Espressionismo pt2 - Dipartimento di Comunicazione e Ricerca
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Espressionismo pt2 - Dipartimento di Comunicazione e Ricerca
I dintorni Il perturbante Il perturbante è quella sorta di spaventoso che risale a quanto ci è noto da lungo tempo, a ciò che ci è familiare. Sigmund Freud, Il perturbante, 1919 Il perturbante Das Unheimliche è il termine usato da Freud per esprimere in ambito estetico una particolare attitudine della paura che si sviluppa quando una cosa (o una persona, una impressione, un fatto o una situazione) viene avvertita come familiare ed estranea allo stesso tempo, provocando un’angoscia generica mista a una spiacevole sensazione di estraneità e confusione. Elementi “distorsivi” impiegati ne Il gabinetto del Dottor Caligari : • deformazioni soggettive delle scenografie, • bidimensionalità dello spazio con gli sfondi disegnati, • uso esasperato di luci e ombre (spesso proiettate con tagli orizzontali) come simbolo dello scontro tra bene e male, • tematiche legate al perturbante, • recitazione “sovraccarica”. Questi elementi vengono immediatamente ripresi (sebbene in modo attenuato o comunque non tutti insieme) in una serie di film che o replicano in chiave espressionista topoi di successo oppure tentano di sperimentare e mettere alla prova il nuovo codice linguistico. La bambola di carne Die Puppe, 1919 Costretto al matrimonio, l’inibito sir Lancelot impalma una bambola meccanica, la copia esatta di Ossi, la figlia di Hilarius, costruttore di automi; ma la vera Ossi prende il suo posto, innescando equivoci a catena. La bambola di carne Il ventisettenne Lubitsch confeziona una fiaba scanzonata, allegramente bizzarra e falsamente candida, piena di invenzioni surreali e sottintesi psicanalitici. Numerosi sono i punti in comune col contemporaneo Caligari (Michael Henry, 1971), anche se il regista lascia emergere una componente ludicoespressionista. Genuine (1920) A pochi mesi dal Caligari, Wiene affronta di nuovo una storia fosca che tinge di soprannaturale la lussuria di una vamp, ottenendo però un clamoroso insuccesso. Rispetto alle implicazioni psicologiche del film precedente, la storia della sacerdotessa che riemerge dalle sue disgrazie assetata di vendetta, sembra un’operazione più commerciale e risulta narrativamente statica. Genuine Genuine è infatti una sanguinaria sacerdotessa gettata in schiavitù e quindi riscattata al mercato da un vecchio Pigmalione, che se ne innamora al punto di rinchiuderla in una gabbia di vetro inaccessibile ai visitatori. La donna riesce a convincere un giovane barbiere a liberarla e, nelle nuove sembianze di una temibile supervamp, porta alla rovina tutti gli uomini che incontra. Genuine Punto di forza del film sono i costumi disegnati dal “secessionista” César Klein e le scenografie espressioniste, con tocchi futuristi, vicine al “cubismo orfico” del francese Robert Delaunay e all’orfismo si collega il simbolismo esasperato e misterioso che connota le molte forme geometriche presenti nella scena. Genuine La sarcedotessa-vampira, interpretata dall’americana Fern Andra, è per Wiene l’ideale della femme fatale dotata di un diabolico potere di seduzione che sottomette alla lascivia la volontà degli uomini. Il film completo di 80’ è introvabile e la versione da 44’ restaurata a Bologna nel 1996, sebbene mostri spunti interessanti, lascia ancora molti dubbi sul senso complessivo dell’opera. Carl Mayer La sceneggiatura di Genuine è di Carl Mayer, proveniente dal teatro e già artefice (con Hans Janowitz) del Caligari, che diventa una figura di riferimento dell’espressionismo, ma poi interrompe il sodalizio con Wiene per avvicinarsi al Kammerspiel e inizia a collaborare con Murnau, seguendolo anche negli Stati Uniti. Dal mattino a mezzanotte Per capire il cinema tedesco dell’epoca bisogna considerare anche i film che non ebbero successo commerciale o che furono dimenticati e rifiutati dalla critica. Uno di questi è certamente Von Morgens bis Mitternachts (Dal mattino a mezzanotte, 1920) di Karlheinz Martin, trasposizione dell’omonimo dramma in due atti di Georg Kaiser, composto nel 1912 e rappresentato per la prima volta nel 1917. Dal mattino a mezzanotte Il formato letterario del dramma di Kaiser, tipico dell’espressionismo, viene chiamato Stationendrama. I personaggi non sono individui ma “tipi”, conosciuti solo per la posizione sociale o professionale; la vicenda non è un iter narrativo ma un insieme di “pezzi”, che, come le stazioni della via crucis, descrivono un percorso interiore che può Dal mattino a mezzanotte Il film, che oggi si definirebbe una produzione low budget, non sembra girato in un set ma su un palcoscenico, probabilmente durante le pause di una performance teatrale (il che spiega l’illuminazione cupa), ad opera di un gruppo di amici legati da una forte identità professionale presenti allora sulle scene berlinesi. Dal mattino a mezzanotte La storia è tragica. Un cassiere di banca, ossessionato da una cliente che crede un’avventuriera, sottrae dalla cassa una grossa somma di denaro per offrirgliela, la donna rifiuta i soldi, rivelando la propria rispettabilità. La scoperta di essersi rovinato per niente sprofonda l’uomo in terrificanti visioni di morte e lo induce a lasciare casa e famiglia per cedere ai tentacoli della grande città. Dal mattino a mezzanotte Dopo folli scommesse e incontri con prostitute, l’impiegato, sempre insoddisfatto, finisce la serata presso l’esercito della salvezza. Pentito, restituisce il denaro gettandolo tra la folla, ma è troppo tardi. La polizia lo incalza ed egli si uccide, accasciandosi su una croce con la scritta incandescente ecce homo, a suggerire la storia di un uomo spezzato dalla vita piuttosto che una sconfitta morale. Dal mattino a mezzanotte Il regista Karlheinz Martin Il film è così poco convenzionale che il pubblico dell’epoca, abituato alle provocazioni, lo rifiuta: è muto, privo di colore (viene lanciato come “il primo film proiettato nei colori archetipici, il bianco e il nero”) con un insolito scenario teso a “cancellare i vuoti spaziali”: «tutte le scenografie, e persino i volti e i costumi degli attori» racconta Lotte Eisner «erano stati striati di righe o animati da macchie bianche o scure, a rappresentare luci e ombre sovrapposte». identità Il problema della crisi dell’identità, minacciata dalla modernità (alienazione, razionalità e massificazione) è presente in molte opere contemporanee, come i romanzi di Kafka o i drammi di Pirandello. Dal mattino a mezzanotte Visivamente il film mostra la stessa attitudine del Caligari: gli oggetti che ossessionano il protagonista sbucano dal buio, mentre nelle visioni di morte che lo assillano le donne della sua vita hanno il volto coperto da un teschio. Simili a quelli di Caligari sono anche la recitazione spigolosa e il trucco elaborato, appesantito qui da strisce di colore nei costumi che vogliono forse richiamare il contrasto caligariano fra luce e ombra. Dal mattino a mezzanotte Film decisamente espressionista, Dal mattino a mezzanotte non è tuttavia ispirato all’horror gotico come tanti altri. La sua trama si distacca dai canoni del “genere” e non raggiunge grande popolarità, così come nella produzione espressionista i drammi risultano in genere meno noti degli horror. I film che si pongono nella scia di Caligari ne ne conservano molti caratteri “tecnici” ma si allontanano gradatamente dai fondamenti filosofici che ne avevano fissato l’intelligenza e la provocatorietà. Ombre ammonitrici Nel 1923 esce un altro piccolo classico, uno dei film più inquietanti e maliziosi del periodo espressionista, Ombre ammonitrici (Schatten Eine nächtliche Halluzination), diretto da Arthur Robison (18831935), regista nato negli Stati Uniti da una famiglia ebrea di origini tedesche e trasferitosi in Europa per coltivare il suo amore per il teatro che dirige tra il 1916 e il 1935 una ventina di film senza lasciare tracce durevoli nella storia del cinema. Ombre ammonitrici Il misterioso ospite di una festa si presenta come artista viaggiante e viene invitato dal padrone di casa, ossessionato dalla gelosia per la moglie, a tenere uno spettacolo d’illusionismo. Con abili giochi di ombre l’uomo ipnotizza gli spettatori che assistono alla proiezione delle loro fantasie erotiche e aggressive; ma l’emergere dei desideri inconsci e delle pulsioni rimosse avrà conseguenze liberatorie. Ombre ammonitrici L’azione del «burattinaio» che ruba l’ombra alle sue vittime e mostra i loro istinti inconfessabili adagiati nel il mondo parallelo dell’inconscio mescola occultismo e psicoanalisi, ma «più della semplice trama, è la sua “visualizzazione”, con ombre e giochi di luce inquietanti, a rendere efficace la rete psicologica intessuta dallo strano protagonista del film». (Alberto Pezzotta) Ombre ammonitrici L’atmosfera allucinata e sospesa tra realtà e finzione, sottolineata dall’assenza delle didascalie, è favorita dall’uso della luce e degli effetti ottici di Fritz Arno Wagner e dalle scene teatrali, con i costumi stilizzati, di Albin Grau, già produttore di Nosferatu e coinvolto a fondo in attività legate al mondo dell’occulto. Il gabinetto delle figure di cera Anche Il gabinetto delle figure di cera (Das Wachsfigurenkabinett, 1924) si colloca su una linea mediana. Il regista Paul Leni usa uno stile espressionista ma muta ambienti e “umori” con grande libertà, intrecciando scenografie dipinte, giochi di luce e spazi rielaborati che ancora una volta creano un mondo di incubi, ossessioni e minacce. Il gabinetto delle figure di cera Il film, composto da tre episodi (un giovane deve scrivere storie sui personaggi esposti in un museo delle cere), mostra un’alternanza di momenti di terrore e altri umoristici che diventerà tipica degli horror a episodi. La prima vicenda riguarda il califfo Haroun-al-Raschid (Emil Jannings), intento a sedurre la moglie di un panettiere mentre questi cerca di ucciderlo per impossessarsi del suo anello magico. Il gabinetto delle figure di cera Il secondo episodio vede Ivan il Terribile (Conrad Veidt) coinvolto in una complessa vicenda di avvelenamenti, supposti e reali, che lo fanno impazzire. Nella terza storia, su Jack lo Squartatore (Werner Krauss), lo scrittore si addormenta e sogna di essere, con la donna da cui è attratto, il bersaglio del maniaco criminale. Il gabinetto delle figure di cera Scenografie per Das Wachsfigurenkabinett Secondo Kracauer il film pone fine al ciclo espressionista segnato del binomio caos-tirannia. Superati i disordini del dopoguerra, la repubblica di Weimar non avverte più la minaccia della dittatura. Il gabinetto delle figure di cera Non mancano i punti di contatto con i film precedenti: le storie sono ambientate in una fiera, luogo di caos e disordine, e la figura di Ivan il terribile illustra ancora il volto sinistro del potere, che però ora, ridotto a figure di cera, appare o come una macchietta (Harun) o destinato a una solitaria follia (Ivan). Il gabinetto delle figure di cera Fa eccezione il brevissimo episodio di Jack lo squartatore, in cui Leni, con una virtuosistica sovraimpressione di spazi e strutture sproporzionate e asimmetriche, porte che si aprono da sole e giostre che girano, sembra alludere a un incubo non ancora dissolto. Varieté Il film di Ewald André Dupont (1925) è la storia di un trapezista (Emil Jannings), sposato, che s’innamora di una ragazza e fugge con lei e un altro saltimbanco; quando scopre che i due lo tradiscono, uccide lui e si costituisce. La suggestione del film si basa sull’ambiente degli acrobati, sui movimenti di macchina audaci e su un minuzioso realismo che anticipa la Nuova Oggettività. I maestri Maestri Altri film, infine, che generalmente vengono ricondotti nell’orizzonte dell’espressionismo ne assumono alcune caratteristiche formali ma risultano nel complesso connotati dalla cifra stilistica di grandi autori e da diverse concezioni dell’immagine, degli spazi e delle scenografie che li pongono al confine con altri movimenti presenti sulla scena culturale e cinematografica dell’epoca. Maestri Al di là delle scelte comuni, ispirate da un’atmosfera e da un’estetica particolarmente suggestive, alcuni registi impongono la propria personalità, con apporti e interpretazioni diversi che li pongono ai confini del movimento. Tra questi vanno citati almeno Fritz Lang, Friedrich Wilhelm Murnau e Georg Wilhelm Pabst, che emerge quando l’espressionismo ha ormai esaurito il suo slancio vitale. Destino Nel 1921, in pieno clima espressionista, esce Destino (Der Müde Tod), il primo film stilisticamente maturo di Fritz Lang, che, rifiutando le esasperazioni sceniche di Caligari, fa già emergere una delle cifre costanti del suo cinema: l’idea di dislocare nel sogno le paure più profonde, mettendo fra parentesi gli incubi estremi, quasi a sollevare lo spettatore dalla tensione, lasciando però intatta la sostanza; un’idea già praticata, dietro suo suggerimento, nel Caligari, che gli era stato offerto da Pommer e che lui aveva rifiutato. Destino È nel sogno, infatti, che la protagonista di Destino cerca di salvare il proprio amato, con atti disperati quanto inutili, infranti ineluttabilmente da una forza fatale. Si affaccia la visione dell’inanità dell’agire umano, dominato da una potenza superiore che lo trascende. Una visione che si rifletterà nelle architetture, negli scenari, nella grande suggestione di quasi tutte le opere di Lang. Destino La Morte fa un patto con la fanciulla cui ha tolto il fidanzato: glielo riporterà se lei salverà la vita di almeno una delle tre luci che, in una foresta di candele, si stanno spegnendo, e la porterà in tre paesi e in tre epoche diverse. La fanciulla non ci riesce, ma la Morte le offre una quarta possibilità. Scandito in un prologo, un epilogo e 3 episodi centrali (arabo-moderno; italianorinascimentale; cinese-antico), il film ripete la formula di Intolerance (1916) e di Pagine dal libro di Satana (1920) e ottiene lo stesso successo internazionale. Destino Il materiale narrativo dei 3 aneddoti non è pari alle sequenze di apertura e di chiusura, notevoli soprattutto a livello scenografico e plastico: la personificazione della Morte (Goetzke), il quadrato senza uscita delle mura del cimitero, la scalinata gotica, la selva dei ceri. Destino Al di là delle componenti mistiche, esoteriche, negromantiche (della sceneggiatrice Thea von Harbou), rimane il tema dominante del cinema di Lang: la lotta degli uomini contro il fato. Gli effetti speciali del film furono imitati a Hollywood, soprattutto per Il ladro di Bagdad (Raoul Walsh, 1924). Il dottor Mabuse Il Dottor Mabuse (Dr. Mabuse, der Spieler, 1922) è il primo dei tre film che Lang dedica alla figura del genio criminale creato nel 1921 dallo scrittore lussemburghese Norbert Jacques con un occhio a Fantomas, e uno a Caligari. Lungo quattro ore e mezza, il film è diviso in due parti: Ein Bild der Zeit (Il grande giocatore-Un quadro dell’epoca) e Inferno-Menschen der Zeit (Inferno-Uomini dell’epoca). Il dottor Mabuse Mabuse, psicoanalista esperto d’ipnosi a capo di un’organizzazione criminale internazionale in grado di condizionare i mercati finanziari, dedito al gioco d’azzardo e alla fabbricazione di denaro falso, senza altri obiettivi che la manipolazione degli individui e della realtà e l’eliminazione di ogni nemico, opera come un’entità oscura e onnipotente ed è per Lang l'incarnazione del male assoluto e “globale”. Il dottor Mabuse All'inizio del film, egli riesce a diventare ricchissimo seminando il panico nel mercato azionario, fra trame occulte, crolli in borsa e collusioni fra criminalità e finanza. Abilissimo nei travestimenti, sfugge più volte a alla caccia ostinata del procuratore von Wenk, ma la sua fuga finale nelle fogne si rivela inutile: dopo essere sfuggito a una sparatoria, impazzisce, viene arrestato e chiuso in manicomio. Il dottor Mabuse Lang traduce gli elementi tipici del feuilleton in un realistico affresco della Germania uscita dalla guerra, alle prese con i burrascosi inizi della Repubblica di Weimar. Egli attinge in particolare al delirio di onnipotenza di Mabuse per disegnare un’immagine del capitalismo finanziario che stimola le paure della borghesia: tracolli economici, inflazione e criminalità. Il dottor Mabuse La stessa psicoanalisi è un elemento perturbante, una porta per accedere all’inconscio e una minaccia sospetta per strutture sociali già assediate dalla paura dell’anarchia della rivoluzione. Friedrich Wilhelm Murnau Viene accostato all’espressionismo anche Nosferatu, (1922), il capolavoro assoluto di un grande cineasta difficile da inquadrare in una scuola: Friedrich Wilhelm Murnau (1888 –1931). Il suo cinema, che Bazin rubrica come «realistico», si colloca in un punto intermedio fra l’espressionismo (da cui trae l’interesse per il soprannaturale, spesso distorto e allucinato) e il Kammerspiel, cui si avvicina per l’agilità della cinepresa e l’uso del primo piano. Friedrich Wilhelm Murnau La peculiarità del suo cinema è l’uso costante della soggettiva, dal punto di vista della cinepresa, che in Nosferatu sembra quasi attratta e spaventata dal mostro, che segue con movimenti lentissimi, quasi a sottolineare il suo carattere soprannaturale. Attento a ogni dato della messa in scena, Murnau rivela pertanto, nella realizzazione della forma visivo-dinamica, l’impronta di un forte stile personale. Le Fantôme (Phantom) (1922) de Friedrich Wilhelm Murnau Nosferatu Nosferatu il vampiro (Nosferatu, eine Symphonie des Grauens) è il primo adattamento cinematografico ispirato al Dracula di Stoker. In questo film si notano alcune incongruenze con l’espressionismo classico di Robert Wiene: le riprese sono anche in esterno, girate con grande profondità di campo, che va ben oltre le inquadrature chiuse su sé stesse de Il gabinetto del dottor Caligari.