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Alfonso Signorini
Amore folle amore
La scandalosa storia di Zelda e F. Scott Fitzgerald
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Dello stesso autore
nelle Edizioni Mondadori
Marilyn
Chanel
Troppo fiera, troppo fragile
Il Signorini
con Azzurra Della Penna
La favola di William e Kate
Il romanzo è liberamente ispirato alla vita e alle opere di Zelda e Francis
Scott Fitzgerald. Nonostante i personaggi siano realmente esistiti, vicende e dialoghi narrati in queste pagine sono frutto della fantasia dell’autore.
Amore folle amore
di Alfonso Signorini
Collezione Ingrandimenti
ISBN 978-88-04-62402-8
© 2013 Arnoldo Mondadori Editore S.p.A., Milano
I edizione aprile 2013
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Amore folle amore
A chi ama, anche senza un perché
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Zitto, bimbo, non dire una parola
Papà andrà a comprarti un uccellino che canta
E se l’uccellino non canterà
Papà andrà a comprarti un prezioso anellino
E se l’anellino si trasformerà in ottone
Papà andrà a comprarti uno specchio
E se lo specchio si romperà
Papà andrà a comprarti un capretto.
Le palpebre stanche di Mollie cedono alla penombra in cui
è immersa la cameretta di Scott. La sua morbida ninna nanna, quella stessa ninna nanna che nonna Jodie le cantava
da piccola, quando i mostri della notte non se ne volevano
andare, la sta accompagnando verso un sonno languido e
inconsapevole. Ormai fuori è buio pesto e il lefse s’è fatto
bollente: la piastra deve averlo già maculato come il manto di un ghepardo. Mollie questa sera non ha troppa voglia
di preparare lefse, ma il suo Edward ne va matto. Ogni volta che lui va via, alle sette e mezzo del mattino, è sempre
la stessa storia: le dà un buffetto sul collo, che la fa sussultare, e le fa capire con una rapida occhiata verso la credenza che al suo rientro gli piacerebbe tanto trovare nel piatto
quelle soffici crêpe di pasta dolce. E lei, nonostante la fatica e le tante ore di sonno arretrate, non riesce a negarsi alle
voglie di quell’uomo, anche se la passione tra loro è spenta da un pezzo.
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Finalmente il piccolo Scott si è addormentato. Ha pianto
stasera, come ogni sera. A volte piange tanto che le viene
voglia di scappare via, mettere insieme un paio di scarpe e
qualche straccio, niente di più, e sparire dal resto del mondo. Magari sbattendo la porta, in segno di quella ribellione
che non è mai riuscita a esprimere, né con i gesti, né con
le parole. Così Edward capirebbe cosa voglia dire starsene
lì a impastare il lefse, tenerlo sulla fiamma senza farlo bruciare o attaccare al fondo della piastra, mentre c’è da fare il
bucato e i singhiozzi del piccolo Scott ti spaccano la testa.
Mary e Louise non hanno pianto quasi mai. Sembravano
nate già adulte, pronte a capire come ci si comporta per non
pesare troppo sulle fatiche di una madre. Forse per questo
se ne erano andate via tanto in fretta. Ma perché? Perché?
Mary non aveva che un anno; Louise ne aveva soltanto tre.
Impossibile scacciare le immagini che tornavano a martellarle il cervello. Mollie avrebbe fatto di tutto per sbarazzarsene, avrebbe voluto schiacciarle con un tacco, come faceva
con i mozziconi delle sigarette di cui era schiava. Ma non
ci riusciva. Ogni volta le facce delle sue bambine, i loro occhi enormi tornavano a vivere, a prendere forma nella sua
testa. E ogni volta il dolore mozzava il respiro, fino a farle scoppiare il petto.
Mary quella mattina aveva gli occhi arrossati e sembrava
voler tossire. Ma non emetteva alcun suono, si vedeva che
qualcosa le stava esplodendo dentro e che lei lottava per reprimerla, per soffocarla. Lottava duramente e intanto taceva.
La pelle del suo piccolo viso pareva increspata e bianca più
del solito. Il dottor Sobchak, un piccolo ebreo di settant’anni,
tarchiato e con esperienza da vendere, si era fatto vivo solo
nel pomeriggio. La sua faccia non lasciava sperare nulla di
buono ma era solo una sensazione. In fondo l’espressione
di Sobchak era quasi tutta nascosta dalla barba.
«Signora Fitzgerald, è necessario darle subito dell’olio
di eucalipto. E poi tenetela ben coperta. Purtroppo molti
bambini, qui nella zona, sono stati colpiti da febbri violente
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come questa. Sembra che siamo tornati ai tempi della febbre gialla. Non sarà facile uscirne.»
“Non sarà facile uscirne...” Cosa ha voluto dire il vecchio Sobchak? Non sarà facile uscire dal contagio per St.
Paul o per l’America intera? O per caso si riferiva soltanto alla sua piccola Mary? Lei è sempre stata bene, in buona
salute, sempre tranquilla e vispa. Ora che comincia a conoscere il mondo, ora che comincia a capirlo... invece quel
dottore ha detto che non sarà facile uscirne. Quel pensiero
non la mollava un istante e si impadroniva sempre più della sua stanchezza mentre le ombre della sera scendevano
sulla sua piccola casa.
La notte poteva essere lunga, ma non lo fu. Gli occhi arrossati della piccola Mary cominciarono a sbiancare verso la mezzanotte. Malgrado l’olio di eucalipto, la febbre
era rimasta alta. Mary non aveva mai pianto troppo. Prima che fuori albeggiasse, quel piccolo angelo, con i boccoli biondi e gli occhi più celesti di tutte le acque del Pacifico e dell’Atlantico messe insieme, aveva smesso di lottare
con l’uragano che aveva dentro.
Quando, quattro mesi dopo, Mollie notò gli occhi irritati di Louise e il tremore del suo corpicino, ancor prima
di chiamare il dottor Sobchak corse a comprare dell’olio
di eucalipto. Sapeva che cosa stava accadendo, lo sentiva.
Nessuno avrebbe potuto farle cambiare idea, né il dottor
Sobchak, né le frasi di circostanza di Edward e della signora Falewicz. Lei è la vicina di casa più amorevole che si potesse trovare, sempre sulla soglia della sua porta, la porta
accanto, pronta a star vicino ai giovani e inesperti signori
Fitzgerald in qualsiasi istante. Non sarebbe servita a nulla neppure lei, perché nulla sarebbe bastato. Mollie ormai
sapeva tutto, perché Mollie sa sempre come andrà a finire.
Lei non credeva di essere nata per tutta questa sofferenza. Non ha mai visto l’Irlanda da cui proveniva suo padre,
il vecchio Philip McQuillan, l’uomo che un lontano giorno del 1853 aveva deciso che il futuro era nel mistero sen9
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za confini del Nuovo Mondo. Phil aveva lasciato i mille laghi di Fermanagh County per avventurarsi tra i diecimila
laghi del Minnesota. Aveva attraversato l’oceano per fare
una prima tappa nell’Illinois. Qualche anno dopo si era diretto più a nord, nella città di St. Paul, il capoluogo della
contea di Ramsey.
La vecchia Irlanda di suo padre Mollie non l’ha mai vista,
eppure ce l’ha nel sangue e la sente nel cuore. Edward non
può capire: lui ha soltanto la scorza dura e superficiale e la
faccia del suo antico e nobile Maryland, una faccia un po’
tonta, che non si accorge di niente. Né di come siano fatti i
quattrini, né di dove si possa andare a cercarli. Mollie davvero non riesce a comprenderlo. Edward si muove, si comporta, pensa come fosse ricco, lui che ricco non sarà mai.
Edward non è come Philip McQuillan, che ricco lo è
stato davvero, malgrado fosse un semplice immigrato
nordirlandese, uno che si era fatto strada nella regione
dell’Upper Midwest senza avere alcun passato da spendere. Ma nell’umidità del Minnesota, tra gli olmi e le betulle,
Philip aveva subito intuito come farsi notare. Nella cittadina di Enniskillen della contea di Fermanagh, ben prima dei
diciotto anni, aveva iniziato a lavorare in una grossa drogheria. Sapeva far tesoro di tutto, faticava per guadagnare
e per vivere, ma soprattutto per apprendere l’arte del far
soldi. Una volta a St. Paul, aveva cominciato con una piccola bottega, nella quale la gente del posto trovava spezie, radici, frutta, cortecce e tutto quello che un dignitoso grocery
store doveva avere. Gli era bastato poco per crescere, per
imporsi come il venditore più abile, più fornito, più scaltro
e più affidabile dell’intera zona. Nel giro di un paio d’anni,
Philip McQuillan non era più “l’irlandese dai capelli rossi”,
ma un danaroso e rispettato membro della comunità di St.
Paul, nel cuore freddo e inospitale del Minnesota.
La stirpe dei Fitzgerald, al contrario, viveva di idee, qualcuna anche pericolosa. Un lontano cugino di Edward s’era
conquistato la fama e l’immortalità componendo versi. Ciò
aveva fatto di lui un eroe di famiglia, al punto che quando
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Edward e Mollie si erano ritrovati al cospetto del loro primo
figlio maschio, lui non era stato nemmeno sfiorato dal dubbio.
«Mollie» aveva sussurrato alla moglie «è certamente il caso
di chiamarlo Francis Scott Key. Devo averti raccontato che un
mio avo, l’avvocato Francis Scott Key, è l’uomo che ha scritto The Defence of Fort McHenry, la famosa poesia di cui ogni
vero americano va fiero. Daremo il suo nome a nostro figlio.
È quello giusto. Vedrai, sono sicuro che gli porterà fortuna.»
Non poteva immaginare, Edward Fitzgerald, che presto quella poesia, grazie a un ordine esecutivo emesso dal
presidente Woodrow Wilson in persona, sarebbe diventata ancor più famosa e addirittura prescelta come inno della Grande America, tanto da passare poi alla storia con un
titolo diverso dall’originale: The Star-Spangled Banner.
Ma c’è dell’altro, nella storia degli avi di Edward Fitzgerald. Qualcosa di meno patriottico e più cruento. Un’altra
cugina, di nome Mary Surratt, di incrollabile fede sudista
come nella tradizione dell’intera famiglia, era caduta nella rete dell’indagine sull’assassinio del presidente Abramo
Lincoln. E vi cadde fino al punto da essere condannata a
morte. Almeno, le restò l’onore di essere la sola donna accusata di cospirazione nel caso Lincoln e la prima donna
della storia americana a essere impiccata in nome del Governo Federale degli Stati Uniti d’America.
St. Paul sta stretta ai coniugi Fitzgerald. D’altra parte, nel
loro orizzonte borghese, uno spazio per i sogni non è mai
apparso. Si erano conosciuti già adulti: lui trentasette anni
e lei trenta. Entrambi sufficientemente brutti per non vantare esperienze significative alle spalle e sufficientemente
concreti per capire che quella sarebbe stata una delle ultime occasioni per farsi una famiglia. Il matrimonio è una
questione che si risolve in fretta e occorre avere spirito pratico. Lei avrebbe sposato un raffinato uomo del Sud con un
passato rispettabile e infarcito di storia americana, lui la figlia di un ricco irlandese. Uno con la gloria, l’altra con i
quattrini: un’unione perfetta. Almeno sulla carta.
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Cerimonia di nozze il più lontano possibile dalla bigotta
St. Paul. La verità è che la famiglia di lei qualche pregiudizio sulla pelle ancora lo avverte. Philip McQuillan ha costruito la sua robusta identità sulla forza del denaro. Ma
l’élite di St. Paul, discendente da un’altezzosa aristocrazia di colonizzatori francesi, conserva nei suoi confronti il
pregiudizio del sangue e della fede. McQuillan resta pur
sempre un cattolico irlandese, non uno di loro, non uno dei
fieri discendenti della Chiesa gallicana di Francia. Tuttavia,
quel giorno, Philip realizza il suo riscatto sociale: può vantare la soddisfazione di vedere tra gli invitati al banchetto
di nozze della sua adorata figlia Mollie il volto autorevole
e rassicurante del governatore William Rush.
«Mollie» sussurra alla figlia, mentre la accompagna all’altare «devi essere fiera del tuo vecchio e della tua famiglia.
Un governatore alle tue nozze non è roba da tutti i giorni.
Tuo marito può davvero girare a testa alta per la strada: fosse stato per lui oggi al massimo avresti avuto in prima fila
il farmacista del quartiere.»
Il discorso di nozze di Eddy, leggermente tradito dagli
effetti del bourbon, si rivela imbarazzante per tutti. Mollie,
nel suo prezioso e romantico vestito di pizzo color cremisi,
faceva rigirare tra le dita il piccolo bouquet di fresie, senza
osare alzare lo sguardo verso i genitori e i parenti più prossimi. Più per la vergogna che per virginale pudore.
«Voi McQuillan siete la mia nuova famiglia. Vi porterò
sempre rispetto. Ve lo devo: siete ricchi e il denaro vuole le
sue regole. Alla vostra Mollie non farò mancare mai nulla,
prometto. Compresa la macchina del ghiaccio, che c’è solo
nelle case che contano. Si sa mai che non faccia il suo dovere di moglie e ci sia da far raffreddare i lividi delle percosse che le dovrò dare per addomesticarla...»
Grazie ai mezzi di Mollie, i nuovi Fitzgerald mettono su
casa in Summit Avenue, la strada delle famiglie più in vista di St. Paul. Una casa tutta bianca, con un giardino curatissimo da Peter, il giardiniere di colore che papà Phil pre12
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sta alla figlia due volte la settimana, in modo che non pesi
sui conti di casa. La loro, però, non sarà mai un’abitazione
da cui trasudi lusso: il lavoro saltuario di Edward non garantisce mezzi sufficienti a mantenerla all’altezza delle case
dei vicini. Lui si occupa di forniture in vimini, tenta di arredare giardini e salotti dei ricchi, ma gli affari procedono
faticosamente.
«Fino a quando potremo tirare avanti così? Non ti accorgi
che se non ci fossero i miei genitori non avremmo neppure
la credenza piena per mangiare? Mi hai riempito la casa di
sedie e di mobili in vimini. Non riesci neanche a venderli.
Sei un disastro, Eddy. E io sono una donna infelice. Sono
stanca di fingere: fingere con le mie amiche, che ci credono
ricchi da far paura. Fingere con mamma e papà, che ci credono felici. Fingere anche con te, perché non riesco a portarti rispetto, come invece ho giurato davanti a Dio. Perché
deve essere tutto così difficile? Perché è tutto così diverso
da come me lo ero sognato?»
Mollie non riesce a trattenere le lacrime. Davanti ai suoi
sfoghi, ormai quotidiani, Eddy fatica a reagire. Si trascina
stancamente nel suo furgoncino in cerca di nuovi clienti,
spesso vagando senza una meta precisa per le piccole strade di St. Paul.
«Si parte tra due giorni, Mollie. Lasceremo questa città. È
la soluzione migliore. Hai ragione tu: vendere il vimini non
è più un vero affare e non posso certo sfamare nostro figlio
rubando il mestiere a quel povero Cristo di Peter e potando
siepi finché campo. Senza dirti niente due mesi fa ho risposto a un annuncio che ho letto sul giornale. I grandi magazzini Procter&Gamble cercano un addetto alle vendite nella
filiale di Buffalo, nello stato di New York. Niente di prestigioso, si capisce. Ma ricominceremo la nostra vita da lì.»
Soltanto due anni prima di quell’inaspettato discorso,
alle 15.30 del 24 settembre 1896, il piccolo Francis Scott Key
Fitzgerald si era presentato al mondo col suo nome da avvocato patriota. Nome col quale padre John T. Harrison l’aveva poi battezzato nella cattedrale di St. Paul dodici giorni
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più tardi. Con un fuori programma. Il cero pasquale, posto accanto al fonte battesimale, improvvisamente era caduto per una mossa maldestra del chierichetto sulla veste
di pizzo di Scott, che prese immediatamente fuoco. Un incendio durato solo qualche secondo, ma abbastanza per far
dire a padre John: «Sarà un bimbo fortunato questo piccolo. Divorato dal fuoco della vita».
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