Il Manifesto del Partito Comunista

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Il Manifesto del Partito Comunista
Il Manifesto del Partito Comunista
1. Introduzione
Il Manifesto del Partito Comunista deve essere letto alla luce della situazione storica
e politica dell’epoca, in cui è stato scritto e pubblicato. Le parole di Marx ed Engels
si inseriscono in quel dibattito politico che vede contrapporsi da una parte gli
esponenti del comunismo scientifico e dall’altra quelli del pensiero liberale. Se da un
lato, infatti, vi sono le tesi socialiste, che sostengono la causa operaia, ponendosi in
aperto contrasto con il “dispotismo di fabbrica”, denunciando la condizione di
pauperismo, in cui versa gran parte del proletariato, che, in ultima analisi risulta
essere servo della gleba del capitalista borghese, dall’altra parte ci sono uomini
come Tocqueville che, in virtù delle teorie di Malthus e di Locke sulla ricchezza
delle nazioni e sulla distinzione del diritto civile da quello politico, vedono negli
appartenenti alla condizione del suddetto pauperismo sociale un ostacolo allo
sviluppo degli stati. Marx ed Engels criticano una borghesia che ha preso il comando
della politica, trasformando lo Stato da una sovrastruttura storica e sociale in un
comitato difensore dei propri affari, e creando, a proprio vantaggio, una divisione tra
il diritto civile e il diritto politico.
Losurdo, al fine di farci comprendere la gravità di tale scissione del diritto, cita le
parole di Tocqueville:
“In America i poveri finiscono in prigione anche per debiti insignificanti e la loro
condizione è tale che, quando sono testimoni di un processo, vengono rinchiusi in
prigione, fino alla fine del procedimento giudiziario. Nello stesso paese in cui il
querelante è messo in prigione, il ladro resta in libertà se può versare la
cauzione”1.
Le parole di Tocqueville, che potrebbero suonare di denuncia, paradossalmente,
vogliono sottolineare la modernità delle nazioni, quali l’Inghilterra e l’America, che
adottano tali criteri, nel loro sistema giuridico. In tal modo, lo status di servitù, in cui
il proletariato versa, diviene, per il pensiero liberale, politicamente irrilevante.
Diversamente, per Marx ed Engels, le “condizioni politiche e sociale” rappresentano
un’endiadi. Tuttavia, affinché i principi del comunismo si possano affermare e
affinché la politica muti la propria concezione (a tratti assurda) del diritto e del
pauperismo esistenziale, è necessaria non una trasformazione della società, ma una
rifondazione della società, che prevede lo sradicamento del potere della borghesia,
signora della politica e dell’economia mondiale dell’’800, e il prevalere della classe
proletaria.
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Cit. (pag. XIV del “Manifesto del partito comunista”, traduzione e introduzione a cura di
Domenico Losurdo, Editori LaTerza)
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2. Borghesi e proletari2
“La storia di ogni società sinora esistita è la storia delle lotte di classe” 3. Con
queste parole, con cui Marx ed Engels danno inizio al Manifesto del Partito
Comunista, i padri del socialismo scientifico intendono riassumere, nell’idea di lotta
di classe, l’essenza di ogni epoca storica. La storia della civiltà umana non è altro
che la storia di una serie ininterrotta di contrasti tra oppressi e oppressori, i cui esiti
determinano le gerarchie in ambito politico-sociale. Le gerarchie ottocentesche, per
Marx ed Engels, sono dominate dalla borghesia, a tal punto che l’800 viene definito
come l’epoca della borghesia. La borghesia, la classe dominante del periodo
ottocentesco, tuttavia, non è altro che una classe sociale che ha compiuto una
rivoluzione, riuscendo a svincolarsi dallo stadio di classe oppressa, per approdare ad
una condizione di classe dominante. La valenza altamente rivoluzionaria, assunta
dalle classe borghese, nel corso della storia, viene così riassunta da Marx ed Engels:
“Ceto oppresso sotto il dominio dei signori feudali, corpo sociale armato e fornito
di autogoverno nel Comune, qui repubblica cittadina indipendente, là terzo stato
tributario della monarchia, poi, nell’epoca della manifattura, contrappeso alla
nobiltà nella monarchia articolata in ordini ovvero in quella assoluta, base
fondamentale delle grandi monarchie in genere, col costituirsi della grande
industria e del mercato mondiale, la borghesia si è conquistato il dominio politico
esclusivo nel moderno Stato rappresentativo”.4
La borghesia giunge, dunque, al potere, distruggendo tutti i rapporti feudali e
patriarcali, sradicando una logica produttiva di stampo artigianale, ponendo fine ad
una mentalità commerciale di matrice mercantile e affermandosi come l’unica e sola
classe dominatrice. La borghesia è espressione di una logica monopolistica, secondo
la quale a essa solo spetta il predominio produttivo, basato sulla grande industria
capitalistica, e quello commerciale, basato su una economia di mercato mondiale.
Con il vapore e con le macchine, la borghesia ha privato della loro aureola tutte
quelle classi sociali, viste fino ad allora con rispetto, trasformando il medico, il
giurista, il prete, il poeta e lo scienziato in suoi operai salariati.
Si può dedurre come la borghesia non abbia eliminato i conflitti di classe, ma che,
tuttavia, ne abbia esemplificato la logica, scindendo in due grandi campi “i nemici”,
definendo il conflitto sociale dell’epoca da lei determinata, secondo la dicotomia
borghesia-proletariato. D’altro canto, la borghesia stessa non può fare a meno
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Per borghesia si intende la classe dei capitalisti moderni, che sono proprietari dei mezzi di
produzione sociali e impiegano lavoro salariato. Per proletariato si intende la classe dei moderni
lavori salariati, i quali, non possedendo alcun mezzo di produzione, sono costretti a vedere la
loro forza-lavoro per poter sopravvivere. (nota n.1, pag. 5 del “Manifesto del partito comunista”,
traduzione e introduzione a cura di Domenico Losurdo, Editori LaTerza)
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Cit. (pag. 5 del “Manifesto del partito comunista”, traduzione e introduzione a cura di
Domenico Losurdo, Editori LaTerza)
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Cit. (pag. 8 del “Manifesto del partito comunista”, traduzione e introduzione a cura di
Domenico Losurdo, Editori LaTerza)
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dell’esistenza di una classe a lei contrapposta, dal momento che è il proletariato
stesso, così come lo erano i servi della gleba per i feudatari, il segno tangibile del
dominio capitalista: il proletariato rappresenta l’emblema del potere borghese, dal
momento che è su di esso che tale potere viene esercitato e riscontra i suoi più
grandi se non unici effetti. Pertanto la borghesia deve essere in grado di garantire la
vita al proprio schiavo, perché è costretta a farlo.
Tuttavia, per Marx ed Engels, la società borghese sta attraversando una fase di crisi
e tale crisi è determinata da quel surplus di potere esercitato dalla borghesia stessa:
oramai la società possiede troppa civiltà, troppi mezzi di sussistenza, troppa
industria, troppo commercio. La causa di questa crisi è esprimibile in una sola
parola: sovrapproduzione. A causa di tale sovrapproduzione, “la borghesia
rassomiglia ad uno stregone che non riesce più a dominare le potenze degli inferi da
lui evocate”5. Di fronte a questa borghesia in panne, solo il proletariato è l’unica di
tutte le classi a potersi giocare un ruolo rivoluzionario, l‘unica che, con la morte
della società borghese e con il tramonto della realtà capitalista, può trarne un
guadagno totale. Le altre classi non possono mostrarsi rivoluzionarie come il
proletariato, dal momento che esse sono semplicemente reazionarie, sono una
proiezione della grande industria e si ribellano ad essa, talvolta, per preservare la
loro condizione di classi medie. Se sono rivoluzionarie, lo sono solo per evitare il
passaggio dal loro status sociale a quello di proletariato.
3. Proletari e comunisti
Nello scontro rivoluzionario, progettato da Marx ed Engels, il proletariato gode
dell’appoggio fondamentale dei comunisti. Ed è nella seconda parte del Manifesto
che vengono definiti le caratteristiche ed il programma dei comunisti stessi. Essi,
non avendo interessi diversi da quelli del proletariato, rappresentano un partito che si
distingue dagli altri movimenti politici proletari, poiché la loro lotta contro la
borghesia, il cui fine è il bene comune per tutti i membri del proletariato, esula dalle
varie lotte nazionali: i comunisti rappresentano quel movimento che agisce,
prescindendo dagli interessi e dalle logiche nazionali e nazionaliste, presentandosi
non come un’accozzaglia di principi teorici, fondati su idee di matrice messianica.
Lo scopo del Partito comunista è quello di abolire la proprietà privata, non con il
fine di privare taluni individui dei sacrifici del loro duro lavoro, ma di annientare lo
strapotere borghese, dal momento che il duro lavoro dei proletari non ha niente altro
come risultato che l’accrescimento del capitale, dal quale sono resi schiavi. Il
capitale, che è sinonimo di potere sociale e non solo personale, per chi lo detiene,
costringe il lavoratore salariato ad una condizione di pauperismo esistenziale,
concedendogli lo stretto indispensabile per la sua sopravvivenza, e viene
incrementato dal lavoro del lavoratore salariato stesso. Il Comunismo si prepone
l’obiettivo di abolire una società in cui chi lavora non guadagna e chi guadagna
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Cit. (pag. 13 del “Manifesto del partito comunista”, traduzione e introduzione a cura di
Domenico Losurdo, Editori LaTerza)
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non lavora 6 . Il Comunismo 7 pretende l’abolizione di una visione borghese della
figura femminile, per la quale la donna non è altro che un ennesimo strumento di
produzione. Affinché il mondo borghese tramonti, sarà necessaria la rivoluzione
proletaria, cui seguirà una prima fase di dittatura comunista ed una seconda fase
repubblicana comunista. Secondo i piani di Marx ed Engels, la repubblica comunista
dovrà avere un carattere sovranazionale.
Viene così presentata, nel Manifesto, una nuova concezione ed una moderna idea di
Stato: uno Stato senza privilegi, senza classi e senza Stato, in cui le enormi
potenzialità produttive di cui la tecnica umana è capace saranno messe al servizio
dell’intera collettività.
5. La posizione dei comunisti rispetto ai diversi partiti
d’opposizione
Nella quarta sezione del Manifesto, i due giovani esponenti della sinistra hegeliana,
passando in rassegna le varie alleanze politiche dei vari partiti della sinistra
comunista e socialista a livello internazionale, dimostrano come i comunisti di tutti i
paesi appoggiano ogni movimento rivoluzionario contro le condizioni sociali e
politiche esistenti. In particolar modo i comunisti rivolgono una maggiore attenzione
alla Germania, che si trova alla vigilia di una rivoluzione borghese e in cui risiede un
proletariato più sviluppato di altri, come di quello inglese.
Nell’ultima pagina del Manifesto, in cui si evince il carattere internazionalista
comunista, Marx ed Engels esortano i lavoratori salariati di tutto il mondo ad unirsi
insieme, per una rivoluzione mondiale, dal momento che non hanno nulla da
perdere, fuorché le catene e hanno un mondo da guadagnare.
6. Conclusione: attualità e inattualità di “un classico”
“Nec tecum possum vivere nec sine te!” 8 Questo motto, secondo Domenico
6
Cit. (pag. 30 del “Manifesto del partito comunista”, traduzione e introduzione a cura di
Domenico Losurdo, Editori LaTerza)
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Nota personale. Si noti che nel Manifesto il Comunismo non viene concepito e pensato come
un semplice movimento politico, ma come un qualcosa di più imponente e sconvolgente. Gli
stessi Marx ed Engels, nella breve e concisa introduzione, che precede l’inizio del primo
capitolo del loro scritto, nel ricostruire rapidamente il quadro politico-sociale dell’Europa,
presentano il Comunismo come uno spettro che si aggira per il vecchio continente e che è
riconosciuto come potenza da tutte le potenze. In particolar modo, è da sottolineare il fatto che
contro il Comunismo, per Marx ed Engels, è stata organizzata una vera e propria crociata da
parte del Papa, dello zar, di Metternich e Guizot, dei radicali francesi e dei poliziotti tedeschi.
Tutto ciò, per i due giovani esponenti del socialismo scientifico, è sinonimo della forza
espansiva e terrorizzante, per i loro avversari, del Comunismo stesso.
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Cit. (pag. XLVII del “Manifesto del partito comunista”, traduzione e introduzione a cura di
Domenico Losurdo, Editori LaTerza)
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Losurdo, potrebbe valere per lo scritto di Marx ed Engels. È un testo, difatti, che non
può essere appiattito politicamente, innalzandolo alla dignità di un classico, né che
tuttavia può essere visto come attuale in tutte le sue accezioni. In nome di quel
materialismo storico marxista, il Manifesto si riferisce ad un determinato contesto
storico-politico-sociale e va letto, tenendo presente le istanze politiche e sociali
ottocentesche. Tuttavia, così come è impossibile sottrarre il Manifesto di Marx ed
Engels dal tentativo di taluni di inserirlo nel pantheon dei classici, allo stesso modo
è impossibile sottrarlo da tentativi di attualizzazione. In seguito ad una attenta e
scrupolosa lettura del testo dei due giovani esponenti della sinistra hegeliana, è
possibile evidenziare quegli elementi di continuità storica e civile, a distanza di
centocinquanta anni dalla sua pubblicazione: oggi, la dicotomia
capitalismo-proletariato può essere riassunta nel binomio tra quel dispotismo di
fabbrica già tipico dell’età ottocentesca e le nuove realtà sociali che pagano le
conseguenze dell’asservimento mondiale alla logica capitalistica: la disoccupazione
e il lavoro precario. Tale attualizzazione delle tematiche marxiste conferma da un
lato la loro validità teorica, mentre da un altro lato è sintomo della sconfitta del
“movimento storico”, di cui Marx ed Engels sono gli esponenti.
Bibliografia
“Manifesto del partito comunista”, traduzione e introduzione a cura di Domenico
Losurdo, Editori LaTerza
“L’UNIVERSALE. Atlante storico” (le garzantine), 2004, Garzanti
“Il testo filosofico” vol. 3/1, Cioffi, Gallo, Luppi, Vigorelli, Zanette, Bruno Mondadori
editore
“L’UNIVERSALE. Filosofia” (le garzantine), 2004, Garzanti
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