il manifesto di ebdf project

Transcript

il manifesto di ebdf project
IL MANIFESTO DI EBDF PROJECT
AMARE UNA RAZZA VUOL DIRE USARE CUORE E TESTA ALL’UNISONO
PREMESSA
Il presente documento raccoglie in forma descrittiva e informativa quelle che potremmo definire le
‘Linee Guida’ che animano il Progetto EBDF, considerando attentamente passato, status attuale e
possibilità per il futuro nella Selezione e Miglioramento di una Razza.
L’allevamento Etico (Ethical Breeding) oggi più che mai è probabilmente l’unico strumento possibile
e propedeutico al più nobile obiettivo di contenimento delle ‘problematiche’ (Disease Free) indotte
da una selezione non consapevole, non programmata e fortemente disarticolata quanto da una
cattiva o distorta informazione e formazione spesso piegata trasversalmente ad interessi economici
che poco hanno a che vedere con la mission della serena convivenza con l’animale domestico in
generale. Da questi elementari concetti di base nasce l’acronimo EBDF e il conseguente progetto,
che non ha la stupida pretesa di eliminare definitivamente e/o integralmente i problemi legati alla
salute e al benessere del Cane, ma l’intento di tracciare una via possibile verso un processo
codificato e misurabile dell’allevamento e della positiva convivenza.
Qualsivoglia tipologia di considerazione di merito deve necessariamente passare per una
progressiva e crescente raccolta di informazioni, per una attenta e oggettiva valutazione, per un
metodo scientifico di certificazione delle possibili cause e soluzioni contenitive, per un continuo
aggiornamento di metodo, evitando inutili e dannosi preconcetti quanto ogni forma di sterile
integralismo.
La comunità proattiva diviene di conseguenza il fattore primario di successo e l’aggregazione attorno
al Progetto deve perseguire il coinvolgimento del maggior numero possibile degli attori che
direttamente o indirettamente interagiscono nella ‘filiera’. È fondamentale, per non dire obbligatoria,
la rappresentanza qualificata all’interno del EBDF Working Group di un membro per ogni
Associazione interessata ed ammessa al Progetto, così come è necessario il progressivo
coinvolgimento di Enti di Studio e Ricerca terzi e di Associazioni o Enti che per singola Razza
operano nella medesima direzione, sia a livello nazionale che internazionale. Tecnicamente EBDF
Project si prefigge di operare su ‘Economie di Scala’ atte ad ottimizzare costi e di conseguenza
fattibilità progettuale su tutti i temi possibili trasversali alle Razze in totale autonomia terza.
Il Progetto non ha scopi di lucro, non rilascia e non rilascerà certificazioni di qualificazione ai
partecipanti se non un semplice, univoco e pubblico identificativo (ID). La fase di ‘Startup’ è dedicata
alla costituzione dello Staff operativo, alla creazione e consolidamento delle collaborazioni
qualificate, alla stesura e assegnazione dei programmi operativi per singola voce. La positiva
conclusione di questo passaggio porterà alla nascita di un soggetto giuridico in grado di recepire i
necessari fondi economici per il Progetto in forma di ‘Donazione’. Chiunque, a qualsiasi titolo e con
qualsiasi cifra, potrà sostenere economicamente l’iniziativa. Ogni bilancio, consuntivazione di spesa,
movimenti e saldo del conto corrente di raccolta e redistribuzione dei fondi, saranno pubblicati
mensilmente su tutti gli organi di divulgazione del Progetto.
L’iscrizione al Progetto è volontaria e gratuita e presuppone la condivisione dei contenuti e l’impegno
costante al loro perseguimento, ognuno per il proprio ruolo, professione e fattore di coinvolgimento.
Amare una Razza non è un’espressione ma un impegno tangibile.
ACCENNO DI STORIA E CONSIDERAZIONI
La nascita di ogni Razza ad oggi esistente ha un unico punto di partenza, che è rappresentato dal
processo di domesticazione del ‘canide’ iniziato nel tardo paleolitico e attraverso i millenni l’uomo ha
‘creato’ una serie crescente di ‘razze o ceppi’ interagendo attivamente nella riproduzione di questi
animali. La spinta primordiale, che per lunghissimo tempo ha sollecitato questa pratica, è stata una
spinta di carattere utilitaristico e funzionale, con l’obiettivo di selezionare soggetti utili e
complementari all’uomo. Di fatto, sin dal tardo paleolitico, l’uomo ha praticato un allevamento di
selezione di determinate caratteristiche comportamentali e di adattabilità ottenendo
inconsapevolmente anche una selezione delle caratteristiche morfologiche di questi soggetti.
Quell’importantissimo lavoro, venuto meno in maniera preoccupante e sostituito da altri obiettivi, si
identifica però fortemente anche ai giorni nostri nelle motivazioni e ragioni di scelta di una razza
piuttosto che un’altra, considerando la prevedibilità delle caratteristiche fisiche e comportamentali.
La stesura di Standard Morfologici di ogni singola Razza, in quanto datata inizio 800, è
un’operazione che potremmo definire ‘neonata’ rispetto ad un lavoro che viene così da lontano e
che ha dato una squilibrata, ma per alcuni aspetti comprensibile, maggiore importanza all’aspetto
estetico/costruttivo rispetto alle attitudini di lavoro. Se però, l’istituzione che scrive e riscrive gli
Standard Morfologici, non si occupa con la medesima determinazione di curare le funzionalità di
ogni singola razza per le quali è divenuta tale e non ne incentiva la tutela attraverso ampia delega
specialistica e controlli decorosi, il rischio per l’integrità e la sopravvivenza di una razza diviene
esponenzialmente grande.
ACCENNO DI STATUS E CONSIDERAZIONI
Questa istituzione in Italia ha un nome: ENCI (Ente Nazionale della Cinofilia Italiana). L’Articolo 2
del suo Statuto recita:
L'ENCI è un'associazione di allevatori a carattere tecnico-economico, ha lo scopo di tutelare le razze
canine, migliorandone ed incrementandone l'allevamento, nonché disciplinandone e favorendone
l'impiego e la valorizzazione ai fini zootecnici, oltre che sportivi.
Nel medesimo Statuto la medesima associazione da, sulla carta, alle Società Specializzate per
singola razza riconosciute, ampia delega e mandato per il miglioramento genetico e per la selezione
e infatti l’articolo 21 recita:
Il Consiglio Direttivo concede il proprio riconoscimento ammettendole a soci con la denominazione
di Associazioni Specializzate di razza a quelle Associazioni legalmente costituite tra cinofili
proprietari di soggetti iscritti al libro genealogico che si occupano, ai fini del miglioramento genetico
delle popolazioni, dello studio, della valorizzazione dell'incremento e dell'utilizzo di una singola razza
o di un gruppo di razze similari, affidando loro incarichi di ricerca e di verifica e concordando con
esse particolari modalità di interventi, mirati al conseguimento dei programmi che l'Associazione
persegue. Le Associazioni Specializzate sono inoltre chiamate a fornire supporti tecnici alla
Commissione Tecnica Centrale prevista nel Disciplinare del libro genealogico …. Ecc.
Penso paia evidente ai più come, nei nobili intenti, questa Associazione sottolinei l’importanza della
selezione e della genetica evidenziando la necessità di supporto di specialisti di razza, di studi e
interventi.
Vi sono però alcuni problemi ‘tecnici’ e alcuni problemi ‘etici’ di impedimento all’esecuzione delle
nobili intenzioni emanate dalla suddetta oltre a qualche non banale distorsione.
È pur vero che esistono le Norme Tecniche dell’Allevamento Italiano che enfatizzano e fanno un
distinguo tra la riproduzione selezionata e la normale riproduzione ma che non possono oggi essere
considerate all’avanguardia per metodica e sulle quali si dovrebbe iniziare a lavorare seriamente,
altrimenti sono oggettivamente inutili.
Un problema tecnico è molto spesso rappresentato dall’impossibilità delle Associazioni
Specializzate di operare, visto che spessissimo, anche progetti condivisibili e degni di nota sono
cassati dall’ENCI senza particolari motivazioni, quasi sempre contro il parere dell’Assemblea dei
Soci della Società Specializzata. Un problema tecnico è molto spesso la mancanza di supporto
economico ai progetti, e ciò giustifica in alcune circostanze, il tanto parlare e il poco fare. Un
problema Tecnico è l’assenza di controlli e verifiche al rispetto delle direttive e nei rari casi in cui ciò
avviene, di fatto, non vi sono provvedimenti se non ridicoli e risibili. Un problema etico è la mancanza
di prove di selezione per la riproduzione come è un problema l’assenza di parametri minimi di
garanzia fenotipica per expo morfologiche dalle quali molto spesso si ricavano Stalloni e Fattrici.
Una distorsione sta nell’articolo 2 quando si parla di allevatori a carattere tecnico-economico dal
momento che tecnicamente non vi è certezza di preparazione e controlli di merito per
l’ammissione/riconoscimento degli allevatori e di caratterizzazione economica, al netto delle quote
che si versano, non c’è proprio nulla nella capacità di selezione e miglioramento genetico. Ne è
prova provata la selezione fatta dal paleolitico sino al 1800, dove mi consta l’ENCI non fosse
costituita. Sono alcuni esempi che tendono ad evidenziare più un’intenzione, lodevole, che
un’azione. Ritengo che l’ENCI e le Società Specializzate siano una grande opportunità che dovrebbe
aprirsi ad una visione più ampia, moderna e articolata della tematica e delegare realmente
determinati ambiti ad enti terzi non permeabili da interessi di altra natura, comprensibili ma non
giustificabili.
RILEVAZIONE DELLE PERFORMANCE E CONSIDERAZIONI
Non vi può essere un miglioramento genetico programmato e quindi fruibile dai più, senza una
registrazione e seria misurazione delle performance. Non vi può essere una misurazione seria delle
performance in assenza di un campione statistico significativo e certa identificazione dei soggetti
(pedigree possibilmente ‘veri’ ed esami ufficiali su scala crescente).
La rilevazione delle performance in genetica è ad oggi l’unico reale supporto alla seria ed etica
selezione, basando il concetto e il metodo sull’assunto che migliore è il fenotipo, migliore è il
genotipo. La misurazione della rilevazione continua permette di lavorare attivamente e
consapevolmente sull’innalzamento della media statistica di ogni singolo fattore genetico di
riferimento e permette di scegliere soggetti migliori rispetto alla media, nel rispetto morfologico e
funzionale della razza. Questo esercizio risponde pienamente alla Selezione di una Razza.
Partendo dal presupposto che rimane ancora molto da fare in termini culturali, organizzativi e
normativi nel dare pieno significato, credibilità ed usabilità ai dati sin qui raccolti, mi pare evidente
come non si possa più prescindere da un riconoscimento e tabellazione ufficiale di caratteristiche
fenotipiche di minima per razza e da una forte promozione alle iniziative proiettate alla loro accurata
misurazione. È esattamente in questo ambito che l’ENCI, proprietaria del maggiore database di
merito in Italia, deve ‘reagire’ ed ‘aprirsi’ ad enti terzi ed è in questo ambito che entrano in gioco i più
ampi margini migliorativi, oggi poco esplorati. Che si debba passare ad iniziative ampiamente
condivise atte a forzare questa apertura mi pare scontato vista la crescente necessità di poter
utilizzare metodiche di rilevazione oggi presenti e sufficientemente attendibili (misurazioni lineari).
I programmi di selezione in grado di identificare i migliori riproduttori e di scartare i peggiori non
possono che passare attraverso questo processo di qualificazione dei geni favorevoli. Considerando
vero l’assunto, la selezione dei soggetti ad elevato ‘contenuto’ nel fenotipo, porterebbero a maggiore
probabilità di ottenere il miglioramento desiderato. Sia chiaro che non è possibile dimenticarsi in
questo processo lo standard di razza, pena la ‘produzione’ di soggetti non rispondenti, quindi anche
la ricerca o spinta dell’ipertipo non è positiva.
SELEZIONE, OMOZIGOSI E CONSIDERAZIONI
Ritengo personalmente che tra gli allevatori vi sia ancora una diffusa scarsa conoscenza dei
meccanismi di selezione e delle regole e metodiche universalmente certificate, conoscenza sulla
quale grava oggettivamente una preoccupante deriva di allevamento. Ritengo che la scarsa o
assente conoscenza di una parte (più o meno grande) di chi alleva sia il primo problema da risolvere;
certo vi sono allevatori preparati ma sarebbe stupido e miope affermare che tutti gli allevatori sono
preparati soprattutto in considerazione del fatto che tutti possono allevare. Ciò non si può tradurre
in ‘eliminiamo gli allevatori impreparati’ ma piuttosto in ‘prepariamo gli allevatori’, attraverso iniziative
atte alla tutela di razza. Questo atteggiamento di compartecipazione è quanto mai conveniente
anche per coloro che già sono preparati visto che l’atteggiamento contrario ed oggi imperante,
diviene dannoso per l’integrità della razza ed anche per il portafoglio di questi allevatori preparati,
che immettono sul mercato soggetti più costosi e purtroppo più difficilmente compresi e accogliibili
dal mercato stesso dei neofiti, che molto spesso guarda solo il portafoglio.
Il fatto tangibile che dall’accoppiamento di due cani nasca un cane e non un gatto, un leone o un
criceto è dovuto alla perdita di geni e all’aumento della omozigosi. Lo stesso indiscutibile concetto
vale nell’accoppiare due Bovari del Bernese, dai quali non nasce un Australian Shepherd, anche se
purtroppo qualche volta nasce qualcosa che gli assomiglia e ciò non va bene.
L’omozigosi è quella condizione nella quale ognuno dei due o più alleli dello stesso gene (presenti
in ciascun cromosoma), codificano in maniera identica. Questo si traduce semplicisticamente in una
produzione di gameti identici per singolo carattere. L’omozigosi può essere dominante o recessiva,
sia nei fattori desiderati che in quelli indesiderati.
Per questo elementare concetto è profondamente sbagliato affermare che nella selezione delle
razze non si sia perso gran parte del patrimonio genetico originale o che la selezione non
ricomprende anche un aumento dell’omozigosi. Di fatto il cane dei nostri tempi, a prescindere dalla
razza, è in omozigosi e non si può non tenerne conto.
Spesso si attribuisce alla consanguineità (inbreeding) la totale responsabilità di molti aspetti
indesiderati nell’allevamento, ma di fatto rappresenta una parte percentuale del patrimonio genetico
e non può essere considerata ‘misuratore’ assoluto dell’omozigosi, visto che i famosi alleli ereditati
dagli antenati, potevano già essere funzionalmente uguali. La selezione a mio avviso necessità di
qualcosa di più propedeutico e un pochino meno di slogan pubblicitari o dello sterile deposito del
DNA quando fine a sé stesso.
INBREEDING O CONSANGUINEITA’ E CONSIDERAZIONI
Considerato dai più un ‘mostro’, va invece considerato per quello che in realtà rappresenta, ossia
uno dei sistemi di accoppiamento possibili e non un ‘metodo di selezione’, poiché da un punto di
vista di valutazione genetica dei riproduttori non ha un enorme significato, visto che viene condotto
con metodi propri e personali del singolo allevatore e di conseguenza è solo un tassello di un ben
più ampio processo di selezione. Il coefficiente di consanguineità (Falconer) può essere misurato ed
è utile farlo comprendendone il significato e il valore. Non espongo qui formule e significati di merito.
Tale coefficiente si associa a due diversi e distinti significati: indice della omozigosi/consanguineità
di un individuo o di un’intera popolazione, dove F è un valore che sta tra 0 e 1 (più il valore è vicino
a 0 più è bassa l’omozigosi/consanguineità); sistema di accoppiamento tra individui di parentela nota
stretta o della stessa linea di sangue (linebreeding). Maggiore è il grado di parentela tra i due genitori,
maggiore risulterà la consanguineità nella progenie, ma non necessariamente in termini assoluti o
rispetto alla media della popolazione della stessa razza.
La consanguineità come sistema non ha particolari effetti negativi o positivi, mentre la sua pratica in
assenza di dati sulla popolazione diviene totalmente e inutilmente sperimentale in quanto non
misurabile. L’aspetto preoccupante e per certi aspetti risibile, purtroppo, è che anche l’outcrossing
(accoppiamento senza alcun legame parentale o di linea) in assenza di dati sulla popolazione
potrebbe avere i medesimi problemi. E quali sono questi possibili problemi?
Maggiore probabilità di comparsa di patologie ereditarie legate all’espressione omozigote di geni
recessivi indesiderati che allo stato eterozigote (l’opposto) non portano disturbo; longevità;
Riduzione della variabilità genetica nella popolazione (pool genetico), con riduzione della possibilità
di apportare miglioramenti genetici;
Diminuzione delle performance medie dei soggetti consanguinei sia per i caratteri produttivi, che per
i caratteri riproduttivi quali: nati vivi, tasso di concepimento, fertilità, ecc. Sulla base di esperimenti
condotti da ricercatori su vari allevamenti di diverse specie, è stato ampiamente notato che gli effetti
deleteri cominciano a manifestarsi quando si raggiunge il valore di F=0,375 (Van Vleck et Al., 1987).
Tale valore si può raggiungere anche in pochissime generazioni di accoppiamenti. Nel sottolineare
che nessun coefficiente di consanguineità è esente da diminuzione di performance, purtroppo in
cinofilia F è un dato quasi sconosciuto e a mio avviso questo aspetto è fortemente legato ai perversi
meccanismi di interesse economico attivi nel mondo della cinofilia. In altre specie animali F è un
valore profondamente conosciuto e i programmi di merito ampiamente condivisi tra tutti gli allevatori
che operano all’unisono per il suo miglioramento, semplicemente perché trattasi di animali da
reddito, per tanto è ipocrita per gli allevatori cinofili nascondersi dietro al paravento dell’animale da
compagnia, perché nel mondo contemporaneo anche il cane è un animale da reddito, che piaccia o
meno, con buona pace di tutti. Prima lo si considera meglio sarà per tutti.
PROGRAMMAZIONE E CONSIDERAZIONI
Nella selezione, l’assenza di obiettivi chiari e programmazione è pari alla de-selezione. È importante
per non dire fondamentale, nel perseguire un miglioramento, definire con chiarezza quali sono gli
obiettivi di una selezione (quali per es. morfologia, attitudini comportamentali, produttività, salute,
longevità, ecc.), delineare ed organizzare gli schemi di selezione e le modalità di raggiungimento
degli obiettivi stabiliti, dotarsi di efficaci strumenti di selezione, coinvolgere il più ampio numero
possibile di partecipanti, consuntivare e verificare l’andamento dei programmi di selezione,
pubblicare i risultati e delineare le linee guida di allevamento.
La selezione di una razza non è per nulla un esercizio semplice visto che l’allevamento comporta la
contemporanea selezione di più caratteri, quali la morfologia, le caratteristiche attitudinali e
comportamentali, il fenotipo e il genotipo.
La produzione di qualche ‘fenomeno’ o ‘fuoriclasse’ non è miglioramento genetico o attiva, capace
e consapevole selezione ma uno spot pubblicitario, mentre il vero miglioramento genetico o attiva
selezione è lo spostamento della media della popolazione verso i traguardi prefissati ed è uno dei
classici sport di squadra, a meno di non amare di più il portafoglio rispetto alla razza che si alleva.
Per altro, in assenza di programmi, informazioni e strumenti di controllo, il ‘fenomeno’ lo è solo da
un punto di vista morfologico e non necessariamente produce fenomeni. I veri fuoriclasse sono quei
soggetti, auspicabili, che risultano migliorativi nella progenie anche da un punto di vista fenotipico e
genetico rispetto alla media della popolazione, dimostrando di essere capaci di trasmettere
positivamente il loro 50% di patrimonio genetico (Estimating Transmitting Ability e successivo
Transmitting Ability) e questo processo va misurato. Più miglioratori conosciuti si ricomprendono più
risultati migliorativi si ottengono.
Aspetto non meno importante nella programmazione è l’intensità di selezione, ossia l’indice di
ampiezza nella scelta dei riproduttori, al quale è legata la temporalità di raggiungimento dei risultati
attesi ma anche la perdita di caratteri e impoverimento genetico della razza. Molto
semplicisticamente: se per esempio si decidesse di utilizzare in riproduzione, una volta identificato,
il migliore 30% della popolazione, si otterrebbero risultati in un tempo ‘delta’ inferiore al tempo ‘alfa’
impiegato per lo stesso scopo con il migliore 60% della stessa popolazione ma si otterrebbe anche
lo spiacevole risultato di aver pericolosamente stretto il range del pool genetico (collo di bottiglia
riproduttivo). Personalmente ritengo che un eccellente compromesso non sia di rinunciare all’attuale
range di pool genetico ma iniziare a ‘numerarlo’, ottenerne una media e lavorare sul miglioramento
della stessa, se pur con tempistiche di risultato più lunghe ma di più ampio spettro.
La ricerca, nella programmazione di selezione, è palesemente il volano principale del miglioramento,
per un banalissimo motivo: è probabilmente l’unico strumento in grado di correlare geneticamente i
caratteri ricorrenti, la variabilità e i meccanismi della loro ereditabilità. Salute, morfologia e tipo,
fenotipo, predisposizione comportamentale, benessere, sono componenti irrinunciabili nei
programmi di selezione animale. I risultati sono fortemente legati al numero di geni in forma
qualitativa o quantitativa e ad eventuali variabili ambientali, ma in genetica sono fattori conosciuti e
codificabili.
La programmazione deve avere come obiettivo di selezione l’interesse della popolazione e non certo
quello di pochi soggetti, tra cui la salute e l’impegno all’identificazione ed eradicazione delle patologie
genetiche, oltre modo se mortali, che saranno sempre presenti in forma di mutazione, devono
occupare il vertice della piramide. Questo è oltre modo allevamento etico, una pratica che purtroppo
non riscontro nei fatti, ma può essere che io sia cieco.
MORFOLOGIA, TIPO E CONSIDERAZIONI
Un allevatore, pur imprimendo nella razza la sua ‘visione’ (tipo), non può esimersi dal lavorare
nell’ambito dello Standard di razza, nel quale sono descritte le caratteristiche ‘ideali’. Nella selezione
la via maestra è naturalmente quella di avvicinarsi il più possibile con i soggetti che produce a questo
ideale. Ciò implica la ricerca del ‘tipo’ corretto.
Questo obbligo persegue la conservazione morfologica della razza allevata e il costante e
progressivo miglioramento nei limiti attesi (lo standard). Sembra tutto molto facile ma invece non lo
è.
Capita, purtroppo e nemmeno troppo raramente, la ricerca di ipertipizzazione per fini discutibili o
l’ipotipizzazione di fronte alla deriva, entrambe da considerarsi negative non solo per il singolo
soggetto ma anche per la razza considerata nell’accezione genetica di popolazione.
Tali varianti condizionano spessissimo la fisiologia del soggetto e la progressiva ricerca di caratteri
esasperati portano inevitabilmente alla compromissione della salute e benessere della razza (razze
non più in grado di riprodursi naturalmente, razze non più in grado di partorire naturalmente, razze
con motilità ridotta a causa del mantello o delle leve, razze con difficoltà respiratorie a causa della
conformazione della canna nasale, ecc.).
Ma altrettanto pericolosa è la limitazione in allevamento a poche linee di sangue, magari solo le
proprie, per raggiungere il ‘tipo’, per gelosia, per stupido protagonismo o per altri futili motivi, magari
attraverso una sconsiderata o inconsapevole consanguineità.
Questo è il migliore sistema per danneggiare la razza che molti affermano di amare. Nessun
allevatore nel mondo contemporaneo è esclusivo proprietario o creatore di una razza. La selezione
consapevole e responsabile è un lavoro di squadra, spesso complesso e ricco di ostacoli e
imprevisti, che nessuno può affrontare ragionevolmente in autonomia.
CARATTERISTICHE COMPORTAMENTALI E CONSIDERAZIONI
Mi pare indiscutibile come le caratteristiche comportamentali dovrebbero essere legate a filo doppio
alle diverse razze esistenti, caratteristiche che unite ai tratti morfologici differenziano il cane
domestico dal canide selvatico, per porlo nella condizione di vivere a fianco dell’uomo nella società
dell’uomo.
Se si considera vera questa affermazione si deve considerare vera anche l’importanza dei tratti
comportamentali e specificatamente i tratti tipici della razza.
Questo è il motivo fondamentale per cui nella selezione di una razza le caratteristiche
comportamentali vanno considerate con grande attenzione e ricomprese nei programmi di
pianificazione, pena la progressiva distorsione verso deviazioni indesiderate, tra cui l’aggressività
incontrollata e la diffidenza ingiustificata sono a mio avviso le peggiori.
È assolutamente corrispondente a verità la scarsissima presenza di studi che correlano
caratteristiche comportamentali con l’ereditabilità e ritengo personalmente sia un ambito importante
sul quale si dovrebbe iniziare a sollecitarne l’interesse.
LAVORO E CONSIDERAZIONI
I ‘Gruppi’ o ‘Raggruppamenti’ oggi esistenti per definire la popolazione dei ‘cani domestici’ o ‘canis
familiaris’ si basano sull’utilità delle razze che li compongono. Ritengo ovviamente che questo è il
miglior modo per definire l’appartenenza di una razza, appartenenza frutto di un complesso processo
di domesticazione relativamente all’assegnazione di ‘compiti’ precisi (caccia, difesa, conduzione,
traino, ecc.).
Ciò è stato possibile riproducendo soggetti che possedevano caratteristiche di predisposizione allo
specifico lavoro ed estromettendo i soggetti che non le possedevano, limitando la manifestazione di
tratti indesiderati. È esattamente da questo lavoro che scaturisce la nascita delle razze moderne ed
è da questo lavoro che scaturisce il materiale genetico originario. Personalmente penso che nessun
allevatore dovrebbe scordare questo aspetto, visto che per secoli l’attitudine al lavoro ha
rappresentato il punto centrale di tutela di una razza, aspetto che ha indiscutibilmente contribuito
‘all’armonia di insieme’.
Oggi, forse più che mai, l’imperante concentrazione ‘selettiva’ quasi esclusiva sulle caratteristiche
morfologiche ha trasformato la maggior parte delle razze in ‘soggetti da compagnia’, limitando
fortemente e in maniera preoccupante la possibilità trasmissiva delle attitudini al lavoro.
Il mio non vuole essere certamente un giudizio etico, non ci trovo nulla di sbagliato o scandaloso nel
considerare il cane un animale da compagnia, ma da un punto di vista di selezione di una razza, in
molti casi ciò ha creato ulteriore confusione, portando alla dicotomia ‘linee di bellezza’ – ‘linee di
lavoro’.
Certamente è un argomento non banale e onestamente complesso che meriterebbe più di qualche
considerazione e approfondimento. È ovvio che nel mondo contemporaneo non tutti e non sempre
possono enfatizzare l’attitudine e il lavoro della singola razza, ma sono anche convinto che vi siano
attitudini più importanti rispetto ad altre per singola razza, che hanno ricadute sulla nostra società:
un conto è vivere con un soggetto che per razza ha l’attitudine alla guida di un gregge, un conto è
vivere con un soggetto che per razza ha l’attitudine alla difesa; le cose cambiano.
Le prove sportive della moderna cinofilia potrebbero in parte tamponare questo aspetto e ritengo
che dovrebbero essere maggiormente promosse e maggiormente avvicinate al concetto di ‘lavoro’.
Sono perfettamente consapevole che l’estetica e la costruzione di un cane (morfologia) sia
largamente più facile da percepire dai più e dai meno esperti ed anche meglio quantificabile
(prezzabile) e vendibile, ma penso che varrebbe la pena ricomprendere nell’allevamento e nella
selezione, anche parzialmente, le attitudini al lavoro, nell’ottica di maggiore completezza e
accuratezza. Utopia? Può essere.
BENESSERE E CONSIDERAZIONI
Termine abusato, travisato, limitato, settorizzato, soggettivamente interpretato ad hoc e non
controllato: il benessere. In realtà è un concetto tutto sommato semplice, chiaro e codificabile che
non può però solo limitarsi al concetto di: i miei cani sono vaccinati, sverminati e tenuti bene.
Vi sono diversi fattori che rientrano nel benessere, legati ovviamente all’allevamento (dove e come
sono tenuti - housing) ma anche alla loro gestione, all’indirizzo di allevamento (etica e linee guida di
selezione), alla frequenza di riproduzione dei soggetti (inizio e fine riproduzione/numero cucciolate),
ai controlli fenotipici, all’attivazione e al lavoro, all’ambiente, all’alimentazione, alla consapevole
pianificazione, alla condivisione, alla socializzazione, ecc.
Il benessere è oggettivamente un ambito multifattoriale sul quale si dovrebbe iniziare a fare un po’
di condivisa chiarezza, visto che è un aspetto che condiziona, a volte profondamente, la selezione
di una razza ed è un aspetto nell’ambito del quale, tutti assieme, ci si dovrebbe dare delle regole e
rispettarle. A poco serve scrivere e sottoscrivere una serie di inutili e patetici codici etici che lasciano
tutto a libera e personale interpretazione, sui quali non vi è uno straccio di controllo o peggio
provvedimenti di genere, il cui mandato è uno slogan pubblicitario, non certo un piano di lavoro.
Sarebbe a mio avviso molto più serio iniziare assieme un cammino possibile nell’interesse delle
creature che tutti affermiamo di amare e soprattutto per il rispetto delle creature future. Tutto il resto
è onestamente marketing.
CONCLUSIONI
Voglio concludere provocatoriamente sperando di strappare un sorriso: ogni tanto cerchiamo tutti di
tornare al paleolitico, fa bene.
Grazie dell’attenzione
Paolo Rovri
Bibliografia: Willis (1989) Genetics of the dog. Willis (1995) Genetic aspect of dog behaviour with particular reference
to working ability, in The domestic dog its evolution, behaviour and interaction with people. Oberbauer & Sampson (2001)
Pedigree Analysis, Genotype Testing and Genetic Counselling, in The genetic of the dog. Svartberg & Forkman (2002)
Personality traits in the domestic dog (Canis familiaris); Applied Animal Behaviour Science. Norme Tecniche Libro
Genealogico Del Cane Di Razza (DM 21203 – 2005). R.Lotta (2005) Elementi di Genetica del cane, Elementi di
miglioramento genetico in cinologia.