Il razzismo di Marx ed Engels - Diego Costantino.rtf

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SCIENTIA – http://www.scientiajournal.org
International Review of Scientific Synthesis – ISSN 2282-2119
Vol. 124 – Section 3 – Article 01 – February 28th, 2013
Il razzismo di Marx ed Engels e il loro disprezzo per le civiltà e i
popoli preindustriali: la teoria del genocidio come prassi
rivoluzionaria del “comunismo scientifico”
Per evitare possibili equivoci, si sottolinea che il contenuto di questo articolo intende
svilupparsi in modo obiettivo e praticamente scientifico, attenendosi rigorosamente e
incontrovertibilmente agli scritti originali (verificabili) ampiamente citati [N.d.R.].
Diego Costantino
via Galilei 1/a – 54100 Massa (MS) – Italy.
[email protected]
Il razzismo di Marx ed Engels e il loro disprezzo per le
civiltà e i popoli preindustriali: la teoria del genocidio
come prassi rivoluzionaria del “comunismo scientifico”
Diego Costantino
Karl Marx (1818-1883) e Friederich Engels (1820-1895), coautori del celebre Manifesto del
Partito Comunista del 1848, sono notoriamente i padri del socialismo-comunismo moderno o
“socialismo scientifico”, come amavano definirlo essi stessi in netta opposizione al socialismo “idealistico-utopistico”, opinando di aver individuato le pretese “leggi scientifiche”
storico-economico-sociali che, a loro detta, inesorabilmente e in una visione materialista,
evoluzionista e deterministico-finalistica della storia (la cui forza motrice principale era
individuata nella lotta di classe fra possessori dei mezzi di produzione economica e
lavoratori), e oltre ogni idealismo e utopia, avrebbero condotto l’umanità intera prima al
capitalismo, quindi alla rivoluzione operaia socialista mondiale e infine alla società comunista
senza classi, ritenuta il fine ultimo e irreversibile dell’intera vicenda storica umana.
Nella visione marxiana-engelsiana era necessario il dominio mondiale della borghesia
industriale e del capitalismo, che avrebbe portato ovunque industria, scienza e tecnica,
reputate uniche basi della “civiltà” e del “progresso” umano, e fatto nascere ovunque un
proletariato industriale, il quale sarebbe stato “naturalmente” rivoluzionario per le sue stesse
condizioni di vita di sfruttamento e spersonalizzazione. Secondo la dottrina marxianaengelsiana i contadini erano invece “naturalmente” controrivoluzionari, e quindi “reazionari”,
in quanto legati visceralmente alla terra e fortemente radicati nelle tradizioni nazionali,
familiari, sociali e religiose; solo il proletariato industriale, per il suo carattere anonimo e
spersonalizzato, era “naturalmente” rivoluzionario, pertanto Marx ed Engels auspicavano la
trasformazione delle masse contadine in masse proletarie, con tutti i mezzi (anche violenti).
Nella loro visione, ad un certo momento il capitalismo, espanso in tutto il mondo, avrebbe
cessato di produrre ricchezza e progresso e sarebbe entrato in crisi per le sue contraddizioni
strutturali interne generanti continue guerre distruttive fra le nazioni capitaliste in
competizione per accaparrarsi i mercati, e acuenti irreversibilmente la lotta di classe fra
possessori dei mezzi di produzione e lavoratori; a quel punto il proletariato, costretto
fisicamente dalle condizioni di sfruttamento capitalistico e non affatto per idealismo – ma
2
comunque nel frattempo guidato e “illuminato”, nella formazione della propria «coscienza di
classe», dagli intellettuali rivoluzionari edotti nel “socialismo scientifico” –, avrebbe tolto di
mezzo, con la rivoluzione armata, la borghesia e tutti i “controrivoluzionari”, categoria
comprendente gli anticomunisti (i “reazionari”) e anche i “socialisti borghesi” o “socialisti
reazionari” (come erano bollati tutti coloro che aderivano a teorie socialiste “idealiste” e
“borghesi” ossia dissenzienti dal “socialismo scientifico” marxiano-engelsiano); e quindi,
passando per la «dittatura del proletariato» e lo stato autoritario socialista, si sarebbe infine
giunti all’abolizione di ogni forma di stato e di classe sociale. Inoltre, nella sua concezione
totalmente materialista e scientifico-tecnologica della ”civiltà” e del futuro comunista
dell’umanità, la dottrina marxiana-engelsiana non vedeva alcuno spazio per qualsivoglia
metafisica e forma di religione, anzi considerandole ostacoli e che, sempre secondo i teorici
del “socialismo scientifico”, sarebbero state annientate in parte dalla violenza rivoluzionaria e
in parte dal continuo “progresso” scientifico, tecno-industriale ed economico-sociale, che
avrebbe fatto dimenticare all’uomo ogni preoccupazione ultraterrena (sic!). Perfino la
famiglia tradizionale, universalmente e sin dalla più remota antichità basata sulla differenza di
ruoli, sull’identità di discendenza e su valori sacrali, religiosi, secondo Marx ed Engels (e per
altri successivi continuatori del marxismo, come il russo Lenin) sarebbe stata abolita, in
quanto ritenuta non un fatto naturale primordiale, e ancor meno dal carattere sacro e
spirituale, ma una conseguenza deterministica delle forme socio-economiche e dei rapporti di
produzione storicamente consolidatisi, un’istituzione reazionaria per definizione (sic!),
strumento della classe sociale dominante nonché veicolatrice e mantenitrice di valori e modi
di vivere controrivoluzionari, come tale da sopprimere del tutto e da sostituire con una
famiglia di tipo collettivistico e ugualitario, senza più identità differenzianti le stirpi.
Tutto ciò avrebbe costituito la “liberazione” definitiva dell’umanità dallo sfruttamento e da
ogni ruolo e differenza sociale, realizzando il «paradiso sulla terra», come Marx ed Engels
definivano la futura “felice” società comunista, dove ogni essere umano avrebbe operato
secondo le sue capacità (il che sembra far intendere che nemmeno la futura società comunista
sarebbe stata in grado di sopprimere le differenze delle intelligenze e delle capacità degli
individui, poiché esse non dipendono da fattori socio-economici e pertanto sono insopprimibili e non “egualizzabili”...) e ad ognuno sarebbe stato dato secondo i propri bisogni.
Coerentemente alla loro visione, Marx ed Engels non potevano perciò che disprezzare i
popoli preindustriali e fortemente radicati nelle loro tradizioni nazionali, sociali, familiari e
religiose, verso i quali nutrivano sentimenti di carattere marcatamente razzista, bollandoli
come «popoli controrivoluzionari», in quanto, frenando essi l’avanzata dell’industria, della
scienza e tecnologia moderna dei popoli “civili” ed “evoluti”, ritardavano anche la
rivoluzione proletaria comunista, cui i padri del “socialismo scientifico” attribuivano dunque
una vera e propria funzione “salvifica”, “catartica” e di “palingenesi” universale. Invece,
proprio perché refrattari alla modernità industriale, i popoli preindustriali, e così anche le
masse contadine, con la loro stessa esistenza, ostacolavano fortemente l’avvento
“civilizzatore” del capitalismo e della successiva “salvifica” rivoluzione comunista, e quindi
dell’ineluttabile “radioso” futuro dell’umanità: il «paradiso sulla terra» ossia la società
comunista. Per Marx ed Engels il destino di quei popoli era segnato: dovevano scomparire
dalla faccia della terra sotto l’inesorabile avanzata violenta del capitalismo, con le sue guerre
di conquista per espandere i mercati, e i comunisti e i lavoratori dovevano sostenere
attivamente tutto ciò, visto come un “progresso” dai padri del “socialismo scientifico”. Si
trattava dunque di un razzismo di tipo socio-economico, culturale e geo-politico, e non
biologico, ma con idee di eliminazione fisica totale di quei popoli.
Le suddette idee non sono affatto difformi, all’atto pratico, dalla dottrina nazionalsocialista
(nazista) riguardo le «razze degenerate» (razzismo biologico) che a detta del suo fondatore
Adolf Hitler (1889-1945) ostacolavano la rigenerazione etnica dell’umanità, il dominio delle
razze superiori, in primis la razza ariano-germanica ritenuta divinamente eletta fra tutte le
3
altre, e l’avvento del Reich millenario che avrebbe garantito pace, progresso (anche in Hitler
troviamo l’esaltazione del progresso tecno-industriale) e giustizia al mondo intero, per cui
occorreva eliminare tutti coloro, anche interi popoli, che ostacolavano questo disegno; e
analogie vi sono anche con l’Inquisizione religiosa del passato che si scagliava contro gli
“eretici” (razzismo spirituale), che “inquinavano” la “vera” fede e, assieme agli “infedeli”
(tutti i seguaci di altre fedi), a detta di papi e teologi integralisti e guerrafondai (in perfetta
linea con l’integralismo religioso biblico dei testi veterotestamentari e della profetologia
apocalittica neotestamentaria) ritardavano l’avvento messianico-profetico finale e il “Regno
di Dio” sulla terra; e così anche per le idee di certe correnti ultra-integraliste cristiane, israelite
e islamiche, nel loro progetto di annientare tutto ciò che esula dalla loro concezione del
mondo e della storia. E si potrebbero trovare nella storia universale, sin dall’antichità, altri
esempi di annientamento di interi popoli in nome di una “civiltà superiore”.
Identificare con il “male”, l’“errore”, l’“antistoria”, l’“anticiviltà”, la “barbarie”, tutto ciò
che non rientra nei quadri di quel che è ritenuto essere la “verità unica”, la “civiltà unica”, il
“progresso unico”, da parte dei loro “depositari”. Ecco quel che accomuna dette visioni
onniesplicative autoreferenziali ed esclusiviste del mondo, come tali, seppure differenti nelle
forme “ideali” e “ideologiche”, inevitabilmente in reciproco e perpetuo conflitto.
Veniamo dunque al razzismo di Marx ed Engels, del tutto consequenziale alla loro
visione univoca e occidentalo-centrica della “civiltà” e della storia. I padri del “socialismo
scientifico”, che manifestarono sempre grande ammirazione per Inglesi e Olandesi e per i loro
discendenti Nordamericani quali poderosi portatori e diffusori del capitalismo e del progresso
tecno-industriale, ebbero invece sempre un viscerale e violento disprezzo per i Russi in
quanto reputati «popolo controrivoluzionario» per le storiche condizioni socio-economiche
semifeudali e la mentalità pre-moderna, ma ai quali riconoscevano comunque un avvenire in
quanto aventi una lunga storia (ma, per ironia della storia, sarà proprio nella semifeudale
Russia che, nel 1917, si instaurerà il primo regime marxista del mondo, contro tutte le
previsioni scientifiche di Marx ed Engels!), avvenire riconosciuto, ma solo in parte, anche ai
disprezzati Slavi inglobati allora nell’Impero Turco-Ottomano ossia Serbi centro-meridionali,
Albanesi, Bulgari, ecc., ma non affatto ai più radicalmente disprezzati Slavi dell’Impero
Austro-Ungarico ossia i centroeuropei Cechi, Slovacchi, Boemi, Moravi, e i balcanici
Sloveni, Dalmati, Corinzi, Croati, Serbi settentrionali, ecc., in quanto ritenuti popoli barbari e
anti-moderni nonché, come amava dire Engels, genti «senza storia e senza avvenire»,
«nazioncelle rattrappite», «popoli controrivoluzionari» per indole e mentalità ataviche
causate da un destino socio-economico e geo-politico, in una visione che alcuni studiosi
hanno ben definito “determinismo geo-etnico”, mentre invece esaltavano i Polacchi (popolo
slavo) e i Magiari-Ungheresi (popolo levantino non affatto slavo ma di ceppo ugro-finnico),
ritenuti popoli civili in quanto culturalmente occidentalizzati (i primi dal cattolicesimo ossia
dal cristianesimo romano-latino, e dal vicino mondo germanico, i secondi dal cattolicesimo e
dall’impero austro-asburgico di cui facevano parte integrante) e anche perché, per le loro
stesse caratteristiche e per situazione geografica, storicamente anti-russi.
Marx definiva con spregio i Russi «mangiacavoli»1 ed i Cechi e i Balcanici addirittura
«rifiuti etnici».2 Nel 1848 e nel 1849, ancora Marx, sulla rivista “Neue Rheinische Zeitung”
1
Cfr. Bertrand Wolfe, Marxism – One hundred Years in the Life of a Doctrine (“Il Marxismo – Cento Anni
nella Vita di una Dottrina”), New York, The Dial Press, 1965, p. 32, cit. in Richard Wurmbrand, L’altra faccia
di Carlo Marx, Editrice Uomini Nuovi, 1984, 2008, cap. 6.
2
Cfr. Karl Marx & Friedrich Engels, The Russian Menace to Europe (“La Minaccia Russa all’Europa”), Glence,
The Free Press, 1952, p. 63, cit. in Richard Wurmbrand, L’altra faccia di Carlo Marx, Editrice Uomini Nuovi,
1984, 2008, cap. 6.
4
(“Nuovo Giornale Renano”, “Nuova Gazzetta Renana”) da lui stesso diretta e finanziata da
Engels, scriveva della «plebaglia slava» in cui comprendeva Russi, Cechi e Croati. Secondo
il padre del comunismo moderno, queste «razze retrograde» avevano come «immediato
compito» e unico destino quello «di perire nella tempesta rivoluzionaria del mondo», sottolineando che «la futura guerra mondiale farà scomparire dalla faccia della terra non solo le
classi reazionarie e le dinastie, ma interi popoli reazionari. E questo sarà un progresso», e
che «il loro stesso nome scomparirà».3 Ed Engels concordava: «La prossima guerra mondiale
sarà causa della scomparsa di molti popoli reazionari. Anche questo è progresso».4
Engels, nello scritto Il panslavismo democratico, del 1849,5 in forte polemica con i dirigenti
dei movimenti socialisti panslavisti, specialmente russi, che appoggiavano le rivendicazioni
nazionali dei popoli Slavi centroeuropei e balcanici dell’Impero Asburgico Austro-Ungarico
per creare una grande nazione slava (fra i quali vi era il socialista anarchico russo Bakunin,
che, da anarchico, rigettava la dottrina dello stato comunista dittatoriale di Marx ed Engels – e
gli anarchici saranno duramente perseguitati in tutti i futuri regimi comunisti marxisti – e la
direzione germanica e magiara che essi intendevano dare alla rivoluzione comunista, ma ne
condivideva pienamente la filosofia ateo-materialista, la teoria della lotta di classe
rivoluzionaria violenta ed il viscerale odio antireligioso), rispondeva che quei popoli erano
solo «nazioncelle rattrappite, impotenti, anemiche» che «non hanno vitalità propria» e che
«non potranno mai conseguire una vera indipendenza», e che, se l’Impero Austro-Ungarico si
fosse sfasciato, come auspicavano i panslavisti, esse avrebbero incontrato «il terrorismo
rivoluzionario di tedeschi e magiari», e proclamava «che l’odio per i russi è stato ed è fra i
tedeschi la prima passione rivoluzionaria» e così anche «l’odio per i cechi ed i croati», per
cui «insieme ai polacchi e agli ungheresi, noi [tedeschi] potremo rafforzare le basi della
rivoluzione solo esercitando nei confronti di questi popoli il più deciso terrorismo», fino
all’«annienta-mento», e ciò «nell’interesse generale della rivoluzione». Nello stesso scritto si
afferma perentoriamente che, poiché «nella storia, senza la forza, senza una ferrea
spietatezza, non si ottiene nulla» (la stessa idea di Hitler e di molti celebrati sovrani e
condottieri d’ogni credo religioso e ideologico nel corso della storia umana), i concetti eticomorali di giustizia, umanità, libertà, uguaglianza, fratellanza, indipendenza dei popoli, devono
essere sacrificati «nell’esclusivo interesse della civiltà». Tutte queste idee erano pienamente
condivise da Marx, e anzi alcuni storici del marxismo affermano che lo scritto in questione,
firmato solo da Engels, fu in realtà ideato e redatto da entrambi. Nelle stesse pagine si esalta
inoltre l’attivismo colonizzatore e “civilizzatore” dei Bianchi yankees nordamericani,
grandemente ammirati da Marx ed Engels, che invece consideravano “indolenti”, “incapaci” e
“retrogradi” Pellerossa e Messicani.
Nemmeno i Neri sfuggivano al disprezzo razziale di Marx, il quale li bollava come «idioti» e
nella sua corrispondenza privata usava spesso il termine spregiativo inglese-americano nigger
(«negraccio»). Per esempio, apostrofava un suo rivale e critico, il teorico socialista e dirigente
rivoluzionario ebreo tedesco Ferdinand Lassalle, come «the jewish nigger», «il negraccio
giudeo», in senso spregiativo razziale – in ciò ribadendo anche il suo disprezzo per gli Ebrei
(pur Marx avendo origini ebraiche) già evidenziato nel suo pamphlet La questione ebraica del
3
Cfr. Bertrand Wolfe, Marxism – One hundred Years in the Life of a Doctrine (“Il Marxismo – Cento Anni
nella Vita di una Dottrina”), New York, The Dial Press, 1965, cit. in Richard Wurmbrand, L’altra faccia di
Carlo Marx, Editrice Uomini Nuovi, 1984, 2008, cap. 6; e cfr. anche George Watson, The Lost Literature of
Socialism (“La Letteratura Dimenticata del Socialismo”), James Clarke & Co Ltd, 1998.
4
Marx-Engels-Werke (MEW), SED, Berlin, volume VI, p. 176, cit. in Richard Wurmbrand, L’altra faccia di
Carlo Marx, Editrice Uomini Nuovi, 1984, 2008, cap. 6.
5
Cfr. Friederich Engels, Il pansalvismo democratico, di cui lunghi brani sono riportati in: Domenico Settembrini, Il Labirinto Marxista, Edizioni BUR, 1982, pp. 246-248.
5
1843-1844 (di cui diremo più avanti) –, come appare chiaramente in una sua una lettera del
1862 ad Engels: «Mi appare ora assolutamente chiaro che, come dimostrano tanto la forma
della sua testa [= di Lassalle, n.d.r.] che la struttura dei suoi capelli, discende dai Negri che
presero parte alla fuga di Mosè dall’Egitto (a meno che sua madre o sua nonna dal lato
paterno non abbiano avuto un’ibridazione con un negro) [...], l’indiscrezione con la quale si
fa avanti è anche tipicamente negresca. Il negraccio giudeo, un ebreo untuoso che si dissimula impomatandosi e agghindandosi di paccottiglia dozzinale. Ora questa mescolanza di
giudaismo e germanesimo con un fondo negro debbono dare un bizzarro prodotto!» (lettera di
Marx ad Engels del 30 luglio 1862).6 Riguardo poi la penosa condizione di schiavitù dei Neri
negli Stati Uniti d’America, Marx, a chi proponeva la sua abolizione, rispondeva: «Senza lo
schiavismo, l’America del Nord, il paese dove è maggiore il progresso, si trasformerebbe in
un paese patriarcale. Cancella l’America del Nord dalla carta del mondo, e avrai l’anarchia:
il completo decadimento del commercio e della civiltà moderni. Abolisci la schiavitù ed avrai
cancellato l’America dalla carta delle nazioni».7 Questa valutazione dello “scienziato
economista” Marx sarà smentita dal fatto che la borghesia industriale yankee sarà invece la
distruttrice dello schiavismo negli Stati Uniti d’America (con la guerra civile del 1861-1865
fra Nord antischiavista e Sud schiavista), in quanto d’ostacolo al “libero mercato” ossia allo
spostamento e sfruttamento libero della manodopera, che invece lo schiavismo vincolava a
vita al latifondo. Ma è interessante comunque il filo-schiavismo di Marx, visto invece dai
marxisti, incomprensibilmente, come il teorico della “liberazione dei popoli”.
Comunque sia, l’idea di “civiltà” di Marx ed Engels era in sostanza identica a quella
capitalista: tecno-industriale e scientista-positivista, con la differenza che mentre molti
capitalisti (europei e americani) si consideravano investiti di una “missione divina” per
diffondere l’industria e la scienza moderna in tutto il mondo, in una visione che era (ed è) un
materialismo di fatto a dispetto delle loro credenze religiose, in Marx ed Engels l’ammirazione del progresso scientifico e tecno-industriale era inquadrata in un’impostazione filosofica
ultra-razionalista, evoluzionista, anti-metafisica e visceralmente anti-religiosa, e ovviamente
rivoluzionaria per il superamento del capitalismo nel comunismo. A parte questa differenza,
per i padri del comunismo scientifico la borghesia industriale moderna era un poderoso motore di “progresso” mondiale e come tale da sostenere nel suo imperialismo “civilizzatore”.
Del resto, sia il precedentemente citato Manifesto del Partito Comunista di Marx ed Engels
(1848) che Il Capitale di Marx (1867) costituiscono al contempo il più grande atto d’accusa e
di lode alla borghesia capitalistica. In questi due testi, e in altri scritti, infatti, oltre ad
evidenziarsi il carattere sfruttatore del capitalismo e della borghesia verso la classe operaia,
abbondano le lodi quasi mistiche alla pretesa funzione civilizzatrice mondiale della borghesia
capitalistica, da essi considerata la «classe più rivoluzionaria della storia» fino a quel
momento, tant’è che i due padri del comunismo moderno consideravano possibile la rivoluzione comunista solo nei paesi ad avanzato sviluppo borghese-capitalistico e non affatto nei
paesi preindustriali, e anzi insistevano sul fatto che gli operai e i partiti comunisti dovessero
collaborare attivamente con la borghesia capitalista nell’opera di distruzione, anche violenta,
delle società preindustriali, condividendo pienamente l’imperialismo coloniale mondiale della
Gran Bretagna e l’espansionismo interno dei Bianchi nordamericani, in quanto portatori della
moderna industria capitalistica, ai danni degli altri popoli americani, condannando invece
l’imperialismo spagnolo in quanto latifondistico, feudale, preindustriale e ostacolatore del
6
Cfr. Nathaniel Weyl, Karl Marx Racist (“Karl Marx Razzista”), Arlington House; George Watson, The Lost
Literature of Socialism (“La Letteratura Dimenticata del Socialismo”), James Clarke & Co Ltd, 1998.
7
Cfr. Nathaniel Weyl, Karl Marx Racist (“Karl Marx Razzista”), Arlington House, cit. in Richard Wurmbrand,
L’altra faccia di Carlo Marx, Editrice Uomini Nuovi, 1984, 2008, cap. 6.
6
capitalismo moderno. Quindi, nel caso della Spagna, non si trattava di una condanna morale o
umanitaria del suo imperialismo coloniale (che nei secoli XVI e XVII aveva prodotto nelle
Americhe un vero e proprio genocidio umano e culturale), ma prettamente socio-economica e
ideologica: ostacolando il capitalismo moderno si ostacolava la formazione di una classe
operaia moderna e quindi si ostacolava la rivoluzione comunista, inesorabile e meccanica
conseguenza, così reputavano Marx ed Engels, delle contraddizioni interne al capitalismo. In
quest’ottica s’inquadrano le violente considerazioni di Marx ed Engels di totale disprezzo e
avversione verso la maggior parte degli Slavi quali popoli preindustriali e massimamente
contadini, visti come barbari e controrivoluzionari, eccezion fatta, come s’è detto, che per i
Polacchi, invece stimati in quanto visceralmente anti-russi e orbitanti nell’area culturale
occidentale (come abbiamo detto grazie al cattolicesimo romano-latino, che separava nettamente la Polonia dal maggioritario mondo cristiano slavo-ortodosso dell’Europa Orientale).
Oltre alle suddette minoranze etniche slave dei territori asburgici, popoli «senza storia e senza avvenire», «nazioncelle rattrappite, impotenti, anemiche», «popoli controrivoluzionari»,
anche Baschi, Bretoni e Scozzesi per Engels dovevano sparire.8 A nostro avviso, la ragione di
tale sinistro auspicio risiede nel fatto che le assai fiere minoranze etniche dei Baschi in
Spagna, dei Bretoni in Bretagna (Francia settentrionale) e degli Scozzesi nella Gran Bretagna
settentrionale, erano da Engels ritenute relitti etno-storici, poiché all’epoca legate ancora alla
vita preindustriale e soprattutto perché, con la loro forte identità etno-linguistico-culturale e le
loro rivendicazioni autonomiste, minanti l’unità statale dei loro paesi (la concezione comunista marxiana-engelsiana dello Stato, come mezzo temporaneamente necessario per arrivare
alla futura “edenica” società comunista senza classi e senza lo stato stesso, è ultra-autoritaria,
dittatoriale, e quindi rigorosamente unitaria, accentratrice e uniformatrice, come hanno
dimostrato tutti i regimi comunisti della storia), per cui se ne auspicava l’estinzione.
Di fronte a tutto questo, appare chiaro che Marx ed Engels non riconoscevano affatto uguale
dignità a tutti i popoli né il diritto alla libertà e autodeterminazione nazionale senza eccezioni:
solo i popoli industrialmente progrediti avevano il diritto, storicamente acquisito, a chiamarsi
“nazioni” e alla libertà, nonché il diritto di conquistare, opprimere e “civilizzare” i popoli
meno “evoluti”, e finanche il diritto, anzi il dovere, di annientarli se d’ostacolo al “progresso”
socio-economico e all’“evoluzione” storica. Si teorizzava il genocidio come doverosa e
“benefica” prassi rivoluzionaria del “comunismo scientifico”.
Riportiamo adesso lunghi passi del precedentemente citato articolo-pamphlet di Engels
Il panslavismo democratico (del 1849), dove si conferma quanto abbiamo finora osservato:
«“Giustizia”, “umanità”, “libertà”, “eguaglianza”, “fratellanza”, “indipendenza” – fin qui,
nel manifesto panslavista, non abbiamo trovato se non queste categorie più o meno morali,
categorie che certo suonano molto bene, ma che, nelle questioni storiche e politiche, non
contano assolutamente nulla. La “giustizia”, l’“umanità”, la “libertà” ecc., possono esigere
mille volte questa o quella cosa, ma, se essa è irrealizzabile, resta, malgrado tutto, un vuoto
sogno. […]
«Una parola soltanto sull’“affratellamento universale dei popoli” e sulla delimitazione di
“confini che la volontà sovrana dei popoli stessi prescrive in base alle loro particolarità
nazionali”. Gli Stati Uniti e il Messico sono due repubbliche: il popolo è in entrambe sovrano.
Come si spiega che fra due repubbliche naturalmente destinate, secondo la teoria morale, ad
essere “affratellate” e “federate”, sia scoppiata una guerra per il possesso del Texas? Come è
accaduto che la “volontà sovrana” del popolo statunitense, forte del valore dei suoi volontari,
per “necessità geografiche, commerciali e strategiche”, abbia spostato di alcune centinaia di
miglia verso sud i confini tracciati da madre natura? E Bakunin le rinfaccerà una “guerra di
8
Cfr. George Watson, The Lost Literature of Socialism (“La Letteratura Dimenticata del Socialismo”), James
Clarke & Co Ltd, 1998.
7
conquista” che, se vibra un duro colpo alla sua teoria a base di “giustizia e umanità”, è stata
però condotta nell’esclusivo interesse della civiltà? O è forse una iattura che la rigogliosa
California sia stata strappata all’indolenza e incapacità messicana? È forse una iattura che gli
energici yankee, col rapido sfruttamento delle miniere d’oro locali, accrescano i mezzi di
circolazione, in pochi anni concentrino nelle più remote coste del Pacifico una densa popolazione e un esteso commercio, fondino grandi città, aprano vie di collegamento marittime,
costruiscano una ferrovia da New York fino a San Francisco, dischiudano per la prima volta
alla civiltà l’Oceano Pacifico e diano al commercio mondiale, per la terza volta nella storia,
una direzione nuova? Che l’indipendenza di alcuni californiani e texani di origine spagnola ne
soffra, è ben possibile; che, qua e là, la giustizia ed altri princìpi morali ne siano violati, può
darsi; ma che importa, di contro a fatti di una tale importanza storica? [...]
«Lo ripetiamo: all’infuori dei polacchi, dei russi e, al massimo, degli slavi di Turchia, nessun
popolo slavo ha un avvenire, per la semplice ragione che a tutti mancano le premesse storiche,
geografiche, politiche e industriali, dell’indipendenza e della vitalità.
«Popoli che non hanno mai avuto una loro storia; che, appena saliti i primi elementarissimi
gradini della civiltà, cadono sotto il dominio straniero, o dal giogo straniero vengono sollevati
ai primi gradini della civiltà; popoli simili non hanno vitalità propria, non potranno mai conseguire una vera indipendenza.
«E questo è stato appunto il destino degli austroslavi. I cechi – fra i quali mettiamo pure i
moravi e gli slovacchi, sebbene storicamente e linguisticamente diversi – non hanno mai
avuto storia. Dai tempi di Carlo Magno, la Boemia è legata alla Germania. La nazione ceca si
emancipa per breve ora costituendo il regno grande-moravo, ma subito dopo è nuovamente
sottomessa e, per cinque secoli, sbattuta in qua e in là come una palla fra Germania, Ungheria
e Polonia. Poi la Boemia e la Moravia vengono definitivamente annesse alla Germania,
mentre le contrade slovacche restano all’Ungheria. E questa nazione che storicamente non
esiste avanzerebbe pretese d’indipendenza? [...]
«E, se gli otto milioni. di slavi dovettero accettare per otto secoli che quattro milioni di
magiari imponessero loro il proprio giogo, ciò prova soltanto a sufficienza chi fosse più vitale,
chi fosse più energico: i molti slavi o i pochi ungheresi! […]
«E infine, quale “delitto”, “quale esecrabile politica” à il fatto che, nell’epoca in cui le grandi
monarchie in tutto il continente europeo divennero una “necessità storica” tedeschi e magiari
abbiano fuso in un grande impero tutte quelle nazioncelle rattrappite, impotenti, anemiche,
permettendo loro di partecipare a sviluppi storici ai quali, abbandonate a se stesse, sarebbero
rimaste per sempre estranee? È vero: fatti simili non possono verificarsi senza schiacciare con
la forza migliaia di teneri fiorellini nazionali. Ma nella storia, senza la forza, senza una ferrea
spietatezza, non si ottiene nulla; e se Alessandro, Cesare, Napoleone, avessero avuto gli stessi
palpiti sentimentali, la stessa capacità di commuoversi che i panslavisti invocano a favore dei
loro clienti falliti, che ne sarebbe stato della storia universale? Che forse i persiani, i celti, i
germani cristianizzati non valgono i cechi, gli ogulini e i seresciani? [...]
«Se l’Austria si sfasciasse, non la liberazione di tutte le nazionalità oppresse sotto lo scettro
asburgico le attenderebbe (come essi si immaginano), ma il terrorismo rivoluzionario di
tedeschi e magiari. Devono quindi augurarsi che l’Austria rimanga unita. [...]
«Noi e i magiari dovremmo garantire agli austroslavi la loro autonomia – pretende Bakunin
[...]. A noi e alle altre nazioni rivoluzionarie di Europa, si chiederebbe di garantire
un’assistenza indisturbata, il libero diritto alla cospirazione e all’armamento, ai focolai della
controrivoluzione alle soglie di casa nostra; di tollerare che si formi nel cuore della Germania
uno Stato controrivoluzionario ceco; di permettere che un avamposto russo sull’Elba, nei
Carpazi e lungo il Danubio spezzi le reni alla rivoluzione scoppiata in Germania, in Polonia e
in Ungheria, incuneandosi fra loro!
«Noi non ce lo sogniamo affatto. Alle frasi sentimentali sulla fratellanza dei popoli, lanciate
in nome delle nazionalità più controrivoluzionarie di Europa, noi rispondiamo che l’odio per i
8
russi è stato ed è fra i tedeschi la prima passione rivoluzionaria; che, dopo la rivoluzione, vi si
è aggiunto l’odio per i cechi ed i croati, e che, insieme ai polacchi e agli ungheresi, noi
potremo rafforzare le basi della rivoluzione solo esercitando nei confronti di questi popoli il
più deciso terrorismo. Lotta, allora, c implacabile lotta per la vita e per la morte, contro il
panslavismo traditore della rivoluzione; lotta di annientamento e di spietato terrore – non
nell’interesse della Germania, ma nell’interesse generale della rivoluzione!».9
La suddetta ultima esortazione di Engels: «Lotta, allora, implacabile lotta per la vita e per
la morte, contro il panslavismo traditore della rivoluzione; lotta di annientamento e di spietato terrore – non nell’interesse della Germania, ma nell’interesse generale della rivoluzione!»,
e la precedentemente citata aspirazione di Engels: «La prossima guerra mondiale sarà causa
della scomparsa di molti popoli reazionari. Anche questo è progresso», e di Marx: «La futura
guerra mondiale farà scomparire dalla faccia della terra non solo le classi reazionarie e le
dinastie, ma interi popoli reazionari. E questo sarà il progresso», ed «il loro stesso nome
scomparirà», e la visione della storia come lotta violenta per il “progresso”, sono chiaramente
anticipatrici della futura lotta di annientamento anti-russa del fondatore del nazismo
(nazionalsocialismo) Adolf Hitler, il quale, stimando anch’egli i Magiari, al pari di Marx ed
Engels, e considerando positivamente Ucraini e Croati (invece disprezzati dai padri del
“socialismo scientifico”), vi aggiungerà anche la lotta di annientamento totale anti-polacca (i
Polacchi, come s’è detto, erano invece stimati da Marx ed Engels in quanto popolo slavo
storicamente antirusso) e anti-ebraica, nell’interesse della Rivoluzione Nazionalsocialista e
della Razza Ariana. Cambiano le premesse teoriche (materialiste in Marx ed Engels, idealiste
in Hitler) e gli obiettivi (la Rivoluzione Comunista Proletaria e la Rivoluzione
Nazionalsocialista Ariana), ma i principali nemici individuati (i popoli ritenuti d’ostacolo) e i
metodi proposti (lo spietato terrore e la guerra di annientamento etnico, ossia il genocidio)
sono identici.
Ma riguardo ai Polacchi, Engels si mostrò ondivago, visto che, dopo averli assai elogiati in
funzione antirussa nel suddetto articolo-pamphlet Il panslavismo democratico, nel 1851
scrisse a Marx (in una lettera del 23 marzo) che «i Polacchi non esistono come nazione»,
auspicando inoltre che la tanto disprezzata Russia zarista occupasse la Polonia e vi stabilisse
colonie tedesche (e qui ribadendosi l’idea engelsiana e marxiana circa la superiorità socioeconomica, culturale ed etnica germanica sul mondo slavo), e che essa dovesse conquistare le
città fortificate polacche ed «abbandonare il resto della popolazione al suo disordine» e
«spingerlo tra le fiamme», e di «divorare il paese tutto intero…».10 Quel proposito nel XX
secolo sarà realizzato dalla Germania nazionalsocialista di Hitler e dalla Russia sovietica di
Stalin, esattamente nel settembre 1939, quando l’armata nazista da Ovest (l’1 settembre) e
quella sovietica da Est (il 17 settembre) invaderanno la Polonia e brutalizzeranno i Polacchi,
pur con diverse motivazioni ideologiche!
Nel 1852, Marx, nell’articolo Rivoluzione e controrivoluzione in Germania, pubblicato sulla
rivista da lui diretta “Neue Rheinische Zeitung”, dopo aver sentenziato che i Creoli d’origine
francese e spagnola che in America Centrale erano in quell’epoca divenuti sottomessi agli
Anglosassoni, erano auspicabilmente destinati all’estinzione, si chiedeva quali soluzioni
trovare per eliminare gli Slavi dell’Impero Asburgico (diretto dall’etnia austro-germanica),
«queste tribù moribonde, i boemi, i corinzi, i dalmati, ecc…», che avrebbero dovuto piegarsi
«al verdetto senza appello di mille anni di storia», riservando alla nazione tedesca il diritto di
9
Cfr. Friederich Engels, Il panslavismo democratico, cit. in Domenico Settembrini, Il Labirinto Marxista,
Edizioni BUR, 1982, pp. 246-248.
10
Cfr. George Watson, The Lost Literature of Socialism (“La Letteratura Dimenticata del Socialismo”), James
Clarke & Co Ltd, 1998.
9
«soggiogare, assorbire e dirigere gli antichi vicini dell’Est».11 Circa i Russi, Marx nel 1865
(in una lettera ad Engels del 24 giugno) affermerà che «non appartengono alla razza indogermanica, sono degli intrusi che bisogna cacciare al di là del Dniepr».12 Nei primi decenni
del XX secolo, Hitler non avrebbe pensato diversamente, poi agendo di conseguenza…
Engels, in una lettera del 1894 al suo corrispondente W. Borgius, dirà: «Per noi, le
condizioni economiche determinano tutti i fenomeni storici, ma la razza è anch’essa un dato
economico».13 Quindi, per Engels, e per Marx, la razza, al pari delle strutture economiche
e della lotta di classe, è essa stessa un dato economico ed una forza motrice della storia, e le
razze superiori, nell’ottica engelsiana e marxiana, sono quelle che, per condizioni storiche e
socio-economiche favorevoli, hanno prodotto la civiltà industriale capitalistica: le razze
bianche europee (specie Inglesi, Olandesi, Tedeschi e Francesi) e i bianchi nordamericani
(discendenti dai menzionati gruppi etnici europei), senza cui la futura rivoluzione comunista,
quale superamento del capitalismo in avanti e non all’indietro (secondo una concezione
lineare e univoca della storia e del cosiddetto “progresso”), e l’abbattimento del dominio
borghese da parte del proletariato rivoluzionario, non sarebbero stati nemmeno concepibili.
Per Hitler, invece, la razza non è un dato economico ma dello spirito, e la principale forza
motrice della storia è la lotta fra razze e non tra classi sociali, individuando nella stirpe
ebraica, protagonista del capitalismo (alcune famiglie ebraiche avevano in mano banche,
industrie e commercio mondiale) e del comunismo (Marx ed altri pensatori e attivisti comunisti successivi erano ebrei), il nemico mortale della “razza ariana” e del nazionalsocialismo.
Anche gli Ebrei, nel secolo XIX dunque principali attori del capitalismo, furono presi di
mira dalla dottrina comunista marxiana. Benché di nette origini ebraiche, Marx negli anni
giovanili scrisse un saggio anti-ebraico, dal titolo La questione ebraica (1843-1844), nel quale
disprezzava profondamente gli ebrei non in senso prettamente razziale, come invece fece
l’antisemitismo razziale-biologico europeo fra la seconda metà del secolo XIX e la prima del
XX e ancor più con Hitler a partire dal 1920 (dando vita al nazionalsocialismo in Germania) e
in particolare nel periodo 1933-1945 (durante il regime nazionalsocialista in Germania) e
specialmente nel 1939-1945 (sia in Germania che nei paesi occupati dalla Germania hitleriana
e dai suoi alleati durante la seconda guerra mondiale), e nemmeno sul piano prettamente
religioso (come nella plurisecolare propaganda antigiudea cristiana con connesse ghettizzazioni e cicliche persecuzioni), ma sul piano principalmente economico-sociale in quanto gli
Ebrei (o meglio le elite borghesi ebraiche) erano i propagatori del capitalismo sfruttatore delle
masse operaie e, tramite le banche e la finanza internazionale, sfruttatore delle nazioni intere.
Nonostante tale differenza d’impostazione ideologica, i toni antiebraici di Marx non furono
meno radicali di quelli hitleriani, egli affermando infatti, nel saggio in questione, che «il
denaro è il solo Dio d’Israele», «la cambiale è il Dio reale dell’ebreo», che l’ebraismo
rappresenta un «un universale elemento antisociale» poiché «la chimerica nazionalità
dell’ebreo è la nazionalità del commerciante, in genere dell’uomo di denaro», e che
«l’emancipazione degli ebrei nel suo significato ultimo è l’emancipazione dell’umanità dal
giudaismo». Inoltre, nel 1856 Marx pubblicò sul giornale statunitense “New York Tribune”
un articolo intitolato Il prestito russo, nel quale, individuando un complotto ebraico
internazionale, affermò: «Sappiamo che dietro ogni tiranno c’è un ebreo, […] così l’utilità
delle guerre promosse dai capitalisti cesserebbe, se non fosse per gli ebrei che rubano i tesori
dell’umanità […]. Il fatto che gli ebrei siano diventati tanto forti da mettere in pericolo la
11
Cfr. George Watson, op. cit.
12
Cfr. George Watson, op. cit.
13
Cfr. George Watson, op. cit.
10
vita del mondo, ci induce a svelare la loro organizzazione, i loro scopi, affinché il loro lezzo
possa risvegliare i lavoratori del mondo a combatterli e ad eliminare un simile cancro»,
ribadendo queste idee in una lettera ad Engels nel 1863.14 Idee pienamente condivise da
Engels (e da molti ambienti europei culturali, ideologici e politici di sinistra e di destra, e in
ambienti accademici e finanche religiosi, a cavallo fra la seconda metà del secolo XIX e gli
inizi del XX) e che anticipavano il progetto di Hitler (che nel 1933 andrà al potere
in Germania democraticamente coi voti delle masse operaie e contadine tedesche e lo stesso
anno sopprimerà la democrazia parlamentare instaurando la feroce dittatura nazionalsocialista
nel delirio estatico del popolo tedesco) di totale annientamento dell’ebraismo internazionale
(e dell’intera razza ebraica). E abbiamo precedentemente visto come, sintetizzando il suo
disprezzo per Ebrei e Neri, in una lettera ad Engels del 1862, Marx si riferiva al suo rivale e
critico socialista rivoluzionario Lassalle come «il negraccio giudeo, un ebreo untuoso che
si dissimula impomatandosi e agghindandosi di paccottiglia dozzinale», e sottolineava che
«questa mescolanza di giudaismo e germanesimo con un fondo negro debbono dare un
bizzarro prodotto!», in ciò rivelando anche una connotazione chiaramente razziale nel suo
dispregio antiebraico e antinegro.
Per cui, dato tutto quanto osservato finora, riferendoci al saluto hitleriano in tedesco (Heil
Hitler), non sarà affatto fuori luogo dire: Heil Marx-Engels!
Tutto quel che abbiamo esposto dovrebbe far riflettere quei marxisti che vedono in Marx ed
Engels, padri del comunismo moderno sedicente “scientifico” (e quand’anche lo fosse si tratta
di una concezione esclusivamente occidentalo-centrica e ateistico-materialista della “scienza”
storica e socio-economica, quindi non affatto “universale”), i “messia” della liberazione
dei popoli preindustriali conquistati dall’imperialismo capitalistico, quando in realtà si
tratta esattamente del contrario: nell’ottica marxiana-engelsiana, in vista della futura
rivoluzione comunista proletaria mondiale, tutti i popoli dovevano accettare il capitalismo e la
dominazione borghese; senza capitalismo industriale non ci poteva essere né sviluppo tecnoscientifico né proletariato industriale e quindi nessuna vera rivoluzione comunista.
Per ironia della storia, contro tutte le previsioni di Marx ed Engels e del loro “socialismo
scientifico”, sarà proprio nella Russia zarista, feudale, contadina e preindustriale, che nel 1917
si affermerà il primo regime marxista del mondo con l’avvento al potere del regime rivoluzionario comunista-bolscevico di Lenin, ideologo rigorosamente marxiano-engelsiano che,
soppressa la precedente fase socialdemocratica della Rivoluzione Russa (la Rivoluzione di
Febbraio, secondo il calendario russo, marzo secondo quello occidentale), con un colpo di
stato (la cosiddetta Rivoluzione d’Ottobre, secondo il calendario russo, novembre secondo
quello occidentale) instaurò una dittatura, estendendo, dopo aver vinto una feroce guerra
civile contro gli zaristi antibolscevichi (1917-1922), il regime sovietico a tutto l’ex-Impero
Russo zarista, dando vita alla fine del 1922 all’Unione delle Repubbliche Socialiste
Sovietiche o più semplicemente Unione Sovietica, e attuò una politica di annientamento dei
“controrivoluzionari” (anch’essi combattendo spietatamente i bolscevichi) e di repressione
antireligiosa. Lenin fece dei defunti Marx ed Engels, dispregiatori e odiatori dei Russi, i padri
del socialismo sovietico. A partire dal 1924, con la salita al potere di Stalin (fino al 1953,
anno della sua morte) e l’instaurazione della sua dittatura assoluta, in cieco e obbediente
ossequio ai dogmi scientifico-ideologici marxiani-engelsiani riguardo l’identificazione della
“civiltà” con l’industria moderna, l’Unione Sovietica compirà (anche con la decisiva
cooperazione, nella seconda metà degli Anni Venti e negli Anni Trenta e durante la seconda
guerra mondiale, degli Stati Uniti d’America, massima espressione mondiale del capitalismo)
14
Lettera di Marx ad Engels del 2 dicembre 1863, riportata in Marx-Engels-Werke (MEW), SED, Berlin,
volume XXX, p. 376. Cfr. Richard Wurmbrand, L’altra faccia di Carlo Marx, Editrice Uomini Nuovi, 1984,
2008, cap. 6.
11
un’industrializzazione a tappe forzate secondo rigidi piani economici e terribili ritmi di
lavoro, con immani costi umani di milioni di vittime per fame e per persecuzione (tutti i
contadini che rifiutavano la collettivizzazione statale delle terre erano sistematicamente
eliminati), privando inoltre i popoli dell’ex-Impero zarista di tutte le libertà civili, politiche,
delle identità linguistiche, e opprimendo le etnie non-russe recalcitranti alla russificazione
(con deportazioni in massa nei gulag, i campi di concentramento, di lavori forzati e di
sterminio, e sottraendo loro i raccolti agrari, lasciando morire di fame milioni di persone
durante le carestie, ben 6 milioni nella sola Ucraina negli Anni Trenta), al pari e anche più di
quanto avevano fatto i tirannici zar, aggiungendovi le violente persecuzioni anti-religiose
(verso cristiani, ebrei e musulmani) e contro i comunisti “dissidenti” (che spesso
condividevano la violenza staliniana verso le minoranze etniche e le religioni),15 e cercando
di far assolvere al tirannico Stato comunista, in pochi decenni, il compito che in Europa
Occidentale era stato svolto dalla moderna borghesia industriale nel corso di oltre due secoli:
imporre industrializzazione, tecnicizzazione e scientismo materialistico. Un analogo processo
a quello sovietico-staliniano si verificò nella Cina comunista ad opera del cosiddetto “grande
timoniere” Mao, che, una volta preso il potere nel 1949 dopo aver sconfitto gli anticomunisti
in una guerra civile nel periodo 1946-1949 (potere tenuto, tranne brevi pause, fino alla morte
avvenuta nel 1976), attuò una politica liberticida e antireligiosa e di oppressione verso le
minoranze etniche non-cinesi (verso il popolo del Tibet, vasta regione himalayana occupata
militarmente nel 1949, e verso gli Uiguri dello Xinjiang o Uiguristan cioè il Turkestan cinese,
sottoposti a dura repressione sin dal 1951), riottose all’imposizione della cinesizzazione
linguistico-culturale, ideologica ed etnica (tramite una vera e propria colonizzazione
territoriale), e inoltre, coi suoi piani d’industrializzazione forzata, il cosiddetto “balzo in
avanti”, provocò un grave squilibrio agrario che rese micidiali le carestie che si verificarono
in Cina, portando alla morte per fame circa 10 milioni di cinesi,16 e nell’era post-maoista
avendosi l’ulteriore consolidamento della dittatura dello stato-partito totalitario comunista e la
piena instaurazione di un capitalismo principalmente di stato e in parte privato, assicurando
inoltre le protezioni sociali fondamentali (alimentazione, istruzione, sanità) a un miliardo e
mezzo di cinesi, fino ai grandi successi economico-produttivi, tecnologici e commerciali
dell’ultimo decennio del secolo XX ed il primo del XXI, procedendo con ritmi forsennati
nella corsa alla conquista dei mercati mondiali in forte competizione con l’Occidente, e
all’interno continuando e acuendo l’antica repressione violenta di Mao verso le minoranze
etniche non-cinesi nonché rafforzando il processo di colonizzazione del Tibet per sfruttarne a
pieno le immense risorse minerarie.17
Se sistemi capitalisti e socialisti/comunisti, necessitando di espansione continua per
mantenere il loro sistema industriale – privato nel capitalismo e statalista-centralistico nel
socialismo (il cosiddetto “capitalismo di stato”), e con sistemi misti, in varie proporzioni, in
15
Si calcola che sotto la dittatura e il regime di terrore di Stalin (ininterrottamente al potere dal 1924 al 1953) in
Unione Sovietica perirono in tutto circa 20 milioni di persone. Cfr. Marco Clementi, Stalinismo e Grande
terrore, Roma, Odradek, 2008; Robert Conquest, Il grande terrore. Le purghe di Stalin negli anni Trenta,
Milano, Edizioni Mondadori, 1970; Robert Conquest, Stalin. La rivoluzione, il terrore, la guerra, Milano, Il
giornale-Mondadori, 1993 e 2002; Nicolas Werth, Violenze, repressioni, terrori nell’Unione Sovietica, contenuto
in AAVV, Il libro nero del comunismo, a cura di Stéphane Curtoise, Oscar Mondatori, Milano, 1998.
16
Sui poco noti aspetti criminali della politica di Mao in Cina, cfr. Simon Leys, La foresta in fiamme, Editrice
Le Lettere, 2006; Jean-Louis Margolin, Cina: una lunga marcia nella notte, contenuto in AAVV, Il libro nero
del comunismo, a cura di Stéphane Curtoise, Oscar Mondatori, Milano, 1998.
17
Cfr. Fabio Zanello, Tibet. Olocausto, Coniglio Editore, 2008; Christian Tyler, Wild West China. The Taming
of Xinjiang, Rutgers University Press, New Brunswick, New Jersey (U.S.A.), 2004.
12
alcuni contesti nel corso della storia –, si sono duramente confrontati in reciproca opposizione
(ma non dimentichiamo anche i contrasti reciproci fra nazioni capitaliste, e quelli fra nazioni
socialiste), hanno invece, di fatto, mostrato un carattere assai solidale nell’opera di
demolizione delle civiltà preindustriali nel mondo intero. Questo, nei fatti, è stato il risultato
dell’imperialismo coloniale capitalistico britannico e francese specie a partire dalla seconda
metà del secolo XIX, dell’imperialismo capitalistico statunitense a partire dalla fine del
secolo XIX, e nel secolo XX finanziando e supportando militarmente guerriglie e regimi
filoamericani, sia democratici che dittatoriali, in America Latina, Africa e Asia,18 e dell’imperialismo comunista russo-sovietico in Europa: nel 1939 l’invasione congiunta russo-sovietica
e tedesco-nazista della Polonia e l’invasione russo-sovietica di parte della Finlandia, nel 1940
l’invasione russo-sovietica delle regioni baltiche (Lituania, Lettonia, Estonia), e, rottasi nel
1941 la collaborazione col regime tedesco-nazista per iniziativa germanica, nel 1944-1945 la
conquista russo-sovietica dell’intera Europa Orientale in risposta all’invasione nazista e,
terminata la seconda guerra mondiale nel 1945, il mantenimento di un “impero” europeoorientale comunista-totalitario in risposta alla creazione in Europa Occidentale di un’alleanza
filoamericana e anticomunista, e nel mondo finanziando e supportando militarmente
guerriglie e regimi comunisti in America Centrale, Africa e Asia, senza dimenticare
l’invasione sovietica dell’Afghanistan nel decennio 1979-1989 e la connessa brutale politica
repressiva comunista in quella regione;19 e ricordiamo infine anche l’imperialismo comunista
cinese a partire dal 1949 con l’invasione militare maoista del Tibet e finanziando guerriglie e
regimi comunisti nel mondo. In tutto ciò, risultati di effettivo progresso tecno-industriale e
sociale sono stati accompagnati da immani genocidi umani e culturali. Ma per Marx ed
Engels questo è “progresso” nell’interesse della “civiltà”.
Invece, la via del cambogiano Pol-Pot al comunismo, di tipo agrario e anti-industriale, esce
dalla prospettiva marxiana-engelsiana, benché egli fosse di formazione ideologica marxista (si
era laureato in filosofia in Francia, alla celebre Università Sorbona), e comunque ciò non gli
impedì di osservare rigorosamente la teoria marxiana-engelsiana circa la necessità del terrore
e dell’eliminazione dei “controrivoluzionari”, mettendo in atto un genocidio verso il suo
stesso popolo, sopprimendo, nel periodo 1975-1978, oltre due milioni e mezzo di cambogiani
nei campi di lavoro forzato e di sterminio, in una visione ideologicamente così fanatica fino al
punto di far eliminare chiunque avesse un titolo di studio e portasse gli occhiali, il che
nell’opinione pol-potiana era prova del fatto che la persona aveva studiato consumando la
vista sui libri e come tale era mentalmente corrotto dalla “cultura borghese”! Solo facendo
tabula rasa del passato avrebbe potuto instaurare la sua particolare concezione di socialismo
agrario, anti-industriale, nazionale a autarchico, in Cambogia, certo del tutto “eretica” nei
contenuti ideologici rispetto alla dottrina marxiana-engesliana, ma perfettamente coerente con
quella nei metodi rivoluzionari ossia nell’“ortoprassi” rivoluzionaria.20
18
Sulle cicliche crisi e guerre prodotte dal capitalismo, cfr. Jonathan Nitzan & Shimshon Bichler, Capitalism
and War, Global Research, November 16 2006; Prem Shankar Jha, Il caos prossimo venturo, Neri Pozza
Edizioni, Vicenza 2007; Jonathan Nitzan & Shimshon Bichler, Capital as Power. A Study of Order and
Creorder, Routledge, London, 2009.
19
Sull’invasione sovietica in Afghanistan e la politica attuata dal locale regime comunista, cfr. Olivier Roy,
Afghanistan, Edizioni ECIG, Genova, 1986; Sylvain Boulouque, Il comunismo in Afghanistan, contenuto in
AAVV, Il libro nero del comunismo, a cura di Stéphane Curtoise, Oscar Mondatori, Milano, 1998.
20
Cfr. Jean-Louis Margolin, In Cambogia: nel paese del crimine sconcertante, contenuto in AAVV, Il libro
nero del comunismo, a cura di Stéphane Curtoise, Oscar Mondatori, Milano, 1998; Philip Short, Pol Pot.
Anatomia di uno sterminio, Rizzoli Editore, Milano, 2005; Domenico Secchioni, Pol Pot. L’assassino
sorridente, Milano, Greco e Greco Editori, 2013.
13
Gli orrori comunisti non furono dunque diversi da quelli nazisti e della “Santa” Inquisizione
nei tempi più cupi e violenti della storia della Chiesa.
Tutte le idee autoreferenziali, onni-esplicative, assolutiste e di palingenesi universale, nel
momento in cui vogliono realizzarsi nella storia e tramutarsi in regime politico, producono
tirannie, e tutte le tirannie vivono di principi totalitari, indottrinamenti e feroci persecuzioni.
Ricordando che nel 1849 Engels, ne Il panslavismo democratico, aveva sentenziato che
«nella storia, senza la forza, senza una ferrea spietatezza, non si ottiene nulla», auspicando
la «lotta di annientamento e di spietato terrore» verso i “controrivoluzionari”, e aggiungendo
che Marx nel 1871, riferendosi ai fallimentari fatti rivoluzionari socialisti parigini di
quell’anno (la “Comune di Parigi”), scrisse che «il primo atto di ogni governo rivoluzionario
dovrebbe essere quello di instaurare il terrore» ed annientare i propri avversari senza alcuna
pietà, ciò mostra l’inevitabilità da parte di ogni visione totalitaria e assolutista nel praticare il
terrore, si tratti di terrore giacobino, comunista, fascista, nazista, religioso o di qualsiasi altro
tipo, anche ammantato dietro la facciata della “democrazia” e del “progresso di civiltà”.
Possiamo concludere sottolineando il fatto incontestabile che i germi del totalitarismo e del
terrore comunista realizzatosi nella storia, con i suoi orrori e genocidi,21 sono già chiarissimamente presenti in Marx ed Engels nell’idea della necessità ineluttabile della «dittatura del
proletariato», o meglio dell’elite rivoluzionaria che ne rappresenta la «coscienza di classe», e
della guerra spietata di annientamento verso tutti i «controrivoluzionari» (classi sociali e
interi popoli), in una vera e propria auspicata guerra mondiale (la rivoluzione comunista
mondiale), e nelle poco conosciute a assai violente idee razziste dei padri del “comunismo
scientifico” moderno.
21
Per una completa e dettagliata disamina dei crimini del comunismo in tutto il mondo, cfr. il già citato AAVV,
Il libro nero del comunismo, a cura di Stéphane Curtoise, Oscar Mondatori, Milano, 1998.
14