. E il confine diventa labile, si manifesta una forte contiguità se
non si lavora coerentemente per evitare che questo avvenga. La precarietà non fa mai rima
con qualità, perché la qualità richiede innovazione continua, formazione continua,
investimento continuo nelle risorse umane, richiede che chi lavora si riconosca in quello che
fa e si appassioni almeno un po’ a quello che fa. La fidelizzazione dei lavoratori è più
importante del loro costo per aziende che vogliono vincere la loro battaglia per la
sopravvivenza in un mondo sempre più duramente competitivo. Il problema di queste forme
di lavoro che non è a tempo pieno e non è a tempo indeterminato, non può dunque essere
più a lungo eluso. Esso è lo specchio della capacità o dell’incapacità del nostro sistema
economico di guadagnare un futuro che non sia colonizzato dalla competenza e dalla forza
imprenditoriale degli altri. Anche negli interventi svolti oggi, è stato valorizzato il lavoro
contrattuale svolto in questi anni, un lavoro importantissimo perché ha affrontato questioni
rilevanti come il salario, i diritti, le tutele ma anche questioni più generali come l’assistenza,
la sanità, la previdenza.
Io credo che questo non possa più bastare. Prendiamo proprio il tema di oggi: il ricorso al
credito. Il ricorso al credito è un aspetto importante che non può però essere lasciato solo al
rapporto tra le parti e a un’impostazione puramente mutualistica. È stato detto, ad esempio,
che c’è tra queste tipologie di lavoratori una tendenza abbastanza diffusa a utilizzare sistemi
di pagamento bancario: carte di credito, carte prepagate ecc. Stiamo parlando di credito al
consumo, di credito per organizzarsi la vita, per acquistare beni durevoli, per accendere un
mutuo. È stato altresì detto che domanda e offerta non vanno alla stessa velocità. Le banche
cercano di dare risposte ma in modo del tutto insufficiente. Che fare dunque? Il fondo di
Ebitemp, ente bilaterale nato dalla volontà dei firmatari del contratto delle Agenzie di lavoro
di somministrazione, in meno di due anni di vita è cresciuto ed ha fatto un lavoro egregio.
È tuttavia evidente il suo carattere sperimentale. Sta funzionando, è una buona pratica ma
riguarda un segmento piuttosto limitato in un campo di intervento che dovrebbe essere ben
più ampio. Poi su questa sperimentazione si stanno innestando altre sperimentazioni ad opera
degli istituti di credito, ma io credo che ci voglia qualcosa di più. Possono bastare le sole
risorse private? Può bastare l’iniziativa solo del sistema bancario che pure deve accrescere la
sua efficienza offrendo di più anche a questo segmento di mercato? Può bastare la sola
mutualità per la costruzione di questi pur importantissimi fondi di garanzia, tipo Ebitemp?
Io penso di no. È vero che il sindacato non riesce ad ottenere ammortizzatori sociali adeguati,
fatichiamo addirittura ad avere il finanziamento per la cassa integrazione guadagni,
fatichiamo ad avere risorse per il lavoro, ma io credo che nell’ambito di tali riforme vada
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dedicato uno spazio specifico e risorse adeguate anche a queste tipologie di lavoro.
Per continuare a parlare del credito, penso che senza una garanzia pubblica che assista
i crediti per questi lavoratori e soprattutto, senza la garanzia della continuità di un assegno
economico per i periodi di non lavoro non si possa andare molto lontani. Dobbiamo metterci
d’accordo, poco fa è stato fatto un accenno alla indisponibilità, giudicata un po’ irrazionale,
della mia organizzazione a discutere sull’interinale a tempo indeterminato, definito valido
strumento di accesso al mercato del lavoro per giovani che altrimenti avrebbero dovuto fare
la fila all’ufficio del collocamento. Se così è, allora perché non convenire una volta per tutte
sul fatto che ci sono forme di lavoro che possono essere svolte solo per periodi di tempo
delimitati, in una fase determinata della vita di un individuo e che non possono protrarsi
all’infinito, altrimenti creiamo una società organizzata per caste, divisa su livelli
incomunicabili, con diritti fortemente diseguali. Altro che società equilibrata e coesa!
Voglio tuttavia chiarire che quando faccio riferimento all’intervento pubblico, non immagino
un intervento di tipo assistenziale. Non è così. Perché, delle due l’una: o queste forme di
lavoro rappresentano la legalizzazione di una gerarchia sociale iniqua e non penso che ci
sia qualcuno in questa sala, magari in giro si, che propenda per questa soluzione, oppure esse
costituiscono il portato di un modo diverso di organizzare la produzione, e allora vanno
regolate in modo rapportato al livello di civiltà che ha raggiunto questo Paese. Non può
essere il mondo degli sfigati, non può essere un mondo di serie c, ma deve godere di
condizioni equivalenti a quelle degli altri lavoratori dipendenti. Occorre quindi una riflessione
approfondita e non ideologica, a partire dai temi del welfare, che tenga conto di tutte
le specificità presenti nel mondo del lavoro e della produzione oggi.
Noi come sindacato, per quanto moderni, siamo sempre un’organizzazione che rappresenta
interessi, per questo la mia tesi di oggi è schematica, semplice ma abbastanza chiara:
la mutualità è uno strumento formidabile di solidarietà per il soddisfacimento dei bisogni –
del resto il sindacato è nato sulle società di mutuo soccorso, che hanno costituito il
fondamento per la rappresentanza collettiva – ma io credo che ci voglia una specifica politica
di intervento pubblico, per selezionare le forme di lavoro atipico realmente necessarie a dare
le flessibilità ai processi produttivi, per costruire trattamenti economici e normativi
soddisfacenti, per sostenere il reddito nelle fasi di non lavoro, per la costruzione di garanzie
sufficienti a ciascuno a programmare la propria esistenza, ad esempio per l’accesso al credito,
visto che di credito stiamo parlando. Lavorare per un’economia competitiva non significa che
non si debba lavorare per un modo migliore di competere.
17
Moderatore
Nicoletta Rocchi ci ha rappresentato le istanze che vengono dal mondo del lavoro. Credo che
ora si possa integrare questa esposizione con l'aiuto di Monsignor Paolo Tarchi, che è il
direttore dell'Ufficio per i problemi sociali e del lavoro della Conferenza Episcopale Italiana.
La Chiesa ovviamente è un osservatorio privilegiato sul territorio, attraverso la rete delle
parrocchie e la forte presenza nel sociale. Ecco, Monsignor Tarchi, da questo osservatorio cosa
vede rispetto al problema dei giovani, dei giovani con lavori temporanei, giovani che vogliono
metter su famiglia, comprare una casa. Mi pare che c'è una grande distanza fra la realtà e gli
strumenti in campo.
Mons. Paolo Tarchi
Direttore Ufficio nazionale per i problemi sociali e il lavoro
Conferenza Episcopale Italiana
Ringrazio il dott. Vincenzo Mattina, presidente dell’Ebitemp per il gradito invito e
l’opportunità di portare il contributo dell’Ufficio della Cei per i problemi sociali e il lavoro a
questo importante seminario.
Le problematiche relative alla riforma del mercato del lavoro e del ruolo della finanza nella
nostra odierna società hanno costituito anche per noi in questi anni motivo di costante
riflessione. Abbiamo avuto modo al riguardo di ascoltare e confrontarci con il prof. Marco
Biagi (25 gennaio 2002) sui contenuti del libro bianco sul mercato del lavoro (ottobre 2001)
da cui poi è nata la legge 30; abbiamo riflettuto sul ruolo della finanza come strumento a
servizio dell’economia reale, pubblicando due contributi alla riflessione dal titolo: “Etica e
Finanza” (2000) e “Agire morale e Finanza internazionale” (2004) dove fra altro abbiamo
denunciato i rischi di ogni forma di finanziarizzazione dell’economia. Abbiamo vissuto in
prima persona l’esperienza del microcredito a sostegno dei campesinos partecipando a Quito
(Equador) alla firma dell’accordo di collaborazione fra le Banche di credito cooperativo
italiane e il locale sistema bancario Codessarollo.
È di grande interesse la costituzione del fondo di garanzia dell’Ente Bilaterale Nazionale per il
Lavoro Temporaneo per venire incontro alle esigenze di credito dei lavoratori temporanei. Ciò
fa emergere con evidenza come la riflessione sul microcredito non riguarda solo i paesi in via
di sviluppo, ma interessa anche i nostri centri urbani. Qualche giorno fa abbiamo partecipato
alla presentazione dei risultati di iniziative di microcredito promossa dalla Fondazione risorsa
donna e le cui destinatarie sono proprio donne delle nostre città.
Ciò sottolinea l’importanza dell’accesso al credito per ogni persona. L’accesso al credito, come
il voto, è sempre più sinonimo di inclusione e di cittadinanza.
Nel Vangelo secondo Matteo, troviamo un comando, all’interno del discorso della montagna
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«…a chi desidera da te un prestito non volgere le spalle» (Mt 5,42).
La storia c’insegna la fatica dei poveri o dei nullatenenti a costruire percorsi di liberazione
dalla miseria e dall’esclusione sociale e come la possibilità di accedere al credito in questi casi
allontani lo spettro dell’usura. Pensiamo al riguardo al prezioso servizio svolto verso i poveri
dell’inizio secolo passato (contadini e artigiani), ad esempio, dalle casse rurali. Il microcredito
si presenta oggi come allora come uno strumento di sviluppo e di crescita dal basso, ma anche
di prevenzione o di uscita dal ricatto dell’usura.
La forza del microcredito deriva dalla convinzione ideale e valoriale sottostante,
cioè il considerare il bisogno di credito un diritto fondamentale della persona.
L’esperienza di Ebitemp, così come c’è stata presentata, si riferisce ad un lavoratore
temporaneo che ha un’età media di 29 anni, la cui missione di lavoro dura mediamente 60
giorni di calendario, le cui mansioni sono prevalentemente di natura operaia. Si sottolinea che
al pari di ogni altro lavoratore a tempo determinato, la breve durata e il carattere discontinuo
della sua permanenza al lavoro possono impedire l’accesso al credito. Credo che sia veramente
meritorio l’aver approvato 1230 prestiti e che oltre il 41% ha un importo superiore ai 2.000
euro.
Permettete però che, guardando i dati dal mio punto di vista, ponga qualche domanda.
Consideriamo per un momento solo i lavoratori italiani che sono pari al 44,3% del totale.
La domanda è: quando questi giovani, la cui età media è di 29 anni, diventeranno adulti ?
I dati Istat sul primo matrimonio, pubblicati nel 2004, dicono che l’età media di coloro che
decidono di sposarsi è 30.9 anni per i maschi e 28.1 anni per le femmine.
Se allarghiamo l’orizzonte alla vita presente e futura di queste persone, comprendiamo che
il fondo di garanzia è un elemento innovativo e che svolge un ruolo importante, ma solo una
parte di quello che occorrerebbe per dare dignità e qualità di vita a queste persone.
Ciò significa che altri attori devono entrare in scena ed altre strategie complessive
devono essere messe in atto.
Come è possibile sperare che un operaio con lavoro temporaneo possa soddisfare ad esempio
il suo desiderio di costituirsi una famiglia? A che età potrà coronare questo sogno?
Quale ruolo è chiesto alla famiglia d’origine che sempre più si configura come un
indispensabile ammortizzatore sociale? Ma per quanto potrà durare tutto ciò?
Ma vi è ancora una domanda: quale rapporto tra persona e lavoro?
La dottrina sociale della Chiesa, che pone al centro la persona umana, ogni persona umana
e tutta la persona umana, cioè la persona considerata in tutte le sue dimensioni di vita,
ci ricorda che il lavoro è per l’uomo e non l’uomo per il lavoro.
La persona umana non è oggetto, ma soggetto del lavoro.
Cercare di capire cosa succede alle persone concrete e alle famiglie in presenza di percorsi
di lavoro flessibile e instabile per un lungo periodo è un dovere a cui non possiamo sottrarci.
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La moltiplicazione dei contratti di lavoro che sembra essere l’idea decisiva soggiacente alla
recente riforma del mercato del lavoro, va coniugata con altre dimensioni: le tutele,
la qualità del lavoro, l’informazione e la formazione, la conciliabilità tra lavoro e vita,
tra lavoro e famiglia.
Bauman parla di solitudine del cittadino nell’era della globalizzazione, costretto a rischiare
da solo su tutti i fronti, sperimentando incertezza e insicurezza.
Occorre allora che le politiche del lavoro siano integrate con politiche sociali, familiari e dei tempi
della città.
Quando i percorsi lavorativi si fanno molteplici e frammentati, quando si cambia più volte
posto di lavoro occorre che sia riconosciuto il percorso professionale in modo che
le esperienze acquisite possano essere valorizzate nel ruolo nuovo che si va a ricoprire.
Occorre dunque che istituzioni, società civile ed imprese collaborino a creare tutele
e condizioni di vita che assicurino a tutti dignità e qualità.
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Moderatore
Grazie. Allora a questo punto mi sembra giusto coinvolgere il dottor Zadra, Direttore Generale
dell'Abi, l'Associazione bancaria italiana. Non solo per girare a lui la citazione del Vangelo
fatta da Monsignor Tarchi - «a chi desidera un prestito non volgere le spalle» - ma anche per
chiedergli cosa stanno facendo le banche per venire incontro alle domande di questa nuova
utenza.
Giuseppe Zadra
Direttore Generale ABI Associazione Bancaria Italiana
Prima di introdurre il tema specifico del convegno, vorrei fare una riflessione su cosa sono
oggi le banche, cosa fanno, qual è il loro ruolo anche con riferimento ad argomenti toccati
precedentemente.
Il percorso storico delle banche testimonia una socialità costante dell’attività bancaria.
Questa socialità muove da una matrice “etica” del credito che si riscontra fin dalle nostre
origini, come soggetti presenti e attivi nello sviluppo del territorio e della comunità di
riferimento. Questi elementi si rintracciano nella nostra storia, se consideriamo i mercanti
banchieri del Medioevo, dai Monti di Pietà, dalle casse di risparmio e dalle banche cooperative
nell’800, la trasformazione delle banche da istituzioni o da banche pubbliche in imprese
bancarie, quali siamo oggi. Oggi infatti siamo imprese capaci di “rendere conto” alla società in
cui vivono del valore generato per tutti i propri interlocutori; imprese che operano per offrire
alla clientela i migliori servizi, non solo il credito ma anche tutti gli altri servizi bancari come
la gestione del risparmio e i servizi di pagamento, che oltretutto sono elementi essenziali
dell’inclusione nel mondo finanziario di qualsiasi cittadino.
Queste attività, ovviamente, vengono svolte con doverosa osservanza di criteri di economicità
di gestione. Ribadisco, infatti, con specifico riferimento ai servizi di credito, che l’esercizio del
credito deve essere portato avanti con l’obiettivo di dare credito a chi può rimborsarlo.
Allo stesso tempo, oggi siamo consapevoli che occorre fornire i servizi bancari e di credito,
nella maniera migliore, cioè anche allargando la propria operatività per rispondere
in maniera innovativa con prodotti specifici alle nuove domande della società,
nel rispetto e nella conoscenza dell’ambiente in cui si vive, favorendo l’inclusione
finanziaria di soggetti nuovi che oggi si presentano, in maniera strutturata, alle banche.
Io personalmente vengo dalle valli del Trentino, dove la già richiamata esperienza delle casse
rurali ha avuto la sua nascita, un modello cui sono profondamente legato. Oggi queste stesse
banche, a 120 anni dalla loro istituzione, continuano ad operare con le loro strutture: fin dalle
origini, il loro intervento è stato diretto a dare credito e favorire lo sviluppo, lottando contro
l’usura. Perché questo, all’epoca, era il grande discrimine: fra chi faceva usura e chi faceva
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credito. Spesso chi faceva usura non intendeva fare credito, ma intendeva espropriare con
quel pretesto.
Il ruolo della banca ai nostri giorni si innesta su queste radici, come ponte tra la tensione
storica dell’espressione di socialità intrinseca dell’azione bancaria e le nuove prospettive
di sviluppo dell’industry, sempre legate al contributo allo sviluppo economico del territorio e
alla progettualità di imprese, famiglie, nonché di singoli individui.
A questo proposito ricordo a tutti che nel nostro Paese la legislazione bancaria, fino al nuovo
Testo unico, prevedeva che le banche potessero concedere credito soltanto alle imprese. Il
credito alle persone, quello che oggi si sta diffondendo come grande capitolo della banca
moderna e contemporanea - il credito al consumo e il credito diretto ai privati - non era
praticamente gestito dalle banche ma veniva erogato dalle finanziarie. Le banche quindi non
avevano contemplato, fra le loro attività, il credito al consumo, un’attività che era addirittura
vista con sospetto perché quello erogato era esclusivamente il finanziamento di un’attività
industriale o commerciale. È recente l’idea del credito al consumo, come funzione che agevola
la gestione finanziaria di una famiglia, in questo contesto, dentro il quale va considerato il
problema della valutazione del credito di questa stessa famiglia, che prevede modalità di
rimborso rese complesse dalla natura stessa dei suoi ricavi.
Oggi, in questa sede, parliamo in particolare dei lavoratori a contratti discontinui che,
dal punto di vista dell’analisi del credito, hanno ulteriori specifiche caratteristiche. L’analista
che deve concedere il credito si trova davanti ad una situazione nuova, che prevede una
volatilità di reddito e capacità e modalità di rimborso nuove, diverse da quelle “tradizionali”.
Al riguardo, ci tengo a sottolineare come le banche stiano mettendo a punto specifiche
soluzioni per venire incontro, ad esempio, alle esigenze dei lavoratori a tempo determinato.
Ma allo stesso tempo ribadisco che avere cura di nuovi aspetti e problemi non vuol dire
assumersi rischi di credito sbagliati o impropri per la banca. Ogni tema va trattato e risolto
integrando metodologie e strumenti appropriati. Ad esempio, vi cito un solo caso: nel mondo
delle imprese abbiamo i Confidi, un fenomeno che, da vent’anni, sta fiorendo e crescendo
e che oggi è addirittura regolato per legge, anche per confrontarsi con le nuove regole di
valutazione del credito previste da Basilea. Il Confidi, esattamente come il fondo per gli atipici
di cui si sta parlando in questo contesto, è un gruppo di soggetti che costituisce un fondo
che, sulla base della familiarità e della confidenza e della conoscenza tra le persone che ne
fanno parte, mette a disposizione di ciascun membro di esse una garanzia, una garanzia
che è basata sulla familiarità, sulla confidenza, sulla conoscenza reciproca dei suoi membri.
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I Confidi esistono in diversi settori professionali: ci sono i Confidi degli artigiani, i Confidi
degli orafi, ecc. Sono cioè famiglie di imprese che si conoscono, dove i rapporti hanno una
“profondità” tale da poter creare un clima di fiducia e quindi potere contare sulle conoscenze
dirette e reciproche. Viceversa, in quei settori in cui invece le persone non si conoscono bene
e dove non regna un buon grado di familiarità, gli operatori non riescono a crearne uno.
Tornando dunque agli strumenti appropriati, ben vengano i fondi di garanzia, sia pubblici che
privati, dove si attiva un’attività multilaterale che vede la cooperazione tra i diversi soggetti
coinvolti per garantire il credito. Ad esempio un fondo ed un’organizzazione che rappresenti
chi chiede credito, che si faccia carico di effettuare una pre-analisi delle richieste di prestito,
che si faccia garante della capacità di rimborso del prestito, secondo meccanismi
di conoscenza diretta e che, infine, accompagni chi ne fa parte nell’attività progettuale
correlata alla richiesta di credito. Questi fondi mitigano o addirittura annullano, in qualche
modo, un rischio di credito che non è ponderabile sotto il profilo delle tecniche professionali
classiche e che non può essere preso in carico dalla banca.
Questa tipologia mi sembra applicabile anche ai lavoratori atipici: Ebitemp ha infatti
costituito un’associazione che risponde alle caratteristiche appena delineate. Anche
l’intervento pubblico può dare vita a fondi di questo tipo. Ad esempio, Abi ha lavorato alla
costruzione del Fondo per il credito al consumo del ministero delle Attività produttive, in via
di varo.
Vediamo dunque molto positivamente la possibile creazione di un Fondo del ministero del
Welfare per mutui bancari per l’acquisto della prima casa e i fondi privati, come ad esempio
quello messo a punto dall’Ente bilaterale per il lavoro temporaneo, per i finanziamenti ai
lavoratori atipici che oggi si presenta. Certo, per il settore dei mutui il tema si fa ancora più
complesso visto che, ad esempio, i redditi dei lavoratori atipici sono discontinui e le
metolodogie da avviare devono superare la discontinuità del loro flusso di ricavi. Comunque i
prodotti già sperimentati da alcune banche, con le più diverse caratteristiche, prevedono
proprio una certa flessibilità temporale nelle restituzione del capitale, proprio in
considerazione della condizione di precarietà lavorativa del target.
Tornando ai temi operativi di oggi, permettetemi una digressione. La diffusione della banca
nel mondo moderno nasce dalla conclusione di una disputa teologica, avvenuta alla fine del
1400, che contrapponeva domenicani e francescani. Alla fine l’ebbero vinta i francescani che
affermarono: «il credito - anche dietro interessi - serve, è funzionale alle sviluppo ».
È da lì che originano, come accennavo all’inizio, i monti di pietà, le casse di risparmio,
le banche popolari, le casse rurali. Poi, agli inizi degli anni Novanta, il sistema bancario è stato
privatizzato, le banche sono diventate imprese a tutti gli effetti ed oggi devono rispondere
dell’efficienza della propria gestione. Eppure nella loro storia è ben presente come la propria
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attività d’impresa abbia un forte impatto sulla società, su tutti i diversi soggetti con cui la
banca intreccia relazioni quotidiane.
Questo tema risponde oggi ad una modalità di gestione strategica dell’impresa che viene
inquadrata nell’ambito della responsabilità sociale d’impresa, o corporate social responsibility
(Csr). Per analizzare la Csr e darle una cornice di riferimento puntuale e strutturata, negli
ultimi anni l’Associazione Bancaria ha avviato specifiche attività e ricognizioni, anche tramite
un Ufficio dedicato a questi temi. Secondo un’interpretazione coerente con la nostra storia,
elaborata nell’ambito di un gruppo di lavoro interbancario attivo in sede Abi su queste
tematiche, la Csr è una modalità di gestione strategica dell’impresa, orientata in senso
multistakeholder, cioè attenta a generare valore non solo per gli azionisti/soci ma per tutti
coloro che con essa intrecciano relazioni quotidiane: ad esempio clienti, dipendenti, fornitori,
investitori, comunità locale, istituzioni, generazioni future e ambiente.
Ci sembra di ritrovare, in questa strategia, parte della storia delle banche, codificata
in un sistema logico moderno che espliciti come un’impresa possa essere efficiente anche
perché in grado di rispondere alle attese delle diverse componenti della società in cui
è immersa, ottimizzando il rapporto con tutti, cioè senza danneggiare i rapporti con una serie
di stakeholder a vantaggio di uno solo. Il tema è fortemente sentito dall’industria bancaria:
il gruppo di lavoro attivo in sede Abi rappresenta circa l’80% del totale attivo di sistema, oltre
l’80% in termini di sportelli sul territorio. Le esperienze delle banche al riguardo sono
significative e si confrontano anche con i settori “più difficili” dal punto di vista della
gestione tecnica bancaria classica. Ad esempio, nell’ambito dell’inclusione finanziaria e sociale,
vi porto l’esperienza del conto corrente bancario di base che rientra tra le iniziative di
PattiChiari, progetto avviato dall’industria bancaria. Il servizio bancario di base è un servizio di
base, appunto, che è diretto a facilitare l’inclusione finanziaria di tutti i cittadini oggi ancora
non bancarizzati. Il servizio consente accrediti e versamenti, pagamenti di utenze, permette
di fare pagamenti ed effettuare bonifici, disporre di una carta Bancomat, investire i propri
risparmi. Viene escluso l’aspetto credito che va valutato, come dicevamo prima, caso per caso.
Sul tema credito, stiamo lavorando in specifico nel settore della microfinanza,
anche con il supporto di soggetti specializzati. Per supportare le banche in questo nuovo
contesto, in occasione dell’inizio dell’anno internazionale del microcredito proclamato
dall’ONU, Abi - che fa parte del Comitato Nazionale per il Microcredito promosso presso
il Ministero degli Affari Esteri - ha svolto una prima indagine sulla microfinanza.
Le banche che hanno partecipato a questa primissima fase dell’analisi rappresentano il 36,1%
in termini di totale attivo e il 22,6% in termini di sportelli. Le attività svolte riguardano servizi
di risparmio, di credito, di servizi di pagamento. Il 22% delle banche rispondenti ha peraltro
dichiarato di offrire servizi di microfinanza anche ai “lavoratori atipici”: quindi un quarto
delle banche oggi eroga ai lavoratori atipici questo tipo di servizio.
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Quello che intendiamo fare, come Associazione, sulla base di queste ed altre analisi che
svolgeremo, è di analizzare ed individuare le forme tecniche più razionali perché i servizi di
microfinanza possano essere erogati con la maggiore efficienza e possano corrispondere alle
esigenze di un segmento di mercato, “difficile” da gestire secondo gli schemi più tradizionali.
Per quanto riguarda il credito, come dicevo prima, un modello funzionale a risolvere il
problema ed annullare il rischio di credito non ponderabile mi pare quello triangolare, che
vede la partecipazione di una banca, di un fondo e di un’organizzazione che rappresenta chi
chiede credito, che si fa carico di fare una pre-analisi delle richieste di prestito. Continueremo,
quindi, ad indagare le tecniche e i meccanismi più adatti a questo scopo, anche collaborando
con convinzione con coloro che svolgono da tempo questo tipo di attività.
Credo che un fondo come quello promosso da Ebitemp possa rappresentare una soluzione
adatta per supportare e finanziare i lavoratori atipici.
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Moderatore
Bene, dopo il dottor Zadra, vedrei come si stanno muovendo in concreto due fra le maggiori
banche italiane e quindi vorrei che intervenissero prima il dottor Macchitella della Banca di
Roma e poi il dottor Occhipinti del Monte dei Paschi di Siena, per spiegarci che tipo di
prodotti stanno offrendo a questo particolare segmento della clientela.
Massimo Macchitella
Responsabile Funzione Family Area Retail Banca di Roma
Buongiorno a tutti. Ringrazio gli organizzatori di questo convegno per avermi invitato a
partecipare. Volevo un pò, secondo l’invito del moderatore, illustrare quella che è stata la nostra
esperienza nello specifico comparto, in particolare in riferimento ai mutui che più volte sono stati
richiamati nel corso di quest’incontro.
Come è nato il nostro avvicinamento a questo tipo di problematiche. Le istanze che sono state
qui rappresentate dai vari oratori che mi hanno preceduto, evidenziano ovviamente il fatto che
esista una domanda molto forte in questo comparto e che quindi esisteva un bisogno non
soddisfatto che veniva sempre più evolvendosi come un problema che ha assunto connotazioni
di carattere sociale, non fosse altro per il fatto che in più sedi, anche a livello politico, a livello
istituzionale, è stato posto proprio questo vincolo, questo ostacolo all’accesso del credito,
addirittura alla realizzazione di un progetto di vita quale è quello di mettere su famiglia e
acquistare una casa nei confronti dei lavoratori in senso lato atipici, in particolare oggi stiamo
parlando di quelli che hanno un lavoro discontinuo.
L’approccio con cui noi ci siamo avvicinati a questa problematica, e con questo volevo rispondere
anche al dottor Scrivani che ha posto il problema del grado di innovatività di alcune proposte
che sono state fatte, è quello che ricordava il dottor Zadra, uno spirito di natura imprenditoriale;
noi abbiamo partecipato ai vari tavoli che si sono tenuti per esempio presso la Presidenza del
Consiglio, a cui era presente anche il dottor Zadra, per esaminare con interesse eventuali soluzioni
che vedessero quella triangolazione che il dottor Zadra ricordava e a cui siamo ovviamente
interessati; nel contempo però abbiamo visto in quale modo la banca potesse, sulla base della
strumentazione tecnica e con spirito comunque imprenditoriale, avvicinarsi a una domanda
crescente senza che queste complicazioni di natura tecnica costituissero un ostacolo ad andare
avanti; cioè il problema per il quale molte banche, noi compresi, fino a qualche tempo fa non
abbiamo considerato con interesse questo ambito era perché secondo le metodiche con cui
eravamo abituati a lavorare, la cosa era complicata, allora alla fine si rinunciava. Allora che tipo
di domanda ci rivolgiamo: parliamo di lavoratori i quali hanno una forma giuridica contrattuale
che non è quella tradizionale che giuridicamente garantisce seppur nella forma, la continuità
del reddito e quindi la capacità di rimborso; vediamo in che maniera noi possiamo offrire la
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possibilità di accendere un mutuo a soggetti i quali, è vero che possono avere delle interruzioni
nella loro vita lavorativa per la natura stessa del tipo di rapporto che hanno, ma che siano
comunque in grado nel tempo, vediamo gli indici che ce lo possono far ritenere, di poter far
fronte al loro impegno; anche perché se noi, e qui mi ricollego a quel che diceva il dottor Zadra
prima, erogassimo credito a soggetti con riferimento dei quali abbiamo la ragionevole
consapevolezza che non siano in grado di poter restituire nel tempo un impegno che dura negli
anni, a differenza del microcredito il mutuo dura per decenni, è forse uno degli impegni che
ciascuno di noi si mette ad affrontare nel corso della propria vita, non solo violeremmo il codice
penale ma non ne voglio fare adesso un problema di natura giuridica, ma andremmo a fare
quell’operazione che in genere si fa erogando alcool a uno che è gia alcolizzato, nel senso
che se noi eroghiamo credito a chi non è capace di poterlo restituire, ci rendiamo compartecipi
di un’operazione di azzardo sotto il profilo finanziario.
Quindi, noi, oltre che per il rispetto delle norme, anche per sostenere un progetto di vita in una
maniera che comunque consenta di potere sostenere un impegno responsabile, abbiamo
introdotto dei parametri che adesso vi illustrerò rapidamente i quali, non avendo la pretesa
di essere considerati perfetti e che quindi sono sempre perfettibili, tuttavia rispondessero a due
aspetti fondamentali: uno, che ci fosse l’inserimento di un criterio di oggettività nell’accesso a
questo tipo di operazioni, perché le banche da sempre hanno dal punto di vista dell’analisi
del credito fatto delle analisi individuali e non era escluso in passato che a questa tipologia
di soggetti venisse comunque erogato un mutuo, come molti hanno ricordato, magari con
supporto di una garanzia esterna preferibilmente da parte poi di un congiunto che in questi casi
l’ha supportato; il punto era di dire, io evidenzio, avendo noti dei criteri, che poi possiamo
discutere se troppo rigidi o troppo elastici, ma comunque dei criteri leggibili, chiari e oggettivi in
base ai quali la banca è disponibile a concedere credito a questi soggetti.
Quali sono questi criteri, io cito quello fondamentale, è rappresentato dal fatto che il richiedente,
ovviamente nel momento in cui richiede il mutuo, abbia un contratto di lavoro in essere, il
secondo punto è che negli ultimi tre anni abbia lavorato anche in maniera discontinua almeno
trenta mesi, molti hanno arricciato le sopracciglia nei confronti di questo criterio che è stato
considerato, trenta su trentasei, forse eccessivamente rigido, tuttavia rappresenta
un avvicinamento da parte nostra al concetto che è ammessa la possibilità che uno abbia
un rapporto di lavoro discontinuo, la discontinuità non costituisce più un ostacolo all’accesso
a questo tipo di operazioni.
Perché un rapporto 30 su 36, che potrebbe essere 28 su 36 o 32 su 36, non voglio adesso
soffermarmi sul numero in sé, perché chi in un certo periodo di tempo ha dato prova comunque
di aver lavorato in misura prevalente anche se con soggetti diversi, con contratti diversi e in
situazioni differenti, comunque manifesta la sua capacità di rigenerarsi occasioni di lavoro,
che dal nostro punto di vista è trasformare quella stabilità che è necessaria per affrontare un
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impegno che dura venti, venticinque, trenta anni che prima bisognava pretenderla in maniera
formale attraverso un contratto di lavoro a tempo indeterminato, oggi vediamo se esistono degli
strumenti per poterlo dedurre in maniera indiretta in forma sostanziale, quindi questo è un po’
lo sforzo che noi abbiamo fatto.
Quindi abbiamo detto che chi ha un’età inferiore a 35 anni, perché il fatto di avere un’età
superiore a trentacinque come poteva essere a trentaquattro o come poteva essere a trentasei,
comunque, diciamo chi ha l’età superiore a trentacinque anni e si trova ancora in una situazione
lavorativa di precarietà, perché poi di questo si tratta alla fine, cioè di non essere
un libero professionista, di non essere un imprenditore, di non essere un dipendente nel senso
classico è chiaro che dal punto di vista della valutazione dei nostri rischi rappresenta una soglia
di rischiosità elevata dal punto di vista di un’operazione di questa natura. Quindi età fino a
trentacinque anni, possesso di questi requisiti oggettivi che vi ho detto relativi al fatto di aver
lavorato nell’ultimo triennio un certo tempo, requisito di reddito che abbiamo dichiarato che poi
è quello classico che le banche adottano nei confronti di operazioni di questa specie, cioè che il
rapporto fra la rata e il reddito disponibile non sia superiore al trentacinque per cento per una
ragione ovviamente di sopportabilità dell’onere correlato, e quarto punto che riguarda il numero
dei cointestatari che a prescindere dai rapporti di parentela, di convivenza ecc. non può essere
superiore a due.
Questi sono i quattro criteri che noi abbiamo dichiarato pubblicamente e che rappresentano dal
nostro punto di vista un passo avanti verso un discorso di analisi di questa operazione che sia
puramente discrezionale. Il secondo elemento di novità, a mio parere, che contiene il nostro
prodotto riguarda gli elementi cosiddetti di flessibilità: ci troviamo di fronte a dei lavoratori
i quali nel corso della loro vita per la natura stessa della loro prestazione possono trovarsi nella
condizione o di veder modificato il loro flusso di reddito oppure di rimanere senza lavoro per un
certo numero di mesi; anche qui il nostro contratto prevede due elementi di flessibilità, dicevo:
uno la possibilità di rinegoziare il mutuo, riducendo la rata allungandone la durata, adeguandola
alla nuova situazione che si dovesse prospettare nel corso del tempo oppure l’altra, in alternativa
alla prima, è rappresentata dal fatto che nell’ipotesi in cui il mutuatario nel corso della vita del
mutuo si dovesse trovare temporaneamente senza lavoro, queste rate si accumulano fino ad un
massimo di sei e poi vengono rispalmate in futuro anche per la durata residua complessiva
di quel mutuo. Quindi evitando che lui abbia l’onere concentrato di far fronte a più rate
e purtroppo dovendo recuperare affannosamente, ritrovandosi in una situazione di ritardo
cronico nel pagamento delle rate con tutto quello che questo comporta.
Questi due elementi di flessibilità, che sono due elementi tecnicamente non particolarmente
innovativi, perché dal punto di vista tecnico esistevano già prima, l’elemento di novità sta nel
fatto che noi li abbiamo inseriti nel contratto di mutuo come diritti, come opzioni nel
mutuatario, quindi non è una concessione che la banca si riserva di valutare, come si diceva una
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volta e come si dice ancora, a suo insindacabile giudizio, no, sono due elementi che al verificarsi
di certe condizioni il mutuatario può esercitare. Ora ritornando a quanto diceva in apertura
il dottor Scrivani, indubbiamente questi criteri possono, l’ho detto già all’inizio, essere oggetto
di discussione perché come ripeto abbiamo fatto un passo in avanti, ci siamo basati su analisi
del Censis, su analisi dell’Unioncamere, su esperienze fatte da noi su mutui erogati con garanzia
di terzi a soggetti di questa natura, però dobbiamo costruirci un’esperienza. Io ricordo anche
le difficoltà presso la presidenza del Consiglio quando era presente il dottor Zadra nel definire un
pochettino quali dovessero essere gli elementi e i criteri, perché non esiste una base statistica dei
vari numeri che ci sono in giro, però poi quando noi dobbiamo attribuire un indice prospettico di
default a queste operazioni, la mole dei dati di cui disponiamo non è tale da poterci muovere con
grande libertà, e quindi questo rappresenta il nostro passo verso questa direzione, abbiamo visto
successivamente, noi abbiamo lanciato il prodotto nel novembre del 2004,
che altre banche si sono mosse più o meno sullo stesso sentiero, abbiamo creato se non altro
un interesse, abbiamo suscitato o abbiamo svegliato un interesse magari che sopiva e che c’era,
perché se ne discute da tempo.
Questo però mi dà l’occasione di circoscrivere quale può essere effettivamente il nostro ambito
di azione, quindi quello di sforzarci di rispolverare o di introdurre criteri nuovi nell’essere sensibile
alle istanze che il mercato ci fornisce, quindi non chiuderci nelle nostre stanze sulla base di criteri
consolidati ma ripeto, fare dei tentativi anche dei passi avanti in questa direzione ed essere
disponibili a sollecitazioni, collaborare con soluzioni di altra natura, con altre istituzioni, anche
di natura pubblica in questa direzione, oltre però andremo a fare un mestiere che non è il nostro
e che oltretutto non sarebbe compatibile con gli obiettivi d’impresa che noi dobbiamo perseguire.
Chiudo dandovi qualche numero, seppure indicativo, di che cosa ha rappresentato questa
esperienza che ormai è stata avviata di fatto nei primi di dicembre fino a tutto il 31 marzo e
per il quale abbiamo i dati consolidati. Devo dire che la risposta del mercato è stata sicuramente
interessante: noi abbiamo ricevuto oltre 1.500 domande. Le domande possono essere inserite
tramite internet che è stato il canale principale di cui si sono avvalsi questi soggetti.
La cosa che aggiungevo: noi abbiamo eliminato anche le spese istruttorie su questa tipologia
di operazioni proprio affinché fosse rimosso qualsiasi tipo di ostacolo all’acceso all’operazione.
Ci siamo resi conto, anche nei contatti con i rappresentanti delle associazioni delle società di
lavoro temporaneo, o comunque di società che impiegano lavoratori cosiddetti atipici in senso
lato, che esisteva una tale diffidenza da parte di questi soggetti circa la possibilità che una banca
potesse valutare queste operazioni malgrado l’attività pubblicitaria che noi abbiamo fatto su vari
mezzi, tuttavia c’è stato un volano che si è dovuto mettere in moto perché c’era un’autoselezione
da parte del richiedente stesso, il quale ritenendo che non si andasse da nessuna parte se non con
garanzie tradizionali probabilmente si autoescludeva da questa possibilità. Però, ripeto, abbiamo
superato le 1.500 domande, abbiamo superato le 100 unità erogate e ne abbiamo un buon
29
numero in istruttoria. Su queste 1.500 domande un 33-35 per cento non avevano i requisiti
di base per l’accesso all’operazione. Un altro 60 per cento circa si divide più o meno a metà:
una parte aveva tutti i requisiti per accedere all’operazione, su un’altra metà occorreva lavorarci,
nel senso che occorreva effettuare delle attività consulenziali per, magari, allungare la durata
del prestito o ridurre leggermente l’importo o fare altri interventi che facevano passare queste
operazioni dall’area di inconcepibilità a quella di concepibilità.
Chiudo dicendo che questo tipo di approccio che noi abbiamo manifestato con questo prodotto
che si chiama «mutuo giovani» è un tipo di approccio che noi stiamo sperimentando anche su
altri campi e quello che vorremmo utilizzare nell’aprire le nostre esperienze anche con settori
attualmente non completamente coperti dal sistema bancario, attraverso però un chiaro
intendimento, ossia: analisi di un bisogno ma correlato con una opportunità chiaramente
imprenditoriale per quanto ci riguarda, analisi della rischiosità connessa, valutazione
dell’inserimento di strumenti magari innovativi di analisi che prima non avevamo utilizzato,
ma sempre per lavorare allo scopo di evitare chiaramente di superare livelli che devono essere
necessariamente rigorosi di default e quindi sotto questo punto di vista siamo aperti a qualsiasi
tipo di collaborazione. Grazie.
30
Moderatore
La parola al dottor Occhipinti
Giorgio Occhipinti
Responsabile Direzione Retail Banca Monte dei Paschi di Siena
Le banche nascono attorno all’attività del credito. In effetti, quanto affermato dal dottor Zadra
nel suo intervento si adatta particolarmente bene alla Banca Monte dei Paschi di Siena la cui
nascita, riconducibile all’anno 1472, trova le sue radici proprio sui Monti di Pietà. Una continua
evoluzione che negli ultimi anni ha abbandonato la sua originaria veste di intermediazione per
meglio connotarsi nel mondo dei servizi. Proprio in questo senso, leggendo il conto economico
delle banche, ci accorgiamo che mentre in passato i risultati erano nella quasi totalità
riconducibili al margine di interesse, cioè dalla formazione del reddito attraverso l’attività
di raccolta dei depositi da una parte e dell’erogazione del credito dall’altra, si arriva ad oggi
con una sempre crescente capacità di generare cash flow anche dall’attività di servizio.
Su quanto siamo oggi chiamati ad esprimerci, ovvero l’accesso al credito di quella clientela
che per profilo socio-economico fino ad oggi non è stata concretamente avvicinata,
questo è elemento di evidente rilevanza.
Il sistema bancario e creditizio, nella sua riflessione, può infatti porsi in una duplice ottica:
la prima, più difensiva, che tende a considerare questi soggetti come una fonte di eccessivo
rischio; l’altra, più aperta ed innovativa, cerca di esplorare questo mercato ed a questo,
di conseguenza, dare risposte.
È in quest’ultima posizione che riconosciamo la nostra Banca e la sua strategia. Ciò porta a non
presentare soluzioni preconfezionate, ma conduce a valutare nuove proposte che nel caso di
Ebitemp non hanno tardato a trasformarsi in esperienza, in una più ampia visione progettuale,
indispensabile ed importante nel settore del credito.
I dati dimensionali sul lavoro interinale oggi rappresentati (quattro miliardi di fatturato nel 2004,
un milione di rapporti attivi, 350.000 lavoratori) esprimono una realtà assolutamente non
trascurabile non solo in termini quantitativi. Qualitativamente, infatti, si coglie un’espressione di
bisogni estremamente articolata che possiamo ricondurre a molti aspetti oggi sottolineati. Tra
questi basti citare l’età media del lavoratore interinale, 30-32 anni; non è che uno degli elementi
di conoscenza di questo mercato, ma è sufficiente a dimostrare come chi si trovi in quel
momento della vita possa presentare una vasta gamma di esigenze tipiche che, dall’acquisto della
casa alla previdenza, già rappresentano un significativo e rilevante impulso
per la nostra attività.
Sono i presupposti di una forte articolazione della domanda che una banca ha il compito
ed il dovere di analizzare per dare esaurienti risposte.
31
La convenzione realizzata con Ebitemp nel microcredito, sebbene allo stato iniziale perché
il numero di finanziamenti erogati - circa mille – non ci permette di parlare un fenomeno
dimensionalmente rilevante, ma di una importante base di partenza. Il sostegno di un Ente come
Ebitemp risulterà probabilmente sempre fondamentale poiché, come anche il dottor Zadra
ricordava, le banche si muovono tra vincoli e normative molto rigide. Ciò nonostante la
progettualità di tutto il Gruppo MPS, quindi non solo della Banca Monte dei Paschi, è molto
forte: d’altronde, una vocazione in questa direzione emerge già dallo statuto della fondazione
proprietaria e nella destinazione degli utili ad opere di utilità sociale. Per questo sta maturando
un progetto di partnership con enti locali, religiosi, associazioni del volontariato, con lo scopo
di aiutare quelle persone che non presentano caratteristiche patrimoniali o reddituali da
permettere loro l’accesso ordinario al credito. L’obiettivo che ci si prefigge è quindi quello di
condurre questi soggetti nel circuito della clientela della banca, renderli cioè “bancabili”.
L’attività di microcredito sarà ovviamente estesa ad una più ampia platea di quella dei lavoratori
temporanei, e gli uni non escluderanno gli altri. Penso al mondo degli immigrati che in questo
ambito potrà trovare delle risposte, oppure a coloro che già vorrebbero avviare un’attività
imprenditoriale ma non dispongono dei mezzi necessari; a quanti vogliono realizzare
o partecipare ad iniziative di formazione, a quanti, in buona sostanza, potranno usufruire
di un nuovo accesso, diverso e dedicato, al credito.
Nel collegamento tra i due mondi della progettualità e delle esigenze dei nuovi clienti,
si sviluppa l’incontro tra credito e servizio, come parti complementari della nostra attività
che fa dell’intermediazione la base di partenza per lo sviluppo di nuove relazioni.
Ciò può portare ad arricchire il rapporto banca-cliente fino a coinvolgere nuove realtà
per la realizzazione di nuovi servizi e prodotti, anche ad hoc, ed estendersi verso nuovi soggetti
per dare vita a relazioni multilaterali.
Nel paniere dell’offerta della Banca Monte dei Paschi di Siena sono già presenti prodotti/servizi
più o meno specifici. Sul tema degli immigrati proponiamo “Paschi senza frontiere”,
che permette di effettuare trasferimenti all’estero con commissioni di basso profilo
commissionale, oltre ad altre agevolazioni. Concluderei proprio con questa citazione,
al solo scopo di confermare l’attenzione verso questo mondo per certi aspetti ancora sconosciuto
e che anche le iniziative come PattiChiari fanno emergere in termini di offerta della Banca.
32
Moderatore
Grazie al dottor Occhipinti. Tornerei ora dal sindacato con Fabio Canapa, segretario
confederale della Uil. Abbiamo visto che dal fronte bancario si intercetta questo mercato,
per ora in forma limitata e ciò è comprensibile per i molti vincoli che necessariamente
le banche pongono. Però prima abbiamo sentito Nicoletta Rocchi della Cgil dire che anche
il sindacato, dal suo versante, fa fatica a intercettare e rappresentare i bisogni dei lavoratori
atipici. È così secondo lei Canapa?
Carlo Fabio Canapa (*)
Segretario confederale Uil
Devo dire che una qualche faticosità in questa rappresentanza oggettivamente c’è.
Devo dire però che questo non deriva dal fatto che non sono state colte alcune esigenze e
alcune differenze rispetto a quello che è il tessuto di riferimento normale del sindacato. Se
esiste il Nidil, se esiste il Cpo, se esiste l’Alai è perché evidentemente queste cose sono state
colte e sono strutture che hanno magari anche faticato a mettere le radici e che però ormai
hanno una certa storia dietro le spalle, il che significa che una certa sensibilità c’è stata ed è
stata anche abbastanza tempestiva. D’altra parte io credo che rispondere a queste esigenze in
un contesto in cui le modificazioni sono state ampie e importanti, significa anche immaginare
percorsi e strumenti diversi da quelli usuali. Da questo punto di vista ritengo estremamente
importante l’iniziativa di Ebitemp ma credo che su questo vada fatta una riflessione
minimamente approfondita perché la individuazione delle ragioni di questa iniziativa, a mio
avviso, serve ad individuare anche più specificatamente le motivazioni per le quali è stato poi
opportuno realizzarla. Bisogna tener presente oltretutto che questa iniziativa come per altro
Ebitemp, nascono dalla legge 196 e che adesso abbiamo anche il 276, che nel contesto della
somministrazione – non piace nemmeno a me la parola – implica forse anche un
ripensamento – e lo dico come una parte sociale che su Ebitemp è presente
e che è interessata anche al ripensamento che, dico, forse dobbiamo anche fare su Ebitemp,
perché insieme al lavoro temporaneo, insieme all’interinale, abbiamo anche la
somministrazione, quindi dobbiamo vedere un po’ di cose, è un discorso in fieri, è un discorso
più o meno zoppo, cosa significa la zoppia ancora non l’ho capito del tutto perché se
riconosco una validità contrattuale oggettivamente riconosco anche quell’istituto.
Ma poichè le vie del Signore sono infinite, le complicazioni dei rapporti sono quotidiane, ma
per altro quotidianamente riusciamo a superarle. Allora io credo che il discorso vada fatto
proprio rispetto a questo e vada fatto superando anche certe difficoltà semantiche. Da una
vita non uso più la definizione lavori atipici se non altro da quando sono stati tipicizzati o in
termini negoziali o in termini giuridici. Per capirci bene, mi capita di dire i lavori cosiddetti
(*)Testo non corretto dall’autore
33
atipici o i nuovi lavori. Però devo dire che trovo alcune difficoltà qualche volta a non parlare
di precarietà anche se il “nemico” Brignone poi arriccia il naso, perché oggettivamente alcune
temporaneità e alcune condizioni di lavoro creano di fatto precarietà. E guardavo Brignone
quando stava parlando il dottor Macchitella, anche lui ha fatto riferimento alla precarietà, e
in quel caso non ha arricciato il naso. E d’altra parte se stiamo qui è perché dobbiamo
superare elementi di precarietà. Questo mi fa dire però una cosa: il problema non è ricondurre
i rapporti o gli istituti dentro alvei che è stato considerato opportuno superare. Il problema si
pone in termini negoziali e in termini legislativi: creare tutele nuove e omogenee alle
necessità che emergono con questi nuovi istituti, e in questo sta assolutamente la risposta
positiva di Ebitemp che ha risposto a un’esigenza nuova. Tra l’altro, ha risposto a un’esigenza
nuova anticipando in qualche modo una mancanza di risposta pubblica, per così dire, perché
il riferimento che ho detto – siamo passati dalla 196 al 276 – è avvenuto in un contesto in
cui ancora non c’è la definizione di sostegno per i diritti concordati insieme.
Quindi mi sembrava assolutamente naturale che accentuando le possibilità di temporaneità
del lavoro si accentuassero le possibilità di sostegno al lavoro e anche questo non c’è.
Da questo punto di vista, devo dire la verità, sono abbastanza pessimista nell’immaginare
interventi generali di riforma complessiva della pubblica amministrazione perché ripensavo
tempo fa che la legislazione precedente che ha avuto ben due deleghe sulla riforma degli
ammortizzatori sociali, alla fine, senza riuscire ad esercitarla, ha pensato giusto di innalzare
l’indennità di disoccupazione dal 30 al 40%. Ritenendolo un bell’accordo, una bella delega, si
immagina di innalzarla dal 40 al 50% perché non si riesce a fare la riforma. Se andiamo
avanti di questo passo per raggiungere i livelli medi – parlo dell’Inghilterra e parlo della
Germania – dell’indennità di disoccupazione, dobbiamo aspettare altre tre legislazioni. Quindi
un intervento che non sia specifico, un intervento generale da parte della pubblica
amministrazione, non lo vedo nell’orizzonte più immediato.
Credo invece, e lo abbiamo chiesto come Uil al tavolo della competitività, che un discorso
particolare possa essere affrontato anche in termini di intervento pubblico rispetto al discorso
della garanzia al credito proprio su questi tipi di lavoro. Parlo di questi tipi di lavoro proprio
perché il discorso diventa più ampio, e io credo che la bilateralità sia un momento centrale,
non condivido l’ipotesi della multilateralità come momento iniziale. Credo che però la
bilateralità non possa che essere un soggetto, magari il soggetto proponente, ma un soggetto
di un discorso che sia più ampio. Quando Mattina, all’inizio, ci ricordava il rapporto tra
bilateralità, pubblica amministrazione e banche, penso dicesse la necessità di interazione tra
loro, e rispetto a ciò dobbiamo lavorare. Questo significa che l’intervento della pubblica
amministrazione a garanzia iniziale o a garanzia ulteriore da alcuni fenomeni, è
assolutamente necessario. Ciò non toglie che non possiamo immaginare di incrementare in
qualche modo, mi sembra che questo sia l’oggetto di questa giornata, l’iniziativa che è stata
34
presa di garanzia del credito, perché il problema della garanzia è comunque, da quel poco che
ho capito, centrale rispetto al discorso della concessione del credito. Devo dire però che
queste cose dobbiamo imparare ad affrontarle in un modo un attimo diverso se abbiamo
accettato – e qualcuno l’ha accettata – una flessibilità negoziata, individuata e
accompagnata, se abbiamo accettato il discorso della flessibilità, perché era un momento e
una condizione centrale rispetto al discorso della competitività. Certamente è centrale tanto
quanto il discorso della qualità, e quindi vista la compatibilità col discorso della qualità, è
anche chiaro che non possiamo prendere la flessibilità da una parte e considerare non da
flessibilizzare anche altri tipi di rapporto. È abbastanza chiaro che anche quello che riguarda il
credito, quello che riguarda il sostegno al reddito, quello che riguarda il discorso sui fondi
pensione, vada rivisto con un’altrettanta adeguata flessibilità. Non sarà parallela, ma non
possiamo immaginare che si rendono mobili e non certe le regole per un certo settore e poi
per gli altri settori restano rigide com’erano. Questo quindi è un altro elemento che implica
una corresponsabilità di tutti i soggetti, i due soggetti del lavoro, le due parti, e per altro
verso l’altro soggetto che è la pubblica amministrazione, che si deve muovere anche in
coerenza alla legislazione che essa stessa fa.
Noi cominceremo fra poco a verificare l’attuazione del 276 e, indipendentemente dai giudizi,
io credo che sia una valutazione costante tra il dire – che era il decreto – e il fare – che era la
sua applicazione – il mare si sta allargando sempre di più e questo crea sempre più problemi.
Il che significa che un pezzo di corresponsabilizzazione diretta in termini di coerenza da parte
dello stesso Governo è assolutamente necessario sopratutto sul sostegno al credito che è
fondamentale per dare un minimo di prospettiva a questi lavoratori temporanei, per renderli
un pochino meno precari. La precarietà è la mancanza di un minimo di certezza di orizzonte,
poi qualcuno mi potrà dire che con la legislazione sui licenziamenti collettivi che c’è in Italia
di precari ce ne sono tanti e forse se guardiamo più i rapporti collettivi che i rapporti
individuali, anche nei confronti tra le parti, faremmo il bene del Paese e dei lavoratori e
qualche volta delle aziende, ne sono abbastanza convinto. Detto questo, c’è un problema di
omogeneità e di una coerenza complessiva di comportamenti che noi dobbiamo sollecitare,
anche in termini di iniziativa. Questo tipo di iniziativa sul credito mi sembra importante e
credo che uno dei modi per rafforzarla sia anche il considerare l’orizzonte in cui questo
discorso è applicabile. Se la potenzialità rappresentativa e operativa delle agenzie per il lavoro
oggi con il 276 è diversa da quella che c’era con la 196, credo che questo implichi che i
soggetti a cui è riferibile un certo tipo di intervento si allarghino e che quindi si allarghino
anche le possibilità di mutualità perché uno degli elementi di incremento, a mio avviso, non è
solo la disponibilità di Ebitemp in quanto tale, ma è anche la possibilità che mettano in moto
elementi di mutualità aggiuntiva. Ecco, credo che queste siano le strade che in qualche modo
vadano praticate, rafforzando questa iniziativa, coinvolgendo e corresponsabilizzando anche
35
in termini negativi se la risposta dovesse essere negativa, poi si tirano le conseguenze in tanti
modi, anche la pubblica amministrazione, ma partendo soprattutto da una nuova riflessione
fra le parti che consenta un incremento delle azioni di sostegno.
36
Moderatore
Bene, prima abbiamo visto il ruolo delle banche, però accanto alle banche c'è il sistema
postale, un sistema diffuso capillarmente sul territorio e per tradizione molto attento alle
istanze sociali anche dei segmenti più deboli. Allora vorrei chiedere al dottor Serioli di Poste
italiane come si sta muovendo l'azienda per rispondere ai bisogni di finanziamento di chi non
ha un lavoro fisso.
Marco Serioli (*)
Direzione Marketing Poste Italiane spa
Ringrazio per l'invito che ci è stato fatto oggi di partecipare a questo convegno. Poste italiane
è in qualche modo terza, e abbiamo avuto la conferma del fatto che in questo dibattito
ci stiamo affacciando ora rispetto a questi temi.
Poste italiane ha subìto, come tutti sanno, un processo di grandissimo rinnovamento negli
ultimi 4-5 anni che ha cambiato di molto anche la fisionomia della nostra azienda e credo
sia interessante riuscire a portare il nostro punto di vista e il nostro contributo perché,
pur essendo anche una banca, siamo diversi dalle banche. Siamo diversi dalle banche perché,
intanto, non siamo solo una banca. Poste Italiane, come tutti sanno, svolge un servizio
universale postale, quindi è l'azienda che quotidianamente è più vicina agli italiani ed è in
tutti i luoghi d'Italia, visto che siamo presenti dappertutto, svolgiamo servizi che riguardano
il trasporto, la consegna di beni, plichi ecc. e poi, ovviamente, svolgiamo anche da un po' di
tempo un servizio che si chiama Bancoposta. Quindi, da una parte noi non siamo solo una
banca, siamo anche questo, ma siamo sicuramente una banca atipica. Siamo in realtà una rete
distributiva di prodotti di terzi, il più importante dei quali, perché è uno dei nostri azionisti
di riferimento, è la Cassa depositi e prestiti. In realtà, noi siamo la rete di collocamento della
Cassa di depositi e prestiti da una parte, dall'altra parte siamo la rete distributiva, la rete
di collocamento anche di altre banche. Perciò distribuiamo prodotti ancorché conosciuti
dal grande pubblico, dal mondo dei consumatori, con un brand Bancoposta, in realtà sono
prodotti di altre banche. Credo che sia importante comunque sottolineare questa differenza,
non è tanto un problema di allontanarci, quanto un problema di comprendere che Bancoposta
non è una banca come le altre, e quindi bisogna ricordare questo aspetto. In particolare,
e ci ritorneremo fra un attimo, Bancoposta non ha per regolamento la possibilità di concedere
crediti. Quindi noi, specialmente in questo senso, non siamo una banca. Oggi qui parliamo
di credito, parliamo di accesso al credito, di accesso agevolato, però c'è un tema su cui Poste
Italiane in generale, e Bancoposta in particolare negli ultimi anni ha insistito, ha investito
moltissimo cercando di sfruttare a pieno i propri capitali ed è proprio il tema che qui è stato
accennato, quello dell'inclusione sociale anche e specificatamente sotto il profilo dei servizi
(*)Testo non corretto dall’autore
37
finanziari. Noi abbiamo cercato di fare e abbiamo cercato di spingere molto in questa
direzione, proprio perché ritenevamo già qualche anno fa che ci fosse un vuoto, non solo
e non tanto guardando solamente al mondo del lavoro interinale o atipico (o non tipico come
è stato definito), ma, più in generale, qualcosa che andasse al di là di questo mondo e che
riguardava coloro che erano esclusi. Qui prima è stato usato un aggettivo che da non
bancario non conoscevo: i clienti “bancabili” e quelli “non bancabili”. Poste Italiane ha
lavorato sui clienti non bancabili negli ultimi anni o su una parte di questi (ovviamente non
è che abbiamo puntato solo su questi) in una logica che in realtà è stata una logica di natura
industriale. Poste Italiane non è una società di mutuo soccorso, è una s.p.a, ha azionisti molto
esigenti, forse tra i più esigenti che ci siano, visto che i nostri bilanci devono anche aiutare
a quadrare il bilancio dello Stato. Quindi siamo assolutamente una s.p.a, non abbiamo fatto
e non facciamo beneficenza ma pure in una logica industriale abbiamo guardato con
attenzione a questo mondo della esclusione e dei non bancabili. E abbiamo guardato cercando
di mettere in campo sotto il profilo del servizio più che sotto il profilo del credito, degli
strumenti che permettessero a tutti i cittadini di accedere in generale ai servizi bancari, a
partire dalla possibilità di avere un conto corrente, che non è banale. Ovviamente la
possibilità di avere un conto corrente passa anche attraverso un tema di prossimità, noi
abbiamo il vantaggio, come molti sanno, di avere una rete di 14.000 uffici quindi la più vasta
rete italiana, credo più dei carabinieri e delle parrocchie o comunque paragonabile con il
numero di parrocchie e il numero di caserme dei carabinieri e quindi siamo l'unica
organizzazione che copre in modo così capillare il territorio italiano. Il 97% dei comuni
italiani è coperto da un ufficio postale che è anche un ufficio bancario - tra virgolette a
questo punto -, che è anche un punto di accesso ai principali o basilari servizi finanziari.
Quindi abbiamo lavorato molto in questo senso e devo dire che al di là delle parole anche i
numeri ci confortano.
Abbiamo avuto una corretta logica industriale e tra l'altro abbiamo colto effettivamente
e abbiamo forse anche in parte risposto nel nostro piccolo a un bisogno di bancarizzazione
che evidentemente c'era, e forse c'è ancora la necessità e bisogna ancora insistere
e insisteremo in questo senso. Se Bancoposta è passato in questi ultimi 3 anni da circa 2
milioni di clienti a 4 milioni e 200.000 clienti, quindi 2 milioni e 200.000 nuovi correntisti in
tre anni, io credo che in piccola parte i nostri correntisti vengono da altre banche, ma in gran
parte non erano bancarizzati. In gran parte abbiamo cercato comunque di svolgere sotto
questo profilo un ruolo che diventa anche un ruolo sociale, di fare accedere anche certe fasce
meno fortunate ai servizi finanziari di base da una parte, dall'altra parte, l'altro dato
interessante è che un quarto di tutti i nostri correntisti è sotto i 30 anni. Evidentemente
anche qui, chi pensa che alla Posta vada solo il pensionato, ha una vecchia immagine delle
Poste Italiane. Un quarto dei nostri correntisti bancari è sotto i 30 anni, quindi anche da
38
questo punto di vista è un altro aspetto che conferma quanto stavo dicendo. Un altro aspetto
interessante è che circa 300.000 dei nostri correntisti, quindi un numero elevato in
percentuale ed elevato anche in termini assoluti, sono immigrati. Evidentemente da parte
dell'immigrato c'è più facilità e familiarità nell’andare in Posta rispetto al rapporto bancario,
che oggettivamente è leggermente diverso anche in termini di interazione tra persone.
Evidentemente anche rispetto agli immigrati abbiamo un appeal forse diverso, diamo una
garanzia che sta più nel brand, nell'immagine, più che nella realtà, alla fine. Noi cerchiamo
di fare la banca come gli altri, non siamo molto diversi da questo punto di vista. Intanto
volevo raccontare queste cose che credo siano importanti sotto il tema dell'inclusione.
È stato detto anche recentemente. Lavorare e far parte della società attiva sotto questo
profilo significa prima di tutto avere accesso ai servizi base quali il conto corrente, la carta,
insomma i servizi minimi per potersi muovere nel nostro mondo. L'altro aspetto chiave che
volevo sottolineare è - come vi dicevo prima Bancoposta è in realtà una rete distributiva cosa possiamo mettere noi a disposizione di iniziative come quella di Ebitemp? Noi abbiamo a
disposizione due grandissimi asset, che per altro fanno parte del patrimonio nazionale,
sono di Poste Italiane ma in realtà derivano dallo Stato, derivano dal fatto che la nostra
azienda era un ministero una volta, e quindi devono essere assolutamente viste come
patrimonio nazionale e come tali devono essere messe a disposizione del sistema e messe a
disposizione di iniziative come questa.
I due importantissimi asset che abbiamo sono: 14.000 uffici postali distribuiti nel 97% dei
Comuni italiani e quindi la prossimità che è un valore molto importante soprattutto laddove si
debbano spiegare magari de visu, magari di persona le cose. Si può avvicinare qualcuno per
spiegare di persona che non deve avere timore di accedere al credito o a questo credito,
oppure se è una persona che non ha un lavoro a tempo indeterminato. Da una parte questo e
dall'altra parte una rete telematica, un'infrastruttura tecnologica e informatica che negli
ultimi 5 anni ha fatto passi da gigante, quindi oggi noi abbiamo la possibilità, se c'è un
prodotto, un servizio di credito, uno strumento di credito da distribuire su tutto il territorio di
distribuirlo territorialmente sia attraverso una presenza fisica che è quella che tutti
conoscono, sia attraverso una infrastruttura tecnologica. Poi alla fine, per rendere le cose
semplici, ci vuole dietro tanta tecnologia. Bisogna risolvere la complessità al centro per poi
non portarla sulla periferia e quindi questo è l'altro importante asset che possiamo mettere a
disposizione. Ovviamente, e chiudo, essendo noi una rete distributiva di prodotti di altri,
quindi non potendo autonomamente e in modo unilaterale innovare e inventarci dei prodotti
finanziari nostri ma dovendo sempre per definizione, per il modello collaborativo che noi
abbiamo per statuto, per regolamento, dovendo e volendo perseguire questo modello
collaborativo ci rendiamo disponibili ovviamente nei confronti di Ebitemp e di queste
iniziative a trovare i modi per sviluppare in modo concreto e fattivo questa collaborazione.
39
Dall'altra parte, ripeto, il sostantivo della multilateralità che è stato introdotto adesso,
che poi sia un tema di multilateralità o bilateralità, è legato al fatto che il prodotto
finanziario che sta sotto dobbiamo costruirlo insieme a una banca o a più banche
contemporaneamente. Questo è un tema che ci porta nella tecnicalità sia degli
strumenti che delle metodologie da mettere in campo, però poi credo che sia
importante sapere da una parte che le Poste Italiane già lavorano concretamente sul
tema dell'inclusione sociale con risultati concreti, fattivi, e dall'altra parte è disposta
ovviamente a migliorare e mettere a disposizione i propri asset per fare di più in
un'area specifica e forse più difficile come quella dell'area del lavoro di cui parliamo
stamattina.
40
Moderatore
Grazie. Allora io chiuderei la nostra tavola rotonda, prima di eventuali interventi, tornando
alle parti sociali prima col dottor Amoroso, presidente di Confinterim, associazione delle
imprese fornitrici di lavoro interinale, e poi con Ivan Guizzardi, presidente di Alai Cisl,
l'associazione dei lavoratori atipici e interinali per chiedere loro se e come si può andare oltre
questa prima esperienza del fondo di garanzia sui piccoli prestiti che, per quanto positiva, è
ancora limitata.
Michele Amoroso
Presidente Confinterim
Confederazione Italiana delle Associazioni delle Imprese
Fornitrici di Lavoro Temporaneo
Andare oltre Ebitemp. L’evoluzione dell’Ebitemp può senza dubbio prendere le mosse dalle
esperienze di questi primi anni di attività. Il percorso tracciato sarà utile a dare le linee guida
per il futuro delle attività dell’Ente. Per molti aspetti è stata una esperienza assolutamente
particolare ed innovativa. Affrontare i temi del disagio sociale e lavorativo di una nuova
generazione di lavoratori, cercando di individuare soluzioni nuove alle nuove problematiche
sorgenti dai nuovi modelli di utilizzo della risorsa lavoro da parte delle imprese è, e sarà, il
punto su cui il confronto democratico tra tutte le Parti Sociali dovrà confrontarsi con
assiduità ed impegno nei prossimi anni. Ebitemp ha avuto l’onere di occuparsene per tempo,
cercando, da un lato, di capire le origini e le forme del disagio, e dall’altro, di individuare
le prime forme di rimedio. L’accesso al credito è uno dei sintomi di questo disagio.
Trovare una prima terapia, nelle forme individuate e presentate in questo convegno, è quanto
è stato possibile nelle condizioni normative che supportano, allo stato, l’esistenza dell’Ente.
Riuscire a trovare il modo di rendere possibile l’accesso al credito, sia pure di prima necessità,
a lavoratori non stabilizzati e che riescono con difficoltà a raggiungere un reddito, è
certamente opera meritoria. Opera meritoria, ma non sufficiente. Di più, anche col coraggio
che deriva dal successo di queste prime iniziative, può e deve essere fatto. È senz’altro un
problema di risorse, ma è anche un problema di idee e di conoscenze. Condivido quanto
asseriva Bocchieri nel suo intervento circa la fondamentale rilevanza della bilateralità quale
strumento di continuo confronto tra le Parti Sociali. È questo confronto e quindi la
conoscenza profonda dei temi trattati che può contribuire alla corretta individuazione dei
bisogni e delle idonee soluzioni. Da parte datoriale si è assolutamente consapevoli che la
competitività delle aziende passa anche attraverso la flessibilità dei rapporti di lavoro, ma si è
anche consapevoli che non può esserci flessibilità senza che intervengano misure idonee a
garantire il sostegno delle condizioni di vita e di inclusione sociale dei nostri lavoratori. È
41
necessario lavorare sulla individuazione degli strumenti di welfare nuovi, capaci di rispondere
ai nuovi disagi derivanti dalla trasformazione e dal cambiamento delle regole del mercato del
lavoro. Uno sforzo da parte di tutti è necessario in questa direzione. Una migliore e più idonea
distribuzione della contribuzione, con particolare riferimento alle voci mirate alle coperture
di tipo assistenziale. Prevedere idonei accantonamenti per il sostegno al reddito nei periodi
di inoccupazione di questi lavoratori. Individuare, all’interno degli attuali parametri del costo
del lavoro, risorse utili a garantire la soddisfazione dei bisogni particolari e caratterizzanti
i nuovi soggetti del mondo del lavoro. Si tratta in sintesi di razionalizzare e di estendere
gli ammortizzatori sociali per la tutela di tutti i lavoratori, in modo da garantire un livello
essenziale di sicurezza nei periodi di interruzione dei rapporti lavorativi. È certo che le risorse
attualmente disponibili non possono raggiungere questi risultati. Quando parlo di
razionalizzazione mi riferisco alla migliore utilizzazione delle risorse disponibili nel complesso
delle risorse impegnate. Quindi non soltanto agli specifici 0,20 destinati al finanziamento
dell’Ente, ma e soprattutto agli avanzi di gestione Inps, Inail, almeno per la contribuzione
del settore, utilizzandoli per finanziare fondi, quali Ebitemp, per costituire, ad esempio, non
solo garanzie ma anche le coperture dei costi finanziari (interessi passivi) relativi ai prestiti
erogati, per finanziare la copertura dei periodi vacanti previdenzialmente per i periodi di non
lavoro al fine di non pregiudicare il diritto, per questi lavoratori, alla pensione.
Un forte contributo di idee che le Parti Sociali possono sicuramente dare: il concetto
di “flessibilità sostenibile” è quello che deve permeare il tessuto multiforme che va
delineandosi come nuovo modello di mercato del lavoro. Una flessibilità legata a modelli
di interventi mirati al bisogno particolare, uscendo dai meccanismi delle soluzioni tampone
e rivolte ad una indistinta massa di lavoratori. Piuttosto, quindi, l’individuo al centro delle
attenzioni del sistema del Welfare, individuo con i suoi particolari bisogni e risposte utili
al soddisfacimento di quei reali bisogni. Occorre mettere mano alla creazione di un sistema
che possa monitorare, individuare e risolvere, mediante azioni di tutoraggio e forte
coinvolgimento delle Agenzie per il Lavoro private, le problematiche, una per una, che
sorgono in virtù degli “effetti collaterali” di una gestione del mercato del lavoro flessibile.
Certo è che occorre lo sforzo di tutti. In certe aree particolari del Paese, al Sud, ancora di più,
occorre che tutti facciano la loro parte: da un lato le Istituzioni garantendo le condizioni per
lo sviluppo, da un lato le imprese che si impegnino a promuovere il proprio business in un
territorio ricco di risorse e soprattutto di risorse umane qualificate, dall’altro i lavoratori con
la disponibilità ad entrare per gradi nel mercato del lavoro regolare, creando, sinergicamente,
le condizioni per una graduale e sostenibile emersione dal lavoro nero.
Un ruolo importante può essere svolto dal sistema delle Agenzie per il Lavoro, con l’impegno
degli Enti bilaterali del settore.
Per concludere, un esempio di come il sistema delle imprese bancarie possa agevolmente dare
un contributo alla soluzione di un disagio dei lavoratori somministrati: rendendo disponibili
gratis carte di debito ricaricabili per tutti i lavoratori somministrati. Sarebbe un grande aiuto
alla loro gestione finanziaria, non trascurando il fatto che il settore eroga annualmente circa
due miliardi e mezzo di euro in retribuzioni.
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Ivan Guizzardi
Presidente Alai-Cisl Associazione Lavoratori atipici e interinali
Prima di entrare nel merito rispetto al tema che Ebitemp ha posto oggi, ritengo
fondamentale fare alcune considerazioni che mi sembrano in qualche misura centrali, sulle
quali si può essere poi in accordo o in disaccordo. Normalmente, quando discutiamo del
lavoro somministrato o ex interinale, lo consideriamo da un lato come un lavoro atipico,
e lo è per alcuni aspetti, ma assimilarlo a tutta una serie di lavori atipici che invece hanno
altre loro peculiarità, non mi convince, e su questo mi soffermo. Lo abbiamo sentito
stamattina perché non è assimilabile, e in secondo luogo, per certi versi ancora più
gravemente dal mio punto di vista, c’è chi pensa che il lavoro somministrato abbia di fatto
sostituito il lavoratore a tempo indeterminato. Due considerazioni che mi sembrano
oggettivamente discutibili, perché altrimenti non si capirebbe il motivo per il quale l’Unione
Europea avrebbe sollecitato l’Italia a riformare le regole del mercato del lavoro per favorire
una maggiore occupazione. In questa ottica si può discutere se la tipologia contrattuale
della somministrazione è adeguata o meno rispetto agli obiettivi. Però mi sembra
oggettivamente sbagliato pensare che il lavoro somministrato abbia sostituito il lavoro a
tempo indeterminato. Perché altrimenti bisognerebbe pensare come mai in questi anni,
a fronte del fatto che non c’è stato uno sviluppo economico consistente, il livello
occupazionale non è diminuito, è anzi aumentato. Poi, per quanto riguarda casa mia, devo
registrare un fatto di particolare soddisfazione: in Cisl non aumentano le iscrizioni
dei disoccupati, aumentano i lavoratori flessibili. E questo, vorrà pur significare qualcosa.
Detto questo, che è una considerazione preliminare per poter discutere e affrontare
la problematica odierna, credo che per come è stato concepito e come abbiamo realizzato
il lavoro somministrato nel nostro Paese, la bilateralità rimane centrale per ogni sua
evoluzione. Oltre a fornire gli strumenti attuativi della contrattazione, da un punto di vista
concettuale, essa suggerisce un’altra considerazione che a me pare particolarmente rilevante,
e che ritengo decisiva per come l’abbiamo costruita. La bilateralità è anche una modalità
di coinvolgimento dei soggetti sociali, chiamati ad assumersi una funzione di forte
responsabilità, e ad esercitare un ruolo di altrettanta forte sussidiarietà. Questo implica
la costruzione di una serie di tutele che prima, essendo legate al posto di lavoro, erano legate
all’azienda e al sistema di welfare pubblico, e oggi, tutte e due queste condizioni, anche senza
analisi approfondite, sarebbero oggettivamente difficili da riproporre e costruire.
Allora, la bilateralità, così come è stata realizzata in Italia nel settore del lavoro
somministrato, ha creato le condizioni per corrispondere tutele non più legate al posto di
lavoro, ma alle dinamiche del mercato, dove l’associazione d’impresa e l’associazione della
rappresentanza dei lavoratori, pur con alcuni limiti, hanno reso ciò possibile, all’interno di un
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più moderno sistema di relazioni industriali. Per i giovani che nel percorso della loro vita
professionale si trovano all’interno di questo contesto, è indubbio che la temporaneità del
rapporto di lavoro rappresenta elemento di precarietà. È però l’unico elemento di precarietà,
perché le tutele che sono state costruite, compreso l’accesso al credito su cui mi soffermerò
più avanti, dimostrano che questo è un sistema che non li esclude, ma che riesce ad includerli.
Oggi, pur con alcuni limiti, la loro inclusione nel sistema negoziale che abbiamo costruito è
innegabile, e mi permetto di dire che da questo punto di vista c’è un altro aspetto che non
è tra i più rilevanti numericamente, ma che fornisce un’indicazione significativa. Si è cioè
dimostrato che il lavoro somministrato rappresenta un’occasione per includere nel sistema
paese anche una fetta di lavoratori che, essendo in calo il nostro tasso di natalità, entrano
nel nostro Paese e non vi entrano da clandestini o da lavoratori in nero, che è il vero
problema che abbiamo nel nostro mercato del lavoro. Mi riferisco ovviamente agli immigrati,
per i quali, tutele come l’accesso al credito di cui trattiamo oggi, sono tra le più utilizzate.
Ciò è comprensibile, perché un italiano ha un sistema di relazioni per cui spesso non ha
bisogno di ricorrere alla banca per avere un piccolo prestito, perché la famiglia e le amicizie
possono supplire a questa esigenza. Per un lavoratore immigrato, che non ha tale sistema di
relazioni, questa prestazione ha un valore enorme.
La rilevanza delle tutele si accompagna ad un altro aspetto rilevante, già accennato
da qualcuno, e cioè l’opportunità di poter sviluppare relazioni tra i soggetti. Ecco, la
bilateralità in qualche misura è un fattore che favorisce non solo la costruzione di tutele,
ma favorisce anche lo sviluppo delle sedi e delle occasioni per cui la gente si mette assieme.
E questo è per me, dal punto di vista sindacale, un aspetto importante. Io non sono solamente
un erogatore di servizi, sono un soggetto che tende a includere i lavoratori, a metterli insieme
per affrontare la realtà. Questa opportunità dell’accesso al credito, mi sembra faccia parte del
percorso che ho indicato, e ne costituisce uno degli aspetti più significativi.
Stiamo certamente parlando di piccoli crediti, e le problematiche di questi giovani lavoratori
sono di ben altra misura, però avere intrapreso un’iniziativa così innovativa può segnare la
strada per conseguire obiettivi di più vasta portata. Da questo punto di vista bisogna che noi
ampliamo l’orizzonte delle interlocuzioni, nel senso che oltre le banche, oggi giustamente
nostre interlocutrici dirette, dobbiamo coinvolgere le Fondazioni. Perché secondo me,
il sistema da costruire è una bilateralità che coinvolge i soggetti sociali presenti sul territorio,
e le Fondazioni e il settore pubblico sono i soggetti che meglio corrispondono ai bisogni di
questa tipologia di lavoratori. Scusate un riferimento personale: quando io ero un giovane
dipendente con uno stipendio da operaio metalmeccanico del 1970, condizione che Enzo
Mattina conosce bene, nessuna banca mi ha mai dato nessun credito eppure avevo il mio
stipendio, anzi, pensavo di lavorare nello stesso posto per 35 anni. Facendo le debite
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differenziazioni, le esigenze basilari dei lavoratori hanno mantenuto le stesse caratteristiche.
Se vogliamo però ampliare il nostro intervento e consentire l’accesso ai mutui per la casa,
siamo ben consci che non è misura da poter attivare autonomamente, con le nostre esclusive
risorse. Secondo me, e ritorno a quanto detto poco fa, diventa fondamentale il ruolo
dei soggetti sociali, per cui attraverso la bilateralità, occorre attivare il coinvolgimento
delle Fondazioni e della sfera pubblica. Al termine del mio intervento, ritengo essenziale
evidenziare un aspetto che invece differenzia gravemente il lavoratore interinale (e uso
ancora questa parola) dai collaboratori. Mentre per gli interinali questa è una strada che può
essere percorsa, per i collaboratori non c’è nulla o poco più di nulla. In questo senso,
all’interno della richiesta dell’innalzamento della quota previdenziale che la CISL auspica per
riequilibrare l ’attuale situazione imperniata sull’aliquota del 18% per i collaboratori e del
34% per i lavoratori dipendenti, un aumento dell’aliquota dallo 0,5% all’1%, consentirebbe
di raddoppiare la quota da destinare alle prestazioni per i lavoratori con contratto a progetto.
Questo, secondo me, è un percorso che dobbiamo intraprendere assieme, come sindacato
e come rappresentanza delle associazioni datoriali.
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Moderatore
Grazie Guizzardi. Allora, so che c'è qualcuno che ha chiesto di intervenire, del resto la
discussione offre molti spunti. La prego di presentarsi e di stare entro i 10 minuti, grazie.
Sergio Veroli
NIdiL CGIL Nazionale Nuove Identità di Lavoro
Credo che la scelta di Ebitemp di costituire un fondo di garanzia per concedere piccoli
prestiti ai lavoratori interinali, sia un’esperienza unica in Italia.
Infatti , i lavoratori non assunti a tempo indeterminato, hanno l’accesso vietato sia al credito
bancario, sia a quello al consumo.
La recente riforma del mercato del lavoro che per Governo e Confindustria avrebbe introdotto
nuove tutele e nuove garanzie, non ha sciolto la diffidenza delle banche.
È evidente l’atteggiamento contraddittorio e ipocrita di industriali e banchieri, che, mentre
esaltano le nuove flessibilità e disponibilità introdotte per questi lavoratori, per gli stessi
motivi li escludono dal mercato del credito. Va sottolineato che, in prospettiva, una scelta così
conservativa produrrà risultati negativi sia per la redditività delle stesse banche, sia per gli
effetti degenerativi che può determinare sul valore sociale dell’accesso al credito.
Infatti, se esiste una domanda di credito potenzialmente meritevole, ma non soddisfatta
dagli intermediari legali, è possibile, che tale richiesta venga accolta da prestatori informali,
o peggio ancora illegali.
Il fatto è che le banche senza garanzie reali o personali non fanno credito e , ancora oggi,
a parte qualche timido tentativo nel settore dei mutui, nei confronti di questi nuovi segmenti
di clientela non hanno alcuna strategia di riferimento.
In questa situazione di stallo le parti sociali potrebbero cominciare a smuovere le acque
promuovendo un’esperienza simile a quella dei Confidi. Se il suggerimento in questo senso
del dottor Zadra non è , e non credo che sia, solo di natura formale, allora potrebbe aprirsi
un tavolo di approfondimento in tempi rapidi.
Si dovrebbero individuare le fasce potenziali di clientela, disegnare i prodotti finanziari più
idonei, coinvolgere istituzioni pubbliche e private per esempio le Fondazioni bancarie,
territoriali e centrali al fine di costituire un fondo di garanzia, da creare presso gli enti
creditizi, che potrebbe essere gestito da sezioni autonome e specializzate.
Le strategie e le modalità organizzative potrebbero essere le più diverse e articolate,
ma l’obbiettivo, che nello stesso tempo dovrebbe essere il prodotto principale del sistema
bancario,ӏ quello di far credito alla persona onesta e capace di rendere il prestito
alla scadenza e con il giusto interesse” secondo la semplice ed essenziale definizione
di Luigi Einaudi.
46
Moderatore
C'è un altro intervento.
Francesco Salvaggio
Segretario generale Confinterim
Confederazione Italiana delle Associazioni delle Imprese
Fornitrici di Lavoro Temporaneo
Ho seguito con molta attenzione tutti gli interventi, e mi riferisco prevalentemente
all’introduzione fatta dal presidente Mattina, quando proponeva la nostra esperienza come
un qualche cosa che potesse essere e costituire nello stesso tempo un elemento
di aggregazione dell’azione di più soggetti. E allora mi sembra che la nostra bilateralità deva
farsi proponente a tutto il sistema, di un percorso che potrebbe, anche nel breve, mettere
assieme per discuterne i soggetti e gli attori che nei precedenti interventi di questo seminario
sono stati nominati. A partire dalle Fondazioni, e naturalmente dal ministero del Lavoro,
perché è chiaro che ci vuole una presenza fattiva da parte delle istituzioni, oltre che delle
banche stesse. Oggi assistiamo ad iniziative troppo sporadiche e generiche,
che hanno sì infranto alcuni tabù, ma ci aspetteremmo di conoscere le reali condizioni alle
quali potrebbero essere concessi, ad esempio, i mutui casa per i lavoratori del nostro settore.
Da azioni sinergiche dei soggetti a cui prima ho fatto riferimento, credo che possano derivare
situazioni realmente favorevoli per allargare le possibilità dell’accesso al credito a nuove
platee di utenti. Vorrei quindi sottolineare come la nostra bilateralità e le parti sociali
che ne indirizzano l’attività, possano giocare un ruolo da protagonisti nel coinvolgimento
delle istituzioni per elaborare e dare vita a più impegnativi progetti di forte ricaduta
economica e sociale.
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Conclusioni
Moderatore
A chiudere i nostri lavori doveva essere il sottosegretario al Welfare, Pasquale Viespoli,
che però, purtroppo, è assente e ci ha mandato un messaggio dove si scusa, ci augura buon
lavoro, ma ci informa che, per sopraggiunti impegni istituzionali, non può partecipare.
È un peccato perché nel nostro dibattito ci sono stati numerosi richiami all'importanza
e all'esigenza di un fondo pubblico, in particolare per far decollare i mutui per questa
particolare categoria di lavoratori. Comunque, speriamo che il Governo sia sensibile a questa
tematica magari in occasione, a questo punto, della preparazione della prossima finanziaria.
Chiederei intanto al presidente Mattina di concludere brevemente i nostri lavori. Grazie.
Enzo Mattina
Presidente Ebitemp
Ringrazio gli intervenuti e constato che dal dibattito sono giunti spunti di grande interesse
che saranno tenuti in attenta considerazione.
L'assenza del rappresentante del Governo ci priva di un apporto non di poco conto; penso,
tuttavia, che dovremmo trovare ascolto allorché saremo giunti al punto di formulare una
proposta concreta sull'accesso ai mutui per i lavoratori somministrati a tempo determinato.
Individuo una direttrice di lavoro nella possibilità di instaurare un tavolo di confronto tra tre
soggetti, l'Ente bilaterale, le Banche, il Governo, che assumano impegni convergenti a favore
di lavoratori che per una parte forse non piccola della loro vita dovranno fare i conti
con la discontinuità di lavoro.
Possiamo immaginare la costituzione di un fondo di garanzia e compensazione alimentato
dagli apporti dei tre soggetti anzidetti:
• Ebitemp con la costituzione del fondo di garanzia ai piccoli prestiti ha aperto un capitolo
nuovo nel campo delle tutele a favore dei lavoratori temporanei. Di sicuro può andare oltre,
istituendo un nuovo fondo per l'accesso ai mutui. Potrebbe altresì candidarsi a fare da
collettore delle domande e della raccolta delle prime documentazioni necessarie ad avviare
le pratiche.
• Le banche, tutte o quelle che ne avessero la disponibilità, potrebbero dare il loro apporto o
con un conferimento diretto di risorse o, meglio, con una disponibilità a gestire i rinvii nel
pagamento delle rate, i costi di istruttoria, i tassi di interesse ecc. con soluzioni innovative
e poco onerose.
• Lo Stato potrebbe intervenire con un apporto sostanzioso al fondo, in modo da ampliare
il numero di mutui concedibili.
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Lo scopo del fondo dovrebbe essere quello di compensare gli interessi in caso di necessità
di rinvio delle rate di mutuo, di consentire una gestione flessibile e a costo zero
o ridotto, dei tempi di restituzione delle somme mutuate.
Nessuno ipotizza un accesso deresponsabilizzato ad un beneficio importante
nell'organizzazione della vita di un individuo. Dobbiamo solo costruire un percorso che,
fermo restando tutti gli obblighi che gravano su chi acquista un immobile con un mutuo,
assicuri a chi non ha un'occupazione stabile di non dover vivere di angoscia ogni volta
che si determina, non per sua colpa, una discontinuità nel rapporto d'impiego.
La chiamata in causa dello Stato non è certo suggerita da rigurgiti di statalismo,
bensì dalla convinzione che, quando un ordinamento tipizza il lavoro discontinuo,
deve anche farsi carico di attenuarne i disagi. È questo un obbligo civile in un Paese che fa
parte dell'Unione Europea, che ha assunto l'economia sociale di mercato come modello
regolatore dei rapporti con i suoi cittadini.
Il concorso dell'Ente bilaterale è il superamento del pubblicismo a tutto campo; lavoratori
e aziende si accollano la loro parte di oneri e ciò non è poco anche nella direzione di creare
una convergenza di interessi nella lotta al lavoro irregolare, che è il grande problema
del nostro paese e rispetto al quale dovrebbero spendersi le energie contro
la precarizzazione del lavoro.
Il sistema creditizio viene coinvolto, perché ha l'interesse ad ampliare la platea dei suoi
impieghi e dei suoi clienti. Deve, però, farlo con una sensibilità sociale nuova.
I segnali ci sono e abbiamo visto che una grande banca, come la Banca di Roma,
si è già messa, sia pure timidamente, su questa strada.
Mi sembra che siano in molte che intendono misurarsi con queste nuove sfide.
Le dimensioni del fondo, il suo modo di operare, i tempi di realizzazione ecc.
rientrano nel lavoro che dovremo fare nei prossimi mesi.
Ebitemp con l'apporto dei suoi soggetti costitutivi, le Associazione delle Agenzie per il lavoro
e le Organizzazioni sindacali, farà sicuramente da stimolo; ci auguriamo che gli altri due
soggetti siano pronti a muoversi.
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Appendice
I prestiti personali per i lavoratori temporanei:
l'esperienza di Ebitemp
Il lavoratore temporaneo ha un'età media di 29 anni, la sua missione di lavoro dura
mediamente 60 giorni di calendario, le sue mansioni sono prevalentemente di natura operaia.
Al pari di ogni altro lavoratore a tempo determinato, la breve durata e il carattere discontinuo
della sua permanenza al lavoro (anche se è frequente che uno stesso lavoratore svolga più
missioni in un anno) possono impedire l'accesso al credito.
Numero di prestiti approvati dalla Commissione Ebitemp (*)
Prestito medio concesso (euro)
Totale prestiti approvati (euro)
Fondo di garanzia EBITEMP (euro)
Donne
Uomini
1.520
1.964
2.985.000
1.550.000
17,8%
82,2%
Prestiti personali Ebitemp
Suddivisione per classi di età dei richiedenti
50,00%
45,00%
40,00%
35,00%
30,00%
25,00%
20,00%
15,00%
10,00%
5,00%
0,00%
da 16
a 25 anni
(*)Dati aggiornati ad aprile 2005
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da 26
a 29 anni
da 30
a 39 anni
da 40
a 49 anni
50 anni
e oltre
Prestiti Ebitemp
Settori di lavoro dei richiedenti
Pubblica amministrazione 2%
Sanità 3%
Ind. Tessile 3%
Trasporti 4%
Ind. Alimentare 5%
Serv. Pubblici 5%
Ind. Legno 6%
Ind. Meccanica 49%
Ind. Chimica 6%
Comm. Dettaglio e Servizi 7%
Ind. Gomma 10%
Per venire incontro alle esigenze di credito dei lavoratori temporanei
(ora, in somministrazione, secondo la terminologia della nuova legge di riforma del mercato
del lavoro), le parti firmatarie del contratto collettivo applicato alle Agenzie per il Lavoro
hanno concordato di costituire un Fondo di garanzia per erogare prestiti personali a chi,
senza tale sostegno, ben difficilmente potrebbe ottenerli, con il rischio di ricorrere ai canali
dell'usura.
Il prestito può essere chiesto dai lavoratori temporanei dipendenti delle Agenzie per il lavoro,
che abbiano un periodo di missione ancora da svolgere di almeno un mese a partire
dal momento della presentazione della domanda.
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Prestiti Ebitemp per i lavoratori in somministrazione
Paesi di provenienza dei richiedenti
Altri Paesi 21,9%
Ghana 2,2%
Costa d’Avorio 2,6%
Italia 46,4%
Marocco 6,1%
Romania 7,4%
Senegal 13,3%
Per agevolare i lavoratori, il modulo di richiesta è stato distribuito presso tutte le filiali
delle Agenzie ed è disponibile presso le sedi delle organizzazioni sindacali ALAI-CISL, CPO-UIL
e NIdiL-CGIL (nonché sui siti internet: www.ebitemp.it; www.ailt.it; www.apla.info;
www.confinterim.it; www.nidil.cgil.it; www.alai.cisl.it; www.uil.it/cpo).
Ai fini della concessione del prestito, le domande presentate dai lavoratori sono esaminate
da una apposita Commissione che accorda i prestiti in relazione alle motivazioni
e alle esigenze presentate dal lavoratore a sostegno della sua domanda.
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Ripartizione dei prestiti Ebitemp per finalità
Spese sanitarie 24,1%
Spese personali 24,1%
Abitazione 26,9%
Mobilità territoriale 0,8%
Acquisto / Manutenzione veicoli 39,1%
Se la valutazione della Commissione è positiva, la richiesta del lavoratore è inoltrata alla
banca che eroga materialmente il prestito.
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Prestiti Ebitemp
Qualifica professionale dei richiedenti
Operaio specializzato 7,6%
Quadri 0,2%
Impiegato di concetto e direttivo 1,4%
Operaio comune
e qualificato 85,7
Impiegato d’ordine 5,2%
L'importo massimo che si può chiedere in prestito è pari a 2.500 euro, rimborsabili
in un numero variabile di rate, anche oltre il termine della missione
(massimo nove mesi dal termine dell'attività lavorativa).
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Dall'istituzione dei prestiti Ebitemp sono stati approvati 1.520 prestiti per un importo di 2,985
milioni di euro. L'importo medio del prestito risulta, dunque, pari a 1.964 euro. Circa il 38,6%
dei prestiti ha un importo superiore ai 2.000 euro.
Distribuzione dei prestiti per importo finanziato
sino a 500 euro
oltre 500 -1000 euro
oltre 1000 - 1500 euro
oltre 1500 - 2000 euro
oltre 2000 - 2500 euro
Totale
13,7%
10,0%
14,6%
23,2%
38,6%
100,0%
Ripartizione dei prestiti per il numero di rate di ammortamento
Sino a 5 rate
da 6 a 11 rate
Da 12 rate e oltre
Totale
6,2%
67,2%
26,6%
100,0%
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corso vittorio emanuele II, 269
00186 roma
t 06 68301506
f 06 68213135
www.ebitemp.it
[email protected]
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