lettere di letterati

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LETTERE DI LETTERATI
Di Daria Galateria
La lettera, come l’amore, dipende dall’assenza. Negli anni in cui Vermeer dipingeva la
Lettera d’amore, il conte Bussy-Rabutin, in esilio e dunque lontano per definizione, scoprì con
disappunto che le sue lettere – le più belle del secolo – non facevano più paura alle donne.
Dichiarazioni d’amore a cinquanta leghe di distanza!, ridevano: ma sono platoniche. “Non esitate a
amarmi d’amore, fino al vostro ritorno”, lo scherniva una dama. “Quando ci vedremo, vedremo”,
minacciava lui. (L’altro grande esiliato, Ovidio, scriveva a una ragazza sognando che toccasse la
sua lettera con le labbra, “quando cercherà di rompere il sigillo coi candidi denti”; che differenza
da James Joyce, che pregava Nora di infilarla in un inverecondo pertugio).
E’ l’Ottocento, beninteso, il secolo delle lettere d’amore più smodate. La corrispondenza di
Alexandre Dumas padre con Mélanie Waldor, riluttante moglie di un militare, accumula tempeste,
convulsioni, templi crollati, sontuosità mistiche, vascelli disalberati, tombe, anatemi, archi spezzati,
relitti di generazioni e “una passione disordinata che urlava come un uragano, quando non vagiva
con voce la lamentosa di un bambino”. Il luogo comune curiosamente appartiene a Rimbaud:
“Torna, tutto perdonato”, scrive a Paul Verlaine. Lo regolamento dei sensi si trova per converso
nelle lettere del saggio Sigmund Freud a Martha. “Dolce tesoro, quel po’ di cocaina che ho preso mi
rende troppo loquace”, si scusa; del resto, le racconta di assumerne anche quando deve incontrare in
società il prestigioso collega Charcot: ha preso anche un’altra misura, ha comperato – 14 franchi –
dei guanti bianchi, nuovi. “Con la sua lettera lei ha con bravura preso il mio inconscio tra le sue
dita”, scriverà Karl Gustav Jung, apparentemente senza doppi sensi, a una giovane che è stata in
cura da lui, e di cui si è innamorato, Sabina Spielrein.
Imprevedibilmente, le lettere d’amore più appassionate appartengono al ragionevole
Settecento. “Ho l’oppio nelle vene”, dichiarava mademoiselle de Lespinasse, innamorata del
giovane conte de Guibert: “mi costringete a gridare”. E sfiora uno dei grandi temi dell’assenza, la
noia: “da quando siete partito…la mia anima mi stanca”- conoscono bene quel tedio anche i sogni
d’incesto del Romanticismo: “Pensando a voi mi salvavo dalla noia”, scriverà Lucile de
Chateaubriand, “ogni mia occupazione era indirizzata ad amarvi, mio illustre fratello”. Le dame del
Settecento sono febbrili anche nei sentimenti senza futuro: “Che disgrazia per me, che gran
disgrazia, questo sentimento che provo per voi; ah mio Dio”, si lamenta madame Du Deffand,
vecchia e cieca, e presa del giovane Horace Walpole. “Sono penetrata, travolta, desolata: vi
compiango, vi sgrido, vi…”; e rimane senza parole la futura madame Roland, adusa poi a esser
ministro più e al posto del marito: “vorrei possedere tutte le lingue, e usarle tutte insieme”.
Sade amò, per la vita, la cognata di diciassette anni, Anne Prospère, canonichessa delle
benedettine; lo sappiamo grazie a alcune lettere appena ritrovate. Alla morte di Sade, trovarono
nella sua stanza al manicomio di Charenton il ritratto di Anne Prospère, trascinato di carcere in
carcere, per quarantasette anni. La più bella lettera d’amore che Sade abbia concepito è per lei, ma è
indirizzata alla moglie. Le scrive infatti Sade, da una delle sue eterne prigioni, di aver sognato
Laura – la Laura di Petrarca, che era una sua antenata. Le è apparsa morta e bellissima, e gli ha
detto: raggiungimi. “Mamma”, ha chiamato in sogno il marchese. E subito dopo prende coraggio, e
chiede alla moglie notizie della sorella. La piccola canonichessa è morta in convento a ventotto
anni, ma la famiglia ha giurato di non parlar di lei a Sade, mai più – è per proteggere lei, oggi lo
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sappiamo, che la suocera lo ha mandato carcerato: e non certo per le prostitute legate a decubito
verticale e fustigate, con la cera bollente colata sulle ferite, e le mille altre diavolerie del marchese.
Ma stavolta, la lettera del “sogno di Laura” commuove madame Sade, che risponde al marito di non
preoccuparsi: dovunque ora Anne Prospère si trovi, nulla può disonorarla; del resto, “ogni risposta è
inutile”.
Diderot, l’eroe dei Lumi, sogna che, al di là della distanza definitiva della morte,
nell’eternità del suo universo materiale le cellule di Sophie Volland volteggino accanto alle sue:
intanto, la bacia “dappertutto”, e le è fedele “come se gli costasse molto”. L’amabile, e galantissimo
Denon, autore del gioiello libertino Senza domani, scrisse per tutta la vita lettere d’amore a una
veneziana, Isabella Teotochi Albrizzi, che aveva frequentato per alcuni mesi (lei lo inserì in un
libricino dei suoi amati: centoventi pagine, cinque pagine per amante): “Ieri tutto, oggi nulla. Ah,
perché non mi son portato il tuo amore? È lui che mi fa circolare il sangue”. Però si incontrarono
due volte; l’ultima, lei aveva settant’anni: e in entrambi le occasioni festeggiarono. Il più crudele e
impudico dei romanzi libertini lo scrisse invece Choderlos de Laclos – Le relazioni pericolose.
Ebbene, il suo sterminato, tenerissimo epistolario d’amore lo scrisse alla moglie. Da Taranto, dove
morirà di febbri al seguito dell’armata napoleonica, le scrive lettere zuccherine: “Buona cara amica,
arrivando ho provato un grandissimo piacere, meglio una grande felicità, mi hanno consegnato due
tue lettere…Non si può amare più di quanto io ti ami”. Ai bambini raccomanda di dare un fiore alla
mamma per il suo compleanno, e di completare il bouquet con mille carezze: si facciano “suoi rivali
in tenerezza”.
I comportamenti più convenzionali vanno in effetti a cacciarsi nei luoghi meno prevedibili.
Che dirà la gente? si chiede trepido il robusto e mostacciuto Flaubert: se Louise Colet viene a
trovarlo, chissà le chiacchiere nel paese. Sarebbe una pazzia: e senza dire della mamma. “Sei
sorvegliato come una ragazza!” si stupisce Louise Colet, che i problemi li risolveva col coltello. Le
donne prendevano spesso l’iniziativa: inviavano missive cariche di palpitanti lusinghe agli scrittori
famosi, sperando. Louise Michel, che sarà, Remington in spalla, l’ “incendiaria” della Comune,
scriveva a Victor Hugo: “Vi scrivo dalla mia notte; a voi evocare le stelle”. Ebbero un paio di
incontri a casa del poeta, che annotò le spese di taxi. Finì in matrimonio come si sa l’adescamento
di Balzac tentato da madame Hanska, aristocratica polacca: “Signore, la vostra anima è vecchia di
secoli; e tuttavia – mi dicono – siete ancor giovane…una sconosciuta vi ama”.
C’è perfino chi invoca la distanza: “Dopo che te ne sei andata è arrivato l’amore. Lo sapevo.
Per il cuore, la tavola è imbandita solo dopo che se ne è andato l’ospite”, assicura Emily Dickinson
a Elizabeth Holland. “Quando amate una persona, avete sempre voglia che se ne vada per poter
sognare di lei”, dichiara Marina Cvetaeva, e così scrive a Boris Pasternak: “Il tipo di rapporto che
preferisco è ultraterreno: il sogno: vedere in sogno. E il secondo è la corrispondenza. La lettera: una
forma di rapporto ultraterreno, meno perfetta del sogno, ma le leggi sono le stesse”. Infatti
“l’Assenza è il paese dell’Anima”, rincara in una lettera all’amante Aleksander Bachrach, citata da
Gianna Sarra nel suo bellissimo saggio La sindrome di Eloisa, che riporta anche una lettera postmortem della Cvetaeva a Rilke: “Caro, fa’ in modo che io ti veda spesso in sogno – cioè, così non è
giusto – vivi nel mio sogno”. Checov non ama invece stare con le mani in mano rispetto al reale,
come accade nel sogno e nella corrispondenza: “Quando finalmente ci vedremo? Quando ti
bastonerò?”, scrive alla moglie; e Pessoa alla fidanzata: “Vorrei averti sempre accanto, e che non
fosse necessario scriverti lettere”.
Le donne scriverebbero meglio le lettere d’amore (Lettere dall’Europa, curate da Franca
Zanelli Quarantini)? “Oh Clemens, voglio agguantare la beatitudine”, proclamava a inizio
Ottocento Auguste Bussman a un timoroso Clemens Brentano, rispondendo a una sua “brevissima”.
“Sapete che la vostra lettera mi fa scorrere brividi di piacere”, scrive verso metà secolo Flora
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Tristan alla moglie di un esule polacco, Olympe Chodzko. James Joyce era costretto a ammetterlo:
le lettere di Nora erano più sconce delle sue. Difficile immaginarle; e quale sarà stata la parola
sottolineata dalla moglie che aveva un effetto così deflagrante nello scrittore?
Accanto all’assenza, la corrispondenza d’amore annovera impedimenti più radicali: e
segnatamente nell’ archetipo stesso del moderno carteggio d’amore; scrive Abelardo a Eloisa: “Tu
sai a quali vergogne la mia lussuria trascinò i nostri corpi …fui mutilato e giustamente punito nel
membro con il quale peccai”. Un grave ostacolo è la vecchiaia, si lamenta il filosofo SaintEvremond con Ninon de Lenclos. L’ adorabile cocotte è attempata, e lui vive oltremare, ma se è
senza illusioni le scrive anche senza disincanto: “Da giovane ammiravo solo l’intelligenza, e
trascuravo il corpo; oggi riparo al possibile i miei torti, e provo per lui una grande simpatia. Voi
avete fatto il contrario. In giovinezza, il corpo è stato importante per voi”. Naturalmente, il più
diffuso e atroce degli ostacoli è non esser ricambiati. “E’ ovvio che non mi ami, ma dimmelo più
affettuosamente”, implorava Majakovskij da Lil’ja Brik. La speranza di un incontro fisico è sempre
possibile: “Posso aspettare, un giorno, presumo, verrà la mia volta” scriveva a Anaïs Nin,
giustamente confidando, Henry Miller. Ma si è mai amati, si chiedeva mademoiselle de Lespinasse,
da chi amiamo?
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