notizie ritrovamento archeologico
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SCAVI ARCHEOLOGICI DI PUNTA DI ZAMBRONE (VV): SCOPERTO UN ECCEZIONALE MANUFATTO D’ARTE IMPORTATO DA CRETA NELL’ETA’ DEL BRONZO Punta di Zambrone: questo promontorio che si protende sul Tirreno, poco a nord di Tropea, era finora noto soprattutto per la sottostante spiaggia della ‘Marinella’, una delle più belle e incontaminate della Calabria. Negli ultimi due anni si va imponendo all’attenzione anche per un grande progetto internazionale di scavo archeologico, da cui stanno emergendo importanti novità per la più antica storia d’Italia. In realtà il sito era noto agli addetti ai lavori già dagli anni ’90, quando ricerche di superficie identificarono tracce certe della presenza di un centro abitato dell’età del bronzo – in particolare dei secoli compresi tra il XVII e il XII a.C. – che intratteneva rapporti di scambio con il Mediterraneo orientale, testimoniati da frammenti di vasi dipinti micenei. Un piccolo scavo condotto nel 1994 permise di accertare la presenza di un fossato difensivo scavato nella roccia. Dal 2011 il prof. Marco Pacciarelli dell’Università di Napoli Federico II (Dipartimento di Studi Umanistici) – che aveva già condotto il primo scavo per conto della Soprintendenza per i Beni Archeologici della Calabria – insieme al dott. Reinhard Jung dell’Università di Salisburgo (ora alla Österreichische Akademie der Wissenschaften) hanno avviato nel sito un nuovo ciclo di intense ricerche archeologiche. Lo scopo è quello di indagare il ruolo storico che i rapporti con la cultura micenea della Grecia e con quella minoica di Creta hanno avuto per l’emergere della civiltà complesse nella penisola italiana. Ruolo che in particolare in area tirrenica era poco studiato e considerato, soprattutto per la fase cruciale tra XIII e XII secolo a.C., che corrisponde alla crisi e poi al crollo del regno miceneo, e in Italia all’età del Bronzo recente. Si tratta di una fase che ha visto grandi conflitti e cambiamenti nel Mediterraneo, e durante la quale vi sono indizi anche del trasferimento in Egeo di piccoli gruppi di popolazioni provenienti dall’Italia. Le richieste di finanziamento presentate alle istituzioni di ricerca italiana – Ministero per l’Istruzione, l’Università e la Ricerca (PRIN: progetti di Ricerca di Rilevante Interesse Nazionale) e Università Federico II (ex Dipartimento di Scienze Storiche, poi di Studi Umanistici, e Polo Scienze Umane e Sociali) – e austriaca (Fondo per la Promozione della Ricerca Scientifica dell’Austria – FWF) sono state entrambe accolte e così dal 2011 il progetto ha preso avvio, inizialmente con una campagna di prospezioni geofisiche. Queste ultime, eseguite dalla ditta Eastern Atlas di Berlino, hanno confermato la presenza di un fossato difensivo della lunghezza di 80 metri, che fortificava l’intero lato accessibile del promontorio. Questa impegnativa opera scavata nella dura roccia granitica era certamente unita a una fortificazione in pietrame, di cui sono emerse anche alcune tracce. L’enorme lavoro compiuto nell’età del bronzo per difendere il promontorio si giustifica solo con un suo ruolo molto importante quale scalo marittimo. Grazie anche al supporto della Soprintendenza per Beni Archeologici della Calabria, e in particolare del Soprintendente Simonetta Bonomi e del funzionario Maria Teresa Iannelli, ha potuto prendere avvio un ciclo triennale di scavi archeologici. La prime due campagne si sono svolte tra fine agosto e inizi ottobre 2011 e 2012. Sia i risultati del 2011, sia quelli recentissimi, appaiono di grande importanza, e rivelano un quadro storico del tutto nuovo. I rapporti con il mondo miceneo sembravano finora concentrati durante il Bronzo recente soprattutto nel Basso Adriatico e nello Ionio, mentre nel Tirreno si pensava fossero 1 stati sporadici o addirittura indiretti. In realtà, negli strati di riempimento del fossato di Punta di Zambrone è stata rinvenuta una notevole quantità di frammenti di ceramiche micenee tornite e dipinte, prodotte in area greco-egea e importate via mare tra XIII e XII secolo a.C., e altri manufatti di bronzo, in ambra, in materie vetrose (vaghi di collana), almeno in parte anch’esse di produzione egea. Nello stesso riempimento è stato rinvenuto un oggetto assolutamente unico ed eccezionale, la più antica rappresentazione della figura umana con caratteri naturalistici finora trovata in Italia. Si tratta di una statuetta realizzata – secondo l’identificazione degli archeozoologi Forstenpointner e Weissengruber – in avorio di elefante, una materia prima molto pregiata che proveniva dall’Asia o dall’Africa. Benché piccola, è una vera e propria opera d’arte, realizzata secondo i canoni della civiltà minoica dell’età dei cosiddetti Secondi Palazzi (dal 17° al 15° secolo a.C.). La statuina raffigura un uomo in piedi con la gamba destra leggermente avanzata, con la parte superiore del corpo inarcata all’indietro, e con i pugni poggiati sui due lati del torace. La testa, le braccia e i piedi sono mancanti. L’uomo è cinto alla vita da una cintura, ed è coperto sul davanti solo da un succinto perizoma. L’opera, benché piccola, è realizzata con grande maestria, seguendo puntualmente i canoni dell’arte minoica. La vita è molto stretta, mentre il torso si allarga verso le spalle. Le gambe, finemente modellate, presentano cosce robuste e nello stesso tempo allungate. Tipicamente minoiche sono anche la postura inarcata e le braccia piegate con i pugni sul torace. Lo stesso tipo di statuetta è noto a Creta fin dall’età dei Primi Palazzi (dal 20° al 18° secolo a.C.), ma solo in terracotta, bronzo o pietra. Nell’età dei Secondi Palazzi, accanto a statuette in bronzo, compaiono quelle di avorio, di proporzioni minori o simili a quella di Punta di Zambrone, e in quattro casi anche di grandi dimensioni (celebre è soprattutto l’esemplare di Palèkastro). In generale per le statuette minoiche è evidente un legame con il culto, ma non è sempre facile capire se le persone raffigurate sono divinità oppure adoranti. Il particolare tipo iconografico dell’uomo con perizoma e pugni sul torace è tuttavia in diversi casi chiaramente identificabile come rappresentazione divina. La grande statuetta di Palèkastro per vari motivi è infatti ritenuta una vera e propria immagine di culto. Un personaggio con i medesimi attributi è raffigurato su sigilli in posizioni evocanti l’epifania di un dio. Prodotti di avorio di questa elevata qualità sono rarissimi anche a Creta e Micene, e al di fuori di queste due aree erano finora del tutto assenti. È del tutto evidente quindi che queste statuette non erano prodotti per l’esportazione, ma manufatti di alto valore simbolico e religioso utilizzati soltanto all’interno dei centri del potere dell’Egeo. La presenza di una statuetta d’avorio minoica in un centro abitato della Calabria, aperto ai contatti mediterranei ma chiaramente di cultura locale, apre dunque molti interrogativi. Come e quando è arrivata fin lì? Che funzione e significato aveva nel contesto locale? La risposta a questi ed altri interrogativi potrebbe rappresentare una chiave per scrivere nuove pagine della storia del Mediterraneo. 2 La statuetta d’avorio di Punta di Zambrone 3