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JASON
Anche prima di essere fulminato, Jason stava avendo una pessima giornata.
Si era svegliato nel sedile posteriore di uno scuolabus, senza essere certo di dove si
trovava, mano nella mano con una ragazza che non conosceva. Quella non era
proprio la parte pessima. La ragazza era carina, ma non riusciva a capire chi fosse, o
cosa lui stesse facendo là. Si mise a sedere dritto e si stropicciò gli occhi, cercando di
riflettere.
Qualche altra dozzina di ragazzi era seduta scompostamente sui sedili davanti al suo,
ascoltando gli iPod, chiacchierando o dormendo. Sembravano tutti avere più o meno
la sua età… quindici? Sedici? Okay, questo era inquietante. Non sapeva quanti anni
aveva.
Il bus procedeva rumoroso lungo una strada dissestata. Fuori dal finestrino, il
deserto si estendeva sotto un cielo blu acceso. Jason era abbastanza sicuro di non
vivere nel deserto. Cercò di pensare al passato… l’ultima cosa che ricordava…
La ragazza gli strinse la mano. “Jason, stai bene?”
Indossava jeans scoloriti, scarponcini da escursione e un giacchetto da snowboard
imbottito. I suoi capelli erano del colore della cioccolata ed erano tagliati corti e
scalati, con dei sottili fili intrecciati ai lati. Non indossava trucco, come se stesse
cercando di non attirare l’attenzione, ma non funzionava. Era seriamente carina. I
suoi occhi sembravano cambiare colore come un caleidoscopio – castani, blu e verdi.
Jason le lasciò la mano. “Um, non –“
Dalla parte anteriore del bus, un insegnate urlò, “D’accordo pasticcini, aprite le
orecchie!”
Il tipo era chiaramente un allenatore. Il suo cappello da baseball era messo basso
sulla testa, così che potevi vedere solo i suoi occhietti rotondi. Aveva una sottile
barbetta che ricordava quella di una capra e un volto scontroso, come se avesse
mangiato qualcosa di andato a male. Le sue braccia muscolose e il suo petto
spingevano contro una polo arancio acceso. La sua tuta di nylon e le sue Nike erano
di un bianco immacolato. Al suo collo era appeso un fischietto, e alla cintura aveva
appeso un megafono. Avrebbe messo molta paura, se non fosse stato alto un metro
e mezzo. Quando si mise in piedi nel corridoio, uno degli studenti disse, “Si metta in
piedi, Coach Hedge!”
“Ti ho sentito!” Il coach fece scorrere lo sguardo lungo l’autobus in cerca
dell’offensore. Poi i suoi occhi si fissarono su Jason, e il suo cipiglio si fece più
intenso.
Una scossa risalì lungo la schiena di Jason. Era certo che il coach sapeva che lui non
apparteneva a quel posto. Avrebbe chiamato Jason, avrebbe preteso di sapere cosa
stava facendo su quell’autobus – e Jason non avrebbe avuto la minima idea su che
cosa dire.
Ma Coach Hedge distolse lo sguardo e si schiarì la voce. “Arriveremo tra cinque
minuti! Rimanete con il vostro compagno. Non perdete le vostre schede. E se
qualcuno di voi preziosi pasticcini causerà qualsiasi tipo di problema in questa gita lo
farò tornare personalmente al campus con le maniere forti.”
Prese una mazza da baseball e la fece oscillare come se stesse colpendo qualcosa.
Jason guardò la ragazza vicino a lui. “Può parlarci in quel modo?”
Lei fece spallucce. “Lo fa sempre. Questa è la Wilderness School. “Dove i ragazzi
sono gli animali.””
Lo disse come se fosse una sorta di battuta che avevano già condiviso in passato.
“C’è un qualche tipo di errore,” disse Jason. “Io non dovrei essere qui.”
Il ragazzo seduto davanti a lui si girò e rise. “Si, certo Jason. Siamo stati tutti
ingannati! Io non sono scappato di casa sei volte. Piper non ha rubato una BMW.”
La ragazza arrossì. “Non ho rubato quella macchina Leo!”
“Oh, me l’ero dimenticato Piper. Qual’era la tua storia? Hai “chiesto” al negoziante
di prestartela?” Alzò le sopracciglia verso Jason, come per dire, Ci puoi credere?
Leo sembrava un elfo di Babbo Natale ispanico, con capelli ricci e neri, orecchie a
punta, un volto allegro e infantile e un sorriso da furbo che ti faceva capire
immediatamente che non potevi fidarti di questo ragazzo se si trovava nei pressi di
fiammiferi o di oggetti taglienti. Le sue dita lunghe e svelte non smettevano di
muoversi – battevano sul sedile, mettevano i capelli dietro le orecchie,
giocherellavano con i bottoni del suo giacchetto verde militare. O il ragazzo era
iperattivo di suo, o aveva preso abbastanza zucchero e caffeina da causare un
attacco di cuore a un bufalo.
“Comunque,” disse Leo, “spero che hai le tue schede, perché le mie le ho usate per
la cerbottana giorni fa. Perché mi stai guardando in quel modo? Mi hanno disegnato
di nuovo sulla faccia?”
“Io non ti conosco,” disse Jason.
Leo gli fece un sorriso da coccodrillo. “Certo. Non sono il tuo migliore amico. Sono il
suo clone malvagio.”
“Leo Valdez!” urlò Coach Hedge dalla cima dell’autobus. “Qualche problema là in
fondo?”
Leo fece l’occhiolino a Jason. “Guarda questo.” Si girò davanti. “Mi dispiace Coach!
Avevo difficoltà a sentirla. Potrebbe usare il suo megafono per favore?”
Coach Hedge borbottò come se fosse lieto di avere una scusa. Slacciò il megafono
dalla cintura e continuò a dare ordini, ma la voce che ne venne fuori sembrava
quella di Darth Vader. I ragazzi scoppiarono a ridere. L’allenatore provò di nuovo,
ma questa volta il megafono gridò: “Le mucche fanno muu!”
I ragazzi risero ancora più forte, e l’allenatore buttò il megafono per terra. “Valdez!”
Piper soffocò una risata. “Mio dio Leo. Come hai fatto?”
Leo tirò fuori un piccolo cacciavite dalla manica. “Sono un ragazzo speciale.”
“Ragazzi, seriamente,” gli implorò Jason. “Cosa ci faccio qui? Dove stiamo
andando?”
Piper aggrottò le sopracciglia. “Jason, stai scherzando?”
“No! Non ho idea –“
“Aw, si, sta scherzando,” disse Leo. “Sta cercando di farmela pagare per la schiuma
da barba sulle gelatine, non è vero?”
Jason lo fissò con sguardo vuoto.
“No, credo che sia serio.” Piper cercò di prendergli di nuovo la mano, ma lui la tirò
via.
“Mi dispiace,” disse. “Non so – non posso –“
“Ecco!” urlò Coach Hedge. “La fila di fondo si è appena offerta volontaria per ripulire
dopo pranzo!”
Il resto degli studenti fece festa.
“Questo è uno scandalo,” borbottò Leo.
Ma Piper continuava a guardare Jason, come se non sapesse decidere se essere
offesa o preoccupata. “Hai sbattuto la testa o qualcosa del genere? Davvero non sai
chi siamo?”
Jason fece spallucce, impotente. “Peggio. Non so chi sono io.”
L’autobus li scaricò davanti a un grosso complesso di stucco rosso simile a un museo,
nel bel mezzo del nulla. Forse si trattava proprio di questo: il Museo Nazionale del
Nulla, pensò Jason. Un vento freddo soffiò nel deserto. Jason non aveva fatto molto
caso a cosa stava indossando, ma non era neanche lontanamente caldo abbastanza:
jeans, scarpe da ginnastica, una maglietta viola e una leggera giacca a vento nera.
“Allora, un veloce riassunto per l’amnesico,” disse Leo con il tono di chi vuole
aiutare che fece immaginare a Jason che non sarebbe stato d’aiuto. “Andiamo alla
“Wilderness School”” – Leo fece il gesto delle virgolette con le dita. “Il che vuol dire
che siamo “ragazzi cattivi”. La tua famiglia, o la corte, o chi che sia, ha deciso che
portavi troppi guai, così ti hanno spedito in questa amabile prigione – scusa,
“collegio” – ad Armpit, in Nevada, dove ti insegnano preziose abilità naturali come
correre per dieci miglia al giorno attraverso i cactus e fare delle coroncine di
margherite! E come trattamento speciale facciamo delle gite “educative” con Coach
Hedge, che mantiene l’ordine con una mazza da baseball. Ti sta tornando tutto in
mente ora?”
“No.” Jason lanciò un’occhiata apprensiva agli altri ragazzi: più o meno venti
studenti, la metà ragazze. Nessuno di loro aveva l’aspetto di criminali incalliti, ma si
domandò cosa potessero aver combinato tutti quanti per essere mandati in una
scuola per delinquenti, e si chiese perché lui apparteneva a loro.
Leo mandò gli occhi al cielo. “Vuoi giocare davvero a questo gioco, huh? Okay, allora
noi tre abbiamo iniziato a venire qui insieme questo semestre. Siamo assolutamente
legati. Tu fai tutto quello che ti dico, e mi dai il tuo dolce, e fai i miei compiti –“
“Leo!” sbottò Piper.
“Bene. Ignora l’ultima parte. Ma noi siamo davvero amici. Bè, Piper è qualcosa più di
un’amica, le ultime settimane –“
“Leo, smettila!” La faccia di Piper era diventata rossa. Jason poteva sentire che
anche la sua faccia stava bruciando. Pensava che se lo sarebbe ricordato se fosse
uscito con una ragazza come Piper.
“Ha l’amnesia, o qualcosa del genere,” disse Piper. “Dobbiamo dirlo a qualcuno.”
Leo fece un gesto di scherno. “Chi, a Coach Hedge? Proverà ad aggiustare Jason
dandogli una botta in testa.”
L’allenatore stava in testa al gruppo, abbaiando ordini e soffiando nel fischietto per
tenere i ragazzi in fila, ma di tanto in tanto lanciava un’occhiata a Jason e si
accigliava.
“Leo, Jason ha bisogno di aiuto,” insistette Piper. “Ha avuto una commozione
cerebrale o –“
“Yo Piper.” Uno degli altri ragazzi tornò indietro per unirsi a loro mentre il gruppo si
avviava verso il museo. Il nuovo ragazzo s’infilò tra Jason e Piper e spinse Leo da
parte. “Non parlare con questi perdenti. Sei la mia compagna, ricordi?”
Il nuovo ragazzo aveva capelli scuri tagliati nello stile di Superman, una forte
abbronzatura e dei denti così bianchi che avrebbero dovuto avere un’etichetta di
avvertenza: NON GUARDARE DIRETTAMENTE. PERICOLO CECITA’ PERMANENTE.
Indossava una maglietta dei Dallas Cowboys, dei jeans Western e degli stivali, e
sorrideva come se fosse un regalo dal cielo per tutte le giovani ragazze delinquenti
del mondo. Jason lo odiò all’istante.
“Vai via, Dylan,” brontolò Piper. “Non ho chiesto di lavorare con te.”
“Ah, non fare così. E’ il tuo giorno fortunato!” Dylan la prese a braccetto e la trascinò
verso l’entrata del museo. Piper lanciò un’ultima occhiata da sopra le spalle, come a
dire, chiamate il 911.
Leo si alzò e si spolverò la maglietta. “Odio quel tipo.” Offrì il braccio a Jason, come
se dovessero entrare insieme saltellando. “”Sono Dylan. Sono così fico che vorrei
uscire con me stesso, ma non so come fare! Vuoi uscire tu con me nel frattempo?
Sei così fortunata!””
“Leo,” disse Jason, “sei strano.”
“Si, me lo dici un sacco di volte.” Fece un grande sorriso. “Ma se non ti ricordi di me,
vuol dire che posso riutilizzare tutte le mie vecchie battute. Andiamo!”
Jason pensò che se questo era il suo migliore amico, la sua vita doveva essere
piuttosto incasinata, ma seguì Leo nel museo.
Camminarono per l’edificio, fermandosi qua e la perché Coach Hedge potesse dare
spiegazioni con il suo megafono, che alternativamente lo faceva assomigliare a Sith
Lord o gridava frasi a caso come, “I maiali fanno oink.”
Leo continuava a tirare fuori dalle tasche del suo giacchetto militare dadi, bulloni e
scovolini assemblandoli insieme, come se dovesse tenere sempre le mani
impegnate.
Jason era troppo distratto per prestare attenzione alla mostra, ma sapeva che
riguardava il Grand Canyon e la tribù Hualapai, che possedeva il museo.
Alcune delle ragazze continuavano a lanciare occhiatine a Piper e Dylan
sghignazzando. Jason immaginò che si dovesse trattare del gruppo delle popolari.
Indossavano tutte jeans abbinati, magliette rosa e del trucco sufficiente per una
festa di Halloween.
Una di loro disse, “Hey Piper, è la tua tribù che gestisce questo posto? Entri gratis se
fai la danza della pioggia?”
Le altre ragazze risero. Persino il “così-detto” compagno di Piper, Dylan, soffocò un
sorriso. Le maniche del giacchetto da snowboard di Piper le coprivano le mani, ma
Jason aveva la sensazione che stesse stringendo i pugni.
“Mio padre è Cherokee,” disse. “Non Hualapai. Ovviamente, servirebbero un po’ di
neuroni per riconoscere la differenza, Isabel.”
Isabel sgranò gli occhi fingendosi sorpresa, così da sembrare come un gufo con il
trucco. “Oh, mi dispiace! Era tua madre che apparteneva a questa tribù? Oh, è vero.
Non hai mai conosciuto tua madre.”
Piper la caricò, ma prima che la lotta potesse iniziare, Coach Hedge urlò, “Basta così
laggiù! Date il buon esempio o romperò la mia mazza da baseball!”
Il gruppo si spostò nella sala successiva, ma le ragazze continuarono a fare piccoli
commenti su Piper.
“E’ bello essere di nuovo nella tua riserva?” domandò una con voce dolce.
“Il padre è probabilmente troppo ubriaco per lavorare,” disse un’altra con falsa
compassione. “Ecco perché è diventata cleptomane.”
Piper le ignorò, ma Jason era pronto a colpirle lui stesso. Poteva non ricordarsi di
Piper, o persino chi fosse lui, ma sapeva che odiava i ragazzi cattivi.
Leo gli prese il braccio. “Calmo. A Piper non piace che combattiamo le sue battaglie.
Inoltre, se quelle ragazze scoprissero la verità su suo padre, s’inchinerebbero tutte ai
suoi piedi urlando, “Non siamo degne!””
“Perché? Chi è suo padre?”
Leo rise incredulo. “Non stai scherzando? Davvero non ricordi che il padre della tua
ragazza –“
“Senti, vorrei, ma non mi ricordo nemmeno di lei, figuriamoci di suo padre.”
Leo fischiò. “Comunque. Dobbiamo davvero parlare quando torniamo al
dormitorio.”
Raggiunsero la fine della sala espositiva, dove delle grosse porte di vetro portavano
a una terrazza.
“Bene pasticcini,” annunciò Coach Hedge. “State per vedere il Grand Canyon.
Cercate di non distruggerlo. Lo skywalk può reggere il peso di settanta jumbo jet,
quindi voi pesi piuma dovreste essere al sicuro la fuori. Possibilmente, cercate di
evitare di spingervi a vicenda oltre il bordo, ciò mi procurerebbe lavoro extra.”
L’allenatore aprì le porte, e uscirono tutti fuori. Il Grand Canyon era davanti a loro,
vivo e in persona. Oltre il bordo si estendeva un corridoio a ferro di cavallo fatto di
vetro, che ti permetteva di vederci attraverso.
“Wow,” disse Leo. “Questo è davvero fico.”
Jason gli dovette dare ragione. Malgrado la sua amnesia e la sensazione di non
appartenere lì, non potè fare a meno di essere impressionato.
Il canyon are più grande e più largo di quanto puoi apprezzare guardando una foto.
Erano così in alto che gli uccelli volavano sotto i loro piedi. Un fiume scorreva al lato
del canyon, cento cinquanta metri più in basso. Mentre si trovavano nell’edificio, dei
banchi di nuvole da tempesta si erano spostate sopra di loro, mandando delle
ombre simili a volti arrabbiati sopra alle colline. Da quello che Jason poteva vedere
in ogni direzione, lungo il deserto non si vedevano altro che gole rosse e grigie,
come se qualche pazza divinità l’avesse affettato con un coltello.
Jason sentì un dolore pungente dietro gli occhi. Pazza divinità…
Da dove gli era uscita quell’idea? Si sentiva come se si fosse avvicinato a qualcosa di
importante – qualcosa che avrebbe dovuto sapere. Aveva anche l’indubbia
sensazione di essere in pericolo.
“Tutto bene?” chiese Leo. “Non vomiterai, non è vero? Perché sennò avrei dovuto
portarmi la macchinetta.”
Jason afferrò la ringhiera. Stava sudando e tremando, ma non aveva niente a che
fare con le altezze. Sbattè le palpebre, e il dolore dietro agli occhi diminuì.
“Sto bene,” riuscì a dire. “Solo un mal di testa.”
Dei tuoni rombarono sopra di loro. Un vento freddo per poco non lo fece cadere di
lato.
“Non è sicuro.” Leo guardò furtivo le nuvole. “La tempesta è proprio sopra di noi,
ma tutto intorno è bello. Strano, huh?”
Jason guardò in su, e vide che Leo aveva ragione. Un cerchio scuro di nuvole si era
parcheggiato sopra lo skywalk, ma il resto del cielo era perfettamente sereno in ogni
direzione. Jason aveva una brutta sensazione al riguardo.
“Va bene pasticcini!” urlò Coach Hedge. Si accigliò verso la tempesta, come se
preoccupasse anche lui. “Forse dovremmo fare in fretta, quindi al lavoro!
Ricordatevi, frasi complete!”
Le nuvole tuonarono, e la testa di Jason ricominciò a fargli male. Senza sapere
perché lo stesse facendo, mise la mano nella tasca dei jeans a tirò fuori una moneta
– un cerchio d’oro grande come una moneta da cinquanta centesimi, ma più spesso
e imperfetto. Su una faccia era stampata la figura di una falce. Sull’atra c’era il volto
di qualcuno con una corona d’alloro sulla testa. L’iscrizione era qualcosa tipo IVLIVS.
“Cavolo, quello è oro?” chiese Leo. “Me lo hai nascosto!”
Jason mise via la moneta, chiedendosi come faceva ad averla, e perché avesse la
sensazione che presto ne avrebbe avuto bisogno.
“Non è nulla,” disse. “Solo una moneta.”
Leo fece spallucce. Forse anche la sua mente doveva essere sempre in moto, come
le sue mani. “Andiamo,” disse. “Ti sfido a sputare oltre il bordo.”
Non s’impegnarono molto sui loro compiti. Primo, Jason era troppo distratto dalla
tempesta e dalle sue sensazioni sottosopra. Secondo, non aveva idea di come
“elencare tre strati sedimentari che vedi” o “descrivere due esempi di erosione.”
Leo non era di nessun aiuto. Era troppo occupato a costruire un elicottero con uno
dei suoi scovolini.
“Guarda qui.” Lanciò l’elicottero. Jason pensava che si sarebbe schiantato a terra,
ma le eliche di scovolini funzionarono davvero. Il piccolo elicottero riuscì ad arrivare
a metà del canyon prima che perdesse la spinta e cadesse a spirale nel vuoto.
“Come hai fatto?” chiese Jason.
Leo fece spallucce. “Sarebbe stato più forte se avessi avuto qualche elastico.”
“Seriamente,” disse Jason, “siamo davvero amici?”
“L’ultima volta che ho controllato, si.”
“Sei sicuro? Quando è stata la prima volta che ci siamo incontrati? Di cosa abbiamo
parlato?”
“Era…” Leo aggrottò le sopracciglia. “Non mi ricordo di preciso. Soffro di iperattività,
amico. Non puoi pretendere che mi ricorda i dettagli.”
“Ma io non mi ricordi per niente di te. Non mi ricordo di nessuno qui. E se –“
“Tu hai ragione e tutti gli altri hanno torto?” chiese Leo. “Credi di essere
semplicemente apparso qui questa mattina e noi abbiamo tutti dei finti ricordi di
te?”
Una piccola voce nella testa di Jason disse, E’ proprio quello che penso.
Ma era da matti. Tutti qui lo trattavano con naturalezza. Tutti si comportavano come
se fosse una normale parte della classe – eccetto Coach Hedge.
“Prendi le schede.” Jason passò i fogli a Leo. “Torno subito.”
Prima che Leo potesse protestare, Jason si incamminò lungo il corridoio.
Il gruppo scuola aveva il posto completamente a sua disposizione. Forse era troppo
presto per i turisti, o forse quello strano tempo gli aveva spaventati. Gli studenti
della Wilderness School si erano sparpagliati in coppie. La maggior parte stava
scherzando o chiacchierando. Alcuni stavano lanciando dei penny al di là del bordo.
Circa quindici metri più avanti Piper stava cercando di completare la sua scheda, ma
il suo stupido compagno Dylan, le stava dando fastidio, mettendole la mano sulle
spalle e sorridendole con quel suo sorriso bianco accecante. Lei continuava a
spingerlo via, e quando vide Jason gli lanciò uno sguardo che sembrava dire,
Strangolalo per me.
Jason le fece segno di tenere duro. Andò da Coach Hedge, che era appoggiato sulla
sua mazza da baseball, studiando le nuvole.
“L’hai fatto tu questo?” gli chiese l’allenatore.
Jason fece un passo indietro. “Fatto cosa?” Era sembrato come se l’allenatore gli
avesse appena chiesto se fosse stato lui a provocare la tempesta.
Coach Hedge lo fissò con i suoi piccoli occhi che luccicavano da sotto la visiera del
cappello. “Non scherzare con me, ragazzo. Cosa fai qui, e perché stai creando
confusione nel mio lavoro?”
“Vuole dire che… lei non mi conosce?” disse Jason. “Non sono uno dei suoi alunni?”
Hedge sbuffò. “Mai visto fino a oggi.”
Jason era così sollevato che aveva quasi voglia di piangere. Almeno non stava
impazzendo. Era davvero nel posto sbagliato. “Senta, signore, non so come sono
arrivato qui. Mi sono svegliato sullo scuolabus. Tutto quello che so è che non dovrei
essere qui.”
“Esatto.” La brusca voce di Hedge si ridusse a un sussurro, come se stesse rivelando
un segreto. “Hai un potere forte sulla Foschia, ragazzo, se riesci a far credere a tutte
queste persone di conoscerti, ma non puoi ingannare me. Sono giorni ormai che
sento odore di mostri. Tu odori come un mezzosangue. Quindi – chi sei, e da dove
vieni?”
La maggior parte di quello che aveva detto l’allenatore non aveva senso, ma Jason
decise di rispondere con sincerità. “Non so chi sono. Non ho nessun ricordo. Deve
aiutarmi.”
Coach Hedge studiò la sua faccia come se stesse cercando di leggere i pensieri di
Jason.
“Fantastico,” borbottò Hedge. “Sei sincero.”
“Certo che lo sono! E cos’era tutto quel discorso su mostri e mezzosangue? Sono
delle parole in codice o qualcosa del genere?”
Hedge strinse gli occhi. Una parte di Jason si chiese se il tipo non era semplicemente
matto. Ma l’altra parte la vedeva diversamente.
“Ascolta ragazzo,” disse Hedge, “Non so chi tu sia. So solo cosa sei, e questo vuol
dire guai. Ora devo proteggere tre di voi invece che due. Sei il pacchetto speciale? E’
così?”
“Di cosa sta parlando?”
Hedge guardò le nuvole. Stavano diventando più fitte e scure, librandosi proprio
sopra lo skywalk.
“Stamattina,” disse Hedge, “ho ricevuto un messaggio dal campo. Hanno detto che
sta arrivando una squadra di recupero. Stanno venendo a prendere un pacchetto
speciale, ma non hanno voluto darmi i dettagli. Mi sono detto, Bene. I due a cui sto
badando sono piuttosto potenti, più grandi del normale. So che sono pedinati. Sento
l’odore di un mostro nel gruppo. Immagino che sia per questo che il campo è
improvvisamente impaziente di prendergli. Ma poi ecco che tu sbuchi fuori dal nulla.
Allora, sei il pacchetto speciale?”
Il dolore dietro agli occhi di Jason divenne più forte che mai. Mezzosangue. Campo.
Mostri. Continuava a non capire di cosa Coach Hedge stava parlando, ma quelle
parole gli avevano dato un enorme mal di testa – come se la sua mente stesse
cercando di accedere a informazioni che avrebbero dovuto essere lì, ma non
c’erano.
Incespicò e Coach Hedge lo sorresse. Per un tipo così basso, l’allenatore aveva delle
mani di ferro. “Whoa, hey pasticcino. Hai detto di non avere ricordi, huh? Bene.
Dovrò solo tenere d’occhio anche te, finché la squadra non arriva. Lasceremo che sia
il direttore a capire cosa sta succedendo.”
“Quale direttore?” disse Jason. “Che campo?”
“Stai seduto. I rinforzi dovrebbero essere qui presto. Con un po’ di fortuna non
accadrà nulla prima che –“
Dei lampi crepitarono sopra di loro. Il vento si fece più forte. Le schede volarono nel
Grand Canyon, e l’intero ponte tremò. I ragazzi urlarono, inciampando e
aggrappandosi alla ringhiera.
“Devo dire qualcosa,” brontolò Hedge. Urlò nel suo megafono: “Tutti dentro! Le
mucche fanno muu! Via dallo skywalk!”
“Pensavo che avesse detto che questa cosa era stabile!” urlò Jason sopra al vento.
“In circostanze normali,” concordò Hedge, “cosa che non sono. Andiamo!”
2
JASON
La tempesta si fece più violenta, trasformandosi in un uragano in miniatura. Delle
trombe d’aria strisciarono verso lo skywalk come fossero i tentacoli di una medusa
mostruosa.
I ragazzi urlarono e corsero verso l’edificio. Quaderni, giacchetti, capelli e zaini
furono portati via dal vento. Jason slittò sul pavimento bagnato.
Leo perse l’equilibrio e per poco non cadde al di là della ringhiera, ma Jason lo
afferrò dal giacchetto e lo tirò indietro.
“Grazie amico!” urlò Leo.
“Via, via, via!” disse Coach Hedge.
Piper e Dylan stavano tenendo le porte aperte, radunando all’interno gli altri ragazzi.
Il giacchetto da snowboard di Piper si agitava all’impazzata, e aveva tutti i capelli
scuri in faccia. Jason pensò che doveva essere terrorizzata, ma sembrava calma e
sicura – stava dicendo agli altri che sarebbe andato tutto bene, incoraggiandoli ad
andare avanti.
Jason, Leo e Coach Hedge corsero verso di loro, ma era come correre nelle sabbie
mobili. Il vento sembrava lottare contro di loro, spingendogli indietro.
Dylan e Piper spinsero un ultimo ragazzo all’interno, poi persero la presa sulle porte.
Queste sbatterono violentemente, chiudendo lo skywalk.
Piper strattonò le maniglie. All’interno gli altri ragazzi battevano sui vetri, ma le
porte sembravano essere bloccate.
“Dylan, aiutami!” urlò Piper.
Dylan rimase semplicemente a guardare con un sorriso idiota sulla faccia e la sua
maglietta dei Cowboys che si agitava nel vento, come se all’improvviso si stesse
godendo la tempesta.
“Mi dispiace Piper,” disse. “Ho finito di aiutare.”
Piegò deciso il polso e Piper volò all’indietro, sbattendo contro le porte e scivolando
sul ponte dello skywalk.
“Piper!” Jason cercò di caricare in avanti, ma il vento gli era contro, e Coach Hedge
lo spinse indietro.
“Coach,” disse Jason, “mi lasci andare!”
“Jason, Leo, rimanete dietro di me” ordinò il coach. “Questa è la mia battaglia. Avrei
dovuto sapere che quello era il nostro mostro.”
“Cosa?” chiese Leo. Una scheda degli esercizi vagabonda lo colpì in faccia, ma lui la
spinse via. “Quale mostro?”
Il cappellino del coach volò via, e dai suoi capelli ricci spuntarono due protuberanze
– come i bernoccoli che appaiono sulle teste dei personaggi dei cartoni animati
quando vengono colpiti in testa. Coach Hedge sollevò la sua mazza da baseball – ma
non era più una normale mazza. In qualche modo era diventata un bastone con tre
rami rozzamente scolpito, con foglie e ramoscelli ancora attaccati.
Dyaln gli fece quell’allegro sorriso da matto. “Oh, andiamo Coach. Lascia che il
ragazzo mi attacchi! Dopotutto, stai diventando troppo vecchio per questo. Non è
per questo che ti hanno congedato in questa stupida scuola? Sono stato nella tua
classe per tutta la stagione e tu non lo sapevi nemmeno. Stai perdendo il tuo tocco,
nonnino.”
Il coach fece un verso arrabbiato, come il belato di un animale. “Bene pasticcino.
Stai affondando.”
“Credi di poter proteggere tre mezzosangue alla volta, vecchio?” Dylan rise. “Buona
fortuna.”
Dylan puntò verso Leo, e una tromba d’aria si materializzò intorno a lui. Leo volò giù
dallo skywalk come se fosse stato lanciato via. In qualche modo riuscì a girarsi
mentre era in aria e sbatté lateralmente contro la parete del canyon. Scivolò,
cercando furiosamente di aggrapparsi a qualcosa. Alla fine afferrò una piccola
sporgenza a circa quindici metri al di sotto dello skywalk e rimase appeso lì
reggendosi con le dita.
“Aiuto!” urlò verso di loro. “Una corda per favore? Un cordone da bungee?
Qualcosa?”
Coach Hedge imprecò e lanciò il suo bastone a Jason. “Non so chi sei ragazzo, ma
spero che tu sia in gamba. Tieni quella cosa occupata –“ puntò il dito verso Dylan –
“mentre io prendo Leo.”
“Prenderlo come?” chiese Jason. “Sa volare?”
“Non volare. Scalare.” Hedge si levò le scarpe, e per poco Jason non ebbe un infarto.
Il coach non aveva i piedi. Aveva degli zoccoli – zoccoli da capra. Il che, realizzò
Jason, voleva dire che quelle cose sulla sua testa non erano bernoccoli. Erano corna.
“Sei un fauno,” disse Jason.
“Satiro!” sbottò Hedge. “I fauni sono romani. Ma ne parleremo più tardi.”
Hedge balzò oltre il bordo. Si diresse verso la parete del canyon e atterrò con gli
zoccoli. Saltò giù per la collina con impossibile agilità, trovando appoggi per i piedi
non più grandi di francobolli e schivando i turbini di vento che cercavano di
attaccarlo mentre si faceva strada verso Leo.
“Non è tenero!” Dylan si voltò verso Jason. “Ora è il tuo turno ragazzo.”
Jason lanciò il bastone. Sembrava inutile con il vento così forte, ma il bastone volò
dritto verso Dylan, arrivando persino a curvarsi quando quest’ultimo cercò di
schivarlo, e lo colpì sulla testa così violentemente da farlo cadere sulle ginocchia.
Piper non era così stordita come sembrava. Quando il bastone le rotolò accanto, lei
lo afferrò ma prima che potesse usarlo Dylan si alzò. Dalla fronte gli usciva del
sangue – sangue dorato.
“Bel tentativo ragazzo.” Fulminò Jason con lo sguardo. “Ma dovrai fare di meglio.”
Lo skywalk tremò. Sottili crepe cominciarono ad apparire nel vetro. All’interno del
museo, i ragazzi smisero di battere sulle porte. Indietreggiarono, guardando
terrorizzati.
Il corpo di Dylan si dissolse diventando fumo, come se le sue molecole si stessero
sciogliendo. Aveva lo stesso volto, lo stesso sorriso bianco brillante, ma tutto il resto
era improvvisamente composto da vapore nero, i suoi occhi erano come delle
scintille elettriche in una tempesta vivente. Distese delle ali nere fatte di fumo e si
librò al di sopra dello skywalk. Se esistevano degli angeli malvagi avrebbero avuto
esattamente questo aspetto, decise Jason.
“Sei un ventus,” disse Jason, anche se non aveva la più pallida idea di come
conoscesse quella parola. “Uno spirito delle tempeste.”
La risata di Dylan era come un tornado che scoperchiava una casa. “Sono contendo
di aver aspettato, semidio. E’ da settimane che sapevo di Leo e Piper, Gli avrei potuti
uccidere in ogni momento. Ma la mia padrona ha detto che ne sarebbe arrivato un
terzo – qualcuno di speciale. Mi ricompenserà enormemente per la tua morte!”
Altre due trombe d’aria toccarono terra ai due lati di Dylan e si trasformarono in
venti – ragazzi spettrali con ali di fumo e occhi che guizzavano con saette.
Piper rimase giù, facendo finta di essere stordita, mentre con la mano teneva ancora
il bastone. Il volto era pallido, ma diede a Jason un’occhiata determinata, e lui
afferrò il messaggio: Attira la loro attenzione. Li colpirò da dietro.
Carina, intelligente e violenta. Jason desiderò ricordarsi di averla avuta come
ragazza.
Strinse i pugni e si preparò ad attaccare, ma non ne ebbe mai la possibilità.
Dylan sollevò la mano, dove degli archi di elettricità si sviluppavano tra le dita, e
colpì Jason in pieno petto.
Bang! Jason si ritrovò con la schiena a terra. In bocca aveva il sapore della carta
argentata bruciata. Sollevò la testa e vide che i suoi vestiti stavano fumando. Il
fulmine gli aveva attraversato il corpo e gli aveva fatto saltare via la scarpa sinistra.
Aveva le dita dei piedi nere di fuliggine.
Gli spiriti delle tempeste stavano ridendo. Il vento ruggiva. Piper stava urlando
provocandoli, ma i suoni sembravano tutti metallici e molto lontani.
Con la coda dell’occhio Jason vide Coach Hedge risalire la collina con Leo sulla
schiena. Piper era in piedi che faceva ondeggiare disperatamente il bastone per
tenere lontani i due spiriti extra, ma questi stavano semplicemente giocando con lei.
Il bastone gli attraversava i corpi come se non fossero lì. E Dylan, uno scuro tornado
alato con gli occhi, incombeva su Jason.
“Fermo,” gracchiò Jason. Si mise in piedi insicuro, e non era certo di chi fosse più
sorpreso: se lui o lo spirito.
“Come fai a essere vivo?” Il corpo di Dylan tremò. “Era abbastanza elettricità da
uccidere venti uomini!”
“Ora è il mio turno,” disse Jason.
Mise la mano in tasca e tirò fuori la moneta dorata. Lasciò che i suoi istinti
prendessero il controllo, e lanciò la moneta in aria come se l’avesse fatto migliaia di
volte. La riprese nel palmo, e improvvisamente aveva in mano una spada – un’arma
a doppia lama mortalmente affilata. L’elsa increspata era perfettamente adattata
alle sue dita, e l’intero oggetto era d’oro – elsa, manico e lama.
Dylan ringhiò e indietreggiò. Guardò i suoi due compagni e urlò, “Bè? Uccidetelo!”
Gli altri spiriti non sembravano molto entusiasti di quell’ordine, ma volarono verso
Jason, con le dita che crepitavano di elettricità.
Jason colpì il primo spirito. La lama lo attraversò, e il corpo fumoso della creatura si
disintegrò. Il secondo spirito lanciò una saetta, ma la spada di Jason assorbì la carica.
Jason si fece avanti – un unico veloce colpo e il secondo spirito si dissolse in polvere
dorata.
Dyaln gridò oltraggiato. Guardò in basso, come aspettando che i suoi compagni si
riformassero, ma la loro polvere dorata continuò a disperdersi nel vento.
“Impossibile! Chi sei mezzosangue?”
Piper era così sbalordita che lasciò cadere il bastone. “Jason, come…?”
Poi Coach Hedge saltò sullo skywalk e scaricò Leo come un sacco di farina.
“Spiriti temetemi!” ruggì Hedge, stendendo le sue braccia corte.
Poi si guardò intorno e si accorse che c’era solo Dylan.
“Accidenti ragazzo!” sbottò verso Jason. “Non me ne hai lasciato qualcuno? Mi
piacciono le sfide!”
Leo si rimise in piedi, respirando pesantemente. Sembrava totalmente umiliato, e
aveva le mani insanguinate per essersi attaccato alle rocce. “Yo Coach Supercapra,
qualsiasi cosa lei sia – sono appena caduto nel maledetto Grand Canyon! La smetta
di chiedere sfide!”
Dylan gli sibilò contro, ma Jason poteva vedere la paura nei suoi occhi. “Non hai idea
di quanti nemici hai svegliato, mezzosangue. La mia padrona distruggerà tutti i
semidei. Non potete vincere questa guerra.”
Sopra di loro, la tempesta esplose in una burrasca a tutta potenza. Le crepe sullo
skywalk si fecero più larghe. La pioggia cominciò a cadere e Jason dovette
accucciarsi per mantenere l’equilibrio.
Nelle nuvole si aprì un varco – un vortice rotante nero e argentato.
“La padrona mi richiama! urlò Dylan con gioia. “E tu, semidio, verrai con me!”
Si lanciò verso Jason, ma Piper afferrò il mostro da dietro. Anche se era fatto di
fumo, Piper riuscì in qualche modo a prenderlo. Entrambi caddero a terra. Leo,
Jason e il coach si tuffarono in avanti per aiutare, ma lo spirito urlò con rabbia.
Rilasciò un diluvio che gli spinse tutti indietro. Jason e Coach Hedge atterrarono sul
didietro. La spada di Jason scivolò lungo la superficie di vetro. Leo sbatté la testa e si
ripiegò da un lato, intontito e gemente. A Piper toccò il peggio. Venne lanciata via
dalla schiena di Dylan e colpì la ringhiera, cadendo dall’altra parte finché non rimase
appesa sopra l’abisso con una sola mano.
Jason iniziò ad andare verso di lei, ma Dylan urlò, “Mi accontenterò di questo!”
Afferrò il braccio di Leo e cominciò a salire, trascinandosi dietro un Leo semi
cosciente. La
tempesta di fece più forte, tirandoli su come un aspirapolvere.
“Aiuto!” urlò Piper. “Qualcuno!”
Poi scivolò, urlando mentre cadeva.
“Vai Jason!” urlò Hedge. “Salvala!”
Il coach si lanciò verso lo spirito facendo del serio kung fu da capra – sferzando con
gli zoccoli, riuscendo a liberare Leo dalla presa dello spirito. Leo cadde al sicuro a
terra, ma Dylan invece afferrò le braccia del coach. Hedge cercò di colpirlo alla testa,
poi gli diede un calcio e lo chiamò pasticcino. Salirono più in alto, acquistando
velocità.
Coach Hedge urlò ancora una volta verso il basso, “Salvala! Ci penso io a lui!” Poi il
satiro e lo spirito salirono tra le nuvole e scomparvero.
Salvarla? pensò Jason. E’ troppo tardi!
Ma ancora una volta il suo istinto ebbe la meglio. Corse verso la ringhiera pensando,
Sono un pazzo, a saltò dall’altra parte.
Jason non aveva paura delle altezze. Aveva paura di essere spiaccicato contro il
suolo del canyon centocinquanta metri più in basso. Pensò che non avrebbe fatto
nulla a parte morire con Piper, ma si piegò sulle braccia e si lanciò di testa. Il canyon
passava come un film mandato avanti velocemente. Sembrava che gli si stesse
staccando la pelle dal volto.
In un secondo, si ritrovò accanto a Piper che si stava agitando selvaggiamente. La
afferrò dalla vita e chiuse gli occhi, aspettando la morte. Piper urlò. Il vento fischiava
nelle orecchie di Jason. Si chiese come sarebbe stato morire. Pensava che
probabilmente non sarebbe stato così bello.
Improvvisamente il vento cessò. Il grido di Piper si trasformò in un rantolo spezzato.
Jason pensò che dovevano essere morti, ma non aveva sentito nessun impatto.
“J-J-Jason,” riuscì a dire Piper.
Aprì gli occhi. Non stavano cadendo. Stavano galleggiando a mezz’aria, trenta metri
sopra al fiume.
Abbracciò forte Piper, e lei cambiò posizione così da abbracciarlo a sua volta. Erano
naso contro naso. Il cuore di lei batteva così forte che Jason poteva sentirlo
attraverso i suoi vestiti.
Il suo alito sapeva di cannella. Disse, “Come hai –“
“Non l’ho fatto,” disse lui. “Penso che lo saprei se sapessi volare…”
Ma poi pensò: non so nemmeno chi sono.
Immaginò di andare su. Piper strillò mentre venivano sparati qualche centimetro più
in alto. Non stavano esattamente galleggiando, decise Jason. Poetva sentire la
pressione sotto i piedi come se fossero in equilibro sulla cima di un geyser.
“L’aria ci sta sostenendo,” disse.
“Bè, dille di sostenerci di più! Facci andare via di qui!”
Jason guardò in basso. La cosa più facile sarebbe stata affondare lentamente verso il
suolo del canyon. Poi guardò in alto. La pioggia si era fermata. Le nuvole non
sembravano più così brutte, ma stavano ancora rombando e mandando lampi. Non
c’era nessuna garanzia che gli spiriti se ne fossero andati definitivamente. Non aveva
idea di che cosa fosse successo a Coach Hedge. E aveva lasciato Leo là sopra, a
malapena cosciente.
“Dobbiamo aiutarli,” disse Piper, come se gli stesse leggendo i pensieri. “Puoi –“
“Vediamo.” Jason pensò, Su, e vennero istantaneamente lanciati verso l’alto.
Il fatto che stava controllando il vento sarebbe potuto essere forte sotto diverse
circostanze, ma era ancora troppo sotto shock. Appena atterrarono sullo skywalk,
corsero verso Leo.
Piper voltò Leo, e lui gemette. Il giaccone militare era zuppo di pioggia. I suoi capelli
ricci luccicavano d’oro dopo aver rotolato nella polvere di mostro. Ma almeno non
era morto.
“Stupida…brutta…capra,” borbottò.
“Dov’è andato?” chiese Piper.
Leo puntò in alto. “Non è mai sceso. Per favore, ditemi che non mi ha davvero
salvato la vita.”
“Due volte,” disse Jason.
Leo gemette ancora più forte. “Cosa è successo? Il tipo del tornado, la spada d’oro…
ho sbattuto la testa. E’ questo, giusto? Sto avendo delle allucinazioni?”
Jason si era dimenticato della spada. Camminò fino a dove si trovava e la sollevò. La
lama era ben equilibrata. Con un’intuizione, la lanciò in aria. A metà giro, la spada si
ridusse a una moneta e atterrò sul suo palmo.
“Si,” disse Leo. “Sto indubbiamente avendo delle allucinazioni.”
Piper tremò nel suoi vestiti zuppi. “Jason, quelle cose –“
“Venti,” disse. “Spiriti delle tempeste.”
“Okay. Ti sei comportato come… come se gli avessi già visti prima d’ora. Chi sei?”
Lui scosse la testa. “E’ quello che ho cercato di dirvi. Non lo so.”
La tempesta si placò. Gli altri studenti della Wilderness School stavano fissando
inorriditi dalle porte di vetro. Gli addetti alla sicurezza stavano lavorando sulle
serrature ora, ma non sembrava che stessero avendo molta fortuna.
“Coach Hedge ha detto che doveva proteggere tre persone,” ricordò Jason. “Credo
che si riferisse a noi.”
“E quella cosa nella quale si è trasformato Dylan…” Piper rabbrividì. “Dio, non riesco
a credere che stava flirtando con me. Ci ha chiamati… cosa, semidei?”
Leo giaceva sdraiato sulla schiena, fissando il cielo. Non sembrava ansioso di alzarsi.
“Non so per cosa sta semi,” disse. “Ma io non mi sento molto divino. Voi vi sentite
divini?”
Si sentì un suono instabile, come di rami secchi che venivano spezzati, e le crepe
nello skywalk cominciarono ad allargarsi.
“Dobbiamo toglierci da questa cosa,” disse Jason. “Forse se –“
“Ohhh-kay,” lo interruppe Leo. “Guardate là sopra e ditemi se quelli sono dei cavalli
volanti.”
All’inizio Jason pensò che Leo avesse effettivamente sbattuto la testa troppo forte.
Poi vide una sagoma scura scendere da est – troppo lenta per essere un aeroplano,
troppo grande per un uccello. Mentre si avvicinava, poté vedere una coppia di
animali alati – grigi, quadrupedi, esattamente come dei cavalli – a parte il fatto che
ognuno aveva un’apertura alare di sei metri. E insieme stavano trainando una
scatola dipinta a colori vivaci con due ruote: un carro.
“Rinforzi,” disse. “Hedge mi aveva detto che stava arrivando una squadra di
estrazione per noi.”
“Squadra di estrazione?” Leo si alzò con fatica. “Sembra doloroso.”
“E dove ci dovrebbero estrarre?” chiese Piper.
Jason guardò mentre il carro atterrava all’estremità più lontana dello skywalk. I
cavalli volanti chiusero le loro ali e trottarono nervosamente sul vetro, come se
percepissero che si stava per rompere. Sul carro c’erano due adolescenti – una
ragazza alta e bionda forse un po’ più grande di Jason, e un grosso ragazzo con la
testa rasata e un volto simile a una pila di mattoni. Indossavano entrambi jeans e
delle magliette arancioni, con degli scudi fissati sulla schiena. La ragazza saltò giù
prima ancora che il carro avesse finito di muoversi. Prese un pugnale e corse verso il
gruppo di Jason mentre il tipo grosso fermava i cavalli.
“Lui dov’è?” chiese la ragazza. I suoi occhi grigi erano feroci e un po’ allarmanti.
“Dov’è chi?” chiese Jason.
Aggrottò le sopracciglia come se la sua risposta fosse inaccettabile. Poi si voltò verso
Leo e Piper. “E Gleeson? Dov’è il vostro protettore Gleeson Hedge?”
Il nome del coach era Gleeson? Jason ne avrebbe riso se la mattinata non fosse stata
così strana e spaventosa. Gleeson Hedge: allenatore di football, uomo capra,
protettore di semidei. Certo. Perché no?
Leo si schiarì la voce. “E’ stato preso da degli… esseri tornado.”
“Venti,” disse Jason. “Spiriti delle tempeste.”
La ragazza bionda sollevò un sopracciglio. “Vuoi dire anemoi thuellai? Questo è il
termine greco. Chi sei, e cosa è successo?”
Jason fece del suo meglio per spiegare, anche se era difficile incontrare quegli
intensi occhi grigi. A circa metà storia, l’altro ragazzo li raggiunse dal carro. Stava lì a
fissargli, con le braccia incrociate. Aveva un arcobaleno tatuato sul bicipite, cosa che
sembrava un po’ strana.
Quando Jason finì la sua storia, la ragazza bionda non sembrava soddisfatta. “No,
no, no! Mi ha detto che sarebbe stato qui. Mi ha detto che se fossi venuta qui, avrei
trovato la risposta.”
“Annabeth,” brontolò il ragazzo pelato. “Guarda qui.” Indicò il piede di Jason.
Jason non ci aveva pensato molto, ma ancora non aveva la scarpa sinistra, che era
stata spinta via dal lampo. Il suo piede nudo stava bene, ma sembrava un grumo di
carbone.
“Il ragazzo con una scarpa sola,” disse il ragazzo pelato. “Lui è la risposta.”
“No Butch,” insistette la ragazza. “Non può essere. Sono stata ingannata.” Fissò
furiosa in cielo come se avesse fatto qualcosa di sbagliato. “Cosa vuoi da me?” urlò.
“Cosa ne hai fatto di lui?”
Lo skywalk tremò e i cavalli nitrirono con urgenza.
“Annabeth,” disse il ragazzo pelato, Butch, “dobbiamo andare. Portiamo questi tre al
campo e pensiamoci là. Quelli spiriti potrebbero tornare.”
Per un momento sembrò adirarsi. “Bene.” Fissò Jason con uno sguardo risentito. “Ci
pensiamo dopo.”
Si girò e marciò verso il carro.
Piper scosse la testa. “Che problema ha? Cosa sta succedendo?”
“Seriamente,” concordò Leo.
“Dobbiamo portarvi via di qui,” disse Butch. “Vi spiegherò strada facendo.”
“Non vado da nessuna parte con lei.” Jason fece un gesto verso la bionda. “Sembra
che mi voglia uccidere.”
Butch esitò. “Annabeth è okay. Dovete essere tolleranti. Ha avuto una visione che le
diceva di venire qui, per trovare un ragazzo con una sola scarpa. Quella sarebbe
dovuta essere la risposta al suo problema.”
“Che problema?” chiese Piper.
“Sta cercando uno dei nostri campeggiatori che è scomparso da tre giorni,” disse
Butch. “Sta impazzendo dalla preoccupazione. Sperava che sarebbe stato qui.”
“Chi?” chiese Jason.
“Il suo ragazzo,” disse Butch. “Un ragazzo chiamato Percy Jackson.”
3
PIPER
Dopo una mattinata di spiriti delle tempeste, uomini capra, e fidanzati volanti. Piper
sarebbe dovuta impazzire. Invece, tutto quello che provava era paura.
Sta iniziando, pensò. Proprio come aveva detto il sogno.
Stava nella parte posteriore del carro con Leo e Jason, mentre il ragazzo pelato,
Butch, teneva le redini, e la ragazza bionda, Annabeth, regolava un dispositivo di
navigazione di bronzo. Si sollevarono sopra al Grand Canyon e puntarono verso est,
con un vento gelido che passava dritto dentro il giaccone di Piper. Alle loro spalle si
stavano riunendo altre nuvole da tempesta.
Il carro barcollava e sobbalzava. Non aveva cinture di sicurezza e la parte posteriore
era aperta, così Piper si domandò se Jason l’avrebbe presa di nuovo se fosse caduta.
Quella era stata la parte più inquietante della mattina – non il fatto che Jason
potesse volare, ma che l’avesse tenuta tra le braccia e tuttavia non sapeva chi lei
fosse.
Aveva lavorato su una relazione per tutto il semestre, cercando di far si che Jason la
notasse come qualcosa più di un’amica. Alla fine era riuscita a farsi baciare. Le
ultime settimane erano state le migliori della sua vita. E poi, tre notti fa, il sogno
aveva rovinato tutto – quella voce orribile che le aveva dato delle notizie terribili.
Non ne aveva parlato a nessuno, nemmeno a Jason.
Ora non aveva più nemmeno lui. Era come se qualcuno gli avesse ripulito la
memoria, e lei era bloccata nella peggiore situazione “da rifare” di sempre. Aveva
voglia di urlare. Jason era proprio accanto a lei: quegli occhi azzurri, i biondi capelli
corti, quella piccola cicatrice carina sul labbro superiore. Il suo volto era dolce e
gentile, ma sempre un po’ triste. E stava semplicemente fissando l’orizzonte, senza
nemmeno notarla.
Nel frattempo Leo stava facendo l’irritante, come al solito. “E’ così forte!” Sputò
fuori dalla bocca una piuma di pegaso. “Dove stiamo andando?”
“In un posto sicuro,” disse Annabeth. “L’unico posto sicuro per i ragazzi come noi. Il
Campo Mezzosangue.”
“Mezzosangue?” Piper si mise immediatamente all’erta. Odiava quella parola. Era
stata chiamata mezzosangue troppe volte – metà Cherokee, metà bianca – e non era
mai stato un complimento. “Si tratta di qualche tipo di battuta cattiva?”
“Intende dire che siamo semidei,” disse Jason. “Metà dei, metà mortali.”
Annabeth guardò indietro. “Sembra che sai un sacco di cose Jason. Ma si, semidei.
Mia madre è Atena, la dea della saggezza. Butch qui è il figlio di Iris, la dea degli
arcobaleni.”
Leo sembrò soffocare. “Tua madre è una dea arcobaleno?”
“Hai qualche problema con ciò?” disse Butch.
“No, no,” disse Leo. “Arcobaleni. Molto macho.”
“Butch è il nostro migliore cavallerizzo,” disse Annabeth. “Se la cava benissimo con i
pegasi.”
“Arcobaleni, pony,” borbottò Leo.
“Ti sto per buttare giù dal carro,” avvertì Butch.
“Semidei,” disse Piper. “Vuoi dire che pensi di essere…pensi che noi siamo –“
Ci furono dei lampi. Il carro tremò, e Jason urlò, “La ruota di sinistra è in fiamme!”
Piper indietreggiò. Come aveva detto, la ruota stava bruciando e delle fiamme
bianche stavano lambendo il fianco del carro.
Il vento ruggì. Piper lanciò un’occhiata dietro di loro e vide delle sagome scure che si
formavano nelle nuvole, spiriti delle tempeste che scendevano a spirale verso il
carro – anche se questi sembravano più cavalli che angeli.
Iniziò a dire, “Perché sono –“
“Gli anemoi hanno forme diverse,” disse Annabeth. “A volte sono umani, a volte
stalloni, dipende da quanto sono caotici. Reggetevi. Stiamo per ballare un po’.”
Butch diede un colpo secco alle redini. I pegasi si tuffarono velocemente in avanti, e
il carro divenne indistinto. Piper sentì il cuore arrivarle in gola. La sua vista si fece
nera, e quando tornò normale si trovavano in un posto totalmente diverso.
Un oceano grigio freddo si allargava alla loro sinistra. Sulla destra si stendevano
campi, strade e foreste coperti di neve. Direttamente sotto di loro c’era una vallata
verde, come un’isola di primavera bordata da colline innevate sui tre lati e
dall’acqua a nord. Piper vide un gruppo di edifici simili ad antichi templi greci, una
grande villa blu, arene, un lago e un muro da arrampicata che sembrava essere in
fiamme. Ma prima che potesse davvero afferrare tutto quello che stava vedendo, le
ruote si staccarono, e il carro cadde dal cielo.
Annabeth e Butch cercarono di mantenere il controllo. I pegasi si sforzarono di
mantenere il carro sulla pista di volo, ma sembravano esausti dopo il loro slanciò di
velocità, e reggere il carro con il peso di cinque persone era semplicemente troppo.
“Il lago!” urlò Annabeth. “Punta verso il lago!”
Piper ricordò qualcosa che suo padre le aveva raccontato una volta, sul fatto che
colpire l’acqua da una grande altezza equivaleva a colpire il cemento.
E poi – BOOM.
Lo shock più grande fu il freddo. Si trovava sott’acqua, così disorientata che non
sapeva qual’era l’alto.
Ebbe solo il tempo di pensare: Questo sarebbe un modo davvero stupido di morire.
Poi dei volti apparvero dall’oscurità verde – delle ragazze con lunghi capelli neri e
luccicanti occhi gialli. Le sorrisero, la afferrarono per le spalle e la trascinarono su.
La gettarono sulla riva, boccheggiante e tremante. Vicino a lei c’era Butch, che stava
nel lago impegnato a tagliare le briglie distrutte dei pegasi. Fortunatamente i cavalli
sembravano apposto, ma stavano agitando le loro ali e schizzando acqua ovunque.
Jason, Leo e Annabeth erano già sulla riva, circondati da ragazzi che gli porgevano
coperte e facevano domande. Qualcuno prese Piper per il braccio e la aiutò a
mettersi in piedi. Apparentemente, i ragazzi qui cadevano spesso nel lago, perché un
gruppo addetto di campeggiatori corse verso di loro con degli aggeggi di bronzo
simili a dei grandi spazza foglie e inondarono Piper con un getto di aria calda, e in
circa due secondi i suoi vestiti erano asciutti.
C’erano almeno venti campeggiatori là intorno – il più giovane aveva forse nove
anni, il più anziano aveva l’età da college, diciotto o diciannove anni – e tutti loro
avevano una maglietta arancione come quella di Annabeth. Piper guardò di nuovo
l’acqua e vide quelle strane ragazze sotto la superficie, con i capelli che fluttuavano
nella corrente. Agitarono la mano, della serie ciao-ciao, e scomparvero in
profondità. Un secondo dopo, le macerie del carro vennero lanciate dal lago e
atterrarono vicino con un tonfo bagnato.
“Annabeth!” Un ragazzo con arco e faretra sulla schiena si fece largo tra la folla.
“Avevo detto che potevo prendere in prestito il carro, non distruggerlo!”
“Will, mi dispiace,” sospirò Annabeth. “Lo aggiusterò, te lo prometto.”
Will guardò accigliato il suo carro distrutto. Poi squadrò Piper, Leo e Jason. “Sono
loro? Molto più grandi di tredici anni. Perché non sono stati ancora riconosciuti?”
“Riconosciuti?” chiese Leo.
Prima che Annabeth potesse spiegare, Will disse, “Qualche traccia di Percy?”
“No,” ammise Annabeth.
I campeggiatori mormorarono. Piper non aveva idea di chi fosse questo Percy, ma la
sua scomparsa sembrava essere una cosa grossa.
Un’altra ragazza si fece avanti – alta, asiatica, capelli scuri con i boccoli, un sacco di
gioielli e un trucco perfetto. In qualche modo era riuscita a rendere un paio di jeans
con una maglietta arancione glamour. Lanciò un’occhiata a Leo, poi fissò lo sguardo
su Jason come se lui potesse essere degno della sua attenzione, poi incurvò le labbra
a Piper, come se fosse stata un burrito vecchio di una settimana appena tirato fuori
da cassonetto dei rifiuti. Piper conosceva questo tipo di ragazza. Aveva avuto a che
fare con un sacco di ragazze come lei alla Wilderness School, e in ogni altra stupida
scuola alla quale suo padre l’aveva mandata. Piper seppe all’istante che sarebbero
state nemiche.
“Bè,” disse la ragazza, “Spero che ne sia valsa la pena.”
Leo sbuffò. “Hey grazie. Cosa siamo, i vostri nuovi animaletti?”
“Siamo seri,” disse Jason. “Che ne dite di qualche risposta prima che iniziate a
giudicarci – per esempio, cos’è questo posto, perché siamo qui, per quanto
dobbiamo rimanerci?”
Piper aveva le stesse domande, ma un’ondata di ansia la travolse. Valere la pena. Se
solo sapessero del suo sogno. Non avevano idea…
“Jason,” disse Annabeth, “ti prometto che risponderemo alle tue domande. E, Drew
–“ aggrottò la fronte alla ragazza glamour – “tutti i semidei valgono la pena di essere
salvati. Ma ammetterò che il viaggio non è andato come speravo.”
“Hey,” disse Piper, “non abbiamo chiesto noi di essere portati qui.”
Drew sbuffò. “E nessuno ti vuole, tesoro. I tuoi capelli hanno sempre l’aspetto di un
tasso morto?”
Piper si fece avanti, pronta a picchiarla, ma Annabeth disse, “Piper, fermati.”
Piper lo fece. Non era minimamente spaventata da Drew, ma Annabeth non
sembrava una persona che voleva avere come nemica.
“Dobbiamo far sentire i nostri nuovi arrivati i benvenuti,” disse Annabeth con
un’altra significativa occhiata a Drew. “Daremo a ognuno di loro una guida, per
dargli un tour del campo. Con un po’ di fortuna, entro il fuoco di stasera saranno
riconosciuti.”
“Qualcuno potrebbe dirmi cosa vuol dire essere riconosciuti?” chiese Piper.
Improvvisamente boccheggiarono tutti. I campeggiatori indietreggiarono. All’inizio
Piper pensò di aver fatto qualcosa di sbagliato. Poi si rese conto che i loro volti erano
inondati da una strana luce rossa, come se qualcuno avesse acceso una torcia alle
sue spalle. Si girò, e per poco non si dimenticò come respirare.
Fluttuante sopra la testa di Leo c’era un’immagine olografica fiammeggiante – un
martello ardente.
“Quello,” disse Annabeth, “è essere riconosciuti.”
“Cosa ho fatto?” Leo indietreggiò verso il lago. Poi lanciò uno sguardo in su e gridò.
“Ho i capelli in fiamme?” Si abbassò, ma il simbolo lo seguì, sobbalzando e
abbassandosi, così che sembrava come se stesse cercando di scrivere qualcosa con
le fiamme sulla testa.
“Non può essere una buona cosa,” mormorò Butch. “La maledizione –“
“Butch, zitto,” disse Annabeth. “Leo, sei appena stato riconosciuto –“
“Da un dio,” la interruppe Jason. “Quello è il simbolo di Vulcano, non è vero?”
Tutti gli occhi vennero puntati su di lui.
“Jason,” disse Annabeth con cautela, “come fai a saperlo?”
“Non ne sono sicuro.”
“Vulcano?” chiese Leo. “Star Trek non mi PIACE nemmeno. Di cosa state parlando?”
“Vulcano è il nome romano di Efesto,” disse Annabeth, “il dio dell’ingegneria e del
fuoco.”
Il martello infuocato si dissolse, ma Leo continuò ad agitare le mani in aria come se
temesse che lo stesse ancora seguendo. “Il dio di cosa? Chi?”
Annabeth si girò verso il ragazzo con l’arco. “Will, prenderesti Leo per fargli fare un
giro? Presentalo ai suoi compagni della Cabina Nove.”
“Certo Annabeth.”
“Cos’è la Cabina Nove?” chiese Leo. “E poi io non sono un Vulcano!”
“Andiamo Spock, ti spiegherò tutto.” Will gli mise una mano sulla spalla e lo guidò
verso le cabine.
Annabeth riportò l’attenzione su Jason. Di solito a Piper non piaceva quando le altre
squadravano il suo ragazzo, ma ad Annabeth non sembrava importare il fatto che
fosse di bell’aspetto. Lo studiò più come se fosse una complicata tavola progettuale.
Alla fine disse, “Stendi il braccio.”
Piper vide quello che stava guardando lei, e sgranò gli occhi.
Jason si era tolto la sua giacca a vento a seguito del suo tuffo nel lago, lasciandosi le
braccia scoperte, e sulla parte interna dell’avambraccio destro c’era un tatuaggio.
Come aveva fatto Piper a non accorgersene prima? Aveva guardato le braccia di
Jason un milione di volte. Il tatuaggio non poteva essere semplicemente apparso,
ma era impresso, impossibile da non vedere: una dozzina di linee dritte come un
codice a barre, e sopra quelle un’aquila con le lettere SPQR.
“Non ho mai visto segni del genere,” disse Annabeth. “Dove te li sei fatti?”
Jason scosse la testa. “Mi sto davvero stufando di dirlo, ma non lo so.”
Gli altri campeggiatori spinsero avanti, cercando di dare un’occhiata al tatuaggio di
Jason. I segni sembravano agitargli parecchio – quasi come una dichiarazione di
guerra.
“Sembrano marchiati nella pelle,” notò Annabeth.
“Lo sono,” disse Jason. Poi fece una smorfia, come se gli facesse male la testa.
“Voglio dire… credo che lo siano. Non mi ricordo.”
Nessuno disse una parola. Era chiaro che i campeggiatori vedevano Annabeth come
il capo. Stavano aspettando il suo verdetto.
“Deve andare dritto da Chirone,” decise Annabeth. “Drew, potresti –“
“Assolutamente.” Drew prese Jason a braccetto. “Da questa parte tesoro. Ti
presenterò al nostro direttore. Lui è… un tipo interessante.” Lanciò a Piper uno
sguardo soddisfatto e guidò Jason verso la grande villa blu sulla collina.
La folla cominciò a disperdersi, finché non rimasero solo Annabeth e Piper.
“Chi è Chirone?” chiese Piper. “Jason è in qualche tipo di guaio?”
Annabeth esitò. “Bella domanda Piper. Vieni, ti farò fare un giro. Dobbiamo parlare.”
4
PIPER
Piper capì presto che il cuore di Annabeth era da un’altra parte.
Parlava di tutte le fantastiche cose che il campo offriva – tiro con l’arco magico,
cavalcare pegasi, il muro di lava, combattere i mostri – ma non mostrava emozione,
come se la sua mente fosse da un’altra parte. Indicò il padiglione all’aperto della
cena che si affacciava su Long Island Sound. (Si, Long Island, New York; avevano
viaggiato così tanto con il carro.) Annabeth le spiegò come il Campo Mezzosangue
fosse principalmente un campo estivo, ma che alcuni ragazzi restavano lì tutto
l’anno, e avevano aggiunto così tanti campeggiatori che ora era sempre affollato,
persino in inverno.
Piper si chiese chi gestisse il campo, e come avevano fatto a sapere che lei e i suoi
amici appartenevano a quel posto. Si chiese se avrebbe dovuto rimanere a tempo
pieno, o se sarebbe stata brava in qualcuna delle attività. Si poteva essere bocciati al
combattimento di mostri? Nella sua testa c’erano un milione di domande, ma dato
l’umore di Annabeth decise di rimanere in silenzio.
Mentre salivano su una collina che costeggiava il campo, Piper si girò ed ebbe una
vista spettacolare della vallata – una grande distesa di bosco sul lato nordovest, una
bellissima spiaggia, l’insenatura, il lago delle canoe, verdi campi rigogliosi e l’intera
disposizione delle cabine – uno strano assortimento di edifici messi a formare una
omega greca, Ω, con un anello di cabine intorno a un giardino centrale, e due ali
inserite nelle due estremità di fondo. Piper contò venti cabine in tutto. Una brillava
d’oro, un’altra d’argento. Una aveva dell’erba sul tetto. Un’altra era rosso acceso
con del filo spinato. Una cabina era nera con delle torce di ardente fuoco verde sulla
parte anteriore.
Tutto quello sembrava come un mondo diverso dalle colline e i campi innevati di
fuori.
“La vallata è protetta dagli occhi dei mortali,” disse Annabeth. “Come puoi vedere,
anche il tempo meteorologico è manipolato. Ogni cabina rappresenta una divinità
greca – un luogo dove i figli di quella divinità possono vivere.”
Guardò Piper come se stesse cercando di capire come stesse prendendo quelle
novità.
“Stai dicendo che mia madre era una dea.”
Annabeth annuì. “La stai prendendo tremendamente bene.”
Piper non poteva spiegarle il motivo. Non poteva ammettere che ciò non faceva
altro che confermare alcune strane sensazioni che aveva avuto per anni, discussioni
che aveva avuto con suo padre sul perché non ci fossero foto della madre in casa, e
sul perché suo padre non le aveva mai detto esattamente come o perché sua madre
gli avesse lasciati. Ma più che altro era stato il sogno ad avvertirla di quello che stava
per accadere. Presto ti troveranno, semidio, aveva rombato la voce. Quando lo
faranno, segui le nostre indicazioni. Collabora, e tuo padre potrebbe sopravvivere.
Piper fece un debole respiro. “Credo che dopo questa mattina, credere è un po’ più
facile. Allora chi è mia madre?”
“Dovremmo saperlo presto,” disse Annabeth. “Hai, quanto – quindici anni? Gli dei
dovrebbero riconoscerti a tredici. Era quello il patto.”
“Il patto?”
“Hanno fatto una promessa la scorsa estate…bè, lunga storia… ma hanno promesso
di non ignorare più i loro figli semidei, di riconoscergli entro i loro tredici anni. A
volte ci vuole un po’ di più, ma hai visto quanto velocemente è stato riconosciuto
Leo una volta arrivato qui. Per te dovrebbe accadere presto. Stasera al falò,
scommetto che avremo un segno.”
Piper si chiese se avrebbe avuto un grande martello in fiamme sulla testa, o, con la
sua fortuna, qualcosa di ancora più imbarazzante. Un vombato in fiamme, magari.
Chiunque fosse sua madre, Piper non aveva motivo di credere che sarebbe stata
orgogliosa di riconoscere una figlia cleptomane con grossi problemi. “Perché
tredici?”
“Più grandi diventi,” disse Annabeth, “più mostri si accorgono di te, provano ad
ucciderti. Di solito è intorno ai tredici anni che comincia. Ecco perché mandiamo i
protettori nelle scuole per trovarvi, portarvi al campo prima che sia troppo tardi.”
“Come Coach Hedge?”
Annabeth annuì. “E’ – era un satiro: metà uomo, metà capra. I satiri lavorano per il
campo, trovano i semidei, li proteggono, li portano qui quando è il momento
giusto.”
Piper non aveva problemi a credere che Coach Hedge fosse metà capra. Lo aveva
visto mangiare. L’allenatore non le era mai piaciuto molto, ma non riusciva a credere
che avesse sacrificato se stesso per salvargli.
“Cosa gli è accaduto?” chiese. “Quando siamo saliti tra le nuvole, lui è… è andato
via?”
“Difficile da dire.” L’espressione di Annabeth era addolorata. “Spiriti delle
tempeste… ardui da combattere. Persino le nostre armi migliori, fatte con Bronzo
Celeste, gli attraversano soltanto a meno che tu non li colga di sorpresa.”
“La spada di Jason gli ha ridotti in polvere,” ricordò Piper.
“Allora è stato fortunato. Se colpisci bene un mostro, puoi dissolverlo, mandare la
sua essenza nel Tartaro.”
“Tartaro?”
“Un enorme abisso nell’Oltretomba, da dove vengono i mostri peggiori. Una sorta di
fossa di male senza fondo. Comunque, una volta che i mostri si dissolvono, di solito
ci vogliono mesi, persino anni prima che possano riformarsi di nuovo. Ma visto che
questo spirito delle tempeste Dylan è scappato – bè, non so perché dovrebbe
lasciare Coach Hedge in vita. Hedge era un protettore però. Conosceva i rischi. I
satiri non hanno delle anime mortali. Si reincarnerà in un albero o un fiore o
qualcosa del genere.”
Piper cercò di immaginare Coach Hedge come un mazzo di violette molto
arrabbiate. Ciò la fece sentire ancora peggio.
Guardò le cabine sotto di lei, e una sensazione sgradevole s’impossessò di lei. Hedge
era morto per far si che lei arrivasse qui sana e salva. La cabina di sua madre era là
sotto da qualche parte, il che voleva dire che lei aveva fratelli e sorelle, altre persone
che avrebbe dovuto tradire. Fai quello che ti diciamo, aveva detto la voce. O le
conseguenze saranno dolorose. Infilò le mani sotto le braccia, cercando di farle
smettere di tremare.
“Andrà tutto bene,” le assicurò Annabeth. “Qui hai degli amici. Siamo tutti passati
per un sacco di cose strane. Sappiamo quello che stai passando.”
Ne dubito, pensò Piper.
“Sono stata espulsa da cinque diverse scuole negli ultimi cinque anni,” disse. “Mio
padre sta cominciando a essere a corto di posti dove mettermi.”
“Solo cinque?” Non sembrava che Annabeth la stesse prendendo in giro. “Piper,
siamo stati tutti etichettati come combina guai. Io sono scappata di casa quando
avevo sette anni.”
“Davvero?”
“Oh si. La maggior parte di noi soffre di deficit dell’attenzione o di dislessia, o di
entrambi –“
“Leo soffre di deficit dell’attenzione,” disse Piper.
“Esatto. E’ perché siamo programmati per la battaglia. Irrequieti, impulsivi – non
siamo come i ragazzi normali. Dovresti vedere quanti guai Percy –“ Il suo volto si
oscurò. “Ad ogni modo, i semidei hanno una cattiva reputazione. Tu come sei finita
nei guai?”
Di solito quando qualcuno le faceva quella domanda, Piper iniziava a litigare, o
cambiava argomento, o causava qualche tipo di distrazione. Ma per qualche ragione
si ritrovò a dire la verità.
“Rubo cose,” disse. “Bè, non rubo proprio…”
“La tua famiglia è povera?”
Piper rise amaramente. “Per niente. L’ho fatto… non so perché. Per le attenzioni,
suppongo. Mio padre non aveva mai tempo per me a meno che non finivo nei guai.”
Annabeth annuì. “Ti capisco. Ma hai detto che non rubi davvero? Che vuoi dire?”
“Bè… non mi crede mai nessuno. La polizia, i professori – persino le persone alle
quali prendo le cose: sono così imbarazzate che negano quello che è successo. Ma la
verità è che non rubo nulla. Mi limito a chiedere alle persone le cose. E loro me le
danno. Persino una BMW decappottabile. Io ho solo chiesto. E il negoziante ha
detto, “Certo. Prendila.” Più tardi, credo, si è accorto di quello che aveva fatto. Poi è
arrivata la polizia.”
Piper aspettò. Era abituata alle persone che la chiamavano bugiarda, ma quando
alzò lo sguardo, Annabeth si limitò ad annuire.
“Interessante. Se il dio fosse stato tuo padre, avrei detto che sei figlia di Hermes, il
dio dei ladri. Sa essere piuttosto convincente. Ma tuo padre è mortale…”
“Molto,” concordò Piper.
Annabeth scosse la testa, apparentemente confusa. “Allora non lo so. Con un po’ di
fortuna, tua madre ti riconoscerà questa sera.”
Piper sperava quasi che non accadesse. Se sua madre era una dea, avrebbe saputo
di quel sogno? Avrebbe saputo di quello che le era stato chiesto di fare? Piper si
chiese se gli dei dell’Olimpo colpissero i loro figli con le saette quando facevano i
cattivi, o se gli mettessero in punizione nell’Oltretomba.
Annabeth la stava studiando. Piper decise che avrebbe dovuto stare attenta a quello
che diceva d’ora in avanti. Annabeth era ovviamente molto intelligente. Se c’era
qualcuno che poteva scoprire il segreto di Piper…
“Andiamo,” disse Annabeth alla fine. “C’è un’altra cosa che devo controllare.”
Salirono ancora finchè non raggiunsero una grotta vicino alla cima della collina. Il
terreno era coperto da ossa e vecchie spade. L’entrata era affiancata da delle torce
ed era coperta da una tenda di velluto con dei serpenti ricamati. Assomigliava al set
di un qualche strambo tipo di spettacolo di marionette.
“Che c’è la dentro?” chiese Piper.
Annabeth infilò la testa dentro, poi sospirò e chiuse le tende. “Niente al momento.
La casa di un’amica. La sto aspettando da qualche giorno, ma, per ora, ancora nulla.”
“La tua amica vive in una grotta?”
Annabeth fece quasi un sorriso. “In realtà, la sua famiglia ha un condominio di lusso
nel Queens, e frequenta una scuola di buone maniere nel Connecticut. Ma quando è
qui al campo, si, vive nella grotta. Lei è il nostro Oracolo, prevede il futuro. Stavo
sperando che potesse aiutarmi -“
“A trovare Percy,” indovinò Piper.
Tutta l’energia abbandonò il corpo di Annabeth, come se l’avesse trattenuta più che
poteva. Si sedette su una roccia, e la sua espressione era così carica di dolore che
Piper si sentì come una ficcanaso.
Cercò di distogliere lo sguardo. I suoi occhi passarono sulla cima della collina, dove
un pino solitario dominava l’orizzonte. Sul ramo più basso luccicava qualcosa – come
un arruffato tappetino da bagno dorato.
No… non un tappetino per il bagno. Era un vello di pecora.
Okay, pensò Piper. Campo greco. Hanno una replica del Vello d’Oro.
Poi si accorse della base dell’albero. All’inizio pensò che fosse avvolto da una pila di
enormi funi viola. Ma le funi avevano delle squame da rettile, zampe artigliate e una
testa simile a quella di un serpente con occhi gialli e narici fumanti.
“Quello è – un drago,” farfugliò. “Quello è il vero Vello d’Oro?”
Annabeth annuì, ma era evidente che non stava davvero ascoltando. Le spalle le si
incurvarono. Si strofinò il volto e fece un respiro tremante. “Scusa. Un po’ stanca.”
“Sembri pronta a crollare,” disse Piper. “Da quanto tempo sei in cerca del tuo
ragazzo?”
“Tre giorni, sei ore e dodici minuti circa.”
“E non hai idea di quello che gli è successo?”
Annabeth scosse miserabilmente la testa. “Eravamo così emozionati perché
entrambi avevamo cominciato le vacanze invernali presto. Ci siamo incontrati al
campo martedì, pensando che avevamo tre settimane da passare insieme. Sarebbe
stato fantastico. Poi dopo il falò, lui – lui mi ha dato il bacio della buonanotte, è
tornato alla sua cabina, e la mattina dopo era andato. Abbiamo cercato per tutto il
campo. Abbiamo chiamato sua madre. Abbiamo cercato di contattarlo in tutti i
modi possibili. Nulla. E’ semplicemente scomparso.”
Piper stava pensando: Tre giorni fa. La stessa notte che aveva avuto il suo sogno.
“Da quanto tempo state insieme?”
“Da Agosto,” disse Annabeth. “Il diciotto di Agosto.”
“Quasi lo stesso identico giorno di quando ho incontrato Jason, “ disse Piper. “Ma
noi stiamo insieme solo da poche settimane.”
Annabeth trasalì. “Piper… riguardo quello. Forse dovresti sederti.”
Piper sapeva cosa stava per dire. Il panico cominciò a montarle dentro, come se i
suoi polmoni si stessero riempiendo d’acqua. “Senti, so che Jason pensa – pensa che
sia semplicemente apparso nella nostra scuola oggi. Ma non è vero. Lo conosco da
quattro mesi.”
“Piper,” disse Annabeth tristemente. “E’ la Foschia.”
“Fobia…di che?”
“F-o-s-c-h-i-a. E’una sorta di velo che separa il mondo mortale dal mondo magico. Le
menti mortali – non sono in grado di elaborare cose strane come gli dei e i mostri,
quindi la Foschia modifica la realtà. Fa vedere ai mortali le cose in modo che
possano capirle – per esempio i loro occhi potrebbero semplicemente saltare del
tutto questa vallata, o potrebbero guardare quel drago e vedere una pila di funi.”
Piper inghiottì. “No. Hai detto tu stessa che non sono una mortale normale. Sono un
semidio.”
“Persino i semidei possono esserne affetti. L’ho visto accadere un sacco di volte. I
mostri si infiltrano in luoghi come le scuole, si fanno passare per umani e tutti
pensano di ricordarsi di quella persona. Credono che sia sempre stata lì. La Foschia
può modificare i ricordi, può persino creare ricordi di cose che non sono mai
accadute –“
“Ma Jason non è un mostro!” insistette Piper. “E’ un umano, o semidio, o comunque
tu lo voglia chiamare. I miei ricordi non sono falsi. Sono così veri. La volta in cui
abbiamo dato fuoco ai pantaloni del Coach Hedge. La volta nella quale io e Jason
abbiamo guardato una pioggia di meteore sul tetto del dormitorio e sono finalmente
riuscita a farmi baciare da quello stupido ragazzo…”
Si ritrovò a parlare in maniera sconnessa, raccontando ad Annabeth del suo intero
semestre alla Wilderness School. Jason gli era piaciuto dalla prima settimana in cui si
erano incontrati. Lui era così carino con lei, e così paziente che riusciva persino a
mettere in riga l’iperattività di Leo e i suoi stupidi scherzi. L’aveva accettata per
quello che era e non l’aveva giudicata per le stupide cose che aveva fatto. Avevano
passato ore a chiacchierare, a guardare le stelle, e alla fine – finalmente – a tenersi
per mano. Tutto quello non poteva essere falso.
Annabeth si morse le labbra. “Piper, i tuoi ricordi sono molto più chiari di quelli della
maggior parte. Non lo nego, e non so perché è così. Ma se lo conosci così bene –“
“Certo!”
“Allora da dov’è che viene?”
Piper si sentì come se l’avessero colpita tra gli occhi. “Deve avermelo detto, ma –“
“Ti eri mai accorta del suo tatuaggio prima di oggi? Ti ha mai raccontato nulla su i
suoi genitori, o i suoi amici, o la sua ultima scuola?”
“Non – non lo so, ma –“
“Piper, qual è il suo cognome?”
La sua mente si svuotò. Non sapeva il cognome di Jason. Come poteva essere?
Cominciò a piangere. Si sentiva come una sciocca totale, ma si sedette sulla roccia
vicino ad Annabeth e si lasciò semplicemente andare. Era troppo. Tutto quello che
era buono nella sua stupida, miserabile vita doveva esserle portato via?
Si, le aveva detto il sogno. Si, a meno che non fai esattamente quello che ti diciamo.
“Hey,” disse Annabeth. “Risolveremo tutto. Jason è qui ora. Chi sa? Forse tra voi
funzionerà davvero.”
Non molto probabile, pensò Piper. Non se il sogno le aveva detto la verità. Ma non
poteva dirlo.
Si asciugò una lacrima dalla guancia. “Mi hai portato qua su così nessuno mi avrebbe
visto frignare, huh?”
Annabeth sollevò le spalle. “Ho immaginato che sarebbe stata dura per te. So cosa
vuol dire perdere il tuo ragazzo.”
“Ma non riesco a credere… so che avevamo qualcosa. E ora è semplicemente
andata, lui non mi riconosce nemmeno. Se è davvero apparso solo oggi, allora
perché? Come ci è arrivato? Perché non ricorda nulla?”
“Buone domande,” disse Annabeth. “Con un po’ di fortuna Chirone può capire
perché. Ma, per ora, dobbiamo prepararti. Pronta per scendere?”
Piper guardò il pazzo assortimento di cabine nella vallata. La sua nuova casa, una
famiglia che teoricamente l’avrebbe capita – ma presto sarebbero stati solo un altro
gruppo di persone che avrebbe deluso, solo un altro posto dal quale sarebbe stata
buttata fuori. Gli tradirai per noi, aveva avvertito la voce. O perderai tutto.
Non aveva scelta.
“Si,” mentì. “Sono pronta.”
Nel campo centrale, un gruppo di campeggiatori stava giocando a basketball.
Facevano dei lanci incredibili. Nulla sfiorava il bordo del canestro. Fecero tre punti
automatici.
“La cabina di Apollo,” spiegò Annabeth. “Un sacco di vanitosi con armi a missile –
frecce, palle da basket.”
Camminarono oltre a un falò centrale, dove due ragazzi stavano combattendo con
delle spade.
“Lame vere?” notò Piper. “Non è pericoloso?”
“E’ quello il punto,” disse Annabeth. “Uh, scusa. Brutto gioco di parole. Laggiù c’è la
mia cabina. Numero Sei.” Annuì verso un edificio grigio con un gufo scolpito sopra la
porta. Dall’entrata aperta, Piper poteva vedere librerie, vetrinette con armi e una di
quelle lavagne SMART computerizzate che ci sono nella classi. Due ragazze stavano
disegnando una mappa che sembrava un diagramma di battaglia.
“Parlando di lame,” disse Annabeth, “vieni qui.”
Guidò Piper intorno al fianco della cabina verso un grande capannone di metallo che
sembrava essere destinato agli attrezzi da giardino. Annabeth aprì la porta, e al suo
interno non c’erano attrezzi da giardino, a meno che uno non volesse dichiarare
guerra alle piante di pomodoro. Il capanno era pieno di qualsiasi genere di armi –
dalle spade alle lance alle clave come quella del Coach Hedge.
“Ogni semidio ha bisogno di un’arma,” disse Annabeth. “Efesto fa le migliori, ma
anche noi ne abbiamo una selezione piuttosto buona. Atena è basata tutta sulla
strategia – combinare la giusta arma alla giusta persona. Vediamo…”
Piper non era molto dell’umore per fare acquisti di oggetti mortali, ma sapeva che
Annabeth stava cercando di fare qualcosa di carino per lei.
Annabeth le passò una spada enorme, che Piper riusciva a malapena a sollevare.
“No,” dissero entrambe all’unisono.
Annabeth rovistò addentrandosi un po’ di più nel capanno e tirò fuori qualcos’altro.
“Un fucile?” chiese Piper.
“Un Mossberg 500.” Controllò la pompa di azione come se non fosse nulla di che.
“Non ti preoccupare. Non ferisce gli umani. E’ stato modificato per sparare Bronzo
Celeste, quindi uccide solo i mostri.”
“Um, non credo che sia nel mio stile,” disse Piper.
“Mmm, si,” concordò Annabeth. “Troppo vistoso.”
Mise a posto il fucile e cominciò a frugare in una scatola di archi quando qualcosa
nell’angolo del capanno attirò l’attenzione di Piper.
“Cos’è quello?” disse. “Un pugnale?”
Annabeth lo prese e soffiò via la polvere dalla guaina. Sembrava come se non avesse
visto la luce del giorno da secoli.
“Non lo so Piper.” Annabeth sembrava a disagio. “Non credo che tu voglia questo. Le
spade di solito sono meglio.”
“Tu usi un pugnale.” Piper indicò quello che aveva legato alla cintura.
“Si, ma…” Annabeth sollevò le spalle. “Bè, se vuoi dagli un’occhiata.”
Il fodero era di pelle nera consumata, fasciata dal bronzo. Niente di elegante, niente
di appariscente. L’elsa di legno lucido si adattava perfettamente alla mano di Piper.
Quando lo sguainò, trovò una lama triangolare lunga quarantacinque centimetri –
un bronzo splendente come se fosse stato lucidato ieri. I bordi erano mortalmente
affilati. Il suo riflesso nella lama la colse di sorpresa. Sembrava più adulta, più seria,
non così spaventata come si sentiva.
“Ti sta bene,” ammise Annabeth. “Quel tipo di lama è chiamata pugnale parazonio.
Era soprattutto cerimoniale, portato dagli alti ufficiali degli eserciti greci. Indicava
che eri una persona ricca e potente, ma in una lotta di poteva proteggere senza
problemi.”
“Mi piace,” disse Piper. “Perché pensavi che non andasse bene?”
Annabeth espirò. “Quella lama ha una lunga storia. La maggior parte delle persone
avrebbe paura di prenderla. La sua prima proprietaria…bè, le cose non le andarono
molto bene. Il suo nome era Elena.”
Piper lasciò che l’informazione sedimentasse. “Aspetta, intendi quell’Elena? Elena di
Troia?”
Annabeth annuì.
All’improvviso sentì di dover maneggiare il pugnale con i guanti da chirurgo. “E se ne
sta semplicemente qui, nel vostro capanno degli attrezzi?”
“Siamo circondati da oggetti dell’Antica Grecia,” disse Annabeth. “Questo non è un
museo. Armi come quella – sono pensate per essere usate. Sono la nostra eredità di
semidei. Quello era un regalo di nozze da Menelao, il primo marito di Elena. Lei
chiamò il pugnale Katoptris.”
“Che significa?”
“Specchio,” disse Annabeth. “Vetro che riflette. Forse perché quella era l’unica cosa
per la quale Elena lo usava. Non credo che abbia mai visto un campo di battaglia.”
Piper guardò di nuovo l’arma. Per un attimo, la sua stessa immagine la fissò di
rimando, ma poi il riflesso cambiò. Vide delle fiamme, e un volto grottesco come di
qualcosa intagliato nella roccia fresca. Sentì la stessa risata del suo sogno. Vide suo
padre in catene, legato a un palo davanti a un falò ardente.
Lasciò cadere il pugnale.
“Piper?” Annabeth chiamò urlando i ragazzi di Apollo nel piazzale, “Medico! Ho
bisogno di aiuto quaggiù!”
“No, va – va tutto bene,” riuscì a dire Piper.
“Sicura?”
“Si. Ho solo…” Doveva controllarsi. Con le dita tremanti prese il pugnale. “Sono solo
stata sopraffatta. Oggi stanno succedendo così tante cose. Ma… voglio tenere il
pugnale, se va bene.”
Annabeth esitò. Poi fece segno ai ragazzi di Apollo di andare via. “Okay, se sei sicura.
Sei diventata davvero pallida. Pensavo che stessi avendo una crisi o qualcosa del
genere.”
“Sto bene,” le assicurò Piper, anche se il suo cuore continuava a galoppare.
“C’è…um, un telefono al campo? Posso chiamare mio padre?”
Gli occhi grigi di Annabeth intimidivano quasi quanto la lama del pugnale. Sembrava
che stesse calcolando un milione di possibilità, cercando di leggere i pensieri di
Piper.
“Non ci sono permessi i telefoni,” disse. “Per la maggior parte dei semidei, se usano
un cellulare, è come mandare un segnale, facendo sapere ai mostri dove ti trovi.
Ma… io ne ho uno.” Lo tirò fuori dalla tasca. “Un po’ contro le regole, ma se può
essere il nostro segreto…”
Piper lo prese riconoscente, cercando di non far tremare le mani. Si allontanò da
Annabeth e si girò verso l’area comune.
Chiamò sulla linea privata di suo padre, anche se sapeva quello che sarebbe
successo. Segreteria telefonica. Ci stava provando da tre giorni, dalla notte del
sogno. La Wilderness School permetteva le chiamate solo una volta al giorno, ma lei
aveva chiamato ogni sera, e non aveva ricevuto nessuna risposta.
Con riluttanza, digitò l’altro numero. L’assistente personale di suo padre ripose
immediatamente. “Ufficio del Signor McLean.”
“Jane,” disse Piper stringendo i denti. “Dov’è mio padre?”
Jane rimase per un attimo in silenzio, chiedendosi probabilmente se potesse uscirne
riattaccando. “Piper, pensavo che non ti fosse permesso chiamare da scuola.”
“Forse non sono a scuola,” disse Piper. “Forse sono scappata per vivere con le
creature dei boschi.”
“Mmm.” Jane non sembrava preoccupata. “Bè, gli dirò che hai chiamato.”
“Dov’è?”
“Fuori.”
“Non lo sai, non è vero?” Piper abbassò la voce, sperando che Annabeth fosse
troppo gentile per origliare. “Quando hai intenzione di chiamare la polizia Jane?
Potrebbe essere nei guai.”
“Piper non trasformeremo tutto questo in un circo da televisione. Sono sicura che
sta bene. Si prende delle pause di tanto in tanto. Torna sempre.”
“Quindi è vero. Non sai – “
“Devo andare Piper,” tagliò corto Jane. “Divertiti a scuola.”
La linea si spense. Piper imprecò. Tornò da Annnabeth e le porse il cellulare.
“Niente fortuna?” chiese Annabeth.
Piper non rispose. Non credeva di essere in grado di non ricominciare a piangere.
Annabeth lanciò un’occhiata al display del cellulare ed esitò. “Il suo cognome è
McLean?Scusa, non sono affari miei. Ma suona davvero familiare.”
“Cognome comune.”
“Si, suppongo di si. Che lavoro fa tuo padre?”
“E’ laureato in belle arti,” disse Piper automaticamente. “E’ un artista Cherokee.”
La sua risposta standard. Non una bugia, solo non la completa verità. La maggior
parte delle persone, quando sentivano quella risposta, pensava che suo padre
vendesse souvenir indiani ad una bancarella in una riserva. Tori con la testa che
oscilla, collane fatte di pietre, poster di Toro Seduto – quel genere di cose.
“Oh.” Annabeth non sembrava convinta, ma mise via il telefono. “Ti senti bene?
Vuoi continuare?”
Piper legò il suo nuovo pugnale alla cintura e si ripromise che più tardi, quando fosse
stata da sola, avrebbe cercato di capire come funzionava. “Certo,” disse. “Voglio
vedere tutto.”
Tutte le cabine erano belle, ma nessuna di loro colpì Piper come sua. Nessun
simbolo ardente – niente vombati o cose del genere – le apparve sulla testa.
La Cabina Otto era completamente d’argento e brillava come la luna.
“Artemide?” indovinò Piper.
“Conosci la mitologia greca,” disse Annabeth.
“Ho fatto qualche lettura quando mio padre stava lavorando a un progetto lo scorso
anno.”
“Pensavo che si occupasse di arte Cherokee.”
Trattene un’imprecazione. “Oh, giusto. Ma – sai, fa anche altre cose.”
Pensava di aver rivelato tutto: McLean, mitologia greca. Fortunatamente Annabeth
sembrò non fare il collegamento.
“Ad ogni modo,” continuò Annabeth, “Artemide è la dea della luna, dea della caccia.
Ma nessun campeggiatore. Artemide è una vergine eterna, quindi non ha figli.”
“Oh.” Piper ci rimase un po’ male. Le erano sempre piaciute le storie di Artemide, e
pensava che sarebbe stata una madre forte.
“Bè, ci sono le Cacciatrici di Artemide,” si corresse Annabeth. “Ogni tanto fanno
visita. Non sono figlie di Artemide, ma sono le sue ancelle – un gruppo di adolescenti
immortali che si avventurano insieme e danno la caccia ai mostri.”
Piper sollevò la testa. “Sembra forte. Ricevono l’immortalità?”
“A meno che non muoiano in combattimento, o se rompono il loro giuramento. Ho
detto che devono rifiutare i ragazzi? Nessun appuntamento – mai. Per l’eternità.”
“Oh,” disse Piper. “Non fa niente.”
Annabeth rise. Per un attimo, sembrò quasi felice, e Piper pensò che sarebbe stata
una buona amica con la quale uscire in tempi migliori.
Lascia perdere, ricordò a se stessa. Non ti farai nessun amico qui. Non quando lo
scopriranno.
Superarono le cabine successive, la numero Dieci, che era decorata come la casa di
una Barbie con tende di pizzo, una porta rosa, e vasi di garofani alle finestre.
Passarono davanti alla porta, e l’odore del profumo la fece quasi soffocare.
“Cielo, è qui che le supermodel vengono a morire?”
Annabeth fece un sorriso furbo. “La cabina di Afrodite. Dea dell’amore. Drew è il
consigliere anziano.”
“Immagino,” borbottò Piper.
“Non sono tutte male,” disse Annabeth. “L’ultimo consigliere anziano che abbiamo
avuto era fantastico.”
“Cosa le è accaduto?”
Il volto di Annabeth si fece scuro. “Dovremmo continuare.”
Guardarono le altre cabine, ma non fece altro che deprimersi di più. Si chiese se
potesse essere la figlia di Demetra, la dea dell’agricoltura. Piper tuttavia aveva
ucciso tutte le piante che aveva mai toccato. Atena era forte. O magari Ecate, la dea
della magia. Ma non importava davvero. Persino qui, dove tutti avrebbero dovuto
trovare un genitore perduto, sapeva che sarebbe comunque finita come la figlia
indesiderata. Non era molto eccitata all’idea del falò di quella sera.
“Abbiamo iniziato con i dodici dei dell’Olimpo,” spiegò Annabeth. “Gli dei sulla
sinistra, le dee sulla destra. Poi l’anno scorso abbiamo aggiunto un intero gruppo di
cabine nuove per gli altri dei che non avevano i troni sull’Olimpo – Ecate, Ade, Iris – “
“Quali sono le due grandi alla fine?” chiese Piper.
Annabeth si accigliò. “Zeus ed Era. Re e regina degli dei.”
Piper andò avanti, e Annabeth la seguì, tuttavia non sembrava molto emozionata. La
cabina di Zeus le ricordava una banca. Era di marmo bianco con grandi colonne sul
davanti e porte di bronzo lucido decorate con saette.
La cabina di Era era più piccola ma con lo stesso stile, tranne per le porte dove erano
intagliati dei motivi di piume di pavone, che brillavano di diversi colori.
A differenza delle altre cabine, che erano tutte rumorose, aperte e piene di attività,
le cabine di Zeus e di Era apparivano chiuse e silenziose.
“Sono vuote?” chiese Piper.
Annabeth annuì. “E’ da molto tempo che Zeus non ha figli. Bè, perlopiù. Zeus,
Poseidone e Ade, i fratelli più anziani tra gli dei – vengono chiamati i Tre Pezzi
Grossi. I loro figli sono davvero potenti, davvero pericolosi. Per gli ultimi settant’anni
o giù di li, hanno provato a evitare di avere dei figli semidei.”
“Provato a evitare?”
“A volte hanno… um, imbrogliato. Ho un’amica, Talia Grace, che è la figlia di Zeus.
Ma ha rinunciato alla vita del campo ed è diventata una Cacciatrice di Artemide. Il
mio ragazzo, Percy, lui è figlio di Poseidone. E c’è un ragazzo che si fa vedere qualche
volta, Nico – figlio di Ade. A parte loro, non ci sono figli semidei dei Tre Pezzi Grossi.
Almeno non per quello che sappiamo noi.”
“Ed Era?” Piper guardò le porte decorate con le piume di pavone. La cabina la
turbava, anche se non sapeva perché.
“Dea del matrimonio.” Il tono di Annabeth era controllato, come se stesse cercando
di evitare di imprecare. “Non fa figli con nessuno a parte Zeus. Quindi, si, nessun
semidio. La cabina è solo onoraria.”
“Non ti piace,” notò Piper.
“Abbiamo una lunga storia,” ammise Annabeth. “Pensavo che avessimo fatto pace,
ma quando Percy è scomparso… ho ricevuto questa strana visione-sogno da lei.”
“Che ti diceva di venirci a prendere,” disse Piper. “Ma pensavi che Percy sarebbe
stato lì.”
“Probabilmente è meglio che non ne parli,” disse Annabeth. “Al momento non ho
nulla di carino da dire su Era.”
Piper guardò in basso alla base della porta. “Allora chi ci va là dentro?”
“Nessuno. Come ho detto, la cabina è solo onoraria. Non ci entra nessuno.”
“Qualcuno si.” Piper indicò un’impronta di scarpa sulla soglia polverosa.
Istintivamente, spinse le porte e queste si aprirono facilmente.
Annabeth fece un passo indietro. “Um, Piper, non credo che dovremmo –“
“Noi dobbiamo fare cose pericolose, giusto?” E Piper entrò dentro.
La cabina di Era non era un posto nel quale Piper avrebbe voluto vivere. Era fredda
come un freezer, con un cerchio di colonne bianche intorno ad una statua centrale
della dea, alta tre metri, seduta su un trono con fluenti vesti dorate. Piper aveva
sempre pensato alle statue greche come bianche, con occhi altrettanto bianchi e
assenti, ma questa era dipinta con colori accesi così da sembrare quasi umana – a
parte per il fatto che era enorme. Gli occhi penetranti di Era sembravano seguirla.
Ai piedi della dea c’era un fuoco che bruciava in un braciere di bronzo. Piper si
chiese chi se ne occupava se la cabina era sempre vuota. Un falco di pietra era
appollaiato sulla spalla di Era, e nella sua mano aveva un’asta con all’estremità un
fiore di loto. I capelli della dea erano acconciati in trecce nere. Sorrideva, ma i suoi
occhi erano freddi e calcolatori, come se stesse dicendo: Le madri sanno cosa è
meglio. Ora non contraddirmi o dovrò schiacciarti.
Nella cabina non c’era nient’altro – niente letti, niente mobili, niente bagno, nessuna
finestra, niente che si potesse usare per vivere. Per una dea della casa e del
matrimonio, la cabina di Era ricordava a Piper un sepolcro.
No, questa non era su madre. Almeno Piper era certa di ciò. Non era entrata perché
sentiva una buona connessione, ma perché lì il suo senso di paura era più forte. Il
suo sogno – quell’orribile ultimatum che le era stato dato – aveva qualcosa a che
fare con quella cabina.
Gelò. Non erano sole. Dietro la statua, a un piccolo altare nella parte posteriore,
c’era una figura avvolta in uno scialle nero. Erano visibili solo le sue mani, che
avevano i palmi verso l’alto. Sembrava che stesse intonando qualcosa di simile a un
incantesimo o a una preghiera.
Annabeth boccheggiò. “Rachel?”
L’altra ragazza si voltò. Lasciò cadere lo scialle, rivelando una criniera di ricci capelli
rossi e un volto con le lentiggini che non si abbinava per niente alla serietà della
cabina o allo scialle nero. Sembrava avere più o meno diciassette anni, una ragazza
assolutamente normale con una camicetta verde e dei jeans consumati coperti da
disegni di pennarello. Malgrado il pavimento freddo, era a piedi scalzi.”
“Hey!” Corse ad abbracciare Annabeth. “Mi dispiace così tanto! Sono venuta prima
che ho potuto.”
Parlarono per qualche minuto del ragazzo di Annabeth e di come non ci fossero
novità, eccetera, finchè finalmente Annabeth si ricordò di Piper, che stava lì a
disagio.
“Sono una maleducata,” si scusò Annabeth. “Rachel, lei è Piper, uno dei
mezzosangue che abbiamo salvato oggi. Piper, lei è Rachel Elizabeth Dare, il nostro
Oracolo.”
“L’amica che vive nella grotta,” indovinò Piper.
Rachel fece un grande sorriso. “Sono io.”
“Quindi sei un Oracolo?” chiese Piper. “Puoi prevedere il futuro?”
“Diciamo che è più come se il futuro viene da me ogni tanto,” disse Rachel. “Recito
profezie. Lo spirito dell’Oracolo prende di tanto in tanto il mio posto e proclama
cose importanti che non hanno senso per nessuno. Ma, si, le profezie prevedono il
futuro.”
“Oh.” Piper spostò il peso del corpo da un piede all’altro. “Forte.”
Rachel rise. “Non preoccuparti. Lo trovano tutti un po’ inquietante. Persino io. Ma di
solito sono innocua.”
“Sei un semidio?”
“No,” disse Rachel. “Solo una mortale.”
“Allora cosa stai…” Piper indicò la stanza con la mano.
Il sorriso di Rachel svanì. Lanciò un’occhiata ad Annabeth, poi tornò a guardare
Piper. “Solo un presagio. Qualcosa riguardo questa cabina e la scomparsa di Percy.
Sono in qualche modo collegati. Ho imparato a dare retta ai miei presagi,
soprattutto lo scorso mese, da quando gli dei hanno cominciato a tacere.”
“Tacere?” chiese Piper.
Rachel aggrottò le sopracciglia verso Annabeth. “Non gliel’hai ancora detto?”
“Ci stavo arrivando,” disse Annabeth. “Piper, per tutto lo scorso mese…bè, per gli
dei è normale non parlare molto con i loro figli, ma di solito possiamo contare su
qualche messaggio di tanto in tanto. Alcuni di noi possono persino visitare l’Olimpo.
Ho passato praticamente l’intero semestre all’Empire State Building.”
“Scusa?”
“L’attuale entrata del Monte Olimpo.”
“Oh,” disse Piper. “Certo, perché no?”
“Annabeth stava riprogettando l’Olimpo dopo che era stato distrutto nella Guerra
dei Titani,” spiegò Rachel. “E’ un architetto incredibile. Dovresti vedere il bar delle
insalate – “
“Comunque,” disse Annabeth, “circa un mese fa, l’Olimpo è diventato silenzioso.
L’entrata ha chiuso, e nessuno può andarci. Nessuno sa il perché. E’ come se gli dei
si siano sigillati dentro. Persino mia madre non risponde alle mie preghiere, e il
nostro direttore del campo, Dioniso, è stato richiamato.”
“Il vostro direttore del campo era il dio del… vino?”
“Si, è una –“
“Storia lunga,” indovinò Piper. “D’accordo. Vai avanti.”
“E’ solo questo, in realtà.” disse Annabeth. “I semidei continuano a essere
riconosciuti, ma niente di più. Nessun messaggio. Nessuna visita. Nessun segno del
fatto che gli dei stiano anche solo ascoltando. E’ come se fosse successo qualcosa –
qualcosa di davvero brutto. Poi è scomparso Percy.”
“E Jason si è comparso alla nostra gita,” aggiunse Piper. “Senza ricordi.”
“Chi è Jason?” chiese Rachel.
“Il mio –“ Piper si fermò prima che potesse dire la parola “ragazzo”, ma lo sforzo le
fece dolere il petto. “Il mio amico. Ma, Annabeth, hai detto che Era ti ha mandato
una visione attraverso un sogno.”
“Giusto,” disse Annabeth. “Il primo contatto con un dio in un mese, e si tratta di Era,
la dea di meno aiuto, e contatta me, il suo semidio meno preferito. Mi ha detto che
avrei scoperto cosa è accaduto a Percy se fossi andata sullo skywalk del Grand
Canyon e avessi cercato un ragazzo con una scarpa sola. Invece, ho trovato voi
ragazzi, e il ragazzo con una scarpa sola è Jason. Non ha senso.”
“Sta succedendo qualcosa di brutto,” concordò Rachel. Guardò Piper, e lei sentì
un’irresistibile desiderio di raccontare a loro del suo sogno, di confessare che lei
sapeva cosa stava succedendo – parte della storia almeno. E le brutte notizie erano
appena cominciate.
“Ragazze,” disse. “Devo – devo dirvi –“
Prima che potesse continuare, il corpo di Rachel si irrigidì. I suoi occhi cominciarono
a brillare di una luce verdastra, e afferrò Piper dalle spalle.
Piper cercò di indietreggiare, ma le mani di Rachel erano come delle morse
d’acciaio.
Liberami, disse. Ma non era la voce di Rachel. Sembrava una donna più grande, che
parlava da qualche posto molto lontano, attraverso una lunga conduttura
riecheggiante. Liberami, Piper McLean, o la terra ci inghiottirà. Deve essere entro il
solstizio.
La stanza cominciò a girare. Ananabeth cercò di separare Piper da Rachel, ma non
c’era verso. Del fumo verde le avvolse, e Piper non era più certa di essere sveglia o
di stare sognando. La statua gigante della dea sembrò alzarsi dal trono. Si piegò
verso Piper, i suoi occhi la perforavano. La bocca della statua si aprì, il suo fiato era
come un profumo terribilmente denso. Parlò con la stessa voce rimbombante: I
nostri nemici si svegliano. Quello fiammeggiante è solo il primo. Inchinati alla sua
volontà, e il loro re sorgerà, condannando tutti noi. LIBERAMI!
Le ginocchia di Piper cedettero, e tutto si fece nero.
5
LEO
Il giro di Leo stava andando alla grande finché non venne a sapere del drago.
Il tipo arciere, Will Solace, sembrava piuttosto forte. Tutto quello che mostrava a
Leo era così fantastico che avrebbe dovuto essere illegale. Vere navi da guerra
greche ormeggiate alla spiaggia che ha volte venivano usate per battaglie simulate
con frecce infuocate ed esplosivi? Bello! Lezioni d’arte dove potevi creare sculture
con motoseghe e fiamme ossidriche? Leo era tipo, Iscrivetemi! La foresta era fornita
di mostri pericolosi e nessuno dovrebbe mai andarci da solo? Carino! E il campo
traboccava di ragazze carine. Leo non capiva perfettamente tutta la faccenda
dell’essere imparentati con gli dei, ma sperava che ciò non significasse che era
cugino con tutte quelle signorine. Sarebbe stato orribile. Come minimo, voleva dare
un’altra occhiata a quelle ragazze subacquee del lago. Valeva sicuramente la pena di
affogare per loro.
Will gli mostrò le cabine, il padiglione della cena e l’arena del combattimento con la
spada.
“Mi daranno una spada?” chiese Leo.
Will lo guardò come se trovasse l’idea inquietante. “Probabilmente te ne farai una tu
stesso, visto che sei nella Cabina Nove.”
“Già, cos’è questa faccenda? Vulcano?”
“Di solito non chiamiamo gli dei con i loro nomi romani,” disse Will. “I nomi originali
sono greci. Tuo padre è Efesto.”
“Festo?” Leo aveva già sentito qualcuno dirlo prima d’ora, ma era ancora sbigottito.
“Sembra il dio dei cowboy.”
“E-festo,” lo corresse Will. “Dio dei fabbri e del fuoco.”
Leo aveva già sentito anche quello, ma stava cercando di non pensarci. Il dio del
fuoco… seriamente? Dato quello che era accaduto a sua madre, sembrava un brutto
scherzo.
“Quindi il martello ardente sulla testa,” disse Leo. “Bella o brutta cosa?”
Will ci mise un po’ a rispondere. “Sei stato riconosciuto quasi immediatamente. Di
solito è una buona cosa.”
“Ma quel tipo pony-arcobaleno, Butch – ha parlato di una maledizione.”
“Ah…senti, non è nulla. Da quando l’ultimo consigliere anziano della Cabina Nove è
morto –“
“Morto? Tipo, dolorosamente?”
“Dovrei fartelo raccontare dai tuoi compagni di cabina.”
“Si, dove sono i miei amiconi? Il loro consigliere non dovrebbe farmi fare un tour
VIP?”
“Lui, um, non può. Vedrai perché.” Will partì in avanti prima che Leo potesse
chiedere altro.
“Maledizioni e morti,” disse Leo a se stesso. “E’ sempre più bello.”
Avevano percorso metà piazzale quando vide la sua vecchia babysitter. E non era il
tipo di persona che si aspettava di vedere in un campo di semidei.
Leo si stoppò di colpo.
“Che succede?” chiese Will.
Tia Callida – Zietta Callida. E’ così che si faceva chiamare, ma Leo non l’aveva vista da
quando aveva cinque anni. Stava lì, all’ombra di una grande cabina bianca alla fine
del piazzale, guardandolo. Indossava il suo vestito di lino nero da vedova, con uno
scialle nero sopra la testa. Il suo volto non era cambiato – carnagione coriacea, scuri
occhi penetranti. Le sue mani avvizzite erano simili ad artigli. Appariva antica, ma
non diversa da come la ricordava Leo.
“Quella vecchia signora…” disse Leo. “Cosa ci fa qui?”
Will cercò di seguire il suo sguardo. “Quale vecchia signora?”
“Amico, la vecchia signora. Quella vestita di nero. Quante vecchie signore vedi
laggiù?”
Will si accigliò. “Leo, credo che tu abbia avuto una lunga giornata. E’ possibile che la
Foschia stia ancora confondendo la tua mente. Che ne dici se ora andiamo dritti alla
tua cabina?”
Leo voleva protestare, ma quando guardò di nuovo verso la grande cabina bianca,
Tia Callida era andata. Era certo che fosse stata là, quasi come se pensare a sua
madre avesse richiamato Callida dal passato. E non era una buona cosa, perché Tia
Callida aveva cercato di ucciderlo.
“Ti sto solo dando fastidio amico.” Leo tirò fuori dalle sue tasche qualche
ingranaggio e manovella e cominciò a giocherellarci per rilassare i nervi. Non poteva
far pensare a tutti al campo di essere pazzo. Almeno, non più di quello che era
davvero.
“Andiamo a vedere la Cabina Nove,” disse. “Sono dell’umore adatto per una buona
maledizione.”
Dall’esterno, la cabina di Efesto sembrava un camper fuori misura con pareti di
metallo luccicante e finestre con persiane di metallo. L’ingresso assomigliava alla
porta della camera blindata di una banca, circolare e spessa parecchi centimetri. Si
apriva attraverso numerosi ingranaggi di ottone e pistoni idraulici che sbuffavano.
Leo fischiò. “Gli piace lo steampunk, huh?”
All’interno la cabina sembrava deserta. Delle cuccette high-tech di acciaio erano
ripiegate contro le pareti. Ognuna era dotata di pannelli di controllo digitali, luci a
led a intermittenza, gioielli brillanti e ingranaggi di collegamento. Leo immaginava
che ogni campeggiatore avesse la sua combinazione personale per aprire il suo letto,
e dietro c’era probabilmente una nicchia con le provviste, magari qualche trappola
per tenere alla larga i visitatori indesiderati. Lui almeno le avrebbe progettate in
quel modo. Un palo dei pompieri scendeva dal pavimento di sopra, anche se da fuori
la cabina non sembrava avere un altro piano. Delle scale a chiocciola portavano in
qualche tipo di cantina. Le pareti erano coperte con ogni tipo di trapani che Leo
potesse immaginare, più un enorme assortimento di coltelli, spade e altri arnesi di
distruzione. Un piano da lavoro era inondato di pezzi di metallo – viti, bulloni,
rondelle, chiodi, fissatori e un altro milione di pezzi di macchine. Leo aveva un forte
desiderio di buttare tutto dentro le tasche del suo giacchetto. Amava quel tipo di
cose. Ma gli sarebbero serviti un altro centinaio di giacchetti per far entrare tutto.
Guardandosi intorno, poteva quasi immaginarsi di essere di nuovo nella carrozzeria
di sua madre. Magari non le armi – ma gli attrezzi, le pile di rottami, l’odore di
grasso, metallo e motori caldi. Lei avrebbe adorato quel posto.
Scacciò quel pensiero. Non gli piacevano i ricordi dolorosi. Continua a muoverti – era
quello il suo motto. Non dilungarti sulle cose. Non rimanere troppo in un posto. Era
l’unico modo per stare davanti alla tristezza.
Prese un lungo arnese dal muro. “Un tagliaerba? A cosa serve un tagliaerba a un dio
del fuoco?”
Una voce nell’ombra disse, “Saresti sorpreso.”
Alla fine della stanza, uno dei letti era occupato. Una tenda mimetica scura si
ritrasse, e Leo poté vedere il ragazzo che era stato invisibile fino a un secondo prima.
Era difficile dire qualcosa su di lui perché era coperto da un’ingessatura che gli
prendeva tutto il corpo. La testa era avvolta dalle garze ad eccezione del volto, che
era gonfio e livido. Sembrava Pillsbury Doughboy dopo un K.O..
“Sono Jake Mason,” disse il ragazzo. “Ti stringerei la mano, ma…”
“Si,” disse Leo. “Non alzarti.”
Il ragazzo fece un sorriso incrinato, poi una smorfia come se muovere la faccia gli
facesse male. Leo si chiese cosa gli era capitato, ma aveva paura di domandare.
“Benvenuto nella Cabina Nove,” disse Jake. “E’ passato quasi un anno da quando
abbiamo avuto un nuovo ragazzo. Sono il consigliere anziano per ora.”
“Per ora?” chiese Leo.
Will Solace si schiarì la voce. “Allora Jake, dove sono tutti?”
“Sotto alle fucine,” disse Jake malinconico. “Stanno lavorando su… sai, quel
problema.”
“Oh.” Will cambiò discorso. “Allora, hai un letto in più per Leo?”
Jake studiò Leo, squadrandolo. “Credi nelle maledizioni Leo? O nei fantasmi?”
Ho appena visto la mia malvagia babysitter Tia Callida, pensò Leo. Deve essere
morta dopo tutti questi anni. E non passo giorno senza pensare a mia madre in
quell’incendio nella carrozzeria. Non parlarmi di fantasmi, amico.
Ma a voce alta, disse, “Fantasmi? Pfft. Nah. Sono a posto. Uno spirito delle tempeste
mi ha lanciato dal Grand Canyon questa mattina, ma sai, una normale giornata
lavorativa, giusto?”
Jake annuì. “E’ una buona cosa. Perché ti darò il miglior letto della cabina – quello di
Beckendorf.”
“Woah, Jake,” disse Will. “Sei sicuro?”
Jake disse ad alta voce: “Letto 1-A, per favore.”
Tutta la cabina rombò. Una sezione circolare del pavimento si aprì a spirale, come lo
zoom di una macchina fotografica, e un letto a dimensioni reali saltò fuori. La
struttura di bronzo aveva una consolle per i videogiochi integrata ai piedi del letto,
un sistema stereo nella testata, un frigorifero a vetri montato nella base, e un intero
gruppo di pannelli di controllo che scorrevano ai lati.
Leo ci saltò sopra e si sdraiò con le braccia dietro la testa. “Posso gestirlo.”
“Si ritrae in una stanza privata al piano di sotto,” disse Jake.
“Oh, cavolo, sì” disse Leo. “Ci si vede. Io sarò sotto nella Tana di Leo. Quale bottone
devo premere?”
“Frena,” protestò Will Solace. “Voi avete delle camere sotterranee private?”
Jake avrebbe probabilmente sorriso se non gli avesse fatto così male. “Abbiamo un
sacco di segreti Will. Voi ragazzi di Apollo non potete avere tutto il divertimento. I
nostri campeggiatori hanno scavato il sistema di tunnel sotto la Cabina Nove per
quasi un secolo. Non abbiamo ancora trovato la fine. A ogni modo Leo, se non ti da
fastidio dormire nel letto di una ragazzo morto, è tuo.”
Improvvisamente Leo non si sentì più così rilassato. Si mise a sedere, attento a non
toccare nessun bottone. “Il consigliere che è morto – questo era il suo letto?”
“Si,” disse Jake. “Charles Beckendorf.”
Leo s’immaginò lame rotanti che uscivano dal materasso, o magari una granata
cucita nel cuscino. “Non è, diciamo, morto in questo letto, non è vero?”
“No,” disse Jake. “Nella Guerra dei Titani, la scorsa estate.”
“La Guerra dei Titani,” ripeté Leo, “che non ha nulla a che fare con questo bel letto,
no?”
“I Titani,” disse Will, come se Leo fosse un’idiota. “I grandi, potenti tipi che
governavano il mondo prima degli dei. La scorsa estate hanno cercato di fare
ritorno. Crono, il loro capo, aveva costruito un nuovo palazzo sulla cima del Monte
Tam in California. I loro eserciti sono venuti a New York e hanno quasi distrutto il
Monte Olimpo. Un sacco di semidei sono morti nel tentativo di fermargli.”
“Suppongo che non era nelle notizie del telegiornale, vero?” disse Leo.
Sembrava una domanda lecita, ma Will scosse la testa incredulo. “Non hai sentito
del Monte Sant’Elena che ha eruttato, o della spaventosa tempesta che si è
abbattuta sul paese, o di quell’edificio crollato a St Louis?”
Leo fece spallucce. La scorsa estate era scappato da un’altra famiglia adottiva. Poi
un ufficiale addetto alle assenze scolastiche l’aveva preso nel New Mexico, e la corte
l’aveva condannato ad andare nel più vicino centro correttivo – la Wilderness
School. “Credo che fossi impegnato.”
“Non importa,” disse Jake. “Sei stato fortunato a essertelo perso. Il fatto è che
Beckendorf è stata una delle prime disgrazie, e da allora –“
“La vostra cabina è stata maledetta,” indovinò Leo.
Jake non rispose. Ma il ragazzo aveva tutto il corpo ingessato. Quella era una
risposta. Leo cominciò notare piccole cose alle quali non aveva fatto caso prima – un
segno di esplosione sulla parete, una macchia sul pavimento che avrebbe potuto
essere olio… o sangue. Spade spezzate e macchinari rotti sbattuti agli angoli della
stanza, forse in un momento di frustrazione. Si sentiva che quel posto era
sfortunato.
Jake sospirò in modo apatico. “Bè, doveri dormire un po’. Spero che ti piaccia qui
Leo. Era… davvero bello.”
Chiuse gli occhi, e la tenda mimetica si avvolse da sola intorno al letto.
“Andiamo Leo,” disse Will. “Ti porto alle fucine.”
Mentre se ne stavano andando, Leo guardò indietro verso il suo nuovo letto, e poté
quasi immaginare un consigliere morto seduto là sopra – un altro fantasma che non
lo avrebbe lasciato da solo.
6
LEO
“Come è morto?” chiese Leo. “Beckendorf, intendo.”
Will Solace si trascinò avanti. “Un esplosione. Beckendorf e Percy Jackson hanno
fatto saltare in aria una nave da crociera piena di mostri. Beckendorf non ce l’ha
fatta.”
Ancora quel nome – Percy Jackson, il ragazzo scomparso di Annabeth. Quel tipo
doveva essere coinvolto in ogni cosa qui intorno, pensò Leo.
“Quindi Beckendorf era piuttosto popolare?” chiese. “Voglio dire – prima che
esplodesse?”
“Era fantastico,” concordò Will. “Quando è morto è stata dura per tutto il campo.
Jake – è diventato consigliere anziano in piena guerra. Come è successo anche a me
in realtà. Jake ha fatto del suo meglio, ma non ha mai voluto essere un leader. Gli
piace solo costruire le cose. Poi dopo la guerra le cose sono cominciate ad andare
male. I carri della Cabina Nove esplodevano. I loro automi impazzivano. Le loro
invenzioni cominciarono a essere difettose. Era come una maledizione e alla fine le
persone cominciarono a chiamarla in quel modo – la Maledizione della Cabina Nove.
Poi Jake ha avuto l’incidente –“
“Che ha qualcosa a che fare con il problema di cui ha parlato,” indovinò Leo.
“Ci stanno lavorando,” disse Will senza entusiasmo. “Ed eccoci qui.”
Nella fucina sembrava come se una locomotiva a vapore si fosse schiantata contro il
Partenone e questi due si fossero fusi insieme. Delle colonne di marmo bianco erano
allineate contro le pareti coperte di fuliggine. Le ciminiere soffiavano vapore sopra a
un elaborato frontone decorato con bassorilievi di dei e mostri. L’edificio si trovava
sulla riva di un fiume, con numerose ruote ad acqua che facevano girare una serie
d’ingranaggi di bronzo. Leo sentiva i macchinari lavorare all’interno, i fuochi ruggire
e i martelli risuonare sulle incudini.
Attraversarono la porta d’ingresso, e una dozzina di ragazzi e ragazze che stavano
lavorando su diversi progetti si gelarono tutti. Il rumore si ridusse al brontolio della
fucina e al click-click-click di leve e ingranaggi.
“Come va ragazzi,” disse Will. “Questo è il vostro nuovo fratello, Leo – um, qual è il
tuo cognome?”
“Valdez.” Leo guardò gli altri campeggiatori. Era davvero imparentato a tutti loro? I
suoi cugini venivano da delle famiglie numerose, ma lui aveva sempre avuto solo sua
madre – finché non era morta.
I ragazzi si avvicinarono e iniziarono a stringergli la mano e a presentarsi. I loro nomi
si confusero insieme: Shane, Christopher, Nyssa, Harley (si, come la moto). Leo
sapeva che non si sarebbe mai ricordato di tutti. Erano troppi. Troppo opprimente.
Nessuno si assomigliava – tutti tipi di volti, colore della pelle, capelli, altezze diverse.
Non penseresti mai, Hey, guarda, è il Gruppo di Efesto! Ma avevano tutti delle mani
forti, ruvide di calli e macchiate di grasso per macchine. Persino il piccolo Harley, che
non poteva avere più di otto anni, sembrava essere in grado di combattere per sei
round contro Chuck Norris senza una goccia di sudore.
E tutti i ragazzi condividevano un triste tipo di serietà. Le loro spalle erano basse
come se la vita gli avesse colpiti piuttosto duramente. Molti avevano l’aspetto di
essere stati colpiti anche fisicamente. Leo contò due bendature al braccio, un paio di
stampelle, una benda per gli occhi, sei gambe ingessate e circa settemila cerotti.
“Bè, d’accordo!” disse Leo. “Ho sentito dire che questa è la cabina delle feste!”
Non rise nessuno. Si limitarono tutti a fissarlo.
Will Solace gli diede una pacca sulle spalle. “Vi lascio a familiarizzare. Qualcuno può
mostrare a Leo il padiglione della cena quando è ora?”
“Ci penso io,” disse una delle ragazze. Nyssa, si ricordò Leo.
Indossava dei pantaloni militari, una canottiera che lasciava in mostra le sue braccia
muscolose e una bandana rossa sopra una chioma di capelli neri. A parte il cerotto
sorridente sul collo, assomigliava a una di quelle eroine d’azione, come se in
qualsiasi momento potesse afferrare una mitragliatrice e cominciare a sterminare gli
alieni malvagi.
“Forte,” disse Leo. “Ho sempre voluto una sorella che fosse in grado di mettermi al
tappeto.”
Nyssa non sorrise. “Andiamo, simpaticone. Ti faccio fare un giro.”
Leo non era estraneo alle officine. Era cresciuto intorno a trapani e meccanici. Sua
madre era solita scherzare dicendo che il suo primo ciuccio era stato una chiave
inglese. Ma non aveva mai visto nessun posto come la fucina del campo.
Un ragazzo stava lavorando su una falce. Continuava a testare la lama su una lastra
di cemento. Ogni volta che colpiva, l’ascia tagliava la lastra come se fosse fatta di
formaggio fuso, ma il ragazzo sembrava insoddisfatto, e tornava ad affilare il bordo.
“Cosa ha intenzione di uccidere con quella cosa?” chiese Leo a Nyssa. “Una nave da
guerra?”
“Non si può mai sapere. Persino con il bronzo Celeste –“
“Il metallo?”
Annuì. “Estratto dallo stesso Monte Olimpo. Estremamente raro. Ad ogni modo, di
solito disintegra i mostri con il solo contatto, ma quelli grossi e potenti hanno
notoriamente delle pelli forti. I drakoni, per esempio –“
“Vuoi dire dragoni?”
“Specie simili. Imparerai la differenza a lezione di combattimento di mostri.”
“Lezione di combattimento di mostri. Si, ho già la mia cintura nera in quello.”
Non si lasciò scappare un sorriso. Leo sperò che non fosse sempre così seria. La
famiglia da parte di suo padre doveva avere un po’ di senso dell’umorismo, giusto?
Passarono accanto a un paio di ragazzi che stavano fabbricando un giocattolo a
molla di bronzo. Almeno era quello che sembrava. Era un centauro di quindici
centimetri – metà uomo, metà cavallo – dotato di un arco in miniatura. Uno dei
campeggiatori girò la coda del centauro, e questo prese vita ronzando. Galoppò
lungo il tavolo, urlando, “Muori zanzara! Muori zanzara!” e sparando a qualsiasi cosa
vedesse.
A quanto pareva era qualcosa che era già accaduto in passato, perché erano tutti
pronti a mettersi a terra eccetto Leo. Sei frecce grandi come spilli gli si conficcarono
nella maglietta prima che un campeggiatore afferrasse un martello e riducesse il
centauro in pezzi.
“Stupida maledizione!” Il campeggiatore agitò il martello verso il cielo. “Tutto quello
che voglio è un uccidi insetti magico! E’ chiedere troppo?”
“Ouch,” disse Leo.
Nyssa gli tirò via gli spilli dalla maglietta. “Ah, stai bene. Andiamo avanti prima che lo
ricostruiscano.”
Leo si massaggiò il petto mentre camminavano. “Succedono spesso questo genere di
cose?”
“Ultimamente,” disse Nyssa, “tutto quello che costruiamo diventa spazzatura.”
“La maledizione?”
Nyssa si accigliò. “Non credo nelle maledizioni. Ma c’è qualcosa che non va. E se non
riusciamo a risolvere il problema del drago non farà che peggiorare.”
“Il problema del drago?” Leo sperava che stesse parlando di un drago in miniatura,
magari uno che uccideva gli scarafaggi, ma aveva la sensazione che non sarebbe
stato così fortunato.
Nyssa lo portò davanti a una grande mappa appesa al muro che stavano studiando
un paio di ragazze. La mappa mostrava il campo – un semicerchio di terra con Long
Island Sound sulla costa nord, la foresta a ovest, le cabine a est e un anello di colline
a sud.
“Deve essere tra le colline,” disse la prima ragazza.
“Abbiamo guardato nelle colline,” ribatté la seconda. “La foresta è un posto migliore
per nascondersi.”
“Ma abbiamo già messo delle trappole –“
“Frenate un attimo,” disse Leo. “Avete perso un drago? Un drago vero a grandezza
naturale?”
“E’ un drago di bronzo,” disse Nyssa. “Ma, si, è un automa a grandezza reale. La
cabina di Efesto l’ha costruito anni fa. Poi è stato smarrito nella foresta fino a
qualche estate fa, quando Beckendorf l’ha ritrovato a pezzi e lo ha ricostruito. Stava
aiutando a proteggere il campo, ma, um, è un leggermente imprevedibile.”
“Imprevedibile,” disse Leo.
“Impazziva e buttava giù le cabine, mandava a fuoco le persone, provava a mangiare
i satiri.”
“Molto imprevedibile.”
Nyssa annuì. “Beckendorf era l’unico in grado di controllarlo. Poi è morto, e il drago
non ha fatto che peggiorare. Alla fine è impazzito completamente ed è scappato. A
volte si presenta, demolisce qualcosa e scappa di nuovo. Tutti si aspettano che lo
troviamo e lo distruggiamo –“
“Distruggerlo?” Leo era inorridito. “Avete un drago di bronzo a grandezza naturale, e
volete distruggerlo?”
“Sputa fuoco,” spiegò Nyssa. “E’ mortalmente pericoloso e fuori controllo.”
“Ma è un drago! Ragazzi, è così forte. Non potete provare a parlarci, a controllarlo?”
“Abbiamo provato. Jake Mason ha provato. Hai visto quanto è andata bene.”
Leo pensò a Jake, completamente avvolto in un gesso, sdraiato da solo nel suo letto.
“Ma –“
“Non ci sono altre possibilità.” Nyssa si girò verso le altre ragazze. “Proviamo a
mettere altre trappole nella foresta – qui, qui e qui. Usate l’olio per motori da trenta
come esca.”
“Il drago beve quella roba?” chiese Leo.
“Si.” Nyssa sospirò in modo addolorato. “Di solito gli piaceva quello con un po’ di
tabasco prima di andare a letto. Se fa saltare una trappola, possiamo arrivare noi
con l’acido spray – dovrebbe sciogliere la sua corazza. Poi prendiamo delle lame
metalliche e… e finiamo il lavoro.”
Avevano tutte l’aria triste. Leo capì che non volevano uccidere il drago più di quanto
lo volesse lui.
“Ragazzi,” disse Leo. “Ci deve essere un altro modo.”
Nyssa sembrava scettica, ma alcuni campeggiatori interruppero quello a cui stavano
lavorando e si avvicinarono per sentire la conversazione.
“Tipo cosa?” chiese uno. “Quell’affare sputa fuoco. Non possiamo nemmeno
avvicinarci.”
Fuoco, pensò Leo. Oh, ragazzi, le cose che gli poteva raccontare sul fuoco… Ma
doveva stare attento, anche se questi erano i suoi fratelli e le sue sorelle.
Soprattutto se doveva vivere con loro.
“Bè…” esitò. “Efesto è il dio del fuoco, giusto? Quindi nessuno di voi ha qualcosa
tipo, l’immunità al fuoco o cose del genere?”
Nessuno reagì come se fosse una domanda stupida, il che era un sollievo, ma Nyssa
scosse gravemente la testa.
“Quella è un’abilità dei Ciclopi Leo. I figli semidei di Efesto…noi siamo solo bravi con
le mani. Siamo costruttori, artigiani, forgiatori di armi – cose così.”
Le spalle di Leo crollarono. “Oh.”
Un ragazzo da dietro disse, “Bè, un sacco di tempo fa –“
“Si, va bene,” concesse Nyssa. “Un sacco di tempo fa un figlio di Efesto era nato con
dei poteri sul fuoco. Ma quell’abilità era molto, molto rara. E sempre pericolosa. Da
secoli non è più nato nessun semidio del genere. L’ultimo…” Guardò uno degli altri
ragazzi in cerca di aiuto.
“Milleseicentosessantasei,” rispose la ragazza. “Un ragazzo chiamato Thomas
Faynor. Ha dato inizio al Grande Incendio di Londra, distruggendo la maggior parte
della città.”
“Esatto,” disse Nyssa. “Quando compare un figlio di Efesto così, di solito vuol dire
che sta per accadere qualcosa di catastrofico. E a noi non servono altre catastrofi.”
Leo cercò di mantenere il suo volto privo di qualsiasi emozione, cosa alla quale non
era abituato. “Credo di capire quello che intendi. E’ un peccato però. Se poteste
resistere alle fiamme, vi potreste avvicinare al drago.”
“E poi ti ucciderebbe con le sue zanne e artigli,” disse Nyssa. “O si limiterebbe a
calpestarti. No, dobbiamo distruggerlo. Fidati di me, se ci fosse qualcuno che fosse
in grado di trovare un altro modo…”
Non finì la frase, ma Leo recepì il messaggio. Questa era la grande prova della
cabina. Se fossero riusciti a fare qualcosa che solo Beckendorf poteva fare, se
fossero riusciti a sottomettere il drago senza ucciderlo, magari la loro maledizione
sarebbe stata spezzata. Ma erano a corto di idee. Qualsiasi campeggiatore che
avesse trovato il modo sarebbe stato un eroe.
Un corno a conchiglia suonò in lontananza. I campeggiatori cominciarono a mettere
via i loro attrezzi e progetti. Leo non si era accorto che si stava facendo così tardi,
ma guardò fuori dalla finestra e vide il sole che stava tramontando. La sua
iperattività gli faceva quell’effetto ogni tanto. Se era annoiato, una lezione di
cinquanta minuti sembrava durare sei ore. Se era interessato a qualcosa, come
visitare un campo di semidei, le ore volavano e bam – il giorno era finito.
“Ora di cena,” disse Nyssa. “Andiamo Leo.”
“Su al padiglione, esatto?” chiese.
Lei annuì.
“Voi ragazzi andate avanti,” disse Leo. “Puoi…darmi un secondo?”
Nyssa esitò. Poi la sua espressione si addolcì. “Certo. E’ un sacco da elaborare. Mi
ricordo del mio primo giorno. Vieni su quando sei pronto. Solo, non toccare nulla.
Quasi tutti i progetti qui dentro possono ucciderti se non stai attento.”
“Non si tocca,” promise Leo.
I suoi compagni uscirono dalla fucina in fila. Subito Leo si ritrovò da solo con i suoni
delle pompe, delle ruote ad acqua e dei piccoli macchinari che ticchettavano e
ronzavano.
Fissò la mappa del campo – i posti dove i suoi fratelli appena trovati progettavano di
posizionare le trappole per catturare il drago. Era sbagliato. Chiaramente sbagliato.
Molto rara, pensò. E sempre pericolosa.
Stese la mano e studiò le sue dita. Erano lunghe e magre, non callose come quelle
degli altri campeggiatori di Efesto. Leo non era mai stato il ragazzo più grande o più
forte. Era sopravvissuto in quartieri difficili, scuole difficili, case di adozioni difficili
usando il suo ingegno. Era il clown della classe, il giullare di corte, perché aveva
capito presto che se racconti barzellette e fai finta di non essere spaventato, di
solito non vieni attaccato. Persino i ragazzi delle gang più cattive ti tollereranno, ti
terranno con loro per farsi due risate. L’umorismo, inoltre, è un buon modo per
nascondere il dolore. E se quello non funzionava c’era sempre il Piano B. Scappare.
Ancora e ancora.
C’era un Piano C, ma si era ripromesso di non usarlo mai più.
Sentì un bisogno impellente di provarlo ora – qualcosa che non aveva fatto dal
giorno dell’incidente, dalla morte di sua madre.
Stese le dita e le sentì formicolare, come se si stessero svegliando – aghi e spilli. Poi
comparvero delle fiamme, delle spire di fuoco rosso incandescente che gli
danzarono sul palmo della mano.
7
JASON
Jason seppe di essere un uomo morto non appena vide la casa.
“Eccoci qui!” disse Drew allegramente. “La Casa Grande, il quartier generale del
campo.”
Non sembrava minacciosa, era semplicemente una villa di quattro piani dipinta di
celeste con gli infissi bianchi. Sul portico che le girava tutt’attorno c’erano delle
poltrone, un tavolino e una sedia a rotelle vuota. Delle campanelle a vento a forma
di ninfe si trasformavano in alberi mentre giravano. Jason poteva immaginarsi le
persone anziane andare lì durante le vacanze estive, seduti sul portico sorseggiando
del succo di prugna mentre guardavano il tramonto. Tuttavia, le finestre
sembravano fissarlo come occhi arrabbiati. La porta spalancata sembrava pronta a
inghiottirlo. Una banderuola a forma di aquila di bronzo girò nel vento sul frontone
più alto e puntò dritto nella sua direzione, come se gli stesse dicendo di tornare
indietro.
Ogni molecola nel corpo di Jason gli diceva che si trovava in territorio nemico.
“Non dovrei essere qui,” disse.
Drew lo prese a braccetto. “Oh, ti prego. Tu sei perfetto qui, tesoro. Credimi, ho
visto un sacco di eroi.”
Drew odorava di Natale – una strana combinazione di pino e noce moscata. Jason si
chiese se avesse sempre quell’odore, o se si trattava di qualche tipo di profumo
speciale per le vacanze. Il suo eyeliner rosa distraeva davvero. Ogni volta che
batteva le palpebre si sentiva costretto a guardarla. Forse era proprio questo il
punto, quello di mettere in mostra i suoi caldi occhi castani. Era carina. Non c’erano
dubbi a riguardo. Ma faceva sentire Jason a disagio.
Tirò via il braccio più gentilmente che poteva. “Senti, apprezzo che –“
“E’ quella ragazza?” disse Drew imbronciandosi. “Oh, ti prego, dimmi che non stai
uscendo con la Regina Spazzatura.”
“Intendi Piper? Um…”
Jason non era sicuro di come rispondere. Credeva di non aver mai visto Piper prima
di quel giorno, ma si sentiva stranamente in colpa per quello. Sapeva che non
avrebbe dovuto trovarsi in quel posto. Non avrebbe dovuto stringere amicizia con
quelle persone, e sicuramente non avrebbe dovuto frequentarsi con una di loro.
Tuttavia… Piper lo stava tendendo per mano quando si era svegliato su
quell’autobus. Credeva di essere la sua ragazza. Era stata coraggiosa sullo skywalk, a
combattere quei venti, e quando Jason l’aveva afferrata a mezz’aria e si erano
sorretti a vicenda stando faccia a faccia, non poteva fingere di non essere stato
leggermente tentato di baciarla. Ma non era giusto. Non sapeva nemmeno quale
fosse la sua stessa storia. Non poteva giocare con le sue emozioni in quel modo.
Drew mandò gli occhi al cielo. “Lascia che ti aiuti a decidere, tesoro. Puoi fare di
meglio. Un ragazzo con il tuo aspetto e il tuo evidente talento?”
Non stava guardando lui, però. Stava fissando un punto dritto sopra la sua testa.
“Stai aspettando un segno,” indovinò lui. “Come quello che è apparso sopra la testa
di Leo.”
“Cosa? No! Bè…si. Voglio dire, da quello che ho sentito, sei piuttosto potente,
giusto? Sarai importante al campo, quindi ho pensato che il tuo genitore ti avrebbe
riconosciuto immediatamente. E amerei vederlo. Voglio stare con te ad ogni passo!
Allora il dio è tuo padre o tua madre? Ti prego dimmi che non è tua madre. Lo
detesterei se tu fossi un figlio di Afrodite.”
“Perché?”
“In quel caso saresti il mio fratellastro, sciocchino. Non puoi frequentare uno che
viene dalla tua stessa cabina. Bleah!”
“Ma gli dei non sono tutti imparentati?” chiese Jason. “Quelli che sono qui non sono
tutti cugini o cose del genere?”
“Come sei tenero! Tesoro, la parte divina della tua famiglia non conta ad eccezione
del tuo genitore. Quindi chiunque venga da un’altra cabina – loro vanno bene. Allora
chi è il tuo genitore divino – mamma o papà?”
Come al solito, Jason non aveva una risposta. Guardò in alto, ma nessun segno
brillante gli comparve sulla testa. Sulla cima della Casa Grande, la banderuola
continuava a puntare nella sua direzione, con quell’aquila di bronzo che lo fissava
come a dire, Gira i tacchi, ragazzo, mentre sei ancora in tempo.
Poi udì dei passi sul portico. No – non passi – zoccoli.
“Chirone!” lo chiamò Drew. “Lui è Jason. E’ assolutamente fantastico!”
Jason indietreggiò così velocemente che per poco non inciampò. Quello che aveva
appena girato l’angolo sul portico era un uomo su un cavallo. Solo che non si trovava
in groppa a un cavallo – era parte del cavallo. Dalla vita in su era umano, con ricci
capelli castani e una barba curata. Indossava una maglietta con la scritta Il Centauro
Migliore del Mondo, e sulla schiena aveva un arco con una faretra. La sua testa era
così in alto che dovette abbassarsi per evitare le lampade del portico, perché dalla
vita in giù, era uno stallone bianco.
Chirone cominciò a sorridere a Jason. Poi il suo volto impallidì.
“Tu…” Gli occhi del centauro brillavano come quelli di un’animale messo all’angolo.
“Tu dovresti essere morto.”
Chirone ordinò a Jason – bè, invitò, ma suonava come un ordine – di entrare in casa.
Disse a Drew di tornare alla sua cabina, cosa della quale non sembrò entusiasta.
Il centauro trottò verso la sedia a rotelle vuota sul portico. Si sfilò arco e faretra e si
appoggiò alla sedia, che si aprì come il baule di un prestigiatore. Chirone ci entrò
cautamente con le zampe posteriori e cominciò a incastrarsi in uno spazio che
sarebbe dovuto essere davvero troppo piccolo. A Jason venne in mente il rumore
della retromarcia di un camion – beep, beep, beep – mentre la metà inferiore del
centauro scompariva e la sedia si richiudeva, facendo saltare fuori un paio di finte
gambe umane riparate da una coperta, così che Chirone sembrava essere un
normale ragazzo mortale su una sedia a rotelle.
“Seguimi,” ordinò. “Abbiamo della limonata.”
Il salotto sembrava essere stato inglobato da una foresta pluviale. Delle piante di
vite si arrotolavano su per le pareti e lungo il soffitto, cosa che Jason trovò un po’
strana. Non credeva che le piante crescessero in quel modo al chiuso, soprattutto in
inverno, ma queste erano di un verde rigoglioso e cariche di grappoli di uva rossa.
Dei divani di pelle erano sistemati davanti a un camino di pietra, dove scoppiettava il
fuoco. Incastrato in un angolo, c’era un vecchio videogioco di Pac-Man che suonava
e lampeggiava. Al muro era appeso un assortimento di maschere – quelle del teatro
greco tristi e allegre, maschere del Mardi Gras con le piume, maschere del carnevale
veneziano con grossi nasi a forma di becco, maschere intagliate nel legno dall’Africa.
Le viti crescevano all’interno delle loro bocche così che sembrava che avessero delle
lingue fatte di foglie. Alcune avevano dell’uva rossa che gli spuntava dalle orbite.
Ma la cosa più strana era la testa impagliata del leopardo sopra al camino. Sembrava
così vera che pareva che i suoi occhi seguissero Jason. Poi ringhiò, e per poco Jason
non saltò fuori dalla sua pelle.
“Buono Seymour,” lo rimproverò Chirone. “Jason è un amico. Comportati bene.”
“Quella cosa è viva!” disse Jason.
Chirone rovistò nella tasca laterale della sua sedia a rotelle e tirò fuori un pacchetto
di biscotti per cani. Ne lanciò uno al leopardo, che lo afferrò al volo e si leccò le
labbra.
“Perdonami l’arredamento,” disse Chirone. “Tutto questo e’ stato un regalo di addio
dal nostro vecchio direttore prima che fosse richiamato sul Monte Olimpo. Pensava
che ci avrebbe aiutato a ricordarci di lui. Mr D ha uno strano senso dell’umorismo.”
“Mr D,” disse Jason. “Dioniso?”
“Mmm hmm.” Chirone sorseggiò la limonata, ma gli tremavano leggermente le
mani. “Per quanto riguarda Seymour, bè, Mr D lo ha liberato da una bancarella
dell’usato a Long Island. Vedi, il leopardo è l’animale sacro di Mr D, e lui era
inorridito al fatto che qualcuno avesse impagliato una creatura così nobile. Ha
deciso di concedergli la vita, credendo che vivere come una testa al muro fosse
meglio di non vivere affatto. Devo dire che è un destino più gentile di quello che ha
ricevuto il precedente proprietario di Seymour.”
Seymour scoprì le zanne e fiutò l’aria, come se fosse in cerca di altri biscotti.
“Se è solo una testa,” disse Jason, “dove va il cibo quando mangia?”
“Meglio non chiedere,” disse Chirone. “Per favore, siediti.”
Jason prese della limonata, anche se il suo stomaco era in subbuglio. Chirone si
appoggiò allo schienale della sua sedia a rotelle e cercò di sorridere, ma Jason capiva
che era forzato. Gli occhi del vecchio uomo erano scuri e profondi come un pozzo.
“Allora, Jason,” disse, “ti dispiacerebbe dirmi – ah – da dove vieni?”
“Vorrei saperlo.” Jason gli raccontò tutta la storia, dal suo risveglio sul bus allo
schianto nel Campo Mezzosangue. Non vedeva motivo di nascondere i dettagli, e
Chirone era un buon ascoltatore. Non ebbe nessuna reazione alla storia, a parte
quella di annuire incoraggiante per farsi raccontare dell’altro.
Quando ebbe finito, il vecchio uomo sorseggiò la sua limonata.
“Capisco,” disse Chirone. “E tu devi avere delle domande da farmi.”
“Solo una,” ammise Jason. “Cosa voleva dire quando ha detto che dovrei essere
morto?”
Chirone lo studiò con preoccupazione, come se si aspettasse di vederlo prendere
improvvisamente fuoco. “Ragazzo mio, sai cosa vogliono dire quei segni sul tuo
braccio? Il colore della tua maglietta? Ti ricordi qualcosa?”
Jason guardò il tatuaggio sul suo avambraccio: SPQR, l’aquila, dodici linee dritte.
“No,” disse. “Nulla.”
“Sai dove ti trovi?” chiese Chirone. “Capisci cos’è questo posto, e chi sono io?”
“Lei è il centauro Chirone,” disse Jason. “Suppongo che è lo stesso delle vecchie
storie, che insegnava agli eroi greci come Ercole. Questo è un campo per semidei,
figli degli dei dell’Olimpo.”
“Quindi credi al fatto che quegli dei esistono ancora?”
“Si,” disse immediatamente. “Cioè, non credo che dovremmo venerarli o sacrificare
polli in loro onore o altro, ma loro sono ancora qui perché sono una parte potente
della civilizzazione. Si spostano da paese a paese quando il centro del potere cambia
– come il fatto che si sono spostati dall’Antica Grecia a Roma.”
“Non avrei saputo dirlo meglio.” Qualcosa nella voce di Chirone era cambiato.
“Quindi sai già che gli dei sono reali. Sei stato già riconosciuto, non è vero?”
“Forse,” rispose Jason. “Non sono proprio sicuro.”
Il leopardo Seyymour ringhiò.
Chirone aspettò, e Jason capì quello che era appena successo. Il centauro aveva
usato un’altra lingua e Jason aveva capito, rispondendo automaticamente nella
stessa lingua.
“Quis erat – “ Jason esitò, poi fece uno sforzo consapevole per parlare in inglese.
“Cos’è stato?”
“Conosci il Latino,” osservò Chirone. “Ovviamente la maggior parte dei semidei è in
grado di riconoscere alcune frasi. E’ nel loro sangue, ma non tanto come il Greco
Antico. Nessuno sa parlare il Latino fluentemente senza pratica.”
Jason cercò di farsi un’idea di quello che ciò voleva dire, ma dai suoi ricordi
mancavano troppi pezzi. Aveva ancora la sensazione di non dover essere lì. Era
sbagliato – e pericoloso. Ma almeno Chirone non era minaccioso. Il centauro, infatti,
sembrava essere preoccupato per lui, spaventato per la sua sicurezza.
Le fiamme si riflettevano negli occhi di Chirone, facendoli danzare in modo irritante.
“Sai, ho insegnato al tuo omonimo, il Jason originale. Ha avuto un cammino difficile.
Ho visto numerosi eroi venire e andare. Occasionalmente hanno un lieto fine. La
maggior parte, no.
Mi spezza il cuore, è come perdere un figlio ogni volta che uno dei miei allievi
muore. Ma tu – tu non sei come nessuno degli allievi ai quali abbia mai insegnato. La
tua presenza qui potrebbe essere un disastro.”
“Grazie,” disse Jason. “Lei deve essere un’insegnate che ispira.”
“Mi dispiace, ragazzo mio. Ma è vero. Avevo sperato che dopo il successo di Percy –“
“Intende Percy Jackson. Il ragazzo di Annabeth, quello che è scomparso.”
Chirone annuì. “Avevo sperato che dopo aver vinto nella Guerra dei Titani e aver
salvato il Monte Olimpo, avremmo potuto avere un po’ di pace. Avrei potuto
godermi un trionfo finale, un lieto fine, e magari ritirarmi tranquillamente. Avrei
dovuto immaginarmelo. Il capitolo finale si avvicina, proprio come ha fatto in
passato. Il peggio deve ancora venire.”
Nell’angolo, il videogioco emetteva un triste pew-pew-pew-pew, come se Pac-Man
fosse appena morto.
“Ohh-kay,” disse Jason. “Quindi – capitolo finale, accaduto in passato, il peggio deve
ancora venire. Sembra divertente, ma possiamo tornare alla parte nella quale dovrei
essere morto? Non mi piace quella parte.”
“Temo di non poter spiegare, ragazzo mio. Ho giurato sul fiume Stige e su tutte le
cose sacre che non avrei mai…” Chirone si accigliò. “Ma tu sei qui, in violazione dello
stesso giuramento. Anche questo non dovrebbe essere possibile. Non capisco. Chi
avrebbe fatto una cosa del genere? Chi – “
Il leopardo Seymour ululò. La sua bocca si bloccò metà aperta. Il videogioco smise di
suonare. Il fuoco smise di scoppiettare e le sue fiamme si solidificarono come vetro
rosso. Le maschere fissavano silenziosamente Jason con i loro assurdi occhi d’uva e
lingue di foglie.
“Chirone?” chiese Jason. “Cosa sta –“
Anche il vecchio centauro si era bloccato. Jason saltò in piedi dal divano, ma Chirone
continuò a fissare lo stesso punto, con la bocca aperta a metà frase. Le palpebre non
sbattevano. Il petto non si muoveva.
Jason, disse una voce.
Per un orribile momento, pensò che il leopardo avesse parlato. Poi della nebbia
scura si riversò dalla bocca di Seymour, e un pensiero ancora peggiore lo colpì: spiriti
delle tempeste.
Afferrò la moneta d’oro dalla tasca. Con un lancio veloce, ti trasformò in una spada.
La nebbia prese le sembianze di una donna in abiti neri. Il suo volto era
incappucciato, ma gli occhi le brillavano nell’oscurità. Sopra le spalle indossava un
mantello fatto di pelle di capra. Jason non era sicuro di come facesse a sapere che
era pelle di capra, ma la riconobbe e sapeva che era importante.
Attaccheresti la tua protettrice? lo rimproverò la donna. La sua voce riecheggiava
nella testa di Jason. Abbassa la tua spada.
“Chi sei?” chiese lui. “Come hai –“
Il nostro tempo è limitato Jason. La mia prigione si fa più forte a ogni ora. Mi ci è
voluto un mese intero per raccogliere abbastanza energia per esercitare anche la più
piccola magia attraverso le sue catene. Sono riuscita a portarti qui, ma ora mi
rimane poco tempo, e anche meno potere. Questa potrebbe essere l’ultima volta
che posso parlare con te.
“Sei in prigione?” Jason decise che magari non avrebbe abbassato la sua spada.
“Senta, io non la conosco, e lei non è la mia protettrice.”
Mi conosci, insistette. Ti conosco sin dalla tua nascita.
“Non mi ricordo. Non ricordo nulla.”
No, non ricordi, annuì lei. Anche quello era necessario. Molto tempo fa, tuo padre
mi ha donato la tua vita come regalo per placare la mia collera. Ti ha chiamato
Jason, come il mio mortale preferito. Tu appartieni a me.
“Whoa,” disse Jason. “Io non appartengo a nessuno.”
Ora è tempo che paghi il tuo debito, disse. Trova la mia prigione. Liberami, o il loro
re sorgerà dalla terra, e io verrò distrutta. Non recupererai mai i tuoi ricordi.
“E’ una minaccia? Lei ha preso i miei ricordi?”
Hai tempo fino al tramonto del solstizio Jason. Quattro giorni corti. Non mi
deludere.
La donna scura si dissolse, e la nebbia si ritirò nella bocca del leopardo.
Il tempo si sbloccò. L’ululato di Seymour si trasformò in tosse, come se avesse
risucchiato una palla di peli. Il fuoco tornò a scoppiettare, il videogioco suonò, e
Chirone disse, “-oserebbe portarti qui?”
“La donna nella nebbia, probabilmente,” propose Jason.
Chirone alzò lo sguardo sorpreso. “Non eri seduto… perché hai sguainato una
spada?”
“Detesto doverle dire questo,” disse Jason, “ma credo che il suo leopardo abbia
appena mangiato una dea.”
Raccontò a Chirone della visita congelata nel tempo, della nebbiosa figura scura che
era scomparsa nella bocca di Seymour.
“Oh cielo,” mormorò Chirone. “Questo spiega moltissimo.”
“Allora perché non spiega moltissimo a me?” disse Jason. “La prego.”
Prima che Chirone potesse dire qualsiasi cosa, sul portico esterno risuonarono dei
passi. La porta si spalancò, e Annabeth con un’altra ragazza, con i capelli rossi,
irruppero dentro, trascinando Piper in mezzo. La testa di Piper ciondolava come se
fosse incosciente.
“Cosa è successo?” Jason si precipitò da loro. “Cos’ha che non va?”
“La cabina di Era,” ansimò Annabeth, come se avessero corso per tutto il tragitto.
“Visione. Brutta.”
La ragazza con i capelli rossi alzò lo sguardo, e Jason vide che aveva pianto.
“Credo…” la ragazza inghiottì. “Credo che potrei averla uccisa.”
8
JASON
Jason e la ragazza con i capelli rossi, che si presentò come Rachel, misero Piper sul
divano mentre Annabeth si precipitò lungo il corridoio per prendere un kit del
pronto soccorso. Piper respirava ancora, ma non voleva svegliarsi. Sembrava essere
in una specie di coma.
“Dobbiamo fare qualcosa,” insistette Jason. “Un modo c’è, giusto?”
Vedendola così pallida, che respirava a malapena, a Jason venne l’istinto improvviso
di proteggerla. Magari non la conosceva davvero. Magari non era la sua ragazza. Ma
erano sopravvissuti insieme al Grand Canyon. Avevano fatto tutta questa strada. Lui
aveva lasciato il suo fianco per un po’, ed ecco cosa era successo.
Chirone le mise la mano sulla fronte e fece una smorfia. “La sua mente è in uno
stato delicato. Rachel, cosa è successo?”
“Vorrei saperlo,” disse. “Appena arrivata al campo, ho avuto una premonizione
riguardo la cabina di Era. Sono entrata. Annabeth e Piper sono arrivate mentre ero
lì. Abbiamo parlato, e poi – si è spento tutto. Annabeth ha detto che ho parlato con
una voce diversa.”
“Una profezia?” chiese Chirone.
“No. Lo spirito di Delfi viene da dentro di me. So cosa si prova. Questo sembrava
come venire da molto lontano, come una grande forza che cercava di parlare
attraverso di me.”
Annabeth entrò correndo con una borsa di pelle. S’inginocchiò accanto a Piper.
“Chirone, quello che è accaduto laggiù – non ho mai visto nulla del genere. Ho
sentito la voce da profezia di Rachel. Questa era diversa. Sembrava una donna più
adulta. Ha afferrato Piper per le spalle e le ha detto –“
“Di librerarla da una prigione?” indovinò Jason.
Annabeth lo fissò. “Come fai a saperlo?”
Chirone fece un gesto con tre dita della mano sopra il cuore, come una scongiura
contro il male.
“Jason, diglielo. Annabeth, la borsa delle medicine, per favore.”
Chirone fece gocciolare del liquido da una fiala da medicina nella bocca di Piper
mentre Jason spiegava quello che era successo quando la stanza si era congelata – la
scura donna di fumo che aveva affermato di essere la protettrice di Jason.
Quando ebbe finito non parlò nessuno, cosa che lo rese ancora più inquieto.
“Allora, è una cosa che succede spesso?” chiese. “Chiamate soprannaturali da parte
di carcerati che ti chiedono di fargli scappare di prigione?”
“La tua protettrice,” disse Annabeth. “Non il tuo genitore divino?”
“No, ha detto protettrice. Ha anche detto che mio padre le ha donato la mia vita.”
Annabeth si accigliò. “Non ho mai sentito niente del genere prima. Hai detto che lo
spirito delle tempeste sullo skywalk – ha affermato di star lavorando per qualche
padrona che gli stava dando degli ordini, giusto? Potrebbe essere stata la donna che
hai visto, che gioca con la tua mente?”
“Non credo,” disse Jason. “Se fosse stata una mia nemica, perché avrebbe chiesto il
mio aiuto? E’ imprigionata. E’ preoccupata per qualche nemico che sta diventando
più forte. Qualcosa su un re che sta sorgendo dalla terra il giorno del solstizio –“
Annabeth si girò verso Chirone. “Non Crono. Ti prego, dimmi che non è lui.”
Il centauro sembrava afflitto. Teneva il polso di Piper, controllando il battito.
Alla fine disse, “Non è Crono. Quella minaccia si è conclusa. Ma…”
“Ma cosa?” chiese Annabeth.
Chirone chiuse la borsa delle medicine. “Piper ha bisogno di riposo. Dovremmo
discuterne più tardi.”
“Oppure ora,” disse Jason. “Signore, Mr Chirone, lei mi ha detto che è in arrivo la
minaccia più grande. L’ultimo capitolo. Non può davvero riferirsi a qualcosa peggiore
di un esercito di Titani, giusto?”
“Oh,” disse Rachel a bassa voce. “Oh, cielo. La donna era Era. Ma certo. La sua
cabina, la sua voce. Si è mostrata a Jason nello stesso momento.”
“Era?” L’espressione di Annabeth era anche più feroce di quella di Seymour. “E’
stata lei a impossessarsi di te? Lei ha fatto questo a Piper?”
“Credo che Rachel abbia ragione,” disse Jason. “La donna assomigliava davvero a
una dea. E indossava questo – questo mantello di pelle di capra. E’ il simbolo di
Giunone, non è vero?”
“Lo è?” Annabeth si accigliò. “Non l’avevo mai sentito.”
Chirone annuì a malincuore. “Di Giunone, l’aspetto romano di Era, nella sua forma
più battagliera. Il mantello di pelle di capra era un simbolo dei soldati romani.”
“Quindi Era è prigioniera?”chiese Rachel. “Chi potrebbe fare una cosa del genere
alla regina degli dei?”
Annabeth incrociò le braccia. “Bè, chiunque sia, forse dovremmo ringraziargli. Se
sono in grado di zittire Era –“
“Annabeth,” avvertì Chirone, “è sempre uno degli dei dell’Olimpo. In molti modi, è la
colla che tiene unita la famigia degli dei. Se è davvero stata imprigionata e rischia di
essere annientata, ciò potrebbe scuotere le fondamenta del mondo. Potrebbe
disfare la stabilità dell’Olimpo, che non è eccezionale nemmeno nei giorni buoni. E
se Era ha chiesto aiuto a Jason –“
“D’accordo,” borbottò Annabeth. “Bè, sappiamo che i Titani possono catturare gli
dei, giusto? Atlante ha catturato Artemide alcuni anni fa. E nelle vecchie storie, gli
dei non facevano altro che catturarsi con le trappole a vicenda. Ma qualcosa
peggiore di un Titano…?”
Jason guardò la testa del leopardo. Seymour si stava leccando le labbra come se la
dea avesse un sapore molto più buono di un biscotto per cani. “Era ha detto che ha
cercato di spezzare le catene della sua prigione per un mese.”
“Che è quanto è stato chiuso l’Olimpo,” disse Annabeth. “Quindi gli dei devono
sapere che sta succedendo qualcosa di brutto.”
“Ma perché usare la sua energia per mandarmi qui?” chiese Jason. “Mi ha cancellato
la memoria, mandato nella gita della Wilderness School e inviato a te un sogno per
dirti di venirmi a prendere. Perché sono così importante? Perché non mandare
semplicemente un segnale si emergenza agli altri dei – fargli sapere dove di trova
così che possano liberarla?”
“Gli dei hanno bisogno di eroi per svolgere i loro affari qui sulla terra,” disse Rachel.
“Giusto, no? I loro destini sono sempre intrecciati con i semidei.”
“E’ vero,” disse Annabeth, “ma Jason ha ragione. Perché lui? Perché prendere i suoi
ricordi?”
“E Piper è in qualche modo coinvolta,” disse Rachel. “Era le ha mandato lo stesso
messaggio – Liberami. E, Annabeth, questo deve avere qualcosa a che fare con la
scomparsa di Percy.”
Annabeth fissò lo sguardo su Chirone. “Perché sei così silenzioso, Chirone? Cos’è che
stiamo affrontando?”
Sembrò che il volto del vecchio centauro fosse invecchiato di dieci anni nel giro di
pochi minuti. Le linee intorno ai suoi occhi erano profonde. “Mia cara, non posso
aiutarti in questo. Mi dispiace così tanto.”
Gli occhi di Annabeth baluginarono. “Non mi hai mai… non mi hai mai tenuto delle
informazioni segrete. Persino l’ultima grande profezia –“
“Io sarò nel mio studio.” Aveva la voce grave. “Ho bisogno di un po’ di tempo di
pensare prima di cena. Rachel, guarderesti la ragazza? Chiedi ad Argus di portarla in
infermeria, se vuoi. E Annabeth, tu dovresti parlare con Jason. Digli – digli delle
divinità Greche e Romane.”
“Ma…”
Il centauro girò la sua sedia a rotelle e si diresse lungo il corridoio. Gli occhi di
Annabeth si fecero tempestosi. Borbottò qualcosa in greco, e Jason ebbe la
sensazione che non fossero degli elogi nei confronti dei centauri.
“Mi dispiace,” disse Jason. “Credo che il mio essere qui – non lo so. In qualche
modo, venendo al campo ho creato confusione. Chirone ha detto che ha fatto un
giuramento e non può parlarne.”
“Che giuramento?” chiese Annabeth. “Non l’ho mai visto comportarsi così. E perché
mi dovrebbe dire di parlarti delle divinità…”
La sua voce si spense. A quanto pare, aveva appena notato la spada di Jason
appoggiata sul tavolino da caffè. Toccò cautamente la lama, come se potesse
scottare.
“Questo è oro?” disse. “Ti ricordi quando l’hai presa?”
“No,” disse Jason. “Come ho detto, non ricordo nulla.”
Annabeth annuì, come se le fosse appena venuto in mente un piano assolutamente
disperato. “Se Chirone non ci aiuterà, dovremo capire le cose per conto nostro. Il
che vuol dire… Cabina Quindici. Rachel, puoi tenere d’occhio Piper?”
“Certo,” promise Rachel. “Buona fortuna, voi due.”
“Frena,” disse Jason. “Cosa c’è nella Cabina Quindici?”
Annabeth si alzò. “Forse un modo per recuperare la tua memoria.”
Si diressero verso l’ala di cabine più nuova nell’angolo sudovest del piazzale. Alcune
erano eleganti, con pareti brillanti o torce ardenti, ma la Cabina Quindici non era
così teatrale. Aveva l’aspetto di una casa della prateria vecchio stile con muri
ricoperti di fango e un tetto di paglia. Sulla porta era appesa una ghirlanda di fiori
cremisi – papaveri rossi, pensò Jason, anche se non sapeva come faceva a dirlo.
“Credi che questa sia la cabina del mio genitore?” chiese.
“No,” disse Annabeth. “Questa è la cabina di Hypno, il dio del sonno.”
“Allora perché –“
“Hai dimenticato ogni cosa,” disse lei. “Se c’è un dio che può aiutarci con la perdita
di memoria, quello è Hypno.”
All’interno, anche se era quasi ora di cena, tre ragazzi erano addormentati sotto pile
di coperte. Nel focolare scoppiettava un fuoco caldo. Sopra alla mensola del camino
era appeso un ramo, da ogni ramoscello gocciolava del liquido bianco che cadeva
all’interno di un gruppo di ciotole di latta. Jason era tentato di prendere una goccia
con il dito solo per vedere di cosa si trattava, ma si trattenne.
Da qualche parte proveniva un suono delicato di violino. L’aria aveva l’odore del
bucato fresco. La cabina era così accogliente e tranquilla che le palpebre di Jason
cominciarono a farsi pesanti. Fare un pisolino sembrava una fantastica idea. Era
esausto. E c’erano moltissimi letti vuoti, tutti dotati di cuscini di piume, lenzuola
fresche, piumini vaporosi e – Annabeth gli diede una spinta leggera con il gomito.
“Non lasciarti andare.”
Jason sbatté le palpebre. Si accorse che le sue ginocchia avevano iniziato a piegarsi.
“La Cabina Quindici fa questo effetto a tutti quanti,” avvertì Annabeth. “Se devo
darti il mio parere, questo posto è anche più pericoloso della cabina di Ares. Almeno
là puoi imparare dove si trovano le mine.”
“Mine?”
Si avvicinò al ragazzo che russava più vicino e lo scosse dalla spalla. “Clovis!
Svegliati!”
Il ragazzo sembrava un vitello. Aveva un ciuffo di capelli biondi su una testa
cuneiforme, con dei lineamente massicci e un collo altrettanto grosso. Aveva il
corpo robusto, ma con delle piccole braccia sottili come se non avesse mai sollevato
nulla di più pesante di un cuscino.
“Clovis!” Annabeth lo scosse con più forza, poi alla fine gli picchiettò sulla fronte
circa sei volte.
“Co-co-cosa?” si lamentò Clovis, mettendosi a sedere e stirandosi. Fece un enorme
sbadiglio, e sia Annabeth che Jason sbadigliarono di rimando.
“Smettila!” disse Annabeth. “Abbiamo bisogno del tuo aiuto.”
“Stavo dormendo.”
“Tu stai sempre dormendo.”
“Buonanotte.”
Prima che potesse riaddormentarsi, Annabeth gli tirò via il cuscino dal letto.
“Non è leale,” si lamentò in modo mite. “Ridammelo.”
“Prima l’aiuto,” disse Annabeth. “Poi il sonno.”
Clovis sospirò. Aveva l’alito che sapeva di latte caldo. “Bene. Che c’è?”
Annabeth gli spiegò del problema di Jason. Di tanto in tanto schioccava le dita sotto
il naso di Clovis per tenerlo sveglio.
Clovis doveva essere piuttosto emozionato, perché quando Annabeth ebbe finito,
non si riaddormentò. In realtà di mise in piedi e si stirò, poi ammiccò verso Jason.
“Quindi, non ti ricordi nulla, huh?”
“Solo delle impressioni,” disse Jason. “Sensazioni, come…”
“Si?” disse Clovis.
“Come il fatto che so che non dovrei essere qui. In questo campo. Sono in pericolo.”
“Hmm. Chiudi gli occhi.”
Jason lanciò un’occhiata ad Annabeth, ma lei annuì in modo rassicurante.
Aveva paura di finire a russare in uno di quei letti per sempre, ma chiuse gli occhi. I
suoi pensieri si fecero neri, come se stesse affondando in un lago scuro.
Subito dopo, i suoi occhi si aprirono improvvisamente. Era seduto su una sedia
vicino al fuoco. Clovis e Annabeth erano inginocchiati vicino a lui.
“ –serio, va bene,” stava dicendo Clovis.
“Cosa è successo?” disse Jason. “Quanto –“
“Solo pochi minuti,” disse Annabeth. “Ma sono stati tesi. Ti sei quasi dissolto.”
Jason sperò che non intendesse letteralmente, ma lei aveva un’espressione seria.
“Di solito, “ disse Clovis, “i ricordi sono persi per una buona ragione. Affondano
sotto la superficie come i sogni, e con una bella dormita posso riportargli indietro.
Ma questo…”
“Lete?” chiese Annabeth.
“No,” disse Clovis. “Nemmeno il Lete.”
“Lete?” chiese Jason.
Clovis indicò il ramo sopra al camino dal quale gocciolava il liquido lattiginoso. “Il
Fiume Lete nell’Oltretomba. Dissolve i tuoi ricordi, svuota permanentemente la tua
mente. Quello è il ramo di un albero di pioppo dell’Oltretomba, immerso nel Lete. E’
il simbolo di mio padre, Hypno. Il Lete non è un posto nel quale ti piacerebbe
nuotare.
Annabeth annuì. “Percy ci è andato una volta. Mi ha detto che era abbastanza
potente da cancellare i ricordi di un Titano.”
Jason fu improvvisamente felice di non aver toccato il ramo. “Ma… non è il mio
caso?”
“No,” concordò Clovis. “La tua mente non è stata cancellata, e i tuoi ricordi non sono
stati sepolti. Sono stati rubati.”
Il fuoco scoppiettava. Gocce d’acqua del Lete cadevano nei contenitori di latta sulla
mensola del caminetto. Uno degli altri campeggiatori di Hypno borbottò qualcosa
nel sonno – qualcosa riguardo una papera.
“Rubati,” disse Jason. “Come?”
“Un dio,” disse Clovis. “Solo un dio ha quel tipo di potere.”
“Lo sappiamo,” disse Jason. “E’ stata Giunone. Ma coma ha fatto, e perché?”
Clovis si grattò il collo. “Giunone?”
“Intede Era,” disse Annabeth. “Per qualche ragione, a Jason piacciono i nomi
romani.”
“Hmm,” disse Clovis.
“Cosa?” chiese Jason. “Vuol dire qualcosa?”
“Hmm,” disse ancora, e questa volta Jason capì che stava russando.
“Clovis!” urlò.
“Cosa? Cosa?” I suoi occhi si aprirono tremanti. “Stavamo parlando di cuscini,
giusto? No, di dei. Mi ricordo. Greci e Romani. Certo, potrebbe essere importante.”
“Ma sono gli stessi dei,” disse Annabeth. “Hanno solo dei nomi diversi.”
“Non esattamente,” disse Clovis.
Jason si sporse in avanti, ora completamente sveglio. “Cosa vuoi dire, non
esattamente?”
“Bè…” Clovis sbadigliò. “Alcune divinità sono solo romane. Come Giano, o Pomona.
Ma persino le divinità greche maggiori – non sono stati solo i loro nomi a cambiare
quando si sono spostati a Roma. Il loro aspetto mutò. Le loro caratteristiche
mutarono. Avevano persino delle personalità leggermente diverse.”
“Ma…” Annabeth esitò. “Okay, quindi magari le persone gli hanno visti in maniera
diversa nel corso dei secoli. Ciò non cambia quello che sono.”
“Certo che lo cambia.” Clovis cominciò ad assopirsi, e Jason gli schioccò le dita sotto
il naso.
“Arrivo mamma!” strillò. “Cioè… Si, sono sveglio. Allora, um, personalità. Gli dei
cambiano per riflettere la loro cultura ospite. Lo sai questo, Annabeth. Cioè, in
questi giorni, a Zeus piacciono i completi su misura, i reality tv e quel ristorante
cinese sulla Ventottesima Est, giusto? Era lo stesso ai tempi romani, e gli dei furono
romani quasi tanto quanto furono greci. Era un grande impero, durato secoli. Quindi
ovviamente i loro aspetti romani sono ancora una grande parte della loro
personalità.”
“Ha senso,” disse Jason.
Annabeth scosse la testa confusa. “Ma come fai a sapere tutto ciò Clovis?”
“Oh, passo un sacco di tempo a sognare. Là vedo gli dei tutto il tempo – sempre a
cambiare forma. I sogni sono mutevoli, sai. Puoi essere in posti diversi allo stesso
momento, sempre cambiando identità. In realtà, assomiglia molto all’essere un dio.
Per esempio, di recente, ho sognato di stare guardando un concerto di Michael
Jackson, e poi mi trovavo sul palco con Michael Jackson, e stavamo cantando questo
duetto, e io non riuscivo a ricordarmi le parole di “The Girl Is Mine”. Oh, cavolo, è
stato così imbarazzante, io –“
“Clovis,” lo interruppe Annabeth. “Torniamo a Roma?”
“Roma, giusto,” disse Clovis. “Quindi, noi chiamiamo gli dei con i loro nomi greci
perché quella è la loro forma originale. Ma dire che i loro aspetti romani sono
esattamente uguali – non è vero. A Roma, divennero più battaglieri. Non si
mescolarono così tanto con i mortali. Erano più duri, più potenti – gli dei di un
impero.”
“Come la parte oscura delle divinità?” chiese Annabeth.
“Non esattamente,” disse Clovis. “Rappresentavano la disciplina, l’onore, la forza –“
“Cosa buone, allora,” disse Jason. Per qualche ragione, sentiva la necessità di
prendere le parti degli dei romani, anche se non sapeva per quale motivo ci tenesse.
“Cioè, la disciplina è importante, giusto? E’ quello che ha fatto durare Roma così
tanto.”
Clovis gli diede un’occhiata incuriosita. “E’ vero. Ma gli dei romani non erano molto
amichevoli. Per esempio, mio padre, Hypno… ai tempi greci non faceva molto a
parte dormire. Ai tempi romani, lo chiamavano Somnus. Gli piaceva uccidere le
persone che non erano vigili al lavoro. Se si appisolavano nel momento sbagliato –
boom – non si svegliavano più. Uccise il timoniere di Enea quando stavano salpando
da Troia.”
“Tipo simpatico,” disse Annabeth. “Ma ancora non capisco cosa questo abbia a che
fare con Jason.”
“Nemmeno io,” disse Clovis. “Ma se Era ti ha preso la memoria, solo lei può
restituirtela. E se io dovessi incontrare la regina degli dei, spererei che si trovasse più
in stato di Era che in stato di Giunone. Ora posso tornare a dormire?”
Annabeth fissò il ramo sopra al camino, dal quale gocciolava l’acqua del Lete nelle
ciotole. Sembrava così preoccupata che Jason si chiese se non stesse prendendo in
considerazione di farsi una bevuta per dimenticarsi dei suoi problemi. Poi si alzò e
lanciò a Clovis il suo cuscino. “Grazie Clovis. Ci vediamo a cena.”
“Posso avere il servizio in camera?” Clovis sbadigliò e cadde nel suo letto. “Mi
sento…zzzz…” Crollò con il sedere per aria e la faccia sepolta nel cuscino.
“Non soffocherà?” chiese Jason.
“Starà bene,” disse Annabeth. “Ma sto cominciando a credere che tu sia in guai
seri.”
9
PIPER
Piper sognò l’ultimo giorno con suo padre.
Si trovavano sulla spiaggia vicino a Big Sur, e stavano facendo una pausa dal surf. La
mattinata era stata così perfetta che Piper sapeva che qualcosa doveva presto
andare storto – una fanatica orda di pararazzi, o magari l’attacco di un grande
squalo bianco. Non era possibile che la sua fortuna durasse.
Ma fino a quel momento avevano avuto delle onde fantastiche, un cielo nuvoloso e
un miglio di spiaggia tutta per loro. Il padre aveva trovato questo punto fuori mano,
aveva affittato una villa con vista sulla spiaggia e le proprietà su entrambi i lati, ed
era riuscito in qualche modo a mantenerlo segreto. Se rimaneva lì troppo a lungo,
Piper sapeva che i fotografi lo avrebbero trovato. Lo facevano sempre.
“Bel lavoro là fuori, Pipes.” Le fece il sorriso per il quale era famoso: denti perfetti,
mento con fossetta, un luccichio negli occhi scuri che faceva sempre urlare le donne
adulte che gli chiedevano di autografare i loro corpi con pennarelli indelebili.
(Seriamente, pensava Piper, fatevi una vita.) I suoi capelli neri brillavano di acqua
salata. “Stai migliorando con la manovra Hang Ten.”
Piper arrossì orgogliosa, anche se aveva il sospetto che il padre stesse
semplicemente facendo il gentile. Continuava a passare la maggior parte del tempo
a cadere. Ci voleva del talento speciale per farsi passare sopra la tavola da surf. Il
surfista naturale era suo padre – cosa che non aveva senso dal momento che era
cresciuto come un bambino povero in Oklahoma, a centinaia di chilometri
dall’oceano – ma era fantastico con le spirali. Piper avrebbe mollato il surf molto
tempo fa se non le avesse permesso di passare del tempo con lui. Non c’erano molti
modi nei quali poteva farlo.
“Sandwich?” Il padre cercò nel cestino da picnic che il suo chef, Arno, aveva
preparato. “Vediamo: pesto al tacchino, tortino di granchio con wasabi – ah, un
Piper special. Burro di arachidi e marmellata.”
Lei prese il sandwich, ma il suo stomaco era troppo scombussolato per mangiare.
Voleva sempre un BA&M. Prima di tutto, Piper era vegetariana. Lo era diventata da
quando erano passati in macchina vicino a quel mattatoio a Chino e l’odore le aveva
fatto rivoltare lo stomaco. Ma c’era di più. BA&M era un cibo semplice, come quello
che un bambino normale mangerebbe per pranzo. A volta faceva finta che fosse
stato suo padre a prepararglielo, non uno chef personale francese al quale piaceva
incartarlo in carta fatta di foglie d’oro con una di quelle bacchette che facevano le
scintille al posto dello stuzzicadenti.
Non ci poteva essere qualcosa di semplice? Quello era il motivo per il quale aveva
rifiutato i vestiti eleganti che il padre le proponeva ogni volta, le scarpe di marca, le
sedute nei centri di bellezza. Si tagliava i capelli con un paio di forbici di plastica di
Garfield dalla punta arrotondata, facendoli volutamente irregolari. Preferiva
indossare scarpe da ginnastica consumate, jeans, una maglietta e il suo vecchio
giacchetto della Polartec di quando erano andati a fare snowboard.
E odiava le scuole private snob che il padre pensava fossero giuste per lei. Lei
continuava a farsi buttare fuori. Lui continuava a trovarne delle altre.
Il giorno prima aveva effettuato la sua rapina più grande – portando via quella BMW
“presa in prestito” dalla concessionaria. Doveva fare una bravata più grande ogni
volta, perché ci voleva sempre di più per attirare l’attenzione del padre.
Ora se ne pentiva. Il padre non lo sapeva ancora.
Aveva voluto dirglielo quella mattina. Poi lui l’aveva sorpresa con quel viaggio, e lei
non poteva rovinarlo. Era la prima volta che passavano una giornata insieme da,
quanto – tre mesi?
“Cosa c’è che non va?” Le passò una soda.
“Papà, c’è una cosa –“
“Aspetta un attimo Pipes. Quella è una faccia seria. Pronta per Tre Domande
Qualsiasi?”
Giocavano a quel gioco da anni – era il modo di suo padre per rimanere aggiornato
nel tempo più corto possibile. Potevano farsi a vicenda tre domande qualsiasi. Non
c’era nulla di off-limit, e dovevi rispondere con sincerità. Il resto del tempo, il padre
le prometteva di rimanere fuori dai suoi affari – cosa semplice, visto che non c’era
mai.
Piper sapeva che la maggior parte dei ragazzi avrebbe considerato una sessione di
Domande e Risposta di questo tipo con i loro genitori assolutamente umiliante. Ma
lei non vedeva l’ora di farlo. Era come fare surf – non semplice, ma un modo per
avere la sensazione di avere davvero un padre.
“Prima domanda,” disse. “Mamma.”
Nessuna sorpresa. Quello era sempre uno dei suoi argomenti.
Suo padre alzò le spalle rassegnato. “Cosa vuoi sapere Piper? Te l’ho già detto – è
scomparsa. Non so il perché, o dove sia andata. Dopo la tua nascita, lei se ne andò.
Non l’ho mai più sentita.”
“Credi che sia ancora viva?”
Non era una vera domanda. Al padre era permesso di rispondere che non lo sapeva.
Ma lei voleva sentire come avrebbe risposto.
Lui fissò le onde.
“Tuo nonno Tom,” disse alla fine, “mi diceva che se camminavi abbastanza lontano
in direzione del tramonto saresti arrivato al Paese Fantasma, dove potevi parlare
con i morti. Diceva che molto tempo fa, potevi riportare indietro i morti, ma poi la
razza umana ha creato confusione. Bè, è una storia lunga.”
“Come la Terra dei Morti dei Greci,” ricordò Piper. “Anche questa era a ovest. E
Orfeo – lui provò a riportare indietro la moglie.”
Il padre annuì. Un anno prima aveva avuto la sua parte più importante nel ruolo di
un antico re greco. Piper lo aveva aiutato a fare ricerche sui miti – tutte quelle
vecchie storie riguardo persone che venivano trasformate in pietra e bollite in laghi
di lava. Si erano divertiti a leggere insieme, e la vita di Piper non era sembrata così
brutta. Per un pò si era sentita più vicina al padre, ma, come ogni cosa, non era
durato.
“Ci sono un sacco di somiglianze tra i Greci e i Cherokee,” concordò il padre. “Mi
chiedo cosa penserebbe tuo nonno se ci vedesse ora, seduti sul punto più estremo
dell’occidente. Probabilmente crederebbe che siamo dei fantasmi.”
“Quindi mi stai dicendo che credi in quelle storie? Credi che mamma sia morta?”
Gli occhi gli si inumidirono, e Piper vide la tristezza che nascondevano. Immaginò
che fosse per questo che le donne erano così attratte da lui. In superficie, sembrava
forte e sicuro, ma i suoi occhi avevano così tanto dolore. Le donne volevano scoprire
il perché. Volevano consolarlo, e non ne erano mai capaci. Il padre le aveva detto
che era una cosa da Cherokee – avevano tutti quell’oscurità dentro di loro che
veniva da generazioni di dolore e sofferenza. Ma Piper credeva che ci fosse di più.
“Non credo alle storie,” disse lui. “Sono divertenti da raccontare, ma se credessi
davvero nel Paese Fantasma, o negli spiriti animali, o nelle divinità greche… non
credo che riuscirei a dormire la notte. Sarei sempre in cerca di qualcuno a cui dare la
colpa.”
Qualcuno a cui dare la colpa per il nonno Tom che era morto di cancro ai polmoni,
pensò Piper, prima che papà diventasse famoso e avesse i soldi per aiutarlo. Per la
mamma – l’unica donna che avesse mai amato – che l’aveva abbandonato senza
nemmeno una lettera d’addio, lasciandolo con una bambina appena nata della
quale non era pronto a prendersi cura. Per il suo avere così tanto successo, e
tuttavia non essere ancora felice.
“Non so se è viva,” disse. “Ma credo che potrebbe benissimo essere nel Paese
Fantasma, Piper. In ogni caso non c’è modo di portarla indietro. Se credessi
diversamente… credo che non sopporterei nemmeno quello.”
Dietro di loro si aprì la portiera di una macchina. Piper si girò, e il cuore le affondò.
Jane stava marciando verso di loro nel suo completo da affari, barcollando sulla
sabbia con i suoi tacchi alti e il suo palmare in mano. L’espressione sul suo volto era
in parte irritata, in parte trionfante, e Piper seppe che era stata in contatto con la
polizia.
Ti prego, cadi, pregò Piper. Se c’è uno spirito animale o un dio greco che può
aiutare, fai cadere Jane di testa. Non sto chiedendo dei danni permanenti, solo di
metterla fuori combattimento per il resto della giornata, ti prego?
Ma Jane continuò ad avvicinarsi.
“Papà,” disse velocemente Piper. “Ieri è successo qualcosa…”
Ma anche lui aveva visto Jane. Stava già ricostruendo la sua faccia da affari. Jane non
sarebbe stata lì se non si fosse trattato di qualcosa di serio. Una chiamata da una
casa cinematografica – un progetto andato in fumo – o Piper che ne aveva
combinata un’altra.
“Ci ritorneremo Pipes,” le promise. “Farò meglio a sentire cosa vuole Jane. Sai com’è
fatta.”
Si – Piper lo sapeva. Suo padre arrancò sulla sabbia andandole incontro. Piper non
poteva sentirgli parlare, ma non ne aveva bisogno. Era brava a leggere le faccie. Jane
gli raccontò dei fatti sulla macchina rubata, puntando di tanto in tanto verso di lei
come se fosse stata un animale disgustoso che si stava rotolando sul tappeto.
L’energia e l’entusiasmo di suo padre scivolarono via. Fece a Jane il gesto di
aspettare. Poi tornò da Piper. Lei non riusciva a sopportare quello sguardo nei suoi
occhi – come se avesse tradito la sua fiducia.
“Mi avevi detto che avresti provato, Piper,” disse.
“Papà, io odio quella scuola. Non posso farlo. Volevo dirti della BMW, ma –“
“Ti hanno espulsa,” disse. “Una macchina, Piper? Il prossimo anno avrai sedici anni.
Ti avrei comprato qualsiasi macchina tu desiderassi. Come hai potuto –“
“Vuoi dire che Jane mi avrebbe comprato una macchina?” chiese Piper. Non poteva
evitarlo. La rabbia salì e le sgorgò fuori. “Papà, ascolta, solo per una volta. Non farmi
aspettare che tu chieda le tue stupide tre domande. Voglio andare a una scuola
normale. Voglio che sia tu a portarmi agli incontri con i genitori, non Jane. O sennò
fammi studiare a casa! Ho imparato così tanto quando abbiamo letto insieme della
Grecia. Potremmo farlo sempre! Potremmo –“
“Non far ricadere la colpa su di me,” disse suo padre. “Io faccio il meglio che posso
Piper. Abbiamo già fatto questo discorso.”
No, pensò lei. Hai tagliato corto questo discorso. Per anni.
Suo padre sospirò. “Jane ha parlato con la polizia, è arrivata a un accordo. Il
negoziante non sporgerà denuncia, ma tu devi accettare di andare in un collegio in
Nevada. Sono specializzati nei problemi… nei ragazzi con situazioni difficili.”
“E’ questo quello che sono.” La sua voce tremò. “Un problema.”
“Piper… avevi detto che avresti provato. Mi hai deluso. Non so cosa altro fare.”
“Qualsiasi cosa,” disse. “Ma falla per conto tuo! Non lasciare che ci pensi Jane al
posto tuo. Non puoi semplicemente mandarmi via.”
Il padre guardò in basso verso il cestino da picnic. Il panino stava intonso su un
pezzo di foglia d’oro. Avevano pianificato un intero pomeriggio a fare surf. Ora
quello era rovinato.
Piper non riusciva a credere che aveva davvero ceduto ai desideri di Jane. Non
questa volta. Non su qualcosa di così grande come un collegio.
“Vai da lei,” disse suo padre. “Ha tutti i dettagli.”
“Papà…”
Distolse lo sguardo, fissando l’oceano come se potesse vedere fino al Paese
Fantasma. Piper si ripromise che non avrebbe pianto. Si allontanò dalla spiaggia
andando verso Jane, che sorrideva freddamente e teneva in mano un biglietto
aereo. Come al solito, aveva già organizzato ogni cosa. Piper era solo un altro
problema del giorno che Jane poteva adesso spuntare dalla lista.
Il sogno di Piper cambiò.
Si trovava sulla cima di una montagna di notte, con le luci della città che luccicavano
più in basso. Di fronte a lei ardeva un falò. Delle fiamme violacee sembravano
gettare più ombre che luce, ma il calore era così intenso che i suoi vestiti fumavano.
“Questo è il tuo secondo avvertimento,” rombò una voce, così potente che fece
tremare la terra. Piper aveva già sentito quella voce nei suoi sogni. Aveva cercato di
convincersi che non era così spaventosa come ricordava, ma era peggio.
Dietro al falò, un volto enorme incombeva dall’oscurità. Sembrava fluttuare sopra le
fiamme, ma Piper sapeva che doveva essere collegato ad un corpo gigantesco. I rozzi
lineamenti potevano essere stati cesellati nella roccia. La faccia sembrava a
malapena viva ad eccezione dei suoi penetranti occhi bianchi, come diamanti grezzi,
e la sua orribile cornice di capelli rasta, intrecciati con ossa umane. Sorrise, e Piper
rabbrividì.
“Farai ciò che ti verrà detto,” disse il gigante. “Parteciperai all’impresa. Segui i nostri
comandi, e potresti uscirne viva. Altrimenti –“
Fece un gesto verso un lato del falò. Il padre di Piper era appeso privo di coscienza,
legato a un palo.
Piper provò a gridare. Voleva chiamare suo padre e chiedere al gigante di lasciarlo
andare, ma la sua voce non voleva funzionare.
“Io starò a guardare,” disse il gigante. “Servimi, e vivrete entrambi. Hai la parola di
Encelado. Deludimi…bè, ho dormito per millenni, giovane semidio. Sono molto
affamato. Fallisci, e mangerò bene.”
Il gigante ruggì ridendo. La terra tremò. Una crepa si aprì sotto i piedi di Piper, e lei
cadde nell’oscurità.
Si svegliò sentendosi come se fosse stata calpestata da una squadra di ballerini di
danza irlandese. Le faceva male il petto, e riusciva a malapena a respirare. Si allungò
verso il basso e chiuse la mano intorno all’elsa del pugnale che le aveva dato
Annabeth – Katoptris, l’arma di Elena di Troia.
Quindi il Campo Mezzosangue non era stato un sogno.
“Come ti senti?”chiese qualcuno.
Piper cercò di mettere a fuoco. Era distesa su un letto con una tenda bianca su un
lato, come l’ufficio di un’infermiera. La ragazza dai capelli rossi, Rachel Dare, era
seduta vicino a lei. Sul muro c’era il poster di un satiro a cartone che assomigliava in
maniera inquietante al Coach Hedge con un termometro che gli spuntava dalla
bocca. La didascalia diceva: Non lasciare che una malattia s’impossessi della tua
capra!
“Dove –“ La voce di Piper morì quando vide il ragazzo alla porta.
Aveva l’aspetto di un tipico surfista Californiano – muscoloso e abbronzato, capelli
biondi, vestito con pantaloncini corti e una maglietta a maniche corte. Ma aveva
centinaia di occhi blu su tutto il corpo – lungo le braccia, sulle gambe e su tutta la
faccia. Persino i suoi piedi avevano occhi, che scrutavano in su verso di lei dalle
stringhe dei suoi sandali.
“Quello è Argo,” disse Rachel, “il nostro capo della sicurezza. Sta solo tenendo
d’occhio le cose… tanto per dire.”
Argo annuì. L’occhio sul suo mento ammiccò.
“Dove -?” provò ancora Piper, ma si sentiva come se stesse parlando con la bocca
piena di ovatta.
“Sei nella Casa Grande,” disse Rachel. “Uffici del campo. Ti abbiamo portata qui
quando sei svenuta.”
“Tu mi hai afferrata,” ricordò Piper. “La voce di Era –“
“Mi dispiace così tanto per quello,” disse Rachel. “Credimi, essere posseduta non è
stata una mia idea. Chirone ti ha curato con del nettare –“
“Nettare?”
“La bevanda degli dei. In piccole quantità, guarisce i semidei, se non lo fa – ah – ti
riduce in cenere.”
“Oh. Divertente.”
Rachel si sporse in avanti. “Ricordi la tua visione?”
Piper ebbe un attimo di terrore, pensando che si riferisse al sogno sul gigante. Poi
capì che Rachel stava parlando di quello che era accaduto nella cabina di Era.
“C’è qualcosa che non va con la dea,” disse Piper. “Mi ha detto di liberarla, come se
fosse intrappolata. Ha parlato della terra che ci inghiottisce, e un tipo infuocato, e
qualcosa riguardo al solstizio.”
Nell’angolo, Argo fece un suono simile a un brontolio con il petto. I suoi occhi
sbatterono tutti contemporaneamente.
“E’ stata Era a creare Argo,” spiegò Rachel. “E’ davvero sensibile quando ne va della
sua sicurezza. Stiamo cercando di impedirgli di piangere, perché l’ultima volta che è
accaduto… bè, ha provocato un bell’allagamento.”
Argo tirò su con il naso. Afferrò una manciata di Kleenex dal comodino e iniziò a
tamponarsi gli occhi su tutto il corpo.
“Allora…” Piper cercò di non fissare Argo mentre si asciugava le lacrime dai gomiti.
“Cosa è successo a Era?”
“Non se siamo certi,” disse Rachel. “Comunque, Annabeth e Jason erano qui per te.
Jason non voleva lasciarti, ma Annabeth aveva un’idea – qualcosa che potrebbe
restituirgli i suoi ricordi.”
“E’… è fantastico.”
Jason era stato lì per lei? Avrebbe voluto essere cosciente. Ma se riprendeva i suoi
ricordi sarebbe stata una buona cosa? Aveva ancora la speranza che si conoscessero
davvero. Non voleva che la loro relazione fosse solo un inganno della Foschia.
Superalo, pensò. Se aveva intenzione di salvare suo padre, non importava se lei
piaceva o meno a Jason. Alla fine l’avrebbe odiata. Tutti lì l’avrebbero fatto.
Abbassò lo sguardo sul pugnale da cerimonia legato al fianco. Annabeth aveva detto
che era simbolo di potere e condizione sociale, ma non normalmente usato in
battaglia. Tutta apparenza e nessuna sostanza. Un falso, proprio come Piper. E il suo
nome era Katoptris, specchio. Non osava sguainarlo di nuovo, perché non poteva
sopportare di vedere il suo riflesso.
“Non ti preoccupare.” Rachel le strinse il braccio. “Jason sembra un bravo ragazzo.
Anche lui ha avuto una visione molto simile alla tua. Qualsiasi cosa stia succedendo
a Era – credo che voi due siate destinati a lavorare insieme.”
Rachel sorrise come se fosse una bella notizia, ma il morale di Piper crollò ancora più
in basso. Aveva pensato che quest’impresa – qualsiasi cosa fosse – avrebbe
coinvolto persone senza nome. Ora Rachel le stava praticamente dicendo: Buone
notizie! Non solo tuo padre è tenuto in ostaggio da un gigante cannibale, ma hai
anche la possibilità di tradire il ragazzo che ti piace! Quanto è forte?
“Hey,” disse Rachel. “Non c’è bisogno di piangere. Ce la farai.”
Piper si asciugò gli occhi, cercando di controllarsi. Questo non era da lei. Avrebbe
dovuto essere dura – un’incallita ladra di automobili, il flagello delle scuole private di
Los Angeles. E invece eccola lì, a piangere come una bambina. “Come fai a sapere
cosa sto affrontando?”
Rachel alzò le spalle. “So che è una scelta difficile, e le tue alternative non sono
fantastiche. Come ho detto, ho dei presagi a volte. Ma sarai riconosciuta al falò. Ne
sono quasi certa. Quando saprai chi è il tuo genitore divino, le cose potrebbero
essere più chiare.”
Più chiare, pensò Piper. Non necessariamente migliori.
Si mise a sedere sul letto. La fronte le faceva male come se qualcuno le avesse
infilato un ago tra gli occhi. Non c’è modo di riportarla indietro, le aveva detto suo
padre. Ma a quanto pareva, quella notte, sua madre l’avrebbe forse riconosciuta.
Per la prima volta, Piper non era sicura di volerlo.
“Spero che sia Atena.” Alzò lo sguardo, temendo che Rachel potesse prendersi gioco
di lei, ma l’Oracolo sorrise.
“Piper, non ti biasimo. In verità? Credo che lo stia sperando anche Annabeth. Voi
due siete molto simili.”
Il paragone fece sentire Piper persino più in colpa. “Un altro presagio? Non sai nulla
di me.”
“Saresti sorpresa.”
“Lo dici solo perché sei un Oracolo, non è così? Devi fare tutta la misteriosa.”
Rachel rise. “Non rivelerò i miei segreti Piper. E non preoccuparti. Le cose si
aggiusteranno – solo, forse non nel modo che avevi pianificato.”
“Questo non mi fa sentire meglio.”
Da qualche parte in lontanza suonò un corno di conchiglia. Argo borbottò e aprì la
porta.
“Ora di cena?” indovinò Piper.
“Hai dormito durante quella,” disse Rachel. “E’ il momento del falò. Andiamo a
scoprire chi sei.”
10
PIPER
L’intera idea del falò terrorizzava Piper. Le faceva ripensare a quell’enorme fuoco
viola del sogno e a suo padre legato a un palo.
Quello a cui dovette partecipare invece era quasi altrettanto terrificante: canzoni di
gruppo. Le scale dell’anfiteatro erano scolpite nel fianco di una collina e
fronteggiavano un falò circondato da pietre. Le file erano occupate da cinquanta o
sessanta ragazzi, divisi in gruppi raccolti sotto diversi stendardi.
Piper scorse Jason nella fila davanti, vicino ad Annabeth. Leo era lì vicino, seduto con
un gruppo di campeggiatori dall’aspetto corpulento sotto uno stendardo grigio
acciaio decorato con un martello. Davanti al fuoco, una mezza dozzina di
campeggiatori con chitarre e strane, antiche arpe – lire? – saltellavano qua e là,
guidando una canzone che parlava di pezzi di armature, qualcosa riguardo la loro
nonna che si vestiva per la guerra. Tutti cantavano con loro, mimavano le parti
dell’armatura e scherzavano tra di loro. Era molto probabilmente la cosa più
stramba che Piper avesse mai visto – una di quelle canzoni da falò che sarebbe stata
assolutamente imbarazzante alla luce del giorno, ma al buio, con tutti che
partecipavano, era piuttosto sdolcinata e divertente. Mentre il livello di energia si
alzava, lo facevano anche le fiamme, passando da rosse ad arancioni a dorate.
Alla fine la canzone si concluse con un sacco di applausi scalmanati. Un ragazzo su
un cavallo trottò al centro. Almeno nella luce tremolante Piper pensò che si
trattasse di un ragazzo su un cavallo. Poi si accorse che era un centauro – stallone
bianco nella metà inferiore, uomo di mezza età con capelli ricci e barba curata nella
metà superiore. Brandiva una lancia con dei marshmallows infilzati sopra. “Molto
carino! E uno speciale benvenuto ai nostri nuovi arrivati. Io sono Chirone, il direttore
delle attività del campo, e sono felice che siate arrivati qui tutti vivi e con la maggior
parte dei vostri arti attaccati. In un attimo, vi prometto che passeremo ai
marshmallows con i cracker, ma prima –“
“Riguardo caccia alla bandiera?” urlò qualcuno. Si alzarono dei brontolii tra alcuni
ragazzi in armatura, seduti sotto uno stendardo rosso e con l’emblema della testa di
un cinghiale.
“Si,” disse il centauro. “So che la cabina di Ares è ansiosa di tornare nella foresta per
i nostri giochi regolari.”
“E uccidere le persone!” urlò uno di loro.
“Comunque,” disse Chirone, “finché il drago non sarà sotto controllo, ciò non sarà
possibile. Cabina Nove, niente da riportarci a riguardo?”
Si girò verso il gruppo di Leo. Leo strizzò l’occhio a Piper e le fece il gesto di spararle
con la mano. La ragazza vicino a lui si alzò a disagio. Indossava un giaccone militare
molto simile a quello di Leo, con i capelli coperti da una bandana rossa. “Ci stiamo
lavorando.”
Più brontolii.
“Come, Nyssa?” chiese un ragazzo di Ares.
“Davvero duramente,” disse la ragazza.
Nyssa si sedette al suono di un sacco di urla e lamentele, che fecero crepitare
caoticamente il fuoco. Chirone sbatté il suo zoccolo contro le pietre del falò – bang,
bang, bang – e i campeggiatori fecero silenzio.
“Dovremo avere pazienza,” disse Chirone. “Nel frattempo, abbiamo dei problemi più
urgenti di cui discutere.”
“Percy?” chiese qualcuno. Il falò si fece ancora più scuro, ma Piper non aveva
bisogno delle fiamme dell’umore per avvertire l’ansia della folla.
Chirone fece un gesto verso Annabeth. Lei fece un respiro profondo e si alzò.
“Non ho trovato Percy,” annunciò. La voce le tremò un po’ quando pronunciò il suo
nome. “Non era al Grand Canyon come pensavo. Ma no ci arrendiamo. Abbiamo
squadre ovunque. Grover, Tyson, Nico, le Cacciatrici di Artemide – sono tutti in
cerca. Lo troveremo. Chirone stava parlando di qualcosa di diverso. Una nuova
impresa.”
“E’ la Grande Profezia, non è vero?” disse una ragazza.
Si girarono tutti. La voce veniva da un gruppo sul fondo, seduto sotto uno stendardo
rosa con l’emblema di una colomba. Stavano chiacchierando tra di loro e non
stavano prestando molta attenzione finché il loro capo si alzò: Drew.
Sembravano tutti sorpresi. A quanto pareva, Drew non parlava spesso alla folla.
“Drew?” disse Annabeth. “Cosa vuoi dire?”
“Bè, andiamo.” Drew allargò le mani come se la verità fosse ovvia. “L’Olimpo è
chiuso. Percy è scomparso. Era ti manda una visione e tu torni con tre nuovi semidei
in un giorno solo. Cioè, sta succedendo qualcosa di strano. La Grande Profezia è
iniziata, giusto?”
Piper bisbigliò a Rachel, “Di che cosa sta parlando – la Grande Profezia?”
Poi si accorse che anche tutti gli altri stavano guardando Rachel.
“Allora?” l’aggredì Drew. “Sei tu l’Oracolo. E’ iniziata o no?”
Gli occhi di Rachel facevano paura alla luce del fuoco. Piper temeva che potesse
afferrare qualcosa e trasmettere di nuovo la spaventosa dea pavone, ma si fece
avanti con calma e si rivolse al campo.
“Si,” disse. “La Grande Profezia è iniziata.”
Scoppiò il pandemonio.
Piper incrociò lo sguardo di Jason. Lui mimò con le labbra, Stai bene? Lei annuì e
riuscì a fare un sorriso, ma poi distolse lo sguardo. Era troppo doloroso vederlo e
non essere con lui.
Quando il parlottio alla fine si spense, Rachel fece un altro passo verso il pubblico, e
più di cinquanta semidei si allontanarono da lei, come se una magrissima mortale
dai capelli rossi fosse più intimidante di tutti loro messi insieme.
“Per quelli di voi che non l’hanno sentita,” disse Rachel, “la Grande Profezia è stata
la mia prima predizione. E’ arrivata ad Agosto. Recita così:
“Sette mezzosangue alla chiamata risponderanno.
Fuoco o tempesta il mondo cader faranno –“
Jason scattò in piedi. I suoi occhi sembravano selvaggi, come se avesse appena preso
la scossa.
Persino Rachel sembrava essere stata presa alla sprovvista. “J-Jason?” disse. “Cosa –
“
“Ut cum spiritu postrema sacramentum dejuremus,” recitò lui. “Et hostes
ornamenta addent ad ianuam necem.”
Un silenzio inquieto calò sul gruppo. Piper poteva capire dalle loro facce che molti di
loro stavano cercando di tradurre i versi. Capiva che era Latino, ma non era sicura
del perché il suo, con un po’ di fortuna, futuro fidanzato stava improvvisamente
intonando una cantilena come un prete cattolico.
“Hai appena… finito la profezia,” balbettò Rachel. “ – Con l’ultimo fiato un
giuramento si dovrà mantenere/e alle Porte della Morte, i nemici armati si dovran
temere. Come hai –“
“Conosco quei versi.” Jason sussultò e si portò le mani alle tempie. “Non so come,
ma conosco quella profezia.”
“In Latino, niente di meno,” disse Drew. “Bello e intelligente.”
Ci fu qualche risatina dalla cabina di Afrodite. Dio, che gruppo di perdenti, pensò
Piper. Ma non funzionò molto per sciogliere la tensione. Il falò stava bruciando con
una nervosa e caotica tonalità di verde.
Jason si mise seduto, apparentemente imbarazzato, ma Annabeth gli mise una mano
sulla spalla e gli bisbigliò qualcosa di rassicurante. Piper sentì una fitta di gelosia.
Avrebbe dovuto esserci lei accanto a lui, a confortarlo.
Rachel Dare sembrava ancora un po’ scossa. Lanciò un’occhiata verso Chirone per
una guida, ma il centauro era fosco e silenzioso, come se stesse guardando un’opera
che non poteva interrompere – una tragedia che terminava con un sacco di persone
morte sul palco.
“Bè,” disse Rachel, cercando di riprendere il controllo. “Quindi, sì, questa è la
Grande Profezia. Speravamo che potesse non accadere per anni, ma temo che stia
iniziando ora. Non posso darvi delle prove. E’ solo una sensazione. E, come ha detto
Drew, stanno succedendo delle cose strane. I sette semidei, chiunque essi siano,
non sono ancora stati riuniti. Ho la sensazione che alcuni sono qui stanotte. Altri
no.”
I campeggiatori cominciarono ad agitarsi e a mormorare, guardandosi
nervosamente a vicenda, finché una voce assonnata tra la folla urlò, “Sono qui! Oh…
stavate facendo l’appello?”
“Torna a dormire Clovis,” urlò qualcuno, e un sacco di persone risero.
“Ad ogni modo,” continuò Rachel, “non sappiamo cosa voglia dire la Grande
Profezia. Non sappiamo quale sfida affronteranno i semidei, ma visto che la prima
Grande Profezia ha predetto la Guerra dei titani, possiamo indovinare che la
seconda Grande Profezia parla di qualcosa come minimo altrettanto brutta.”
“O peggio,” mormorò Chirone.
Forse non aveva intenzione di farsi sentire da tutti, ma lo fecero. Il fuoco divenne
immediatamente viola scuro, lo stesso colore del sogno di Piper.
“Quello che sappiamo,” disse Rachel, “è che la prima fase è iniziata. Si è presentato
un problema più grande, e abbiamo bisogno di un’impresa per risolverlo. Era, la
regina degli dei, è stata presa.”
Silenzio scioccato. Poi cinquanta semidei cominciarono a parlare all’unisono.
Chirone sbatté di nuovo gli zoccoli, ma Rachel dovette comunque aspettare prima di
poter riacquistare la loro attenzione. Gli raccontò dell’incidente sullo skywalk del
Grand Canyon – di come Gleeson Hedge si era sacrificato quando gli spiriti delle
tempeste avevano attaccato, e gli spiriti avevano avvertito che era solo l’inizio. A
quanto pareva erano al servizio di qualche grande padrona che avrebbe distrutto
tutti i semidei.
Poi Rachel gli raccontò di come Piper era svenuta nella cabina di Era. Piper cercò di
mantenere un’espressione calma, anche quando notò Drew nella fila in fondo, che
mimava uno svenimento, e le sue amiche che ridacchiavano. Alla fine Rachel gli
raccontò della visione di Jason nel salone della Casa Grande. Il messaggio che Era
aveva inviato lì era così simile che a Piper vennero i brividi. L’unica differenza: Era
aveva avvertito Piper di non tradirla: Inchinati alla sua volontà, e il loro re sorgerà,
condannando tutti noi. Era sapeva della minaccia del gigante. Ma, se era vero,
perché non aveva avvertito Jason e denunciato Piper come nemica?
“Jason,” disse Rachel. “Um…ricordi il tuo cognome?”
Lui sembrava imbarazzato, ma scosse la testa.
“Allora ti chiameremo semplicemente Jason, “ disse Rachel. “E’ chiaro che Era in
persona ti ha affidato un’impresa.”
Rachel fece una pausa, come per dare a Jason il tempo di discutere del suo destino.
Gli occhi di tutti erano su di lui; c’era così tanta pressione che Piper pensava che, al
posto suo, lei si sarebbe deformata sotto la sua spinta. Ma nonostante tutto
appariva coraggioso e determinato. Deglutì e annuì. “Accetto.”
“Devi salvare Era per prevenire un grande male,” continuò Rachel. “Qualche tipo di
re che deve sorgere. Per delle ragioni che ancora non capiamo, deve essere fatto
entro il solstizio d’inverno, solo quattro giorni da oggi.”
“Quello è il giorno del concilio degli dei,” disse Annabeth. “Se gli dei ancora non
sanno che Era non c’è più, si accorgeranno senza dubbio della sua assenza per quel
giorno. Probabilmente finiranno per combattere, accusandosi a vicenda di averla
presa. E’ quello che fanno di solito.”
“Il solstizio d’inverno,” disse Chirone, “è anche il giorno più oscuro. Gli dei si
riuniscono quel giorno, come i mortali hanno sempre fatto, perché c’è forza nei
numeri. Il solstizio è un giorno nel quale la magia oscura è forte. Magia antica, più
vecchia degli dei. E’ un giorno nel quale le cose… si mescolano.”
Il modo in cui lo disse fece sembrare il verbo mescolarsi qualcosa di assolutamente
sinistro – come se si trattasse di un crimine di primo grado e non di qualcosa che fai
quando prepari i biscotti.
“Okay, “ disse Annabeth guardando male il centauro. “Grazie, Mister Chiarezza.
Qualsiasi cosa stia succedendo, sono d’accordo con Rachel. Jason è stato scelto per
guidare quest’impresa, quindi –“
“Perché non è stato riconosciuto?” urlò qualcuno dalla cabina di Ares. “Se è così
importante –“
“E’ stato riconosciuto,” annunciò Chirone. “Molto tempo fa. Jason, provaglielo.”
All’inizio, Jason sembrò non capire. Si fece avanti nervoso, ma Piper non poteva fare
a meno di pensare a quanto apparisse favoloso con i suoi capelli biondi che
brillavano alla luce del fuoco, con i suoi tratti regali simili a quelli di una statua
romana. Lanciò un’occhiata a Piper, e lei annuì incoraggiate. Gli mimò il gesto di
lanciare una moneta in aria.
Jason mise la mano in tasca. La sua moneta lampeggiò in aria, e quando la riprese,
teneva in mano una lancia – un’asta d’oro di circa due metri, con un’estremità
acuminata.
Gli altri semidei boccheggiarono. Rachel e Annabeth si tirarono indietro per evitare
la punta, che sembrava affilata come un rompighiaccio.
“Quella non era…” Annabeth esitò. “Credevo che avessi una spada.”
“Um, è uscita croce, credo,” disse Jason. “Stessa moneta, grande varietà di armi.”
“Amico, ne voglio una!” urlò qualcuno dalla cabina di Ares.
“Meglio di Spietata, la lancia elettrica di Clarisse!” concordò uno dei suoi fratelli.
“Elettrico,” mormorò Jason, come se fosse una buona idea. “State indietro.”
Annabeth e Rachel afferrarono il messaggio. Jason sollevò il suo giavellotto, e dei
tuoni scoppiarono nel cielo. Ogni pelo sulle braccia di Piper si drizzò. Dalla punta
della lancia dorata si sprigionarono delle saette e andarono a colpire il falò con la
potenza di un missile da artiglieria.
Quando il fumo si dissipò, e il fischio nelle orecchie di Piper morì, l’intero campo
rimase seduto scioccato, mezzo accecato, coperto da cenere, che fissava il punto
dove c’era il falò. Ovunque piovevano braci. Un ceppo in fiamme si era conficcato a
pochi centimetri dal ragazzo addormentato, Clovis, che non si era nemmeno mosso.
Jason abbassò la sua lancia. “Um… scusate.”
Chirone si spazzò via un po’ di brace ardente dalla barba. Fece una smorfia, come se
la sua paura più grande fosse stata confermata. “Un po’ eccessivo, forse, ma hai reso
l’idea. E credo che sappiamo chi sia tuo padre.”
“Giove,” disse Jason. “Voglio dire Zeus. Il Signore del Cielo.”
Piper non poté fare a meno di sorridere. Aveva perfettamente senso. Il dio più
potente, il padre di tutti gli eroi più grandi dei miti antichi – nessun altro avrebbe
potuto essere il padre di Jason.
A quanto pareva, il resto del campo non ne era così sicuro. Scoppiò il caos, con
dozzine di persone che facevano domande finché Annabeth non alzò le braccia.
“Fermatevi!” disse. “Come può essere il figlio di Zeus? I Tre Pezzi Grossi… il loro
patto di non avere dei figli mortali… come possiamo non aver saputo di lui prima?”
Chirone non rispose, ma Piper ebbe la sensazione che sapeva. E la verità non era
bella.
“La cosa importante,” disse Rachel, “è che Jason sia qui ora. Ha un’impresa da
portare a termine, il che vuol dire che avrà bisogno della sua profezia.”
Chiuse gli occhi e svenne. Due campeggiatori si lanciarono in avanti e la afferrarono.
Un terzo corse verso il lato dell’anfiteatro e acchiappò uno sgabello di bronzo a tre
gambe, come se fossero stati addestrati per questo compito. Adagiarono Rachel
sullo sgabello davanti al focolare distrutto. Senza il fuoco, la notte era scura, ma
della nebbia verde cominciò a turbinare intorno ai piedi di Rachel. Quando aprì gli
occhi, stavano brillando. Del fumo smerlando le uscì dalla bocca. La voce che ne
venne fuori era stridula e antica – il suono che farebbe un serpente se potesse
parlare:
“Diffida della terra, figlio delle saette,
La vendetta dei giganti farà nascere i sette,
La fucina e la colomba la gabbia spezzeranno,
E attraverso l’ira di Era la morte libereranno.”
Sull’ultima parola, Rachel crollò, ma i suoi aiutanti erano pronti a prenderla. La
trasportarono via dal focolare e la sdraiarono nell’angolo per riposare.
“E’ normale?” chiese Piper. Poi si accorse di aver parlato nel silenzio più assoluto, e
stavano tutti guardando lei. “Voglio dire… emette spesso del fumo verde?”
“Dei, quanto sei sciocca!” sghignazzò Drew. “Ha appena emesso una profezia – la
profezia di Jason per salvare Era! Perché non ti –“
“Drew,” scattò Annabeth. “Piper ha fatto una domanda lecita. Qualcosa su quella
profezia non è di sicuro normale. Se spezzare la gabbia di Era libererà la sua rabbia e
causerà un sacco di morte… perché dovremmo salvarla? Potrebbe essere una
trappola, o – o forse Era se la prenderà con i suoi salvatori. Non è mai stata
amichevole con gli eroi.”
Jason si alzò. “Non ho molta scelta. Era ha preso i miei ricordi. Li devo riprendere.
Inoltre, non possiamo semplicemente rifiutarci di aiutare la regina dei cieli se è nei
guai.”
Una ragazza della cabina di Efesto si alzò in piedi – Nyssa, quella con la bandana
rossa. “Forse. Ma dovresti dare retta ad Annabeth. Era sa essere vendicativa. Ha
buttato il suo stesso figlio – nostro padre – giù per una montagna solo perché era
brutto.”
“Davvero brutto,” ridacchiò qualcuno dalla cabina di Afrodite.
“Zitta!” ringhiò Nyssa. “Ad ogni modo, dobbiamo anche pensare – perché diffidare
della terra? E cos’è la vendetta dei giganti? Con cosa abbiamo a che fare qui di così
potente da rapire la regina dei cieli?”
Non rispose nessuno, ma Piper notò che Annabeth e Chirone stavano avendo una
conversazione silenziosa. Piper pensò che si svolgesse tipo:
Annabeth: La vendetta dei giganti… no, non può essere.
Chirone: Non ne parlare qui. Non li spaventare.
Annabeth: Mi stai prendendo in giro! Non possiamo essere così sfortunati.
Chirone: Più tardi, bambina. Se gli racconti tutto, sarebbero troppo terrorizzati per
agire.
Piper sapeva che era da pazzi pensare che fosse in grado di leggere così bene le loro
espressioni – due persone che conosceva appena. Ma era assolutamente sicura di
capirli e ciò le faceva accapponare la pelle.
Annabeth fece un respiro profondo. “E’ l’impresa di Jason,” annunciò, “quindi è la
scelta di Jason. Chiaramente, lui è il figlio delle saette. Secondo la tradizione, può
scegliere due compagni qualsiasi.”
Qualcuno dalla cabina di Hermes urlò, “Bè, ovviamente te, Annabeth. Hai più
esperienza di tutti.”
“No, Travis,” disse Annabeth. “Prima di tutto, non ho intenzione di aiutare Era. Ogni
volta che ci ho provato, lei mi ha ingannato, o mi si è rivoltato contro in seguito. Non
ci penso proprio. Assolutamente no. Secondo, parto immediatamente domattina
per trovare Percy.”
“E’ collegato,” disse Piper improvvisamente, non certa da dove avesse preso il
coraggio. “Lo sai che è vero, no? Tutta l’intera faccenda, la scomparsa del tuo
ragazzo – è tutto collegato.”
“Come?” chiese Drew. “Se sei così intelligente, come?”
Piper cercò di formulare una risposta, ma non ci riuscì.
Annabeth la salvò. “Potresti aver ragione Piper. Se è connesso, lo scoprirò dall’altro
capo – cercando Percy. Come ho detto, non mi precipiterò a salvare Era, anche se la
sua scomparsa porterà di nuovo gli dei dell’Olimpo a combattere. Ma c’è un’altra
ragione per la quale non posso andare. La profezia dice diversamente.”
“Dice chi sceglierò,” concordò Jason. “La fucina e la colomba la gabbia spezzeranno.
La fucina è il simbolo di Vul – Efesto.”
Sotto lo stendardo della Cabina Nove, le spalle si Nyssa crollarono, come se le fosse
stata appena data una pesante incudine da trasportare. “Se devi diffidare della
terra,” disse lei, “dovresti evitare di viaggiare per quella via. Ti servirà un trasporto
aereo.”
Piper stava per far notare che Jason poteva volare. Ma poi ci ripensò. Doveva essere
Jason a dirglielo, e lui non stava offrendo quell’informazione. Forse pensava di
avergli già spaventati abbastanza per una notte sola.
“Il carro volante è rotto,” continuò Nyssa, “e per quanto riguarda i pegasi, gli stiamo
usando per cercare Percy. Ma forse la cabina di Efesto può aiutare a trovare
qualcos’altro. Con Jake inabilitato, io sono il campeggiatore più anziano. Posso
offrirmi volontaria per l’impresa.”
Non sembrava entusiasta.
Poi si alzò Leo. Era stato così calmo che Piper si era quasi dimenticata che era lì, il
che non era assolutamente una cosa da Leo.
“Sono io,” disse.
I suoi compagni di cabina si agitarono. Molti cercarono di farlo rimettere a sedere,
ma Leo resistette.
“No, sono io. So che è così. Ho un’idea per il problema del trasporto. Lasciatemi
provare. Posso aggiustarlo!”
Jason lo studiò per un po’. Piper era sicura che stava per dirgli di no. Poi sorrise.
“Abbiamo iniziato questo insieme Leo. Sembra semplicemente giusto che venga
anche tu. Se ci trovi un passaggio, sei dentro.”
“Si!” Leo agitò il pugno.
“Sarà pericoloso,” lo avvertì Nyssa. “Avversità, mostri, terribili sofferenze. E’
possibile che nessuno di voi tornerà vivo.”
“Oh.” Improvvisamente Leo non sembrò più così emozionato. Poi si ricordò che
stavano guardando tutti. “Cioè… Oh, forte! Sofferenze?Adoro le sofferenze!
Facciamolo.”
Annabeth annuì. “Allora, Jason, devi solo scegliere il terzo membro dell’impresa. La
colomba -“
“Oh, assolutamente!” Drew era in piedi e lanciava un sorriso a Jason. “La colomba è
Afrodite. Lo sanno tutti. Sono completamente tua.”
Le mani di Piper si strinsero in due pugni. Si fece avanti. “No.”
Drew mandò gli occhi al cielo. “Oh, ti prego, ragazza Spazzatura. Fatti indietro.”
“Io ho avuto la visione di Era; non te. Devo farlo io.”
“Chiunque può avere una visione,” disse Drew. “Eri solo nel posto giusto al
momento giusto.” Si girò verso Jason. “Senti, combattere va bene, suppongo. E le
persone che costruiscono le cose…” Guardò Leo con disprezzo. “Bè, suppongo che
qualcuno debba sporcarsi le mani. Ma hai bisogno del fascino dalla tua parte. So
essere molto persuasiva. Potrei aiutare moltissimo.”
I campeggiatoti cominciarono a mormorare su quanto Drew fosse effettivamente
piuttosto persuasiva. Piper poteva vedere che Drew li stava convincendo. Persino
Chirone si stava accarezzando la barba, come se improvvisamente la partecipazione
di Drew fosse ragionevole anche per lui.
“Bè…” disse Annabeth. “Date le parole della profezia –“
“No!” Piper trovò il suono della sua stessa voce strano – più ostinato, più ricco nel
tono. “Devo andare io.”
Accadde la cosa più strana di tutte. Cominciarono tutti ad annuire, borbottando che
hmm, anche il punto di vista di Piper aveva senso. Drew si guardò intorno, incredula.
Persino alcuni dei suoi stessi campeggiatori stavano annuendo.
“Riprendetevi!” sbottò Drew alla folla. “Cosa sa fare Piper?”
Piper cercò di replicare, ma la sua confidenza cominciò a diminuire. Cosa poteva
offrire? Non era una combattente, o una pianificatrice, o una che sapeva aggiustare
le cose. Non aveva capacità a parte quella di mettersi nei guai e convincere di tanto
in tanto le persone a fare delle cose stupide.
In più, era una bugiarda. Doveva partecipare a quest’impresa per delle ragioni che
andavano molto oltre Jason – e se fosse veramente andata avrebbe finito con il
tradire tutti. Sentì quella voce dal sogno: Segui i nostri comandi, e potresti uscirne
viva. Come poteva fare una scelta del genere – tra l’aiutare suo padre e l’aiutare
Jason?
“Bè,” disse Drew compiaciuta, “Immagino che ciò risolva la questione.”
All’improvviso ci fu un rantolo collettivo. Fissarono tutti Piper come se fosse appena
esplosa. Si chiese cosa avesse fatto di sbagliato. Poi si rese conto che c’era un
bagliore rossastro intorno a lei.
“Cosa?” chiese.
Guardò in su, ma non c’erano simboli ardenti come quello che era apparso sopra a
Leo. Poi guardò in basso e strillò.
I suoi vestiti… cosa diavolo stava indossando? Lei disprezzava i vestiti. Non
possedeva un vestito. Ma ora era addobbata con un bellissimo vestito bianco senza
maniche che le scendeva fino alle caviglie, con uno scollo a V così profondo che era
assolutamente imbarazzante. Dei delicati bracciali d’oro le circondavano i bicipiti.
Una collana intricata fatta di ambra, corallo e fiori dorati le brillava sul petto, e i suoi
capelli…
“Oh, dio,” disse. “Cosa è successo?”
Una Annabeth sbalordita indicò il pugnale di Piper, che era ora oliato e splendente,
legato al suo fianco con un filo d’oro. Piper non voleva sguainarlo. Aveva paura di
quello che avrebbe visto. Ma la sua curiosità ebbe la meglio. Sguainò Katoptris e
fissò il suo riflesso nella lama di metallo lucida. I suoi capelli erano perfetti: lucenti e
lunghi e di un marrone cioccolato, intrecciati da un lato con fiocchi dorati così che le
ricadessero su una spalla. Era persino truccata, meglio di quanto Piper sarebbe mai
stata in grado di fare da sola – tocchi delicati che le facevano le labbra rosso ciliegia
e che facevano vedere tutti i diversi colori nei suoi occhi.
Era…era…
“Bellissima,” esclamò Jason. “Piper, tu… tu sei uno schianto.”
In circostanze diverse, quello sarebbe stato il momento più felice della sua vita. Ma
ora la stavano fissando tutti come se fosse un mostro. Il volto di Drew era carico di
orrore e disgusto. “No!” urlò. “Non è possibile!”
“Questa non sono io,” protestò Piper. “Non – capisco.”
Il centauro Chirone piegò le sue zampe anteriori e s’inchinò a lei, e tutti i
campeggiatori seguirono il suo esempio.
“Salutate Piper McLean,” annunciò Chirone in modo grave, come se stesse parlando
al suo funerale. “Figlia di Afrodite, signora delle colombe, dea dell’amore.”
11
LEO
Leo non rimase là quando Piper divenne bellissima. Certo, era fantastico e tutto il
resto – E’ truccata! E’ un miracolo! – ma Leo aveva dei problemi con i quali fare i
conti. Sgattaiolò via dall’anfiteatro e corse nell’oscurità, chiedendosi in cosa si fosse
cacciato.
Si era alzato davanti a un mucchio di semidei più forti e più coraggiosi di lui e si era
offerto volontario – volontario – per una missione dove sarebbe probabilmente
stato ucciso.
Non aveva parlato di aver visto Tia Callida, la sua vecchia babysitter, ma non appena
aveva sentito della visione di Jason – la donna con il vestito e il mantello neri – Leo
seppe che si trattava della stessa donna. Tia Callida era Era. La sua malvagia
babysitter era la regina degli dei. Cose del genere potevano veramente friggerti il
cervello.
Si trascinò verso la foresta e cercò di non pensare alla sua infanzia – tutti i pasticci
che avevano portato alla morte di sua madre. Ma non poté farne a meno.
***
La prima volta che Tia Callida aveva provato a ucciderlo, doveva aver avuto circa due
anni. Tia Callida stava badando a lui mentre sua madre si trovava all’officina. Non
era davvero sua zia, ovviamente – solo una delle vecchie donne della comunità, una
tia generica che aiutava a badare ai bambini. Odorava di prosciutto al miele, e
indossava sempre un vestito da vedova con un mantello nero.
“Facciamo un pisolino,” disse lei. “Vediamo se sei il mio coraggioso piccolo eroe,
eh?”
Leo era assonnato. Lo avvolse nelle coperte in un caldo cumulo di – cuscini? – rossi e
gialli. Il letto era simile a un nido scavato nel muro, fatto di mattoni anneriti, con
un’apertura di metallo sopra la sua testa e una cavità quadrata molto in alto, dalla
quale poteva vedere le stelle. Ricordò di riposare comodamente, afferrando le
scintille come fossero delle lucciole. Si assopì, e sognò una barca fatta di fuoco, che
navigava sulla brace. Immaginò se stesso a bordo, che attraversava il cielo. Da
qualche parte là vicino, Tia Callida sedeva nella sua sia a dondolo – creak, creak,
creak – e cantava una ninna nanna. Persino a due ani, Leo conosceva la differenza
tra l’inglese e lo spagnolo, e si ricordò che era confuso perché Tia Callida stava
cantando in una lingua che non era nessuna delle due.
Andava tutto bene finché sua madre non arrivò a casa. Urlò e si precipitò da lui per
tirarlo via, urlando a Tia Callida, “Come hai potuto?” Ma la vecchia signora era
scomparsa.
Leo si ricordò di aver guardato al di sopra della spalla di sua madre verso le fiamme
che avvolgevano le sue coperte. Solo molti anni dopo si era reso conto che aveva
dormito in un camino acceso.
La cosa più strana di tutte? Tia Callida non era stata arrestata o neanche bandita
dalla loro casa. Durante gli anni seguenti riapparve numerose volte. Una volta
quando Leo aveva tre anni, lei gli permise di giocare con i coltelli. “Devi imparare
presto a usare le lame,” insisteva, “se devi essere il mio eroe un giorno.” Leo era
riuscito a non uccidersi, ma aveva la sensazione che a Tia Callida non sarebbe
comunque importato. Quando Leo aveva quattro anni, Tia trovò per lui un serpente
a sonagli in un vicino pascolo di mucche. Gli diede un bastoncino e lo incoraggiò a
punzecchiare l’animale. “Dov’è il tuo coraggio, piccolo eroe? Mostrami che le Parche
avevano ragione ad averti scelto.” Leo fissò quegli occhi ambrati, sentendo il secco
shh-shh-shh del sonaglio del serpente. Non riusciva a colpire il serpente. Non
sembrava giusto. A quanto pareva il serpente credeva la stessa cosa riguardo il
mordere un bambino piccolo. Leo avrebbe potuto giurare che l’animale aveva
guardato Tia Callida come a dire, E’ matta signora? Poi era scomparso nell’erba alta.
L’ultima volta che gli fece da babysitter, Leo aveva cinque anni. Gli portò un pacco di
pastelli colorati e un blocco da disegno. Si sedettero insieme al tavolo da picnic sul
retro del condominio, sotto un vecchio nocciolo. Mentre Tia Callida cantava le sue
strane canzoni, Leo disegnò un’immagine della barca che aveva visto tra le fiamme,
con vele colorate e file di remi, una poppa dalla forma incurvata e una bellissima
testata. Quando aveva quasi finito, e stava per firmare con il suo nome come gli
avevano insegnato all’asilo, una folata di vento gli portò via il disegno. Volò nel cielo
e scomparve.
Leo voleva piangere. Ci aveva messo così tanto tempo per fare quel disegno – ma Tia
Callida schioccò le labbra con disappunto.
“Non è ancora il momento, piccolo eroe. Un giorno avrai la tua impresa. Troverai il
tuo destino, e il tuo duro viaggio avrà finalmente senso. Ma prima devi affrontare
molti dolori. Mi rincresce, ma gli eroi non possono essere forgiati in nessun altro
modo. Ora, fammi un fuoco, eh? Riscalda queste vecchie ossa.”
Pochi minuti più tardi arrivò la madre di Leo e urlò con orrore. Tia Callida era andata,
ma Leo era seduto in mezzo a un falò fumante. Il blocco di fogli di carta era ridotto
in cenere. I pastelli si erano sciolti in una colorata pozzanghera gorgogliante di
sostanza appiccicosa multicolore e le mani di Leo erano in fiamme, e stavano
lentamente bruciando il tavolo da picnic. Per anni, in seguito, le persone del
condominio si sarebbero domandate come qualcuno avesse potuto imprimere la
forma delle mani di un bambino di cinque anni a due centimetri e mezzo di
profondità nel legno solido.
Leo era ora certo che Tia Callida, la sua babysitter psicopatica, era sempre stata la
dea Era. Ciò la rendeva, cosa – la sua nonna divina? La sua famiglia era persino più
incasinata di quello che credeva.
Si chiedeva se sua madre sapeva la verità. Leo si ricordava che dopo quell’ultima
visita, sua madre l’aveva portato dentro e gli aveva fato una lunga chiacchierata, ma
lui aveva capito solo una parte di ciò.
“Lei non può tornare più.” Sua madre aveva un volto bellissimo con occhi gentili e
scuri capelli ricci, ma sembrava più grande di quello che era a causa del duro lavoro.
Le rughe intorno ai suoi occhi erano profonde. Le sue mani erano callose. Era stata
la prima persona della loro famiglia a essersi laureata al college. Aveva una laurea in
ingegneria meccanica e poteva progettare qualsiasi cosa, aggiustare qualsiasi cosa,
costruire qualsiasi cosa.
Non la voleva assumere nessuno. Nessuna compagnia la prendeva seriamente, così
era finita in un negozio di meccanica, a cercare di guadagnare abbastanza per
sostenere loro due. Odorava sempre di olio per macchine, e quando parlava con Leo
passava costantemente dallo spagnolo all’inglese – usandoli come attrezzi
complementari. A Leo aveva impiegato anni per capire che non tutti parlavano in
quel modo. Gli aveva persino insegnato il codice Morse come una sorta di gioco, così
potevano trasmettersi i messaggi a vicenda quando si trovavano in stanze diverse: Ti
voglio bene. Tutto okay? Semplici cose del genere.
“Non mi interessa quello che dice Callida,” gli aveva detto sua madre. “Non
m’importa del destino e delle Parche. Sei troppo giovane per questo. Sei ancora il
mio bambino.”
Gli aveva preso le mani, in cerca di ustioni, ma ovviamente non ce n’erano. “Leo,
ascoltami. Il fuoco è uno strumento, come qualsiasi altra cosa, ma è più pericoloso
della maggior parte delle altre cose. Non conosci i tuoi limiti. Ti prego, prometti –
niente più fuoco finché non incontrerai tuo padre. Un giorno, mijo, lo incontrerai.
Lui ti spiegherà tutto.”
Leo aveva sentito parlare di quello da tanto quanto era in grado di ricordarsi. Un
giorno avrebbe incontrato suo padre. Sua madre non rispondeva a nessuna
domanda che lo riguardava. Leo non l’aveva mai incontrato, non aveva mai
nemmeno visto delle foto, ma lei ne parlava come se fosse appena uscito per andare
a compare il latte e sarebbe tornato tra qualche minuto. Leo aveva provato a
crederle. Un giorno, tutto avrebbe avuto senso.
Per i successivi due anni, furono felici. Leo si era quasi dimenticato di Tia Callida.
Continuava a fare sogni sulla barca volante, ma anche gli altri strani eventi
sembravano un sogno.
Andò tutto a rotoli quando aveva otto anni. A quel tempo ormai, passava ogni ora
libera al negozio con sua madre. Sapeva come usare i macchinari. Era in grado di
misurare e fare calcoli matematici meglio della maggior parte degli adulti. Aveva
imparato a pensare tridimensionalmente, risolvendo i problemi meccanici nella sua
testa come faceva sua madre. Una notte, erano rimasti fino a tardi perché lei stava
concludendo un modello di punta da trapano che sperava di brevettare. Se fosse
riuscita a vendere il prototipo, le loro vite sarebbero potute cambiare. Avrebbe
finalmente potuto prendersi una pausa.
Mentre lei lavorava, Leo le passava i viveri e le raccontava barzellette sul grano,
cercando di mantenerla su con lo spirito. Adorava farla ridere. Lei sorrideva e diceva,
“Tuo padre sarebbe fiero di te, mijo. Lo incontrerai presto, ne sono certa.”
L’ufficio da lavoro della madre si trovava in fondo al negozio. Di notte era piuttosto
inquietante, perché erano le uniche persone a stare là. Ogni suono riecheggiava
attraverso il magazzino buio, ma a Leo non importava fintanto che si trovava con sua
madre. Quando si aggirava per il negozio, potevano sempre tenersi in contatto con il
codice Morse. Quando erano pronti per andare via, dovevano attraversare tutto il
locale, la stanza della ricreazione e uscire nel parcheggio, chiudendo le porte dietro
di loro.
Quella notte dopo aver finito, erano appena arrivati nella stanza della ricreazione
quando sua madre si accorse di non avere le chiavi.
“Strano.” Si accigliò. “Ero sicura di averle. Aspetta qui, mijo. Ci vorrà solo un
minuto.”
Gli fece un sorriso – l’ultimo che avrebbe mai ricevuto – e rientrò nel magazzino.
Erano passati solo pochi secondi da quando se n’era andata quando la porta interna
si chiuse con forza. Poi quella esterna si chiuse da sola.
“Mamma?” Il cuore di Leo martellava. Qualcosa di pesante di schiantò all’interno del
magazzino. Corse verso la porta, ma non importava con quanta forza tirasse o
calciasse, quella non si apriva. “Mamma!” Freneticamente, picchiettò un messaggio
sul muro: Stai bene?
“Non può sentirti,” disse una voce.
Leo si girò e di ritrovò davanti una strana donna. All’inizio pensò che si trattasse di
Tia Callida. Era avvolta in vestiti neri, con un velo che le copriva il volto.
“Tia?” disse lui.
La donna ridacchiò, un suono lento e gentile, come se fosse mezza addormentata.
“Non sono il tuo guardiano. E’ semplicemente una somiglianza di famiglia.”
“Cosa – cosa vuoi? Dov’è mia madre?”
“Ah… fedele a tua madre. Che carino. Ma, vedi, anche io ho dei figli… e ho capito che
un giorno li affronterai. Quando proveranno a svegliarmi, tu li fermerai. Non posso
permetterlo.”
“Io non ti conosco. Non voglio affrontare nessuno.”
Mormorò come un sonnambulo in trance, “Scelta saggia.”
Con un brivido, Leo si accorse che, in effetti, la donna era addormentata. Dietro il
velo, i suoi occhi erano chiusi. Ma cosa ancora più strana: i suoi vestiti non erano
fatti di stoffa. Erano fatti di terra – scura terra asciutta, che le si agitava e spostava
tutto intorno. Il suo volto pallido e dormiente era appena visibile dietro una tenda di
pulviscolo, e aveva l’orribile sensazione che fosse appena risorta dalla tomba. Se la
donna era addormentata, Leo voleva che ci rimanesse. Sapeva che completamente
sveglia sarebbe stata persino più terribile.
“Non posso ancora distruggerti,” mormorò la donna. “Le Parche non lo
permetteranno. Ma loro non proteggono tua madre, e non possono impedirmi di
ferirti nello spirito. Ricorda questa notte, piccolo eroe, quando ti chiederanno di
metterti contro di me.”
“Lascia in pace mia madre!” La paura gli salì in gola mentre la donna si trascinava
avanti. Si muoveva più come una valanga che come una persona, uno scuro muro di
terra che si spostava verso di lui.
“Come mi fermerai?” sussurrò lei.
Camminò dritta attraverso un tavolo, le particelle del suo corpo che si
riassemblavano dall’altra parte.
Incombeva su Leo, e sapeva che avrebbe attraversato anche lui. Era la sola cosa tra
lei e sua madre.
Le sue mani presero fuoco.
Un sorriso assonnato si diffuse sul volto della donna, come se avesse già vinto. Leo
urlò di disperazione. La sua vista si fece rossa. Le fiamme si riversarono sulla donna
di terra, sulle pareti, sulle porte chiuse. E Leo perse conoscenza.
Quando si svegliò, era in un’ambulanza.
Il paramedico cercò di essere gentile. Gli disse che il magazzino era bruciato. Sua
madre non ce l’aveva fatta. Il paramedico disse che era dispiaciuta, ma Leo si sentiva
vuoto. Aveva perso il controllo, proprio come aveva avvertito sua madre. La sua
morte era colpa sua.
Presto la polizia venne a prenderlo, e non fu altrettanto gentile. L’incendio aveva
avuto origine nella stanza della ricreazione, dissero, proprio dove si trovava Leo. Era
sopravvissuto per miracolo, ma che genere di figlio chiude le porte dello studio di
sua madre, sapendo che lei si trovava all’interno, e appiccava un incendio?
In seguito, i suoi vicini del condominio raccontarono alla polizia che strano ragazzo
fosse. Parlarono delle impronte di mani marchiate sul tavolo da picnic. Avevano
sempre saputo che c’era qualcosa che non andava con il figlio di Esperanza Valdez.
I suoi parenti non lo vollero con loro. Sua Zia Rosa lo chiamò diablo e urlò agli
assistenti sociali di portarlo via. Così Leo andò nella sua prima famiglia adottiva.
Pochi giorni dopo, scappò. Alcune famiglie durarono più di altre. Scherzava, si faceva
dei nuovi amici, faceva finta che nulla lo preoccupasse, ma presto o tardi finiva
sempre con lo scappare. Era l’unica cosa che migliorava il dolore – sentirsi come se si
stesse muovendo, allontanandosi sempre di più dalle ceneri di quell’officina.
Si era ripromesso che non avrebbe mai più giocato con il fuoco. Non aveva pensato
a Tia Callida, o alla donna addormentata avvolta in vestiti di terra, per tanto tempo.
Era quasi arrivato alla foresta quando s’immaginò la voce di Tia Callida: Non è stata
colpa tua, piccolo eroe. Il nostro nemico si sveglia. E’ giunto il momento di smettere
di correre.
“Era,” mormorò Leo, “non sei nemmeno qui, non è vero? Sei in una gabbia da
qualche parte.”
Non ci fu risposta.
Ma ora, almeno, Leo capiva una cosa. Era l’aveva tenuto d’occhio per tutta la vita. In
qualche modo, sapeva che un giorno avrebbe avuto bisogno di lui. Forse quelle
Parche delle quali aveva parlato potevano prevedere il futuro. Leo non ne era sicuro.
Ma sapeva che era destinato a partecipare a quest’impresa. La profezia di Jason gli
avvertiva di diffidare della terra, e Leo sapeva che aveva qualcosa a che fare con
quella donna addormentata nel negozio, avvolta in vestiti di terra che le si muoveva
attorno.
Troverai il tuo destino, aveva promesso Tia Callida. Il tuo duro viaggio avrà
finalmente senso.
Leo avrebbe potuto scoprire il significato della barca volante dei suoi sogni. Avrebbe
potuto incontrare suo padre, o persino potuto vendicare la morte di sua madre.
Ma prima le cose più importanti. Aveva promesso a Jason un trasporto volante.
Non la barca dei suoi sogni – non ancora. Non c’era tempo di costruire qualcosa di
così complicato. Aveva bisogno di una soluzione più immediata. Aveva bisogno di un
drago.
Esitò sul margine della foresta, scrutando nell’oscurità più assoluta. I gufi
emettevano i loro versi, e qualcosa di lontano sibilava come un coro di serpenti.
Leo si ricordò cosa gli aveva detto Will Solace: nessuno dovrebbe andare nella
foresta da solo, di sicuro non disarmato. Leo non aveva nulla – niente spada,
nessuna pila, nessun aiuto.
Lanciò un’occhiata indietro alle luci delle cabine. Avrebbe potuto tornare indietro
seduta stante e dire a tutti che stava scherzando. Ve l’ho fatta! Nyssa avrebbe
invece potuto partecipare all’impresa. Lui sarebbe potuto rimanere al campo e
imparare a essere parte della cabina di Efesto, ma si chiese quanto ci sarebbe voluto
perché diventasse come i suoi compagni – triste, scoraggiato, certo della sua
sfortuna.
Non possono impedirmi di ferirti nello spirito, aveva detto la donna addormentata.
Ricorda questa notte, piccolo eroe, quando ti chiederanno di metterti contro di me.
“Credimi, signora,” mormorò Leo, “me la ricordo. E chiunque tu sia, ti colpirò
duramente, in stile Leo.”
Fece un respiro profondo e s’immerse nella foresta.
12
LEO
La foresta non assomigliava a nessuno dei posti nei quali era stato fino a quel
momento. Leo era stato cresciuto in un complesso di appartamenti nella parte nord
di Houston. La cosa più selvaggia che aveva mai visto erano quel serpente a sonagli
nel pascolo di mucche e sua zia Rosa in camicia da notte, finché non era stato
mandato alla Wilderness School.
Persino là, la scuola era nel deserto. Niente alberi con radici nodose sulle quali
inciampare. Nessun fiume nel quale cadere. Niente rami che proiettavano ombre
scure e spaventose e gufi che lo guardavano con i loro grandi occhi riflettenti. Quella
era la Zona Grigia.
Incespicò in avanti finché non fu certo che nessuno dalle cabine potesse vederlo. Poi
evocò il fuoco. Le fiamme gli danzarono sulle punte delle dita, emettendo
abbastanza luce da permettergli di vedere. Non aveva provato a mantenere accesa
una fiamma costante da quando aveva cinque anni, a quel tavolo da picnic. Dalla
morte di sua madre, era stato troppo spaventato per provare qualsiasi cosa. Persino
questo piccolo fuoco lo faceva sentire in colpa.
Continuò a camminare, in cerca d’indizi da drago – impronte giganti, alberi
calpestati, fasce di foresta bruciate. Una cosa così grossa non poteva esattamente
aggirarsi di nascosto, giusto? Ma non vide nada. Una volta intravide una sagoma
grossa e pelosa, simile a un lupo o a un orso, ma si tenne alla larga dal suo fuoco,
cosa che gli andava bene.
Poi, alla fine di una radura, vide la prima trappola – un cratere largo trenta metri
circondato da sassi.
Leo doveva ammettere che era piuttosto ingegnoso. Al centro della concavità, una
vasca di metallo grande quanto una vasca idromassaggio era stata riempita con un
gorgogliante liquido scuro – salsa Tabasco e olio da motori. Su un piedistallo sospeso
sopra la vasca, ruotava un ventilatore elettrico, diffondendo i vapori per la foresta. I
draghi di metallo potevano annusare?
La vasca sembrava incustodita. Ma Leo guardò più attentamente, e con la luce fioca
delle stelle e il suo fuoco a mano potè vedere il bagliore del metallo sotto terra e
foglie – una rete di bronzo ricopriva l’intero cratere. O forse vedere non era la parola
esatta – poteva avvertire la sua presenza, come se il meccanismo stesse emettendo
calore, mostrandosi a lui. Sei grandi fasce di bronzo si stendevano dalla vasca verso
l’esterno come i raggi di una ruota. Probabilmente erano sensibili alla pressione,
indovinò Leo. Appena il drago ne avesse calpestata una, la rete sarebbe scattata e
voilà – un mostro impacchettato.
Leo si sporse più vicino. Mise il piede sulla fascia a innesco più vicina. Come si
aspettava, non successe nulla. Dovevano aver impostato la rete per qualcosa di
davvero pesante. Altrimenti avrebbero catturato un animale, un umano, un mostro
più piccolo, qualsiasi cosa. Dubitava che ci fosse qualcosa di pesante come un drago
di metallo in quei boschi. Almeno, sperava che non ci fosse.
Si fece strada giù per il cratere e si avvicinò alla vasca. I vapori erano quasi
insopportabili, e i suoi occhi cominciarono a lacrimare. Si ricordò di una volta
quando Tia Callida (la dea Era, quello che era) gli aveva fatto tagliare dei peperoncini
jalapeño in cucina e gli era andato il succo negli occhi. Dolore serio. Ma ovviamente
lei era stata del tipo, “Resisti, piccolo eroe. Gli Aztechi della terra di origine di tua
madre punivano i bambini cattivi tenendoli sospesi sopra un fuoco pieno di
peperoncini. Hanno cresciuto molti eroi in quel modo.”
Una totale psicopatica, quella signora. Leo era così contento di far parte di
un’impresa per salvarla.
Tia Callida avrebbe adorato questa vasca, perché era molto peggio del succo di
jalapeño. Leo cercò una leva – qualcosa che avrebbe messo fuori uso la rete. Non
vide nulla.
Fu colto da un attimo di panico. Nyssa aveva detto che c’erano numerose trappole
come questa nella foresta, e ne stavano preparando ancora. Se il drago era già
caduto in una di quelle? Come poteva Leo trovarle tutte?
Continuò a cercare, ma non vide nessun meccanismo di rilascio. Nessun grosso
bottone con la scritta OFF. Gli venne in mente che poteva non essercene nessuno.
Cominciò a perdere la speranza – e poi sentì il suono.
Era più un fremito – quel brontolio profondo che senti nella pancia, più che con le
orecchie. Gli dava i brividi, ma non si guardò intorno per cercarne l’origine. Continuò
semplicemente a esaminare la trappola, pensando, Ci deve essere un modo per
disattivarla. Si sta facendo strada nella foresta. Devo sbrigarmi.
Poi udì uno sbuffo stridente, come del vapore che veniva spinto fuori da un barile di
metallo.
Il suo collo formicolò. Si girò lentamente. Sul bordo della cava, a quindici metri di
distanza, due brillanti occhi rossi lo stavano fissando. La creatura brillava alla luce
della luna, e Leo non riusciva a credere che qualcosa di così enorme gli si fosse
avvicinato di soppiatto così in fretta. Troppo tardi, si rese conto che il suo sguardo
era puntato sul fuoco sulla sua mano, ed estinse velocemente le fiamme.
Riusciva ancora a vedere perfettamente il drago. Era lungo circa venti metri, dal
muso alla coda, il suo corpo era fatto di piastre di bronzo interconnesse. I suoi artigli
erano grandi come coltelli da macellaio, e nella bocca aveva centinaia di denti di
metallo affilati come pugnali. Dalle narici gli usciva del fumo. Ringhiò facendo un
rumore simile a quello di una motosega che sta tagliando un albero. Avrebbe
facilmente potuto tagliare Leo a metà, oppure spiaccicarlo. Era la cosa più bella che
avesse mai visto, tranne che per un problema che rovinò completamente il piano di
Leo.
“Non hai le ali,” disse Leo.
Il ringhio del drago morì. Inclinò la testa come a dire, Perché non stai fuggendo
terrorizzato?
“Hey, senza offesa,” disse Leo. “Sei fantastico! Buon dio, chi ti ha fatto? Sei
alimentato da un sistema idraulico, nucleare, o cosa? Ma se fosse stato per me, ti
avrei fatto delle ali. Quale drago non ha le ali? Forse sei troppo pesante per volare?
Avrei dovuto immaginarlo.”
Il drago sbuffò, ora più confuso. Avrebbe dovuto calpestare Leo. Questa cosa della
conversazione non era parte del piano. Fece un passo in avanti, e Leo urlò, “No!”
Il drago ringhiò di nuovo.
“E’ una trappola, cervello di bronzo,” disse Leo. “Stanno cercando di catturarti.”
Il drago aprì la bocca e sputò fuoco. Una colonna di fiamme così calde da essere
bianche investì Leo, molto più di quello al quale aveva provato a resistere fino a quel
momento. Si sentì come se lo stessero colpendo con un potente, caldissimo idrante
sputa fuoco. Pizzicava un po’, ma rimase dov’era. Quando le fiamme morirono, stava
assolutamente bene. Persino i suoi vestiti erano apposto, cosa che Leo non capiva,
ma per la quale era grato. Gli piaceva il suo giacchetto militare, e avere i pantaloni
ridotti in cenere sarebbe stato piuttosto imbarazzante.
Il drago fissò Leo. Il suo volto non cambiò, essendo fatto di metallo, ma Leo pensò di
riuscire a leggere la sua espressione: Perché nessun corpo carbonizzato? Dal collo gli
scoppiò una scintilla come se stesse per andare in corto circuito.
“Non puoi bruciarmi,” disse Leo cercando di suonare duro e calmo. Non aveva mai
avuto un cane, ma parlò al drago così come pensava si dovesse parlare a un cane.
“Resta, bello. Non ti avvicinare. Non voglio che ti catturino. Sai, pensano che tu sia
rotto e che debba essere abbattuto. Ma io non credo. Posso aggiustarti se mi lasci –“
Il drago cigolò, ruggì e caricò. La trappola scattò. Il pavimento del cratere eruttò
producendo un suono simile a quello di un migliaio di bidoni della spazzatura
sbattuti uno contro l’altro. La terra e le foglie volarono, la rete di metallo balenò.
Leo fu buttato a terra, rigirato con le gambe in aria e gettato nella salsa di Tabasco e
olio. Si ritrovò stretto tra la vasca e il drago, mentre questo si agitava cercando di
liberarsi dalla rete che si era avvolta intorno a entrambi.
Il dragò sputò fuoco in ogni direzione, illuminando il cielo e mandando gli alberi a
fuoco. Olio e salsa bruciavano tutto intorno a loro. Ciò non feriva Leo, ma gli lasciava
un sapore disgustoso in bocca.
“La vuoi smettere!” urlò.
Il drago continuò a dimenarsi. Leo capì che sarebbe stato schiacciato se non si fosse
mosso. Non fu facile, ma riuscì a uscire contorcendosi dallo spazio tra il drago e la
vasca. Si fece strada dimenandosi attraverso la rete. Fortunatamente, i fori erano
grandi in abbondanza per un ragazzo magrolino.
Corse verso la testa del drago. Questo cercò di morderlo, ma i suoi denti erano
incastrati nella maglia. Sputò nuovamente fuoco, ma sembrava che stesse andando
a corto di energia. Questa volta le fiamme erano solo arancioni. Si spensero prima
ancora di raggiungere la faccia di Leo.
“Ascolta amico,” disse Leo, “così non farai altro che rivelargli dove ti trovi. Allora
arriveranno e porteranno l’acido e le seghe metalliche. E’ questo quello che vuoi?”
La gola del drago fece un suono stridente, come se stesse cercando di parlare.
“Okay allora,” disse Leo. “Dovrai fidarti di me.”
E Leo si mise all’opera.
Gli ci volle circa un’ora per trovare il pannello di controllo. Era esattamente dietro la
testa del drago, cosa piuttosto sensata. Aveva deciso di lasciarlo nella rete, perché
era più facile lavorare con lui bloccato, ma al drago la cosa non piacque.
“Stai fermo!” lo brontolò Leo.
Il drago fece un altro suono stridente, che avrebbe potuto essere un piagnucolio.
Leo esaminò i fili all’interno della testa. Fu distratto da un suono nella foresta, ma
quando alzò lo sguardo vide che si trattava solo di uno spirito degli alberi – una
driade, Leo credeva che fosse quello il loro nome – che stava estinguendo le fiamme
dai suoi rami. Fortunatamente, il drago non aveva provocato un incendio
devastatore della foresta, ma la driade non era comunque troppo contenta. Il
vestito della ragazza stava fumando. Soffocò le fiamme con una coperta di seta, e
quando si accorse che Leo la stava osservando, fece un gesto che doveva essere
molto volgare nella lingua delle driadi. Poi scomparve in una nuvola di nebbia verde.
Leo riportò la sua attenzione all’impianto di controllo. Era ingegnoso, non c’erano
dubbi, e capiva come funzionava. Quello era il trasmettitore di controllo del motore.
Quello convertiva gli impulsi sensoriali degli occhi. Quel disco…
“Ha,” disse. “Bè, non c’è da stupirsi.”
Creak? chiese il drago con la gola.
“Hai il disco di controllo corroso. Probabilmente regola i tuoi circuiti di
ragionamento più elevati, giusto? Mente arrugginita amico. Non c’è da stupirsi che
tu sia un po’… confuso.” Stava per dire matto, ma si corresse. “Vorrei avere un disco
sostitutivo, ma… questo è un complicato pezzo di elettronica. Dovrò estrarlo e
ripulirlo. Solo un minuto.” Tirò fuori il disco, e il drago si immobilizzò. Il luccichio nei
suoi occhi si spense. Leo scivolò giù dal suo dorso e cominciò a pulire il disco. Assorbì
un po’ di olio e salsa tabasco con la manica, che lo aiutò a levare la sporcizia, ma più
puliva, più diventava preoccupato. Alcuni circuiti erano irrimediabilmente
danneggiati. Poteva migliorarlo, ma non renderlo perfetto. Per quello, gli sarebbe
servito un disco completamente nuovo, e non aveva idea di come costruirne uno.
Cercò di lavorare velocemente. Non era certo di quanto tempo il disco di controllo
del drago poteva essere disattivato senza danneggiarlo – forse per sempre – ma non
voleva rischiare. Una volta fatto il meglio che poteva, rimontò sulla testa del drago e
cominciò a pulire l’impianto dei fili e il complesso di ingranaggi, sporcandosi
enormemente durante il processo.
“Mani pulite, attrezzatura sporca,” borbottò, una cosa che era solita dire sua madre.
Quando ebbe finito, le sue mani erano nere di grasso e dai suoi vestiti sembrava che
avesse appena perso una sfida di wrestling nel fango, ma il meccanismo aveva un
aspetto davvero migliore. Fece scivolare il disco all’interno, collegò l’ultimo filo e si
accesero delle scintille. Il drago fu percorso da un brivido. I suoi occhi cominciarono
a brillare.
“Meglio?” chiese Leo.
Il drago fece un suono simile a una trivella ad alta velocità. Aprì la bocca e tutti i suoi
denti ruotarono.
“Immagino che sia un sì. Aspetta un attimo, ti libero.”
Altri trenta minuti per trovare le morse di rilascio della rete e per districare il drago,
ma alla fine si mise in piedi e si scosse di dosso gli ultimi rimasugli di rete. Ruggì
trionfante e sputò fuoco verso il cielo.
“Seriamente,” disse Leo. “Potresti non metterti in mostra?”
Creak? chiese il drago.
“Hai bisogno di un nome,” decise Leo. “Ti chiamerò Festus.”
Il drago fece ronzare i denti e sorrise. Almeno, Leo sperava che fosse un sorriso.
“Forte,” disse Leo. “Ma abbiamo ancora un problema, perché tu non hai le ali.”
Festus inclinò la testa e sbuffò vapore. Poi abbassò la schiena in un gesto
inequivocabile. Voleva che Leo lo montasse.
“Dove adiamo?” chiese Leo.
Ma era troppo emozionato per aspettare una risposta. Montò sulla schiena del
drago, e Festus si lanciò nella foresta.
***
Leo perse la concezione del tempo e tutti i sensi di orientamento. Sembrava
impossibile che i boschi potessero essere così vasti e selvaggi, ma il drago viaggiò
finché gli alberi non divennero come dei grattacieli e la volta di foglie non impedì
completamente la vista delle stelle. Persino il fuoco nella mano di Leo non avrebbe
potuto illuminare la via, ma i rossi occhi brillanti del drago facevano da fari.
Alla fine attraversarono un fiume e arrivarono a un vicolo cieco, un dirupo calcareo
altro trenta metri – una massa solida e liscia che il drago non sarebbe mai stato in
gradi di scalare.
Festus si fermò alla base e sollevò una zampa come un cane in posizione di punta.
“Cosa c’è?” Leo scivolò a terra. Camminò fino alla rupe – niente a parte roccia solida.
Il drago continuò a puntare.
“Non si sposterà da qui,” gli disse Leo.
Il filo scoperto nel collo del drago mandò delle scintille, ma a parte ciò rimase
immobile. Leo appoggiò la mano alla parete di roccia. All’improvviso le sue dita
cominciarono a fumare. Delle linee infuocate gli si svilupparono dalla punta delle
dita come della polvere da sparo che veniva incendiata, sfrigolando lungo la pietra
calcarea. Le righe in fiamme corsero attraverso la parete del dirupo finché non
ebbero profilato una porta rossa incandescente cinque volte più alta di Leo. Lui si
fece indietro e la porta si spalancò, in maniera sinistramente silenziosa per una
lastra di roccia così grande.
“Perfettamente bilanciata,” borbottò. “Questo è un marchingegno di prima classe.”
Il drago si sbloccò e marciò all’interno, come se stesse andando a casa.
Leo varcò la soglia, e la porta cominciò a richiudersi. Ebbe un attimo di panico,
ricordandosi quella notte di tanto tempo fa nell’officina, quando era stato chiuso
dentro. E se fosse rimasto bloccato là dentro? Ma poi le luci si accesero guizzando –
una combinazione di luci al neon e torce montate sul muro. Quando Leo vide la
caverna, si dimenticò dell’andarsene.
“Festus,” mormorò. “Cos’è questo posto?”
Il drago si mise al centro della stanza, lasciando delle impronte nello spesso strato di
polvere, e si raggomitolò su una grande piattaforma circolare.
La cava era grande come un hangar di aeroplani, con tavoli da lavoro senza fine e
armadi di metallo, file di porte grandi come quelle di un garage lungo tutte e due le
pareti, e delle scale che portavano a un reticolo di passerelle più in alto. Ovunque
c’erano delle attrezzature – ascensori idraulici, pistole da saldatura, tute da lavoro,
spara aria, carrelli elevatori, e qualcosa che assomigliava in maniera sospettosa a
una camera a reazione nucleare. Le bacheche erano ricoperte da progetti a brandelli
e scoloriti. E armi, armature, scudi – fornitura da guerra ovunque, gran parte della
quale solo in parte conclusa.
Appeso a delle catene molto al di sopra della piattaforma del drago c’era un vecchio
stendardo malconcio quasi troppo scolorito per essere letto. Le lettere erano
greche, ma in qualche modo Leo sapeva cosa dicevano: BUNKER 9.
Nove come la cabina di Efesto, o nove nel senso che ce n’erano altri otto? Leo
guardò Festus, sempre raggomitolato sulla piattaforma, e arrivò a capire che il drago
sembrava così soddisfatto perché quella era casa. Probabilmente era stato costruito
su quella lastra.
“Gli altri ragazzi sanno…?” La domanda di Leo morì mentre la formulava.
Chiaramente, quel posto era stato abbandonato da decenni. Polvere e ragnatele
coprivano ogni cosa. Il pavimento non rivelava altre impronte a parte le sue e le
enormi zampate del drago. Lui era la prima persona che entrava in quel bunker da…
da molto tempo. Il Bunker 9 era stato abbandonato con un sacco di progetti mezzi
finiti sui tavoli. Chiuso e dimenticato, ma perché?
Leo guardò una mappa sul muro – una mappa da battaglia del campo, ma la carta
era spaccata e gialla come la buccia di una cipolla. In fondo alla pagina una data
diceva, 1864.
“Non è possibile,” mormorò.
Poi vide un progetto su una bacheca là vicino, e per poco il cuore non gli balzò in
gola. Corse al tavolo da lavoro e fissò un disegno su carta bianca tanto sbiadito da
essere quasi irriconoscibile: una nave greca vista da numerose diverse prospettive.
Sotto erano state scarabocchiate delle parole appena visibili: PROFEZIA? CONFUSO.
VOLO?
Era la nave che aveva visto nei suoi sogni – la nave volante. Qualcuno lì aveva
provato a costruirla, o aveva come minimo buttato giù l’idea. Poi era stata
abbandonata, dimenticata… una profezia che doveva ancora arrivare. E, cosa più
strana di tutte, la testata della nave era esattamente come quella che Leo aveva
disegnato a cinque anni – la testa di un drago.
“Ti assomiglia Festus,” mormorò. “Inquietante.”
La testata gli dava una sensazione spiacevole, ma la mente di Leo vorticava con
troppe altre domande per pensarci troppo. Toccò il progetto, sperando di poterlo
staccare per studiarlo, ma la carta scricchiolò al solo tocco, così la lasciò stare. Si
guardò intorno per altri indizi. Nessuna barca. Nessun pezzo che assomigliasse alle
parti di quel progetto, ma c’erano così tante porte e ripostigli da esplorare.
Festus sbuffò come se stesse cercando di attirare l’attenzione di Leo, ricordandogli
che non avevano tutta la notte. Era vero. Leo pensò che si sarebbe fatto giorno in
poche ore, ed era stato completamente distolto dall’obiettivo principale. Aveva
salvato il drago, ma non l’avrebbe aiutato nell’impresa. Aveva bisogno di qualcosa
che fosse in grado di volare.
Festus gli spinse qualcosa vicino – una cintura porta attrezzi di pelle che era stata
lasciata vicino alla sua piattaforma di costruzione. Poi il drago accese i suoi fasci di
luce rossa dagli occhi e gli rivolse verso il soffitto. Leo guardò in alto, dove stavano
puntando i proiettori, e gridò quando riconobbe le sagome appese sopra di loro
nell’oscurità.
“Festus,” disse con voce piccola. “Abbiamo del lavoro da fare.”
13
JASON
Jason sognò i lupi.
Si trovava in una radura nel mezzo di una foresta di sequoie. Di fronte a lui c’erano
le rovine di una residenza fatta di pietra. Delle basse nuvole grigie si fondevano con
la nebbia a terra, e della pioggia fredda era sospesa nell’aria. Un branco di grosse
belve grigie gli girava attorno, strofinandosi contro le sue gambe, ringhiando e
mostrando i denti. Lo spinsero gentilmente verso le rovine.
Jason non aveva nessun desiderio di diventare il biscotto per cani più grande del
mondo, così decise di fare ciò che volevano.
Il terreno era una poltiglia molle sotto i suoi piedi. I pinnacoli di pietra dei comignoli,
ormai non più attaccati a qualcosa, si ergevano come delle statue di totem. La casa
doveva essere stata gigantesca un tempo, a più piani con enormi pareti fatte di
legno e un alto tetto spiovente, ma ora non rimaneva più nulla a parte il suo
scheletro di pietra. Jason passò sotto una soglia che si stava sgretolando e si ritrovò
in una specie di cortile.
Davanti a lui si trovava una piscina prosciugata, lunga e rettangolare. Jason non
poteva dire quanto fosse profonda, perché il fondo era coperto dalla nebbia. Uno
sporco sentiero le girava tutt’attorno, e le pareti irregolari della casa si alzavano su
entrambi i lati. I lupi passeggiavano sotto le volte di grezza pietra rossa vulcanica.
All’estremità opposta della piscina era seduta una lupa gigantesca, diversi centimetri
più alta di Jason. I suoi occhi brillavano argentei nella nebbia, e la sua pelliccia era
dello stesso colore delle rocce – di un caldo rosso cioccolato.
“Conosco questo posto,” disse Jason.
Il lupo gli parlò. Non parlò esattamente, ma Jason la poté capire. I movimenti delle
sue orecchie e dei baffi, il bagliore dei suoi occhi, il modo in cui curvava le labbra –
tutto ciò faceva parte del suo linguaggio.
Certo, disse la lupa. Hai cominciato qui il tuo viaggio da cucciolo. Ora devi trovare la
strada di ritorno. Una nuova impresa, un nuovo inizio.
“Non è giusto,” disse Jason. Ma non appena ebbe parlato, seppe che era inutile
lamentarsi con la lupa.
I lupi non provavano compassione. Non si aspettavano mai giustizia. Il lupo disse:
Conquista o muori. Questo è sempre il nostro metodo.
Jason voleva protestare che non poteva conquistare qualcosa se non sapeva chi era,
o dove doveva andare. Ma lui conosceva questo lupo. Il suo nome era
semplicemente Lupa, il Lupo Madre, la più grande della sua razza. Molto tempo fa
lei lo aveva trovato in quel luogo, lo aveva protetto, allevato, scelto, ma se Jason
avesse mostrato delle debolezze, lei lo avrebbe ridotto a brandelli. Invece che essere
il suo cucciolo, sarebbe diventato la sua cena. Nel branco di lupi, la debolezza non
era un’opzione.
“Puoi guidarmi?” chiese Jason.
Lupa fece un brontolio profondo con la gola, e la nebbia nella piscina si dissolse.
All’inizio Jason non capì ciò che stava vedendo. Alle estremità opposte della piscina
due spirali scure erano emerse dal pavimento di cemento come le punte di trapano
di qualche enorme macchina trivellatrice che stava irrompendo in superficie. Jason
non sapeva dire se le spirali fossero fatte di pietra o di viti pietrificate, ma erano
composte da dei massicci viticci che si univano sulla punta. Ogni spirale era alta circa
un metro e mezzo, ma non erano identiche. Quella più vicina a Jason era più scura e
sembrava una massa solida, con i suoi viticci fusi insieme. Mentre guardava, si
spinse un po’ più fuori dalla terra e si allargò un po’ di più.
Sull’estremità della piscina vicina a Lupa, i viticci della seconda spirale erano più
aperti, come le sbarre di una gabbia. All’interno, Jason poté vedere vagamente una
figura nebbiosa che si dimenava, cambiando posizione all’interno dei suoi confini.
“Era,” disse Jason.
La lupa ringhiò con approvazione. Gli altri lupi circondarono la piscina, con il pelo
alzato sulle schiene mentre ringhiavano verso le spire.
Il nemico ha scelto questo posto per risvegliare il suo figlio più potente, il re dei
giganti, disse Lupa. Il nostro luogo sacro, dove vengono riconosciuti i semidei – il
luogo della morte o della vita. La casa bruciata. La casa del lupo. E’ un abominio. La
devi fermare.
“La?” Jason era confuso. “Intendi, Era?”
La lupa digrignò i denti impaziente. Usa la tua mente, cucciolo. Non m’importa nulla
di Giunone, ma se lei cade il nostro nemico si sveglia. E quella sarà la fine per tutti
noi. Conosci questo posto. Puoi trovarlo di nuovo. Purifica la nostra casa. Ferma
tutto questo prima che sia troppo tardi.
La spira scura cominciò a crescere lentamente, come il bulbo di qualche fiore
orribile. Jason aveva la sensazione che se si fosse mai aperto avrebbe rilasciato
qualcosa che non voleva incontrare.
“Chi sono io?” chiese Jason alla lupa. “Dimmi almeno questo.”
I lupi non hanno un grande senso dell’umorismo, ma Jason capì che la domanda
divertiva Lupa, come se Jason fosse un lupetto che aveva appena provato i suoi
artigli, allenandosi a diventare il maschio alfa.
Sei la nostra grazia di salvezza, come sempre. La lupa curvò le labbra, come se
avesse appena fatto uno scherzo astuto. Non fallire, figlio di Giove.
14
JASON
Jason si svegliò al suono dei tuoni. Poi si ricordò dove si trovava. Tuonava sempre
nella Cabina Uno.
Sopra la sua branda, il soffitto a cupola era decorato con un mosaico blu e bianco
che imitava un cielo nuvoloso. Le piastrelle delle nuvole si muovevano lungo il
soffitto, mutando dal bianco al nero. I tuoni rombavano per la stanza, e delle
piastrelle dorate balenavano come lampi.
Fatta eccezione per la branda che gli avevano portato gli altri campeggiatori, la
cabina non aveva il normale arredamento – nessuna sedia, tavolo o armadio. Per
quello che ne sapeva, non aveva neanche un bagno. Le pareti erano scavate con
delle nicchie, ognuna delle quali ospitava un braciere di bronzo o la statua di
un’aquila dorata su un piedistallo di marmo. Al centro della stanza era posizionata
una statua alta sei metri, completamente colorata, rappresentante Zeus nel classico
abbigliamento greco con uno scudo al suo fianco e una saetta sollevata, pronto per
colpire qualcuno.
Jason studiò la statua, cercando qualcosa che avesse un comune con il Signore del
Cielo. Capelli neri? No. Espressione da bisbetico? Bè, forse. Barba? No grazie. Con
quei vestiti e sandali, Zeus sembrava un figlio dei fiori davvero fanatico e arrabbiato.
Sì, la Cabina Uno. Un grande onore, gli avevano detto gli altri campeggiatori. Certo,
se ti piaceva dormire tutto solo in un tempio freddo con Zeus Figlio dei Fiori che ti
guardava minaccioso tutta la notte.
Jason si alzò e si massaggiò il collo. Aveva tutto il corpo rigido a causa di una brutta
dormita e dell’aver evocato i lampi. Quel giochetto dell’altra sera non era stato
facile come aveva fatto credere. L’aveva quasi fatto svenire.
Vicino alla branda, erano piegati dei nuovi vestiti per lui: jeans, scarpe da ginnastica
e una maglietta arancione del Campo Mezzosangue. Aveva senza dubbio bisogno di
cambiarsi i vestiti, ma guardando la sua maglietta viola a brandelli, era riluttante
all’idea di cambiarla. Mettersi la maglietta del campo sembrava, in qualche modo,
sbagliato. Ancora non riusciva a credere che appartenesse là, malgrado tutto ciò che
gli avevano raccontato.
Ripensò al suo sogno, sperando che gli tornassero degli altri ricordi di Lupa, o di
quella casa in rovine nella foresta di sequoie. Sapeva che era già stato là. Il lupo era
reale. Ma quando cercava di ricordare gli faceva male la testa. I segni
sull’avambraccio sembravano bruciare.
Se fosse riuscito a trovare quelle rovine, avrebbe trovato il suo passato. Qualsiasi
cosa stesse crescendo all’interno di quella spirale di pietra, Jason doveva fermarla.
Guardò verso Zeus Figlio dei Fiori. “Il tuo aiuto è bene accetto.”
La statua non disse nulla.
“Grazie papà,” borbottò Jason.
Si cambiò i vestiti e si specchiò nello scudo di Zeus. Il suo volto sembrava acquoso e
strano riflesso nel metallo, come se si stesse dissolvendo in una piscina d’oro. Senza
dubbio, non era bello come lo era stata Piper la scorsa notte dopo essere stata
improvvisamente trasformata.
Jason non era ancora certo di come si sentiva al riguardo. Si era comportato come
un’idiota, dicendo davanti a tutti che era uno schianto. Non che ci fosse stato
qualcosa di sbagliato in lei prima. Sicuramente, aveva un aspetto fantastico dopo il
colpo di Afrodite, ma allo stesso tempo non sembrava se stessa, non a suo agio con
le attenzioni.
Jason si era dispiaciuto per lei. Forse era una cosa da pazzi, considerando che era
appena stata riconosciuta da una dea e trasformata nella ragazza più bella del
campo. Avevano tutti cominciato ad adularla, dicendole quanto fosse fantastica e
come, ovviamente, dovesse essere lei quella che avrebbe partecipato all’impresa –
ma quell’attenzione non aveva nulla a che fare con quello che era. Un nuovo vestito,
nuovo trucco, una lucente aura rosa e boom: all’improvviso piaceva alle persone.
Jason capiva come doveva sentirsi.
La scorsa notte quando aveva evocato i lampi, le reazioni degli altri campeggiatori gli
erano sembrate familiari. Era piuttosto sicuro che aveva avuto a che fare con ciò per
un sacco di tempo – persone che lo guardavano con soggezione solo perché era il
figlio di Zeus, che lo trattavano in maniera speciale, ma ciò non aveva nulla a che
fare con lui. A nessuno importava di lui, ma solo del suo grande, spaventoso papà
che gli stava dietro con la saetta del giudizio, come a dire, Rispettate questo ragazzo
o mangiate l’elettricità!
Dopo il falò, quando la gente aveva cominciato a tornare verso le cabine, Jason
aveva raggiunto Piper e le aveva formalmente chiesto di partecipare con lui
all’impresa.
Lei era ancora in uno stato di shock, ma aveva annuito, sfregandosi le braccia, che
dovevano essere state gelide con quel vestito senza maniche.
“Afrodite mi ha portato via il mio giacchetto da snowboard,” borbottò. “Rapinata
dalla mia stessa madre.”
Nella prima fila dell’anfiteatro, Jason aveva trovato una coperta e gliela aveva messa
sulle spalle. “Ti prenderemo un nuovo giacchetto,” le promise.
Lei abbozzò un sorriso. Voleva metterle le braccia intorno alle spalle, ma si frenò.
Non voleva che pensasse che fosse superficiale come tutti gli altri – che ci provava
con lei perché era diventata bella.
Era felice che Piper avrebbe partecipato all’impresa con lui. Jason aveva cercato di
fingersi coraggioso al falò, ma si trattava solo di quello – una finzione. L’idea di
andarsi a scontrare contro una forza malvagia abbastanza potente da rapire Era lo
spaventava da impazzire, soprattutto considerando che non conosceva nemmeno il
suo stesso passato. Aveva bisogno d’aiuto, ed era sembrato giusto così: Piper
doveva andare con lui. Ma le cose erano già complicate senza che capisse quanto le
piaceva, e il motivo. Aveva già giocato abbastanza con la sua testa.
Scivolò nelle sue nuove scarpe, pronto per uscire da quella cabina fredda e vuota.
Poi notò una cosa che non aveva visto la sera prima. Uno dei bracieri era stato
spostato da una delle nicchie per ricavare una cuccetta per dormire, con un sacco a
pelo, uno zaino e persino delle foto incollate alla parete.
Jason si avvicinò. Chiunque avesse dormito là, si era trattato di un sacco di tempo fa.
Il sacco a pelo aveva un odore stantio. Lo zaino era coperto da un leggero strato di
polvere. Alcune delle foto che erano state attaccate al muro avevano perso la loro
adesività ed erano cadute sul pavimento.
Una foto mostrava Annabeth – molto più giovane, forse otto anni, ma Jason capiva
che si trattava di lei: stessi capelli biondi e occhi grigi, stesso sguardo distratto come
se stesse pensando a un milione di cose contemporaneamente. Era vicino a un
ragazzo dai capelli biondo sabbia di circa quattordici o quindici anni con un sorriso
furbo e un’armatura di pelle logora sopra la maglietta. Stava indicando un vicolo alle
loro spalle, come se stesse dicendo al fotografo, Andiamo a incontrare degli esseri in
un vicolo scuro e uccidiamoli! Una seconda foto mostrava Annabeth e lo stesso
ragazzo seduti vicino a un falò, che ridevano in modo isterico.
Alla fine Jason raccolse una delle foto cadute. Era una striscia di foto come quelle
che si fanno alle macchinette automatiche: Annabeth e il ragazzo dai capelli biondo
sabbia, ma con un’altra ragazza in mezzo a loro. Doveva avere forse quindici anni,
con i capelli neri – corti come quelli di Piper – un giacchetto di pelle nero e dei
gioielli d’argento, così da sembrare un po’ gotica, ma era stata immortalata nel
mezzo di una risata, ed era chiaro che si trovava con i suoi due migliori amici.
“Quella è Talia,” disse qualcuno.
Jason si girò.
Annabeth stava guardando da sopra la sua spalla. La sua espressione era triste,
come se la foto riportasse alla memoria dei ricordi dolorosi. “E’ l’altra figlia di Zeus
che ha vissuto qui – ma non per molto. Scusa, avrei dovuto bussare.”
“E’ tutto apposto,” disse Jason. “Non è che consideri questo posto come casa mia.”
Annabeth era vestita da viaggio, con un giaccone invernale sui suoi vestiti del
campo, il pugnale alla cintura e uno zaino sulle spalle.
Jason disse, “Suppongo che tu non abbia cambiato idea circa il venire con noi.”
Scosse la testa. “Hai già una buona squadra. Io andrò in cerca di Percy.”
Jason era un po’ deluso. Avrebbe apprezzato avere qualcuno nel viaggio che sapeva
quello che stava facendo, così non si sarebbe sentito come se stesse guidando Piper
e Leo giù per un precipizio.
“Hey, andrai alla grande,” assicurò Annabeth. “Qualcosa mi dice che non è la tua
prima impresa.”
Jason aveva il vago sospetto che avesse ragione, ma ciò non lo fece sentire affatto
meglio. Tutti sembravano pensare che lui fosse così coraggioso e sicuro, ma non
capivano quanto perso si sentiva davvero. Come potevano fidarsi di lui quando non
sapeva nemmeno chi era?
Guardò la foto di Annabeth che sorrideva. Si chiese quanto tempo era passato
dall’ultima volta che aveva sorriso. Doveva davvero piacergli questo Percy per
cercarlo così strenuamente, e ciò rendeva Jason un po’ invidioso. C’era qualcuno che
stava cercando lui in quel momento? E se qualcuno teneva a lui così tanto e stava
impazzendo di preoccupazione, e lui non poteva nemmeno ricordarsi la sua vecchia
vita?
“Tu sai chi sono io,” indovinò. “Non è vero?”
Annabeth afferrò l’elsa del suo pugnale. Cercò con lo sguardo una sedia sulla quale
sedersi, ma ovviamente non ce n’era nessuna. “Sinceramente, Jason… non ne sono
sicura. La mia idea è che tu sia un solitario. Qualche volta accade. Per un motivo o
l’altro, il campo non ti ha mai trovato, ma sei sopravvissuto in ogni caso muovendoti
costantemente. Hai imparato da solo a combattere. Hai affrontato i mostri da solo.
Hai superato le aspettative.”
“La prima cosa che Chirone mi ha detto,” ricordò Jason, “è stata tu dovresti essere
morto.”
“Quello potrebbe essere il motivo,” disse Annabeth. “La maggior parte dei semidei
non ce la farebbe mai a cavarsela da sola. E un figlio di Zeus – cioè, non è più
pericoloso di così. Le probabilità che tu raggiunga i quindici anni senza trovare il
Campo Mezzosangue o senza morire – microscopiche. Ma, come ho detto, succede.
Talia è scappata quando era giovane. E’ sopravvissuta cavandosela da sola per anni.
Si è persino presa cura di me per un po’. Quindi magari anche tu eri un solitario.”
Jason stese il braccio. “E questi segni?”
Annabeth lanciò un’occhiata ai tatuaggi. Chiaramente, la preoccupavano. “Bè,
l’aquila è il simbolo di Zeus, quindi ha senso. Le dodici righe – forse indicano degli
anni, se te le fossi fatte da quando avevi tre anni. SPQR – quello è il motto del
vecchio Impero Romano: Senatus Populusque Romanus, il Senato e il Popolo
Romano. Tuttavia perché ti dovresti marchiare ciò sul tuo braccio, non lo so. A meno
che non hai avuto un insegnante di Latino davvero duro…”
Jason era piuttosto sicuro che non fosse quella la ragione. Non sembrava neanche
possibile che se la fosse cavata da solo per tutta la vita. Ma cosa altro aveva senso?
Annabeth era stata molto chiara – il Campo Mezzosangue era l’unico luogo al
mondo sicuro per i semidei.
“Io, um… ho fatto uno strano sogno la scorsa notte,” disse. Sembrava una cosa
stupida da confidare, ma Annabeth non sembrò sorpresa.
“Succede sempre ai semidei,” disse. “Cosa hai visto?”
Le raccontò dei lupi e della casa in rovine e delle due spirali di roccia. Mentre
parlava, Annabeth iniziò a camminare avanti e indietro, sempre più agitata.
“Non ricordi dove si trva questa casa?” chiese.
Jason scosse la testa. “Ma sono certo di esserci già stato prima.”
“Sequoie,” rifletté lei. “Potrebbe essere il nord della California. E la Lupa… ho
studiato dee, spiriti e mostri per tutta la vita. Non ho mai sentito di Lupa.”
“Ha detto che il nemico era una “lei”. Ho pensato che forse poteva essere Era, ma –“
“Non mi fido di Era, ma non credo che sia il nemico. E quella cosa che nasceva dalla
terra – “ L’espressione di Annabeth si fece scura. “Devi fermarla.”
“Tu sai di che cosa si tratta, non è vero?” chiese. “O come minimo hai un’ipotesi. Ho
visto la tua faccia la scorsa notte al falò. Hai guardato Chirone come se avessi
improvvisamente realizzato tutto, ma non volevate spaventarci.”
Annabeth esitò. “Jason, le profezie… più sai, più provi a cambiarle, e ciò può essere
disastroso. Chirone crede che sia meglio che tu trovi la tua strada da solo, che
scopra le cose con i tuoi tempi. Se mi avesse detto tutto quello che sapeva prima
della mia prima impresa con Percy… devo ammetterlo, non sono certa che sarei
stata in grado di affrontarla. Per la tua impresa, è persino più importante.”
“E’ così brutto, huh?”
“Non se avrai successo. Almeno… spero di no.”
“Ma non so nemmeno da dove iniziare. Dove dovrei andare?”
“Segui i mostri,” suggerì Annabeth.
Jason ci pensò su. Lo spirito delle tempeste che lo aveva attaccato al Grand Canyon
aveva detto che il suo capo lo stava richiamando. Se Jason fosse riuscito a
rintracciare gli spiriti delle tempeste, avrebbe potuto trovare la persona che gli
controllava. E forse quello l’avrebbe condotto alla prigione di Era.
“Okay,” disse. “Come trovo i venti delle tempeste?”
“Personalmente, mi rivolgerei a un dio del vento,” disse Annabeth. “Eolo è il
padrone di tutti i venti, ma è leggermente… imprevedibile. Nessuno lo trova a meno
che lui non voglia essere trovato. Io proverei con una delle quattro divinità dei venti
stagionali che lavorano per Eolo. Il più vicino, quello che ha più rapporti con gli eroi,
è Borea, il Vento del Nord.”
“Quindi se lo cercassi su Google maps –“
“Oh, non è difficile da trovare,” assicurò Annabeth. “Si torva nel Nord America come
tutti gli altri dei. Quindi ovviamente ha scelto la sistemazione settentrionale più
antica, più o meno il più a nord possibile di dove si può andare.”
“Maine?” indovinò Jason.
“Più lontano.”
Jason cercò di focalizzare una mappa. Cos’era più a nord del Maine? La sistemazione
settentrionale più antica…
“Canada,” decise. “Quebec.”
Annabeth sorrise. “Spero che parli il francese.”
Jason sentì un brivido di emozione. Quebec – almeno ora aveva una meta. Trovare il
Vento del Nord, inseguire gli spiriti delle tempeste, scoprire per chi lavoravano e
dove si trovava quella casa in rovine. Liberare Era. Tutto in quattro giorni. Una
passeggiata.
“Grazie Annabeth.” Guardò la foto della macchinetta che aveva ancora in mano.
“Allora, um… hai detto che è pericoloso essere un figlio di Zeus. Cosa è successo a
Talia?”
“Oh, sta bene,” disse Annabeth. “E’ diventata una Cacciatrice di Artemide – una
delle ancelle della dea. Si aggirano per il paese uccidendo i mostri. Non le vediamo
spesso al campo.”
Jason lanciò un’occhiata all’enorme statua di Zeus. Capiva perché Talia avesse
dormito in quella nicchia. Era l’unico posto nella cabina fuori dal raggio visivo di Zeus
Figlio dei Fiori. E persino quello non era stato abbastanza. Aveva scelto di seguire
Artemide ed essere parte di un gruppo piuttosto che di stare da sola in questo
tempio freddo e ventoso con il papà alto sei metri – il papà di Jason – che la
guardava torvo. Mangiate l’elettricità! Jason non aveva nessun problema nel capire i
sentimenti di Talia. Si chiese se esistesse un gruppo di Cacciatori per maschi.
“Chi è l’altro ragazzo nella foto?” chiese. “Il ragazzo con i capelli biondo sabbia.”
L’espressione di Annabeth s’inasprì. Argomento delicato.
“Quello è Luke,” disse. “Ora è morto.”
Jason decise che fosse meglio non chiedere altro, ma dal modo nel quale Annabeth
pronunciò il nome di Luke, Jason si chiese se forse Percy Jackson non era l’unico
ragazzo che fosse mai piaciuto ad Annabeth.
Si concentrò di nuovo sul volto di Talia. Continuava a pensare che quella sua foto
fosse importante. Gli stava sfuggendo qualcosa.
Jason sentiva uno strano senso di connessione con quest’altra figlia di Zeus –
qualcuno che avrebbe potuto capire la sua confusione, magari persino rispondere ad
alcune domande. Ma un’altra voce dentro di lui, un bisbiglio insistente, diceva:
Pericoloso. Stai alla larga.
“Quanti anni ha ora?” chiese.
“Difficile da dire. Per un po’ di tempo è stata un albero. Ora è immortale.”
“Cosa?”
La sua espressione doveva essere piuttosto bella, perché Annabeth rise. “Non ti
preoccupare. Non è una cosa che accade a tutti i figli di Zeus. E’ una storia lunga,
ma… bè, è stata fuori uso per molto tempo. Se fosse invecchiata normalmente, ora
dovrebbe avere vent’anni, ma continua ad avere l’aspetto che ha in quella foto,
come se avesse… bè, più o meno la tua età. Quindici o sedici anni?”
Qualcosa che la lupa aveva detto nel sogno lo perseguitava. Si ritrovò a chiedere,
“Qual è il suo cognome?”
Annabeth sembrò a disagio. “In realtà non usava un cognome. Se doveva, usava
quello di sua madre, ma loro non andavano d’accordo. Talia scappò via quando era
piuttosto giovane.”
Jason aspettò.
“Grace,” disse Annabeth. “Talia Grace.”
Le dita di Jason divennero insensibili. La foto svolazzò sul pavimento.
“Stai bene?” chiese Annabeth.
Un pezzetto di ricordo era stato attivato – forse una parte minuscola che Era aveva
dimenticato di rubare. O magari l’aveva lasciata lì apposta – abbastanza perché lui
ricordasse quel nome, e sapesse che rinvangare il suo passato era estremamente,
estremamente pericoloso.
Dovresti essere morto, aveva detto Chirone. Non era un commento sul fatto che
Jason aveva superato le aspettative come solitario. Chirone sapeva qualcosa di
specifico – qualcosa sulla famiglia di Jason.
Finalmente capì le parole della lupa nel suo sogno, l’astuto scherzo che aveva fatto a
sue spese. Immaginò Lupa che ringhiava con una risata lupesca.
“Cosa c’è?” insistette Annabeth.
Jason non poteva tenerselo per se. L’avrebbe ucciso, e aveva bisogno dell’aiuto di
Annabeth. Se lei conosceva Talia, forse poteva consigliarlo.
“Devi giurare di non dirlo a nessun altro,” disse.
“Jason –“
“Giuralo,” la esortò. “Finché non capisco quello che sta succedendo, cosa vuol dire
tutto questo – “ Si strofinò i tatuaggi marchiati sull’avambraccio. “Devi mantenere
un segreto.”
Annabeth esitò, ma la sua curiosità ebbe la meglio. “Va bene. Finché non mi dirai
che va bene, non condividerò quello che hai detto con nessun altro. Lo prometto su
Fiume Stige.”
Si sentirono dei tuoni rombare, persino più forti del solito rispetto agli standard
della cabina.
Sei la nostra grazia (“grace” in inglese) di salvezza, aveva ringhiato il lupo.
Jason raccolse la foto da terra.
“Il mio cognome è Grace,” disse. “Questa è mia sorella.”
Annabeth divenne pallida. Jason poteva vederla combattere tra sbigottimento,
incredulità, rabbia. Pensava che stesse mentendo. La sua affermazione era
impossibile. E parte di lui credeva la stessa cosa, ma non appena pronunciò quelle
parole, seppe che erano vere.
Poi le porte della cabina si spalancarono. Una mezza dozzina di campeggiatori si
riversarono dentro, guidati dal ragazzo pelato della cabina di Iris, Butch.
“Sbrigatevi!” disse, e Jason non sapeva dire se la sua fosse un’espressione di
eccitazione o di paura. “Il drago è tornato.”
15
PIPER
Piper si svegliò e afferrò immediatamente uno specchio. Ce n’erano un sacco nella
cabina di Afrodite. Si mise a sedere sul letto, guardò il suo riflesso ed emise un
gemito.
Era ancora bellissima.
La scorsa notte dopo il falò, aveva provato di tutto. Si era scompigliata i capelli, si
era lavata via il trucco dal volto, aveva pianto per farsi venire gli occhi rossi. Non
aveva funzionato nulla. I suoi capelli tornavano perfetti. Il trucco magico si rimetteva
da solo. I suoi occhi si rifiutavano di diventare gonfi o rossi.
Si sarebbe cambiata i vestiti, ma non aveva niente con cui cambiarsi. Gli altri
campeggiatori di Afrodite gliene avevano offerti alcuni (ridendo alle sue spalle, ne
era certa), ma ogni capo era persino più alla moda e ridicolo di quello che aveva
indosso.
Ora, dopo una terribile nottata, non c’erano ancora dei cambiamenti. Piper di solito
aveva l’aspetto di uno zombie la mattina, ma i suoi capelli erano acconciati come
quelli di una supermodel e la sua pelle era perfetta. Persino quell’orribile foruncolo
alla base del naso, che aveva da così tanti giorni che aveva cominciato a chiamarlo
Bob, era scomparso.
Sospirò frustata e si passò le dita tra i capelli. Inutile. Tornavano davvero da soli al
loro posto. Aveva l’aspetto di una Barbie Cherokee.
Dall’altra parte della cabina, Drew esclamò, “Oh, tesoro, non andrà via.” La sua voce
grondava di falsa compassione. “La benedizione di mamma durerà come minimo un
altro giorno. Forse una settimana se sei fortunata.”
Piper strinse i denti. “Una settimana?”
Gli altri ragazzi di Afrodite – circa una dozzina di ragazze e cinque ragazzi –
ridacchiavano e sorridevano furbescamente al suo disagio. Piper sapeva che avrebbe
dovuto fingersi calma, senza permettergli di farsi infastidire. Aveva avuto a che fare
con ragazzi frivoli e popolari un sacco di volte. Ma questo era diverso. Questi erano i
suoi fratelli e sorelle, anche se non aveva nulla in comune con loro, e come avesse
fatto Afrodite ad avere così tanti bambini così vicini di età… Non importava. Non
voleva saperlo.
“Non preoccuparti, tesoro.” Drew si applicò il suo rossetto brillante tamponandolo.
“Stai pensando che non appartieni qui? Non potremmo essere più d’accordo. Non è
così, Mitchell?”
Uno dei ragazzi indietreggiò. “Um, si. Certo.”
“Mm-hmm.” Drew tirò fuori il suo mascara e si controllò le ciglia. Tutti gli altri
guardavano, senza osare parlare. “Allora, ad ogni modo, gente, quindici minuti alla
colazione. La cabina non si pulirà da sola! E, Mitchell, credo che tu abbia imparato la
lezione. Giusto, tesoro? Quindi sei addetto alla spazzatura solo per oggi, mm-kay?
Fai vedere a Piper come si fa, perché ho la sensazione che avrà presto quell’incarico
– se sopravvive alla sua impresa. Ora, al lavoro, tutti quanti! E’ il mio turno per il
bagno!”
Cominciarono tutti a darsi da fare, rifacendo i letti e ripiegando i vestiti, mentre
Drew sollevò kit per il trucco, asciuga capelli e spazzola e marciò in bagno.
Qualcuno da dentro mandò uno strillo, e una bambina di circa undici anni venne
buttata fuori, con degli asciugamani avvolti velocemente intorno al corpo e lo
shampoo ancora sui capelli.
La porta si chiuse sbattendo, e la bambina cominciò a piangere. Un paio di
campeggiatori più anziani la consolarono e gli asciugarono le bolle dai capelli.
“Fate sul serio?” disse Piper a nessuno in particolare. “Lasciate che Drew vi tratti in
questo modo?”
Alcuni ragazzi lanciarono a Piper delle occhiate nervose, come se fossero
effettivamente d’accordo, ma non dissero nulla.
I campeggiatori continuarono a lavorare, tuttavia Piper non riusciva a capire per
quale motivo la cabina avesse bisogno di così tante pulizie. Era una casa delle
bambole a grandezza naturale, con pareti rosa e cornici bianche alle finestre. Le
tende di pizzo erano blu e verde pastello, che ovviamente si abbinavano alle
lenzuola e alle trapunte su tutti i letti.
I ragazzi avevano una fila di letti separati da una tenda, ma la loro sezione della
cabina era pulita e ordinata come quella delle ragazze. Ciò era decisamente
anormale. Ogni campeggiatore aveva un baule di legno ai piedi del proprio letto con
il suo nome dipinto sopra, e Piper immaginò che i vestiti all’interno di ogni baule
fossero precisamente ripiegati e coordinati in base al colore. L’unico accenno di
individualismo era nel modo in qui i campeggiatori avevano decorato i loro spazi del
letto. Ognuno aveva attaccato al muro delle foto leggermente diverse di qualsiasi
celebrità considerassero sexy. Alcuni avevano anche delle foto personali, ma la
maggior parte erano attori o cantanti o cose del genere.
Piper sperò di non vedere Il Poster. Era passato quasi un anno dal film, e pensava
che ormai sicuramente tutti avessero levato quelle vecchie pubblicità e messo
qualcosa di nuovo. Ma non ebbe fortuna. Ne individuò uno sulla parete vicino
all’armadio, al centro di un collage di famosi rubacuori.
Il titolo era rosso acceso: RE DI SPARTA. Sotto, il poster mostrava il leader – uno
scatto a tre quarti di un abbronzato torso nudo, con pettorali scolpiti e tartaruga.
Era vestito solo con un gonnellino da guerra greco e una mantella viola, una spada in
mano. Sembrava che fosse stato appena spalmato di olio, con i capelli corti neri che
brillavano e rivoli di sudore che gli gocciolavano sul volto duro, quei tristi occhi scuri
che affrontavano la telecamera come a dire, Ucciderò i vostri uomini e rapirò le
vostre donne! Ha-ha!
Era la locandina più ridicola di tutti i tempi. Piper e suo padre si erano fatti delle
belle risate la prima volta che l’avevano vista. Poi il film aveva incassato un trilione di
dollari. La locandina era sbucata ovunque. Piper non poteva fare a meno di vederla a
scuola, per le strade, persino in rete. Era diventato Il Poster, la cosa più
imbarazzante della sua vita. E, sì, era una foto di suo padre.
Si voltò così nessuno avrebbe pensato che lo stesse fissando. Magari quando tutti
fossero andati a colazione avrebbe potuto strapparlo via e non se ne sarebbero
accorti.
Cercò di sembrare impegnata, ma non aveva nessun vestito extra da piegare. Si
sistemò il letto, poi si rese conto che la trapunta era quella che Jason le aveva messo
sulle spalle la scorsa notte. La sollevò e se la portò al volto. Odorava di fumo di
legna, ma sfortunatamente non di Jason. Era l’unica persona che era stata
sinceramente gentile con lei dopo il suo riconoscimento, come se gli importasse
come si sentiva, non solo dei suoi stupidi vestiti nuovi. Dio, aveva avuto il desiderio
di baciarlo, ma lui era sembrato così a disagio, quasi spaventato da lei. Non poteva
davvero biasimarlo. Stava brillando di rosa.
“Scusami,” disse una voce da terra. Il ragazzo della spazzatura, Mitchell, stava
gattonando in giro, raccogliendo carte di cioccolata e fogli accartocciati da sotto i
letti. A quanto pareva i ragazzi di Afrodite non erano al cento per cento maniaci
dell’ordine, dopotutto.
Lei si spostò. “Cosa hai fatto per far arrabbiare Drew?”
Lui lanciò un’occhiata alla porta del bagno per assicurarsi che fosse sempre chiusa.
“La scorsa notte, dopo che sei stata riconosciuta, ho detto che forse non eri così
male.”
Non era un gran complimento, ma Piper era sbalordita. Un ragazzo di Afrodite aveva
davvero preso le sue parti?
“Grazie,” disse.
Mitchell alzò le spalle. “Sì, bè. Guarda dove mi ha portato. Ma, per quello che vale,
benvenuta nella Cabina Dieci.”
Una ragazza con dei codini biondi e l’apparecchio si affrettò verso di loro con una
pila di vestiti in mano. Si guardò furtivamente intorno come se stesse consegnando
del materiale nucleare.
“Ti ho portato questi,” sussurrò.
“Piper, ti presento Lacy,” disse Mitchell, ancora a gattoni sul pavimento.
“Ciao,” disse Lacy senza fiato. “Puoi cambiarti i vestiti. La benedizione non ti
fermerà. Questo è solo, sai, uno zaino, alcune razioni, nettare e ambrosia per le
emergenze, dei jeans, alcune magliette extra e un giacchetto pesante. Gli stivali
potrebbero essere un po’ stretti. Ma – bè – abbiamo fatto una colletta. Buona
fortuna con la tua impresa!”
Lacy scaricò le cose sul letto e fece per andarsene di fretta, ma Piper la prese per il
braccio. “Aspetto un attimo. Almeno lascia che ti ringrazi! Perché vai così di fretta?”
Lacy sembrava che potesse andare in pezzi dal nervosismo. “Oh, bè –“
“Drew potrebbe scoprirlo,” spiegò Mitchell.
“Potrei dover indossare le scarpe della vergogna!” singhiozzò Lacy.
“Le cosa?” chiese Piper.
Lacy e Mitchell indicarono insieme uno scaffale nero montano nell’angolo della
stanza, come un altare. Esposte sopra questo c’erano un orribile paio di scarpe
ortopediche da infermiera, bianco acceso con le suole alte.
“Una volta ho dovuto indossarle per una settimana,” piagnucolò Lacy. “Non si
abbinano con niente!”
“E ci sono delle punizioni peggiori,” avvertì Mitchell. “Drew sa incantare con le
parole sai? Non molto ragazzi di Afrodite hanno quel potere, ma se prova
abbastanza duramente, può portarti a fare delle cose piuttosto imbarazzanti. Piper,
tu sei la prima persona che ho visto in tanto tempo che è in grado di resisterle.”
“Incantare con le parole…” Piper ricordò la scorsa notte, il modo nel quale la folla al
falò aveva oscillato avanti e indietro tra l’opinione sua e di Drew. “Vuoi dire, tipo,
puoi parlare a qualcuno per fargli fare delle cose. O… per darti delle cose. Come una
macchina?”
“Oh, non dare delle idee a Drew!” ansimò Lacy.
“Ma, sì,” disse Mitchell. “Potrebbe farlo.”
“Quindi è per questo che è consigliere anziano,” disse Piper. “Vi ha convinto a tutti?”
Mitchell staccò una disgustosa pallina di gomma da masticare da sotto il letto di
Piper. “Nah, ha ereditato il posto quando Silena Beauregard è morta in guerra. Drew
era la seconda per anzianità. I campeggiatori più anziani prendono
automaticamente il posto, a meno che qualcuno più grande o con più imprese
completate non lo voglia sfidare, in quel caso c’è un duello, ma è una cosa che
succede raramente. Ad ogni modo, siamo bloccati con Drew in carica da Agosto. Ha
deciso di fare dei, ah, cambiamenti nel modo in cui viene gestita la cabina.”
“Si, l’ho fatto!” Improvvisamente Drew era là, appoggiata contro il letto. Lacy squittì
come un porcellino d’india e tentò di correre, ma Drew stese un braccio per
fermarla. Guardò in basso verso Mitchell. “Credo che tu abbia saltato della
spazzatura tesoro. Faresti meglio a fare un altro giro.”
Piper lanciò un’occhiata verso il bagno e vide che Drew aveva sparso per terra tutto
quello che c’era dentro il secchio del bagno – delle cose davvero disgustose.
Mitchell si alzò in ginocchio. Fissò Drew come se stesse per attaccare (cosa che Piper
avrebbe pagato per vedere), ma alla fine disse secco, “Va bene.”
Drew sorrise. “Vedi, Piper, tesoro, qui siamo una bella cabina. Una bella famiglia!
Silena Beauregard tuttavia… dovevi guardarti da lei. Stava segretamente passando
informazioni a Crono nella Guerra dei Titani, aiutando il nemico.”
Drew sorrideva tutta dolce e innocente, con il suo trucco rosa luccicante e i suoi
vaporosi boccoli, odorando di noce moscata. Sembrava una qualsiasi ragazza
popolare di un qualsiasi liceo. Ma i suoi occhi erano freddi come l’acciaio. Piper
aveva la sensazione che Drew stesse guardando dritto nella sua anima, tirando fuori
i suoi segreti.
Aiutando il nemico.
“Oh, nessuna delle altre cabine ne parla,” le confidò Drew. “Si comportano come se
Silena Beauregard fosse un eroe.”
“Ha sacrificato la sua vita per aggiustare le cose,” brontolò Mitchell. “Lei era un
eroe.”
“Mm-hmm,” disse Drew. “Un altro giorno di addetto alla spazzature, Mitchell. Ma ad
ogni modo, Silena aveva perso di vista il senso di questa cabina. Noi uniamo tenere
coppie al campo! Poi le spezziamo e ricominciamo da capo! E’ il divertimento
migliore di sempre. Non c’entriamo nulla nel coinvolgerci in altre cose come guerre
e imprese. Io di sicuro non ho partecipato a nessuna impresa. Sono uno spreco di
tempo!”
Lacy alzò nervosamente la mano. “Ma la scorsa notte hai detto che volevi
partecipare a –“
Drew la fulminò con lo sguardo, e la voce di Lacy morì.
“Più di tutto,” continuò Drew, “di sicuro non abbiamo bisogno che la nostra
immagine sia sporcata da spie, non è vero, Piper?”
Piper cercò di rispondere, ma non ci riuscì. Non era possibile che Drew potesse
sapere del suo sogno o del rapimento di suo padre, no?
“E’ un peccato che non sarai in giro,” sospirò Drew. “Ma se sopravviverai alla tua
piccola impresa, non temere. Troverò qualcuno con cui accoppiarti. Magari uno di
quei rozzi ragazzi di Efesto. O Clovis? E’ piuttosto ripugnante.” Drew la squadrò con
un mix di pietà e disgusto. “Onestamente, non credevo che fosse possibile per
Afrodite avere un figlio brutto, ma… chi è tuo padre? Era un qualche genere di
mutante, o –“
“Tristan McLean,” scattò Piper.
Non appena lo ebbe detto, si odiò. Lei non usava mai, mai la carta del “papà
famoso”. Ma Drew l’aveva spinta oltre il limite. “Mio padre è Tristan McLean.”
Il silenzio sconvolto fu gratificante per pochi secondi, ma Piper si vergognò di se
stessa. Tutti si girarono e guardarono Il Poster, suo padre che contraeva i muscoli
così che tutto il mondo potesse vedere.
“Oh mio dio!” urlò la metà delle ragazze all’unisono.
“Carino!” disse un ragazzo. “Il tipo con la spada che ha ucciso quell’altro tipo in quel
film?”
“E’ così sexy per un tipo anziano,” disse una ragazza, e poi arrossì. “Voglio dire mi
dispiace. So che è tuo padre. E’ così strano!”
“E’ vero, è strano,” concordò Piper.
“Credi di poter rimediarmi il suo autografo?” chiese un’altra ragazza.
Piper fece un sorriso forzato. Non poteva dire, Se mio padre sopravvive…
“Si, nessun problema,” riuscì a dire.
La ragazza squittì emozionata, e altri ragazzi si fecero avanti, facendo una dozzina di
domande alla volta.
“Sei mai stata sul set?”
“Vivi in una villa?”
“Pranzi con le star del cinema?”
“Hai avuto il tuo rito di passaggio?”
Quella prese Piper alla sprovvista. “Rito di che?” chiese.
Le ragazze e i ragazzi ridacchiarono e si spintonarono a vicenda come se fosse un
argomento imbarazzante.
“Il rito di passaggio per un figlio di Afrodite,”spiegò uno. “Fai innamorare qualcuno
di te. Poi gli spezzi il cuore. Lo scarichi. Una volta che l’hai fatto, ti sei dimostrata
degna di Afrodite.”
Piper fissò la folla per vedere se stessero scherzando. “Spezzare intenzionalmente il
cuore di qualcuno? E’ orribile!”
Gli altri sembravano confusi.
“Perché?” chiese un ragazzo.
“Oh mio dio!” disse una ragazza. “Scommetto che Afrodite ha spezzato il cuore di
tuo padre! Scommetto che lui non ha più amato nessun altro, non è vero? E’ così
romantico! Quando avrai il tuo rito di passaggio, potrai essere proprio come
Mamma!”
“Non ci penso proprio!” urlò Piper, un po’ più forte di quello che voleva. Gli altri
ragazzi si fecero indietro. “Non ho intenzione di spezzare il cuore di qualcuno solo
per uno stupido rito di passaggio!”
Cosa che ovviamente diede la possibilità a Drew di riprendere il controllo. “Bè,
eccoci qui!” si intromise. “Silena disse la stessa cosa. Ruppe la tradizione,
s’innamorò di quel Beckendorf e rimase innamorata. Per me, è quello il motivo per il
quale le cose sono finite tragicamente con lei.”
“Questo non è vero!” squittì Lacy, ma Drew la fulminò con lo sguardo, e lei
indietreggiò immediatamente nella folla.
“Conta poco,” continuò Drew, “perché, Piper, tesoro, non potresti spezzare il cuore
di qualcuno in ogni caso. E questa assurdità su tuo padre che è Tristan McLean – è
così del tipo, ho bisogno di attenzioni.”
Numerosi ragazzi sbatterono le palpebre incerti.
“Vuoi dire che non è suo padre?” chiese uno.
Drew mandò gli occhi al cielo. “Per favore. Ora, è ora di colazione gente, e la nostra
Piper qui deve iniziare quella piccola impresa. Quindi facciamola preparare e
usciamo da qui!”
Drew fece disperdere la folla e spostare tutti. Si rivolgeva a loro chiamandoli
“tesoro” e “caro”, ma dal suo tono era chiaro che voleva essere obbedita. Mitchell e
Lacy aiutarono Piper a fare i bagagli. Fecero persino la guardia alla porta del bagno
mentre Piper era dentro e si cambiava con dei vestiti più adatti al viaggio. I vestiti in
prestito non erano eleganti – grazie a dio – solo dei jeans comodi, una maglietta, un
morbido cappotto invernale e degli scarponcini da escursione che le calzavano alla
perfezione. Si legò il suo pugnale, Katoptris, alla cintura.
Quando uscì, si sentì quasi di nuovo normale. Gli altri campeggiatori stavano ai loro
letti mentre Drew girava intorno e ispezionava. Piper si girò verso Mitchell e Lacy e
mimò con le labbra, Grazie. Mitchell annuì torvo. Lacy fece saettare un sorriso che le
mise in mostra tutto l’apparecchio. Piper dubitava che Drew gli avesse mai
ringraziati per qualcosa. Notò anche che la locandina de Re di Sparta era stata
strappata e buttata nel cestino. Ordini di Drew, non c’erano dubbi. Anche se Piper
stessa aveva voluto levare il poster, ora fumava totalmente di rabbia.
Quando Drew la notò, sbatté le mani in un applauso derisorio. “Molto carina! La
nostra piccola ragazza da impresa di nuovo vestita con i suoi capi da Spazzatura. Ora,
il gioco è fatto! Non c’è bisogno che tu faccia colazione con noi. Buona fortuna con…
quello che è. Ciao!”
Piper si mise lo zaino in spalla. Poteva sentirsi gli occhi di tutti addosso mentre si
avviava verso la porta. Poteva semplicemente andarsene e dimenticarsi di tutto
Quella sarebbe stata la cosa semplice. Cosa gli importava di quella cabina, di quei
ragazzi superficiali?
A parte il fatto che alcuni di loro avevano cercato di aiutarla. Alcuni di loro avevano
persino preso le sue difese contro Drew.
Si voltò davanti alla porta. “Sapete, tutti voi non dovete seguire gli ordini di Drew.”
Gli altri ragazzi si mossero agitati. Molti lanciarono delle occhiate a Drew, ma lei
sembrava troppo sbalordita per rispondere.
“Umm,” riuscì a dire uno, “lei è il nostro consigliere anziano.”
“Lei è un tiranno,” lo corresse Piper. “Potete pensare per voi stessi. Afrodite deve
voler dire qualcosa di più di questo.”
“Più di questo,” le fece eco una ragazza.
“Pensare per noi stessi,” mormorò una seconda.
“Gente!” strillò Drew. “Non siate stupidi! Vi sta incantando con le parole.”
“No,” disse Piper. “Sto solo dicendo la verità.”
Almeno, pensava che fosse così. Non capiva perfettamente come funzionasse
questa cosa dell’incantare parlando, ma non si sentiva come se stesse mettendo
qualche potere speciale nelle parole. Non voleva vincere una discussione
ingannando le persone. Quello non l’avrebbe resa migliore di Drew. Piper credeva
semplicemente in quello che aveva detto. Inoltre, anche se avesse provato a
incantare, aveva la sensazione che non avrebbe funzionato molto bene su un’altra
incantatrice come Drew.
Drew ghignò verso di lei. “Potrai avere un po’ di potere, Miss Star del Cinema. Ma
non sai nulla di Afrodite. Hai delle idee così fantastiche? Allora, cosa credi che
rappresenti questa cabina? Diglielo. Poi magari io dirò a loro un paio di cosette su di
te, huh?”
Piper voleva fare una replica tagliente, ma la sua rabbia si trasformò in panico. Lei
era una spia del nemico, proprio come Silena Beauregard. Una traditrice di Afrodite.
Drew lo sapeva, o stava bluffando? Sotto il suo sguardo feroce, la sua sicurezza
cominciò a crollare.
“Non questo,” riuscì a dire Piper. “Afrodite non rappresenta questo.”
Poi si voltò e si lanciò fuori prima che gli altri potessero vederla arrossire.
Dietro di lei, Drew cominciò a ridere. “Non questo? Avete sentito gente? Non ne ha
idea!”
Piper promise a se stessa che non sarebbe mai, mai tornata in quella cabina. Sbatté
la palpebre per far andare via le lacrime e attraversò di corsa il cortile, senza sapere
precisamente dove stesse andando – finché non vide il drago piombare giù dal cielo.
16
PIPER
“Leo?” urlò.
Senza dubbio, si trattava proprio di lui, seduto in cima a una gigante macchina di
bronzo mortale che sorrideva come un folle. Anche prima che atterrasse, si azionò
l’allarme del campo. Un corno di conchiglia suonò. Tutti i satiri cominciarono a
urlare, “Non uccidermi!” Metà campo corse fuori in un miscuglio di pigiami e
armature. Il drago atterrò esattamente al centro del cortile, e Leo urlò, “Va tutto
bene! Non sparate!”
Con riluttanza, gli arcieri abbassarono i loro archi. I guerrieri si allontanarono,
mantenendo lance e spade pronte. Fecero un ampio cerchio intorno al mostro di
metallo. Altri semidei si nascosero dietro le porte delle loro cabine o sbirciavano
dalle finestre. Nessuno sembrava ansioso di avvicinarsi.
Piper non poteva biasimarli. Il drago era enorme. Luccicava nel sole del mattino
come una scultura vivente fatta di penny – con diverse sfumature di rame e bronzo
– un serpente lungo venti metri con artigli di acciaio, denti come trapani e brillanti
occhi color rubino. Aveva delle ali simili a quelle di un pipistrello che erano il doppio
della sua lunghezza e si spiegavano come delle vele di metallo, producendo, ogni
volte che sbattevano, un rumore simile a quello delle monete che scendono a
cascata da una slot-machine.
“E’ bellissimo,” mormorò Piper. Gli altri semidei la fissarono come se fosse
impazzita.
Il drago sollevò la testa e lanciò una colonna di fuoco nel cielo. I campeggiatori si
agitarono e sollevarono le loro armi, ma Leo scivolò tranquillo dalla schiena del
drago. Tenne le mani in alto come se si stesse arrendendo, a parte il fatto che aveva
ancora quel sorriso da matto sul volto.
“Gente della Terra, vengo in pace!” urlò. Sembrava che si fosse rotolato in mezzo al
falò. Il suo giaccone militare e il suo volto erano coperti di fuliggine. Le mani erano
macchiate di grasso, e indossava una nuova cintura per gli attrezzi intorno alla vita.
Aveva gli occhi iniettati di sangue. I suoi capelli ricci erano così unti che stavano dritti
come gli aculei di un porcospino, e odorava stranamente di salsa Tabasco. Ma
sembrava totalmente contento. “Festus sta semplicemente dicendo ciao!”
“Quella cosa è pericolosa!” urlò una ragazza di Ares, brandendo la sua lancia.
“Uccidila ora!”
“State giù!” ordinò qualcuno.
Con sorpresa di Piper, si trattava di Jason. Si fece largo tra la folla, affiancato da
Annabeth e da quella ragazza della cabina di Efesto, Nyssa.
Jason alzò lo sguardo verso il drago e scosse la testa stupito. “Leo, cosa hai fatto?”
“Ho trovato un passaggio!” sorrise radiosamente Leo. “Hai detto che potevo
partecipare all’impresa se ti procuravo un passaggio. Bè, ti ho preso un ragazzaccio
metallico volante di prima classe! Festus può portarci ovunque!”
“Ha – le ali,” balbettò Nyssa. Sembrava che le si stesse staccando la mandibola dal
volto.
“Si!” disse Leo. “Le ho trovate e le ho riattaccate.”
“Ma non ha mai avuto le ali. Dove le hai trovate?”
Leo esitò, e Piper capì che stava nascondendo qualcosa.
“Nei… nei boschi,” disse. “Ho anche riparato i suoi circuiti, la maggior parte, quindi
niente più problemi con lui che impazzisce.”
“La maggior parte?” chiese Nyssa.
La testa del drago si contrasse. Si inclinò da una parte e un fiotto di liquido nero –
forse olio, si spera solo olio – si riversò dal suo orecchio, tutto addosso a Leo.
“Solo qualche cosuccia da risolvere,” disse Leo.
“Ma come hai fatto a sopravvivere…?” Nyssa stava ancora fissando la creatura con
sgomento. “Cioè, sputa fuoco…”
“Sono veloce,” disse Leo. “E fortunato. Ora, sono nell’impresa o cosa?”
Jason si grattò la testa. “L’hai chiamato Festus? Sai che in Latino, “festus” vuol dire
“felice”? Vuoi che andiamo a salvare il mondo cavalcando il Drago Felice?”
Il drago si contrasse, tremò e sbatté le ali.
“Questo è sì, fratello!” disse Leo. “Ora, um, suggerirei davvero di andare, ragazzi. Ho
già preso delle provviste nel – um, nella foresta. E tutte queste persone con le armi
stanno facendo innervosire Festus.”
Jason si accigliò. “Ma non abbiamo ancora pianificato nulla. Non possiamo
semplicemente –“
“Andate,” disse Annabeth. Era l’unica che non sembrava affatto nervosa. La sua
espressione era triste e malinconica, come se questo le ricordasse tempi migliori.
“Jason, ora avete solo tre giorni fino al solstizio, e non si dovrebbe mai far aspettare
un drago nervoso. Questo è sicuramente di buon auspicio. Andate!”
Jason annuì. Poi sorrise a Piper. “Sei pronta, partner?”
Piper guardò le ali del drago di bronzo che brillavano contro il cielo, e quegli artigli
che avrebbero potuto ridurla in pezzi.
“Puoi scommetterci,” disse.
Volare sul drago era l’esperienza più fantastica di sempre, pensò Piper.
Molto in alto, l’aria era gelida, ma la pelle di metallo del drago generava così tanto
calore che era come se stessero volando all’interno di una bolla protettiva. E si dice
dei sedili riscaldati! Le concavità sulla schiena del drago erano state progettate come
delle selle ad alta tecnologia, quindi non erano assolutamente scomode. Leo mostrò
loro come agganciare i piedi nelle fessure dell’armatura, come fossero delle staffe, e
come usare le briglie di pelle di sicurezza ingegnosamente nascoste sotto le placche
esteriori. Si sedettero in un’unica fila: Leo davanti, poi Piper, poi Jason, e Piper era
molto consapevole di Jason che stava proprio dietro di lei. Sperava che si sarebbe
tenuto a lei, magari che avesse avvolto le braccia attorno alla sua vita, ma,
tristemente, non lo fece.
Leo usava le redini per guidare il drago nel cielo come se lo avesse fatto per tutta la
vita. Le ali di metallo funzionavano alla perfezione, e presto la costa di Long Island fu
solo una linea confusa dietro di loro. Volarono spediti sopra il Connecticut e salirono
tra le grigie nuvole invernali.
Leo si girò verso di loro sorridendo. “Forte, vero?”
“Se ci dovessero vedere?” chiese Piper.
“La Foschia,” disse Jason. “Impedisce ai mortali di vedere cose magiche. Se
dovessero vederci, probabilmente ci scambierebbero per un piccolo aereo o
qualcosa del genere.”
Piper lanciò un’occhiata alle sue spalle. “Ne sei certo?”
“No,” ammise. Poi Piper vide che aveva una foto stretta in mano – l’immagine di una
ragazza con i capelli scuri.
Diede a Jason un’occhiata interrogativa, ma lui arrossì e mise la foto in tasca.
“Stiamo facendo un buon tempo. Probabilmente arriveremo là entro stanotte.”
Piper si chiese chi fosse la ragazza nell’immagine, ma non voleva chiedere e, se
Jason non dava volontariamente quell’informazione, non era un buon segno. Si era
ricordato qualcosa della sua vita di prima? Quella era una foto della sua vera
ragazza?
Smettila, pensò. Non farai altro che torturarti.
Fece una domanda più sicura. “Dove stiamo andando?”
“A trovare il dio del Vento del Nord,” disse Jason. “E inseguire qualche spirito delle
tempeste.”
17
LEO
Leo era totalmente elettrizzato.
L’espressione sul volto di tutti quando aveva fato atterrare il drago al campo? Senza
prezzo! Aveva pensato che ai suoi compagni di cabina stesse per esplodere qualche
rotella.
Anche Festus era stato fantastico. Non aveva mandato a fuoco una singola cabina,
né mangiato nessun satiro, anche se gli era gocciolato un po’ d’olio dall’orecchio.
Okay, un sacco d’olio. Leo ci avrebbe lavorato più tardi.
Quindi, forse non aveva colto l’opportunità di dire a tutti del Bunker 9 o del progetto
della barca volante. Aveva bisogno di tempo per pensare a tutto ciò. Avrebbe potuto
dirglielo quando fosse tornato.
Se torno, pensò una parte di lui.
Nah, sarebbe tornato. Aveva rimediato una deliziosa cintura per gli attrezzi magica
dal bunker, più un sacco di provviste davvero forti che ora erano riposte al sicuro nel
suo zaino. Inoltre, dalla sua parte aveva un drago sputa fuoco, con solo qualche
piccola perdita. Cosa poteva andare storto?
Bè, il disco di controllo potrebbe bloccarsi, suggerì la sua parte negativa. Festus
potrebbe mangiarti.
Okay, il drago non era perfettamente aggiustato come Leo poteva aver fatto
credere. Aveva lavorato tutta la notte montando quelle ali, ma non aveva trovato un
cervello da draghi extra da nessuna parte nel bunker. Hey, avevano una scadenza!
Tre giorni prima del solstizio. Dovevano mettersi in marcia. Inoltre, Leo aveva
ripulito il disco piuttosto bene. La maggior parte dei circuiti era ancora buona.
Avrebbe solo dovuto reggere.
La sua parte negativa cominciò a pensare, Si, ma se –
“Zitto, me,” disse Leo ad alta voce.
“Cosa?” chiese Piper.
“Niente,” disse. “Lunga notte. Credo che abbia delle allucinazioni. Va tutto bene.”
Seduto davanti, Leo non poteva vederne i volti, ma dal loro silenzio suppose che i
suoi amici non fossero contenti di avere un guidatore di draghi insonne e con le
allucinazioni.
“Stavo solo scherzando.” Leo decise che sarebbe stato meglio cambiare argomento.
“Allora, qual è il piano, fratello? Hai detto qualcosa riguardo l’acchiappare il vento, o
fermare il vento, o una cosa del genere?”
Mentre volavano sopra il New England, Jason espose il piano di attacco: primo,
trovare un tipo chiamato Borea ed estorcergli qualche informazione –
“Il suo nome è Borea?” dovette chiedere Leo. “Chi è, il Dio Borioso della Noia?”
Secondo, continuò Jason, dovevano trovare quei venti che gli avevano attaccati al
Grand Canyon –
“Possiamo semplicemente chiamargli spiriti delle tempeste?” chiese Leo. “Venti gli
fa assomigliare a dei malvagi caffè espresso.”
E terzo, concluse Jason, dovevano scoprire per chi lavoravano gli spiriti delle
tempeste, così avrebbero potuto trovare Era e liberarla.
“Quindi vuoi cercare Dylan, il malvagio tipo delle tempeste, apposta,” disse Leo. “Il
ragazzo che mi ha lanciato oltre lo skywalk e che ha risucchiato Coach Hedge nelle
nuvole.”
“Questo è quanto,” disse Jason. “Bè… potrebbe esserci anche un lupo coinvolto. Ma
credo che sia amichevole. Probabilmente non ci mangerà, a meno che non
mostriamo delle debolezze.”
Jason gli raccontò del suo sogno – la grossa e cattiva madre lupo e una casa distrutta
dal fuoco con spirali di pietra che crescevano dalla piscina.
“Uh-huh,” disse Leo. “Ma non sai dove si trova questo posto.”
“No,” ammise Jason.
“Ci sono anche dei giganti,” aggiunse Piper. “La profezia dice la vendetta dei
giganti.”
“Aspetta un attimo,” disse Leo. “Giganti – tipo, più di uno? Perché non potrebbe
essere solo un gigante che vuole vendicarsi?”
“Non credo,” disse Piper. “Ricordo da alcune delle antiche storie greche, c’era
qualcosa riguardo un esercito di giganti.”
“Grande,” borbottò Leo. “Ovviamente, con la nostra fortuna, è un esercito. Allora sai
qualcos’altro su questi giganti? Non avevi fatto un sacco di ricerche sui miti per quel
film con tuo padre?”
“Tuo padre è un attore?” chiese Jason.
Leo rise. “Continuo a dimenticarmi della tua amnesia. Heh. Dimenticarsi
dell’amnesia. Questo è buffo. Ma, si, suo padre è Tristan McLean.”
“Uh – Scusa, che film ha fatto?”
“Non importa,” disse Piper velocemente. “I giganti – bè, c’erano un sacco di giganti
nella mitologia greca. Ma se sto pensando a quelli giusti, rappresentavano brutte
notizie. Enormi, quasi impossibili da uccidere. Potevano lanciare montagne e cose
del genere. Credo che fossero imparentati con i Titani. Sorsero dalla terra dopo che
Crono perse la guerra – intendo la prima guerra dei Titani, migliaia di anni fa – e
provarono a distruggere l’Olimpo. Se stiamo parlando degli stessi giganti – “
“Chirone ha detto che stava accadendo di nuovo,” ricordò Jason. “L’ultimo capitolo.
Intendeva questo. Non c’è da stupirsi che non voleva che conoscessimo tutti i
dettagli.”
Leo fischiò. “Quindi… giganti che sanno lanciare montagne. Lupi amichevoli che ci
mangeranno se mostriamo debolezze. Malvagi caffè espresso. Capito. Forse non è il
momento di tirare fuori la storia della mia babysitter psicopatica.”
“E’ un altro scherzo?” chiese Piper.
Leo gli raccontò di Tia Callida, in realtà Era, e di come gli era apparsa al campo. Non
gli raccontò delle sue abilità con il fuoco. Quello era ancora un argomento sensibile,
soprattutto dopo che Nyssa gli aveva detto che i semidei di fuoco tendevano a
distruggere città e cose così. Inoltre, a quel punto Leo avrebbe dovuto affrontare
l’argomento di come avesse causato la morte di sua madre, e… No. Non era pronto
per quello. Riuscì a parlare della notte in cui era morta, senza parlare del fuoco,
dicendo semplicemente che l’officina era crollata. Fu più facile senza dover guardare
i suoi amici, mantenendo semplicemente lo sguardo fisso davanti a se mentre
volavano.
E gli raccontò della strana donna con i vestiti di terra che sembrava essere
addormentata, e sembrava conoscere il futuro.
Leo calcolò che l’intero stato del Massachusetts passò sotto di loro prima che i suoi
amici parlassero.
“Questo è… inquietante,” disse Piper.
“Riassume tutto,” concordò Leo. “La cosa è, tutti dicono di non fidarsi di Era. Lei odia
i semidei. E la profezia dice che provocheremmo la morte se liberiamo la sua ira.
Quindi mi stavo chiedendo… perché stiamo facendo questo?”
“Lei ci ha scelti,” disse Jason. “Tutti e tre noi. Noi siamo i primi dei sette che si
devono riunire per la Grande Profezia. Questa impresa è l’inizio di qualcosa di molto
più grande.”
Ciò non fece sentire Leo affatto meglio, ma non poteva discutere con l’idea di Jason.
Sembrava davvero come se si trattasse dell’inizio di qualcosa di enorme. Sperava
solo che se c’erano altri quattro semidei destinati ad aiutargli, si sarebbero
presentati presto. Leo non voleva prendersi tutte le terrificanti avventure
mortalmente pericolose.
“Inoltre,” continuò Jason, “aiutare Era è l’unico modo nel quale posso riprendermi la
mia memoria. E quella spirale scura del mio sogno sembrava sfamarsi dell’energia di
Era. Se quella cosa rilascia un re dei giganti distruggendo Era –“
“Non un bello scambio,” concordò Piper. “Almeno Era è dalla nostra parte –
perlopiù. Perderla getterebbe gli dei nel caos. Lei è quella che più di tutti mantiene
pace nella famiglia. E una guerra con i giganti potrebbe essere persino più distruttiva
di una Guerra dei Titani.”
Jason annuì. “Chirone ha anche parlato di forze peggiori che si mescolano durante il
solstizio, con il fatto che è un buon momento per la magia oscura e tutto – qualcosa
che potrebbe svegliarsi se Era venisse sacrificata quel giorno. E questa padrona che
sta controllando gli spiriti delle tempeste, quella che vuole uccidere tutti i semidei –“
“Potrebbe essere quella strana donna addormentata,” concluse Leo. “Donna di
Terra completamente sveglia? Non una cosa che voglio vedere.”
“Ma chi è?” chiese Jason. “E cosa ha a che fare lei con i giganti?”
Belle domande, ma nessuno di loro aveva le riposte. Volarono in silenzio mentre Leo
si domandava se avesse fatto la cosa giusta, a condividere così tanto. Non aveva mai
raccontato a nessuno di quella notte al magazzino. Anche se non gli aveva detto la
storia completa, era comunque strano, come si fosse aperto il petto e avesse tirato
fuori tutti gli ingranaggi che lo facevano funzionare. Il suo corpo stava tremando, e
non dal freddo. Sperava che Piper, seduta dietro di lui, non se ne accorgesse.
La fucina e la colomba la gabbia spezzeranno. Non era quello il verso della profezia?
Ciò voleva dire che lui e Piper avrebbero dovuto capire come irrompere in quella
prigione di pietra magica, dando per scontato che l’avrebbero trovata. Poi
avrebbero rilasciato la rabbia di Era, causando un sacco di morte. Bè, suonava
divertente! Leo aveva visto Tia Callida in azione; gli piacevano i coltelli, i serpenti e
mettere i bambini in falò ardenti. Sì, andiamo assolutamente a liberare la sua rabbia.
Idea fantastica.
Festus continuò a volare. Il vento si fece più freddo, e sotto di loro le foreste
innevate sembravano andare avanti all’infinito. Leo non sapeva esattamente dove si
trovasse il Quebec. Aveva detto a Festus di portargli al palazzo di Borea, e Festus
continuava a viaggiare verso nord. Con un po’ di fortuna il drago conosceva la
strada, e loro non sarebbero finiti al Polo Nord.
“Perché non dormi un po’?” gli disse Piper all’orecchio. “Sei stato sveglio tutta la
notte.”
Leo voleva protestare, ma la parola dormire suonava davvero bene. “Non lascerai
che cada?”
Piper gli picchiettò sulla spalla. “Fidati di me, Valdez. Le persone belle non mentono
mai.”
“Giusto,” borbottò. Si piegò in avanti contro il bronzo caldo del collo del drago e
chiuse gli occhi.
18
LEO
Sembrava che avesse dormito solo per pochi secondi, ma quando Piper lo scosse per
svegliarlo, la luce del giorno di stava dissolvendo. “Siamo arrivati,” disse lei. Leo si
sfregò gli occhi. Sotto di loro c’era una città posta su una collina che si affacciava su
un fiume. I campi attorno erano spolverati di neve, ma la città stessa brillava
caldamente alla luce del tramonto invernale. Gli edifici erano addensati uno accanto
all’altro all’interno di alte mura come una città medievale, molto più antico di
qualsiasi altro posto Leo avesse visto prima. Al centro c’era un vero castello –
almeno Leo pensava fosse un castello – con enormi mura di mattoni rossi e una
torre quadrata con un verde tetto spiovente che terminava con una punta. “Ditemi
che quello è il Quebec e non il laboratorio di Babbo Natale,” disse Leo. “Si, la città di
Quebec,” confermò Piper. “Una delle città più antiche del Nord America. Fondata
intorno al milleseicento o giù di lì?” Leo sollevò un sopracciglio. “Tuo padre ha fatto
un film anche su quello?” Lei gli fece una smorfia, cosa alla quale Leo era abituato,
ma non funzionava molto bene con il suo nuovo trucco attraente. “A volte leggo,
okay? Solo perché Afrodite mi ha riconosciuta non vuol dire che devo essere una
testa vuota.” “Permalosa!” disse Leo. “Visto che sai così tanto, cos’è quel castello?”
“Un hotel, penso.” Leo rise. “Non è possibile.” Ma, mentre si avvicinavano, Leo vide
che aveva ragione. La grande entrata brulicava di portieri, camerieri e facchini che
prendevano le borse. Lucide, lussuose macchine nere stazionavano nel parcheggio.
Persone con completi eleganti e mantelli invernali si affrettavano per rifugiarsi al
caldo. “Il Vento del Nord alloggia in un hotel?” disse Leo. “Non può essere –“
“Attenzione ragazzi,” lo interruppe Jason. “Abbiamo compagnia!” Leo guardò in
basso e capì quello che voleva dire Jason. Dalla punta della torre stavano salendo
due figure alate – angeli arrabbiati, con spade dall’aspetto malefico. A Festus non
piacevano i tipi angeli. Si fermò di colpo a mezz’aria, con le ali che sbattevano e gli
artigli scoperti, e produsse un brontolio con la gola che Leo riconobbe. Si stava
preparando a sputare fuoco. “Buono, bello,” mormorò Leo. Qualcosa gli diceva che
gli angeli non avrebbero preso bene l’essere trasformati in torce. “Non mi piace,”
disse Jason. “Assomigliano a degli spiriti delle tempeste.” All’inizio Leo pensò che
avesse ragione, ma mentre gli angeli si avvicinavano poté vedere che erano molto
più solidi dei venti. Avevano l’aspetto di normali adolescenti ad eccezione dei loro
capelli bianco ghiaccio e delle loro piumate ali viola. Le loro spade di bronzo erano
dentellate, come dei ghiaccioli. I loro volti erano abbastanza simili che avrebbero
potuto essere fratelli, ma senza dubbio non erano gemelli. Uno era grande come un
bue, con una maglietta da hockey rosso acceso, una tuta larga e delle scarpette da
calcio di pelle nera. Il ragazzo era stato chiaramente in troppe lotte, perché aveva
entrambi gli occhi neri, e quando scoprì i denti, gliene mancavano parecchi. L’altro
ragazzo sembrava appena essere uscito dalla copertina di uno degli album rock anni
ottanta della madre di Leo – Journey, forse, o Hall & Oates, o qualcosa di ancora più
triste. I suoi capelli bianco ghiaccio erano lunghi e nella parte superiore corti e
vaporosi. Indossava delle scarpe di pelle a punta, pantaloni firmati che erano
assolutamente troppo stretti e una maglietta di seta divinamente orrenda con i
primi tre bottoni aperti. Forse pensava di sembrare un dio dell’amore all’ultima
moda, ma il tizio non poteva pesare più di quaranta chili, e aveva un brutto sfogo di
acne. Gli angeli si fermarono davanti al drago e rimasero librati lì, con le spade
pronte all’attacco. Il bue dell’hockey grugnì. “No autorizzati.” “Scusa?” disse Leo.
“Non avete nessuna autorizzazione di volo,” spiegò il dio dell’amore all’ultima moda.
Sopra a tutti i suoi altri problemi, aveva un accento francese così brutto che Leo era
certo fosse falso. “Questa è un’area di volo privata.” “Distruggerli?” Il bue mise in
mostra il suo sorriso sdentato. Il drago cominciò a soffiare vapore, pronto per
difenderli. Jason evocò la sua spada dorata, ma Leo urlò, “Frenate! Mostriamo un
po’ di buone maniere qui, ragazzi. Posso almeno sapere chi ha l’onore di
distruggermi?” “Io sono Cal!” grugnì il bue. Sembrava molto fiero di se stesso, come
se gli ci fosse voluto molto tempo per memorizzare quella frase. “E’ l’abbreviazione
di Calais,” disse il dio dell’amore. “Purtroppo, mio fratello non sa pronunciare parole
con più di due sillabe – “ “Pizza! Hockey! Rompo!” offrì Cal. “ – cosa che include il
suo stesso nome,” concluse il dio dell’amore. “Io sono Cal,” ripeté Cal. “E questo è
Zethes! Mio fratello!” “Wow,” disse Leo. “Erano quasi tre frasi, amico! Bel lavoro.”
Cal grugnì, chiaramente soddisfatto di se stesso. “Stupido buffone,” brontolò suo
fratello. “Si prendono gioco di te. Ma non importa. Io sono Zethes, che è
l’abbreviazione di Zethes. E la signorina qui –“ Ammiccò a Piper, ma l’occhiolino
sembrò più uno spasmo facciale. “Lei può chiamarmi in qualsiasi modo le piaccia.
Magari le piacerebbe cenare con un famoso semidio prima di dovervi distruggere?”
Piper produsse un suono come se si stesse soffocando con una pasticca per la tosse.
“E’… un’offerta davvero impressionante.” “Non c’è problema.” Zethes agitò le
sopracciglia. “Siamo delle persone molto romantiche, noi Boreali.” “Boreali?” si
intromise Jason. “Vuoi dire, tipo, i figli di Borea?” “Ah, quindi hai sentito parlare di
noi!” Zethes sembrava compiaciuto. “Siamo i guardiani delle porte di nostro padre.
Quindi capite, non possiamo avere delle persone non autorizzate che volano nello
spazio aereo su un drago cigolante, spaventando gli sciocchi mortali.” Indicò verso il
basso, e Leo vide che i mortali stavano iniziando a notargli. Molti stavano indicando
verso l’alto – non ancora in allarme – più con confusione e fastidio, come se il drago
fosse un elicottero del traffico che volava troppo basso. “Cosa che è triste perché, a
meno che non si tratti di un atterraggio d’emergenza,” disse Zethes, scostandosi i
capelli dal volto ricoperto d’acne, “dovremmo distruggervi dolorosamente.”
“Rompo!” concordò Cal, con un po’ più di entusiasmo di quanto Leo pensava fosse
necessario. “Aspettate!” disse Piper. “Questo è un atterraggio d’emergenza.”
“Awww!” Cal sembrava così deluso che Leo si dispiacque quasi per lui. Zethes studiò
Piper, cosa che ovviamente stava già facendo. “Perché secondo la ragazza carina si
tratta di un’emergenza allora?” “Dobbiamo vedere Borea. E’ assolutamente
urgente! Per favore?” Fece un sorriso forzato, cosa che Leo pensò la stesse
uccidendo, ma aveva ancora la cosa della benedizione di Afrodite in corso, e aveva
un aspetto fantastico. C’era anche qualcosa riguardo la sua voce – Leo si ritrovò a
credere ad ogni parola. Jason stava annuendo, sembrando assolutamente convinto.
Zethes controllò la sua maglietta di seta, probabilmente per assicurarsi che fosse
ancora aperta abbastanza. “Bè… odio dover deludere un’affascinante fanciulla, ma,
vedi, mia sorella, lei provocherebbe una valanga se vi permettessimo –“ “E il nostro
drago è difettoso!” aggiunse Piper. “Potrebbe schiantarsi in qualsiasi momento!”
Festus tremò utilmente, poi ruotò la testa e verso olio per motori dall’orecchio,
schizzando una Mercedes nera nel parcheggio sottostante. “Non si rompe?”
piagnucolò Cal. Zethes rifletté sul problema. Poi fece a Piper un altro occhiolino
spasmodico. “Bè, sei carina. Voglio dire, hai ragione. Un drago difettoso – questa
potrebbe essere un’emergenza.” “Rompere loro dopo?” propose Cal, che era
probabilmente il più vicino a un atteggiamento amichevole di quanto non fosse mai
stato. “Ci vorranno delle spiegazioni,” decise Zethes. “Papà non è stato gentile con i
visitatori ultimamente. Ma, sì. Venite, persone dal drago difettoso. Seguiteci.” I
Boreali rinfoderarono le loro spade e tirano fuori dalle cinture delle armi più piccole
– o almeno Leo pensava che fossero delle armi. Poi i Boreali le accesero, e Leo capì
che si trattava di torce con le lenti arancioni, come quelle che i controllori del
traffico usano sulle piste. Cal e Zethes si voltarono e volarono in picchiata verso la
torre dell’hotel. Leo si girò verso i suoi amici. “Adoro questi ragazzi. Li seguiamo?”
Jason e Piper non sembravano impazienti all’idea. “Immagino di sì,” decise Jason.
“Siamo qui ora. Ma mi domando perché Borea non è stato gentile con i visitatori.”
“Pfft, non ha ancora incontrato noi.” Leo fischiò. “Festus, segui quelle torce!”
Mentre si avvicinavano, Leo cominciò a temere che si sarebbero schiantati contro la
torre. I Boreali puntavano dritto verso la punta a spioventi verde e non rallentavano.
Poi una sezione del tetto inclinato si aprì scivolando, rivelando un ingresso grande
più che a sufficienza per Festus. La cima e il fondo erano circondati da ghiaccioli
simili a denti frastagliati. “Non promette nulla di buono,” borbottò Jason, ma Leo
spronò il drago verso il basso, e scesero in picchiata dietro ai Boreali. Atterrarono in
quella che doveva essere la suite con attico, ma la stanza era stata colpita da un
raggio congelante. L’ingresso aveva dei soffitti a volta alti dodici metri, enormi
finestre drappeggiate e sgargianti tappeti orientali. Una scala in fondo alla stanza
portava a un altro ingresso altrettanto enorme, e diversi corridoi si sviluppavano da
destra e sinistra. Ma il ghiaccio rendeva la bellezza della stanza un po’ spaventosa.
Quando Leo scivolò giù dal drago, il tappeto scricchiolò sotto i suoi piedi. Un delicato
strato di ghiaccio ricopriva l’arredamento. Le tende non si mossero perché erano
congelate, e le finestre ricoperte di ghiaccio lasciavano entrare della strana luce
acquosa del tramonto. Persino il soffitto era incrostato di ghiaccioli. Per quanto
riguardava le scale, Leo era certo che sarebbe scivolato e si sarebbe rotto il collo se
avesse provato a salirle. “Ragazzi,” disse Leo, “aggiustate il termostato qui dentro, e
mi ci trasferisco assolutamente.” “Non io.” Jason guardò le scale a disagio. “C’è
qualcosa che non va. Qualcosa là sopra…” Festus rabbrividì e starnutì fiamme. Del
ghiaccio cominciò a formarsi sulle sue squame. “No, no, no.” Zethes si avvicinò
marciando, anche se come potesse camminare con quelle scarpe di pelle a punta,
Leo non ne aveva la più pallida idea. “Il drago deve essere disattivato. Non possiamo
avere del fuoco qui dentro. Il calore mi rovina i capelli.” Festus ringhiò e fece roteare
i suoi denti a punta di trapano. “Va tutto bene, bello.” Leo si girò verso Zethes. “Il
drago è un po’ sensibile riguardo l’intero concetto di disattivazione. Ma ho una
soluzione migliore.” “Rompe?” suggerì Cal. “No, amico. Devi smetterla con questa
storia del rompere. Aspetta un attimo.” “Leo,” disse Piper nervosamente, “cosa stai
–“ “Guarda e impara, Reginetta di Bellezza. Quando stavo aggiustando Festus la
scorsa notte, ho trovato ogni tipo di pulsante possibile. Per alcuni, non vorresti
sapere cosa fanno. Ma altri… Ah, ci siamo.” Leo agganciò le dita dietro la zampa
sinistra anteriore del drago. Tirò un interruttore, e il dragò tremò dalla testa ai piedi.
Si fecero tutti indietro mentre Festus si ripiegava come un origami. Le sue placche si
bronzo si impilarono insieme. Il collo e la coda gli si contrassero nel corpo. Le ali
crollarono e il tronco si compattò finché non divenne un tassello di metallo
rettangolare grande come una valigia. Leo cercò di sollevarlo, ma la cosa pensava
circa sei miliardi di chili. “Um… sì. Aspettate. Credo – aha.” Premette un altro
pulsante. Un manico sbucò sulla cima e delle ruote scattarono fuori sul fondo. “Tada!” annunciò. “Il bagaglio a mano più pesante del mondo!” “E’ impossibile,” disse
Jason. “Qualcosa di così grande non potrebbe –“ “Fermo!” ordinò Zethes. Lui e Cal
sguainarono entrambi le spade e guardarono feroci Leo. Leo alzò le mani. “Okay…
cosa ho fatto? Calmi ragazzi. Se vi dà così tanto fastidio, non devo portare il drago
come bagaglio –“ “Chi sei tu?” Zethes spinse la punta della sua spada contro il petto
di Leo. “Un figlio del Vento del Sud, venuto a spiarci?” “Cosa? No!” disse Leo. “Figlio
di Efesto. Fabbro amichevole, non faccio male a nessuno!” Cal grugnì. Si mise faccia
a faccia con Leo, e non era di certo più carino a distanza ravvicinata, con i suoi occhi
pesti e la bocca sdentata. “Odoro fuoco,” disse. “Fuoco è brutto.” “Oh.” Il cuore di
Leo cominciò a correre. “Si, bè… i miei vestiti sono piuttosto bruciati, e ho lavorato
con l’olio, e –“ “No!” Zethes spinse Leo indietro con la punta della spada. “Sappiamo
odorare il fuoco, semidio. Pensavamo che venisse dal drago scricchiolante, ma ora il
drago è una valigia. E io continuo a sentire odore di fuoco… su di te.” Se non ci
fossero stati, tipo, meno quindici gradi nell’attico, Leo avrebbe iniziato a sudare.
“Hey… sentite… non lo so –“ Lanciò uno sguardo disperato si suoi amici. “Ragazzi, un
aiutino?” Jason aveva già la sua moneta d’oro in mano. Si fece avanti, gli occhi
puntati su Zethes. “Senti, c’è stato un errore. Leo non è un ragazzo di fuoco. Diglielo
Leo. Digli che non sei un ragazzo di fuoco.” “Um…” “Zethes?” Piper tentò di nuovo
con il suo sorriso abbagliante, tuttavia sembrava un po’ troppo nervosa e
infreddolita per farlo funzionare. “Siamo tutti amici qui. Mettete giù le spade e
parliamo.” “La ragazza è carina,” ammise Zethes, “e ovviamente non può evitare di
essere attratta dalla mia bellezza, ma, purtroppo, non posso fare il romantico con lei
in questo momento.” Spinse ancora di più la punta della spada contro il petto di Leo,
e lui poté sentire il gelo che si diffondeva sulla sua maglietta, facendogli diventare la
pelle insensibile. Avrebbe voluto poter riattivare Festus. Aveva bisogno di qualche
rinforzo. Ma ci sarebbero voluti parecchi minuti, anche se avesse potuto raggiungere
il bottone, con due tipi pazzi dalle ali viola sulla sua strada. “Rompiamo lui, ora?”
chiese Cal al fratello. Zethes annuì. “Purtroppo, penso –“ “No,” insistette Jason.
Suonava abbastanza calmo, ma Leo immaginò che era a circa due secondi di
distanza dal lanciare quella moneta e entrare in modalità gladiatore totale. “Leo è
solo un figlio di Efesto. Non è una minaccia. Piper qui è una figlia di Afrodite. Io sono
il figlio di Zeus. Siamo in una pacifica…” La voce di Jason vacillò, perché entrambi i
Boreali si erano improvvisamente voltati verso di lui. “Cosa hai detto?” chiese
Zethes. “Tu sei il figlio di Zeus?” “Um… sì,” disse Jason. “Questa è una buona cosa,
giusto? Il mio nome è Jason.” Cal sembrava così sorpreso, che fece quasi cadere la
spada. “Non può essere Jason,” disse. “Non ha lo stesso aspetto.” Zethes si fece
avanti e scrutò il volto di Jason. “No, non è il nostro Jason. Il nostro Jason aveva più
stile. Non tanto quanto me – ma aveva stile. Inoltre, il nostro Jason morì millenni
fa.” “Aspettate,” disse Jason. “Il vostro Jason… volete dire il Jason originale? Il
Giasone del Vello d’Oro?” “Ovviamente,” disse Zethes. “Eravamo i suoi compagni di
equipaggio a bordo della sua nave, l’Argo, ai vecchi tempi, quando eravamo semidei
mortali. Poi abbiamo accettato l’immortalità per servire nostro padre, così potevo
avere questo bell’aspetto per tutto il tempo, e il mio sciocco fratello poteva godersi
pizza e hockey.” “Hockey!” concordò Cal. “Ma Jason – il nostro Jason – è morto da
mortale,” disse Zethes. “Non puoi essere lui.” “Non lo sono,” concordò Jason.
“Quindi, rompere?” chiese Cal. Chiaramente la conversazione stava facendo fare del
duro lavoro ai suoi due neuroni. “No,” disse Zethes con rimpianto. “Se è un figlio di
Zeus, potrebbe essere quello che stavamo cercando.” “Cercando?” chiese Leo.
“Intendi, tipo, in modo buono: lo riempirete di premi favolosi? O cercare, tipo, in un
modo brutto: è nei guai?” La voce di una ragazza disse, “Quello dipende dalla
volontà di mio padre.” Leo sollevò lo sguardo verso le scale. Il cuore per poco non gli
si fermò. In cima c’era una ragazza con un vestito di seta bianco. La sua pelle era
innaturalmente pallida, del colore della neve, ma i suoi capelli erano una splendente
chioma nera, e gli occhi erano castani come il caffè. Si focalizzò su Leo senza nessuna
espressione, nessun sorriso, nessun segno di amichevolezza. Ma non importava. Leo
era innamorato. Era la ragazza più spettacolare che avesse mai visto. Poi lei guardò
verso Jason e Piper, e sembrò capire immediatamente la situazione. “Mio padre
desidera vedere quello di nome Jason,” disse la ragazza. “Allora è lui?” chiese Zethes
eccitato. “Vedremo,” disse la ragazza. “Zethes, porta i nostri ospiti.” Leo afferrò il
manico della sua valigia drago di bronzo. Non era certo di come avrebbe fatto a
trascinarla per le scale, ma doveva avvicinarsi a quella ragazza e farle alcune
importanti domande – come la sua e-mail e il suo numero di telefono. Prima che
potesse fare un solo passo, lei lo congelò con un’occhiata. Non letteralmente
congelato, ma avrebbe potuto fare anche quello. “Non te, Leo Valdez,” disse. Una
parte della sua mente si chiese come conoscesse il suo nome, ma più che altro si
stava concentrando su quanto si sentisse annientato. “Perché no?” Probabilmente
suonò come un bambino dell’asilo piagnucoloso, ma non poteva farci nulla. “Non
puoi stare alla presenza di mio padre,” disse la ragazza. “Fuoco e ghiaccio – non
sarebbe saggio.” “Andremo insieme,” insistette Jason, mettendo la mano sulla spalla
di Leo, “o non andremo per niente.” La ragazza inclinò la testa, come se non fosse
abituata alle persone che si rifiutavano di seguire i suoi ordini. “Non gli verrà fatto
del male, Jason Grace, a meno che tu non combini dei guai. Calais, tieni qui Leo
Valdez. Sorveglialo, ma non lo uccidere.” Cal mise il broncio. “Solo un po’?” “No,”
insistette la ragazza. “E prenditi cura della sua interessante valigia, finché nostro
padre non prenderà una decisione.” Jason e Piper guardarono Leo, facendogli una
domanda muta con le loro espressioni: Che vuoi fare? Leo provò un’ondata di
gratitudine. Erano pronti a lottare per lui. Non lo avrebbero lasciato solo con il bue
dell’hockey. Una parte di lui voleva farlo, tirare fuori la sua nuova cintura per gli
attrezzi e vedere cosa poteva fare, magari evocare persino una palla di fuoco o due e
riscaldare quel posto. Ma i tipi Boreali lo spaventavano. E quella magnifica ragazza lo
spaventata di più, anche se voleva comunque il suo numero. “E’ tutto apposto
ragazzi,” disse. “Non ha senso causare dei guai se non dobbiamo. Voi andate
avanti.” “Dai retta al tuo amico,” disse la ragazza pallida. “Leo Valdez sarà
perfettamente al sicuro. Vorrei poter dire la stessa cosa per te, figlio di Zeus. Ora
vieni, Re Borea sta aspettando.”
19
JASON
Jason non voleva lasciare Leo, ma stava cominciando a pensare che stare in
compagnia di Cal il giocatore di hockey potesse essere l’opzione meno pericolosa in
quel posto.
Mentre salivano le scale ghiacciate, Zethes rimase dietro di loro, con la spada
pronta. Il ragazzo poteva avere l’aspetto di uno scarto del tempo della disco, ma non
c’era nulla di divertente nella sua spada. Jason pensava che un colpo da quella cosa
l’avrebbe probabilmente trasformato in un ghiacciolo.
Poi c’era la principessa del ghiaccio. Di tanto in tanto si girava e gli sorrideva, ma non
c’era calore nella sua espressione. Trattava Jason come se fosse un’esemplare
particolarmente interessante – uno che non vedeva l’ora di sezionare.
Se questi erano i figli di Borea, Jason non era sicuro di volere incontrare Papà.
Annabeth gli aveva detto che Borea era il dio del vento più amichevole di tutti. A
quanto pareva ciò voleva dire che non uccideva gli eroi velocemente come gli altri.
Jason era preoccupato di aver guidato i suoi amici in una trappola. Se le cose fossero
andate storte, non era certo di essere in grado di fargli uscire vivi. Senza pensarci,
prese la mano di Piper per rassicurazione.
Lei inarcò il sopracciglio, ma non la lasciò andare.
“Andrà tutto bene,” promise lei. “Solo una chiacchierata, giusto?”
In cima alle scale, la principessa del ghiaccio si voltò e si accorse che si stavano
tenendo per mano. Il suo sorriso svanì. All’improvviso la mano di Jason in quella di
Piper divenne fredda come il ghiaccio – talmente fredda che bruciava. Lasciò andare
la presa, e le dita gli fumarono gelate. Così come quelle di Piper.
“Il calore non è una buona idea qui,” avvisò la principessa, “soprattutto quando io
sono la vostra migliore possibilità di rimanere in vita. Prego, da questa parte.”
Piper gli diede un’occhiata nervosa, come a dire, Cosa abbiamo fatto?
Jason non aveva una risposta. Zethes lo spinse da dietro con la sua spada ghiacciolo,
e seguirono la principessa lungo un enorme corridoio coperto da arazzi congelati.
Venti gelidi soffiavano da ogni parte, e i pensieri di Jason si muovevano quasi
altrettanto velocemente. Aveva avuto un sacco di tempo per pensare mentre
stavano guidando il drago verso nord, ma si sentiva confuso come sempre.
La foto di Talia era ancora nella tasca, tuttavia non aveva più bisogno di guardarla.
La sua immagine si era marchiata nella sua mente. Era già abbastanza brutto non
ricordarsi del suo passato, ma sapere che aveva una sorella lì fuori da qualche parte
che poteva avere delle risposte e non avere modo di trovarla – quello lo faceva
impazzire.
Nella foto, Talia non gli assomigliava per niente. Avevano entrambi gli occhi blu, ma
la cosa finiva lì. Lei aveva i capelli neri. La sua carnagione era più mediterranea. I
suoi tratti erano più affilati – come quelli di un falco.
Tuttavia, Talia aveva un aspetto familiare. Era gli aveva lasciato giusto la memoria
necessaria per far sì che fosse certo che Talia fosse sua sorella. Ma Annabeth era
stata totalmente sorpresa quando gliel’aveva detto, come se non avesse mai saputo
che Talia aveva un fratello. Lei sapeva almeno che lui esisteva? Come erano stati
separati?
Era aveva preso quei ricordi. Aveva rubato tutto il passato di Jason, lo aveva spedito
in una nuova vita e ora si aspettava che lui la salvasse da una prigione, così che
potesse riprendersi quello che lei aveva rubato. Ciò rendeva Jason così furioso che
voleva andare via, lasciare Era a marcire in quella gabbia – ma non poteva. Era
incastrato. Doveva sapere di più, e ciò lo rendeva ancora più risentito.
“Hey.” Piper gli toccò il braccio. “Sei ancora con me?”
“Sì… sì, scusa.”
Era grato di avere Piper. Aveva bisogno di un amico, ed era contento che avesse
iniziato a perdere la benedizione di Afrodite. Il trucco stava svanendo. I suoi capelli
stavano lentamente tornando al suo vecchio stile scalato con le treccioline ai lati. La
faceva sembrare più reale e, per quanto riguardava Jason, più bella.
Ora era certo che non si erano mai conosciuti prima del Grand Canyon. La loro
relazione era stata solo un trucco della Foschia nella mente di Piper. Ma più tempo
passava con lei, più desiderava che fosse stata vera.
Smettila, si disse. Pensare in quel modo non era giusto nei confronti di Piper. Jason
non aveva idea di cosa lo stesse aspettando nella sua vecchia vita – o di chi stesse
aspettando. Ma era piuttosto sicuro che il suo passato non si sarebbe combinato
con il Campo Mezzosangue. Dopo quell’impresa, chi sapeva cosa sarebbe successo?
Dando per scontato che fossero sopravvissuti.
Alla fine del corridoio si ritrovarono davanti a un set di porte di quercia intagliate
con una mappa del mondo. In ogni angolo c’era il volto barbuto di un uomo, che
stava soffiando vento. Jason era molto sicuro di aver già visto mappe del genere. Ma
in quella versione tutti i ragazzi del vento erano l’Inverno, e soffiavano neve e
ghiaccio da ogni angolo del mondo.
La principessa si girò. I suoi occhi castani brillarono, e Jason si sentì come un regalo
di Natale che lei sperava di aprire.
“Questa è la sala del trono,” disse. “Comportati al meglio, Jason Grace. Mio padre
può essere… freddo. Tradurrò per voi e cercherò di incoraggiarlo ad ascoltarvi. Spero
davvero che vi risparmi. Potremmo divertirci così tanto.”
Jason immaginò che la definizione di divertente di quella ragazza non fosse la stessa
sua.
“Um, okay,” riuscì a dire. “Ma davvero, siamo solo qui per una piccola chiacchierata.
Ce ne andremo subito dopo.”
La ragazza sorrise. “Adoro gli eroi. Così deliziosamente ignoranti.”
Piper mise la mano sul suo pugnale. “Bè, che ne dici di illuminarci? Hai detto che
tradurrai per noi, e noi non sappiamo nemmeno chi sei. Come ti chiami?”
La ragazza sbuffò con antipatia. “Suppongo che non dovrei essere sorpresa dal fatto
che non mi riconosciate. Persino ai tempi antichi i Greci non mi conoscevano bene.
Le loro isole natali erano troppo calde, troppo lontane dal mio dominio. Io sono
Chione, figlia di Borea, dea della neve.”
Smosse l’aria con il dito, e una bufera di neve in miniatura le turbinò intorno –
fiocchi grossi e vaporosi, soffici come il cotone.
“Ora, venite,” disse Chione. Le porte di quercia si spalancarono, della fredda luce blu
si riversò dalla stanza. “Si spera che sopravviverete alla vostra piccola chiacchierata.”
20
JASON
Se la sala d’ingresso era stata fredda, la sala del trono era come una cella frigorifera.
Il vapore stava sospeso in aria. Jason tremava e quando respirava l’alito si
condensava. Lungo le pareti, degli arazzi viola mostravano scene di foreste innevate,
montagne spoglie e ghiacciai. Molto in alto, dei nastri di luce colorata – l’aurora
boreale – pulsavano lungo il soffitto. Il pavimento era coperto da uno strato di neve,
per questo Jason dovette muoversi con attenzione. Tutto intorno alla stanza si
trovavano sculture di ghiaccio di guerrieri a grandezza naturale – alcuni con
l’armatura greca, alcuni medievale, alcuni con tute mimetiche moderne – tutti
congelati in diverse posizioni di attacco, le spade sollevate, le pistole chiuse e
caricate.
Almeno Jason pensava che fossero delle sculture. Poi provò a passare tra due uomini
greci con le lance, e questi si mossero con sorprendente velocità, con le giunture che
scricchiolavano e schizzavano cristalli di ghiaccio mentre incrociavano i loro
giavellotti per bloccargli la strada.
Dall’estremità opposta dell’ingresso, si sentì la voce di un uomo che parlò con una
lingua che sembrava essere francese. La stanza era così lunga e nebbiosa, che Jason
non riusciva a vederne la fine ma qualsiasi cosa avesse detto, le guardie di ghiaccio
spostarono i loro giavellotti.
“E’ tutto apposto,” disse Chione. “Mio padre gli ha ordinato di non uccidervi per il
momento.”
“Super,” disse Jason.
Zethes lo incitò premendogli la spada nella schiena. “Continua a camminare, Jason
Junior.”
“Non chiamarmi così per favore.”
“Mio padre non è un uomo paziente,” avvertì Zethes, “e la bella Piper, purtroppo,
sta perdendo la sua magica acconciatura molto velocemente. Più tardi, magari,
posso prestarle qualcosa dalla mia vasta collezione di prodotti per capelli.”
“Grazie,” borbottò Piper.
Continuarono a camminare, e la nebbia si dissolse rivelando un uomo su un trono di
ghiaccio. Aveva una corporatura massiccia, vestito con un elegante completo bianco
che sembrava essere fatto di neve, con delle ali viola scuro che si estendevano da
entrambi i lati. I suoi capelli lunghi e la sua barba ispida erano incrostati di ghiaccioli,
quindi Jason non sapeva dire se avesse i capelli grigi o solo bianchi a causa della
neve. Le sue sopracciglia inarcate lo facevano sembrare arrabbiato, ma i suoi occhi
brillavano in maniera più calda di quelli si sua figlia – come se potesse avere del
senso dell’umorismo nascosto da qualche parte sotto quello strato di permafrost.
Jason lo sperava.
“Bienvenu,” disse il re. “Je suis Boreas le Roi. Et vous?”
La dea della neve Chione stava per parlare, ma Piper si fece avanti e s’inchinò.
“Votre Majesté,” disse, “je suis Piper McLean. Et c’est Jason, fils de Zeus.”
Il re sorrise piacevolmente sorpreso. “Vous parlez français? Très bien!”
“Piper, parli il francese?” chiese Jason.
Piper aggrottò le sopracciglia. “No. Perché?”
“Hai appena parlato in francese.”
Piper sbatté le palpebre. “L’ho fatto?”
Il re disse qualcos’altro, e Piper annuì. “Oui, Votre Majesté.”
Il re rise e batté le mani, ovviamente deliziato. Disse qualche altra frase, poi agitò la
mano verso sua figlia come se la stesse cacciando via.
Chione sembrava irritata. “Il re dice –“
“Dice che sono una figlia di Afrodite,” la interruppe Piper, “quindi naturalmente so
parlare il francese, che è la lingua dell’amore. Non ne avevo idea. Sua Maestà dice
che ora Chione non dovrà tradurre.”
Alle loro spalle, Zethes soffocò una risata, e Chione gli lanciò un’occhiata assassina.
S’inchinò impettita verso suo padre e fece un passo indietro.
Il re squadrò Jason, e questi decise che sarebbe stata una buona idea inchinarsi.
“Vostra Maestà, io sono Jason Grace. La ringrazio per, um, non averci ucciso. Posso
chiederle… perché un dio greco parla francese?”
Piper fece un altro scambio di battute con il re.
“Lui parla la lingua del suo paese ospitante,” tradusse Piper. “Dice che tutti i dei lo
fanno. La maggior parte delle divinità greche parla inglese, dal momento che ora
risiedono negli Stati Uniti, ma Borea non è mai stato benvenuto nel loro regno. Il suo
dominio è sempre stato lontano a nord. In questi giorni gli piace il Quebec, quindi
parla francese.”
Il re disse qualcos’altro, e Piper si fece pallida.
“Il re dice…” Esitò. “Dice –“
“Oh, permettimi,” disse Chione. “Mio padre dice che ha l’ordine di uccidervi. Non ve
l’avevo detto?”
Jason si tese. Il re stava ancora sorridendo amabilmente, come se avesse appena
annunciato delle fantastiche notizie.
“Ucciderci?” disse Jason. “Perché?”
“Perché,” disse il re, con un inglese dall’accento pesante, “il mio signore Eolo l’ha
ordinato.”
Borea si alzò. Scese dal suo trono e ripiegò le ali contro la schiena. Mentre si
avvicinava, Chione e Zethes si inchinarono. Jason e Piper seguirono il loro esempio.
“Vi concederò di parlare la vostra lingua,” disse Borea, “visto che Piper McLean mi
ha onorato parlando la mia. Toujours, ho tenerezza per i figli di Afrodite. Per quanto
riguarda te, Jason Grace, il mio padrone Eolo non vorrebbe che uccidessi un figlio di
Lord Zeus… senza averti prima ascoltato.”
La moneta d’oro di Jason sembrò farsi più pensate nella sua tasca. Se fosse stato
costretto a combattere, non gli piacevano le sue prospettive. Minimo due secondi
per invocare la sua spada. Poi avrebbe fronteggiato un dio, due dei suoi figli e un
esercito di guerrieri congelati.
“Eolo è il padrone dei venti, giusto?” chiese Jason. “Perché ci dovrebbe volere
morti?”
“Voi siete semidei,” disse Borea, come se ciò spiegasse tutto. “Il compito di Eolo è
quello di contenere i venti, e i semidei gli hanno sempre causato parecchi mal di
testa. Gli chiedono dei favori. Sguinzagliano i venti e provocano caos. Ma l’insulto
finale è stato la battaglia con Tifone la scorsa estate…”
Borea agitò la mano, e una lastra di ghiaccio simile a una Tv a schermo piatto
comparve nell’aria. Sulla superficie guizzarono le scene di una battaglia – un gigante
avvolto nelle nuvole che procedeva a fatica verso il profilo di Manhattan. Minuscole
figure brillanti – gli dei, indovinò Jason – gli brulicavano intorno come delle vespe
arrabbiate, colpendo il mostro con fuoco e saette. Alla fine il fiume eruttò in un
enorme vortice, e la sagoma fumosa affondò sotto le onde e scomparve.
“Il gigante delle tempeste, Tifone,” spiegò Borea. “La prima volta che gli dei lo
sconfissero, ere fa, non morì tranquillamente. La sua morte rilasciò una moltitudine
di spiriti delle tempeste – venti selvaggi che non rispondevano a nessuno. Era
compito di Eolo braccargli tutti e imprigionargli nella sua fortezza. Gli altri dei – loro
non aiutarono. Non si scusarono neanche per il disturbo. Eolo impiegò secoli per
catturare tutti gli spiriti delle tempeste, e ovviamente ciò lo irritò. Poi, la scorsa
estate, Tifone è stato sconfitto nuovamente –“
“E la sua morte ha rilasciato un’altra ondata di venti,” indovinò Jason. “Cosa che
rese Eolo ancora più arrabbiato.”
“C’est vrai,” concordò Borea.
“Ma, Vostra Maestà,” disse Piper, “gli dei non avevano altra scelta se non quella di
scontrarsi con Tifone. Stava per distruggere l’Olimpo! Inoltre, perché punire i
semidei per quello?”
Il re scrollò le spalle. “Eolo non può riversare la sua rabbia sugli dei. Loro sono i suoi
capi, e sono molto potenti. Quindi si rifà sui semidei che gli hanno aiutati nella
guerra. Ci ha emanato degli ordini: i semidei che vengono da noi per aiuto non
devono più essere tollerati. Dobbiamo schiacciare le vostre piccole facce mortali.”
Ci fu un silenzio sgradevole.
“Sembra… drastico,” azzardò Jason. “Ma lei non schiaccerà le nostre facce per ora,
giusto? Prima ci ascolterà, perché una volta che avrà sentito della nostra impresa –“
“Sì, sì,” concordò il re. “Vedete, Eolo ha anche detto che un figlio di Zeus avrebbe
potuto cercare il mio aiuto, e se ciò fosse successo io avrei dovuto ascoltarti prima di
distruggerti, perché avresti potuto – come aveva detto? – rendere tutte le nostre
vite molto interessanti. Tuttavia, sono solo obbligato ad ascoltare. Dopo di che, sono
libero di porre giudizio come ritengo opportuno. Ma prima vi ascolterò. Anche
Chione lo desidera. Potrebbe darsi che non vi uccideremo.”
Jason si sentì come se fosse quasi in grado di respirare nuovamente. “Fantastico.
Grazie.”
“Non ringraziarmi.” Borea sorrise. “Ci sono molti modi nei quali potresti rendere le
nostre vite interessanti. A volte teniamo i semidei per l’intrattenimento, come
potete vedere.”
Indicò con un gesto le varie statue di ghiaccio nella stanza.
Piper fece un verso strozzato. “Vuole dire – sono tutti semidei? Semidei congelati?
Sono vivi?”
“Domanda interessante,” ammise Borea, come se non ci avesse mai pensato prima.
“Non si muovono a meno che non stiano obbedendo ai miei ordini. Per il resto del
tempo, sono semplicemente congelati. A meno che non si sciolgano, suppongo, cosa
che provocherebbe un gran disordine.”
Chione andò alle spalle di Jason e gli mise le sue dita fredde sul collo. “Mio padre mi
fa dei regali così deliziosi,” gli mormorò nell’orecchio. “Unisciti alla nostra corte.
Magari lascerei andare i tuoi amici.”
“Cosa?” si intromise Zethes. “Se Chione si prende questo, allora io mi merito la
ragazza. Chione riceve sempre più regali!”
“Ora, figli miei,” disse Borea in modo severo. “I nostri ospiti penseranno che siete
viziati! Inoltre, andate troppo di fretta. Non abbiamo ancora nemmeno sentito la
storia del semidio. Allora decideremo cosa fare con loro. Prego, Jason Grace,
intrattienici.”
Jason sentì la mente che gli si bloccava. Non guardò Piper per paura che avrebbe
perso completamente il controllo. Gli aveva cacciati in quella situazione, e ora
sarebbero morti – o, peggio, sarebbero stati l’intrattenimento per i figli di Borea e
sarebbero finiti congelati per sempre in quella sala del trono, consumandosi
lentamente dal gelo.
Chione fece le fusa e gli accarezzò il collo. Jason non lo fece intenzionalmente, ma
l’elettricità si diffuse attraverso la sua pelle. Ci fu un sonoro pop, e Chione volò
all’indietro, scivolando lungo il pavimento.
Zethes rise. “Questo è bello! Sono contento che tu l’abbia fatto, anche se ora devo
ucciderti.”
Per un attimo, Chione fu troppo sconvolta per reagire. Poi l’aria intorno a lei
cominciò a vorticare con una micro tormenta di neve. “Tu osi –“
“Ferma,” ordinò Jason, con tanta forza quanto poté radunare. “Non ci ucciderai. E
non ci terrai qui. Siamo in un’impresa per la regina degli dei in persona, quindi a
meno che tu non voglia che Era vi distrugga la casa, ci lascerai andare.”
Suonò molto più sicuro di quello che era davvero, ma ciò catturò la loro attenzione.
La tormenta di Chione morì vorticando. Zethes abbassò la spada. Guardarono
entrambi in modo incerto verso il padre.
“Hmm,” disse Borea. I suoi occhi luccicavano, ma Jason non sapeva dire se fosse per
rabbia o divertimento. “Un figlio di Zeus, sostenuto da Era? Questa è sicuramente la
prima volta. Raccontaci la tua storia.”
Jason avrebbe rovinato tutto seduta stante. Non si aspettava di avere la possibilità
di parlare, e ora che poteva, la sua voce lo abbandonò.
Piper lo salvò. “Vostra Maestà.” Si inchinò di nuovo con un portamento incredibile,
considerando che la sua vita era appesa ad un filo. Raccontò a Borea l’intera storia,
dal Grand Canyon fino alla profezia, molto meglio e più velocemente di quello che
avrebbe potuto fare Jason.
“Tutto quello che chiediamo è una guida,” concluse Piper. “Questi spiriti delle
tempeste ci hanno attaccati, e stanno lavorando per qualche malvagia padrona. Se li
troviamo, forse possiamo trovare Era.”
Il re si lisciò i ghiaccioli sulla barba. Fuori dalle finestre, era calata la notte, e l’unica
luce proveniva dall’aurora boreale in alto, che inondava tutto di rosso e blu.
“So di questi spiriti delle tempeste,” disse Borea. “So dove vengono tenuti, e del
prigioniero che hanno preso.”
“Intende dire Coach Hedge?” chiese Jason. “E’ vivo?”
Borea mise da parte la domanda con un gesto della mano. “Per ora. Ma colei che
controlla questi venti tempestosi… opporsi a lei sarebbe una follia. Stareste meglio
qui come statue congelate.”
“Era è nei guai,” disse Jason. “Tra tre giorni sarà – non lo so – consumata, distrutta,
le succederà qualcosa. E un gigante sta per sorgere.”
“Sì,” concordò Borea. Era forse l’immaginazione di Jason, o lanciò un’occhiata
arrabbiata a Chione? “Molte orribili cose si stanno svegliando. Persino i miei figli non
mi raccontano tutte le novità che dovrebbero. Il Grande Risveglio di mostri che è
iniziato con Crono – tuo padre Zeus credeva scioccamente che si fosse concluso
quando i Titani furono sconfitti. Ma esattamente come è stato prima, così è ora. La
battaglia finale deve ancora arrivare, e colei che si sveglierà è più terribile di
qualsiasi Titano. Gli spiriti delle tempeste – questi sono solo l’inizio. La terra ha molti
più orrori da offrire. Quando i mostri non rimangono più nel Tartaro, e le anime non
sono più confinate ad Ade… l’Olimpo ha delle buone ragioni per temere.”
Jason non era certo di quello che voleva dire tutto ciò, ma non gli piaceva il modo in
cui Chione stava sorridendo – come se quella fosse la sua definizione di divertente.
“Quindi ci aiuterà?” chiese Jason al re.
Borea si accigliò. “Non ho detto questo.”
“La prego, Vostra Maestà,” disse Piper.
Gli occhi di tutti si spostarono verso di lei. Doveva essere spaventata da impazzire,
ma appariva bella e sicura – e non aveva niente a che fare con la benedizione di
Afrodite. Aveva di nuovo il suo aspetto, con i vestiti da viaggio del giorno prima,
capelli scalati e niente trucco. Ma brillava quasi di calore in quella fredda sala del
trono. “Se ci dice dove si trovano gli spiriti delle tempeste, li possiamo catturare e
portare a Eolo. Fareste bella figura davanti al vostro capo. Eolo potrebbe perdonare
noi e gli altri semidei. Potremmo persino salvare Coach Hedge. Vincerebbero tutti.”
“E’ carina,” borbottò Zethes. “Voglio dire, ha ragione.”
“Padre, non la ascoltare,” disse Chione. “E’ una figlia di Afrodite. Osa incantare un
dio? Congelata all’istante!”
Borea ci pensò su. Jason fece scivolare la mano nella tasca e si preparò a tirare fuori
la moneta d’oro. Se le cose fossero andate storte, avrebbe dovuto agire
velocemente.
Il movimento attirò lo sguardo di Borea. “Cos’hai sul tuo avambraccio, semidio?”
Jason non si era accorto che la manica del suo giacchetto si era tirata su, rivelando il
bordo del suo tatuaggio. Con riluttanza, mostrò a Borea i suoi segni.
Gli occhi del dio si spalancarono. Chione sibilò e si allontanò.
Poi Borea fece qualcosa di inaspettato. Rise così forte che un ghiacciolo si spezzò dal
soffitto e si schiantò vicino al suo trono. La forma del dio cominciò a fremere. La sua
barba scomparve. Si fece più alto e magro, e i suoi vestiti si trasformarono in una
toga romana bordata di viola. La testa era sormontata da una corona d’alloro
congelata, e un glaudio – una spada romana come quella di Jason – apparve appesa
al suo fianco.
“Aquilon,” disse Jason, anche se non aveva idea di dove avesse tirato fuori il nome
romano del dio.
Il dio inclinò la testa. “Mi riconosci meglio in questa forma, è così? E tuttavia dici di
venire dal Campo Mezzosangue?”
Jason spostò il peso da un piede all’altro. “Uh… sì, Vostra Maestà.”
“Ed Era ti ha mandato qui…” Gli occhi del dio dell’inverno erano pieni di ilarità. “Ora
capisco. Oh, sta facendo un gioco pericoloso. Audace, ma pericoloso! Non c’è da
stupirsi che l’Olimpo sia chiuso. Devono stare tremando di fronte all’azzardo che ha
fatto.”
“Jason,” disse Piper nervosamente, “perché Borea ha cambiato forma? La toga, la
corona. Cosa sta succedendo?”
“E’ la sua forma romana,” disse Jason. “Ma quello che sta succedendo – non lo so.”
Il dio rise. “No, sono certo che non lo sai. Ciò dovrebbe essere molto interessante da
guardare.”
“Vuol dire che ci lascerà andare?” chiese Piper.
“Mia cara,” disse Borea, “non c’è ragione per me di uccidervi. Se il piano di Era
fallisce, cosa che credo farà, vi distruggerete a vicenda. Eolo non dovrà mai più
preoccuparsi dei semidei.”
Jason si sentì come se le dita di Chione fossero nuovamente sul suo collo, ma non
era lei – era solo la sensazione che Borea avesse ragione. Quel senso di qualcosa di
sbagliato che aveva infastidito Jason da quanto era arrivato al Campo Mezzosangue,
e il commento di Chirone sul fatto che il suo arrivo fosse disastroso – Borea sapeva
cosa volevano dire.
“Suppongo che non ci possa spiegare?” chiese Jason.
“Oh, muoia l’idea! Non è dover mio interferire nel piano di Era. Non è una sorpresa
che ti abbia preso i ricordi.” Borea ridacchiò, apparentemente continuando a
divertirsi un mondo immaginandosi i semidei che si distruggevano a vicenda.
“Sapete, ho la reputazione di essere un dio del vento che aiuta. A differenza dei miei
fratelli, sono conosciuto per essermi innamorato di mortali. Bè, i miei figli Zethes e
Calais hanno iniziato come semidei –“
“Il che spiega perché sono degli idioti,” brontolò Chione.
“Smettila!” scattò Zethes di rimando. “Solo perché sei nata come dea completa –“
“Tutti e due, ghiacciatevi,” ordinò Borea. A quanto pareva, quella parola aveva un
sacco di peso nella famiglia, perché i due fratelli si fecero perfettamente immobili.
“Ora, come stavo dicendo, ho una buona reputazione, ma è raro che Borea giochi un
ruolo importante negli affari degli dei. Io sto seduto qui nel mio palazzo, al margine
della civilizzazione, e mi diverto così raramente. Bhà, perfino quello sciocco di Noto,
il Vento del Sud, passa le vacanze primaverili a Cancùn. Io cosa ho? Un festival
invernale con gli abitanti del Quebec nudi che si rotolano nella neve!”
“Mi piace il festival invernale,” borbottò Zethes.
“Quello che voglio dire,” tagliò Borea, “è che ora ho la possibilità di essere il centro.
Oh, sì, vi lascerò andare in questa impresa. Troverete i vostri spiriti delle tempeste
nella città ventosa, ovviamente. Chicago –“
“Padre!” protestò Chione.
Borea ignorò sua figlia. “Se riuscirete a catturare i venti, potreste guadagnarvi un
ingresso sicuro alla corte di Eolo. Se per qualche miracolo avrete successo,
assicuratevi di dirgli che avete catturato i venti su miei ordini.”
“Okay, certo,” disse Jason. “Quindi Chicago è dove troveremo questa signora che sta
controllando i venti? Lei è quella che ha intrappolato Era?”
“Ah.” Borea fece un largo sorriso. “Queste sono due domande differenti, figlio di
Giove.”
Giove, notò Jason. Prima, mi aveva chiamato figlio di Zeus.
“Quella che controlla i venti,” continuò Borea, “sì, la troverete a Chicago. Ma lei è
solo una serva – una serva che molto probabilmente vi distruggerà. Se riuscirete a
vincere contro di lei e a prendere i venti, allora potrete andare da Eolo. Solo lui ha la
conoscenza di tutti i venti della terra. Alla fine tutti i segreti arrivano alla sua
fortezza. Se c’è qualcuno che può dirvi dove è imprigionata Era, quello è Eolo. Per
quanto riguarda chi incontrerete quando troverete finalmente la gabbia di Era –
sinceramente, se ve lo dicessi, m’implorereste di congelarvi.”
“Padre,” protestò Chione, “non puoi semplicemente lasciargli –“
“Posso fare quello che voglio,” disse con un tono di voce più duro. “Sono ancora il
padrone qui, non è così?”
Dal modo nel quale Borea fissò sua figlia, era ovvio che avevano qualche discussione
in corso. Gli occhi di Chione lampeggiarono di rabbia, ma strinse i denti. “Come
desideri, Padre.”
“Ora andate, semidei,” disse Borea, “prima che cambi idea. Zethes, accompagnali
fuori al sicuro.”
Si inchinarono tutti, e il dio del Vento del Nord si dissolse nella nebbia.
Nella sala d’ingresso, Cal e Leo gli stavano aspettando. Leo sembrava infreddolito
ma illeso. Si era persino ripulito, e i suoi vestiti sembravano appena lavati, come se
avesse usato i servizi dell’hotel riservati ai camerieri. Il drago Festus era tornato alla
sua forma originaria, e si stava sputando fuoco sulle squame per mantenersi
scongelato.
Mentre Chione gli guidava giù lungo le scale, Jason si accorse che gli occhi di Leo la
seguivano. Cominciò a pettinarsi i capelli indietro con le mani. Uh-oh, pensò Jason.
Si annotò mentalmente di avvertire Leo circa la dea della neve più tardi. Non era una
per la quale prendersi una cotta.
Sul gradino finale, Chione si voltò verso Piper. “Hai imbrogliato mio padre, ragazza.
Ma non hai imbrogliato me. Non abbiamo ancora finito. E tu, Jason Grace, ti vedrò
presto come statua nella sala del trono.”
“Borea ha ragione,” disse Jason. “Sei una ragazza viziata. Ci si vede, principessa di
ghiaccio.”
Gli occhi di Chione brillarono di bianco puro. Per una volta, sembrò a corto di parole.
Si lanciò come un turbine su per le scale – letteralmente. A metà strada, si trasformò
in una tormenta di neve e scomparve.
“State attenti,” avverti Zethes. “Non dimentica mai un insulto.”
Cal grugnì d’accordo. “Sorella cattiva.”
“E’ la dea della neve,” disse Jason. “Cosa farà, ci tirerà delle palle di neve?” Ma
mentre lo diceva, Jason ebbe la sensazione che Chione poteva fare molto peggio.
Leo sembrava devastato. “Cosa è successo là sopra? L’avete fatta arrabbiare? E’
arrabbiata anche con me? Ragazzi, quella era la ragazza che avrei invitato al ballo!”
“Ti spieghiamo dopo,” assicurò Piper, ma quando lanciò un’occhiata a Jason, lui capì
che si aspettava che fosse lui a spiegare.
Cosa era successo là sopra? Jason non ne era certo. Borea si era trasformato in
Aquilon, la sua forma romana, come se la presenza di Jason lo avesse fatto diventare
schizofrenico.
L’idea che Jason fosse stato mandato al Campo Mezzosangue sembrava divertire il
dio, ma Borea/Aquilon non gli aveva lasciati andare per bontà. Nei suoi occhi brillava
un’eccitazione crudele, come se avesse appena piazzato una scommessa in una lotta
di cani.
Vi distruggerete a vicenda, aveva detto deliziato. Eolo non dovrà mai più
preoccuparsi dei semidei.
Jason distolse lo sguardo da Piper, cercando di non mostrare quanto fosse
spaventato. “Sì,” concordò, “spiegheremo dopo.”
“Stai attenta, ragazza carina,” disse Zethes. “I venti tra qui e Chicago hanno un
brutto carattere. Molte altre cose malvagie si stanno svegliando. Mi dispiace che
non rimani. Saresti stata una deliziosa statua di ghiaccio nella quale avrei potuto
ammirare il mio riflesso.”
“Grazie,” disse Piper. “Ma preferirei giocare a hockey con Cal.”
“Hockey?” Gli occhi di Cal si accesero.
“Scherzavo,” disse Piper. “E i venti delle tempeste non sono il nostro problema
peggiore, vero?”
“Oh, no,” concordò Zethes. “Qualcos’altro. Qualcosa di peggio.”
“Peggio,” gli fece eco Cal.
“Potete dirmelo?” Piper gli rivolse un sorriso.
Questa volta, l’incantesimo non funzionò. I Boreali dalle ali viola scossero la testa
all’unisono. Le porte dell’hangar si aprirono su una gelida notte stellata, e il drago
Festus pestò le zampe, ansioso si volare.
“Chiedete a Eolo cosa è peggio,” disse Zethes cupamente. “Lui sa. Buona fortuna.”
Suonò quasi come se gli importasse di loro, anche se pochi minuti prima voleva
trasformare Piper in una scultura di ghiaccio.
Cal diede una pacca sulle spalle di Leo. “Non farti distruggere,” disse, che era
probabilmente la frase più lunga che avesse mai detto. “Prossima volta – hockey.
Pizza.”
“Andiamo ragazzi.” Jason fissò verso il buio all’esterno. Era ansioso di uscire dal quel
freddo attico, ma aveva la sensazione che fosse il posto più ospitale che avrebbero
visto per un po’. “Andiamo a Chicago e cerchiamo di non farci distruggere.”
21
PIPER
Piper non si rilassò finché il bagliore del Quebec non scomparve alle loro spalle.
“Sei stata fantastica,” le disse Jason.
Il complimento avrebbe dovuto illuminarle la giornata. Ma tutto quello a cui era in
grado di pensare erano i guai che gli aspettavano. Cose malvagie si stanno
risvegliando, gli aveva avvertiti Zethes. Lei lo sapeva di prima mano. Più si avvicinava
al solstizio, meno tempo le rimaneva per prendere la sua decisone.
Disse a Jason in francese: “Se sapessi la verità su di me, non penseresti che io sia così
fantastica.”
“Cosa hai detto?” chiese lui.
“Ho detto che ho solo parlato con Borea. Non è stato così fantastico.”
Non si voltò per guardare, ma se lo immaginò che sorrideva.
“Hey,” disse lui, “mi hai salvato dall’entrare a fare parte della collezione di eroi
sottozero di Chione. Te ne devo una.”
Quella era stata senza dubbio la parte più semplice, pensò lei. In nessun modo Piper
avrebbe permesso a quella strega di ghiaccio di tenersi Jason. Quello che
preoccupava Piper maggiormente era il modo nel quale Borea aveva cambiato
aspetto, e perché gli aveva lasciati andare. Aveva qualcosa a che vedere con il
passato di Jason, con quei tatuaggi sul suo braccio. Borea presumeva che Jason era
un qualche tipo di Romano, e i Romani non si mescolavano con i Greci. Lei
continuava ad aspettare che Jason le offrisse una spiegazione, ma chiaramente lui
non ne voleva parlare.
Fino a quel momento, Piper era stata in grado di mettere da parte la sensazione di
Jason di non appartenere al Campo Mezzosangue. Era un semidio, ovviamente.
Certo che apparteneva. Ma ora… e se era qualcos’altro? E se era davvero un
nemico? Non riusciva a sopportare quell’idea più di quanto riuscisse a sopportare
Chione.
Leo gli passò dei sandwich presi dallo zaino. Era stato silenzioso da quando gli
avevano detto cosa era successo nella sala del trono. “Ancora non posso crede a
Chione,” disse. “Sembrava così carina.”
“Fidati, amico,” disse Jason. “La neve potrà anche essere carina, ma da vicino è
fredda e sgradevole. Ti troveremo una ragazza migliore per il ballo.”
Piper sorrise, ma Leo non sembrava contento. Non aveva parlato molto del suo
soggiorno nel palazzo, o del perché i Boreali lo avessero escluso perché odorava di
fuoco. Piper aveva la sensazione che stesse nascondendo qualcosa. Qualsiasi cosa
fosse, il suo umore sembrava influenzare Festus, che brontolava e fumava mentre
cercava di riscaldarsi nella fredda aria Canadese. Il Drago Felice non era così felice.
Mangiarono i loro panini mentre volavano. Piper non aveva idea di come Leo si fosse
organizzato con le provviste, ma si era persino ricordato di portare delle razioni
vegetariane per lei. Il panino al formaggio e avocado era fantastico.
Non parlò nessuno. Qualsiasi cosa avessero trovato a Chicago, sapevano tutti che
Borea gli aveva lasciati andare solo perché pensava che fossero già in una missione
suicida.
Si alzò la luna e apparvero le stelle. Gli occhi di Piper cominciarono a farsi pesanti.
L’incontro con Borea e i suoi figli l’aveva spaventata più di quanto volesse
ammettere. Ora che aveva lo stomaco pieno, l’adrenalina si stava affievolendo.
Dacci un taglio, pasticcino! Le avrebbe urlato Coach Hedge. Non fare l’imbranata!
Piper aveva pensato all’allenatore da quando Borea aveva accennato al fatto che era
ancora vivo. Non le era mai piaciuto Hedge, ma era saltato giù da un dirupo per
salvare Leo, e si era sacrificato per proteggergli sullo skywalk. Ora capiva che tutte le
volte che il coach l’aveva provocata a scuola, le aveva urlato di correre più
velocemente o di fare più flessioni, o persino quando le aveva voltato le spalle e
l’aveva lasciata combattere le sue battaglie con le ragazze meschine, il vecchio uomo
capra stava cercando di aiutarla nel suo irritante modo personale – cercando di
prepararla per la vita da semidio.
Sullo skywalk, anche lo spirito delle tempeste Dylan aveva detto qualcosa riguardo al
coach: come era stato relegato alla Wilderness School perché stava diventando
troppo vecchio, come se si trattasse di una qualche punizione. Piper si chiese di cosa
potesse trattarsi, e se ciò spiegava perché l’allenatore era sempre così scontroso.
Qualunque fosse la verità, ora che Piper sapeva che Hedge era vivo, aveva il forte
stimolo di salvarlo.
Non andare di corsa, si rimproverò. Hai dei problemi più grandi. Questo viaggio non
avrà un lieto fine.
Lei era una traditrice, proprio come Silena Beauregard. Era solo una questione di
tempo prima che i suoi amici lo scoprissero.
Guardò in alto vero le stelle e ripensò a una notte di molto tempo prima quando lei
e suo padre si erano accampati fuori, davanti alla casa di Nonno Tom. Nonno Tom
era morto anni prima, ma il padre aveva tenuto la sua casa in Oklahoma perché era
là che era cresciuto.
Erano tornati lì per qualche giorno, con l’idea di sistemare il posto per venderlo,
nonostante Piper non era certa di chi avrebbe voluto comprare una casa decadente
con imposte di legno al posto delle finestre e due piccole stanze che odoravano di
sigaro. La prima notte era stata così soffocante dal caldo – niente aria condizionata
in pieno Agosto – che il padre aveva proposto di dormire all’aperto.
Avevano steso i loro sacchi a pelo e ascoltato le cicale che cantavano tra gli alberi.
Piper aveva indicato le costellazioni delle quali aveva letto – Hercules, la lira di
Apollo, il centauro Sagittario.
Suo padre aveva incrociato le braccia dietro la testa. Con la sua vecchia maglietta e i
jeans aveva l’aspetto di un semplice ragazzo di Tahlequah, Oklahoma, un Cherokee
che avrebbe potuto non aver mai abbandonato la terra tribale. “Tuo nonno direbbe
che quegli schemi greci sono un mucchio di balle. Mi raccontava che le stelle erano
creature con pellicce luminose, come dei magici porcospini. Una volta, molto tempo
fa, alcune cacciatrici ne avevano persino catturati alcuni nella foresta. Non seppero
cosa avevano fatto fino alla notte, quando le creature delle stelle iniziarono a
brillare. Delle scintille dorate schizzarono dalle loro pelliccie, così i Cherokee gli
liberarono di nuovo nel cielo.”
“Tu credi nei porcospini magici?” aveva chiesto Piper.
Suo padre aveva riso. “Credo che anche Nonno Tom fosse pieno di balle, proprio
come i greci. Ma è un grande cielo. Suppongo che ci sia spazio per Hercules e i
porcospini.”
Rimasero a sedere per un po’ finché Piper non prese il coraggio di fare una domanda
che le stava ronzando in testa. “Papà, perché non reciti mai parti di Nativi
Americani?”
La settimana prima, aveva rifiutato numerosi milioni di dollari per interpretare
Tonto nel remake de The Lone Ranger. Piper stava ancora cercando di capire il
perché. Aveva interpretato ogni tipo di ruolo – un’insegnate ispanico in una difficile
scuola di LA, un’ardita spia israeliana in un blockbuster di azione, persino un
terrorista siriano in un film di James Bond. E, ovviamente, sarebbe sempre stato
ricordato come il Re di Sparta. Ma se la parte era Nativa Americana – non importava
quale tipo di ruolo fosse – il padre lo rifiutava.
Lui le aveva strizzato l’occhio. “Troppo vicino a casa, Pipes. E’ più facile fingere di
essere qualcuno che non sono.”
“Non ti annoi mai? Non sei mai tentato, per esempio, se trovassi la parte perfetta
che potrebbe cambiare l’opinione delle persone?”
“Se esiste una parte del genere, Pipes,” aveva detto tristemente, “non l’ho trovata.”
Lei aveva guardato verso le stelle, cercando di immaginarsele come porcospini
luminosi. Tutto quello che vedeva erano le figure fissate che conosceva – Hercules
che correva attraverso il cielo, in marcia per uccidere i mostri. Suo padre aveva
probabilmente ragione. I Greci e i Cherokee erano ugualmente matti. Le stelle erano
solo palle di fuoco.
“Papà,” aveva detto, “se non ti piace essere vicino a casa, perché stiamo dormendo
nel giardino di Nonno Tom?”
La sua risata aveva risuonato nella silenziosa serata dell’Oklahoma. “Credo che tu mi
conosca tropo bene, Pipes.”
“Non hai davvero intenzione di vendere questo posto, non è vero?”
“No.” Sospirò. “Probabilmente no.”
Piper sbatté le palpebre, uscendo dal ricordo. Si accorse che si stava per
addormentare sulla schiena del drago. Come faceva suo padre a fingere di essere
così tante cose che non era? Lei ci stava provando ora, e ciò la stava lacerando.
Forse poteva fingere ancora un po’. Poteva sognare di trovare un modo per salvare
suo padre senza tradire i suoi amici – anche se in quel momento un lieto fine
sembrava tanto verosimile quanto i porcospini magici.
Si appoggiò all’indietro contro il petto caldo di Jason. Lui non si lamentò. Appena
chiuse gli occhi, cadde nel sonno.
Nel suo sogno, si trovava di nuovo sulla cima della montagna. Lo spettrale falò viola
proiettava le ombre attraverso gli alberi. Gli occhi di Piper pungevano a causa del
fumo, e la terra era così calda che le suole dei suoi stivali sembravano appiccicose.
Una voce dall’oscurità rombò, “Hai dimenticato il tuo dovere.”
Piper non poteva vederlo, ma era senza dubbio il suo gigante meno preferito –
quello che si chiamava Encelado. Si guardò intorno per qualche segno di suo padre,
ma il palo al quale era stato incatenato non era più lì.
“Lui dov’è?” chiese lei. “Cosa ne hai fatto?”
La risata del gigante era come lava che fischiava uscendo da un vulcano. “Il suo
corpo è abbastanza al sicuro, tuttavia temo che la mente del pover’uomo non se ne
possa fare molto della mia compagnia. Per qualche ragione mi trova – inquietante.
Devi sbrigarti, ragazza, o temo che ci sarà poco di lui da salvare.”
“Lascialo andare!” urlò. “Prendi me invece. Lui è solo un mortale!”
“Ma, mia cara,” rombò il gigante, “dobbiamo dimostrare il nostro amore per i nostri
genitori. Questo è quello che io sto facendo. Dimostrami che tieni alla vita di tuo
padre facendo quello che chiedo. Chi è più importante – tuo padre, o una subdola
dea che ti ha usato, giocato con le tue emozioni, manipolato i tuoi ricordi, eh? Cos’è
Era per te?”
Piper cominciò a tremare. In lei ribollivano così tanta rabbia e paura, che era a
malapena in grado di parlare. “Mi sta chiedendo di tradire i miei amici.”
“Purtroppo, mia cara, i tuoi amici sono destinati a morire. La loro impresa è
impossibile. Anche se doveste riuscire, hai sentito la profezia: liberare l’ira di Era
porterà alla vostra distruzione. Ora l’unica domanda è – morirai con i tuoi amici, o
vivrai con tuo padre?”
Il falò ruggì. Piper cercò di indietreggiare, ma i suoi piedi erano pesanti. Si accorse
che la terra la stava tirando giù, attaccandosi ai suoi stivali come sabbia bagnata.
Alzò lo sguardo, nel cielo si era diffusa una doccia di scintille viola, e il sole stava
sorgendo a est. Un mosaico di città brillava nella vallata sottostante, e lontano a
ovest, sopra una linea di colline ondulate, vide una sagoma familiare che sorgeva da
un mare di nebbia.
“Perché mi stai mostrando questo?” chiese Piper. “Stai rivelando dove ti trovi.”
“Sì, conosci questo posto,” disse il gigante. “Conduci i tuoi amici qui invece che alla
loro vera destinazione, e io mi occuperò di loro. O ancora meglio, organizzerò le loro
morti prima che arriviate. Non mi importa quale delle due. Fatti semplicemente
trovare sulla cima entro il mezzogiorno del solstizio, e potresti riprendere tuo padre
e andare in pace.”
“Non posso,” disse Piper. “Non puoi chiedermi –“
“Di tradire quello sciocco di Valdez, che ti ha sempre irritata e che ora ti sta
nascondendo dei segreti? Di lasciare un ragazzo che non hai mai avuto davvero?
Questo è più importante del tuo stesso padre?”
“Troverò un modo per sconfiggerti,” disse Piper. “Salverò mio padre e i miei amici.”
Il gigante ruggì nell’ombra. “Anche io un tempo ero fiero. Pensavo che gli dei non
potessero mai sconfiggermi. Poi hanno scagliato una montagna sopra di me, mi
hanno schiacciato nella terra, dove ho lottato per ere, semi cosciente dal dolore. Ciò
mi ha insegnato la pazienza, ragazza. Mi ha insegnato a non agire precipitosamente.
Ora mi sono aperto la strada del ritorno con l’aiuto della terra che si sta svegliando.
Io sono solo il primo. I miei fratelli mi seguiranno. Non ci faremo negare la nostra
vendetta – non questa volta. E tu, Piper McLean, hai bisogno di una lezione di
umiltà. Ti mostrerò quanto facilmente il tuo spirito ribelle può essere buttato a
terra.”
Il sogno si dissolse. E Piper si svegliò gridando, mentre precipitava a caduta libera in
aria.
22
PIPER
Piper cadde dal cielo. Molto più in basso vide i bagliori della città che luccicavano
alle prime luci dell’alba, e a diverse centinaia di metri di distanza la sagoma del
drago di bronzo che cadeva vorticando fuori controllo, le ali inerti, il fuoco che
tremolava dalla bocca come una lampadina girata male.
Un corpo passò sparato vicino a lei – Leo, che urlava e cercava freneticamente di
afferrare le nuvole. “Non è forteeeeeeeeeee!”
Cercò di chiamarlo, ma era già troppo in basso. Da qualche parte sopra di lei, Jason
urlò, “Piper, mettiti in piano! Stendi braccia e gambe!”
Era difficile controllare la paura, ma fece ciò che le aveva detto e riacquistò un po’ di
equilibrio. Cadde con le braccia spalancate come un paracadutista, con il vento che
le stava sotto come un blocco di ghiaccio solido. Poi Jason le fu accanto,
avvolgendole le braccia attorno alla vita.
Grazie a dio, pensò Piper. Ma una parte di lei pensò anche: Fantastico. La seconda
volta questa settimana che mi abbraccia, ed entrambe le volte è perché sto andando
incontro alla morte.
“Dobbiamo prendere Leo!” urlò.
La loro caduta rallentò con Jason che controllava l’aria, ma continuavano a sbandare
su e giù come se i venti non volessero collaborare.
“Sarà turbolento,” avvertì Jason. “Reggiti!”
Piper gli serrò le braccia attorno al corpo, e Jason si lanciò verso il suolo. Piper
probabilmente urlò, ma il suono le fu strappato di bocca. La sua vista si fece
indistinta.
E poi thump! Si schiantarono contro un altro corpo caldo – Leo, che continuava ad
agitarsi e imprecare.
“Smettila di agitarti!” disse Jason. “Sono io!”
“Il mio drago!” urlò Leo. “Devi salvare Festus!”
Jason stava già lottando per tenere in aria loro tre, e Piper sapeva che non c’era
modo nel quale poteva aiutare un drago di metallo di cinquanta tonnellate. Ma
prima che potesse cercare di far ragionare Leo, udì un’esplosione sotto di loro. Una
palla di fuoco proveniente da dietro un complesso di magazzini si alzò nel cielo, e
Leo singhiozzò, “Festus!”
Il volto di Jason si fece rosso dallo sforzo mentre cercava di mantenere un cuscinetto
d’aria sotto i loro piedi, ma rallentargli a intermittenza era il meglio che riuscisse a
fare. Invece di precipitare in caduta libera, sembrava come se stessero rimbalzando
lungo una scala gigante, trenta metri alla volta, cosa che non stava facendo nessun
favore allo stomaco di Piper.
Mentre oscillavano e zigzagavano, Piper poté distinguere i dettagli del complesso di
fabbriche più in basso – magazzini, canne fumarie, recinzioni con filo spinato e
parcheggi allineati con veicoli ricoperti di neve. Erano ancora abbastanza in alto che
se avessero colpito il suolo sarebbero finiti come gli animali che venivano schiacciati
dalle macchine attraversando la strada – nel loro caso cadendo dal cielo – quando
Jason gemette, “Non ce la – “
E precipitarono come sassi.
Colpirono il tetto del magazzino più grande e si schiantarono nell’oscurità.
Sfortunatamente, Piper cercò di atterrare in piedi. Ai suoi piedi la cosa non piacque.
Il dolore avvampò nella sua caviglia sinistra mentre lei crollava contro una fredda
superficie di metallo.
Per alcuni secondi, non fu cosciente di nulla a parte il dolore – dolore così forte che
le fischiarono le orecchie e la sua vista si fece rossa.
Poi sentì la voce di Jason in alto da qualche parte, che riecheggiava attraverso
l’edificio. “Piper! Dov’è Piper?”
“Ow, fratello!” gemette Leo. “Quella è la mia schiena!Non sono un divano! Piper,
dove sei andata?”
“Qui,” riuscì a dire, con la voce che era un mugolio.
Sentì strusciarsi e brontolare, poi dei piedi che atterravano su scalini di metallo.
La sua vista cominciò a farsi chiara. Si trovava su una passerella di metallo che
correva lungo tutto l’interno del magazzino. Leo e Jason erano atterrati al piano
terra, e stavano ora salendo le scale verso di lei. Guardò il suo piede, e venne
assalita da un’ondata di nausea. Le sue dita non avrebbero dovuto puntare verso
quella direzione, non è vero?
Oh, dio. Si costrinse a distogliere lo sguardo prima di rimettere. Concentrati su
qualcos’altro. Qualsiasi cosa.
Il buco che avevano fatto nel tetto era una cavità irregolare a sei metri di altezza.
Come fossero anche solo riusciti a sopravvivere alla caduta, non ne aveva idea.
Appese al soffitto, vi erano alcune lampadine elettriche che baluginavano in modo
fioco, ma non erano molto utili a illuminare l’enorme spazio. Vicino a Piper, la parete
di metallo corrugata era decorata con il logo di una compagnia, ma era quasi
completamente ricoperto di graffiti. Più sotto nel magazzino ombroso, riusciva a
distinguere la sagoma di enormi macchinari, bracci robotici, dei furgoni
parzialmente completati posti sul nastro di assemblaggio. Il posto sembrava essere
stato abbandonato da anni.
Jason e Leo raggiunsero il suo fianco.
Leo cominciò a chiedere, “Stai bene…?” Poi vide il suo piede. “Oh no, non stai bene.”
“Grazie per la rassicurazione,” gemette Piper.
“Andrà tutto bene,” disse Jason, anche se Piper poteva avvertire la preoccupazione
nella sua voce. “Leo, hai qualche scorta del pronto soccorso?”
“Sì – sì, certo.” Scavò all’interno della sua cintura degli attrezzi e tirò fuori un
pacchetto di garza e un rotolo di nastro isolante – i quali sembravano entrambi
troppo grandi per le tasche della cintura. Piper aveva notato la cintura porta attrezzi
la mattina prima, ma non aveva pensato di chiedere a Leo a riguardo. Non sembrava
nulla di speciale – solo uno di quei grembiuli di pelle che si legano intorno alla vita
con un sacco di tasche, come quelli che possono indossare un fabbro o un
falegname. E sembrava essere vuota.
“Come hai –“ Piper cercò di alzarsi, e fece una smorfia. “Come hai fatto a tirare fuori
quelle cose da una cintura vuota?”
“Magia,” disse Leo. “Non l’ho ancora ben capito, ma posso evocare praticamente
qualsiasi attrezzo regolare dalle tasche, più qualche altra cosa utile.” Mise la mano
in un’altra tasca e tirò fuori una piccola scatola di metallo. “Mentina?”
Jason afferrò le mentine. “E’ fantastico, Leo. Ora, puoi aggiustare il suo piede?”
“Io sono un meccanico, amico. Magari se fosse stata una macchina…” Schioccò le
dia. “Aspetta, cos’era quella roba divina che guariva che ti hanno dato al campo –
cibo da Rambo?”
“Ambrosia, tonto,” disse Piper stringendo i denti. “Ce ne dovrebbe essere un po’
nella mia borsa, se non si è schiacciata.”
Jason le tirò via lo zaino dalle spalle con attenzione. Frugò tra le provviste che i
ragazzi di Afrodite le avevano preparato, e trovò una busta a chiusura ermetica
piena di paste quadrate schiacciate simili a barrette al limone. Ne spezzò una e gliela
fece magiare.
Il sapore non era assolutamente come se l’era aspettato. Le ricordava la zuppa di
fagioli neri di suo padre, risalente a quando era piccola. Lui era solito cucinargliela
tutte le volte che si ammalava. Il ricordo la fece rilassare, tuttavia la rese anche
triste. Il dolore alla caviglia si affievolì.
“Ancora,” disse.
Jason inarcò le sopracciglia con disapprovazione. “Piper, non dovremmo rischiare.
Dicono che troppo potrebbe ridurti in cenere. Credo che dovrei provare a metterti a
posto il piede.”
Lo stomaco di Piper si agitò. “L’hai mai fatto prima?”
“Sì… credo di sì.”
Leo trovò un vecchio pezzo di legno e lo spezzò a metà come stecca. Poi preparò la
garza e il nastro isolante.
“Tienile la gamba ferma,” gli disse Jason. “Piper, questo farà male.”
Quando Jason le raddrizzò il piede, Piper scattò all’indietro così violentemente che
colpì Leo al braccio, e lui urlò quasi quanto lei. Quando la sua visione si fece chiara e
poté di nuovo respirare normalmente, scoprì che il suo piede era inclinato nella
giusta direzione, la sua caviglia era stata steccata con del compensato, garza e
nastro adesivo.
“Ow,” disse.
“Cavoli, Reginetta di Bellezza!” Leo si massaggiò il braccio. “Sono contento che la
mia faccia non fosse lì.”
“Scusa,” disse. “E non chiamarmi “reginetta di bellezza”, o ti colpisco ancora.”
“Siete stati entrambi fantastici.” Jason trovò una borraccia nello zaino di Piper e le
diede dell’acqua. Dopo qualche minuto, il suo stomaco si calmò.
Una volta aver smesso di urlare dal dolore, poté sentire il vento che ululava
all’esterno. Fiocchi di neve cadevano dal buco nel tetto e, dopo il loro incontro con
Chione, la neve era l’ultima cosa che Piper voleva vedere.
“Cosa è successo al drago?” chiese. “Dove siamo?”
L’espressione di Leo si fece tetra. “Non so di Festus. Ha semplicemente virato di lato
come se avesse colpito un muro invisibile e ha iniziato a cadere.”
Piper si ricordò dell’avvertimento di Encelado: Ti mostrerò quanto facilmente il tuo
spirito ribelle può essere buttato a terra. Era riuscito a fargli cadere da così lontano?
Sembrava impossibile. Se era così potente, perché aveva bisogno che lei tradisse i
suoi amici quando poteva semplicemente uccidergli lui stesso? E come poteva il
gigante tenerla d’occhio in una tempesta di neve a migliaia di chilometri di distanza?
Leo indicò il logo sul muro. “Per quanto riguarda dove siamo…” Era difficile vedere
attraverso i graffiti, ma Piper riuscì a distinguere un grosso occhio rosso con
stampate le parole: MONOCOLO MOTORI, FABBRICA DI ASSEMBLAGGIO 1.
“Una fabbrica di macchine chiusa,” disse Leo. “Immaginò che ci siamo schiantati a
Detroit.”
Piper aveva sentito di fabbriche automobilistiche chiuse a Detroit, quindi aveva
senso. Ma sembrava un posto piuttosto deprimente dove atterrare. “Quanto dista
da Chicago?”
Jason le passò la borraccia. “Forse tre-quarti di distanza dal Quebec? Il fatto è che
senza il drago siamo costretti a viaggiare via terra.”
“Non possiamo,” disse Leo. “Non è sicuro.”
Piper ripensò a come la terra le si era attaccata ai piedi nel suo sogno, e a quello che
Re Borea aveva detto riguardo alla terra che offriva più orrori. “Ha ragione. Inoltre,
non so se posso camminare. E tre persone – Jason, non puoi farne volare così tante
attraverso il paese da solo.”
“Non c’è verso,” disse Jason. “Leo, sei sicuro che il drago non abbia avuto un
malfunzionamento? Cioè, Festus è vecchio, e –“
“E potrei non averlo riparato bene?”
“Non ho detto questo,” protesto Jason. “Solo che – forse potresti aggiustarlo.”
“Non lo so.” Leo sembrava depresso. Tirò fuori qualche vite dalle tasche e cominciò
a giocherellarci. “Dovrò vedere dove è atterrato, vedere se è ancora un unico
pezzo.”
“E’ stata colpa mia,” disse Piper senza pensare. Non ne poteva semplicemente più. Il
segreto riguardo suo padre la stava consumando come se avesse mangiato troppa
ambrosia. Se continuava a mentire ai suoi amici, si sentiva come se ciò l’avrebbe
ridotta in cenere.
“Piper,” disse Jason con gentilezza, “stavi dormendo quando Festus si è bloccato.
Non può essere colpa tua.”
“Sì, sei solo scossa,” concordò Leo. Non cercò nemmeno di fare una battuta a sue
spese. “Sei ancora dolorante. Devi solo riposarti.”
Voleva raccontargli tutto, ma le parole le si bloccarono in gola. Erano entrambi così
gentili con lei. Tuttavia, se Encelado la stava in qualche modo tenendo d’occhio, dire
la cosa sbagliata avrebbe potuto far uccidere suo padre.
Leo si alzò. “Senti, um, Jason, perché tu non rimani con lei, fratello? Io andrò a
cercare Festus. Credo che sia caduto da qualche parte fuori dal magazzino. Se riesco
a trovarlo, forse posso capire cosa è successo e aggiustarlo.”
“E’ troppo pericoloso,” disse Jason. “Non dovresti andare da solo.”
“Ah, ho nastro isolante e mentine. Starò bene,” disse Leo un po’ troppo
velocemente, e Piper capì che era molto più scosso di quanto stava mostrando. “Voi
ragazzi non ve ne andate senza di me.”
Leo mise la mano nella sua cintura per gli attrezzi magica, tirò fuori una torcia e si
diresse giù per le scale, lasciando Piper e Jason da soli.
Jason le sorrise, anche se sembrava un po’ nervoso. Era l’esatta espressione che
aveva avuto dopo averla baciata per la prima volta, sul tetto del dormitorio della
Wilderness School – quella piccola attraente cicatrice sul labbro che si incurvava
verso l’alto. Il ricordo le diede una sensazione di calore. Poi si ricordò che quel bacio
non c’era mai stato davvero.
“Hai un aspetto migliore,” tentò Jason.
Piper non era certa se si stesse riferendo al suo piede, o al fatto che non fosse più
magicamente bella. I suoi jeans erano a brandelli a causa della caduta attraverso il
tetto. I suoi stivali erano sporchi di neve sciolta e sporca. Non sapeva che aspetto
avesse la sua faccia, ma era probabilmente orribile.
Perché importava? Non le era mai importato di cose del genere prima. Si chiese se si
trattasse della sua stupida madre, la dea dell’amore che stava giocando con i suoi
pensieri. Se Piper avesse iniziato a sentire il bisogno di leggere riviste di moda, si
sarebbe messa cercare Afrodite e l’avrebbe picchiata.
Decise piuttosto di concentrarsi sulla sua caviglia. Finché non la muoveva, il dolore
non era forte. “Hai fatto un buon lavoro,” disse a Jason. “Dove hai imparato il primo
soccorso?”
Lui scrollò e spalle. “Stessa risposta di sempre. Non lo so.”
“Ma stai iniziando ad avere dei ricordi, non è così? Come quella profezia in Latino al
campo, o quel sogno sul lupo.”
“E’ confuso,” disse. “Come un déjà vu. Ti sei mai dimenticata una parola o un nome,
e sai che dovrebbe essere sulla punta della tua lingua, ma non c’è? E’ così – solo con
tutta la mia vita.”
Piper in un certo senso capiva cosa voleva dire. Gli ultimi tre mesi – una vita che
pensava di avere avuto, una relazione con Jason – si erano rivelati essere la Foschia.
Un ragazzo che non hai mai avuto davvero, aveva detto Encelado. Questo è più
importante del tuo stesso padre?
Avrebbe dovuto tenere la bocca chiusa, ma diede voce alla domanda che aveva in
mente fin dal giorno prima.
“Quella foto che hai in tasca,” disse. “E’ qualcuno del tuo passato?”
Jason si tirò indietro.
“Mi dispiace,” disse. “Non sono affari miei. Dimenticalo.”
“No – è okay.” La sua espressione si rilassò. “Solo che, sto cercando di capire. Il suo
nome è Talia. E’ mia sorella. Non ricordo nessun particolare. Non sono nemmeno
sicuro di come faccio a saperlo, ma – um, perché stai sorridendo?”
“Niente.” Piper cercò di soffocare il sorriso. Non era una vecchia ragazza. Si sentì
ridicolamente felice. “Um, è solo che – è fantastico che te lo sia ricordato. Annabeth
mi ha detto che è diventata una Cacciatrice di Artemide, giusto?”
Jason annuì. “Ho la sensazione che dovrei trovarla. Era mi ha lasciato quel ricordo
per una ragione. Ha qualcosa a che fare con questa impresa. Ma… ho anche la
sensazione che potrebbe essere pericoloso. Non sono sicuro di voler scoprire la
verità. E’ da pazzi?”
“No,” disse Piper. “Per niente.”
Fissò il logo sulla parete: MONOCOLO MOTORI, il singolo occhio rosso. Qualcosa
riguardo quel logo la infastidiva.
Forse era l’idea che Encelado la stesse guardando, tenendo suo padre come esca.
Doveva salvarlo, ma come poteva tradire i suoi amici?
“Jason,” disse. “Parlando della verità, devo dirti una cosa – una cosa riguardo mio
padre –“
Non ne ebbe la possibilità. Da qualche parte al piano di sotto, si sentì del metallo
sferragliare contro altro metallo, come una porta che veniva chiusa con forza. Il
suono riecheggiò per il magazzino.
Jason si alzò. Tirò fuori la sua moneta e la lanciò in aria, afferrando al volo la sua
spada dorata. Si affacciò al di là della balaustra. “Leo?” chiamò.
Nessuna risposta.
Si accucciò vicino a Piper. “Non mi piace.”
“Potrebbe essere nei guai,” disse Piper. “Vai a controllare.”
“Non posso lasciarti da sola.”
“Andrà tutto bene.” Era terrorizzata, ma non l’avrebbe ammesso. Sguainò il suo
pugnale, Katoptris, e cercò di sembrare sicura di sé. “Chiunque si avvicina, lo infilzo.”
Jason esitò. “Ti lascio lo zaino. Se non torno entro cinque minuti – “
“Panico?” suggerì lei.
Lui abbozzò un sorriso. “Sono contento che sei tornata normale. Il trucco e il vestito
erano molto più intimidenti del pugnale.”
“Vai, Saetta, prima che infilzi te.”
“Saetta?”
Pesino quando era offeso, Jason era attraente. Non era giusto. Poi andò verso le
scale e scomparve nell’oscurità.
Piper contò i suoi respiri, cercando di misurare quanto tempo fosse passato. Perse il
conto intorno a quarantatre. Poi qualcosa nel magazzino fece bang!
L’eco si spense. Il cuore di Piper martellava, ma non chiamò ad alta voce. Il suo
istinto le diceva che poteva non essere una buona idea.
Fissò alla sua caviglia steccata. Non sono nella condizione di correre. Poi guardò di
nuovo in su, verso l’insegna della Monocolo Motori. Una piccola voce nella sua testa
la tormentava, mettendola in guardia. Qualcosa dalla mitologia greca…
Le sue mani andarono verso lo zaino. Tirò fuori i quadrati di ambrosia. Troppi
l’avrebbero fatta bruciare, ma un altro po’ le avrebbe guarito la caviglia?
Boom. Questa volta il rumore era più vicino, direttamente sotto di lei. Tirò fuori un
quadrato intero di ambrosia e se lo infilò in bocca. Il suo cuore batté più in fretta. La
pelle le si fece febbricitante.
In modo esitante, stese la caviglia contro la stecca. Niente dolore, assolutamente
nessuna rigidità. Tagliò il nastro adesivo con il pugnale e udì dei passi pensati sulle
scale – come degli stivali di metallo.
Erano passati cinque minuti? Di più? I passi non sembravano quelli di Jason, ma
magari stava trasportando Leo. Alla fine non ce la fece più. Stringendo il pugnale,
chiamò ad alta voce, “Jason?”
“Sì,” disse lui dall’oscurità. “Sto salendo.”
Era senza dubbio la voce di Jason. Allora perché tutti i suoi istinti dicevano Corri?
Con fatica, si mise in piedi.
I passi si fecero più vicini.
“E’ okay,” le assicurò la voce di Jason.
In cima alle scale, un volto apparve dall’oscurità – un orribile ghigno nero, un naso
rotto e un unico occhio iniettato di sangue al centro della fronte.
“Va tutto bene,” disse il Ciclope, in una perfetta imitazione della voce di Jason. “Sei
appena in tempo per la cena.”
23
LEO
Leo desiderò che il drago non fosse atterrato sui bagni pubblici.
Di tutti i posti dove schiantarsi, una fila di bagni portatili da cantiere non sarebbe
stata la sua prima scelta. Circa una dozzina di box di plastica blu erano stati montati
nel cortile della fabbrica, e Festus gli aveva spianati tutti. Fortunatamente, non
erano stati usati da molto tempo, e la palla di fuoco dello schianto aveva incenerito
la maggior parte del contenuto, ma, in ogni caso, c’erano delle perdite di sostanze
chimiche piuttosto disgustose che gocciolavano dalle macerie. Leo dovette farsi
strada e cercare di non respirare con il naso. Stava cadendo della neve pesante, ma
il rivestimento del drago stava ancora fumando. Ovviamente, ciò non lo infastidiva.
Dopo alcuni minuti di arrampicata sul corpo inanimato di Festus, Leo cominciò a
irritarsi. Il drago sembrava perfettamente apposto. Sì, era precipitato dal cielo ed
era atterrato con un grosso ka-boom, ma il suo corpo non era neanche ammaccato.
La palla di fuoco, a quanto pareva, si era sprigionata da un tubo del gas della
centralina dei bagni, non dal drago stesso. Le ali di Festus erano intatte. Non
sembrava esserci nulla di rotto. Non c’era ragione per la quale avrebbe dovuto
fermarsi.
“Non è colpa mia,” borbottò. “Festus, mi stai facendo sembrare un’incapace.”
Poi aprì il pannello di controllo sulla testa del drago, e il cuore di Leo sprofondò.
“Oh, Festus, cosa diavolo è successo?”
Il complesso di fili si era congelato. Leo sapeva che era stato apposto fino al giorno
prima. Aveva lavorato così duramente per riparare i fili corrosi, ma qualcosa aveva
causato un congelamento istantaneo all’interno della testa del drago, dove avrebbe
dovuto fare troppo caldo perché si formasse il ghiaccio. Il freddo aveva causato il
sovraccarico del circuito e aveva carbonizzato il disco di controllo. Leo non riusciva a
capire come fosse accaduto. Certo, il drago era vecchio, ma, in ogni caso, non aveva
senso.
Poteva sostituire i fili elettrici. Non era quello il problema. Ma il disco di controllo
bruciato non era una bella cosa. Le lettere greche e le immagini incise introno ai
bordi, che contenevano probabilmente ogni sorta di magia, erano indistinte e
annerite.
L’unico pezzo di hardware che Leo non poteva sostituire – ed era danneggiato. Di
nuovo.
Si immaginò la voce di sua madre: La maggior parte dei problemi sembrano peggio
di quello che sono, mijo. Nulla è irreparabile.
Sua madre poteva riparare praticamente qualsiasi cosa, ma Leo era piuttosto sicuro
che non aveva mai lavorato su un drago di metallo magico vecchio di cinquant’anni.
Strinse i denti e decise che doveva provare. Non aveva intenzione di camminare da
Detroit a Chicago in una tempesta di neve, e non sarebbe stato responsabile di
arenare i suoi amici.
“Bene,” mormorò, spazzandosi via la neve dalle spalle. “Dammi uno spazzolino di
precisione, dei guanti di nitrile e magari un barattolo di quel sovente detergente
spray.”
La cintura degli attrezzi obbedì. Leo non poté fare a meno di sorridere mentre tirava
fuori gli attrezzi. Le tasche della cintura avevano dei limiti. Non gli davano nessun
oggetto magico, come la spada di Jason, o nulla di enorme, come una motosega.
Aveva provato a chiedere entrambe le cose. E se chiedeva troppe cose tutte
insieme, la cintura aveva bisogno di un periodo di raffreddamento prima di poter
funzionare di nuovo. Più complicata era la richiesta, più lungo era il periodo di
raffreddamento. Ma qualsiasi cosa piccola e semplice come ciò che si può trovare in
una qualsiasi officina – tutto quello che Leo doveva fare era chiedere.
Iniziò a ripulire il disco di controllo. Mentre lavorava, la neve si raccoglieva sul drago
raffreddato. Leo doveva fermarsi di tanto in tanto per evocare del fuoco e
scioglierla, ma per lo più mise il pilota automatico, con le mani che lavoravano da
sole mentre i suoi pensieri vagavano.
Leo non riusciva a credere quanto si fosse comportato da stupido al palazzo di
Borea. Avrebbe dovuto immaginare che una famiglia di divinità invernali l’avrebbe
odiato a prima vista. Il figlio del dio del fuoco che volava su un drago sputa fuoco in
un attico di ghiaccio – sì, forse non la mossa migliore. Tuttavia, odiava sentirsi un
rifiuto. Jason e Piper visitavano la sala del trono. Leo aspettava nell’ingresso con Cal,
il semidio dell’hockey e grandi botte alla testa.
Il fuoco è brutto, gli aveva detto Cal.
Ciò riassumeva un po’ tutto. Leo sapeva che non poteva nascondere la verità ai suoi
amici ancora per molto. Fin dal Campo Mezzosangue, uno dei versi della Grande
Profezia continuava a tornargli in mente: Fuoco o tempesta il mondo cader faranno.
E Leo era il ragazzo di fuoco, il primo dal 1666 quando Londra era bruciata. Se avesse
detto ai suoi amici quello che era davvero in grado di fare – Hey, indovinate un po’,
ragazzi? Potrei distruggere il mondo! – che ragione avrebbe avuto chiunque per
rivolerlo di nuovo al campo? Leo sarebbe dovuto scappare di nuovo. Anche se
conosceva quell’esercizio, l’idea lo deprimeva.
Poi c’era Chione. Cavoli, quella ragazza era carina. Leo sapeva che si era comportato
come uno sciocco totale, ma non aveva potuto farci nulla. Si era pulito i vestiti con il
servizio lavanderia di un’ora – cosa che, comunque, era stata assolutamente bella. Si
era spazzolato i capelli – mai un’impresa facile – e aveva persino scoperto che la
cintura degli attrezzi poteva far spuntare le mentine, tutto nella speranza che
potesse avvicinarsi a lei. Ovviamente, non era stato così fortunato.
Essere buttato fuori – la storia della sua vita – dai suoi parenti, dalle case adottive,
basta che nominate qualcosa. Persino alla Wilderness School, Leo aveva passato le
ultime settimane a sentirsi come la terza ruota quando Jason e Piper, i suoi unici
amici, erano diventati una coppia. Era felice per loro e tutto il resto, ma lo faceva
comunque sentire come se loro non avessero più bisogno di lui.
Quando aveva scoperto che tutto il tempo che Jason aveva passato a scuola era
stata un’illusione – una sorta di modifica della memoria – Leo era stato
segretamente emozionato. Era la possibilità di un reset. Ora Jason e Piper erano
diretti a ridiventare una coppia – quello era ovvio da come si erano appena
comportati nel magazzino, come se volessero parlare in privato senza Leo intorno.
Cosa si era spettato? Era tornato a essere lo strambo escluso. Chione aveva
semplicemente dimostrato di non avere nessun interesse in lui un po’ più
rapidamente della maggior parte.
“Basta così, Valdez,” si rimproverò. “Nessuno suonerà dei violini per te solo perché
non sei importante. Aggiusta lo stupido drago.”
Era stato talmente preso dal suo lavoro, che non era certo di quanto tempo fosse
passato prima che sentisse la voce.
Ti sbagli, Leo, disse.
Annaspò con la sua spazzola e la fece cadere nella testa del drago. Si alzò, ma non
riusciva a vedere chi avesse parlato. Poi guardò per terra. La neve e le acque di scolo
dei gabinetti, persino lo stesso asfalto, si stavamo muovendo, come se stessero
diventando liquidi. In uno spazio largo tre metri si formarono degli occhi, un naso e
una bocca – il volto gigante di una donna addormentata.
Non stava esattamente parlando. Le sue labbra non si muovevano. Ma Leo poteva
sentire la sua voce nella testa, come se le vibrazioni provenissero dalla terra, dritte
nei suoi piedi e risuonassero attraverso il suo scheletro.
Loro hanno disperatamente bisogno di te, disse. In qualche modo, tu sei il più
importante dei sette – come il disco di controllo nel cervello del drago. Senza di te, il
potere degli altri non ha senso. Loro non mi raggiungeranno mai, non mi
fermeranno mai. E io mi sveglierò completamente.
“Tu.” Leo stava tremando così forte che non era sicuro di aver parlato ad alta voce.
Non aveva sentito quella voce da quando aveva otto anni, ma era lei: la donna fatta
di terra vista all’officina. “Tu hai ucciso mia madre.”
Il voltò mutò. La bocca formò un sorriso sornione come se stesse facendo un bel
sogno. Ah, Leo. Anche io sono tua madre – la Prima Madre. Non opporti a me.
Vattene ora. Lascia che mio figlio Porfirione sorga e diventi re, ed io alleggerirò i tuoi
fardelli. Camminerai leggero sulla terra.
Leo afferrò la cosa più vicina che aveva a portata di mano – un sedile del water – e
glielo lanciò in faccia. “Lasciami stare!”
Il sedile del bagno affondò nella terra liquida. La neve e le acque di fogna si
incresparono, e il volto di dissolse.
Leo fissò la terra, aspettando che la faccia ricomparisse. Ma non lo fece. Leo voleva
pensare di averla immaginata.
Poi udì uno schianto provenire dalla fabbrica – come due furgoni ribaltabili che
sbattevano un contro l’altro. Del metallo cedette e scricchiolò, e il rumore
riecheggiò attraverso il cortile. Istantaneamente Leo seppe che Jason e Piper erano
nei guai.
Vattene ora, gli aveva intimato la voce.
“Non penso proprio,” ringhiò Leo. “Dammi il martello più grosso che hai.”
Mise la mano nella sua cintura degli attrezzi e tirò fuori un martello da un chilo e
mezzo con una doppia testata grande quanto una patata al forno. Poi saltò giù dalla
schiena del drago e corse verso il magazzino.
24
LEO
Leo si fermò davanti alle porte e cercò di controllare il respiro. La voce della donna
di terra continuava a risuonargli nelle orecchie, ricordandogli della morte di sua
madre. L’ultima cosa che voleva fare era gettarsi in un altro magazzino buio.
Improvvisamente si sentì come se avesse di nuovo otto anni, da solo e senza aiuto
mentre qualcuno al quale teneva era intrappolato e nei guai.
Smettila, si disse. Questo è come lei vuole che tu ti senta.
Ma ciò non diminuì affatto la sua paura. Prese un respiro profondo e scrutò
all’interno. Nulla sembrava cambiato. La luce grigia del mattino filtrava attraverso il
buco nel tetto. Alcune lampadine tremolavano, ma la maggior parte del pavimento
della fabbrica continuava a essere perso nell’ombra. Riusciva a distinguere la
passerella in alto, la sagoma confusa di pesanti macchinari lungo il nastro di
assemblaggio, ma nessun movimento. Nessun segno dei suoi amici.
Stava quasi per chiamargli ad alta voce, ma qualcosa lo fermò – una sensazione che
non riusciva a identificare. Poi capì che si trattava dell’odore. Qualcosa aveva un
odore sbagliato – come dell’olio per motori che bruciava e alito cattivo.
Qualcosa di non umano era dentro quella fabbrica. Leo ne era certo. Il suo corpo
mise la quinta, con tutti i nervi che formicolavano.
Da qualche parte dal piano terra della fabbrica, la voce di Piper chiamò: “Leo, aiuto!”
Ma Leo tenne la bocca chiusa. Come poteva Piper essere riuscita a scendere dalla
passerella con la sua caviglia rotta?
Scivolò all’interno e si accucciò dietro a un container. Lentamente, tenendo
saldamente il suo martello, si fece strada verso il centro della stanza, nascondendosi
dietro scatole e telai di camion. Alla fine raggiunse il nastro di assemblaggio. Si
acquattò vicino al pezzo di macchinario più vicino – una gru con un braccio
meccanico.
La voce di Piper lo chiamò nuovamente: “Leo?” Meno sicura questa volta, ma molto
vicina.
Leo sbirciò da dietro il macchinario. Appeso direttamente sopra il nastro di
assemblaggio, sospeso con una catena collegata a una gru dalla parte opposta, c’era
l’enorme motore di un camion – penzolava a nove metri di altezza, come se fosse
stato lasciato là quando la fabbrica era stata abbandonata. Sul nastro trasportatore
sottostante c’era il telaio di un camion, e raggruppati intorno a quello c’erano tre
sagome scure grandi quanto un elevatore a forca. Là vicino, appesi con delle catene
ad altri due bracci robotici, c’erano due sagome più piccole – forse altri motori, ma
uno di loro si stava contorcendo come se fosse vivo.
Poi una delle sagome simili a elevatori a forca si alzò, e Leo si rese conto che era un
umanoide di taglia enorme. “Te l’ho detto che non era nulla,” brontolò la cosa. La
sua voce era troppo profonda e bestiale per essere umana.
Un altro dei blocchi a carrello elevatore si mosse, e parlò con la voce di Piper: “Leo,
aiutami! Aiutami –“ Poi la voce cambiò, diventando un ringhio mascolino. “Bah, non
c’è nessuno là fuori. Nessun semidio potrebbe essere così silenzioso, eh?”
Il primo mostro sogghignò. “Probabilmente è scappato via, se sa cosa è meglio per
lui. Oppure la ragazza stava mentendo circa un terzo semidio. Andiamo a cucinare.”
Snap. Una forte luce arancione si accese sfrigolando – un razzo di emergenza – e Leo
fu temporaneamente accecato. Si accucciò dietro alla gru finché i puntini davanti ai
suoi occhi non si dissolsero. Poi diede un’altra sbirciata e vide una scena da incubo
che non avrebbe potuto sognarsi nemmeno Tia Callida.
Le due sagome più piccole che penzolavano dai bracci della gru non erano motori.
Erano Jason e Piper. Erano entrambi appesi a testa in giù, legati dalle caviglie e
avvolti da catene fino al collo. Piper stava dondolando, cercando di liberarsi. Aveva
la bocca imbavagliata, ma almeno era viva. Jason non aveva un aspetto così bello.
Penzolava a peso morto, con gli occhi rigirati nella testa. Un livido rosso grande
quanto una mela gli si era gonfiato sopra al sopracciglio sinistro.
Sul nastro trasportatore, la base del pickup incompleto era stata adibita a falò. Il
raggio d’emergenza aveva acceso una catasta di gomme e legno, che, da come si
capiva dall’odore, era stata impregnata di benzina. Una grossa asta di metallo era
sospesa sopra le fiamme – Leo capì che si trattava di un girarrosto, il che voleva dire
che quello era un falò per cucinare.
Ma la cosa più terrificante di tutte erano i cuochi.
Monocolo Motori: quel logo con quell’unico occhio rosso. Perché non l’aveva capito
prima?
Tre enormi figure umanoidi si raggrupparono attorno al fuoco. Due stavano in piedi,
ad attizzare le fiamme. Quello più grande di tutti era chinato con la schiena verso
Leo. Le due figure che gli stavano di fronte erano alte tre metri, con pelosi corpi
muscolosi e una pelle che brillava di rosso alla luce del falò. Uno dei mostri
indossava un perizoma di maglia cotta che sembrava davvero scomodo. L’altro
indossava una toga logora e sfilacciata fatta di materiale isolante, il quale allo stesso
modo non sarebbe entrato nella top 10 degli abiti di Leo. Oltre a quello, i due
mostri avrebbero potuto essere gemelli. Avevano entrambi un volto disumano con
un unico occhio al centro della fronte. I cuochi erano dei Ciclopi.
Le gambe di Leo iniziarono a tremare. Aveva visto alcune strane cose fino a quel
momento – spiriti delle tempeste, divinità alate e draghi di metallo ai quali piaceva
la salsa Tabasco. Ma questo era diverso. Questi erano dei mostri vivi in carne e ossa
alti tre metri che volevano mangiare i suoi amici per cena.
Era così terrorizzato che era a malapena in grado di pensare. Se solo avesse avuto
Festus. In quel momento gli avrebbe fatto comodo un carro armato sputa fuoco di
venti metri. Ma tutto quello che aveva era una cintura per gli attrezzi e uno zaino. Il
suo martello da un chilo e mezzo sembrava terribilmente piccolo paragonato a quei
Ciclopi.
Questo era ciò a cui si riferiva la donna di terra addormentata. Voleva che Leo
scappasse e lasciasse i suoi amici a morire.
Ciò decise per lui. In nessun modo Leo avrebbe permesso a quella donna di terra di
farlo sentire impotente – mai più. Leo si tolse lo zaino dalle spalle e cominciò ad
aprire silenziosamente la zip.
Il Ciclope con il perizoma di maglia andò verso Piper, che si dimenò e cerco di dargli
una testata nell’occhio. “Le posso togliere il bavaglio ora? Mi piace quando urlano.”
La domanda era indirizzata al terzo Ciclope, apparentemente il capo. La figura
accucciata grugnì, e Perizoma di Maglia Cotta strappò il bavaglio dalla bocca di Piper.
Lei non urlò. Fece un respiro tremante come se stesse cercando di mantenere la
calma.
Nel frattempo, Leo aveva trovato ciò che cercava nello zaino: un pacco di unità per
telecomandare che aveva preso nel Bunker 9. Almeno sperava che si trattasse di ciò.
Il pannello di manutenzione del braccio meccanico fu facile da trovare. Fece
scivolare un cacciavite dalla sua cintura e si mise a lavoro, ma dovette procedere
lentamente. Il Ciclope capo era a soli sei metri di distanza da lui. I mostri avevano
evidentemente dei sensi eccellenti. Mettere a punto il suo piano senza fare rumore
sembrava impossibile, ma non aveva molta scelta.
Il Ciclope con la toga attizzò il fuoco, che ora stava bruciando rapidamente
rilasciando del nocivo fumo nero verso il soffitto. Il suo amico Perizoma di Maglia
Cotta guardava torvo Piper, aspettando che facesse qualcosa di divertente. “Urla,
ragazza! Mi piacciono gli urli divertenti!”
Quando alla fine Piper parlò, il suo tono era calmo e ragionevole, come se stesse
correggendo un cucciolo disobbediente. “Oh, Signor Ciclope, lei non vuole ucciderci.
Sarebbe molto meglio se ci lasciasse andare.”
Perizoma di Maglia Cotta si grattò la sua orribile testa. Si girò verso il suo amico con
la toga di materiale isolante. “E’ piuttosto carina, Torque. Forse dovrei lasciarla
andare.”
Torque, il tipo con la toga, ringhiò. “L’ho vista prima io, Sump. Io la lascerò andare!”
Sump e Torque iniziarono a litigare, ma il terzo Ciclope si alzò e urlò, “Sciocchi!”
Per poco Leo non fece cadere il suo cacciavite. Il terzo Ciclope era una femmina. Era
diversi centimetri più alta di Torque e Sump, e persino più robusta. Indossava una
tenda fatta di maglia cotta sagomata come uno di quei vestiti a sacco che la
meschina Zia Rosa di Leo era solita indossare. Come gli chiamavano – vestiti
hawaiani? Sì, la signora Ciclope aveva un vestito hawaiano di maglia cotta. I suoi unti
capelli neri erano arruffati in trecce, intrecciati con fili di rame e guarnizioni di
metallo. Il naso e la bocca erano grossi e schiacciati insieme, come se passasse il suo
tempo libero sbattendo la faccia contro i muri, ma il suo unico occhio rosso luccicava
di maligna intelligenza.
Il Ciclope donna camminò impettita verso Sump e lo spinse di lato, facendolo
inciampare sul nastro trasportatore. Torque si fece velocemente indietro.
“La ragazza è una figlia di Venere,” ringhiò la donna Ciclope. “Vi sta incantando.”
Piper cominciò a dire, “La prego, signora –“
“Rarr!” La donna Ciclope afferrò Piper dalla vita. “Non provare la tua bella vocina su
di me, ragazza! Io sono Ma Gasket! Ho mangiato eroi più forti di te per pranzo!”
Leo temeva che Piper sarebbe stata schiacciata, ma Ma Gasket si limitò a mollarla e
a lasciarla dondolare dalla sua catena. Poi iniziò a urlare a Sump quanto fosse
stupido.
Le mani di Leo lavoravano furiosamente. Torceva i fili e girava gli interruttori,
pensando a malapena a quello che stava facendo. Concluse collegando il
telecomando. Poi sgattaiolò verso il successivo braccio robotico mentre i Ciclopi
stavano parlando.
“ – mangiamo lei per ultima, Ma?” stava dicendo Sump.
“Idiota!” urlò Ma Gasket, e Leo capì che Sump e Torque dovevano essere i suoi figli.
Se così era, la bruttezza era senza dubbio un tratto di famiglia. “Avrei dovuto
buttarvi per strada quando eravate bambini, come veri bambini Ciclopi. Avreste
potuto imparare delle abilità utili. Maledetto il mio cuore tenero che vi ho tenuto!”
“Cuore tenero?” borbottò Torque.
“Che cosa hai detto, ingrato?”
“Niente Ma. Ho detto che hai il cuore tenero. Noi lavoriamo per te, ti sfamiamo, ti
limiamo le unghie dei piedi –“
“E dovreste esserne grati!” sbraitò Ma Gasket. “Ora, alimenta il fuoco Torque! E,
Sump, idiota, la mia cassa di salsa è nell’altro magazzino. Non dirmi che ti aspetti che
mangi questi semidei senza salsa!”
“Sì, Ma,” disse Sump. “Voglio dire no, Ma. Voglio dire –“
“Vai a prenderla!” Ma Gasket sollevò un vicino telaio di camion e lo sbatté sulla
testa di Sump. Sump cadde in ginocchio. Leo era certo che un colpo del genere
l’avrebbe ucciso, ma a quanto sembrava Sump veniva colpito spesso dai camion.
Riuscì a levarsi il telaio dalla testa. Poi si rimise in piedi barcollando e corse via a
prendere la salsa.
E’ il momento, pensò Leo. Mentre sono separati.
Finì di collegare la seconda macchina e si spostò verso la terza. Mentre balzava tra i
bracci robotici, i Ciclopi non lo videro, ma Piper sì. La sua espressione passò dal
terrore all’incredulità, ed emise un rantolo.
Ma Gasket si girò verso di lei. “Qual è il problema ragazza? Sei così fragile che ti ho
rotta?”
Fortunatamente, Piper pensava velocemente. Distolse lo sguardo da Leo e disse,
“Credo che siano le mie costole, signora. Se vengo ferita internamente, avrò un
sapore orribile.”
Ma Gasket urlò ridendo. “Buona questa. L’ultimo eroe che abbiamo mangiato – te lo
ricordi, Torque? Figlio di Mercurio, non è vero?”
“Sì, Ma,” disse Torque. “Saporito. Un po’ filaccioso.”
“Aveva provato un trucco del genere. Disse che stava sotto medicine. Ma aveva un
buon sapore!”
“Sapeva di montone,” ricordò Torque,. “Maglietta viola, parlava in Latino. Sì, un po’
filaccioso, ma buono.”
Le dita di Leo si ghiacciarono sul pannello di manutenzione. Apparentemente, Piper
stava pensando la stessa cosa, perché chiese, “Maglietta viola? Latino?”
“Buon pasto,” disse Ma Gasket teneramente. “Il punto è, ragazza, che non siamo
ottusi come le persone credono! Non caschiamo con questi stupidi trucchi e
indovinelli, non noi Ciclopi del nord.”
Leo si costrinse a rimettersi a lavorare, ma la sua mente stava correndo. Un ragazzo
che parlava Latino era stato catturato lì – con una maglietta viola come quella di
Jason? Non sapeva cosa volesse dire, ma doveva lasciare l’interrogatorio a Piper. Se
voleva avere una qualsiasi possibilità di sconfiggere quei mostri, doveva agire
velocemente, prima che Sump tornasse con la salsa.
Guardò in alto verso il motore sospeso esattamente sull’accampamento dei Ciclopi.
Desiderò poterlo usare – sarebbe stata una grande arma. Ma il braccio che lo
reggeva si trovava dalla parte opposta del nastro trasportatore. Non c’era modo nel
quale Leo sarebbe potuto arrivare laggiù senza essere visto e, inoltre, era corto di
tempo.
L’ultima parte del suo piano era la più complessa. Dalla cintura evocò dei cavi, un
adattatore radio e un cacciavite più piccolo e iniziò a costruire un telecomando
universale. Per la prima volta, recitò un grazie silenzioso a suo padre – Efesto – per
la cintura degli attrezzi magica. Fammi uscire da qui, pregò, e magari non sei così
idiota.
Piper continuava a parlare, offrendo complimenti. “Oh, ho sentito parlare dei Ciclopi
del nord!” Cosa che Leo immaginò fosse una balla, ma suonava convincente. “Non
ho mai saputo che eravate così grandi e intelligenti!”
“Neanche l’adulazione funzionerà,” disse Ma Gasket, anche se sembrava
compiaciuta. “E’ vero, farai da colazione per i migliori Ciclopi qui intorno.”
“Ma i Ciclopi non sono buoni?” chiese Piper. “Pensavo che voi costruiste le armi per
gli dei.”
“Bah! Io sono molto buona. Buona a mangiare le persone. Buona a sfasciare le cose.
E buona a costruire le cose, sì, ma non per gli dei. I nostri cugini, i Ciclopi antenati,
loro lo fanno, sì. Pensano di essere così nobili e potenti perché sono qualche migliaio
di anni più vecchi. Poi ci sono i nostri cugini del sud, che vivono sulle isole e allevano
pecore. Idioti! Ma noi Ciclopi Iperboreani, il clan del nord, noi siamo i migliori!
Abbiamo fondato la Monocolo Motori in questa vecchia fabbrica – le migliori armi,
armature, carri e SUV super accessoriati di tutti! E nonostante ciò – bah! Costretti a
chiudere. La maggior parte della nostra tribù in cassa integrazione. La guerra è stata
troppo rapida. I Titani hanno perso. Brutto! Non c’è stato fu più bisogno delle armi
dei Ciclopi.”
“Oh, no,” disse Piper partecipe. “Sono certa che facevate delle armi fantastiche.”
Torque sogghignò. “Martelli cigolanti da guerra!” Sollevò una grossa asta con una
scatola di metallo simile a una fisarmonica all’estremità.
La sbatté a terra e il cemento si crepò, ma ci fu anche un rumore simile a quello
della paperella di plastica più grande del mondo che veniva calpestata.
“Terrificante,” disse Piper.
Torque sembrava compiaciuto. “Non bella quanto l’ascia esplosiva, ma questa può
essere usata più di una volta.”
“Posso vederla?” chiese Piper. “Se solo mi poteste liberare le mani –“
Torque si fece avanti impaziente, ma Ma Gasket disse, “Stupido! Ti sta ingannando
di nuovo. Abbiamo parlato abbastanza! Uccidi il ragazzo per primo prima che muoia
per conto suo. Mi piace la carne fresca.”
No! Le dita di Leo volavano, collegando i cavi per il telecomando. Solo qualche altro
minuto!
“Hey, aspettate,” disse Piper cercando di catturare l’attenzione dei Ciclopi. “Hey,
posso chiedere solo –“
I cavi mandarono scintille tra le mani di Leo. I Ciclopi si bloccarono e si voltarono
nella sua direzione. Poi Torque prese un camion e lo lanciò contro di lui.
Leo rotolò di lato mentre il camion volava sopra i macchinari. Se fosse stato più
lento di mezzo secondo, sarebbe stato schiacciato.
Si rimise in piedi, e Ma Gasket lo vide. Urlò, “Torque, patetico esemplare di Ciclope,
prendilo!”
Torque avanzò verso di lui. Leo azionò freneticamente la leva del tuo telecomando
improvvisato.
Torque era a quindici metri di distanza. Sei metri.
Poi il primo braccio robotico si accese ronzando. Un artiglio di metallo giallo da tre
tonnellate colpì il Ciclope sulla schiena così duramente, che cadde di faccia per terra.
Prima che Torque potesse riprendersi, la mano robotica lo afferrò da una gamba e lo
lanciò in aria.
“AHHHHH!” Torque fu sparato nel buio. Il soffitto era troppo scuro e troppo alto per
vedere esattamente cosa era successo, ma, a giudicare dall’acuto clang metallico
che si udì, Leo immaginò che il Ciclope avesse colpito una delle travi di supporto.
Torque non scese più. Invece, della polvere gialla piovve sul pavimento. Torque si
era disintegrato.
Ma Gasket fissò Leo in shock. “Mio figlio… Tu… Tu…”
Come se fosse stato programmato, Sump entrò camminando pesantemente alla
luce del fuoco con una cassa di salsa. “Ma, ho preso quella extra-piccante –“
Non finì mai la frase. Leo girò la leva del telecomando, e il secondo braccio robotico
colpì Sump al petto. La cassa di salsa esplose come una piñata e Sump volò
all’indietro, dritto alla base del terzo macchinario di Leo. Sump poteva essere
immune all’essere colpito con i telai dei camion, ma non era immune ai bracci
robotici che potevano rilasciare cinque tonnellate di forza. Il terzo braccio della gru
lo schiantò contro il pavimento così duramente, che esplose in polvere come un
sacco di farina rotto.
Due Ciclopi andati. Leo stava iniziando a sentirsi come Commander Cintura degli
Atrezzi quando Ma Gasket catturò il suo sguardo. Afferrò il braccio da gru più vicino
e lo sganciò dal suo supporto con ruggito selvaggio. “Hai colpito i miei ragazzi! Solo
io posso colpire i miei ragazzi!”
Leo spinse un bottone, e i due bracci rimasti si azionarono. Ma Gasket afferrò il
primo e lo spezzò a metà. Il secondo braccio la colpì alla testa, ma ciò sembrò solo
farla infuriare. Lo afferrò dalle morse, lo sganciò e lo oscillò come una mazza da
baseball. Mancò Piper e Jason per un paio di centimetri. Poi Ma Gasket lo lasciò
andare – facendolo roteare verso Leo. Lui gridò e rotolò di lato mentre quello
demoliva il macchinario accanto a lui.
Leo cominciò a capire che una mamma Ciclope arrabbiata non era una cosa che si
vorrebbe combattere con un telecomando universale e un cacciavite. Il futuro per
Commander Cintura degli Attrezzi non sembrava così radioso.
Ora lei si trovava a circa sei metri di distanza da lui, vicino al falò. Aveva i pugni
serrati e i denti digrignati. Aveva un aspetto ridicolo nel suo vestito hawaiano di
maglia cotta e le trecce unte – ma dato lo sguardo omicida nel suo enorme occhio
rosso e il fatto che fosse alta quattro metri, Leo non stava ridendo.
“Qualche altro scherzetto, semidio?” chiese Ma Gasket.
Leo alzò lo sguardo. Il motore sospeso alla catena – se solo avesse avuto tempo di
attrezzarlo. Se solo fosse riuscito a far fare a Ma Gasket un passo in avanti. La catena
stessa… quell’unico anello… Leo non sarebbe dovuto essere in grado di vederlo,
soprattutto da così in basso, ma i suoi sensi gli dicevano che c’era una corrosione
metallica.
“Cavoli, sì, ho dei trucchi!” Leo sollevò il suo telecomando. “Fai un altro passo, e ti
distruggerò con il fuoco!”
Ma Gasket rise. “Lo faresti? I Ciclopi sono immuni al fuoco, stupido che non sei altro.
Ma se desideri giocare con il fuoco, lascia che ti aiuti!”
Raccolse delle braci rosso incandescente con le mani nude e le lanciò a Leo. Gli
atterrarono tutti intorno ai piedi.
“Mi hai mancato,” disse incredulo. Poi Ma Gasket sogghignò e sollevò una cassa
vicino al camion. Leo ebbe appena il tempo di leggere le parole stampate su di un
lato – CHEROSENE – prima che Ma Gasket la lanciasse, versando liquido
infiammabile ovunque.
I carboni mandarono delle scintille. Leo chiuse gli occhi, e Piper urlò. “No!”
Una tempesta di fuoco gli eruttò attorno. Quando Leo aprì gli occhi, era
completamente immerso tra le fiamme che si alzavano fino a sei metri in aria.
Ma Gasket gridò deliziata, ma Leo non offriva al fuoco un buon alimento. Il
cherosene si consumò, riducendosi a piccole macchie incandescenti sul pavimento.
Piper boccheggiò. “Leo?”
Ma Gasket sembrava esterrefatta. “Sei sopravvissuto?” Poi fece quel passo in più in
avanti, cosa che la posizionò esattamente dove voleva Leo. “Cosa sei tu?”
“Il figlio di Efesto,” disse Leo. “E ti avevo avvertito che ti avrei distrutta con il fuoco.”
Puntò un dito in aria e evocò tutta la sua volontà. Non aveva mai provato a fare
nulla di così concentrato e intenso – ma sparò una saetta di fiamme bianche verso la
catena che sospendeva il motore sulla testa del Ciclope – mirando all’anello che
sembrava più debole degli altri.
Le fiamme morirono. Non successe nulla. Ma Gasket rise. “Un tentativo
impressionante, figlio di Efesto. Sono passati molti secoli dall’ultima volta che ho
visto un ragazzo di fuoco. Sarai un antipasto piccante!”
La catena si spezzò – quell’unico anello si era riscaldato al di là del suo livello di
tolleranza – e il motore cadde, mortale e silenzioso.
“Non credo,” disse Leo.
Ma Gasket non ebbe nemmeno il tempo di alzare lo sguardo.
Smash! Niente più Ciclope – solo una pila di polvere sotto un motore da cinque
tonnellate.
“Non sei immune ai motori, huh?” disse Leo. “Evvai!”
Poi cadde sulle ginocchia, con la testa che gli ronzava. Dopo alcuni minuti, si accorse
che Piper lo stava chiamando.
“Leo! Stai bene? Puoi muoverti?”
Si rimise con difficoltà in piedi. Non aveva mai provato a evocare un fuoco così
intenso prima, e ciò l’aveva lasciato completamente prosciugato.
Gli ci volle molto tempo per liberare Piper dalle catene. Poi insieme misero giù
Jason, che era ancora incosciente. Piper riuscì a stillargli un po’ di nettare in bocca, e
lui gemette. Il livido sulla testa cominciò a rimpicciolirsi. Gli tornò un po’ di colore.
“Sì, ha una testa bella dura,” disse Leo. “Credo che starà bene.”
“Grazie a dio,” sospirò Piper. Poi guardò Leo con qualcosa simile alla paura. “Come
hai – il fuoco – hai sempre…?”
Leo abbassò lo sguardo. “Sempre,” disse. “Sono una stupida minaccia. Mi dispiace,
avrei dovuto dirvelo prima ma –“
“Mi dispiace?” Piper lo colpì al braccio. Quando lui alzò lo sguardo, lei aveva un
enorme sorriso. “E’ stato strabiliante, Valdez! Ci hai salvato la vita. Per cosa sei
dispiaciuto?”
Leo sbatté le palpebre. Cominciò a sorridere, ma il suo senso di sollievo fu rovinato
quando notò qualcosa vicino al piede di Piper.
Polvere gialla – i resti polverizzati di uno dei Ciclopi, forse Torque – si stava
muovendo lungo il pavimento come se un vento invisibile la stesse raggruppando.
“Si stanno riformando,” disse Leo. “Guarda.”
Piper si allontanò dalla polvere. “Non è possibile. Annabeth mi ha detto che i mostri
si dissolvono quando vengono uccisi. Ritornano al Tartaro e non possono fare
ritorno per molto tempo.”
“Bè, nessuno l’ha detto alla polvere.” Leo guardò mentre si raggruppava in una pila,
poi molto lentamente si estendeva, formando una sagoma con braccia e gambe.
“Oh, dio.” Piper si fece pallida. “Borea ha detto qualcosa al riguardo – la terra che
rilasciava orrori. “Quando i mostri non rimangono più nel Tartaro, e le anime non
sono più confinate ad Ade.” Quanto tempo credi che abbiamo?”
Leo pensò al volto che si era formato sulla terra all’esterno – la donna addormentata
che era senza dubbio un orrore della terra.
“Non lo so,” disse. “Ma dobbiamo uscire da qui.”
25
JASON
Jason sognò di essere avvolto nelle catene, appeso a testa in giù come un pezzo di
carne. Gli faceva male tutto – le braccia, le gambe, il petto, la testa. Soprattutto la
testa. Gli sembrava un palloncino d’acqua troppo gonfio.
“Se sono morto,” mormorò, “perché fa così male?”
“Non sei morto, mio eroe,” disse la voce di una donna. “Non è ancora il tuo
momento. Vieni, parla con me.”
I pensieri di Jason galleggiarono via dal suo corpo. Udiva i mostri che urlavano, i suoi
amici che gridavano, potenti esplosioni, ma tutto quello sembrava accadere su un
altro livello di esistenza – allontanandosi sempre di più.
Si ritrovò in piedi in una gabbia di terra. Viticci di radici di alberi e pietre vorticavano
insieme, confinandolo. Al di fuori delle sbarre, poteva vedere il pavimento di una
piscina vuota, un’altra spirale di terra che cresceva all’estremità apposta e, sopra di
loro, le pietre rosse rovinate di una casa distrutta dal fuoco.
Vicino a lui nella gabbia, una donna con dei vestiti neri era seduta a gambe
incrociate, la testa coperta da un velo. Spostò il velo di lato, rivelando un volto che
era fiero e bellissimo – ma anche indurito dalle sofferenze.
“Era,” disse Jason.
“Benvenuto nella mia prigione,” disse la dea. “Non morirai oggi Jason. I tuoi amici ti
salveranno – per ora.”
“Per ora?” chiese.
Era indicò i viticci della sua gabbia. “Ci sono delle prove peggiori in arrivo. La terra in
persona si agita contro di noi.”
“Tu sei una dea,” disse Jason. “Perché non puoi semplicemente scappare?”
Era sorrise tristemente. La sua figura cominciò a brillare, finché la sua luminosità
non riempì la gabbia di luce dolorosamente accecante. L’aria ronzò di potere, le
molecole si dividevano come in un esplosione nucleare. Jason sospettava che se si
fosse trovato davvero lì in carne e ossa, sarebbe stato vaporizzato.
La gabbia avrebbe dovuto esplodere in pezzi. La terra avrebbe dovuto spaccarsi e la
casa distrutta avrebbe dovuto essere abbattuta. Ma quando il bagliore morì, la
gabbia non si era mossa. Al di fuori della sbarre non era cambiato nulla. Solo Era
sembrava diversa – un po’ più curva e stanca.
“Alcuni poteri sono persino più grandi degli dei,” disse. “Non vengo contenuta
facilmente. Posso trovarmi in molti luoghi contemporaneamente. Ma quando la
parte più grande della mia essenza viene catturata, è come mettere un piede nella
trappola di un orso, si potrebbe dire. Non posso scappare, e sono nascosta agli occhi
degli altri dei. Solo tu puoi trovarmi, e mi indebolisco di giorno in giorno.”
“Allora perché sei venuta qui?” chiese Jason. “Come sei stata catturata?”
La dea sospirò. “Non potevo rimanere inattiva. Tuo padre Giove crede di potersi
ritirare dal mondo e così facendo calmare i nostri nemici fino a fargli tornare a
dormire. Crede che noi dei dell’Olimpo siamo diventati troppo coinvolti negli affari
dei mortali, nei destini dei nostri figli semidei, soprattutto da quando abbiamo
accettato di riconoscergli tutti dopo la guerra. Crede che sia stato questo a causare il
risveglio dei nostri nemici. E’ questo il motivo per il quale ha chiuso l’Olimpo.”
“Ma tu non sei d’accordo.”
“No,” disse. “Spesso non capisco i capricci di mio marito o le sue decisioni, ma
persino per Zeus questo sembra paranoico. Non sono in grado di capire fino in fondo
perché è così ostinato e così convinto. E’ una cosa… non da lui. Come Era, sarei
potuta essere lieta di seguire i desideri del mio signore. Ma io sono anche Giunone.”
La sua immagine tremò, e Jason vide un’armatura sotto i suoi semplici vestiti neri,
un mantello di pelle di capra – il simbolo di un guerriero Romano – sopra il suo
mantello di bronzo. “Giunone Moneta, mi chiamavano una volta – Giunone, Colei
Che Avvisa. Ero guardiana dello stato, patrona dell’Eterna Roma. Non ero in grado di
rimanere seduta mentre i discendenti del mio popolo venivano attaccati. Ho
avvertito pericolo in questo luogo sacro. Una voce –“ Esitò. “Una voce mi ha detto
che sarei dovuta venire qui. Gli dei non hanno quello che voi chiamate coscienza, né
sogniamo, ma la voce era così – delicata e persistente, che mi avvertiva di venire
qui. E così lo stesso giorno in cui Zeus ha chiuso l’Olimpo, io sono andata via senza
rivelargli i miei piani, così che non sarebbe stato in grado di fermarmi. E sono venuta
qui a investigare.”
“Era una trappola,” indovinò Jason.
La dea annuì. “Solo troppo tardi mi sono accorta quanto velocemente la terra si
stesse svegliando. Sono stata persino più sciocca di Giove – schiava dei miei stessi
impulsi. Questo è esattamente come è accaduto la prima volta. Fui fatta prigioniera
dai giganti, e la mia prigionia diede inizio a una guerra. Ora i nostri nemici sorgono
nuovamente. Gli dei possono sconfiggergli solo con l’aiuto dei più grandi eroi viventi.
E colei che i giganti servono… lei non può essere sconfitta in nessun modo – può solo
essere tenuta addormentata.”
“Non capisco.”
“Capirai presto,” disse Era.
La gabbia cominciò a stringersi, i viticci ruotarono a spirale più stretti. La figura di Era
tremò come la fiamma di una candela al vento. Al di fuori della gabbia, Jason poté
vedere delle sagome che si riunivano al bordo della piscina – goffe creature
umanoidi con le schiene ingobbite e teste pelate. A meno che gli occhi di Jason non
lo stessero ingannando, avevano più di un paio di braccia. Sentì anche i lupi, ma non
quelli che aveva visto con Lupa. Dai loro ululati poteva capire che questo era un
branco diverso – più affamato, più aggressivo, a caccia di sangue.
“Sbrigati Jason,” disse Era. “I miei guardiani si avvicinano, e tu cominci a svegliarti.
Non sarò abbastanza forte da apparirti ancora, persino nei sogni.”
“Aspetta,” disse. “Borea ci ha detto che hai fatto un azzardo pericoloso. Che voleva
dire?”
Gli occhi di Era apparivano selvaggi, e Jason si chiese se avesse davvero fatto
qualcosa di pazzo.
“Uno scambio,” disse. “L’unico modo per portare la pace. Il nemico conta sulla
nostra divisione, e se siamo divisi saremo distrutti. Tu sei la mia offerta di pace,
Jason – un ponte per sormontare millenni di odio.”
“Cosa? Io non –“
“Non posso dirti di più,” disse Era. “Sei vissuto così a lungo solo perché ti ho preso la
memoria. Trova questo luogo. Torna punto di inizio. Tua sorella ti aiuterà.”
“Talia?”
La scena cominciò a dissolversi. “Addio, Jason. Stai attendo a Chicago. Il tuo nemico
mortale più pericoloso attende lì. Se dovrai morire, sarà per mano di lei.”
“Chi?” chiese.
Ma l’immagine di Era svanì, e Jason si svegliò.
I suoi occhi si spalancarono, “Ciclopi!”
“Whoa, dormiglione.” Piper era seduta dietro di lui sul drago di bronzo, tenendolo
dalla vita per mantenerlo in equilibrio. Leo era seduto davanti, che guidava. Stavano
volando pacificamente nel cielo invernale come se non fosse successo nulla.
“D-Detroit,” balbettò Jason. “Non siamo precipitati? Pensavo –“
“Va tutto bene,” disse Leo. “Siamo scappati, ma tu hai preso una brutta
commozione. Come ti senti?”
La testa di Jason pulsava. Si ricordò della fabbrica, poi di lui che scendeva dalla
passerella, poi una creatura che incombeva su di lui – un volto con un occhio, un
pugno imponente – e tutto si faceva nero.
“Come avete fatto – i Ciclopi –“
“Leo gli ha fatti a pezzi,” disse Piper. “E’ stato fantastico. E’ in grado di evocare il
fuoco –“
“Non è stato nulla,” disse Leo velocemente.
“Piper rise. “Stai zitto, Valdez. Glielo racconterò. Accettalo.”
E lo fece – come Leo aveva sconfitto la famiglia di Ciclopi con una sola mano; come
avevano liberato Jason, poi avevano notato che i Ciclopi stavano iniziando a
riformarsi; come Leo aveva sostituito l’impianto del drago e gli aveva riportati in aria
proprio mentre avevano iniziato a sentire il ruggito di vendetta dei Ciclopi all’interno
della fabbrica.
Jason era colpito. Fare fuori tre Ciclopi con nulla a parte un kit di attrezzi? Niente
male. Non lo spaventò davvero sentire quanto fosse stato vicino alla morte, ma lo
fece sentire orribile. Era caduto dritto in un’imboscata e aveva passato tutta la lotta
al tappeto mentre i suoi amici badavano a loro stessi. Che genere di leader
dell’impresa era?
Quando Piper gli raccontò dell’altro ragazzo che i Ciclopi sostenevano di aver
mangiato, quello con la maglietta viola che parlava Latino, Jason si sentì come se gli
stesse per esplodere la testa. Un figlio di Mercurio… Jason aveva la sensazione che
avrebbe dovuto conoscere quel ragazzo, ma il nome mancava dai suoi ricordi.
“Non sono solo, allora,” disse. “Ci sono altri come me.”
“Jason,” disse Piper, “non sei mai stato solo. Hai noi.”
“Lo – Lo so…ma c’è una cosa che ha detto Era. Stavo facendo un sogno…”
Gli raccontò quello che aveva visto, e quello che la dea aveva detto dentro la sua
gabbia.
“Uno scambio?” chiese Piper. “Cosa vuol dire?”
Jason scosse la testa. “Ma l’azzardo di Era sono io. Solo mandandomi al Campo
Mezzosangue, ho la sensazione che abbia infranto qualche regola, qualcosa che
potrebbe esplodere in maniera gigantesca –“
“O salvarci,” disse Piper con speranza. “Quella parte riguardo al nemico
addormentato – sembra la donna di cui ci ha parlato Leo.”
Leo si schiarì la gola. “Riguardo a quello… lei mi è diciamo apparsa a Detroit, in una
pozza di acque di scolo dei gabinetti portatili.”
Jason non era certo di aver sentito bene. “Hai detto… gabinetti portatili?”
Leo gli raccontò del grosso volto nel cortile della fabbrica. “Non so se è
completamente indistruttibile,” disse, “ma non può essere sconfitta dai sedili dei
bagni. Questo ve lo posso garantire. Voleva che io tradissi voi ragazzi, e io ero del
tipo, “Pfft, giusto, ascolterò una faccia tra gli scarichi dei gabinetti.””
“Sta cercando di dividerci.” Piper fece scivolare le mani via dalla vita di Jason. Lui
poté avvertire la sua tensione senza nemmeno guardarla.
“Cosa che c’è che non va?” chiese.
“E’ solo… Perché stanno giocando con noi? Chi è questa donna, e in che modo è
connessa con Encelado?”
“Encelado?” Jason non credeva di aver sentito quel nome prima.
“Voglio dire…” La voce di Piper tremò. “Quello è uno dei giganti. Solo uno dei nomi
che mi ricordo.”
Jason aveva la sensazione che ci fosse molto di più che la preoccupava, ma decise di
non farle pressioni. Aveva avuto una mattinata difficile.
Leo si grattò la testa. “Bè, non so nulla sulle Enchiladas –“
“Encelado,” lo corresse Piper.
“Quello che è. Ma la Vecchia Faccia di Water ha menzionato un altro nome. Porta
Sperone, o una cosa del genere?”
“Porfirione?” chiese Piper. “Lui era il re dei giganti, penso.”
Jason si immaginò quella spirale scura nella vecchia piscina – che diventava più
grande mentre Era si faceva più debole. “Proporrò un’ipotesi azzardata,” disse.
“Nelle vecchie storie, Porfirione rapì Era. Quello fu la prima scintilla nella guerra tra i
giganti e gli dei.”
“Credo che sia così,” concordò Piper. “Ma quei miti sono davvero confusi e
contrastanti. E’ quasi come se nessuno voglia che quella storia sopravviva. Io mi
ricordo solo che ci fu una guerra, e che i giganti erano quasi impossibili da uccidere.”
“Gli eroi e gli dei dovettero lavorare insieme,” disse Jason. “Questo è quello che mi
ha detto Era.”
“Piuttosto difficile da fare,” brontolò Leo, “se gli dei non ci parlano neanche.”
Volarono verso ovest, e Jason si perse nei suoi pensieri – tutti brutti. Non era certo
di quanto tempo fosse passato prima che il drago scese in picchiata attraverso uno
spiraglio tra le nuvole, e sotto di loro, luccicante nel sole invernale, c’era una città
sulle rive di un lago gigantesco. Dei grattacieli disposti a mezzaluna circondavano la
riva. Alle loro spalle, estesa verso l’orizzonte occidentale, c’era una vasta griglia di
quartieri e strade coperti di neve.
“Chicago,” disse Jason.
Pensò a quello che Era aveva detto nel suo sogno. Il suo peggiore nemico mortale gli
avrebbe aspettai lì. Se fosse morto, sarebbe stato per mano sua.
“Un problema risolto,” disse Leo. “Siamo arrivati qui vivi. Ora, come troviamo gli
spiriti delle tempeste?”
Jason vide un lampo di movimento sotto di loro. All’inizio pensò che fosse un piccolo
aereo, ma era troppo minuto, troppo scuro e veloce. La cosa scese a spirale verso i
grattacieli, contorcendosi e cambiando forma – e solo per un attimo assunse la
sagoma fumosa di un cavallo.
“Che ne dite se seguiamo quello,” suggerì Jason, “e vediamo dove va?”
26
JASON
Jason temeva che avrebbero perso il loro obbiettivo. Il ventus si muoveva come…
bè, come il vento.
“Più veloce!” incitò.
“Fratello,” disse Leo, “se mi avvicino di più, ci vedrà. Un drago di bronzo non è
esattamente un velivolo Stealth.”
“Rallenta!” urlò Piper.
Lo spirito delle tempeste scese in picchiata tra il reticolo delle strade del centro.
Festus cercò di seguirlo, ma la sua apertura alare era troppo ampia. L’ala sinistra
limò il bordo di un palazzo, buttando giù un gargoyle di pietra prima che Leo
riuscisse a frenarlo.
“Vai sopra gli edifici,” suggerì Jason. “Lo inseguiremo da là.”
“Vuoi guidare te questa cosa?” brontolò Leo, ma fece ciò che gli aveva chiesto Jason.
Dopo alcuni minuti, Jason scorse nuovamente lo spirito, che sfrecciava tra le strade
senza uno scopo apparente – soffiando sui pedoni, increspando le bandiere, facendo
sbandare le auto.
“Oh, fantastico,” disse Piper. “Ce ne sono due.”
Aveva ragione. Un secondo ventus apparve sparato a raffica da dietro l’angolo
dell’Hotel Renaissance, unendosi al primo. Si intrecciarono insieme in una danza
caotica, volando veloci sulla cima di un grattacielo, curvando una torre radio e
tuffandosi nuovamente in basso verso la strada.
“A quei tipi non serve altra caffeina,” disse Leo.
“Immagino che Chicago sia un buon posto dove uscire,” disse Piper. “Nessuno si farà
domande su un paio di venti malvagi in più.”
“Più di un paio,” disse Jason. “Guarda.”
Il drago volò in cerchio sopra un’ampia strada affianco a un parco sulle rive di un
lago. Gli spiriti delle tempeste stavano convergendo là – almeno una dozzina,
vorticavando intorno a una grossa opera d’arte urbanistica.
“Quale credi che sia Dylan?” chiese Leo. “Voglio lanciargli qualcosa addosso.”
Ma Jason si concentrò sull’opera d’arte. Più si avvicinavano, più veloce gli batteva il
cuore. Si trattava semplicemente di una fontana pubblica, ma era sgradevolmente
familiare. Due monoliti alti diciotto metri si alzavano da ciascuna estremità di una
lunga piscina di granito. I monoliti sembravano essere fatti di schermi televisivi, che
lampeggiavano l’immagine combinata di un volto gigante dal quale sgorgava acqua
nella piscina.
Forse era solo una coincidenza, ma sembrava come una gigante versione ad alta
tecnologia di quella piscina in rovine che aveva visto nei suoi sogni, con quelle due
masse scure che si protendevano dalle due estremità. Mentre Jason guardava,
l’immagine sullo schermo si trasformò in quella del volto di una donna con gli occhi
chiusi.
“Leo…” disse nervosamente.
“La vedo,” disse Leo. “Non mi piace, ma la vedo.”
Poi gli schermi si fecero scuri. I venti turbinarono insieme in un’unica nuvola a
imbuto e svolazzarono sull’acqua della fontana, sollevando una tromba marina alta
quasi quanto i monoliti. Si spostarono nel suo centro, fecero saltare via uno scolo
per l’acqua e scomparvero sottoterra.
“Sono appena scesi dentro uno scolo?” chiese Piper. “Come dovremmo seguirgli?”
“Forse non dovremmo,” disse Leo. “Quella fontana mi sta mandando delle vibrazioni
seriamente negative. E noi non dovremo, tipo, diffidare della terra?”
Jason aveva la stessa sensazione, ma dovevano seguirgli. Era la loro unica strada in
avanti. Dovevano trovare Era, e ora gli rimanevano solo due gironi fino al solstizio.
“Facci scendere in quel parco,” suggerì. “Gli daremo un’occhiata a piedi.”
Festus atterrò in uno spazio aperto tra il lago e l’orizzonte. Le insegne dicevano
Grant Park, e Jason pensò che sarebbe stato un posto carino d’estate, ma in quel
momento era un campo di ghiaccio, neve e viali pedonali cosparsi di sale. Le calde
zampe di metallo del drago sibilarono quando toccarono terra. Festus sbatté le ali
infelice e sputò fuoco nel cielo, ma non c’era nessuno intorno a farci caso. Il vento
proveniente dal lago era aspramente freddo. Chiunque avesse un po’ di cervello se
ne sarebbe stato al chiuso. Gli occhi di Jason pungevano così tanto che era a
malapena in grado di vedere.
Smontarono, e il drago Festus pestò le zampe. Uno dei suoi occhi rubini guizzò, così
sembro come se stesse ammiccando.
“E’ normale?” chiese Jason.
Leo tirò un martelletto fuori dalla cintura. Picchiettò sull’occhio difettoso del drago,
e la luce tornò alla normalità. “Sì,” disse Leo. “Festus però non può rimanere qui, nel
bel mezzo del parco. Lo arresteranno per bighellonaggio. Forse se avessi un
fischietto per cani…”
Rovistò nella cintura degli attrezzi, ma non ne uscì nulla.
“Troppo specifico?” indovinò. “Okay, dammi un fischietto d’emergenza. Ce l’hanno
in un sacco di officine.”
Questa volta, Leo tirò fuori in grosso fischietto di plastica arancione. “Coach Hedge
ne sarebbe geloso! Okay, Festus, ascolta.” Leo suonò il fischietto. Il suono acuto si
diffuse probabilmente attraverso tutto il Lago Michigan. “Quando lo senti, vienimi a
cercare, okay? Fino ad allora, puoi volare dovunque tu voglia. Cerca solo di non fare
arrosto nessun pedone.”
Il drago sbuffò – si sperava in segno di accordo. Poi spiegò le ali e si lanciò nel cielo.
Piper fece un passo e sussultò. “Ah!”
“La tua caviglia?” Jason si sentiva in colpa per essersi dimenticato della sua ferita
nella fabbrica dei Ciclopi. “E’ possibile che l’effetto di quel nettare che ti abbiamo
dato stia svanendo.”
“Va tutto bene.” Rabbrividì, e Jason si ricordò della sua promessa di prenderle un
nuovo giaccone da snowboard. Sperava di vivere abbastanza a lungo per
trovargliene uno. Lei fece qualche altro passo zoppicando solo leggermente, ma
Jason poetava capire che stava cercando di non fare delle smorfie.
“Ripariamoci da questo vento,” propose lui.
“Giù per uno scolo?” Piper tremò. “Sembra accogliente.”
Si avvolsero nei loro vestiti meglio che potevano e si diressero verso la fontana.
***
Secondo quanto diceva la targa, era chiamata Crown Fountain. Tutta l’acqua era
scolata via ad eccezione di alcune macchie che stavano iniziando a congelare. Ad
ogni modo Jason non credeva che fosse normale che la fontana avesse l’acqua
anche in inverno. C’era anche da dire però, che quei grandi schermi avevano appena
mostrato il volto della loro misteriosa nemica Faccia di Terra. Niente riguardo quel
posto era normale.
Arrivarono al centro della piscina. Nessuno spirito cercò di fermagli. Le giganti pareti
di schermi rimasero scure. Il foro si scolo era grande abbastanza per far passare una
persona senza problemi, e una scaletta di manutenzione guidava nell’oscurità.
Jason andò per primo. Mentre scendeva, si preparò all’orribile odore di fogna, ma
non era così forte. La scaletta scaricava in un tunnel di mattoni che correva da nord
a sud. L’aria era calda e asciutta, con solo un rivolo di acqua sul pavimento.
Piper e Leo scesero dopo di lui.
“Tutte le fogne sono così carine?” chiese meravigliata Piper.
“No,” disse Leo. “Fidati.”
Jason si accigliò. “Come sai –“
“Hey, amico, sono scappato sei volte. Ho dormito in alcuni strani posti, okay? Ora,
da che parte andiamo?”
Jason inclinò la testa, in ascolto, poi puntò verso sud. “Quella parte.”
“Come fai a esserne sicuro?” chiese Piper.
“C’è una corrente d’aria che soffia verso sud,” disse Jason. “Forse i venti sono andati
con il corso d’acqua.”
Non era molto come comando, ma nessuno propose nulla di meglio.
Sfortunatamente, appena cominciarono a camminare, Piper inciampò. Jason
dovette afferrarla.
“Stupida caviglia,” imprecò.
“Riposiamoci,” decise Jason. “Farà bene a tutti. E’ da più di un giorno che non ci
fermiamo. Leo, puoi tirare fuori da quella cintura degli attrezzi del cibo che non sia
mentine?”
“Pensavo che non l’avresti mai chiesto. Chef Leo al vostro servizio!”
Piper e Jason si misero seduti su una sporgenza di mattoni mentre Leo rovistava nel
suo zaino.
Jason era lieto di riposare. Era ancora stanco e stordito, e anche affamato. Ma
soprattutto non era impaziente di affrontare qualsiasi cosa gli attendesse avanti.
Rigirò la sua moneta dorata tra le dita.
Se dovrai morire, aveva avvertito Era, sarà per mano di lei.
Chiunque “lei” fosse. Dopo Chione, la madre Ciclope, e la strana donna
addormentata, l’ultima cosa di cui Jason aveva bisogno era un’altra cattiva
psicopatica nella sua vita.
“Non è stata colpa tua,” disse Piper.
Lui la guardò con aria assente. “Cosa?”
“Essere sopraffatto dai Ciclopi,” disse. “Non è stata colpa tua.”
Lui abbassò lo sguardo sulla moneta che aveva in mano. “Sono stato stupido. Ti ho
lasciata da sola e sono caduto in una trappola. Avrei dovuto sapere…”
Non completò la frase. C’erano troppe cose che avrebbe dovuto sapere – chi era,
come si combattevano i mostri, come i Ciclopi attiravano le loro vittime copiando le
voci e nascondendosi tra le ombre e un centinaio di altri trucchi. Tutte quelle
informazioni sarebbero dovute essere nella sua testa. Poteva sentire i posti dove
dovevano stare – come delle tasche vuote. Se Era voleva che avesse successo,
perché aveva rubato i ricordi che potevano aiutarlo? Sosteneva che la sua amnesia
lo aveva mantenuto in vita, ma ciò non aveva senso. Stava cominciando a capire
perché Annabeth aveva voluto lasciare la dea nella sua gabbia.
“Hey.” Piper gli diede una piccola spinta al braccio. “Sii meno severo con te stesso.
Solo perché sei il figlio di Zeus non vuol dire che devi fare tutto da solo.”
Alcuni metri più in là, Leo accese un piccolo falò. Canticchiava mentre tirava fuori le
provviste dallo zaino e dalla cintura.
Alla luce del fuoco, gli occhi di Piper sembravano danzare. Ormai era da giorni che
Jason gli stava studiando, e ancora non riusciva a capire di che colore fossero.
“So che tutto questo deve essere orribile per te,” disse. “Voglio dire, non solo
l’impresa. Il modo nel quale sono comparso sul bus, la Foschia che ha giocato con la
tua mente, e che ti ha fatto credere che io fossi… lo sai.”
Lei abbassò lo sguardo. “Sì, bè. Nessuno di noi l’ha chiesto. Non è colpa tua.”
Giocherellò con le piccole trecce che gli cadevano ai lati della testa. Ancora una
volta, Jason pensò a quanto fosse felice che avesse perso la benedizione di Afrodite.
Con il trucco e il vestito e l’acconciatura perfetta, sembrava avere circa venticinque
anni, attraente e totalmente fuori dalla sua portata. Non aveva mai pensato alla
bellezza come a una forma di potere, ma era così che Piper era sembrata – potente.
Gli piaceva di più la Piper normale – qualcuno con il quale poteva stare insieme. Ma
la cosa strana era che non riusciva a togliersi completamente dalla testa quell’altra
immagine. Non era stata un’illusione. Anche quella parte di Piper era lì. Lei faceva
solo del suo meglio per nasconderla.
“Alla fabbrica,” disse Jason, “stavi per dire qualcosa riguardo tuo padre.”
Lei fece scorrere le dita sui mattoni, quasi come se stesse disegnando un urlo al
quale non voleva dare voce. “Davvero?”
“Piper,” disse, “è in qualche guaio, non è vero?”
Dal falò, Leo mescolò carne e peperoni sfrigolanti in una padella. “Sì, baby! Quasi
fatto.”
Piper sembrava sull’orlo delle lacrime. “Jason… non posso parlarne.”
“Noi siamo tuoi amici. Lascia che ti aiutiamo.”
Quello sembrò farla stare persino peggio. Fece un respiro tremante. “Vorrei poterlo
fare, ma-“ “E bingo!” annunciò Leo.
Si avvicinò con tre piatti impilati sulle braccia come un cameriere. Jason non aveva
idea di dove avesse preso tutto il cibo, o come avesse fatto a cucinarlo così in fretta,
ma aveva un aspetto fantastico: peperoni e tacos di manzo con patatine e salsa.
“Leo,” disse Piper stupita. “Come hai – ?”
“Il Garage dei Tacos dello Chef Leo al vostro servizio!” disse in modo orgoglioso. “E,
ad ogni modo, è tofu, non manzo, reginetta di bellezza, quindi non agitarti. Iniziate!”
Jason non era convinto del tofu, ma i tacos erano tanto buoni quanto il loro odore.
Mentre mangiavano, Leo cercò di tirate su il morale e scherzare. Jason era grato del
fatto che Leo fosse con loro. Rendeva lo stare con Piper un po’ meno intenso e
disagevole. Allo stesso tempo, desiderava essere da solo con lei, ma si rimproverò
da solo per aver pensato così.
Dopo che Piper ebbe mangiato, Jason la incoraggiò a dormire un po’. Senza un’altra
parola, si rannicchiò e mise la testa sul suo grembo. In due secondi stava russando.
Jason alzò lo sguardo verso Leo, che stava ovviamente cercando di non ridere.
Rimasero seduti in silenzio per alcuni minuti, bevendo la limonata che Leo aveva
fatto con l’acqua della borraccia e un preparato in polvere.
“Buona, huh?” sogghignò Leo.
“Dovresti aprire uno stand,” disse Jason. “Faresti soldi.”
Ma mentre fissava le braci del falò, qualcosa cominciò a preoccuparlo. “Leo…
riguardo questa cosa del fuoco che puoi fare… è vero?”
Il sorriso di Leo vacillò. “Sì, bè…” Aprì la mano. Si accese una piccola palla di fuoco,
che gli danzò sul palmo.
“E’ così forte,” disse Jason. “Perché non hai detto nulla?”
Leo chiuse la mano e il fuoco di spense. “Non volevo sembrare un mostro.”
“Io ho poteri sui lampi e sul vento,” gli ricordò Jason. “Piper è in grado di diventare
bellissima e sa incantare le persone per farsi dare delle BMW. Non sei più mostro di
quanto non lo siamo noi. E, hey, magari puoi volare anche te. Tipo saltando giù da
un palazzo e urlando, “Fiamma!””
Leo sbuffò ridendo. “Se lo facessi, vedreste un ragazzo in fiamme cadere verso la sua
morte, e io urlerei qualcosa un po’ più forte di “Fiamma!” Fidati di me, la cabina di
Efesto non vede i poteri sul fuoco come qualcosa di forte. Nyssa mi ha detto che
sono super rari. Quando compare un semidio come me, succedono delle cose
brutte. Davvero brutte.”
“Magari è il contrario,” suggerì Jason. “Magari le persone con doni speciali appaiono
quando stanno accadendo delle cose brutte perché è in quel momento che la gente
ha più bisogno di loro.”
Leo mise via i piatti. “Forse. Ma ti sto dicendo… non è sempre un dono.”
Jason rimase in silenzio. “Stai parlando di tua madre, non è vero? Della notte in cui
morì.”
Leo non rispose. Non ne aveva bisogno. Il fatto che era silenzioso, senza fare scherzi
e battute – quello gli diceva abbastanza.
“Leo, la sua morte non è stata colpa tua. Qualsiasi cosa sia accaduta quella notte –
non è stato perché tu sei in grado di evocare il fuoco. Questa Donna di Terra,
chiunque lei sia, ha cercato di rovinati per anni, giocando con la tua sicurezza,
portando via tutto quello a cui tieni. Sta cercando di farti sentire un fallimento. Non
lo sei. Tu sei importante.”
“Questo è quello che ha detto.” Leo alzò lo sguardo, i suoi occhi erano pieni di
dolore. “Ha detto che sono destinato a fare qualcosa di importante – qualcosa che
farebbe avverare o smentire quella grossa profezia riguardo i sette semidei. Questo
è quello che mi spaventa. Non so se sono all’altezza.”
Jason voleva dirgli che sarebbe andato tutto bene, ma sarebbe suonato falso. Jason
non sapeva cosa sarebbe successo. Loro erano semidei, il che voleva dire che a volte
le cose non finivano bene. A volte venivi mangiato dai Ciclopi.
Se chiedi alla maggior parte dei ragazzi, “Hey, vuoi essere in grado di evocare il
fuoco o i lampi o del trucco magico?” loro penserebbero che sia piuttosto forte. Ma
quei poteri venivano insieme a cose difficili, come stare seduti in una fogna in pieno
inverno, scappando dai mostri, perdendo i tuoi ricordi, guardando i tuoi amici che
venivano quasi cucinati e facendo sogni che ti avvertivano sulla tua stessa morte.
Leo rigirò i resti del suo falò, girando le braci incandescenti con le mani nude. “Ti sei
mai chiesto degli altri quattro semidei? Voglio dire… se noi siamo tre di quelli della
Grande Profezia, chi sono gli altri? Dove sono?”
Jason ci aveva pensato, era vero, ma cercava di levarselo dalla mente. Aveva
l’orribile sospetto che era lui quello che avrebbe dovuto guidare gli altri semidei, e
aveva paura di fallire.
Vi distruggerete a vicenda, aveva assicurato Borea.
Jason era stato addestrato a non mostrare mai la paura. Ne era certo dal suo sogno
con i lupi. Doveva mostrarsi sicuro, anche se non lo era. Ma Leo e Piper si fidavano di
lui, e lui aveva il terrore di deludergli. Se doveva guidare un gruppo di sei – sei che
avrebbero potuto non andare d’accordo – quello sarebbe stato persino peggio.
“Non lo so,” disse alla fine. “Immagino che gli altri quattro si presenteranno quando
è il momento giusto. Chi lo sa? Forse in questo momento sono in qualche altra
impresa.”
Leo brontolò. “Scommetto che la loro fogna è più carina della nostra.”
La corrente d’aria si alzò, soffiando verso l’estremità sud del tunnel.
“Riposati un po’, Leo,” disse Jason. “Prendo io la prima guardia.”
Era difficile calcolare il tempo, ma Jason immaginò che i suoi amici avessero dormito
per circa quattro ore. A Jason non importava. Ora che si stava riposando, non
sentiva davvero il bisogno di altro sonno. Era stato fuori uso per abbastanza tempo
sul drago. Inoltre, aveva bisogno di tempo per pensare all’impresa, a sua sorella
Talia e agli avvertimenti di Era. Non gli importava neanche che Piper lo usasse come
cuscino. Aveva un modo tenero di respirare quando dormiva – inspirando dal naso,
espirando con un piccolo sbuffo dalla bocca. Fu quasi deluso quando si svegliò.
Alla fine smontarono l’accampamento e si avviarono lungo il tunnel.
Curvava e svoltava e sembrava andare avanti all’infinito. Jason non era sicuro di cosa
aspettarsi alla fine – una prigione sotterranea, il laboratorio di uno scienziato pazzo
o magari una cisterna dove finivano tutti i rifiuti dei bagni, che formavano il
malvagio volto di una toilette grande abbastanza per inghiottire il mondo.
Invece, trovarono delle lucide porte d’acciaio di un ascensore, ciascuna con incisa
una lettera M in corsivo. Affianco all’ascensore c’era una guida, come quelle di un
grande magazzino.
“M per Macy’s?” indovinò Piper. “Credo che ce ne sia uno al centro di Chicago.”
“O ancora la Monocolo Motori?” disse Leo. “Ragazzi, leggete le indicazioni. Sono
incasinate.”
Parcheggio, Canili, Entrata Principale
Livello Fogna
Arredamento e Cafè M
1
Vestiti Donna e Accessori Magici
2
Abbigliamento Uomo e Armeria
Cosmetici, Pozioni, Veleni e Articoli Vari
3
4
“Canili per cosa?” disse Piper. “E che genere di grande magazzino ha l’entrata in una
fogna?”
“O vende veleni,” disse Leo. “Amico, che diamine vuol dire “articoli vari”? E’ tipo
l’intimo?”
Jason fece un profondo respiro. “Quando sei in dubbio, inizia dall’alto.”
***
Le porte si aprirono al quarto piano e l’odore di profumo si diffuse per l’ascensore.
Jason uscì per primo, con la spada pronta.
“Ragazzi,” disse. “Dovete vedere.”
Piper lo raggiunse e trattene il respiro. “Questo non è Macy’s.”
Il grande magazzino sembrava l’interno di un caleidoscopio. L’intero soffitto era un
mosaico di vetri colorati con i simboli astrologici intorno a un sole gigante. La luce
del giorno che lo attraversava inondava tutto di migliaia di colori differenti. I piani
superiori formavano un anello di terrazze intorno a un enorme atrio centrale, così si
poteva vedere fino al piano terra. Delle ringhiere dorate luccicavano in modo così
luminoso che era difficile guardarle.
A parte il soffitto a vetrata e l’ascensore, Jason non riusciva a vedere nessun’altra
porta o finestra, ma un paio di scale mobili di vetro correvano tra i vari piani. La
tappezzeria era un tumulto di motivi e colori orientali, e gli scaffali con la merce
erano altrettanto bizzarri. C’erano troppe cose da elaborare tutte assieme, ma Jason
vide oggetti normali come pile di magliette e scarpiere mischiate con manichini
armati, banconi con artigli e pellicce che sembravano muoversi.
Leo si avvicinò alla ringhiera e guardò in basso. “Date un’occhiata.”
In mezzo all’atrio, una fontana spruzzava acqua a sei metri di altezza, cambiando
colore dal rosso al giallo al blu. La piscina luccicava di monete dorate, e su entrambi i
lati della fontana c’era una gabbia dorata – come una gabbia per canarini extralarge.
All’interno di una di queste, c’era un uragano in miniatura che turbinava e
lampeggiava. Qualcuno aveva imprigionato gli spiriti delle tempeste, e la gabbia
tremava mentre questi cercavano di liberarsi. Nell’altra, pietrificato come una
statua, c’era un basso satiro muscoloso con in mano una clava a tre rami.
“Coach Hedge!” disse Piper. “Dobbiamo scendere là sotto.”
Una voce disse, “Posso aiutarvi a trovare qualcosa?”
Fecero tutti e tre un salto indietro.
Una donna era appena apparsa di fronte a loro. Indossava un elegante vestito nero
con dei gioielli di diamanti, e aveva l’aspetto di una modella in pensione – forse
cinquant’anni, anche se era difficile per Jason giudicare. I suoi lunghi capelli scuri le
ricadevano su una spalla, e il suo volto era bellissimo in quel surrealistico modo da
supermodel – smilzo, altezzoso e freddo, non completamente umano. Con le loro
lunghe unghie rosse, le sue dita assomigliavano più a degli artigli.
Lei sorrise. “Sono così felice di vedere dei nuovi clienti. Come posso aiutarvi?”
Leo lanciò un’occhiata a Jason come a dire, Tutta tua.
“Um,” iniziò Jason, “è il suo negozio?”
La donna annuì. “L’ho trovato abbandonato, sapete. Ho visto che così tanti negozi in
questi giorni lo sono. Ho pensato che sarebbe stato il luogo perfetto. Adoro
collezionare oggetti di gusto, aiutare le persone e offrire beni di qualità a prezzi
ragionevoli. Quindi questa sembrava una buona… come dite voi… prima acquisizione
in questo paese.”
Parlava con un accento piacevole, ma Jason non riusciva a indovinare di dove fosse.
Chiaramente, tuttavia, non era ostile. Cominciò a rilassarsi. La sua voce era ricca ed
esotica. Jason voleva ascoltarla ancora.
“Quindi lei è nuova in America?” chiese.
“Sono… nuova,” concordò la donna. “Sono la Principessa di Colchide. I miei amici mi
chiamano Vostra Altezza. Ora, cosa stavate cercando?”
Jason aveva sentito parlare di ricchi stranieri che acquistavano grandi magazzini
americani. Nella maggior parte dei casi, ovviamente, non vendevano veleni, pellicce
viventi, spiriti delle tempeste o satiri, ma comunque – con una voce del genere, la
Principessa di Colchide non poteva essere malvagia.
Piper gli diede una piccola spinta alle costole. “Jason…”
“Um, giusto. In realtà, Vostra Altezza…” Indicò la gabbia dorata al primo piano.
“Quello laggiù è il nostro amico, Gleeson Hedge. Il satiro. Potremmo… riaverlo
indietro, per favore?”
“Certamente!” annuì immediatamente la principessa. “Mi piacerebbe moltissimo
mostrarvi il mio inventario. Prima, potrei sapere i vostri nomi?”
Jason esitò. Sembrava una cattiva idea dare i loro nomi. Un ricordo si agitò in una
parte remota della sua mente – qualcosa a proposito della quale lo aveva avvertito
Era, ma sembrava confuso.
D’altra parte, Sua Altezza era sull’orlo della collaborazione. Se potevano prendere
ciò che volevano senza una lotta, sarebbe stato meglio. Inoltre, quella donna non
sembrava un nemico.
Piper iniziò a dire, “Jason, io non –“
“Questa è Piper,” disse. “Questo è Leo. Io sono Jason.”
La principessa fissò lo sguardo su di lui e, solo per un momento, il suo volto brillò
letteralmente, ardendo con così tanta rabbia che Jason poté vedere il suo cranio
sotto la pelle. La mente di Jason si stava facendo più annebbiata, ma sapeva che
c’era qualcosa che non andava. Poi il momento passò e Sua Altezza tornò ad avere
l’aspetto di una normale donna elegante, con un sorriso cordiale e una voce
calmante.
“Jason. Che nome interessante,” disse, il suo sguardo freddo come il vento di
Chicago. “Credo che dovremmo fare un accordo speciale per te. Venite, figlioli.
Andiamo a fare spese.”
27
PIPER
Piper voleva scappare verso l’ascensore.
La sua seconda scelta: attaccare la strana principessa in quel momento, perché era
certa che stava per arrivare uno scontro. Il modo nel quale il volto della donna aveva
brillato quando aveva sentito il nome di Jason era stato brutto abbastanza. Ora Sua
Altezza stava sorridendo come se non fosse successo nulla, e Jason e Leo non
sembravano pensare che ci fosse qualcosa di sbagliato.
La principessa agitò la mano verso l’espositore dei trucchi. “Iniziamo dalle pozioni?”
“Forte,” disse Jason.
“Ragazzi,” intervenne Piper, “siamo qui per prendere qualche spirito delle tempeste
e il Coach Hedge. Se questa – principessa – è davvero nostra amica –“
“Oh, io sono meglio di un’amica, mia cara,” disse Sua Altezza. “Io sono una
commessa.” I suoi diamanti brillarono, e i suoi occhi luccicarono come quelli di un
serpente – freddi e scuri. “Non preoccuparti. Ci faremo strada fino al primo piano,
eh?”
Leo annuì zelante. “Certo, sì! Suona bene. Giusto, Piper?”
Piper fece del suo meglio per trafiggerlo con lo sguardo: No, non suona bene!
“Certo che suona bene.” Sua Altezza mise le mani sulle spalle di Leo e Jason e gli
guidò verso i trucchi. “Venite ragazzi.”
Piper non aveva molta altra scelta a parte seguirgli.
Odiava i grandi magazzini – per prima cosa perché era stata beccata a rubare in
molti di loro. Bè, non esattamente beccata, e non esattamente rubare. Aveva
convinto i commessi a darle computer, nuovi stivali, un anello d’oro, una volta
persino un tagliaerba, anche se non aveva idea del perché ne volesse uno. Non si
teneva mai quelle cose. Lo faceva solo per attirare l’attenzione di suo padre. Di
solito incantava il ragazzo dell’UPS del suo quartiere per fargli riportare tutto
indietro. Ma ovviamente i commessi che ingannava ritornavano sempre in loro
stessi e chiamavano la polizia, che alla fine la scovava.
Ad ogni modo, non era elettrizzata per il fatto di essere di nuovo in un grande
magazzino – soprattutto uno gestito da una principessa pazza che brillava al buio.
“E qui,” disse la principessa, “c’è il più bell’assortimento di miscele magiche di tutti.”
L’espositore era zeppo di becher gorgoglianti e fiale fumanti poggiate su treppiedi.
Allineati sugli scaffali espositivi c’erano delle fiasche di cristallo – alcune a forma di
cigno o di orsetti del miele. I liquidi all’interno erano di ogni colore, dal bianco
brillante al motivo a pois. E gli odori – ugh! Alcuni erano piacevoli, come biscotti
appena sfornati o rose, ma erano mischiati con l’odore di ruote bruciate, puzzola e
armadietti delle palestre.
La principessa indicò una fiala rosso sangue – un semplice cilindro da esperimenti
con un tappo di sughero. “Questa qui guarisce qualsiasi malattia.”
“Persino il cancro?” chiese Leo. “Leprosi? Le unghie incarnite?”
“Qualsiasi malattia, dolce ragazzo. E questa fiala –“ indicò un contenitore a forma di
cigno contenente del liquido blu – “ti uccide molto dolorosamente.”
“Fantastica,” disse Jason. La sua voce suonava stordita e sonnolenta.
“Jason,” disse Piper. “Abbiamo un lavoro da fare. Ricordi?” Cercò di mettere del
potere nelle sue parole, di tirarlo fuori dalla sua trance incantandolo, ma la sua voce
suonava incerta persino alle sue orecchie. Questa donna principessa la spaventava
troppo, facendogli crollare ogni sicurezza, proprio come si era sentita nella cabina di
Afrodite con Drew.
“Lavoro da fare,” borbottò Jason. “Certo. Ma prima le compere, okay?”
La principessa gli sorrise radiosamente. “Poi abbiamo delle pozioni per resistere al
fuoco –“
“Quello è risolto,” disse Leo.
“Davvero?” La principessa studiò il volto di Leo più da vicino. “Non sembra che tu
stia indossando la mia protezione solare di marca… ma non importa. Abbiamo anche
delle pozioni che causano cecità, pazzia, sonno o –“
“Aspetti.” Piper stava ancora fissando la fiala rossa. “Quella pozione potrebbe curare
la perdita di memoria?”
La principessa socchiuse gli occhi. “E’ possibile. Sì. Più che possibile. Perché, mia
cara? Hai dimenticato qualcosa di importante?”
Piper cercò di mantenere la sua espressione neutrale, ma se quella fiala poteva
curare la memoria di Jason…
Lo voglio davvero? si chiese.
Se Jason scopriva chi era, avrebbe potuto non essere nemmeno suo amico. Era gli
aveva portato via i ricordi per una ragione. Gli aveva detto che era l’unico modo nel
quale era sopravvissuto al Campo Mezzosangue. E se Jason scopriva che era un loro
nemico o una cosa del genere? Avrebbe potuto uscire dalla sua amnesia e decidere
di odiare Piper. Avrebbe potuto avere una ragazza da dovunque venisse.
Non importa, decise, cosa che la sorprese alquanto.
Jason appariva sempre così angosciato quando cercava di ricordarsi le cose. Piper
detestava vederlo in quel modo. Voleva aiutarlo perché teneva a lui, anche se ciò
voleva dire perderlo. E magari avrebbe reso quel viaggio nel grande magazzino di
Sua Pazzia meritevole.
“Quanto?” chiese Piper.
Lo guardo della principessa divenne distante. “Bè, ora… Il prezzo è sempre difficile.
Adoro aiutare le persone. Davvero, lo adoro. E mantengo sempre i miei accordi, ma
a volte le persone provano a ingannarmi.” Il suo sguardo si spostò su Jason. “Una
volta, per esempio, ho incontrato un attraente giovane ragazzo che voleva un tesoro
dal regno di mio padre. Facemmo un accordo, ed io promisi di aiutarlo a rubarlo.”
“Dal suo stesso padre?” Jason appariva sempre mezzo in trance, ma l’idea sembrava
infastidirlo.
“Oh, non preoccuparti,” disse la principessa. “Ho preteso un prezzo alto. Il giovane
ragazzo dovette portarmi via con lui. Era piuttosto di bell’aspetto, audace, forte…”
Guardò Piper.
“Sono certa, mia cara, che tu capisci come una persona possa essere attratta da un
eroe del genere e voglia aiutarlo.”
Piper cercò di controllare le sue emozioni, ma probabilmente arrossì. Aveva la
spaventosa sensazione che la principessa potesse leggere i suoi pensieri.
Trovava anche la storia della principessa familiare in una maniera inquietante. Parti
di vecchi miti che aveva letto con suo padre cominciarono a mettersi insieme, ma
questa donna non poteva essere quella alla quale stava pensando.
“Ad ogni modo,” continuò Sua Altezza, “il mio eroe dovette affrontare numerose
imprese impossibili, e non mi sto vantando quando dico che non avrebbe potuto
farlo senza di me. Ho tradito la mia stessa famiglia per ottenere il premio dell’eroe. E
nonostante ciò mi ha ingannato sul mio pagamento.”
“Ingannato?” Jason aggrottò le sopracciglia, come se stesse cercando di ricordarsi
qualcosa di importante.
“E’ una cosa incasinata,” disse Leo.
Sua Altezza gli diede degli affettuosi buffetti sulla guancia. “Sono certa che tu non ti
debba preoccupare, Leo. Tu sembri onesto. Pagheresti sempre un prezzo giusto, non
è vero?”
Leo annuì. “Cosa stavamo comprando? Ne prendo due.”
Piper si intromise: “Quindi, la fiala, Vostra Altezza – quanto?”
La principessa studiò i vestiti di Piper, il suo volto, la sua postura, come se stesse
mettendo un cartellino del prezzo su un semidio leggermente usato.
“Daresti qualsiasi cosa per lei, mia cara?” chiese la principessa. “Sento che lo
faresti.”
Le parole inondarono Piper potenti come una buona onda da surf. La forza della
suggestione l’aveva quasi sopraffatta. Voleva pagare qualsiasi prezzo. Voleva dire di
sì.
Poi il suo stomaco si contorse. Piper capì che la stava incantando. Aveva provato una
cosa del genere prima, quando Drew aveva parlato al falò, ma questo era un migliaio
di volte più potente. Non c’era da stupirsi che i suoi amici fossero storditi. Era
questo quello che le persone provavano quando Piper le incantava con le parole? Un
senso di colpa la raggiunse.
Evocò tutta la sua forza di volontà. “No, non pagherò qualsiasi prezzo. Ma un prezzo
giusto, forse. Dopo di che, dobbiamo andare via. Giusto, ragazzi?”
Solo per un momento, le sue parole sembrarono avere qualche effetto. I ragazzi
parvero confusi.
“Andarcene?” disse Jason.
“Vuoi dire… dopo le compere?” chiese Leo.
Piper voleva urlare, ma la principessa inclinò la testa, esaminando Piper con nuovo
rispetto.
“Notevole,” disse la principessa. “Non sono molte le persone in grado di resistere
alla mia influenza. Sei una figlia di Afrodite, mia cara? Ah, sì – avrei dovuto vederlo.
Non importa. Magari dovremmo fare un po’ più di spese prima che decidiate cosa
compare, eh?”
“Ma la fiala –“
“Ora, ragazzi.” Si voltò verso Jason e Leo. La sua voce era così più potente di quella
di Piper, così piena di sicurezza, che Piper non aveva la minima speranza. “Volete
vedere dell’altro?”
“Certo,” disse Jason.
“Okay,” disse Leo.
“Eccellente,” disse la principessa. “Avrete bisogno di tutto l’aiuto che potete avere
se volete raggiungere la Bay Area.”
Le mani di Piper si spostarono verso il suo pugnale. Ripensò al suo sogno sulla cima
della montagna – la scena che Encelado le aveva mostrato, un luogo che conosceva,
dove avrebbe dovuto tradire i suoi amici tra due giorni.
“La Bay Area?” disse Piper. “Perché la Bay Area?”
La principessa sorrise. “Bè, è dove moriranno, non è così?”
Poi gli guidò verso le scale mobili, Jason e Leo sempre emozionati all’idea di fare
spese.
28
PIPER
Non appena Jason e Leo andarono avanti a vedere le pellicce viventi, Piper mise la
principessa all’angolo.
“Vuoi che comprino le loro morti?” chiese Piper.
“Mmm.” La principessa soffiò via la polvere da una vetrina con le spade. “Io sono
una veggente, mia cara. Conosco il tuo piccolo segreto. Ma non vogliamo indugiarci
sopra, non è vero? I ragazzi si stanno divertendo così tanto.”
Leo rise mentre si provava un cappello che sembrava essere fato di pelliccia di
procione incantata. La sua coda a strisce si agitava e le sue piccole zampe si
dimenavano freneticamente mentre Leo camminava. Jason era interessato
all’abbigliamento sportivo da uomo. Ragazzi che si interessavano ai vestiti? Una
prova definitiva che erano sotto un malvagio incantesimo.
Piper fissò la principessa. “Chi sei tu?”
“Te l’ho detto, mia cara. Io sono la Principessa di Colchide.”
“Dov’è Colchide?”
L’espressione della principessa si fece un po’ triste. “Dov’era Colchide, vuoi dire. Mio
padre governava le rive lontane del Mar Nero, tanto a est quanto una nave Greca
poteva arrivare a quei tempi. Ma Colchide non esiste più – persa ere fa.”
“Ere?” chiese Piper. La principessa non sembrava avere più di cinquant’anni, ma una
brutta sensazione cominciò a farsi strada in lei – qualcosa che Re Borea aveva
accennato nel Quebec. “Quanti anni hai?”
La principessa rise. “Una signora dovrebbe evitare di chiedere o rispondere a questa
domanda. Diciamo solo che il, ah, processo di immigrazione per entrare nel vostro
paese è stato abbastanza lungo. La mia padrona mi ha finalmente fatto passare. Lei
ha reso tutto questo possibile.” La principessa agitò le mani verso il grande
magazzino.
Piper aveva un sapore metallico in bocca. “La tua padrona…”
“Oh, sì. Non fa passare chiunque, bada bene – solo coloro che hanno dei talenti
speciali, come me. E, sinceramente, pretende così poco: un’entrata del negozio deve
essere sottoterra così lei può, ah, monitorare la mia clientela – e un favore di tanto
in tanto. In cambio di una nuova vita? Seriamente, è stato l’accordo migliore che ho
fatto in secoli.”
Corri, pensò Piper. Dobbiamo uscire da qui.
Ma prima che potesse anche solo trasformare i pensieri in parole, Jason la chiamò,
“Hey, dai un’occhiata!”
Da un espositore etichettato come VESTITI USATI, tirò su una maglietta viola come
quella che aveva indossato nella gira scolastica – solo che questa maglietta
sembrava fosse stata attaccata dalle tigri.
Jason aggrottò le sopracciglia. “Perché ha un aspetto così familiare?”
“Jason, è come la tua,” disse Piper. “Ora dobbiamo proprio andarcene.” Ma non era
certa che lui fosse ancora in grado di sentirla attraverso l’incantesimo della
principessa.
“Sciocchezze,” disse la principessa. “I ragazzi non hanno finito, non è vero? E, sì, mio
caro. Quelle magliette sono molto popolari – scambi da clienti precedenti. Ti sta
bene.”
Leo tirò su una maglietta arancione del Campo Mezzosangue con un buco al centro,
come se fosse stata colpita da un giavellotto. Vicino c’era una corazza di bronzo
ammaccata, macchiata da zone corrose – acido, forse? – e una toga Romana ridotta
a brandelli e macchiata di qualcosa che assomigliava in maniera inquietante a
sangue secco.
“Vostra Altezza,” disse Piper, cercando di tenere i nervi saldi. “Perché non racconta
ai ragazzi come ha tradito la sua famiglia? Sono certa che gli piacerebbe sentire
quella storia.”
Le sue parole non ebbero nessun effetto sulla principessa, ma i ragazzi si voltarono,
improvvisamente interessati.
“Altre storie?” chiese Leo.
“Mi piacciono altre storie!” concordò Jason.
La principessa lanciò a Piper uno sguardo irritato. “Oh, una persona fa cose strane
per amore, Piper. Tu dovresti saperlo. Infatti, mi sono innamorata di quel giovane
eroe, perché tua madre Afrodite mi aveva fatto un incantesimo. Se non fosse stato
per lei – ma non posso portare rancore contro una dea, non è vero?”
Il tono della principessa rendeva il suo significato chiaro: Posso prendermela con te.
“Ma quell’eroe ti portò con sé quando fuggì da Colchide,” ricordò Piper. “Non è così,
Vostra Altezza? Vi sposò, proprio come aveva promesso.”
Lo sguardo negli occhi della principessa fece venire voglia a Piper di chiedere scusa,
ma non si tirò indietro.
“All’inizio,” Sua Altezza ammise, “sembrò che avrebbe mantenuto la sua promessa.
Ma persino dopo che l’avevo aiutato a rubare il tesoro di mio padre, aveva ancora
bisogno del mio aiuto. Quando fuggimmo, la flotta di mio fratello ci inseguì. Le sue
navi da guerra ci raggiunsero. Lui ci avrebbe distrutto, ma io convinsi mio fratello a
salire prima a bordo della nostra nave e a parlare sotto bandiera bianca. Lui si fidò di
me.”
“E lei uccise il suo stesso fratello,” disse Piper, l’orribile storia che le ritornava tutta
alla mente, insieme a un nome – un nome nefando che iniziava con la lettera M.
“Cosa?” Jason si agitò. Per un attimo, sembrò quasi se stesso. “Uccidere il tuo stesso
–“
“No,” scattò la principessa. “Quelle storie sono delle bugie. Furono il mio nuovo
marito e il suo uomo che uccisero mio fratello, anche se non sarebbero stati in grado
di farlo senza il mio raggiro. Buttarono il corpo in mare, e la flotta d’inseguimento
dovette fermarsi per cercarlo così da poter dare a mio fratello un giusto funerale.
Ciò ci diede il tempo di scappare. Tutto questo, l’ho fatto per mio marito. E lui si
dimentico del nostro accordo. Alla fine mi tradì.”
Jason continuava a sembrare a disagio. “Cosa ha fatto?”
La principessa tenne la toga a brandelli contro il petto di Jason, come se stesse
prendendo le misure per un assassinio. “Non conosci la storia, ragazzo mio? Tu tra
tutte le persone dovresti. Porti il suo nome.”
“Jason,” disse Piper. “Il Jason originale. Ma allora lei è – lei dovrebbe essere morta!”
La principessa rise. “Come ho detto, una nuova vita in un nuovo paese. Di sicuro ho
fatto degli errori. Ho voltato le spalle alle mie stesse persone. Sono stata chiamata
traditrice, ladra, bugiarda, assassina. Ma ho agito per amore.” Si voltò verso i ragazzi
e gli rivolse un sorriso compassionevole, sbattendo le sopracciglia. Piper poteva
sentire la magia che gli inondava, prendendo il controllo più saldamente che mai.
“Voi non fareste lo stesso per qualcuno che amate, miei cari?”
“Oh, certo,” disse Jason.
“Okay,” disse Leo.
“Ragazzi!” Piper strinse i denti dalla frustrazione. “Non capite chi è? Non –“
“Continuiamo, che ne dite?” disse la principessa in modo allegro. “Credo che
volevate parlare del prezzo per gli spiriti delle tempeste – e per il vostro satiro.”
Leo si distrasse al secondo piano con gli apparecchi elettronici.
“Non è possibile,” disse. “Quella è una fucina enorme?”
Prima che Piper potesse fermarlo, lui saltò giù dalla scala mobile e corse verso un
grosso forno ovale che assomigliava a un barbecue sotto steroidi.
Quando lo raggiunsero, la principessa disse, “Hai buon giusto. Questo è l’H-2000,
progettato da Efesto in persona. Caldo abbastanza da fondere bronzo Celeste o oro
Imperiale.”
Jason indietreggiò come se riconoscesse il termine. “Oro Imperiale?”
La principessa annuì. “Sì, mio caro. Come quell’arma così abilmente nascosta nella
tua tasca. Per essere correttamente forgiato, l’oro Imperiale deve essere consacrato
nel Tempio di Giove sul Monte Capitolino a Roma. Un metallo molto potente e raro,
ma, come gli imperatori romani, molto incostante. Assicurati di non rompere mai
quella lama…” Sorrise in modo piacevole. “Roma fu dopo il mio periodo,
ovviamente, ma ascolto le storie. E ora, quaggiù – questo trono dorato è uno dei
miei oggetti di lusso più pregiati. Efesto lo creò come punizione per sua madre, Era.
Sedetevi la sopra e sarete immediatamente intrappolati.”
A quanto pare Leo lo prese come un ordine. Si avviò verso il trono in trance.
“Leo, non farlo!” avvertì Piper.
Luì sbatté le palpebre. “Quanto per tutti e due?”
“Oh, la sedia posso fartela avere per cinque grandi imprese. La fucina, sette anni di
schiavitù. E per solamente un po’ della tua forza –“ Guidò Leo nella sezione delle
apparecchiature elettroniche, dandogli i prezzi per i vari articoli.
Piper non voleva lasciarlo da solo con lei, ma doveva provare a ragionare con Jason.
Lo tirò da una parte e lo schiaffeggiò.
“Ow,” mormorò lui assonnato. “Per che cosa era?”
“Dacci un taglio!”sibilò Piper.
“Cosa vuoi dire?”
“Ti sta incantando. Non lo senti?”
Lui aggrottò le sopracciglia. “Sembra apposto.”
“Lei non è apposto! Non dovrebbe nemmeno essere viva! Era sposata con Jason –
l’altro Jason – tremila anni fa. Ricordi cosa ha detto Borea – una cosa riguardo le
anime che non erano più confinate ad Ade? Non sono solo i mostri che non
rimangono più morti. Lei è tornata dall’Oltretomba!”
Jason scosse la testa a disagio. “Non è un fantasma.”
“No, è peggio! Lei è –“
“Figlioli.” La principessa era tornata con Leo. “Se permettete, ora vedremo quello
per cui siete venuti. E’ quello che volete, sì?”
Piper dovette trattenere un urlo. Era tentata di tirare fuori il suo pugnale e pensare
lei stessa a quella strega, ma non le piacevano le sue prospettive – non nel bel
mezzo del grande magazzino di Sua Altezza mentre i suoi amici erano sotto
incantesimo. Piper non poteva nemmeno essere sicura che sarebbero stati dalla sua
parte. Doveva pensare a un piano migliore.
Presero le scale mobili scendendo fino alla base della fontana. Per la prima volta,
Piper notò due grosse meridiane di bronzo – ognuna grande circa come un tappeto
elastico – inserite nel pavimento di marmo piastrellato nella parte nord e sud della
fontana. Le gabbie dorate da uccelli extralarge si trovavano sul lato est e ovest, e
quella più lontana conteneva gli spiriti. Erano ammassati così stretti, tutti a vorticare
come un tornado super concentrato, che Piper non riusciva a dire quanti fossero –
qualche dozzina, come minimo.
“Hey,” disse Leo, “Coach Hedge sembra okay!”
Corsero verso la gabbia più vicina. Il vecchio satiro sembrava essere stato pietrificato
nell’istante in cui era stato risucchiato nel cielo copra il Grand Canyon. Era congelato
nell’atto di urlare, la clava sollevata sulla testa come se stesse ordinando alla classe
della palestra di mettersi a terra e fare cinquanta flessioni. I suoi capelli ricci erano
sollevati con strane angolazioni. Se Piper si concentrava solamente su certi dettagli –
la polo arancio accesa, il pizzetto sottile, il fischietto attorno al collo – poteva
immaginarsi Coach Hedge come il vecchio irritante se stesso. Ma era difficile
ignorare le corte corna sulla sua testa, e il fatto che avesse pelose gambe da capra e
zoccoli invece della tuta e delle scarpe della Nike.
“Sì,” disse la principessa. “Tengo sempre la mia merce in buono stato. Possiamo
senza dubbio contrattare per gli spiriti e il satiro. Un accordo per un pacchetto. Se
veniamo a patti, includerò persino la fiala con la pozione curativa, e potrete andare
in pace.” Lanciò a Piper un’occhiata furba. “E’ meglio che partire con un malinteso,
non è vero, cara?”
Non fidarti, la avvertì una voce nella sua testa. Se Piper aveva ragione circa l’identità
di quella donna, nessuno se ne sarebbe andato in pace. Un giusto accordo non era
possibile. Era tutto un trucco. Ma i suoi amici la stavano guardando, annuendo con
urgenza e mimando con la bocca, Dì di sì! Piper aveva bisogno di più tempo per
pensare.
“Possiamo negoziare,” disse.
“Assolutamente!” concordò Leo. “Dicci il tuo prezzo.”
“Leo!” scattò Piper.
La principessa ridacchiò. “Dire il mio prezzo? Forse non la miglior strategia da
contrattazione, ragazzo mio, ma almeno riconosci il valore di una cosa. La libertà ha
infatti molto valore. Mi chiedereste di liberare questo satiro, che ha attaccato i miei
spiriti dei venti –“
“Che hanno attaccato noi,” si intromise Piper.
Sua Altezza scrollò le spalle. “Come ho detto, la mia padrona mi chiede dei piccoli
favori di tanto in tanto. Mandare gli spiriti delle tempeste a rapirvi – quello era uno
di questi. Vi assicuro che non era nulla di personale. E nessuno si è fatto male, visto
che alla fine siete venuti qui di vostra libera volontà! Ad ogni modo, voi volete che il
satiro venga liberato, e volete i miei spiriti – che sono dei servi molto preziosi, tanto
per aggiungere – così che possiate donargli a quel tiranno di Eolo. Non sembra
molto giusto, non è vero? Il prezzo sarà alto.”
Piper poteva vedere che i suoi amici erano pronti a offrire qualsiasi cosa, promettere
qualsiasi cosa. Prima che potessero parlare, giocò la sua ultima carta.
“Tu sei Medea,” disse. “Hai aiutato il Jason originale a rubare il Vello d’Oro. Sei una
dei cattivi più malvagi della mitologia greca. Jason, Leo – non fidatevi di lei.”
Piper mise in quelle parole tutta la forza che riuscì a raccogliere. Fu totalmente
sincera, e ciò sembrò avere qualche effetto. Jason si allontanò dalla maga.
Leo si grattò la testa e si guardò intorno come se stesse uscendo da un sogno.
“Cosa stiamo facendo?”
“Ragazzi!” La principessa allargò le mani in un gesto accogliente. I suoi gioielli di
diamanti luccicarono, e le sue dita smaltate si curvarono come degli artigli macchiati
di sangue. “E’ vero, sono Medea. Ma sono così incompresa. Oh, Piper, mia cara, tu
non sai come era essere una donna ai vecchi tempi. Non avevamo potere, nessuna
influenza. Spesso non potevamo nemmeno scegliere i nostri stessi mariti. Ma io ero
diversa. Ho scelto il mio stesso destino diventando una maga. E’ così sbagliato? Feci
un patto con Jason: il mio aiuto per ottenere il vello in cambio del suo amore. Un
accordo leale. Lui è diventato un eroe famoso! Senza di me, sarebbe morto da
sconosciuto sulle rive di Colchide.”
Jason – il Jason di Piper – aggrottò le sopracciglia. “Allora… lei è veramente morta
tremila anni fa? Lei è tornata dall’Oltretomba?”
“La morte non mi trattiene più, giovane eroe,” disse Medea. “Grazie alla mia
padrona, sono di nuovo carne e ossa.”
“Lei si è… riformata?” Leo sbatté le palpebre. “Come un mostro?”
Medea stese le dita e dalle unghie sibilò del vapore, come acqua lanciata sul ferro
caldo. “Non avete idea di quello sta accendendo, non è vero? E’ molto peggio di un
risveglio di mostri dal Tartaro. La mia padrona sa che giganti e mostri non sono i suoi
servi migliori. Io sono mortale. Imparo dai miei errori. E ora che sono ritornata nel
mondo dei vivi non verrò ingannata di nuovo. Ora, questo è il mio prezzo per quello
che chiedete.”
“Ragazzi,” disse Piper. “Il Jason originale lasciò Medea perché lei era pazza e
assetata di sangue.”
“Menzogne!” disse Medea.
“Nel viaggio via da Colchide, la nave di Jason attraccò in un altro regno, e Jason
acconsentì a scaricare Medea e a sposare la figlia del re.”
“Dopo che gli avevo dato due figli!” disse Medea. “Nonostante ciò spezzò la sua
promessa! Vi domando, è stato giusto?”
Jason e Leo scossero le teste in modo deferente, ma Piper non aveva finito.
“Potrebbe non essere stato giusto,” disse, “ma non lo è stata nemmeno la vendetta
di Medea. Lei assassinò i suoi stessi figli per farla pagare a Jason. Avvelenò la sua
nuova moglie e lasciò il regno.”
Medea ringhiò. “Un’invenzione per rovinare la mia reputazione! Il popolo di Corinto
– quella folla indisciplinata – uccise i miei figli e mi cacciò via. Jason non fece nulla
per proteggermi. Mi derubò di ogni cosa. Quindi, sì, io m’intrufolai nel palazzo e
avvelenai la sua nuova incantevole moglie. E’ stato giusto – un prezzo appropriato.”
“Lei è matta,” disse Piper.
“Io sono la vittima!” gemette Medea. “Sono morta con i sogni infranti, ma ora non
più. Ora so che non devo fidarmi degli eroi. Quando verranno a chiedere tesori,
pagheranno un prezzo salato. Soprattutto quando colui che sta chiedendo porta il
nome di Jason!”
La fontana divenne rosso acceso. Piper sguainò il suo pugnale, ma le mani le
tremavano quasi troppo per tenerlo. “Jason, Leo – è il momento di andare. Ora.”
“Prima di aver chiuso l’affare?” chiese Medea. “Che ne sarà della vostra impresa,
ragazzi? E il mio prezzo è così semplice. Sapevate che questa fontana è magica? Se
un uomo morto viene buttato là dentro, anche se fosse stato fatto a pezzi,
riapparirebbe totalmente riformato – più forte e più potente che mai.”
“Davvero?” chiese Leo.
“Leo, sta mentendo,” disse Piper. “Ha usato lo stesso trucco con qualcun altro prima
d’ora – un re, mi sembra. Convinse le sue figlie ha farlo a pezzi così lui sarebbe
potuto uscire dall’acqua di nuovo giovane e forte, ma ciò lo uccise e basta!”
“Ridicolo,” disse Medea e Piper poteva sentire la forza caricata in ogni sillaba. “Leo,
Jason – il mio prezzo è così semplice. Perché voi due non combattete? Se venite
feriti, o persino uccisi, non c’è problema. Vi butteremo semplicemente nella fontana
e starete meglio che mai. Voi volete combattere, non è vero? Avete rancore l’uno
per l’altro!”
“Ragazzi, no!” disse Piper. Ma loro si stavano già guardando con sguardi feroci,
come se si stessero appena rendendo conto di come si sentivano davvero.
Piper non si era mai sentita più disperata. Ora capiva cos’era la vera stregoneria.
Aveva sempre pensato che la magia consistesse in bacchette e palle di fuoco, ma
questo era peggio. Medea non faceva solo uso di veleni e pozioni. La sua arma più
potente era la sua voce.
Leo si accigliò. “Jason è sempre la stella. Riceve sempre tutte le attenzioni e mi da
per scontato.”
“Tu sei irritante, Leo,” disse Jason. “Non prendi mai nulla seriamente. Non sai
nemmeno aggiustare un drago.”
“Smettetela!” implorò Piper, ma sguainarono entrambi le armi – Jason la sua spada
d’oro, e Leo un martello dalla sua cintura degli attrezzi.
“Lasciali andare, Piper,” la incoraggiò Medea. “Ti sto facendo un favore. Lascia che
succeda ora, e renderà le tue decisioni molto più semplici. Encelado sarà
soddisfatto. Potresti riavere tuo padre indietro oggi stesso!”
L’incantesimo verbale di Medea non funzionava su di lei, ma la maga aveva
comunque una voce persuasiva. Suo padre indietro oggi stesso? Malgrado le sue
migliori intenzioni, Piper lo voleva. Desiderava così tanto suo padre che faceva male.
“Lavori per Encelado,” disse.
Medea rise. “Servire un gigante? No. Ma noi serviamo tutti la stessa causa più
grande – una padrona che non potete iniziare a sfidare. Va via, figlia di Afrodite.
Questa non deve essere anche la tua morte. Salvati, e tuo padre potrà essere
liberato.”
Leo e Jason si stavano ancora fronteggiando, pronti a combattere, ma sembravano
malfermi e confusi – in attesa di un altro ordine. Una parte di loro stava resistendo,
sperò Piper. Quello andava completamente contro la loro natura.
“Ascoltami, ragazza.” Medea strappò un diamante dal suo bracciale e lo lanciò in
uno schizzo d’acqua della fontana. Mentre passava attraverso la luce multicolore,
Medea disse, “O, Iris, dea degli arcobaleni, mostrami l’ufficio di Tristan McLean.”
La nebbia scintillò, e Piper vide lo studio di suo padre. Seduta dietro la sua scrivania,
intenta a parlare al telefono, c’era l’assistente di suo padre, Jane, con il suo
completo da lavoro nero e i capelli legati in uno stretto chignon.
“Ciao, Jane,” disse Medea.
Jane riattaccò tranquillamente il telefono. “Come posso aiutarla, signora? Ciao,
Piper.”
“Tu –“ Piper era così arrabbiata che riusciva a malapena a parlare.
“Sì, figliola,” disse Medea. “L’assistente di tuo padre. Piuttosto facile da manipolare.
Una mente organizzata per essere una mortale, ma incredibilmente debole.”
“Grazie, signora,” disse Jane.
“Non c’è di che,” disse Medea. “Volevo solo congratularmi con te, Jane. Riuscire a
far lasciare la città al Signor McLean così all’improvviso, portare il suo jet a Oakland
senza far allertare la stampa o la polizia – ben fatto! Nessuno sembra sapere dov’è
andato. E dirgli che la vita di sua figlia era in pericolo – quello è stato un tocco carino
per ottenere la sua collaborazione.”
“Sì,” annuì Jane con un tono blando, come se fosse sonnambula. “E’ stato molto
cooperativo quando ha creduto che Piper era in pericolo.”
Piper abbassò lo sguardo sul suo pugnale. La spada tremò nella sua mano. Non era
in grado di usarlo come arma meglio di quanto era in grado Elena di Troia, ma era
sempre uno specchio, e quello che ci vide dentro fu una ragazza spaventata senza
nessuna possibilità di vincere.
“Avrei nuovi ordini per te, Jane,” disse Medea. “Se la ragazza collabora, potrebbe
essere ora per il Signor McLean di tornare a casa. Potresti provvedere a una storia di
copertura adatta per la sua assenza, giusto in caso di necessità? E immagino che il
pover’uomo avrà bisogno di un po’ di tempo in un ospedale psichiatrico.”
“Sì, signora. Sono a disposizione.”
L’immagine svanì, e Medea si voltò verso Piper. “Ecco, vedi?”
“Hai adescato mio padre in una trappola,” disse Piper. “Hai aiutato il gigante –“
“Oh, per favore, cara. Te ne farai una ragione! Mi sto preparando per questa guerra
da anni, persino prima che fossi riportata in vita. Sono una veggente, come ho detto.
Posso prevedere il futuro bene come il vostro piccolo Oracolo. Anni fa, ancora
sofferente nei Campi della Punizione, ho avuto una visione dei sette della vostra così
chiamata Grande Profezia. Ho visto il tuo amico qui, Leo, e ho visto che sarà un
nemico importante un giorno. Ho agitato la coscienza della mia padrona, le ho dato
questa informazione e lei è riuscita a svegliarsi giusto un po’ – abbastanza per fargli
visita.”
“La madre di Leo,” disse Piper. “Leo, ascolta questo! Lei ha aiutato a far uccidere tua
madre!”
“Uh-huh,” biascicò Leo intontito. Aggrottò le sopracciglia verso il suo martello.
“Quindi… attacco Jason? Va bene?”
“Assolutamente sicuro,” assicurò Medea. “E, Jason, colpiscilo forte. Dimostrami che
sei degno di portare quel nome.”
“No!” ordinò Piper. Sapeva che era la sua ultima possibilità. “Jason, Leo – vi sta
ingannando. Mettete giù le armi.”
La maga mandò gli occhi al cielo. “Ti prego, ragazza. Non sei alla mia altezza. Sono
stata addestrata da mia zia, l’immortale Circe. Sono in grado di far impazzire gli
uomini o guarirgli con la mia voce. Che speranza hanno questi deboli giovani eroi
hanno contro di me? Ora, ragazzi, uccidetevi!”
“Jason, Leo, ascoltatemi.” Piper incanalò tutte le sue emozioni nella sua voce. Per
anni aveva cercato di controllarsi e di non mostrare debolezze, ma ora versò tutto
nelle sue parole – la paura, la disperazione, la rabbia. Sapeva che probabilmente
stava firmando la condanna a morte di suo padre, ma teneva troppo ai suoi amici
per permettergli di ferirsi a vicenda. “Medea vi sta incantando. E’ parte della sua
magia. Voi siete migliori amici. Non combattete contro voi stessi. Combattete lei!”
Esitarono, e Piper poté avvertire l’incantesimo che si spezzava.
Jason sbatté le palpebre. “Leo, stavo per pugnalarti?”
“Qualcosa riguardo mia madre…?” Leo aggrottò le sopracciglia, poi si girò verso
Medea. “Lei… lei lavora per la Donna di Terra. Lei l’ha mandata all’officina.” Sollevò
le braccia. “Signora, ho un martello da un chilo con il suo nome scritto sopra.”
“Bah!” sogghignò Medea. “Riscuoterò il mio pagamento in un altro modo.”
Spinse una delle piastrelle di mosaico sul pavimento, e l’edificio rombò. Jason sferzò
la spada verso Medea, ma questa si dissolse in fumo e ricomparve alla base delle
scale mobili.
“Sei lento, eroe!” rise lei. “Riversa la tua frustrazione sui miei animali!”
Prima che Jason potesse inseguirla, le giganti meridiane di bronzo ai due lati della
fontana scivolarono di lato. Due bestie dorate ringhianti – draghi alati in carne e
ossa – strisciarono fuori dalle cucce sottostanti. Ognuno dei due era grossi come un
camper, forse non grandi paragonati a Festus, ma grandi abbastanza.
“Ecco allora cosa c’era nei canili,” disse Leo in modo mite.
I draghi spalancarono le ali e sibilarono. Piper poteva avvertire il calore proveniente
dalla loro pelle luccicante. Uno spostò i feroci occhi arancioni su di lei.
“Non guardateli negli occhi!” avvertì Jason. “Vi paralizzano.”
“Giusto!” Medea stava tranquillamente salendo con le scale mobili, appoggiandosi al
corrimano mentre si godeva lo spettacolo. “Questi due piccoli sono stati con me per
molto tempo – draghi solari, sapete, un regalo da mio nonno Elio. Trainavano il mio
carro quando ho lasciato Corinto, e ora saranno la vostra distruzione. Ta-ta!”
I draghi si lanciarono in avanti. Leo e Jason caricarono per intercettargli. Piper era
stupefatta da come i ragazzi attaccarono intrepidamente – lavorando come una
squadra che si era addestrata insieme per anni.
Medea aveva quasi raggiunto il secondo piano, dove sarebbe stata in grado di
scegliere tra un ampio assortimento di marchingegni mortai.
“Oh no, non lo farai,” ringhiò Piper, e si precipitò dietro di lei.
Quando Medea scorse Piper, cominciò a salire di fretta. Era veloce per una signora
di tremila anni. Piper salì le scale al massimo della velocità, facendo tre scalini alla
volta, e non riusciva comunque a raggiungerla. Medea non si fermò al secondo
piano. Saltò sulla scala mobile successiva e continuò a salire.
Le pozioni, pensò Piper. Era quello ovviamente ciò che avrebbe cercato. Lei era
famosa per le pozioni.
Al piano di sotto, Piper sentiva la battaglia che imperversava. Leo stava soffiando nel
suo fischietto d’emergenza, e Jason stava urlando per continuare ad attirare
l’attenzione dei draghi. Piper non osò guardare – non mentre stava correndo con un
pugnale in mano. Poteva immaginarsi lei stessa che inciampava e che si pugnalava
da sola nel naso. Quello sarebbe stato super eroico.
Afferrò uno scudo da un manichino armato al terzo piano e continuò a salire.
Immaginò Coach Hedge che le urlava in testa, proprio come faceva a lezione di
educazione fisica alla Wilderness School: Muoviti, McLean! Quella la chiami una
salita di scale mobili?
Raggiunse il piano superiore, respirando pesantemente, ma era arrivata troppo
tardi. Medea aveva raggiunto lo scaffale delle pozioni.
La maga afferrò una fiala a forma di cigno – quella blu che causava una morte
dolorosa – e Piper fece l’unica cosa che le venne in mente. Lanciò il suo scudo.
Medea si voltò trionfante appena in tempo per essere colpita al petto da un frisbee
di metallo di venti chili. Inciampò all’indietro, scontrandosi con l’espositore,
infrangendo le fiale e buttando giù gli scaffali. Quando la maga si sollevò dalle
macerie, il suo vestito era macchiato da una dozzina di colori diversi. Molte delle
macchie stavano fumando e brillando.
“Sciocca!” gemette Medea. “Hai un’idea di cosa fanno così tante pozioni quando
vengono mischiate?”
“Ti uccideranno?” disse Piper speranzosa.
Il tappeto intorno ai piedi di Medea cominciò a fumare. Lei tossì, e il suo volto si
contorse dal dolore – o stava fingendo?
Di sotto, Leo chiamò, “Jason, aiuto!”
Piper azzardò un’occhiata veloce, e per poco non singhiozzò dalla disperazione. Uno
dei draghi aveva inchiodato Leo al pavimento. Stava scoprendo le zanne, pronto a
colpire. Jason stava dall’altra parte della stanza, intento a combattere l’altro drago,
troppo lontano per aiutare.
“Ci hai condannati tutti!” urlò Medea. Del fumo si stava alzando dal tappeto mentre
la macchia si allargava, lanciando scintille e mandando a fuoco gli scaffali di
magliette. “Ci restano solo dei secondi prima che questa miscela consumi tutto e
distrugga l’edificio. Non c’è tempo -“
CRASH! Il soffitto a vetrata si frantumò in una pioggia di frammenti multicolore, e il
drago di bronzo Festus apparve nel grande magazzino.
Si lanciò nella mischia, afferrando un drago solare in ciascun artiglio. Solo in quel
momento Piper apprezzò davvero quanto fosse grosso e forte il loro amico di
metallo.
“Questo è il mio ragazzo!” urlò Leo.
Festus volò fino al centro dell’atrio, poi scagliò i draghi solari nelle cucce dalle quali
erano venuti. Leo corse alla fontana e schiacciò la piastrella di marmo, chiudendo le
meridiane.
Queste tremarono mentre i draghi ci si lanciavano contro, cercando di uscire, ma
per il momento erano imprigionati.
Medea imprecò in qualche lingua antica. Ora l’intero quarto piano era in fiamme.
L’aria si riempì di gas nocivi. Persino con il tetto aperto, Piper poté sentire il calore
che si intensificava. Indietreggiò fino al brodo della ringhiera, tenendo il pugnale
puntato verso Medea.
“Non sarò abbandonata di nuovo!” La maga si inginocchiò e afferrò la pozione
curativa rossa, che in qualche modo era sopravvissuta al crollo. “Vuoi che la
memoria del tuo ragazzo venga guarita? Portami con voi!”
Piper lanciò un’occhiata alle sue spalle. Leo e Jason erano sulla groppa di Festus. Il
drago di bronzo sbatté le sue potenti ali, afferrò le due gabbie con il satiro e gli
spiriti delle tempeste con le zampe, e cominciò a salire.
L’edifico rombò. Fuoco e fumo si alzavano lungo le pareti, fondendo le ringhiere,
trasformando l’aria in acido.
“Non sopravviverete mai alla vostra impresa senza di me!” ringhiò Medea. “Il tuo
ragazzo eroe rimarrà per sempre ignorante, e tuo padre morirà. Portami con voi!”
Per un instante, Piper fu tentata. Poi vide il sorriso feroce di Medea. La maga aveva
fiducia nel suo potere di persuasione, sicura di poter sempre fare un accordo, di
poter sempre scappare e vincere alla fine.
“Non oggi, strega.” Piper saltò oltre il bordo. Precipitò solo per un secondo prima
che Leo e Jason la afferrassero, issandola a bordo del drago.
Udì Medea urlare di rabbia mentre loro si alzavano in volo attraverso il tetto
distrutto e sopra il centro di Chicago. Poi il grande magazzino esplose dietro di loro.
29
LEO
Leo continuava a guardarsi indietro. Si aspettava di vedere quegli orribili draghi
solari trainare un carro volante con un’urlante commessa magica che lanciava
pozioni, ma non gli seguì nessuno.
Diresse il drago in direzione sud-ovest. Alla fine, il fumo del grande magazzino in
fiamme si dissolse in lontananza, ma Leo non si rilassò finché la periferia di Chicago
lasciò il posto a campi innevati e il sole cominciò a tramontare.
“Bel lavoro, Festus.” Diede delle pacche sulla pelle di metallo del drago. “Sei stato
fantastico.”
Il drago fremette. Degli ingranaggi nel collo schioccarono e scattarono.
Leo si accigliò. Non gli piacevano quei rumori. Se il disco di controllo si stava
nuovamente gustando – No, con un po’ di fortuna era solo qualcosa di piccolo.
Qualcosa che poteva aggiustare.
“Ti darò un’occhiata la prossima volta che atterriamo,” promise Leo. “Ti sei
guadagnato dell’olio per motori e salsa tabasco.”
Festus fece frullare i denti, ma persino quello suonò debole. Volava con un passo
costante, le grandi ali che si inclinavano per catturare il vento, ma stava
trasportando un carico pensate. Due gabbie nelle zampe, più tre persone sulla
schiena – più Leo ci pensava, più si preoccupava. Persino i draghi di metallo avevano
dei limiti.
“Leo.” Piper gli accarezzò la spalla. “Stai bene?”
“Sì… non male per uno zombie che ha subito un lavaggio del cervello.” Sperò di non
sembrare tanto imbarazzato quanto si sentiva. “Grazie per averci salvato laggiù,
reginetta di bellezza. Se non mi avessi fatto uscire da quell’incantesimo –“
“Non ci pensare,” disse Piper.
Ma Leo ci pensava un sacco. Si sentiva malissimo per quanto facilmente Medea
fosse riuscita a metterlo contro il suo migliore amico. E quei sentimenti non erano
venuti dal nulla – il suo risentimento per il modo in qui Jason era sempre sotto i
riflettori e non sembrava avere davvero bisogno di lui. Leo si sentiva così a volte,
anche se non ne andava fiero.
Quello che lo preoccupava di più erano le novità su sua madre. Medea aveva visto il
futuro nell’Oltretomba. Era per quello che la sua padrona, la donna con i vestiti di
terra neri, era venuta all’officina sette anni prima per spaventarlo, rovinandogli la
vita. Era per quello che sua madre era morta – per qualcosa che Leo avrebbe potuto
fare un giorno. Quindi, in un modo strano, anche se i suoi poteri del fuoco non erano
responsabili, la morte di sua madre era comunque colpa sua.
Quando avevano lasciato Medea nel negozio in esplosione, Leo si era sentito un po’
troppo bene. Sperava che la maga non se la cavasse, e che sarebbe tornata dritta nei
Campi della Punizione, dove apparteneva. Anche quei sentimenti non lo rendevano
fiero.
E se le anime stavano tornando indietro dall’Oltretomba… era possibile che la madre
di Leo potesse essere riportata indietro?
Cercò di mettere da parte l’idea. Quelli erano pensieri da Frankenstein. Non era
normale. Non era giusto. Medea poteva essere stata riportata in vita, ma non
sembrava perfettamente umana, con le unghie sibilanti e la testa che brillava e tutte
quelle cose.
No, la madre di Leo era andata via. Pensarla in qualsiasi altro modo lo avrebbe solo
fatto impazzire. Nonostante ciò, il pensiero continuava a tormentarlo, come un eco
della voce di Medea.
“Dovremo atterrare presto,” avvertì i suoi amici. “Ancora un paio d’ore, magari, per
assicurarci che Medea non ci stia seguendo. Non credo che Festus possa volare più
di quello.”
“Sì,” annuì Piper. “Inoltre Coach Hedge vorrà probabilmente uscire dalla sua gabbia
per uccelli. La domanda è – dove stiamo andando?”
“La Bay Area,” indovinò Leo. I suoi ricordi del grande magazzino erano confusi, ma
gli sembrava di ricordare di aver sentito quello. “Medea non ha detto qualcosa
riguardo Oakland?”
Piper non rispose per così tanto tempo, che Leo si chiese se avesse detto qualcosa di
sbagliato.
“Il padre di Piper,” intervenne Jason. “E’ successo qualcosa a tuo padre, vero? E’
stato adescato in qualche trappola.”
Piper fece un respiro tremante. “Sentite, Medea ha detto che sareste morti
entrambi alla Bay Area. E inoltre… anche se andassimo là, la Bay Area è enorme!
Prima dobbiamo trovare Eolo e consegnare gli spiriti delle tempeste. Borea ha detto
che Eolo è l’unico che può dirci esattamente dove andare.”
Leo grugnì. “Allora come troviamo Eolo?”
Jason si piegò in avanti. “Vuoi dire che non la vedete?” Indicò davanti a loro, ma Leo
non vide nulla a parte le nuvole e le luci di qualche città che brillavano nel
crepuscolo.
“Cosa?” chiese Leo.
“Quello… qualsiasi cosa sia,” disse Jason. “In aria.”
Leo lanciò un’occhiata alle sue spalle. Piper sembrava confusa quanto lui.
“Va bene,” disse Leo. “Potresti essere più specifico sulla parte del “qualsiasi-cosasia””?
“Come una scia di vapore,” disse Jason. “A parte il fatto che sta brillando. Davvero
fioca, ma è senza dubbio là. La stiamo seguendo da Chicago, quindi pensavo che la
vedessi.”
Leo scosse la testa. “Forse Festus può percepirla. Credi che l’abbia fatta Eolo?”
“Bè, è una scia magica nel vento,” disse Jason. “Eolo è il dio del vento. Credo che
sappia che abbiamo dei prigionieri per lui. Ci sta dicendo dove volare.”
“O si tratta di un’altra trappola,” disse Piper.
Il suo tono preoccupò Leo. Non sembrava semplicemente nervosa. Sembrava
oppressa dalla disperazione, come se avessero già firmato il loro destino e ciò fosse
colpa sua.
“Pipes, va tutto bene?” chiese.
“Non chiamarmi in quel modo.”
“Okay, va bene. Non ti piace nessuno dei nomi che ti ho dato. Ma se tuo padre è nei
guai e noi possiamo aiutare –“
“Non potete,” disse, con la voce che si faceva più tremante. “Sentite, sono stanca.
Se non vi dispiace…”
Si piegò all’indietro contro Jason e chiuse gli occhi.
Va bene, pensò Leo – un segnale piuttosto chiaro del fatto che non vuole parlare.
Volarono in silenzio per un po’. Festus sembrava sapere dove stava andando.
Mantenne la sua traiettoria, curvando gentilmente verso sud-ovest e, si sperava,
verso la fortezza di Eolo.
Un altro dio del vento a cui fare vista, tutto un nuovo livello di pazzia – Oh ragazzi,
Leo non vedeva l’ora.
Aveva davvero troppo per la testa per dormire, ma ora che era fuori pericolo, il suo
corpo aveva delle idee diverse. Il suo livello di energia stava crollando. Il monotono
battito delle ali del drago gli appesantiva gli occhi. La sua testa cominciò a
dondolare.
“Dormi un po’,” disse Jason. “Va bene. Passami le redini.”
“Nah, sto bene –“
“Leo,” disse Jason, “non sei una macchina. Inoltre, io sono l’unico in grado di vedere
la scia di vapore. Mi assicurerò che rimaniamo in carreggiata,”
Gli occhi di Leo cominciarono a chiudersi da soli. “Va bene. Magari solo…”
Non finì la frase prima di crollare in avanti contro il collo caldo del drago.
Nel sogno, sentì una voce piena di interferenze, come una stazione radio con una
cattiva ricezione: “Salve? Questa cosa sta funzionando?”
La vista di Leo si mise a fuoco – più o meno. Era tutto indistinto e grigio, con delle
bande di interferenza che gli attraversavano il campo visivo. Non aveva mai sognato
con una connessione cattiva prima d’ora.
Sembrava essere in un’officina. Con la coda dell’occhio vide dei banconi con seghe
elettriche, torchi e gabbie per gli attrezzi. Una fucina brillava allegramente contro
una parete.
Non era la fucina del campo – troppo grande. Nemmeno il Bunker 9 – troppo caldo e
confortevole, ovviamente non abbandonato.
Poi Leo si accorse che qualcosa gli stava bloccando la vista centrale – qualcosa di
grande e coperto di fuliggine, e così vicino che Leo dovette incrociare gli occhi per
vederlo bene. Si trattava di una grossa faccia ripugnante.
“Madre santa!” strillò.
La faccia si fece indietro e si mise a fuoco. A fissarlo dall’alto c’era un uomo barbuto
con una sporca tuta blu. Il suo volto era informe e ricoperto di lividi, come se fosse
stato punto da un milione di api, o trascinato di faccia sulla ghiaia. Probabilmente
entrambe le cose.
“Puh!” disse l’uomo. “Padre santo, ragazzo. Credevo che sapessi la differenza.”
Leo sbatté le palpebre. “Efesto?”
Essendo per la prima volta in presenza di suo padre, Leo avrebbe probabilmente
dovuto essere senza parole o pieno di soggezione o qualcosa del genere. Ma dopo
quello che aveva passato negli ultimi due giorni, con Ciclopi e maghe e una faccia
negli scarichi dei gabinetti, tutto quello che Leo provava era un’ondata di completa
seccatura.
“Ti presenti ora?” chiese. “Dopo quindici anni? Grande senso paterno, Faccia di Peli.
Da dove vieni per ficcare il tuo orribile naso nei miei sogni?”
Il dio sollevò un sopracciglio. Una piccola scintilla gli prese fuoco nella barba. Poi
buttò la testa all’indietro e rise così forte che gli attrezzi sui tavoli da lavoro
tintinnarono.
“Sei proprio come tua madre,” disse Efesto. “Mi manca Esperanza.”
“E’ morta da sette anni.” La voce di Leo tremò. “Non che te ne importi qualcosa.”
“Ma a me importa, ragazzo. Di tutti e due.”
“Uh-huh. Il che è il motivo per il quale non ti ho mai visto fino a oggi?”
Il dio produsse un brontolio con la gola, ma sembrava più a disagio che arrabbiato.
Tirò fuori dalla tasca un motore in miniatura e cominciò a giocherellare
assentemente con i pistoni – proprio come faceva Leo quando era nervoso.
“Non sono bravo con i bambini,” ammise il dio. “O con le persone. Bè, in realtà con
qualsiasi forma di vita organica. Avevo pensato di parlarti al funerale di tua madre.
Poi di nuovo quando eri in quinta elementare… quel progetto di scienze che avevi
fatto, quella catapulta per galline a vapore. Davvero impressionante.”
“L’hai vista?”
Efesto indicò il tavolo da lavoro più vicino, dove uno splendente specchio di bronzo
mostrava un’immagine confusa di Leo addormentato sulla schiena del drago.
“Quello sono io?” chiese Leo. “Tipo – io in questo momento, che sto facendo questo
sogno – guardandomi che sogno?”
Efesto si grattò la barba. “Ora mi hai confuso. Ma sì – sei te. Ti tengo sempre
d’occhio Leo. Ma parlare con te è, um…diverso.”
“Hai paura,” disse Leo.
“Ingranaggi e guarnizioni!” urlò il dio. “Certo che no!”
“Sì, hai paura.” Ma la rabbia di Leo scivolò via. Aveva passato anni a pensare a quello
che avrebbe detto a suo padre se si fossero mai incontrati – come lo avrebbe
conciato per le feste per essere stato assente. Ora, guardando quello specchio di
bronzo, Leo pensò a suo padre che osservava i suoi progressi negli anni, persino il
suo stupido esperimento di scienze.
Magari Efesto restava comunque un’idiota, ma Leo in un certo senso sapeva da dove
veniva. Leo sapeva tutto sul fuggire dalle persone, sul non adattarsi. Sapeva cosa
voleva dire nascondersi in un’officina piuttosto che cercare di avere a che fare con
forme di vita organiche.
“Allora,” borbottò Leo, “tieni d’occhio tutti i tuoi figli? Ce ne hai tipo dodici al
campo. Come hai fatto – Non importa. Non voglio sapere.”
Efesto stava forse arrossendo, ma il volto era così malridotto e rosso, che era
difficile da dire. “Gli dei sono diversi dai mortali, ragazzo. Noi possiamo esistere in
molti posti allo stesso tempo – dovunque le persone ci invocano, ovunque la nostra
sfera di influenza è forte. Infatti, è raro che la nostra intera essenza sia mai tutta
insieme in un unico posto – la nostra vera forma. E’ pericoloso, abbastanza potente
da distruggere qualsiasi mortale che ci guardi. Quindi, sì… molti figli. Aggiungi a
quello i nostri diversi aspetti, Greci e Romani – “ Le dita del dio si bloccarono sul suo
motore. “Er, questo per dire, essere un dio è difficile. E, sì, cerco di tenere d’occhio
tutti i miei figli, ma soprattutto te.”
Leo era piuttosto sicuro che Efesto si fosse quasi commesso un errore e detto
qualcosa di importante, ma non era certo di cosa.
“Perché contattarmi ora?” chiese Leo. “Pensavo che gli dei avessero smesso di
parlarci.”
“E’ così,” disse Efesto irritato. “Ordini di Zeus – molto strani, persino per lui. Ha
bloccato tutte le visioni, i sogni e i messaggi Iris per e da l’Olimpo. Ermes è annoiato
da impazzire perché non può consegnare i messaggi. Fortunatamente, ho tenuto la
mia vecchia attrezzatura radio pirata.”
Efesto diede dei colpetti su un macchinario sul tavolo. Sembrava una combinazione
tra una parabola, un motore a sei cilindri e una macchina per il caffè. Ogni volta che
Efesto urtava il macchinario, il sogno di Leo tremolava e cambiava colore.
“L’ho usata durante la Guerra Fredda,” disse il dio teneramente. “Radio Libera
Efesto. Quelli erano bei tempi. L’ho tenuta soprattutto per i film acquistabili, o per
fare dei video virali –“
“Video virali?”
“Ma ora è tornata di nuovo utile. Se Zeus sapesse che ti sto contattando, me la
farebbe pagare cara.”
“Perché Zeus si sta comportando così da idiota?”
“Hrumph. E’ bravissimo in quello, ragazzo.” Efesto lo chiamava ragazzo come se Leo
fosse stato un irritante pezzo di macchinario – una rondella extra, magari, che non
aveva nessuno scopo chiaro, ma che Efesto non voleva buttare via per paura che un
giorno avrebbe potuto averne bisogno.
Non una cosa che ti scaldava esattamente il cuore. Ma era anche vero che Leo non
era certo di voler essere chiamato “figlio”. Lui non aveva intenzione di cominciare a
chiamare quel brutto, grosso tipo impacciato “Papà”.
Efesto si stufò del suo motore e se lo lanciò alle spalle. Prima che potesse colpire il
pavimento, gli spuntarono delle ali da elicottero e volò da solo nel cestino da
riciclaggio.
“E’ stata la seconda Guerra dei Titani, suppongo,” disse Efesto. “E’ quello che ha
agitato Zeus. Gli dei erano… bè, imbarazzati. Non credo che ci sia un altro modo per
dirlo.”
“Ma avete vinto,” disse Leo.
Il dio grugnì. “Abbiamo vinto perché i semidei del –“ esitò di nuovo, come se avesse
quasi detto qualcosa di sbagliato – “del Campo Mezzosangue hanno preso il
comando. Abbiamo vinto perché nostri figli hanno combattuto per noi le nostre
battaglie, in maniera più intelligente di come abbiamo fatto noi. Se avessimo
confidato sul piano di Zeus, saremmo tutti andati nel Tartaro combattendo il gigante
delle tempeste Tifone, e Crono avrebbe vinto. E’ già stato abbastanza brutto che i
mortali abbiano vinto la guerra per noi, ma poi quel giovane nuovo arrivato, Percy
Jackson –“
“Il ragazzo scomparso.”
“Hmph. Sì. Lui. Ha avuto il fegato di rifiutare la nostra offerta d’immortalità e dirci di
prestare più attenzione ai nostri figli. Er, senza offesa.”
“Oh, come potrei offendermi? Per favore, continua a ignorarmi.”
“Sei enormemente comprensivo…” Efesto si accigliò, poi sospirò in modo stanco.
“Quello era sarcasmo, non è vero? Le macchine non hanno sarcasmo, di solito. Ma,
come stavo dicendo, gli dei si sono sentiti umiliati, messi in ridicolo dai mortali.
All’inizio, ovviamente, eravamo riconoscenti. Ma dopo qualche mese quei
sentimenti si sono fatti amari. Noi siamo dei, dopotutto. Abbiamo bisogno di essere
ammirati, guardati come modelli, trattati con timore e ammirazione.”
“Anche se avete torto?”
“Soprattutto in quel caso! E avere Jackson che rifiuta il nostro dono, come se essere
mortale fosse in qualche modo meglio di essere un dio… bè, ciò ha irritato molto
Zeus. Ha deciso che fosse ormai tempo di tornare ai valori tradizionali. Gli dei
devono essere rispettati. I nostri figli devono essere visti e non visitati. L’Olimpo è
stato chiuso. Almeno quella era una parte delle sue ragioni. E, ovviamente, abbiamo
cominciato a sentire di cose brutte che si agitano sotto la terra.”
“Vuoi dire i giganti. I mostri che si riformano istantaneamente. I morti che risorgono.
Cosette così?”
“Esatto, ragazzo.” Efesto girò una maniglia sul suo apparecchio radio pirata. Il sogno
di Leo divenne a pieni colori, ma il volto del dio era un tale tumulto di escoriazioni
rosse e lividi gialli e neri che Lei sperò tornasse in bianco e nero.
“Zeus crede di poter invertire la corrente,” disse il dio, “placare la terra facendola
tornare a dormire fintanto che noi rimaniamo calmi. Nessuno di noi lo crede
davvero. E non ho problemi a dire che non siamo in forma per combattere un’altra
guerra. Siamo a malapena sopravvissuti ai Titani. Se stiamo ripetendo il vecchio
percorso, quello che viene dopo è persino peggio.”
“I giganti,” disse Lei, “Era ha detto che i semidei e gli dei devono unire le forze per
sconfiggergli. E’ vero?”
“Mmm. Detesto dover essere d’accordo con mia madre su qualsiasi cosa, ma sì.
Quei giganti sono tosti da uccidere, ragazzo. Sono di un ‘altra razza.”
“Razza? Gli fai sembrare dei cavalli da corsa.”
“Ha!” disse il dio. “Diciamo più come cani da battaglia. All’inizio di tutto, vedi, tutto
quello che fa parte della creazione veniva dagli stessi genitori – Gaia e Urano, la
Terra e il Cielo. Loro ebbero diversi gruppi di figli – i Titani, i Ciclopi Anziani e così via.
Poi Crono, il capo dei Titani – bè, probabilmente hai sentito di come ha fatto a pezzi
suo padre Urano con una falce e preso il controllo del mondo. Poi siamo arrivati noi
dei, figli dei Titani, e gli abbiamo sconfitti. Ma quella non è stata la fine della storia.
La terra portò un nuovo gruppo di figli, con l’eccezione che loro erano generati dal
Tartaro, lo spirito dell’abisso eterno – il luogo più oscuro e malvagio
dell’Oltretomba. Quei figli, i giganti, furono allevati per uno scopo – vendicarsi su di
noi per la caduta dei Titani. Sorsero per distruggere l’Olimpo, e ci andarono
tremendamente vicini.”
La barba di Efesto iniziò a fumare. Lui soffocò le fiamme con fare assente. “Quello
che la mia dannata madre sta facendo al momento – è una sciocca ficcanaso che sta
giocando a un gioco pericoloso, ma ha ragione su una cosa: voi semidei dovete
unirvi. Quello è l’unico modo per far aprire gli occhi a Zeus, per convincere gli dei
dell’Olimpo che devono accettare il vostro aiuto. E questo è l’unico modo per
sconfiggere quello che sta arrivando. Tu sei una parte importante di tutto ciò, Leo.”
Lo sguardo del dio sembrava molto distante. Leo si chiese se potesse davvero
dividersi in parti diverse – dove altro si trovava al momento? Magari la sua parte
Greca stava aggiustando una macchina o era a un appuntamento, mentre la sua
parte Romana stava guardando una partita di baseball e ordinando una pizza. Leo
cercò di immaginarsi come poteva essere avere personalità multiple. Sperava che
non fosse ereditario.
“Perché io?” chiese, e non appena lo disse, si riversarono più domande. “Perché
riconoscermi ora? Perché non quando avevo tredici anni, come avresti dovuto fare?
O avresti potuto riconoscermi quando avevo sette anni, prima che mia madre
morisse! Perché non mi hai trovato prima? Perché non mi hai avvertito di questo?”
Le mani di Leo andarono a fuoco.
Efesto lo guardò tristemente. “La parte più dura, ragazzo. Lasciare che i miei figli
percorrano il loro cammino. Interferire non funziona. Le Parche se ne assicurano.
Per quanto riguarda il riconoscimento, tu eri un caso speciale, ragazzo. La tempistica
doveva essere giusta. Non posso spiegarti molto di più, ma –“
Il sogno di Leo si fece indistinto. Solo per un attimo, si trasformò in una replica de La
Ruota della Fortuna. Poi Efesto tornò a fuoco.
“Accidenti,” disse. “Non posso parlare di più. Zeus sta avvertendo un sogno illegale.
Dopotutto, lui è il signore dell’aria, incluse le onde radio. Ascolta, ragazzo: tu hai un
ruolo. Il tuo amico Jason ha ragione – il fuoco è un dono, non una maledizione. Non
do quella benedizione a chiunque. Non sconfiggeranno mai i giganti senza di te, ben
che meno la padrona che servono. Lei è peggiore di qualsiasi dio o Titano.”
“Chi?” chiese Leo.
Efesto si accigliò, mentre la sua figura si faceva confusa. “Te l’ho detto. Sì, sono
piuttosto sicuro di avertelo detto. Stai solo attento: lungo la strada, perderai degli
amici e alcuni attrezzi di valore. Ma non è colpa tua, Leo. Nulla dura per sempre,
nemmeno le macchine migliori. E tutto può essere riutilizzato.”
“Cosa vuoi dire? Non mi piace come suona.”
“No, non dovrebbe piacerti.” Ora l’immagine di Efesto era a malapena visibile, solo
una macchia tra le frequenze statiche. “Stai solo attento a –“
Il sogno di Leo cambiò ne La Ruota della Fortuna proprio mentre la ruota si fermava
su BANCAROTTA e il pubblico esclamava, “Awww!”
30
LEO
Precipitarono nel buio in caduta libera, ancora sulla schiena del drago, ma la pelle di
Festus era fredda. I suoi occhi rubino erano appannati.
“Non ancora!” urlò Leo. “Non puoi cadere ancora!”
Era a malapena in grado di reggersi. Il vento gli pungeva gli occhi, ma riuscì ad aprire
il pannello sul collo del drago. Controllò gli interruttori. Strattonò i cavi. Le ali del
drago sbatterono una volta, ma Leo avvertì una zaffata di bronzo bruciato. Il sistema
di comando era sovraccarico. Festus non aveva la forza di continuare a volare, e Leo
non era in grado di arrivare al pannello di controllo principale sulla testa del drago –
non a mezz’aria. Sotto di loro vide le luci di una città – solo dei lampi nell’oscurità
mentre precipitavano in cerchio. Avevano solo qualche secondo prima di schiantarsi.
“Jason!” urlò. “Prendi Piper e vola via di qui!”
“Cosa?”
“Dobbiamo alleggerire il carico! Potrei essere in grado di riavviare Festus, ma sta
trasportando troppo peso!”
“E te?” gridò Piper. “Se non riesci a riavviarlo –“
“Starò bene,” urlò Leo. “Seguitemi a terra. Andate!”
Jason afferrò Piper intorno alla vita. Si slacciarono entrambi le imbracature, e in
lampo non c’erano più – sparati in aria.
“Ora,” disse Leo. “Solo io e te, Festus – e due gabbie pesanti. Puoi farcela ragazzo!”
Leo parlava al drago mentre lavorava, precipitando a velocità massima. Poteva
vedere le luci della città sottostanti che si facevano sempre più vicine. Evocò il fuoco
nella mano così da poter vedere quello che stava facendo, ma il vento continuava a
spegnerlo.
Tirò un cavo che pensava collegasse il centro nervoso del drago alla sua testa,
sperando in una piccola ripresa.
Festus gemette – con del metallo che cigolava all’interno del suo collo. I suoi occhi
brillarono debolmente di vita, e stese le ali. La loro caduta si trasformò in una
planata ripida.
“Bravo!” disse Leo. “Andiamo, ragazzone. Andiamo!”
Stavano volando ancora troppo velocemente, e la terra era troppo vicina. Leo aveva
bisogno di un posto dove atterrare – di corsa.
C’era un grosso fiume – no. Non adatto a un drago sputa fuoco. Non sarebbe mai
riuscito a tirare su Festus dal fondo se fosse affondato, soprattutto con delle
temperature gelide. Poi, sugli argini del fiume, Leo scorse una villa bianca con un
enorme prato innevato all’interno di un’alta recinzione di mattoni – come la
proprietà privata di qualche persona ricca, che stava brillando completamente di
luce. Una perfetta pista di atterraggio. Fece del suo meglio per guidare il drago in
quella direzione, e Festus sembrò ritornare in vita. Potevano farcela!
Poi andò tutto storto. Mentre si avvicinavano al prato, i riflettori sulla recinzione
puntarono su di loro, accecando Leo. Udì delle esplosioni come dei proiettili
traccianti, il suono del metallo che veniva ridotto in pezzi – e BOOM.
Leo svenne.
Quando riprese i sensi, Jason e Piper erano inclinati sopra di lui. Giaceva nella neve,
ricoperto di fango e grasso. Sputò un pezzo d’erba ghiacciata dalla bocca.
“Dove -“
“Rimani fermo.” Piper aveva le lacrime agli occhi. “Sei rotolato molto male quando –
quando Festus –“
“Lui dov’è?” Leo si mise seduto, ma sembrava che la testa gli stesse galleggiando.
Erano atterrati all’interno del giardino. Qualcosa era accaduto mentre ci stavano
entrando – una sparatoria?
“Seriamente, Leo,” disse Jason. “Potresti essere ferito. Non dovresti –“
Leo si mise in piedi. Poi vide il rottame. Festus doveva aver lasciato le grandi gabbie
da uccelli mentre passava sopra la recinzione, perché erano rotolate in diverse
direzioni ed erano atterrate di fianco, perfettamente intatte.
Festus non era stato così fortunato.
Il drago si era disintegrato. I suoi arti erano disseminati sul prato. La sua coda
pendeva dalla recinzione. La sezione principale del suo corpo aveva scavato una
trincea lungo il cortile della villa larga sei metri e lunga quindici prima di essere fatta
a pezzi. Quello che rimaneva della sua corazza era una pila carbonizzata e fumante
di ferraglie. Solo il suo collo e la sua testa erano in qualche modo intatte, posate su
una fila di cespugli di rose congelati come fosse un cuscino.
“No,” singhiozzò Leo. Corse verso la testa del drago e gli accarezzò il muso. Gli occhi
del drago guizzarono debolmente. Perdeva olio dall’orecchio.
“Non puoi andartene,” implorò Leo. “Tu sei la cosa migliore che abbia mai
aggiustato.”
La testa del drago fece ronzare i suoi ingranaggi, come se stesse facendo le fusa.
Jason e Piper gli stavano vicino, ma Leo mantenne lo sguardo fisso sul drago.
Ricordò quello che aveva detto Efesto: Non è colpa tua, Leo. Nulla dura per sempre,
nemmeno le macchine migliori.
Suo padre aveva cercato di avvertirlo.
“Non è giusto,” disse.
Il drago produsse degli schiocchi. Un lungo creak. Due click corti. Creak. Creak. Quasi
come uno schema… che stimolò un vecchio ricordo nella sua mente. Leo capì che
Festus stava cercando di dire qualcosa. Stava usando il codice Morse – proprio come
la madre gli aveva insegnato anni fa. Leo ascoltò con più attenzione, traducendo i
click in lettere: un semplice messaggio che si ripeteva ancora e ancora.
“Sì,” disse Leo. “Capisco. Lo farò. Te lo prometto.”
Gli occhi del drago di fecero scuri. Festus non c’era più.
Leo pianse. Non fu nemmeno imbarazzato. I suoi amici gli rimasero al fianco,
dandogli delle pacche sulle spalle, dicendo cose confortanti, ma il ronzio nelle
orecchie di Leo copriva le loro parole.
Alla fine Jason disse, “Mi dispiace così tanto, amico. Cosa hai promesso a Festus?”
Leo tirò su con il naso. Aprì il pannello della testa del drago, solo per esserne certo,
ma il disco di controllo era spaccato e bruciato al di là della possibilità di essere
riparato.
“Qualcosa che ha detto mio padre,” disse Leo. “Tutto può essere riutilizzato.”
“Tuo padre ti ha parlato?” chiese Jason. “Quando è stato?”
Leo non rispose. Lavorò sulle cerniere del collo del drago finché la testa non fu
staccata. Pesava circa quarantacinque chili, ma Leo riuscì a tenerla in braccio. Alzò lo
sguardo verso il cielo stellato e disse, “Riportalo al bunker, papà. Ti prego, finché
non sarò in grado di riutilizzarlo. Non ti ho mai chiesto nulla.”
Il vento si alzò, e la testa del drago fluttuò via dalle braccia di Leo come se non
pesasse nulla. Volò nel cielo e scomparve.
Piper lo guardò meravigliata. “Ti ha risposto?”
“Ho fatto un sogno,” riuscì a dire Leo. “Vi racconto dopo.”
Sapeva che doveva ai suoi amici una spiegazione migliore, ma era a malapena in
grado parlare. Si sentiva lui stesso come una macchina rotta – come se qualcuno gli
avesse rimosso una piccola parte, e ora non sarebbe mai stato completo. Poteva
muoversi, poteva parlare, poteva andare avanti e fare il suo dovere. Ma sarebbe
sempre stato sbilanciato, mai perfettamente calibrato.
Nonostante ciò, non poteva permettersi di crollare completamente. Altrimenti,
Festus sarebbe morto per nulla. Doveva terminare quell’impresa – per i suoi amici,
per sua madre, e per il suo drago.
Si guardò intorno. La grande villa bianca brillava al centro del terreno. Delle alte
mura di mattone con luci e videocamere di sorveglianza circondavano il perimetro,
ma ora Leo poteva vedere – o meglio sentire – quanto fossero ben difese quelle
pareti.
“Dove siamo?” chiese. “Voglio dire, che città?”
“Omaha, Nebraska,” disse Piper. “Ho visto un cartellone pubblicitario mentre
volavamo. Ma non so cosa sia questa villa. Siamo entrati direttamente dietro di voi,
ma mentre stavate atterrando, Leo, giuro che sembrava – non lo so –“
“Laser,” disse Leo. Tirò su un pezzo di rottame del drago e lo lanciò verso la cima
della recinzione. Immediatamente, dal muro di mattoni sbucò una torretta e un
raggio di calore puro ridusse il rivestimento di bronzo in cenere.
Jason fischiò. “Che sistema di sicurezza. Come è possibile che siamo vivi?”
“Festus,” disse Leo miseramente. “Ha preso lui il fuoco. I laser lo hanno fatto a pezzi
mentre entrava così non si sono concentrati su di voi. L’ho guidato in una trappola
mortale.”
“Non potevi saperlo,” disse Piper. “Ci ha salvato di nuovo la vita.”
“Ma ora che si fa?” disse Jason. “I cancelli principali sono chiusi, e scommetto che
non posso farci volare fuori di qui senza essere colpiti.”
Leo guardò verso il vialetto della grande villa bianca. “Dal momento che non
possiamo uscire, dovremo entrare.”
31
JASON
Se non fosse stato per Leo, Jason sarebbe già morto cinque volte sulla strada per la
porta d’ingresso.
Prima ci fu la botola che si attivava con il movimento sul marciapiede, poi i laser sui
gradini, poi la bomboletta di gas nervino sulla ringhiera del portico, le punte
avvelenate a pressione sullo zerbino d’ingresso, e ovviamente il campanello
esplosivo.
Leo gli disattivò tutti. Era come se fosse in grado di sentire l’odore delle trappole, e
tirava fuori dalla sua cintura esattamente l’attrezzo adatto per disattivarle.
“Sei strabiliante, amico,” disse Jason.
Leo si accigliò mentre esaminava la serratura della porta d’ingresso. “Sì,
strabiliante,” disse. “Non sono capace di aggiustare un drago, ma sono strabiliante.”
“Hey, non è stata –“
“La porta d’ingresso è già aperta,” annunciò Leo.
Piper fissò la porta incredula. “Davvero? Tutte quelle trappole, e la porta è aperta?”
Leo girò la maniglia. La porta si aprì facilmente. Entrò senza esitare.
Prima che Jason potesse seguirlo, Piper lo afferrò per un braccio. “Gli ci vorrà un po’
di tempo per superare la storia di Festus. Non prenderla come una cosa personale.”
“Sì,” disse Jason. “Sì, okay.”
Ma si sentiva comunque malissimo. Nel negozio di Medea, aveva detto a Leo delle
cose piuttosto dure – cose che un amico non dovrebbe dire, senza parlare del fatto
che aveva quasi infilzato Leo con una spada. Se non fosse stato per Piper, sarebbero
morti entrambi. E neanche lei era uscita da quell’incontro facilmente.
“Piper,” disse, “so che ero stordito a Chicago, ma quella storia su tuo padre – se è
nei guai, voglio aiutare. Non m’importa se è una trappola o meno.”
I suoi occhi erano sempre di colori diversi, ma in quel momento apparivano
frantumati, come se avesse visto qualcosa che semplicemente non era in grado di
reggere. “Jason, non sai cosa stai dicendo. Ti prego – non farmi sentire peggio.
Andiamo. Dobbiamo restare insieme.”
Si tuffò all’interno.
“Insieme,” disse Jason a se stesso. “Sì, ce la stiamo cavando benissimo con quello.”
La prima impressione di Jason sulla casa: buia.
Dall’eco dei suoi passi poteva dire che l’ingresso era enorme, persino più grande
dell’attico di Borea, ma l’unica fonte di luce erano le lampade da giardino
all’esterno. Un debole barlume si infiltrava attraverso le fessure tra le pesanti tende
di velluto. Le finestre erano alte circa tre metri. Tra una e l’altra, addossate alle
pareti, c’erano delle statue di metallo a grandezza naturale. Mentre gli occhi di
Jason si abituavano, vide dei divani disposti a forma di U al centro della stanza, con
un tavolino centrale e una grande sedia all’estremità opposta. Un imponente
lampadario brillava in alto. Lungo la parete di fondo c’erano una fila di porte chiuse.
“Dov’è l’interruttore della luce?” La sua voce rimbombò in maniera allarmante per la
stanza.
“Non ne vedo uno,” disse Leo.
“Fuoco?” suggerì Piper.
Leo aprì la mano, ma non successe nulla. “Non funziona.”
“Il tuo fuoco è fuori uso? Perché?” chiese Piper.
“Bè, se lo sapessi –“
“Okay, okay,” disse lei. “Cosa facciamo – esploriamo?”
Leo scosse la testa. “Dopo tutte quelle trappole là fuori? Cattiva idea.”
La pelle di Jason formicolò. Odiava essere un semidio. Guardandosi intorno, non
vedeva un posto comodo dove potersi sistemare. Immaginò malvagi spiriti delle
tempeste appostati tra le tende, draghi sotto i tappeti, un lampadario fatto di letali
frammenti di ghiaccio, pronti a infilzarlo.
“Leo ha ragione,” disse. “Non ci separeremo di nuovo – non come abbiamo fatto a
Detroit.”
“Oh, grazie per avermi ricordato dei Ciclopi.” La voce di Piper tremò. “Ne avevo
bisogno.”
“Manca ancora qualche ora prima dell’alba,” indovinò Jason. “Fa troppo freddo per
aspettare fuori. Portiamo dentro le gabbie e accampiamoci in questa stanza.
Aspettiamo la luce del giorno; poi possiamo decidere cosa fare.”
Nessuno offrì un’idea migliore, così fecero rotolare le gabbie con Coach Hedge e gli
spiriti delle tempeste all’interno, poi si sistemarono. Fortunatamente, Leo non trovò
nessun cuscino avvelenato o sacca per le puzzette elettrificata sui divani.
Leo non sembrava dell’umore adatto per fare altri taco. Inoltre, non avevano fuoco,
così si accontentarono di razioni fredde.
Mentre Jason mangiava, studiò le statue di metallo lungo i muri. Assomigliavano a
divinità greche o eroi. Forse quello era un buon segno. O magari erano usate come
bersagli da allenamento. Sul tavolino c’era un servizio da tè e una pila di brochure
patinate, ma Jason non riusciva a leggere le parole. La grande sedia dall’altra parte
del tavolo sembrava un trono. Nessuno di loro cercò di sedercisi sopra.
Le gabbie da uccelli non rendevano quel posto affatto meno inquietante. I venti
continuavano ad agitarsi nella loro prigione, fischiando e vorticando, e Jason aveva
la brutta sensazione che lo stessero guardando. Poteva avvertire il loro odio per il
figlio di Zeus – il signore del cielo che aveva ordinato a Eolo di imprigionare la loro
specie. I venti non avrebbero preferito altro che farlo a pezzi.
Per quanto riguardava Coach Hedge, era sempre congelato nell’atto di urlare, con la
clava sollevata. Leo stava lavorando sulla gabbia, cercando di aprirla con vari
attrezzi, ma sembrava che la serratura lo stesse facendo faticare. Jason decise di non
sedersi vicino a lui nel caso in cui Hedge si fosse improvvisamente scongelato e fosse
entrato in modalità capra ninja.
Malgrado quanto fosse elettrizzato, una volta che il suo stomaco fu pieno, Jason
iniziò ad assopirsi. I divani erano un po’ troppo comodi – molto meglio della schiena
di un drago – e aveva fatto le ultime due guardie mentre i suoi amici dormivano. Era
esausto.
Piper si era già raggomitolata sull’altro divano. Jason si chiese se dormiva davvero o
se stesse evitando una conversazione su suo padre. Qualsiasi cosa avesse voluto dire
Medea a Chicago, riguardo al fatto che Piper poteva riavere suo padre se
collaborava – non suonava bene. Se Piper aveva rischiato il suo stesso padre per
salvargli, quello faceva sentire Jason
persino più in colpa.
E stavano andando a corto di tempo. Se Jason aveva fatto bene i conti, quel giorno
era la mattina presto del 20 Dicembre. Il che voleva dire che domani era il solstizio
d’inverno.
“Dormi un po’,” disse Leo, continuando a lavorare sulla serratura della gabbia. “E’ il
tuo turno.”
Jason fece un profondo respiro. “Leo, mi dispiace per quelle cose che ho detto a
Chicago. Quello non ero io. Tu non sei irritante e prendi le cose seriamente –
soprattutto il tuo lavoro. Vorrei poter fare la metà delle cose che sai fare te.”
Leo abbassò il suo cacciavite. Guardò il soffitto e scosse la testa come a dire, Cosa
devo fare con questo ragazzo?
“Provo molto duramente a essere irritante,” disse Leo. “Non insultare la mia
capacità di irritare. E come dovrei prendermela con te se tu ti scusi? Io sono un
banale meccanico. Tu sei tipo il principe del cielo, figlio del Signore dell’Universo. Io
dovrei prendermela con te.”
“Signore dell’Universo?”
“Certo, tu sei tutto – bam! L’uomo delle saette. E “Guardatemi volare. Io sono
l’aquila che si libra –“”
“Stai zitto, Valdez.”
Leo abbozzò un piccolo sorriso. “Lo vedi. Ti irrito davvero.”
“Mi scuso per essermi scusato.”
“Grazie.” Si rimise a lavorare, ma la tensione tra loro si era allentata. Leo sembrava
sempre triste ed esausto – solo non più così arrabbiato.
“Vai a dormire Jason,” ordinò. “Ci vorrà qualche ora per liberare questo uomo capra.
Poi devo ancora capire come fare una gabbia più piccola per i venti, perché non ho
intenzione di trascinare quella gabbia da uccelli fino in California.”
“Tu hai aggiustato Festus, sai,” disse Jason. “Gli hai dato un nuovo scopo. Credo che
questa impresa fosse il grande obbiettivo della sua vita.”
Jason temeva che avesse rovinato tutto e lo avesse fatto nuovamente infuriare, ma
Leo si limitò a sospirare.
“Lo spero,” disse. “Ora, dormi amico. Voglio un po’ di tempo senza voi forme di vita
organiche.”
Jason non era completamente certo di cosa volesse dire, ma non protestò. Chiuse gli
occhi e fece un lungo sonno beatamente privo di sogni.
Si svegliò solo quando iniziarono le urla.
“Ahhhggggggh!”
Jason balzò in piedi. Non era certo di cosa stonasse di più – la piena luce del sole che
ora inondava la stanza, o il satiro urlante.
“L’allenatore è sveglio,” disse Leo, cosa che era piuttosto inutile. Gleeson Hedge
stava saltellando in giro sulle sue pelose zampe posteriori, oscillando la clava e
urlando “Muori!” mentre frantumava il servizio da te, picchiava i divani e caricava il
trono.
“Coach!” urlò Jason.
Hedge si voltò, respirando pesantemente. I suoi occhi erano così selvaggi, che Jason
temeva potesse attaccare. Il satiro stava ancora indossando la sua polo arancione e
il suo fischietto da allenatore, ma le sue corna erano chiaramente visibili al di sopra
dei capelli ricci, e le sue zampe muscolose erano senza dubbio completamente da
capra. Si poteva definire muscolosa una capra? Jason mise da parte il pensiero.
“Tu sei il ragazzo nuovo,” disse Hedge, abbassando la clava. “Jason.”
Guardò Leo, poi Piper, che a quanto pareva, si era anche lei appena svegliata. I suoi
capelli sembravano essere diventati il nido per un criceto amichevole.
“Valdez, McLean,” disse il coach. “Cosa sta succedendo? Eravamo al Grand Canyon.
Gli anemoi thuellai stavano attaccando e –“ Spostò l’attenzione sulla gabbia con gli
spiriti delle tempeste, e i suoi occhi tornarono in modalità DEFCON 1. “Muori!”
“Whoa, Coach!” Leo lo intercettò, cosa che fu piuttosto coraggiosa, anche se Hedge
era quindici centimetri più basso di lui. “Va tutto bene. Sono rinchiusi. L’abbiamo
appena liberata dall’altra gabbia.”
“Gabbia? Gabbia? Cosa sta succedendo? Solo perché sono un satiro non vuol dire
che non possa farti fare delle flessioni, Valdez!”
Jason si schiarì la voce. “Coach – Gleeson – um, in qualsiasi modo voglia essere
chiamato. Lei ci ha salvati al Grand Canyon. E’ stato assolutamente coraggioso.”
“Certo che lo sono stato!”
“Il team di estrazione è arrivato e ci ha portati al Campo Mezzosangue. Pensavamo
di averla persa. Poi ci è arrivata voce che gli spiriti delle tempeste l’avevano riportata
dalla loro – um, operatrice, Medea.”
“Quella strega! Aspettate – questo è impossibile. Lei è mortale. E’ morta.”
“Sì, bè,” disse Leo, “in qualche modo non è più morta.”
Hedge annuì, con gli occhi che si stringevano. “Allora! Siete stati inviati in una
pericolosa impresa per salvarmi. Eccellente!”
“Um.” Piper si mise in piedi, tenendo le mani in vista così che Coach Hedge non la
attaccasse. “In realtà, Glee – posso continuare a chiamarla Coach Hedge? Gleeson
sembra sbagliato. Siamo in un impresa per qualcos’altro. L’abbiamo, diciamo,
trovata per caso.”
“Oh.” Lo spirito del coach sembrò sgonfiarsi, ma solo per un secondo. Poi i suoi occhi
si riaccesero. “Ma non esistono i casi! Non nelle imprese. Questo doveva accadere!
Allora, questo è il covo della strega, eh? Perché è tutto fatto d’oro?”
“D’oro?” Jason si guardò intorno. Dal modo in cui Leo e Piper trattennero il respiro,
indovinò che neanche loro se ne erano ancora accorti.
La stanza era piena d’oro – le statue, il servizio da tè che Hedge aveva frantumato, la
sedia che era senza dubbio un trono. Persino le tende – che sembravano essersi
aperte da sole alla luce del giorno – sembravano essere intessute con fili d’oro.
“Carino,” disse Leo. “Non c’è da stupirsi che avevano così tanta sicurezza.”
“Questo n-non –“ balbettò Piper. “Questo non è il covo di Medea, Coach. E’ la villa di
qualche persona ricca in Omaha. Siamo scappati da Medea e ci siamo schiantati
qui.”
“E’ il destino, pasticcini!” insistette Hedge. “Io sono destinato a proteggervi. Qual è
l’impresa?”
Prima che Jason potesse decidere se voleva spiegare o semplicemente gettare di
nuovo Coach Hedge nella sua gabbia, all’estremità opposta della stanza si aprì una
porta.
Un uomo tozzo con un accappatoio bianco entrò con uno spazzolino da denti dorato
nella bocca. Aveva una barba bianca e uno di quei lunghi berretti da notte all’antica
pigiato sui capelli bianchi. Si immobilizzò quando li vide, e lo spazzolino gli cadde di
bocca.
Guardò verso la stanza dietro di lui e chiamò, “Figlio? Lit, vieni qui fuori, per favore.
Ci sono delle strane persone nella sala del trono.”
Coach Hedge fece la cosa più ovvia. Sollevò la sua clava e urlò, “Muori!”
32
JASON
Ci vollero tutti e tre per tenere fermo il satiro.
“Whoa, Coach!” disse Jason. “Si dia una regolata.”
Un uomo più giovane si tuffò nella stanza. Jason immaginò che dovesse trattarsi di
Lit, il figlio dell’uomo anziano. Era vestito con il pezzo di sotto del pigiama e una
maglietta senza maniche che diceva CORNHUSKERS – sbucciatori di pannocchie – e
aveva in mano una spada che sembrava essere in grado di sbucciare molte più cose
oltre alle pannocchie. Le sue braccia muscolose erano coperte di cicatrici, e il suo
volto, incorniciato da scuri capelli ricci, sarebbe stato attraente se non fosse stato
altrettanto tagliuzzato.
Lit si focalizzò immediatamente su Jason come se fosse la minaccia più grande, e si
diresse impettito verso di lui, oscillando la spada sopra la testa.
“Frena!” Piper si fece avanti, cercando di usare la sua migliore voce calmante. “Si
tratta solo di un malinteso! Va tutto bene.”
Lit interruppe la sua avanzata, ma appariva comunque diffidente.
Non aiutava il fatto che Hedge stesse urlando, “Ci penso io a loro! Non
preoccupatevi!”
“Coach,” implorò Jason, “potrebbero essere amichevoli. Inoltre, stiamo invadendo la
loro casa.”
“Grazie!” disse il vecchio uomo in accappatoio. “Ora, chi siete, e perché siete qui?”
“Mettiamo tutti giù le nostre armi,” disse Piper. “Coach, lei per primo.”
Hedge serrò la mascella. “Solo una bastonata?”
“No,” disse Piper.
“Che ne dici di un compromesso? Prima gli uccido, e se si scopre che sono
amichevoli, mi scuso.”
“No!” insistette Piper.
“Meh.” Coach Hedge abbassò la clava.
Piper rivolse a Lit un amichevole sorriso come a dire scusa-per-questo. Persino con i
capelli in disordine e con indosso i vestiti di due giorni prima, era estremamente
carina, e Jason si sentì un po’ geloso del fatto che stava facendo quel sorriso a Lit.
Lit sospirò e rimise la spada nel fodero. “Hai detto bene, ragazza – per fortuna per i
tuoi amici, o gli avrei infilzati.”
“Lo apprezziamo,” disse Leo. “Cerco sempre di non essere infilzato prima di pranzo.”
L’anziano uomo in accappatoio sospirò, dando un calcio alla teiera che Coach Hedge
aveva distrutto. “Bè, dal momento che siete qui. Prego, sedetevi.”
Lit aggrottò le sopracciglia. “Vostra Maestà –“
“No, no, va bene, Lit,” disse il vecchio uomo. “Terra nuova, abitudini nuove. Possono
sedersi in mia presenza. Dopotutto, mi hanno visto con i vestiti della notte. Non ha
senso osservare le formalità.” Fece del suo meglio per sorridere, tuttavia sembrò un
po’ forzato. “Benvenuti nella mia umile casa. Io sono Re Mida.”
“Mida? Impossibile,” disse Coach Hedge. “Lui è morto.”
Erano seduti sui divani, mentre il re era reclinato sul trono. Difficile da fare con un
accappatoio, e Jason continuava a preoccuparsi che l’anziano se ne dimenticasse e
scavallasse le gambe. Si sperava che stesse indossando dei boxer dorati là sotto.
Lit stava dietro al trono, con entrambe le mani sulla spada, lanciando delle occhiate
a Piper e flettendo le sue braccia muscolose solo per essere irritante. Jason si chiese
se lui apparisse così muscoloso con in mano la spada. Purtroppo, ne dubitava.
Piper si sporse in avanti. “Quello che il nostro amico satiro voleva dire, Vostra
Maestà, è che voi siete il secondo mortale che abbiamo incontrato che dovrebbe
essere – mi scusi – morto. Re Mida è vissuto migliaia di anni fa.”
“Interessante.” Il re fissò fuori dalla finestra verso il cielo blu acceso e il sole
invernale. In lontananza, il centro di Omaha sembrava un blocco di mattoncini per
bambini – troppo pulita e piccola per una città normale.
“Sapete,” disse il re, “credo che sia stato un po’ morto per un po’. E’ strano. Sembra
come un sogno, non è vero, Lit?”
“Un sogno molto lungo, Vostra Maestà.”
“E tuttavia ora siamo qui. Mi sto divertendo molto. Preferisco di più essere vivo.”
“Ma come?” chiese Piper. “Voi non avete una… padrona?”
Mida esitò, ma ci fu un furbo luccichio nei suoi occhi.
“Importa, mia cara?”
“Potremmo uccidergli di nuovo,” suggerì Hedge.
“Coach, non aiuta,” disse Jason. “Perché non va fuori e sta di guardia?”
Leo tossì. “E’ sicuro? Hanno un sistema di sicurezza tosto.”
“Oh, sì,” disse il re. “Mi dispiace per quello. Ma sono degli aggeggi deliziosi, non è
vero? E’ sorprendente quello che può ancora comprare l’oro. Avete dei giocattoli
così fantastici nel vostro paese!”
Pescò un telecomando dalla tasca del suo accappatoio e premette alcuni pulsanti –
un codice di sicurezza, indovinò Jason.
“Ecco,” disse Mida. “Ora si può uscire in sicurezza.”
Coach Hedge grugnì. “Bene. Ma se avete bisogno di me…” Ammiccò a Jason in modo
significativo. Poi indicò se stesso, puntò due dita verso i loro ospiti e fece scorrere un
dito lungo la sua gola. Un linguaggio dei segni molto astuto.
“Sì, grazie,” disse Jason.
Dopo che il satiro se ne fu andato, Piper provò con un altro sorriso diplomatico.
“Allora… non sapete come siete arrivati qui?”
“Oh, bè, sì. Più o meno,” disse il re. Si accigliò verso Lit. “Ancora una volta, perché
abbiamo scelto Omaha? So che non era per il clima.”
“L’Oracolo,” disse Lit.
“Sì! Mi è stato detto che c’era un Oracolo a Omaha.” Il re scrollò le spalle. “A quanto
pare mi è stato detto male. Ma questa è una casa piuttosto carina, non è vero? Lit –
è il diminutivo di Litierse, in ogni caso – nome orribile, ma sua madre ha insistito –
Lit ha numerosi spazi aperti per allenarsi con la sua spada. Ha una bella reputazione
per quello. Ai vecchi tempi lo chiamavano il Mietitore di Uomini.”
“Oh.” Piper cercò di sembrare entusiasta. “Che cosa carina.”
Il sorriso di Lit somigliava più a un ghigno crudele. Ora Jason era sicuro al cento per
cento che non gli piaceva quel ragazzo, e stava cominciando a pentirsi di aver
mandato Hedge fuori.
“Allora,” disse Jason. “Tutto questo oro –“
Gli occhi del re si illuminarono. “Siete qui per l’oro, ragazzo mio? Prego, prendete
una brochure!”
Jason guardò le brochure sul tavolino. Il titolo diceva ORO: Investi per l’Eternità.
“Um, vende oro?”
“No, no,” disse il re. “Io lo creo. In tempi insicuri come questi, l’oro è l’investimento
più saggio, non credi? I governi cadono. I morti risorgono. I giganti attaccano
l’Olimpo. Ma l’oro mantiene il suo valore!”
Leo aggrottò le sopracciglia. “Ho visto quella pubblicità.”
“Oh, non fatevi ingannare da imitatori scadenti!” disse il re. “Vi assicuro, posso
battere qualsiasi prezzo per un investitore sicuro. Posso creare un ampio
assortimento di oggetti d’oro in un attimo.”
“Ma…” Piper scosse la testa confusa. “Vostra Maestà, voi avete rinunciato al tocco
d’oro, non è così?”
Il re sembrava sbigottito. “Rinunciato?”
“Sì,” disse Piper. “L’avete ricevuto da un dio –“
“Dioniso,” concordò il re. “Ho salvato uno dei suoi satiri, e in cambio il dio mi ha
concesso un desiderio. Io scelsi il tocco d’oro.”
“Ma lei ha trasformato per sbaglio la sua stessa figlia in oro,” ricordò Piper. “E capì
quanto fosse stato avido. Così vi siete pentito.”
“Pentito!” Re Mida guardò incredulo Lit. “Vedi, figlio? Stai via per qualche migliaio di
anni, e la storia viene tutta rigirata. Mia cara ragazza, quelle storie hanno mai detto
che avevo perso il mio tocco magico?”
“Bè, suppongo di no. Dicono solo che imparò come invertirlo con l’acqua corrente, e
riportò sua figlia in vita.”
“Ciò è tutto vero. Qualche volta devo ancora invertire il mio tocco. Non c’è acqua
correte in casa perché non voglio incidenti –“ fece un gesto verso le sue statue –
“ma abbiamo deciso di vivere vicino a un fiume giusto in caso. A volte me ne
dimentico e do una pacca sulla schiena a Lit –“
Lit si fece indietro di qualche passo. “Lo detesto.”
“Ti ho detto che mi dispiaceva, figliolo. Ad ogni modo, l’oro è meraviglioso. Perché
dovrei rinunciarci?”
“Bè…” Piper ora sembrava sinceramente persa. “Non è quello il punto della storia?
Che lei imparò la sua lezione?”
Mida rise. “Mia cara, posso vedere il tuo zaino per un momento? Lancialo qui.”
Piper esitò, ma non era ansiosa di offendere il re. Buttò tutto fuori dallo zaino e lo
lanciò a Mida. Non appena lui lo afferrò, lo zaino diventò d’oro, come del ghiaccio
che si diffondeva sul tessuto. Sembrava essere sempre flessibile e morbido, ma era
senza dubbio d’oro. Il re lo lanciò indietro.
“Come puoi vedere, posso ancora trasformare tutto in oro,” disse Mida. “Inoltre
quello zaino ora è magico. Andate – mettete i vostri piccoli nemici spiriti delle
tempeste là dentro.”
“Davvero?” Leo era improvvisamente interessato. Prese la borsa dal Piper e la portò
fino alla gabbia. Appena aprì la zip dello zaino, i venti si agitarono e ulularono in
protesta. Le sbarre della gabbia tremarono. La porta della prigione si aprì e i venti
vennero risucchiati dritti dentro lo zaino. Leo lo richiuse e fece un grosso sorriso.
“Devo ammetterlo. Questo è forte.”
“Vedi?” disse Mida. “Il mio tocco d’oro una maledizione? Per favore. Non ho
imparato nessuna lezione, e la vita non è una storia, ragazza. Onestamente, mia
figlia Zoe era molto più piacevole come statua d’oro.”
“Parlava un sacco,” disse Lit.
“Esattamente! E così l’ho trasformata nuovamente in oro.” Mida puntò il dito. Lì
nell’angolo c’era la statua d’oro di una ragazza con un’espressione scioccata, come
se stesse pensando, Papà!
“E’ orribile!” disse Piper.
“Sciocchezze. A lei non importa. Inoltre, se avessi imparato la mia lezione, avrei
avuto queste?”
Mida si tolse il suo berretto da notte fuori misura, e Jason non sapeva se ridere o
vomitare. Mida aveva delle lunghe, pelose orecchie grigie che gli spuntavano dai
capelli bianchi – come quelle di Bugs Bunny, ma non erano orecchie da coniglio.
Erano orecchie da asino.
“Oh, wow,” disse Leo. “Non c’era bisogno di vederle.”
“Terribili, non è vero?” sospirò Mida. “Qualche anno dopo l’episodio del tocco d’oro,
ho fatto da giudice in una gara musicale tra Apollo e Pan, e io dichiarai Pan vincitore.
Apollo, perdente arrabbiato, disse che dovevo avere le orecchie di un asino, e voilà.
Questa è stata la mia ricompensa per essere stato onesto. Ho cercato di tenerle
segrete. Lo sapeva solo il mio barbiere, ma non poteva fare a meno di
chiacchierare.” Mida indicò un’altra statua d’oro – un uomo pelato in una toga, con
in mano un paio di cesoie. “Quello è lui. Non racconterà più i segreti di nessuno.”
Il re sorrise. All’improvviso a Jason non sembrò più un innocuo uomo anziano in
accappatoio. I suoi occhi avevano un luccichio allegro – lo sguardo di un pazzo che
sapeva di essere pazzo, aveva accettato la sua pazzia e gli piaceva. “Sì, l’oro ha molte
potenzialità. Credo che questo deve essere il motivo per cui sono stato riportato
indietro, eh, Lit? Per finanziare la nostra padrona.”
Lit annuì. “Quello, e la mia abilità con la spada.”
Jason lanciò un’occhiata ai suoi amici. Improvvisamente l’aria nella stanza sembrava
molto più fredda.
“Quindi voi avete una padrona,” disse Jason. “Lavorate per i giganti.”
Re Mida mise da parte la domanda con un gesto della mano. “Bè, io personalmente
non sono interessato ai giganti, ovviamente. Ma persino gli eserciti soprannaturali
hanno bisogno di essere pagati. Devo alla mia padrona un grande debito. Ho cercato
di spiegarlo all’ultimo gruppo che è venuto, ma erano molto ostili. Non volevano
collaborare.”
Jason fece scivolare la mano nella tasca e afferrò la sua moneta d’oro. “L’ultimo
gruppo?”
“Cacciatrici,” disse Lit in modo aspro. “Maledette ragazze di Artemide.”
Jason sentì una scossa di elettricità – una scossa vera – scorrergli lungo la schiena.
Percepì odore di incendio elettrico come se avesse appena fuso alcune delle molle
nel divano.
Sua sorella era stata lì.
“Quando?” chiese. “Cosa è successo?”
Lit scrollò le spalle. “Qualche giorno fa? Sfortunatamente non ho avuto la possibilità
di ucciderle. Stavano cercando qualche lupo cattivo, o una cosa così. Hanno detto
che stavano seguendo una pista, che portava verso ovest. Un semidio scomparso –
non mi ricordo.”
Percy Jackson, pensò Jason. Annabeth aveva detto che le Cacciatrici lo stavano
cercando. E nel sogno della casa distrutta nella foresta di sequoie, aveva sentito
ululare dei lupi nemici. Era gli aveva chiamati i suoi guardiani. Doveva essere in
qualche modo connesso.
Mida si grattò le sue orecchie da asino. “Delle giovani signorine molto sgradevoli,
quelle Cacciatrici,” ricordò. “Si sono fermamente rifiutate di essere trasformate in
oro. La maggior parte del sistema di sicurezza all’esterno l’ho installato per evitare
che accadano ancora cose del genere, sapete. Non ho tempo per quelli che non
sono degli investitori seri.”
Jason si raddrizzò in allerta e lanciò un’occhiata ai suoi amici. Afferrarono il
messaggio.
“Bè,” disse Piper, abbozzando un sorriso. “E’ stata una visita fantastica. Bentornato
alla vita. Grazie per la borsa d’oro.”
“Oh, ma non potete andarvene!” disse Mida. “So che non siete dei seri investitori,
ma va tutto bene! Devo ricostruire la mia collezione.”
Lit stava sorridendo crudelmente. Il re si alzò, e Leo e Piper si allontanarono da lui.
“Non preoccupatevi,” gli assicurò il re. “Non siete costretti a essere trasformati in
oro. Do a tutti i miei ospiti una scelta – unirsi alla mia collezione, o morire per mano
di Litierse. Davvero, va bene in entrambi i casi.”
Piper cercò di usare il suo incanto. “Vostra Maestà, non potete –“
Più velocemente di quanto qualsiasi anziano avrebbe dovuto essere in grado di
muoversi, Mida si scagliò in avanti e afferrò il suo polso.
“No!” urlò Jason.
Ma una patina d’oro si diffuse lungo il corpo di Piper, e in un attimo era diventata
una statua luccicante. Leo cercò di evocare il fuoco, ma si era dimenticato che il suo
potere non funzionava. Mida toccò la sua mano, e Leo si trasformò in metallo solido.
Jason era così inorridito che non poteva muoversi. I suoi amici – semplicemente
andati. E lui non era stato in grado di fermarlo.
Mida sorrise con dispiacere. “Temo che l’oro batta il fuoco.” Agitò la mano intorno a
lui verso tutte le tende e i mobili d’oro. “In questa stanza, i miei poteri soffocano
tutti gli altri: fuoco… persino l’incanto con le parole. Cosa che mi lascia con solo un
altro trofeo da ritirare.”
“Hedge!” urlò Jason. “Abbiamo bisogno d’aiuto qui!”
Per una volta, il satiro non entrò caricando. Jason si chiese se i laser lo avessero
colpito, o se fosse seduto alla base di una trappola.
Mida ridacchiò. “Nessuna capra in soccorso? Triste. Ma non preoccuparti, ragazzo
mio. Davvero, non è doloroso. Lit può dirtelo.”
Jason si concentrò su un’idea. “Scelgo il combattimento. Ha detto che potevo
scegliere di combattere contro Lit.”
Mida apparve leggermente dispiaciuto, ma scrollò le spalle. “Ho detto che potevi
morire combattendo Lit. Ma, ovviamente, se lo desideri.”
Il re si fece indietro, e Lit sollevò la sua spada.
“Mi divertirò,” disse Lit. “Io sono il Mietitore di Uomini!”
“Andiamo, Sbucciatore di Pannocchie.” Jason evocò la sua arma. Questa volta uscì
nella forma di un giavellotto, e Jason era grato per la lunghezza extra.
“Oh, arma d’oro!” disse Mida. “Molto carina.”
Lit caricò.
Il ragazzo era veloce. Affondava e fendeva, e Jason era a stento in grado di schivare i
colpi, ma la sua mentre entrò in una diversa modalità – analizzando gli schemi,
imparando lo stile di Lit, che era tutta offesa, nessuna difesa.
Jason colpì di rimando, si spostò di lato e lo bloccò. Lit sembrava sorpreso di trovarlo
ancora vivo.
“Cos’è quello stile?” brontolò Lit. “Non combatti come un greco.”
“Addestramento di legione,” disse Jason, anche se non era sicuro di come faceva a
saperlo. “E’ Romano.”
“Romano?” Lit attaccò di nuovo, a Jason fece deviare la sua lama. “Cos’è Romano?”
“Novità flash,” disse Jason. “Mentre eri morto, Roma sconfisse la Grecia. Creò il più
grande impero di tutti i tempi.”
“Impossibile,” disse Lit. “Non ho mai nemmeno sentito parlare di loro.”
Jason girò sul tacco, colpì Lit al petto con la base del suo giavellotto e lo fece
rovesciare sul trono di Mida.
“Oh, cielo,” disse Mida. “Lit?”
“Sto bene,” ringhiò Lit.
“Sarebbe meglio che lo aiuti ad alzarsi,” disse Jason.
Lit urlò, “Padre, no!”
Troppo tardi. Mida mise la mano sulla spalla del figlio, e improvvisamente sul trono
di Mida c’era seduta una statua d’oro dall’aspetto molto arrabbiato.
“Maledizione!” gemette Mida. “Quello è stato un trucco insolente, semidio. Te la
farò pagare per questo.” Diede una pacca sulla spalla dorata di Lit. “Non
preoccuparti figliolo. Ti porterò al fiume subito dopo aver collezionato questo
premio.”
Mida corse in avanti. Jason lo schivò, ma anche l’anziano uomo era veloce. Jason
spinse il tavolino contro le gambe del vecchio e lo fece cadere, ma Mida non
sarebbe rimasto a terra per molto.
Poi Jason guardò la statua d’oro di Piper. La rabbia lo inondò. Lui era il figlio di Zeus.
Non poteva deludere i suoi amici.
Provò la sensazione di uno strappò allo stomaco, e la pressione dell’aria precipitò
così velocemente che gli schioccarono le orecchie. Anche Mida doveva averla
sentita, perché incespicò sui suoi piedi e si afferrò le orecchie da asino.
“Ow! Cosa stai facendo?” chiese. “Il mio potere è supremo qui!”
Rombarono dei tuoni. All’esterno, il cielo si fece scuro.
“Sai qual è un’altra buona qualità dell’oro?” disse Jason.
Mida inarcò le sopracciglia, improvvisamente emozionato. “Sì?”
“E’ un eccellente conduttore di elettricità.”
Jason sollevò il suo giavellotto, e il soffitto esplose. Un fulmine attraversò il tetto
come se fosse un guscio d’uovo, connesso con la punta della lancia di Jason, e
diffuse archi di energia che ridussero i divani a brandelli. Pezzi di intonaco del
soffitto precipitarono. Il lampadario cigolò e si staccò dalla catena, e Mida urlò
mentre questo lo inchiodava a terra.
Quando il rombo si fermò, della pioggia gelida si riversò nell’edificio. Mida imprecò
in greco antico, completamente bloccato sotto il suo lampadario. La pioggia
impregnò tutto, trasformando il lampadario d’oro in vetro. Anche Piper e Leo si
stavano lentamente trasformando, insieme alle altre statue nella stanza.
Poi la porta d’ingresso si spalancò, e Coach Hedge caricò all’interno, con la clava
pronta. Aveva la bocca coperta di terra, neve ed erba.
“Cosa mi sono perso?” chiese.
“Dov’era?” domandò Jason. Gli girava la testa a causa del fulmine evocato, e stava
facendo tutto il possibile per non svenire. “Stavo gridando aiuto.”
Hedge fece un rutto. “Stavo facendo uno spuntino. Scusa. Chi deve essere ucciso?”
“Ora nessuno!” disse Jason. “Prenda Leo. Io penso a Piper.”
“Non lasciatemi così!” gemette Mida.
Tutto intorno a lui, le statue delle sue vittime si stavano trasformando in carne – sua
figlia, il suo barbiere e un intero gruppo di tipi con spade dall’aspetto arrabbiato.
Jason afferrò lo zaino d’oro di Piper e le sue scorte. Poi lanciò un tappeto sulla statua
d’oro di Lit sul trono. Si sperava che ciò avrebbe impedito al Mietitore di Uomini di
tornare in vita – almeno non prima delle vittime di Mida.
“Usciamo da qui,” disse Jason a Hedge. “Credo che questi ragazzi vorranno passare
un po’ di tempo con Mida.”
33
PIPER
Piper si svegliò fredda e tremante.
Aveva avuto uno dei sogni peggiori di sempre, su un vecchio uomo con orecchie da
asino che la rincorreva e urlava. Tocca a te!
“Oh, dio.” Le batteva i denti. “Mi ha trasformata in oro!”
“Stai bene ora.” Jason si inclinò su di e la avvolse con una coperta calda, ma si
sentiva ancora fredda come un Boreale.
Sbatté le palpebre, cercando di capire dove si trovavano. Vicino a lei ardeva un falò,
che rendeva l’aria acre di fumo. La luce del fuoco guizzava contro le pareti di roccia.
Si trovavano in una grotta poco profonda, ma non offriva molta protezione. Fuori, il
vento ululava. La neve cadeva lateralmente. Avrebbe potuto essere giorno o notte.
La tempesta rendeva tutto troppo scuro per poterlo dire.
“L-L-Leo?” riuscì a dire Piper.
“Presente e de-orificato.” Anche Leo era avvolto in una coperta. Non aveva un
aspetto fantastico, ma migliore di come si sentiva Piper. “Anche io ho subito il
trattamento da metallo prezioso,” disse. “Ma ne sono uscito prima. Non so il perché.
Ti abbiamo dovuto immergere nel fiume per farti tornare completamente. Abbiamo
provato ad asciugarti, ma… fa davvero, davvero freddo.”
“Sei entrata in ipotermia,” disse Jason. “Abbiamo rischiato con più nettare che
potevamo. Coach Hedge ha fatto un po’ di magia della natura –“
“Medicina sportiva.” Il brutto volto del coach incombeva su di lei “Una sorta di mio
hobby. Il tuo alito potrebbe odorare di funghi selvatici e Gatorade per qualche
giorno, ma passerà. Probabilmente non morirai. Probabilmente.”
“Grazie,” disse Piper debolmente. “Come avete sconfitto Mida?”
Jason le raccontò la storia, dando il merito per la maggior parte alla fortuna.
Il coach sbuffò. “Il ragazzo sta facendo il modesto. Avresti dovuto vederlo. Hi-yah!
Affetta! Esplosione con i fulmini!”
“Coach, lei non l’ha nemmeno visto,” disse Jason. “Lei era all’aperto a mangiare
l’erba.”
Ma il satiro si stava solo scaldando. “Poi sono entrato io con la mia clava, e abbiamo
dominato la stanza. Dopodiché, gli ho detto, “Ragazzo, sono fiero di te! Se solo
lavorassi sulla potenza della parte superiore del tuo corpo –“”
“Coach,” disse Jason.
“Sì?”
“Stia zitto, per favore.”
“Certo.” Il coach si sedette vicino al fuoco e cominciò a masticare la sua mazza.
Jason mise la mano sulla fronte di Piper e le controllò la temperatura. “Leo, puoi
alimentare il fuoco?”
“Ci sono.” Leo evocò una palla di fuoco grande quanto una pallina da baseball e la
lanciò nel falò.
“Ho un aspetto così orribile?” Piper rabbrividì.
“Nah,” disse Jason.
“Sei un bugiardo terribile,” disse lei. “Dove siamo?”
“Pikes Peak,” disse Jason. “Colorado.”
“Ma è, quanto – ottocento chilometri da Omaha?”
“Qualcosa del genere,” annuì Jason. “Ho domato gli spiriti delle tempeste e gli ho
ordinato di portarci fino a qui. Non gli è piaciuto – siamo andati un po’ più lontano di
quello che volevo, ci siamo quasi schiantati contro il fianco di una montagna prima
che riuscissi a rimettergli nella borsa. Non ho intenzione di provarci di nuovo.”
“Perché siamo qui?”
Leo sbuffò. “E’ quello che gli ho chiesto io.”
Jason guardò fisso la tempesta come se stesse cercando qualcosa. “Quella pista
luccicante che abbiamo visto ieri? Era ancora nel cielo, ma era si era indebolita
molto. L’ho seguita finché non sono stato più in grado di vederla. Poi – sinceramente
non ne sono sicuro. Avevo solo la sensazione che questo fosse il posto giusto dove
fermarci.”
“Certo che lo è.” Coach Hedge sputò alcune schegge della clava. “Il palazzo
galleggiante di Eolo dovrebbe essere ancorato sopra di noi, proprio sulla cima.
Questo è uno dei suoi posti preferiti dove attraccare.”
“Forse è quello.” Jason aggrottò le sopracciglia. “Non lo so. C’è anche
qualcos’altro…”
“Le Cacciatrici erano dirette verso ovest,” ricordò Piper. “Credi che siano qui
intorno?”
Jason si sfregò l’avambraccio come se il tatuaggio gli stesse dando fastidio. “Non
vedo come chiunque potrebbe sopravvivere sulla montagna al momento. La
tempesta è piuttosto brutta. Siamo già alla sera prima del solstizio, ma non avevamo
molta scelta a parte quella di aspettare qui che la tempesta si plachi. Dobbiamo darti
un po’ di tempo per riposarti prima di cercare di muoverci.”
Non aveva bisogno di convincerla. Il vento che ululava fuori della grotta la
spaventava, e non riusciva a smettere di tremare.
“Dobbiamo riscaldarti.” Jason si sedette vicino a lei e aprì le braccia un po’
impacciato. “Uh, ti scoccia se…”
“Suppongo di no.” Cercò di sembrare disinvolta.
Le mise le braccia intorno e la tenne così. Si avvicinarono al falò. Coach Hedge
masticava la clava e sputava le schegge nel fuoco.
Leo tirò fuori delle scorte per cucinare e cominciò a grigliare degli hamburger su una
piccola padella di ferro. “Allora, ragazzi, mentre siete rannicchiati per l’ora della
favola… c’è qualcosa che volevo dirvi. Mentre stavamo andando verso Omaha, ho
fatto questo sogno. Un po’ difficile da capire con le interferenze e La Ruota della
Fortuna che interrompeva –“
“La Ruota della Fortuna?” Piper presumeva che Leo stesse scherzando, ma quando
lui alzò lo sguardo dai suoi hamburger, la sua espressione era mortalmente seria.
“Il punto è,” disse, “mio padre Efesto mi ha parlato.”
Leo gli raccontò del suo sogno. Alla luce del fuoco, con il vento che ululava, la storia
era persino più inquietante. Piper poteva immaginarsi la voce disturbata dalle
interferenze del dio che raccontava riguardo i giganti che erano i figli del Tartaro, e
riguardo Leo che avrebbe perso degli amici lungo la strada.
Cercò di concentrarsi su qualcosa di buono: le braccia di Jason intorno a lei, il calore
che si stava lentamente diffondendo nel corpo, ma era terrificata. “Non capisco. Se i
semidei e gli dei devono lavorare insieme per uccidere i giganti, perché gli dei
dovrebbero rimanere in silenzio? Se hanno bisogno di noi –“
“Ha,” disse Coach Hedge. “Gli dei detestano avere bisogno degli umani. Gli piace che
gli umani abbiano bisogno di loro, ma non il contrario. Le cose devono peggiorare
molto prima che Zeus ammetta di aver commesso un errore a chiudere l’Olimpo.”
“Coach,” disse Piper, “quello è stato quasi un commento intelligente.”
Hedge sbuffò stizzito. “Cosa? Io sono intelligente! Non sono sorpreso del fatto che
voi pasticcini non abbiate sentito parlare della Guerra dei Giganti. Agli dei non piace
parlare di quello. Brutta pubblicità, ammettere di aver avuto bisogno dei mortali per
farsi aiutare a sconfiggere un nemico. E’ imbarazzante.”
“C’è di più, però,” disse Jason. “Quando ho sognato Era in gabbia, lei ha detto che
Zeus si stava comportando in maniera stranamente paranoica. E Era – ha detto che
era andata a quelle rovine perché una voce le aveva parlato nella testa. E se
qualcuno stesse influenzando gli dei, come Medea ha influenzato noi?”
Piper rabbrividì. Aveva avuto un’idea simile – che qualche forza che non potevano
vedere stesse manipolando le cose da dietro le quinte, aiutando i giganti. Magari
quella stessa forza stava tenendo Encelado informato sui loro movimenti, e aveva
persino fatto precipitare il loro drago su Detroit. Forse si trattava della Donna di
Terra di Leo, o di un altro suo servo…
Leo mise i panini per gli hamburger sulla padella per riscaldargli. “Sì, Efesto ha detto
qualcosa di simile, tipo che Zeus si stava comportando in maniera più strana del
solito. Ma quello che mi preoccupa è quello che mio padre non ha detto. Per
esempio un paio di volte stava parlando di semidei, e di come aveva così tanti figli e
tutto il resto. Non lo so. Si stava comportando come se riunire insieme i più grandi
semidei sarebbe quasi impossibile – come se Era ci stesse provando, ma è una cosa
davvero stupida da fare, e c’è un segreto che Efesto non dovrebbe dirmi.”
Jason si mosse. Piper poteva avvertire la tensione nelle sue braccia.
“Chirone si è comportato nello stesso modo al campo,” disse. “Ha parlato di un
giuramento sacro che non doveva essere discusso – qualcosa. Coach, sa qualcosa a
riguardo?”
“Nah. Io sono solo un satiro. Loro non ci raccontano le cose succose. Soprattutto a
un tipo vecchio-“
Si bloccò.
“Un tipo vecchio come lei?” chiese Piper. “Ma lei non è così anziano, non è vero?”
“Centosei,” borbottò il satiro.
Leo tossì. “Cosa ha detto?”
“Non mandarti a fuoco i pantaloni, Valdez. E’ l’equivalente di cinquantatre, in anni
umani. Tuttavia, sì, mi sono fatto qualche nemico nel Consiglio dei Satiri Anziani.
Sono stato un protettore per molto tempo. Ma loro hanno iniziato a dire che stavo
diventando imprevedibile. Troppo violento. Ci credete?”
“Wow.” Piper cercò di non guardare i suoi amici. “E’ difficile da credere.”
Il Coach si imbronciò. “Già, poi alla fine abbiamo avuto una bella guerra contro i
Titani, e loro mi hanno forse messo in prima linea? No! Mi hanno mandato il più
lontano possibile – il fronte canadese, ci credete? Poi dopo la guerra mi hanno
mandato in pensione. La Wilderness School. Bah! Come se fossi troppo vecchio per
essere d’aiuto solo perché mi piace giocare d’attacco. Tutti quei raccogli-margherite
nel Concilio – a parlare di natura.”
“Pensavo che ai satiri piacesse la natura,” azzardò Piper.
“Cavolo, io adoro la natura,” disse Hedge. “Natura vuol dire grandi cose che
uccidono e mangiano le piccole cose! E quando sei un – sapete – un satiro
verticalmente ostacolato come me, ti tieni in forma, ti porti dietro un grosso
bastone e non accetti nulla da nessuno! Questa è natura.” Hedge sbuffò indignato.
“Raccogli-margherite. Ad ogni modo, spero che hai del cibo vegetariano, Valdez.
Non mangio la carne.”
“Sì, Coach. Non si mangi la sua clava. Ho degli hamburger al tofu qui. Anche Piper è
vegetariana. Gli butto sulla piastra in un secondo.”
L’odore di hamburger grigliati riempì l’aria. Solitamente Piper odiava l’odore della
carne cotta, ma il suo stomacò brontolò come se volesse ribellarsi.
Sto perdendo, pensò. Pensa ai broccoli. Carote. Lenticchie.
Il suo stomaco non era l’unica cosa che si stava ribellando. Seduta accanto al fuoco,
con Jason che la teneva, la coscienza di Piper sembrava un proiettile bollente che si
stava lentamente facendo strada verso il suo cuore. Tutto il senso di colpa che si era
tenuta dentro per quell’ultima settimana, da quando il gigante Encelado gli aveva
mandato il primo sogno, la stava per uccidere.
I suoi amici volevano aiutarla. Jason aveva persino detto che sarebbe andato dritto
in una trappola per salvare suo padre. E Piper gli aveva chiusi fuori.
Per quanto ne sapeva, aveva già condannato suo padre quando aveva attaccato
Medea.
Trattenne un singhiozzo. Magari aveva fatto la cosa giusta a Chicago salvando i suoi
amici, ma aveva solo rimandato il problema. Non avrebbe mai potuto tradire i suoi
amici, ma la più piccola parte di lei era abbastanza disperata da pensare, Se lo
facessi?
Cercò di immaginarsi cosa avrebbe detto suo padre. Hey, papà, se fossi mai
incatenato da un gigante cannibale e io dovessi tradire un paio di amici per salvarti,
cosa dovrei fare?
Divertente, quello non era mai uscito quando facevano Tre Domande Qualsiasi.
Ovviamente, suo padre non avrebbe mai preso seriamente la domanda.
Probabilmente gli avrebbe raccontato una delle vecchie storie di Nonno Tom –
qualcosa con porcospini brillanti e uccelli parlanti – e poi ne avrebbe riso come se il
consiglio fosse sciocco.
Piper desiderò ricordarsi meglio di suo nonno. A volte sognava quella piccola casa
con due stanze in Oklahoma. Si chiese come sarebbe stato crescere là.
Suo padre avrebbe pensato che fossero sciocchezze. Aveva passato tutta la sua vita
a scappare da quel posto, allontanandosi dalla riserva, interpretando qualsiasi ruolo
tranne quelli Nativi Americani. Diceva sempre a Piper quanto fosse fortunata a
essere cresciuta ricca e con tutte le cure necessarie, in una bella casa in California.
Lei aveva imparato a sentirsi leggermente a disagio sulle sue origini – come le
vecchie foto di papà degli anni ottanta, quando aveva piume nei capelli e vestiti
assurdi. Riesci a credere che ho avuto quell’aspetto? diceva. Essere Cherokee per lui
era la stessa cosa – qualcosa di divertente e un po’ imbarazzante.
Ma cos’altro erano? Suo padre non sembrava saperlo. Forse era per quello che era
sempre così infelice, sempre a cambiare ruoli. Forse era per quello che Piper aveva
iniziato a rubare le cose, in cerca di qualcosa che suo padre non poteva darle.
Leo mise gli hamburger di tofu sulla padella. Il vento continuava a imperversare.
Piper ripensò a una vecchia storia che suo padre le aveva raccontato… una che forse
poteva rispondere ad alcune delle sue domande.
Un giorno, quando era in seconda elementare, era tornata a casa in lacrime e aveva
chiesto a suo padre perché l’aveva chiamata Piper. I bambini si prendevano gioco di
lei perché Piper Cherokee era una specie di aeroplano.
Suo padre aveva riso, come se non ci avesse mai pensato. “No, Pipes.
Bell’aeroplano. Non è così che ti ho chiamata. E’ stato Nonno Tom ha scegliere il tuo
nome. La prima volta che ti sentì piangere, ha detto che avevi una voce potente –
migliore di qualsiasi suonatore di flauto di canna – “piper”, appunto. Disse che
avresti imparato a cantare le canzoni Cherokee più difficili, persino la canzone del
serpente.”
“La canzone del serpente?”
Suo padre le raccontò la leggenda – come un giorno una donna Cherokee aveva
visto un serpente giocare troppo vicino a suo figlio e l’avevo ucciso con una roccia,
senza rendersi contro che era il re dei serpenti a sonagli. I serpenti si prepararono
per dare guerra agli umani, ma il marito della donna cercò di fare pace. Promise che
avrebbe fatto qualsiasi cosa per ripagare i serpenti a sonagli. I serpenti lo
obbligarono a rispettare la promessa. Gli dissero di mandare la moglie al pozzo così
che i serpenti potessero morderla e prendere la sua vita in cambio. L’uomo era
straziato, ma fece ciò che gli era stato chiesto. Successivamente, i serpenti rimasero
colpiti dal fatto che l’uomo avesse rinunciato a così tanto e mantenuto la sua
promessa. Gli insegnarono la canzone del serpente perché tutti i Cherokee
potessero usarla. Dal quel momento in poi, se un qualsiasi Cherokee avesse
incontrato un serpente e avesse cantato la canzone, il serpente avrebbe visto il
Cherokee come un amico e non l’avrebbe morso.
“E’ terribile!” aveva detto Piper. “Ha lasciato che sua moglie morisse?”
Suo padre aveva allargato le mani. “E’ stato un sacrificio duro. Ma una sola vita
portò generazioni di pace tra serpenti e Cherokee. Nonno Tom credeva che la
musica Cherokee potesse risolvere quasi ogni problema. Pensava che avresti saputo
molte canzoni, e che saresti stata la più grande musicista della famiglia. E’ questo il
motivo per il quale ti abbiamo chiamata Piper.”
Un sacrificio duro. Suo nonno aveva predetto qualcosa su di lei, persino quando era
una neonata? Aveva intuito che era una figlia di Afrodite? Suo padre le avrebbe
probabilmente detto che era da pazzi. Nonno Tom non era un Oracolo.
Ma in ogni caso… aveva fatto la promessa di aiutare in quell’impresa. I suoi amici
contavano su di lei. L’avevano salvata quando Mida l’aveva trasformata in oro.
L’avevano riportata in vita. Non poteva ripagargli con delle bugie.
Poco a poco, cominciò a riscaldarsi. Smise di tremare e si appoggiò contro il petto di
Jason. Leo passò il cibo. Piper non voleva muoversi, parlare o fare nulla per spezzare
il momento. Ma doveva farlo.
“Dobbiamo parlare.” Si mise seduta così che potesse vedere Jason in faccia. “Non
voglio più nascondervi nulla.”
La guardarono tutti con le bocche piene di hamburger. Ormai era troppo tardi per
cambiare idea.
“Tre notti prima della gita al Grand Canyon,” disse, “ho avuto una visione in sogno –
un gigante, che mi diceva che mio padre era stato preso in ostaggio. Mi ha detto che
dovevo collaborare, o mio padre sarebbe stato ucciso.”
Le fiamme crepitarono.
Alla fine Jason disse, “Encelado? Lo hai già nominato prima.”
Coach Hedge fischiò. “Grosso gigante. Sputa fuoco. Non qualcuno che vorrei
arrostisse il mio papà capra.”
Jason gli diede un’occhiata per zittirlo. “Piper, vai avanti. Cosa è successo poi?”
“Io – io ho cercato di raggiungere mio padre, ma tutto quello che ho ottenuto è
stata la sua assistente personale, e lei mi ha detto di non preoccuparmi.”
“Jane?” ricordò Leo. “Medea non ha detto qualcosa sul fatto che la stava
controllando?”
Piper annuì. “Per riavere indietro mio padre, dovevo sabotare quest’impresa. Non
avevo capito che saremmo stati noi tre. Poi, dopo aver cominciato l’impresa,
Encelado mi ha mandato un altro avvertimento: mi ha detto che vi voleva morti.
Vuole che vi guidi verso una montagna. Non so esattamente quale, ma si trova nella
Bay Area – potevo vedere il Golden Gate dalla cima. Devo essere lì entro il
mezzogiorno del solstizio, domani. Uno scambio.”
Non riusciva a incrociare lo sguardo dei suoi amici. Aspettò che le gridassero contro,
o che le voltassero le spalle, o che la buttassero fuori nella tempesta.
Invece, Jason le si avvicinò e la avvolse di nuovo con le braccia. “Dio, Piper. Mi
dispiace così tanto.”
Leo annuì. “Seriamente. Ti sei portata questa cosa dentro per una settimana? Piper,
ti potevamo aiutare.”
Lei gli fissò. “Perché non mi urlate contro? Mi hanno ordinato di uccidervi!”
“Aw, andiamo,” disse Jason. “Ci hai salvato entrambi in quest’impresa. Ti affiderei la
mia vita in qualsiasi occasione.”
“Per me è lo stesso,” disse Leo. “Posso avere un abbraccio anche io?”
“Voi non capite!” disse Piper. “Probabilmente ho appena ucciso mio padre,
raccontandovi questo.”
“Ne dubito.” Coach Hedge ruttò. Stava mangiando il suo hamburger di tofu avvolto
dentro il piatto di plastica, masticandolo come un taco. “Il gigante non ha ancora
ottenuto quello che vuole, quindi ha ancora bisogno di tuo padre come motivazione.
Aspetterà fino alla scadenza, per vedere se ti farai vedere. Vuole che tu dirotti
l’impresa a questa montagna, giusto?”
Piper annuì incerta.
“Allora ciò vuol dire che Era è tenuta prigioniera da qualche altra parte,” ragionò
Hedge. “E deve essere salvata lo stesso giorno. Quindi dovete scegliere – salvare tuo
padre, o salvare Era. Se andate a cercare Era, allora Encelado penserà a tuo padre.
Inoltre, Encelado non vi lascerà mai andare, anche se collabori. Sei ovviamente una
dei sette della Grande Profezia.”
Una dei sette. Aveva già parlato di quello in precedenza con Jason e Leo, e
supponeva che dovesse essere vero, ma aveva ancora dei problemi a crederci. Non
si sentiva così importante. Lei era solo una stupida figlia di Afrodite. Come poteva
essere così rilevante da essere ingannata e uccisa?
“Quindi non abbiamo scelta,” disse miseramente. “Dobbiamo salvare Era, o il re dei
giganti verrà liberato. E’ questa la nostra impresa. Il mondo dipende da questo. Ed
Encelado sembra avere dei modi per guardarmi. Non è stupido. Saprà se cambiamo
direzione e andiamo dalla parte sbagliata. Ucciderà mio padre.”
“Non ucciderà tuo padre,” disse Leo. “Lo salveremo.”
“Non abbiamo tempo!”gridò Piper. “Inoltre, è una trappola.”
“Noi siamo tuoi amici, reginetta di bellezza,” disse Leo. “Non lasceremo che tuo
padre muoia. Dobbiamo solo pensare a un piano.”
Coach Hedge borbottò. “Aiuterebbe se sapessimo dove si trova questa montagna.
Forse Eolo ve lo può dire. La Bay Area ha una cattiva reputazione per i semidei.
Vecchia dimora dei Titani, il Monte Othrys, sopra al Monte Tam, dove Atlante
sorregge il cielo. Spero che non sia quella la montagna che hai visto.”
Piper cercò di ricordarsi la vista del suo sogno. “Non credo. Si trovava
nell’entroterra.”
Jason si accigliò verso il falò, come se stesse cercando di ricordarsi qualcosa.
“Cattiva reputazione… non sembra giusto. La Bay Area…”
“Credi di essere stato là?” chiese Piper.
“Io…” Sembrava come se si fosse quasi aperta una breccia. Poi l’angoscia tornò nei
suoi occhi. “Non lo so. Hedge, cosa è successo sul Monte Othrys?”
Hedge diede un altro morso di carta e hamburger. “Bè, Crono costruì un nuovo
palazzo lì, la scorsa estate. Grande luogo pericoloso, sarebbe stato il quartier
generale del suo nuovo regno. Non ci fu nessuna battaglia lì, però. Crono marciò su
Manhattan, cercò di prendere l’Olimpo. Se mi ricordo bene, lasciò altri Titani a
guardia del suo palazzo, ma dopo che Crono fu sconfitto a Manhattan, l’intero
palazzo crollò semplicemente da solo.”
“No,” disse Jason.
Lo guardarono tutti.
“Cosa vuol dire, “No”?” chiese Leo.
“Non è quello che è successo. Io –“ Si tese, guardando verso l’entrata della grotta.
“L’avete sentito?”
Per un secondo, non ci fu nulla. Poi Piper gli udì: degli ululati che trafissero la notte.
34
PIPER
“Lupi,” disse Piper. “Sembrano vicini.”
Jason si alzò ed evocò la sua spada. Anche Leo e Coach Hedge si misero in piedi.
Piper ci provò, ma le comparvero dei puntini neri davanti agli occhi.
“Rimani là,” le disse Jason. “Ti proteggeremo noi.”
Lei strinse i denti. Non sopportava sentirsi impotente. Non voleva essere protetta da
nessuno. Prima la sua stupida caviglia. Ora la stupida ipotermia. Voleva stare in
piedi, con il suo pugnale in mano.
Poi, appena fuori dalla luce del fuoco all’entrata della grotta, vide un paio di occhi
rossi che brillavano al buio.
Okay, pensò. Forse un po’ di protezione va bene.
Altri lupi si posizionarono al limite della luce – bestie nere più grandi di un alano
gigante, con ghiaccio e neve incrostati sulle pellicce. Le loro zanne brillavano, e i loro
brillanti occhi rossi sembravano intelligenti in modo inquietante. Il lupo davanti era
alto quasi come un cavallo, la sua bocca era sporca come se avesse appena ucciso
una preda.
Piper tirò il pugnale fuori dalla fodera.
Poi Jason si fece avanti e disse qualcosa in Latino.
Piper non credeva che una lingua morta avrebbe avuto molto effetto su degli
animali selvaggi, ma il lupo alpha incurvò le labbra. Gli si alzò il pelo sulla schiena.
Uno dei suoi tenenti cercò di farsi avanti, ma il lupo alpha lo morse all’orecchio. Poi
tutti i lupi si ritirarono nel buio.
“Amico, devo impararmi il Latino.” Il martello di Leo gli tremava in mano. “Jason,
cosa gli hai detto?”
Hedge imprecò. “Qualsiasi cosa fosse, non era abbastanza. Guardate.”
I lupi stavano tornando, ma il lupo alpha non era con loro. Non attaccarono.
Aspettarono – ora erano almeno una dozzina, in una specie di semicerchio proprio
fuori dalla luce del falò, a bloccare l’uscita della grotta.
Il coach soppesò la sua clava. “Ecco il piano. Io gli uccido tutti, e voi ragazzi
scappate.”
“Coach, la faranno a pezzi,” disse Piper.
“Nah, sono apposto.”
Poi Piper vide la sagoma di un uomo arrivare in mezzo alla tempesta, facendosi
strada tra il branco di lupi.
“Rimaniamo insieme,” disse Jason. “Loro rispettano un branco. E Hedge, niente
pazzie. Non lasceremo lei o nessun altro indietro.”
A Piper venne un groppo in gola. Lei era l’anello debole nel loro “branco” in quel
momento. Senza dubbio i lupi potevano sentire la sua paura. Tanto valeva indossare
un cartello con la scritta PRANZO GRATIS.
I lupi si fecero da parte, e l’uomo si fece avanti nella luce. I suoi capelli erano unti e
ingarbugliati, del colore della fuliggine, con in cima una corona che sembrava essere
fatta di ossa delle dita. I suoi vestiti erano composti da brandelli di pellicce – lupo,
coniglio, procione, cervo e molti altri che Piper non riuscì a identificare. Le pellicce
non sembravano curate e, dall’odore, non erano molto fresche. Aveva un fisico
snello e muscoloso, come un maratoneta. Ma la cosa più orribile era la sua faccia.
Aveva la pelle pallida e sottile, tesa sopra il teschio. I suoi denti erano affilati come
zanne. Gli occhi brillavano di rosso acceso come quelli dei lupi – e si fissarono su
Jason con odio puro.
“Ecce,” disse, “filli Romani.”
“Parla in Inglese, uomo lupo!” sbraitò Hedge.
L’uomo lupo scoprì le zanne. “Dì al tuo fauno di tenere a freno la lingua, figlio di
Roma. O sarà il mio primo spuntino.”
Piper si ricordò che fauno era il nome romano per satiro. Non esattamente
un’informazione utile. Ora, se riusciva a ricordarsi chi era quel tipo lupo nella
mitologia greca, e come sconfiggerlo, quella sarebbe stata un’informazione utile.
L’uomo lupo studiò il loro piccolo gruppo. Le sue narici si contrassero. “Allora è
vero,” rifletté. “Una figlia di Afrodite. Un figlio di Efesto. Un fauno. E un figlio di
Roma, di Lord Giove, niente di meno. Tutti insieme, senza uccidersi a vicenda. Com’è
interessante.”
“Ti hanno raccontato di noi?” chiese Jason. “Chi?”
L’uomo ringhiò – forse una risata, forse una sfida. “Oh, abbiamo perlustrato tutto
l’ovest in cerca di voi, semidio, sperando che saremmo stati i primi a trovarvi. Il re
dei giganti mi ricompenserà bene quando sorgerà. Io sono Licaone, re dei lupi. E il
mio branco è affamato.”
I lupi ringhiarono nel buio.
Con la coda dell’occhio, Piper vide Leo mettere a posto il suo martello e tirare fuori
qualcos’altro dalla cintura – una bottiglia di vetro piena di liquido trasparente.
La mente di Piper correva nel tentativo di posizionare il nome del tipo lupo. Sapeva
di averlo sentito prima, ma non riusciva a ricordarsi i dettagli.
Licaone fissò feroce la spada di Jason. Si mosse da un lato all’altro come se stesse
cercando uno spiraglio, ma la lama di Jason seguiva i suoi movimenti.
“Andatevene,” ordinò Jason. “Non c’è cibo per voi qui.”
“A meno che non vogliate degli hamburger di tofu,” propose Leo.
Licaone scoprì le zanne. A quanto pareva non era un fan del tofu.
“Se potessi fare a modo mio,” disse Licaone con rimpianto, “ti ucciderei per primo,
figlio di Giove. E’ stato tuo padre a trasformarmi in quello che sono. Ero il potente re
mortale di Arcadia, con cinquanta bei figli, e Zeus gli ha uccisi tutti con le sue
saette.”
“Ha,” disse Coach Hedge. “Per delle buone ragioni!”
Jason lanciò un’occhiata alle sue spalle. “Coach, conosce questo pagliaccio?”
“Io lo conosco,” rispose Piper. I dettagli del mito le ritornarono alla memoria – una
storia corta e orribile sulla quale lei e suo padre avevano riso sopra a colazione. Non
stava ridendo adesso.
“Licaone invitò Zeus a cena,” disse. “Ma il re non era certo che fosse davvero Zeus.
Così, per mettere alla prova i suoi poteri, Licaone cercò di servirgli della carne
umana. Zeus si oltraggiò –“
“E uccise i miei figli!” ululò Licaone. Anche i lupi alle sue spalle ulularono.
“Così Zeus lo trasformò in un lupo,” disse Piper. “Chiamano… chiamano i lupi
mannari licantropi, dal suo nome, il primo lupo mannaro.”
“Il re dei lupi,” concluse Coach Hedge. “Un’immortale, puzzolente, malvagio
babbeo.”
Licaone ringhiò. “Ti farò a pezzi, fauno!”
“Oh, vuoi un po’ di capra, amico? Perché ti darò della capra.”
“Smettetela,” disse Jason. “Licaone, hai detto che volevi uccidermi all’inizio, ma…?”
“Purtroppo, Figlio di Roma, sei prenotato. Dal momento che questa –“ agitò i suoi
artigli verso Piper – “non è stata in grado di ucciderti, devi essere consegnato vivo
alla Casa del Lupo. Uno dei miei compatrioti ha chiesto l’onore di ucciderti lei
stessa.”
“Chi?” disse Jason.
Il re dei lupi ridacchiò. “Oh, una tua grande ammiratrice. A quanto pare, hai fatto
una bella impressione su di lei. Penserà a te molto presto, e non posso davvero
lamentarmi. Versare il tuo sangue alla Casa del Lupo marcherà molto bene il mio
nuovo territorio. Lupa ci penserà due volte prima di sfidare il mio branco.”
Il cuore di Piper cercò di saltarle via dal petto. Non aveva capito tutto quello che
aveva detto Licaone, ma una donna che voleva distruggere Jason? Medea, pensò. In
qualche modo doveva essere riuscita a sopravvivere all’esplosione.
Piper si mise a fatica in piedi. Le apparvero nuovamente dei puntini davanti agli
occhi. Sembrava che la grotta stesse ruotando.
“Ve ne andrete ora,” disse Piper, “prima che vi distruggiamo.”
Cercò di incanalare del potere nelle parole, ma era troppo debole. Tremante nelle
coperte, pallida, sudata e a malapena in grado di reggere un pugnale, non poteva
sembrare molto minacciosa.
Gli occhi di rossi di Licaone guizzarono con compiacimento. “Una prova coraggiosa,
ragazza. Lo ammiro. Magari renderò la tua fine rapida. Solo il figlio di Giove serve
vivo. Voi altri, temo, siete la cena.”
In quel momento, Piper seppe che stava per morire. Ma almeno sarebbe morta sui
suoi piedi, combattendo vicino a Jason.
Jason fece un passo in avanti. “Non ucciderai nessuno, uomo lupo. Non senza
passare su di me.”
Licaone ululò ed estrasse gli artigli. Jason affondò verso di lui, ma la spada d’oro lo
attraversò come se il re dei lupi non fosse lì.
Licaone rise. “Oro, bronzo, acciaio – nessuno di questi ha qualche effetto contro i
miei lupi, figlio di Giove.”
“Argento!” gridò Piper. “I lupi mannari non vengono feriti dall’argento?”
“Non abbiamo dell’argento!” disse Jason.
I lupi balzarono nella luce del fuoco. Hedge caricò in avanti con un esaltato “Woot!”
Ma Leo colpì per primo. Lanciò la sua bottiglia di vetro, e questa si frantumò a terra,
schizzando il liquido addosso ai lupi – con l’inconfondibile odore di benzina. Lanciò
una palla di fuoco contro la pozza, ed questa eruttò in un muro di fiamme.
I lupi guairono e si ritirarono. Molti presero fuoco e dovettero correre nella neve.
Persino Licaone guardò a disagio la barriera di fiamme che ora separava i suoi lupi
dai semidei.
“Aw, andiamo,” si lamentò Coach Hedge. “Non posso colpirgli se stanno di là.”
Ogni volta che un lupo si avvicinava, Leo lanciava un’altra ondata di fuoco dalle
mani, ma ogni sforzo sembrava renderlo un po’ più stanco, e la benzina si stava già
consumando. “Non posso evocare più gas!” avvertì Leo. Poi la sua faccia divenne
rossa. “Wow, suonava male. Intendo del tipo che brucia. Ci vorrà un po’ alla cintura
degli attrezzi per ricaricarsi. Tu cos’hai, amico?”
“Niente,” disse Jason. “Nemmeno un’arma che funzioni.”
“Fulmini?” chiese Piper.
Jason si concentrò, ma non successe nulla. “Credo che la tempesta di neve stia
interferendo o qualcosa del genere.”
“Rilascia i venti!” disse Piper.
“Così non avremo nulla da dare a Eolo,” disse Jason. “Saremmo venuti fino a qui per
niente.”
Licaone rise. “Posso sentire la vostra paura. Ancora qualche minuto di vita, eroi.
Pregate qualsiasi divinità vogliate. Zeus non mi concesse pietà, e voi non ne avrete
nessuna da me.”
Le fiamme cominciarono a morire. Jason imprecò e lasciò cadere la spada. Si chinò
come se fosse pronto a combattere corpo a corpo. Leo tirò fuori il martello dallo
zaino. Piper sollevò il pugnale – non molto, ma era tutto quello che aveva. Coach
Hedge soppesò la sua clava, ed era l’unico che sembrava emozionato di morire.
Poi un rumore squarciò il vento – come un pezzo di cartone che veniva strappato.
Un lungo bastone spuntò dal collo del lupo più vicino – il gambo di una freccia
d’argento. Il lupo si contorse e cadde, sciogliendosi in una pozza di ombre.
Altre frecce. Altri lupi che cadevano. Il branco entrò in confusione. Una freccia
lampeggiò verso Licaone, ma il re dei lupi l’afferrò a mezz’aria. Poi urlò dal dolore.
Quando lasciò cadere la freccia, questa gli lasciò un taglio bruciante e fumante sul
palmo della mano.
Un’altra freccia lo colpì ala spalla, e il re dei lupi barcollò.
“Maledette!” urlò Licaone. Ringhiò verso il suo branco, e i lupi si voltarono e
fuggirono. Licaone fissò lo sguardo su Jason con quei suoi brillanti occhi rossi. “Non
finisce qua, ragazzo.”
Il re dei lupi scomparve nella notte.
Qualche secondo più tardi, Piper udì abbaiare altri lupi, ma il suono era diverso –
meno minaccioso, più come cani da caccia che seguivano una preda. Un lupo bianco
più piccolo spuntò nella grotta, seguito da altri due.
Hedge disse, “Uccidiamo?”
“No!” disse Piper. “Aspetti.”
I lupi inclinarono le teste e studiarono i campeggiatori con enormi occhi dorati.
Un attimo dopo, apparvero i loro padroni: un gruppo di cacciatrici con delle tute
mimetiche invernali bianche e grigie, almeno una dozzina. Aveva tutte degli archi,
con faretre di splendenti frecce argentate sulle schiene.
I loro volti erano coperti con cappucci di pelliccia, ma erano chiaramente tutte
ragazze. Una, un po’ più alta delle altre, si accucciò alla luce del fuoco e afferrò la
freccia che aveva ferito la mano di Licaone.
“Così vicina.” Si voltò verso le sue compagne. “Phoebe, rimani con me. Controlla
l’entrata. Voi altre, seguite Licaone. Non possiamo perderlo ora. Vi raggiungerò io.”
Le altre cacciatrici mormorano in assenso e scomparvero, dirette verso il branco di
Licaone.
La ragazza vestita di bianco si girò verso di loro, il suo volto ancora nascosto nel
cappuccio. “Stiamo seguendo la traccia di quel demone da più di una settimana.
State tutti bene? Non è stato morso nessuno?”
Jason fissava la ragazza, pietrificato. Piper si rese conto che qualcosa sulla sua voce
suonava familiare. Era difficile da afferrare ma il modo nel quale parlava, il modo nel
quale formulava le parole, le ricordava Jason.
“Tu sei lei,” indovinò Piper. “Tu sei Talia.”
La ragazza si tese. Piper temeva che potesse scoccare la sua freccia, ma invece si
abbassò il cappuccio. I suoi capelli erano neri e corti, con un cerchietto d’argento
sulla fronte. Il suo volto splendeva con un barlume di forza, come se fosse qualcosa
di più di un umano, e i suoi occhi erano blu acceso. Era la ragazza della fotografia di
Jason.
“Vi conosco?” chiese Talia.
Piper fece un respiro. “Questo potrebbe essere uno shock, ma –“
“Talia.” Jason si fece in avanti, con la voce tremante. “Sono Jason, tuo fratello.”
35
LEO
Leo pensava di avere la fortuna peggiore del gruppo, e ciò diceva tanto. Perché non
era lui ad avere una sorella perduta da tempo o il padre star del cinema che doveva
essere salvato? Tutto quello che lui aveva era una cintura per gli attrezzi e un drago
che si era rotto a metà dell’impresa. Forse era la stupida maledizione della cabina di
Efesto, ma Leo non pensava fosse così. La sua vita era stata sfortunata già da molto
prima che arrivasse al campo.
Un migliaio di anni da quel momento, quando quell’impresa sarebbe stata
raccontata intorno a un falò, pensava che le persone avrebbero parlato del
coraggioso Jason, della bellissima Piper e della loro spalla l’Ardente Valdez, che gli
accompagnò con una borsa di cacciaviti magici e che a volte cucinava hamburger di
tofu.
Se quello non era già brutto abbastanza, Leo si innamorava di qualsiasi ragazza
vedeva – bastava che fosse totalmente fuori dalla sua portata.
Quando vide Talia per la prima volta, Leo pensò immediatamente che fosse
assolutamente troppo carina per essere la sorella di Jason. Poi aveva pensato che
avrebbe fatto meglio a non dirlo o si sarebbe messo nei guai. Gli piacevano i suoi
capelli scuri, gli occhi blu e il suo atteggiamento sicuro di se. Sembrava il tipo di
ragazza che avrebbe potuto calpestare chiunque nell’arena o sul campo di battaglia,
e che non avrebbe concesso a Leo neanche una parola – proprio il suo tipo!
Per un minuto, Jason e Talia si fronteggiarono, sconvolti. Poi Talia si scagliò in avanti
e lo abbracciò.
“Miei dei! Mi aveva detto che eri morto!” Afferrò il volto di Jason e sembrò
esaminare ogni suo dettaglio. “Grazie ad Artemide, sei te. Quella piccola cicatrice sul
labbro – hai provato a mangiare una spillatrice quando avevi due anni!”
Leo rise. “Davvero?”
Hedge annuì come se approvasse il gusto di Jason. “Spillatrici – eccellenti fonti di
ferro.”
“A-aspetta,” balbettò Jason. “Chi ti ha detto che ero morto? Cosa è successo?”
All’entrata della grotta, uno dei lupi bianchi abbaiò. Talia guardò verso di lui e annuì,
ma tenne le mani sul volto di Jason, come se avesse paura che potesse svanire. “Il
mio lupo sta dicendo che non ho molto tempo, e ha ragione. Ma dobbiamo parlare.
Sediamoci.”
Piper fece di meglio. Svenne. Si sarebbe rotta la testa contro il pavimento della
grotta se Hedge non l’avesse afferrata al volo.
Talia si precipitò verso lei. “Cos’ha che non va? Ah – non importa. Lo vedo.
Ipotermia. Caviglia.” Guardò il satiro con disapprovazione. “Non sai usare la
medicazione della natura?”
Hedge fece una risata di scherno. “Perché credi che abbia un aspetto così buono?
Non senti l’odore del Gatorade?”
Talia guardò Leo per la prima volta, e ovviamente fu uno sguardo accusatorio, del
tipo Perché hai lasciato che la capra facesse il dottore? Come se fosse colpa di Leo.
“Tu e il satiro,” ordinò Talia, “portate questa ragazza dalla mia amica all’entrata.
Phoebe è un’eccellente guaritrice.”
“Fa freddo là fuori!” disse Hedge. “Mi si congeleranno le corna.”
Ma Leo capiva quando non ti volevano intorno. “Andiamo, Hedge. Questi due hanno
bisogno di tempo per parlare.”
“Puh! Bene,” borbottò il satiro. “Non ho neanche potuto spaccare la testa a
nessuno.”
Hedge trasportò Piper verso l’entrata. Leo stava per seguirgli quando Jason lo
chiamò, “Veramente, amico, potresti, um, rimanere qui intorno?”
Leo vide qualcosa negli occhi di Jason che non si aspettava: Jason stava chiedendo
sostegno. Voleva che ci fosse qualcun altro lì. Era spaventato.
Fece un grosso sorriso. “Rimanere intorno è la mia specialità.”
Talia non sembrava troppo felice, ma si sedettero tutti e tre intorno al falò. Per
qualche minuto, non parlò nessuno. Jason studiò sua sorella come se fosse un
apparecchio spaventoso – uno che poteva esplodere se fosse stato maneggiato in
maniera sbagliata. Talia sembrava più a suo agio, come se fosse abituata a incappare
in cose più strane di parenti perduti da tempo. Ma guardava comunque Jason in una
sorta di trance attonita, forse ricordandosi un piccolo bambino di due anni che
aveva provato a mangiarsi una spillatrice. Leo tirò fuori dalle tasche qualche pezzo di
filo di rame e li torse insieme.
Alla fine non riuscì a sopportare il silenzio. “Allora… le Cacciatrici di Artemide. Tutta
la faccenda del “niente appuntamenti” – vale tipo sempre, o è più una cosa
stagionale, o cosa?”
Talia lo fissò come se si fosse appena evoluto dalla melma. Sì, quella ragazza gli
piaceva senza alcun dubbio.
Jason gli diede una botta al fianco. “Non badare a Leo. Sta solo cercando di rompere
il ghiaccio. Ma, Talia… cosa è successo alla nostra famiglia? Chi ti ha detto che ero
morto?”
Talia giocherellò con il braccialetto d’argento che aveva al polso. Alla luce del fuoco,
con il suo completo mimetico invernale, assomigliava quasi alla principessa della
neve Chione – esattamente altrettanto fredda e bella.
“Ti ricordi qualcosa?” chiese lei.
Jason scosse la testa. “Mi sono svegliato tre giorni fa su un autobus con Leo e Piper.”
“Cosa che non è stata colpa nostra,” aggiunse velocemente Leo. “Era gli ha rubato la
memoria.”
Talia si tese. “Era? Come fate a saperlo?”
Jason gli spiegò della loro impresa – la profezia la campo, Era che era stata
imprigionata, il gigante che aveva preso il padre di Piper e la scadenza del solstizio
d’inverno. Leo si intromise per aggiungere le cose importanti: come aveva
aggiustato il drago di bronzo, come era in grado di lanciare palle di fuoco e fare degli
eccellenti taco.
Talia era una buona ascoltatrice. Niente sembrava sorprenderla – i mostri, le
profezie, i morti che risorgevano. Ma quando Jason parlò di Re Mida, lei imprecò in
greco antico.
“Sapevo che avremmo dovuto bruciare la sua villa,” disse. “Quell’uomo è una
minaccia. Ma eravamo così prese a seguire Licaone – Bè, sono contenta che siete
scappati. Così Era ti ha… cosa, tenuto nascosto tutti questi anni?”
“Non lo so.” Jason tirò fuori la foto dalla sua tasca. “Mi ha lasciato giusto la memoria
necessaria per riconoscere il tuo volto.”
Talia guardò la foto, e la sua espressione si ammorbidì. “Mi ero dimenticata di
quella. L’ho lasciata nella Cabina Uno, vero?”
Jason annuì. “Credo che Era voleva che ci incontrassimo. Quando siamo atterrati qui,
in questa grotta… ho avuto la sensazione che fosse importante. Come se sapessi che
eri vicina. E’ una follia?”
“Nah,” lo rassicurò Leo. “Eravamo assolutamente destinati a incontrare la tua
attraente sorella.”
Talia lo ignorò. Probabilmente non voleva lasciar intendere quanto Leo l’avesse
impressionata.
“Jason,” disse lei, “quando hai a che fare con gli dei, niente è una follia. Ma non puoi
fidarti di Era, soprattutto dal momento che noi siamo figli di Zeus. Lei odia tutti i figli
di Zeus.”
“Ma lei ha parlato di qualcosa riguardo a Zeus che le ha donato la mia vita come
un’offerta di pace. Ha senso?”
Il colore abbandonò il volto di Talia. “Oh, dei. Nostra madre non avrebbe… Non ti
ricordi – No, certo che no.”
“Cosa?” chiese Jason.
I tratti di Talia sembrarono farsi più adulti alla luce del fuoco, come se la sua
immortalità non stesse funzionando così bene. “Jason… non so bene come dirlo.
Nostra madre non era esattamente stabile. Catturò l’attenzione di Zeus perché era
un’attrice televisiva, ed era bellissima, ma non è riuscita a reggere bene la fama.
Beveva, faceva degli stupidi imbrogli. Era sempre nei giornali di gossip. Non riusciva
mai a ottenere abbastanza attenzioni. Persino prima che tu nascessi, io e lei
litigavamo sempre. Lei… lei sapeva che nostro padre era Zeus e credo che ciò per lei
fosse troppo da accettare. Per lei attirare il signore del cielo era come il traguardo
massimo, e non riuscì ad accettarlo quando lui se ne andò. Gli dei… bè, loro non
rimangono nei paraggi.”
Leo si ricordò di sua madre, il modo nel quale gli assicurava ancora e ancora che suo
padre sarebbe un giorno tornato. Ma lei non aveva mai fatto la pazza al riguardo.
Non sembrava che volesse Efesto per se stessa – solo così che Leo potesse
conoscere suo padre. Si era adattata a fare un lavoro senza via d’uscita, vivendo in
un minuscolo appartamento, senza mai avere abbastanza soldi – e sembrava che ciò
le andava bene. Finché aveva Leo, diceva sempre, la vita andava bene.
Guardò il volto di Jason – sempre più devastato man mano che Talia gli descriveva la
loro madre – e per una volta non si sentì geloso per il suo amico. Poteva aver perso
sua madre. Poteva aver vissuto dei periodi difficili. Ma almeno se la ricordava. Si
ritrovò a picchiettare un messaggio in codice Morse sul suo ginocchio: Ti voglio
bene. Gli dispiaceva per Jason, per non avere ricordi del genere – non avere nulla a
cui aggrapparsi.
“Allora…” Jason non sembrava in grado di finire la domanda.
“Jason, tu hai degli amici,” gli disse Leo. “Ora hai una sorella. Non sei da solo.”
Talia gli offrì la mano, e Jason la prese.
“Quando avevo circa sette anni,” disse lei, “Zeus ricominciò a fare vista a mamma.
Credo che si sentisse male per averle rovinato la vita, e sembrava – diverso, in
qualche modo. Un po’ più vecchio e severo, più paterno nei miei confronti. Per un
po’, mamma migliorò. Adorava avere Zeus intorno, che le portava dei regali, faceva
rombare il cielo per lei. Voleva sempre più attenzioni. Quello fu l’anno in cui sei nato
te. Mamma… bè, non ci sono mai andata d’accordo, ma tu mi hai dato una ragione
per rimanere. Eri così tenero. E non mi fidavo di mamma per badarti. Ovviamente,
alla fine Zeus smise di nuovo di venire. Probabilmente non reggeva più le continue
richieste di mamma, che lo tormentava sempre di lasciarla visitare l’Olimpo, o di
renderla immortale o eternamente bella. Quando se ne andò, nostra madre divenne
sempre più instabile. Quello fu più o meno il periodo nel quale i mostri
cominciarono ad attaccarmi. Nostra madre dava la colpa a Era. Sosteneva che la dea
stava dando la caccia anche a te – che Era avesse a malapena tollerato la mia
nascita, ma due figli semidei dalla stessa famiglia era un insulto troppo grande.
Nostra madre ha persino detto che non voleva chiamarti Jason, ma Zeus aveva
insistito, come modo per placare Era, perché alla dea piaceva quel nome. Io non
sapevo cosa credere.”
Leo giocherellò con i suoi fili di rame. Si sentiva come un intruso. Non avrebbe
dovuto ascoltare quelle cose, ma lo faceva anche sentire come se stesse conoscendo
Jason per la prima volta – come se magari essere là in quel momento compensava
per quei quattro mesi alla Wilderness School, quando Leo aveva solo immaginato
che avevano un’amicizia.
“Come vi siete separati?” chiese.
Talia strinse la mano di suo fratello. “Se avessi saputo che eri vivo… dei, le cose
sarebbero state così diverse. Ma quando avevi due anni, nostra madre ci caricò in
macchina per una vacanza di famiglia. Guidammo verso nord, verso il paese del vino,
a questo parco che voleva mostrarci. Mi ricordo di aver pensato che era strano
perché mamma non ci portava mai da nessuna parte, e sembrava molto nervosa. Io
ti stavo tenendo la mano, accompagnandoti verso questo grande edificio al centro
del parco, e…” Fece un respiro tremante. “Mamma mi disse di tornare alla
macchina e prendere il cestino da picnic. Io non volevo lasciarti da solo con lei, ma si
trattava solo di qualche minuto. Quando tornai… mamma era in ginocchio sui
gradini di pietra, con le mani intorno al corpo e in lacrime. Disse – disse che eri
andato via. Disse che Era ti aveva reclamato ed eri praticamente morto. Io non
sapevo cosa aveva fatto. Temevo che fosse completamente impazzita. Sono corsa
per tutto il parco cercandoti, ma tu eri semplicemente svanito. Dovette trascinarmi
via, mentre scalciavo e urlavo. I giorni seguenti fui isterica. Non ricordo tutto, ma
denunciai mamma alla polizia e loro la interrogarono per molto tempo. In seguito,
litigammo. Lei mi disse che l’avevo tradita, che avrei dovuto sostenerla, come se lei
fosse l’unica che contava. Alla fine non ce la feci più. La tua scomparsa fu l’ultima
goccia. Scappai di casa, e non tornai più, nemmeno quando nostra madre morì
qualche anno fa. Pensavo che te ne fossi andato per sempre. Non ho mai raccontato
a nessuno di te – nemmeno ad Annabeth o Luke, i miei due migliori amici. Era
semplicemente troppo doloroso.”
“Chirone lo sapeva.” La voce di Jason sembrava molto distante. “Quando sono
arrivato al campo, lui mi ha dato un’occhiata e ha detto, “Dovresti essere morto.””
“Questo non ha senso,” insistette Talia. “Non gliel’ho mai raccontato.”
“Hey,” disse Leo. “La cosa importante è che ora vi siete ritrovati, giusto? Voi due
siete fortunati.”
Talia annuì. “Leo ha ragione. Guardati. Hai la mia età. Sei cresciuto.”
“Ma dove sono stato?” disse Jason. “Come ho potuto essere scomparso per tutti
quel tempo? E le cose Romane…”
Talia si accigliò. “Le cose Romane?”
“Tuo fratello parla Latino,” disse Leo. “Chiama le divinità con i loro nomi romani, e
ha dei tatuaggi.” Leo indicò i segni sull’avambraccio di Jason. Poi diede a Talia il
riassunto sulle altre strane cose che erano accadute: Borea che si era strasformato
in Aquilon, Licaone che aveva chiamato Jason un “figlio di Roma” e i lupi che si erano
fatti indietro quando Jason aveva parlato in Latino.
Talia pizzicò la corda del suo arco. “Latino. Zeus a volte parlava in Latino, la seconda
volta che è stato con mamma. Come ho detto, sembrava diverso, più formale.”
“Credi che fosse nel suo aspetto romano?” chiese Jason. “E questo è il motivo per il
quale mi considero un figlio di Giove?”
“E’ possibile,” disse Talia. “Non ho mai sentito accadere una cosa del genere, ma
potrebbe spiegare perché pensi in termini romani, perché sai parlare Latino
piuttosto che Greco Antico. Questo ti renderebbe unico. Tuttavia, non spiega
comunque come sei sopravissuto senza il Campo Mezzosangue. Un figlio di Zeus, o
Giove, o comunque lo voglia chiamare – saresti stato braccato dai mostri. Se eri da
solo, saresti dovuto morire anni fa. So che io non sarei stata in grado di sopravvivere
senza i miei amici. Avresti avuto bisogno di addestramento, di un porto sicuro –“
“Non era da solo,” la interruppe Leo. “Abbiamo sentito di altri come lui.”
Talia lo guardò in maniera strana. “Cosa vuoi dire?”
Leo le racconto della maglietta viola a brandelli nel grande magazzino di Medea, e
della storia che i Ciclopi gli avevano raccontato sul figlio di Mercurio che parlava
Latino.
“Non c’è nessun altro posto per i semidei?” chiese Leo. “Voglio dire, oltre al Campo
Mezzosangue? Forse c’è qualche pazzo insegnante di Latino che sequestra i figli
degli dei o qualcosa del genere, facendogli pensare come i romani.”
Non appena lo disse, Leo si rese conto di quanto suonasse stupida l’idea. Gli
abbaglianti occhi blu di Talia lo studiarono attentamente, facendolo sentire come un
sospettato in una prova di riconoscimento.
“Sono stata per tutto il paese,” rifletté Talia. “Non ho mai visto tracce di un
insegnante di Latino pazzo, o di semidei con magliette viola. Tuttavia…” La sua voce
si spense, come se avesse appena avuto un pensiero che l’aveva turbata.
“Cosa?” chiese Jason.
Talia scosse la testa. “Dovrò parlare con la dea. Forse Artemide ci guiderà.”
“Continua a parlare con voi?” chiese Jason. “La maggior parte degli Dei sono spariti.”
“Artemide segue le sue stesse regole,” disse Talia. “Deve stare attenta a non farlo
sapere a Zeus, ma pensa che Zeus si stia comportando in maniera ridicola facendo
chiudere l’Olimpo. E’ lei che ci ha indirizzate sulla pista di Licaone. Ha detto che
avremmo trovato una traccia su un nostro amico scomparso.”
“Percy Jackson,” indovinò Leo. “Il ragazzo che sta cercando Annabeth.”
Talia annuì, il suo volto carico di preoccupazione.
Leo si chiese se qualcuno fosse mai apparso così preoccupato tutte le volte che lui
era scomparso. Ne dubitava.
“Allora cosa avrebbe a che fare Licaone con questo?” chiese Leo. “E come si collega
a noi?”
“Dobbiamo scoprirlo presto,” ammise Talia. “Se la vostra scadenza è domani, stiamo
sprecando tempo. Eolo vi può dire –“
Il lupo bianco comparve di nuovo sulla soglia e guaì con insistenza.
“Devo mettermi in marcia,” Talia si alzò. “Altrimenti perderò la traccia delle altre
Cacciatrici. Prima, però, vi accompagnerò al palazzo di Eolo.”
“Se non puoi, va bene,” disse Jason, anche se sembrava un po’ angosciato.
“Oh, ti prego.” Talia sorrise e lo aiutò ad alzarsi. “Non ho avuto un fratello per anni.
Credo di poter reggere qualche minuto con te prima che diventi irritante. Ora,
andiamo!”
36
LEO
Quando Leo vide come erano trattati bene Piper e Hedge, fu completamente offeso.
Se li era immaginati con il didietro congelato nella neve, ma la Cacciatrice Phobe
aveva allestito questa tenda d’argento a forma di padiglione proprio fuori dalla
grotta. Come aveva fatto a farlo così velocemente, Leo non ne aveva idea, ma
all’interno c’era una stufa a benzina che gli teneva belli al caldo e un mucchio di
comodi cuscini. Piper sembrava essere tornata alla normalità, vestita con una nuova
giacca a vento, guanti e pantaloni mimetici come una Cacciatrice. Lei, Hedge e
Phobe si stavano rilassando, bevendo cioccolata calda.
“Oh, non è possibile,” disse Leo. “Noi eravamo seduti in una grotta e voi avete la
tenda di lusso? Qualcuno mi dia un’ipotermia. Voglio della cioccolata calda e una
giacca a vento!”
Phobe sbuffò. “Ragazzi,” disse, come se fosse il peggior insulto al quale potesse
pensare.
“E’ tutto apposto, Phobe,” disse Talia. “Avranno bisogno di giacconi in più. E credo
che possiamo dargli della cioccolata.”
Phoebe borbottò, ma presto anche Leo e Jason furono vestiti con indumenti
invernali argentati incredibilmente leggeri e caldi. La cioccolata calda era da prima
classe.
“Alla vostra salute!” disse Coach Hedge. Sgranocchiò il suo termos di plastica.
“Non può essere una buona cosa per il suo intestino,” disse Leo.
Talia diede una pacca sulla schiena di Piper. “Sei pronta per muoverti?”
Piper annuì. “Grazie a Phoebe, sì. Voi ragazze siete davvero brave a questa cosa
della sopravvivenza nella natura selvaggia. Mi sento come se fossi in grado di
correre quindici chilometri.”
Talia fece l’occhiolino a Jason. “E’ tosta per essere una figlia di Afrodite. Mi piace.”
“Hey, anche io potrei correre quindici chilometri,” propose Leo. “Tosto ragazzo di
Efesto quaggiù. Diamogli attenzioni.”
Naturalmente, Talia lo ignorò.
Phobe ci impiegò esattamente sei secondi per smontare l’accampamento, cosa alla
quale Leo non poté credere. La tenda implose da sola su se stessa diventando un
quadrato grande come una gomma da masticare. Leo voleva chiederle il progetto,
ma non avevano tempo.
Talia corse su per la collina nella neve, costeggiando un minuscolo sentiero sul lato
della montagna, e Leo si pentì presto di aver cercato di sembrare un macho, perché
le Cacciatrici lo lasciarono nella polvere. Coach Hedge saltellava intorno come una
felice capra di montagna, spronandoli come faceva durante le camminate a scuola.
“Andiamo, Valdez! Tieni il passo! Cantiamo. Ho una ragazza in Kalamazoo –“
“No,” tagliò corto Talia.
Così corsero in silenzio.
Leo si ritrovò vicino a Jason alla fine del gruppo. “Come va, amico?”
L’espressione di Jason bastava come risposta: Non bene.
“Talia l’ha presa così tranquillamente,” disse Jason. “Come se il fatto che sia apparso
non sia una grande cosa. Non so cosa mi aspettavo, ma… lei non è come me. Sembra
così più tranquilla.”
“Hey, lei non sta combattendo contro l’amnesia,” disse Leo. “Inoltre, ha avuto più
tempo per abituarsi a tutta questa faccenda dei semidei. Combatti i mostri e parli
con gli dei per un pò, e probabilmente ti abitui alle sorprese.”
“Forse,” disse Jason. “Vorrei solo capire cosa è successo quando avevo due anni,
perché mia madre si è sbarazzata di me. Talia è scappata per causa mia.”
“Hey, qualsiasi cosa sia successa, non è stata colpa tua. E tua sorella è piuttosto
forte. Lei ti assomiglia un sacco.”
Jason prese quel commento in silenzio. Leo si chiese se aveva detto la cosa giusta.
Voleva far stare Jason meglio, ma questo andava molto oltre il suo territorio
abituale.
Leo desiderò poter mettere la mano nella sua cintura degli attrezzi e afferrare la
chiave giusta per aggiustare la memoria di Jason – magari un piccolo martello –
picchiettare sui punti inceppati e far funzionare tutto nel modo giusto. Quello
sarebbe stato moto più facile che cercare di risolvere parlando. Non bravo con le
forme di vita organica. Grazie per quei tratti ereditari, papà.
Era così perso nei suoi pensieri, che non si accorse che le Cacciatrici si erano
fermate. Andò a sbattere contro Talia e per poco non mandò entrambi giù per il
fianco della montagna nel modo più doloroso. Fortunatamente, la Cacciatrice era
ben piantata sui suoi piedi. Resse entrambi, poi indicò in alto.
“Quella,” disse con voce strozzata Leo, “è una roccia davvero grande.”
Si trovavano vicino alla cima di Pikes Peak. Sotto di loro, il mondo era ricoperto dalle
nuvole. L’aria era così fine, che Leo riusciva a malapena a respirare. Era calata la
notte, ma brillava una luna piena e le stelle erano incredibili. Verso nord e sud si
estendevano le cime di altre montagne, sorgendo dalle nuvole come isole – o denti.
Ma il vero spettacolo si trovava sopra di loro. Librata nel cielo, a circa mezzo
chilometro di distanza, c’era un enorme isola galleggiante fatta di brillante pietra
viola. Era difficile giudicarne le dimensioni, ma Leo immaginò che fosse almeno larga
come un stadio di calcio e altrettanto alta. I lati erano composti da scogliere
irregolari, crivellate da grotte, e di tanto in tanto ne usciva fuori una raffica di vento,
producendo un suono simile al fischio di un organo a canne. Sulla cima della roccia,
mura di ottone circondavano una qualche fortezza.
L’unica cosa che collegava Pikes Peak all’isola galleggiante era uno stretto ponte di
ghiaccio che luccicava alla luce della luna.
Poi Leo si accorse che il ponte non era esattamente di ghiaccio, perché non era
solido. Quando il vento cambiava direzione, il ponte si muoveva come un serpente –
facendosi confuso e più stretto, rompendosi persino in alcuni tratti, diventando una
linea puntinata come la scia di vapore di un aeroplano.
“Non lo attraverseremo davvero,” disse Leo.
Talia scrollò le spalle. “Non sono una grande fan delle altezze, lo ammetto. Ma se
volete raggiungere la fortezza di Eolo, questo è l’unico modo.”
“La fortezza sta sempre sospesa qui?” chiese Piper. “Come fanno le persone a non
notarla posizionata sulla cima di Pikes Peak?”
“La Foschia,” disse Talia. “Tuttavia, i mortali la notano indirettamente. Alcuni giorni,
Pikes Peak appare viola. Le persone dicono che è un gioco della luce, ma in realtà è il
colore del palazzo di Eolo, che si riflette sulla faccia della montagna.”
“E’ enorme,” disse Jason.
Talia rise. “Dovresti vedere l’Olimpo, fratellino.”
“Sei seria? Ci sei stata?”
Talia storse la bocca come se non fosse un bel ricordo. “Dovremmo attraversare in
due gruppi diversi. Il ponte è fragile.”
“Questo è rassicurante,” disse Leo. “Jason, non puoi semplicemente farci volare là
sopra?”
Talia rise. Poi sembrò rendersi conto che la domanda di Leo non era uno scherzo.
“Aspetta… Jason, tu sai volare?”
Jason fissò la fortezza volante. “Bè, più o meno. E’ più come saper controllare il
vento. Ma i venti la sopra sono così forti, che non sono certo di voler provare. Talia
vuoi dire… tu non sai volare?”
Per un secondo, Talia sembrò genuinamente spaventata. Poi mise la sua espressione
sotto controllo. Leo capì che era molto più spaventata delle altezze di quanto stava
lasciando intendere.
“In verità,” disse lei, “non ci ho mai provato. Sarebbe meglio se rimaniamo con il
ponte.”
Coach Hedge testò la scia di vapore ghiacciato con lo zoccolo, poi saltò sul ponte.
Incredibilmente, resse il suo peso. “Facile! Vado io per primo. Piper, vieni, ragazza. Ti
do una mano,.”
“No, va tutto bene,” cominciò a dire Piper, ma il coach afferrò la sua mano e la
trascinò su per il ponte.
Quando si trovavano più o meno a metà strada, il ponte sembrava continuare a
reggergli alla perfezione.
Talia si girò verso la sua amica Cacciatrice. “Phobe, tornerò presto. Vai a trovare le
altre. Dì loro che sto arrivando.”
“Sei sicura?” Phobe strinse gli occhi verso Leo e Jason, come se potessero rapire
Talia o una cosa del genere.
“Va tutto bene,” assicurò Talia.
Phobe annuì con riluttanza, poi corse giù per il sentiero della montagna, con i lupi
bianchi al seguito.
“Jason, Leo, state solo attenti a dove mettete i piedi,” disse Talia. “Si rompe
difficilmente.”
“Non ha ancora incontrato me,” borbottò Leo, ma lui e Jason aprirono la strada su
per il ponte.
A metà strada, le cose andarono storte, e ovviamente fu per colpa di Leo. Piper e
Hedge erano già al sicuro in cima e li stavano facendo dei segni, incoraggiandoli a
continuare a salire, ma Leo si distrasse. Stava pensando ai ponti – a come lui
avrebbe progettato qualcosa di molto più stabile si questa cosa di vapore ghiacciato
in movimento, se si fosse trattato del suo palazzo. Stava pensando a tiranti e a
colonne di supporto. Poi una rivelazione improvvisa lo bloccò nel suo cammino.
“Perché hanno un ponte?” chiese.
Talia si accigliò. “Leo, questo non è un posto adatto per fermarsi. Cosa vuoi dire?”
“Loro sono spiriti del vento,” disse Leo. “Non sanno volare?”
“Sì, ma a volte hanno bisogno di un modo per collegarsi al mondo di sotto.”
“Quindi il ponte non sta sempre qui?” chiese Leo.
Talia scosse la testa. “Agli spiriti del vento non piace ancorarsi alla terra, ma a volte è
necessario. Come ora. Sanno che state venendo.”
La mente di Leo stava correndo. Era così emozionato che poteva quasi sentire la sua
temperatura corporea alzarsi. Non riusciva a trasformare perfettamente i suoi
pensieri in parole, ma sapeva che era sulla strada giusta per qualcosa di importante.
“Leo?” disse Jason. “A cosa stai pensando?”
“Oh, dei,” disse Talia. “Continuiamo a muoverci. Guarda i tuoi piedi.”
Leo si trascinò indietro. Con orrore, si rese conto che la sua temperatura corporea
stava davvero salendo, proprio come aveva fatto anni fa a quel tavolo da picnic
sotto l’albero di nocciolo, quando la sua rabbia aveva preso il sopravvento. Ora, era
l’emozione che stava causando la reazione. I suoi pantaloni fumavano nell’aria
fredda. Le sue scarpe erano letteralmente in fumo, e al ponte la cosa non piaceva. Il
ghiaccio si stava assottigliando.
“Leo, smettila,” avvertì Jason. “Così lo scioglierai.”
“Ci proverò,” disse Leo. Ma il suo corpo si stava surriscaldando da solo, correndo
veloce come i suoi pensieri. “Jason, ascolta, come ti aveva chiamato Era in quel
sogno? Ti ha definito un ponte.”
“Leo, seriamente, raffreddati,” disse Talia. “Non so di cosa tu stia parlando, ma il
ponte è –“
“Ascoltate,” insistette Leo. “Se Jason è un ponte, cosa sta collegando? Forse due
posti diversi che normalmente non vanno d’accordo – come il palazzo d’aria e la
terra. Dovevi essere da qualche parte prima d’ora, giusto? Ed Era ha detto che eri
uno scambio.”
“Uno scambio.” Gli occhi di Talia si spalancarono. “Oh, dei.”
Jason aggrottò le sopracciglia. “Di cosa state parlando voi due?”
Talia mormorò qualcosa di simile a una preghiera. “Ora capisco perché Artemide mi
ha mandata qui. Jason – lei mi ha detto di dare la caccia a Licaone così avrei trovato
un indizio su Percy. Tu sei l’indizio. Artemide voleva che ci incontrassimo così da
poter sentire la tua storia.”
“Non capisco,” protestò lui. “Io non ho una storia. Non ricordo nulla.”
“Ma Leo ha ragione,” disse Talia. “E’ tutto collegato. Se solo sapessimo dove –“
Leo schioccò le dita. “Jason, come hai chiamato quel posto nel tuo sogno? Quella
casa in rovine. Casa del Lupo?”
Talia per poco non si strozzò. “La Casa del Lupo? Jason, perché non me l’hai detto! E’
lì che tengono Era?”
“Tu sai dove si trova?” chiese Jason.
Poi il ponte si dissolse. Leo sarebbe caduto incontro alla sua morte, ma Jason lo
afferrò dal giaccone e lo tirò su. Loro due sia arrampicarono su per il ponte e,
quando si voltarono, Talia si trovava dall’altro lato di un abisso di dieci metri.
Il ponte stava continuando a sciogliersi.
“Andate!” urlò Talia, indietreggiando lungo il ponte mentre questo si sgretolava.
“Scoprite dove il gigante sta tenendo il padre di Piper. Salvatelo! Io porterò le
Cacciatrici alla Casa del Lupo e la difenderò finché non arriverete voi. Possiamo fare
entrambe le cose!”
“Ma dov’è la Casa del Lupo?” urlò Jason.
“Tu sai dove si torva, fratellino!” Ora era così distante che riuscivano a malapena a
sentire la sua voce sopra la vento. Leo era piuttosto sicuro che avesse detto: “Ci
vediamo lì. Te lo prometto.”
Poi si voltò e corse lungo il ponte in dissolvenza.
Leo e Jason non avevano tempo per gingillarsi. Si arrampicarono, correndo per
salvarsi la vita, con il vapore ghiacciato che si assottigliava sotto i loro piedi.
Numerose volte, Jason afferrò Leo e usò i venti per mantenere entrambi in aria, ma
sembrava più di stare facendo bungee jumping, che volare.
Quando raggiunsero l’isola galleggiante, Piper e Coach Hedge li tirarono sopra
proprio mentre l’ultimo pezzo del ponte di vapore svaniva. Rimasero a boccheggiare
per respirare alla base di una scalinata di pietra cesellata nel fianco della scogliera,
che portava alla fortezza.
Leo guardò in giù. La cima di Pikes Peak galleggiava sotto di loro in un mare di
nuvole, ma non c’era traccia di Talia. E Leo aveva appena bruciato la loro unica via
d’uscita.
“Cosa è successo?” chiese Piper. “Leo, perché i tuoi vestiti stanno fumando?”
“Mi sono scaldato un po’,” disse senza fiato. “Mi dispiace Jason. Davvero. Io non –“
“E’ tutto okay,” disse Jason, ma la sua espressione era torva. “Abbiamo meno di
ventiquattr’ore per salvare una dea e il padre di Piper. Andiamo a trovare il re dei
venti.”
37
JASON
Jason aveva trovato sua sorella e l’aveva persa in meno di un’ora. Mentre salivano
su per la scogliera dell’isola galleggiante, continuava a guardarsi indietro, ma Talia se
n’era andata.
Malgrado quello che gli aveva detto circa il rivedersi di nuovo, Jason era incerto. Lei
aveva trovato una famiglia nelle Cacciatrici, e una nuova madre in Artemide.
Sembrava così sicura di sé e a suo agio con la sua vita che Jason non era certo se ne
avrebbe mai fatto parte. E sembrava così determinata a trovare il suo amico Percy.
Aveva mai cercato Jason in quel modo?
Non è leale, si disse. Pensava che fossi morto.
Riusciva a malapena a tollerare quello che gli aveva detto sulla loro madre. Era quasi
come se Talia gli avesse dato un bambino – un bambino davvero rumoroso e brutto
– e avesse detto, Ecco, questo è tuo. Portalo con te. Lui non voleva portarlo con sé.
Non voleva guardarlo o reclamarlo. Non voleva sapere che aveva una madre
instabile che si era sbarazzata di lui per placare una dea. Non c’era da stupirsi che
Talia fosse scappata.
Poi si ricordò della cabina di Zeus al Campo Mezzosangue – quella minuscola nicchia
che Talia aveva usato come cuccetta, fuori dal campo visivo della torva statua del
dio del cielo. Neanche il loro padre era un grande affare. Jason capiva anche perché
Talia aveva rinunciato a quella parte della sua vita, ma era comunque risentito. Lui
non poteva essere così fortunato. Lui era stato lasciato a trasportare il carico –
letteralmente.
Lo zaino d’oro dei venti era sulle sue spalle. Più si avvicinavano al palazzo di Eolo, più
la borsa diventava pesante. I venti si dibattevano, lamentandosi e sobbalzando.
L’unico che sembrava essere di buon umore era Coach Hedge. Continuava a balzare
per le scale scivolose e a saltellare tornando indietro. “Andiamo, pasticcini! Solo
qualche altro migliaio di scalini!”
Mentre salivano, Leo e Piper lasciarono Jason in silenzio. Forse potevano avvertire il
suo malumore. Piper continuava a lanciare occhiate indietro, preoccupata, come se
fosse lui quello che era quasi morto di ipotermia invece di lei. O forse stava
pensando all’idea di Talia. Le avevano raccontato quello che aveva detto Talia sul
ponte – come potevano salvare sia suo padre che Era – ma Jason non capiva
davvero come ci sarebbero riusciti, e non era certo se la possibilità aveva reso Piper
più speranzosa o solo più ansiosa.
Leo continuava a picchiettarsi le gambe, in cerca di segni che i suoi pantaloni
andavano a fuoco. Non fumava più, ma l’incidente sul ponte di ghiaccio aveva
davvero agitato Jason. Leo non era sembrato accorgersi che aveva del fumo che gli
usciva dalle orecchie e delle fiamme che gli danzavano nei capelli. Se Leo cominciava
ad avere delle combustioni spontanee ogni volta che si emozionava, avrebbero
avuto dei grossi problemi a portarlo ovunque. Jason si immaginò a cercare di
ordinare del cibo in un ristorante. Io prendo un cheeseburger e – Ahhh! Il mio amico
va a fuoco! Portatemi un secchio!
Ma soprattutto, Jason era preoccupato per quello che aveva detto Leo. Non voleva
essere un ponte, o uno scambio, o qualsiasi altra cosa. Voleva solo sapere da dove
veniva. E Talia era apparsa così spaventata quando Leo aveva parlato della casa
bruciata dei suoi sogni – il luogo che Lupa gli aveva detto essere il suo punto di
partenza. Come faceva Talia a conoscere quel luogo, e perché dava per scontato che
Jason potesse trovarlo?
La risposta sembrava vicina. Ma più Jason ci si avvicinava, meno questa collaborava,
come i venti sulla sua schiena.
Alla fine arrivarono sulla cima dell’isola. Mura di bronzo correvano tutto intorno al
terreno della fortezza, anche se Jason non riusciva a immaginare chi avrebbe mai
voluto attaccare quel posto. Dei cancelli alti sei metri si aprirono per loro, e una
strada di lucide pietre viola conduceva alla rocca principale – una rotonda bianca
circondata da colonne, in stile Greco, come uno dei monumenti a Washington D.C. –
ad eccezione per il gruppo di parabole e torri radio che si trovavano sul tetto.
“Questo è bizzarro,” disse Piper.
“Immagino che non puoi ricevere segnale su un’isola galleggiante,” disse Leo.
“Cavoli, date un’occhiata al giardino di questo tipo.”
La rotonda si trovava al centro di un cerchio di mezzo chilometro. Il suolo era
stupefacente in un modo spaventoso. Era diviso in quattro sezioni come grosse fette
di pizza, ognuna rappresentante una stagione.
La sezione alla loro destra era una landa congelata, con alberi spogli e un lago
ghiacciato. Pupazzi di neve rotolavano lungo il paesaggio mentre il vento soffiava,
quindi Jason non era certo se fossero delle decorazioni o esseri vivi.
Alla loro sinistra c’era un parco autunnale con alberi dorati e rossi. Tumuli di foglie si
muovevano formando dei disegni – divinità, persone, animali che si rincorrevano a
vicenda prima di disperdersi nuovamente in foglie.
In lontananza, Jason poté vedere altre due aree dietro la rotonda. Una assomigliava
a un pascolo verde con pecore formate dalle nuvole. L’ultima sezione era un deserto
dove delle balle di fieno scalfivano strani disegni sulla sabbia come delle lettere
greche, faccine che sorridevano e un enorme annuncio pubblicitario che diceva:
GUARDA IL SERALE DI EOLO!
“Una sezione per ciascuna delle quattro divintà del vento,” indovinò Jason. “Quattro
punti cardinali.”
“Adoro il pascolo.” Coach Hedge si leccò le labbra. “A voi ragazzi dispiace se –“
“Vada pure,” disse Jason. In realtà era sollevato di allontanare il satiro. Sarebbe già
stato abbastanza difficile entrare nelle grazie di Eolo senza Coach Hedge che
dimenava la sua clava urlando, “Muori!”
Mentre il satiro correva per attaccare la primavera, Jason, Leo e Piper camminarono
lungo la strada fino ai gradini del palazzo. Attraversarono le porte d’ingresso
entrando in un atrio di marmo bianco decorato con striscioni viola che dicevano
CANALE DELLE PREVISIONI DEGLI DEI DELL’OLIMPO, e su alcuni c’era semplicemente
scritto OW!
“Salve!” Una donna fluttuò verso di loro. Fluttuò letteralmente. Era carina con
quell’aspetto da elfo che Jason associava agli spiriti della natura al Campo
Mezzosangue – minuta, orecchie leggermente a punta e un volto senza età che
avrebbe potuto avere sedici o trent’anni. I suoi occhi castani luccicavano in modo
allegro. Sebbene non ci fosse vento, i suoi capelli scuri ondeggiavano al rallentatore,
come in una pubblicità dello shampoo. Il suo vestito bianco le si gonfiava intorno
come la tenda di un paracadute.
Jason non riusciva a dire se avesse i piedi, ma, se ce li aveva, non toccavano il
pavimento. In mano aveva un computer tablet bianco. “Siete stati mandati da Lord
Zeus?” chiese. “Vi stavamo aspettando.”
Jason cercò di rispondere, ma era un po’ difficile pensare lucidamente, perché si era
accorto che la donna era trasparente. La sua figura andava e veniva come se fosse
fatta di nebbia.
“Lei è un fantasma?” le chiese.
Capì immediatamente di averla insultata. Il sorriso si trasformò in un broncio. “Io
sono un’aura, signore. Una ninfa del vento, come ci si può aspettare, al servizio del
signore dei venti. Il mio nome è Mellie. Noi non abbiamo fantasmi.”
Piper intervenne in aiuto. “No, certo che no! Il mio amico vi ha semplicemente
scambiata per Elena di Troia, la più bella mortale di tutti i tempi. E’ un errore facile.”
Wow, era brava. Il complimento sembrava un po’ esagerato, ma Mellie l’aura
arrossì. “Oh… bè, in quel caso. Allora, siete stati mandati da Zeus?”
“Er,” disse Jason, “Io sono il figlio di Zeus, sì.”
“Eccellente! Prego, da questa parte.” Li guidò attraverso diverse porte di sicurezza in
un altro atrio, fluttuando mentre consultava il suo tablet. Non guardava dove stava
andando, ma a quanto pareva non importava visto che attraversò dritta una colonna
di marmo senza problemi. “Siamo fuori dalla prima serata al momento, quindi è
buono,” meditò. “Posso inserirvi appena prima del suo spot delle 11.12.”
“Um, okay,” disse Jason.
L’atrio era un luogo piuttosto sviante. I venti soffiavano a raffica intorno a loro, così
Jason si sentiva come se si stesse aprendo la strada a forza contro una folla
invisibile. Le porte si spalancavano e sbattevano da sole.
Le cose che Jason poteva vedere erano altrettanto strane. Aeroplanini di carta di
qualsiasi grandezza e forma saettavano intorno, e di tanto in tanto altre ninfe del
vento, aurai, gli afferravano al volo, gli aprivano e leggevano, poi gli rilanciavano in
aria, dove gli aeroplani si ripiegavano da soli e riprendevano a volare.
Una creatura orribile svolazzò vicino a loro. Sembrava un miscuglio tra una signora
anziana e una gallina sotto steroidi. Aveva un volto rugoso con i capelli neri legati
con una reticella per capelli, braccia da umano con ali da gallina, e un grasso corpo
ricoperto di piume con artigli al posto dei piedi. Era sorprendente il solo fatto che
potesse volare. Continuava a galleggiare in giro e a sbattere contro le cose come un
pallone aerostatico.
“Non è un’aura?” chiese Jason a Mellie mentre la creatura gli barcollava vicino.
Mellie rise. “Quella è un’arpia, ovviamente. Le nostre, ah, brutte sorellastre, si
potrebbe dire. Non avete le arpie sull’Olimpo? Loro sono gli spiriti delle raffiche
violente, a differenza di noi aurai. Noi siamo tutte brezze gentili.”
Sbatté le palpebre verso Jason.
“Certo che lo siete,” disse lui.
“Allora,” incitò Piper, “ci stava portando a vedere Eolo?”
Mellie gli guidò attraverso un’apertura simile a una porta blindata. Sopra la porta
interna, lampeggiava una luce verde.
“Abbiamo qualche minuto prima che inizi,” disse Mellie allegramente.
“Probabilmente non vi ucciderà se entriamo ora. Seguitemi!”
38
JASON
Jason spalancò la bocca. La sezione centrale della fortezza di Eolo era grande come
una cattedrale, con un altissimo tetto a cupola ricoperto d’argento. Apparecchiature
televisive fluttuavano a caso nell’aria – telecamere, riflettori, arredamenti da set,
vasi di piante. E non c’era pavimento. Per poco Leo non cadde nell’abisso, finché
Jason non lo tirò indietro.
“Santo -!” Leo rimase senza fiato. “Hey, Mellie. Un piccolo avvertimento la prossima
volta!”
Un’enorme fossa circolare si tuffava nel cuore della montagna. Era profonda
probabilmente un chilometro, crivellata da grotte. Alcuni di quei tunnel
probabilmente portavano dritti all’esterno. Jason si ricordò di aver visto delle
raffiche di vento fuoriuscirne quando si trovavano su Pikes Peak. Altre grotte erano
sigillate con del materiale luccicante, come vetro o cera. L’intera caverna pullulava di
arpie, aurai e aeroplanini di carta, ma per qualcuno non in grado di volare sarebbe
stata una caduta molto lunga e fatale.
“Oh, santo cielo,” boccheggiò Mellie. “Mi dispiace così tanto.” Sganciò un walkietalkie da qualche parte all’interno del suo vestito e ci parlò dentro: “Salve,
dipartimento set? Sei Nuggets? Ciao, Nuggets. Possiamo avere un pavimento nello
studio principale, per favore? Sì, uno solido. Grazie.”
Dopo qualche secondo, un esercito di arpie emerse dalla fossa – circa tre dozzine di
demoni donna-gallina, tutte a trasportare quadrati di vari materiali da costruzione.
Si misero a lavoro martellando e incollando – e usando grosse quantità di nastro
adesivo, cosa che non rassicurò Jason. In un attimo un pavimento di fortuna
serpeggiava sopra l’abisso. Era fatto di legno compensato, blocchi di marmo,
quadrati di tappezzeria, zolle di terra – praticamente qualsiasi cosa.
“Non può essere sicuro,” disse Jason.
“Oh, lo è!” lo rassicurò Mellie. “Le arpie sono molto brave.”
Facile per lei da dire. Ci volò semplicemente sopra senza toccare terra, ma Jason
decise che lui aveva le migliori possibilità di sopravvivere, dal momento che poteva
volare, così andò per primo. Sorprendentemente, il pavimento resse.
Piper afferrò la sua mano e lo seguì. “Se cado, mi prendi.”
“Uh, certo.” Jason sperò di non stare arrossendo.
Leo salì dopo di lei. “Prendi anche me, Superman. Ma non ti terrò la mano.”
Mellie gli guidò al centro della stanza, dove una larga sfera di televisori a schermo
piatto galleggiava intorno a una specie di centro di controllo. All’interno si librava un
uomo, intento a controllare i monitor e a leggere i messaggi sugli aerei di carta.
L’uomo non prestò loro attenzione mentre Mellie gli condusse avanti. Spinse via
dalla loro strada un televisore Sony da quarantadue pollici e gli guidò nell’area di
controllo.
Leo fischiò. “Devo avere una stanza così.”
Gli schermi galleggianti mostravano qualsiasi tipo di programma televisivo. Jason ne
riconobbe alcuni – previsioni del tempo, per la maggior parte – ma alcuni
programmi sembravano un po’ strani: gladiatori che combattevano, semidei che
lottavano contro i mostri. Forse si trattava di film, ma assomigliavano più a dei
reality show.
All’estremità opposta della sfera c’era un fondale di seta blu, simile allo schermo di
un cinema, con telecamere e luci televisive che gli fluttuavano intorno.
L’uomo al centro stava parlando in un auricolare. Aveva un telecomando in ciascuna
mano e gli stava puntando contro i vari schermi, apparentemente senza un ordine
preciso.
Indossava un completo da lavoro che assomigliava al cielo – per la maggior parte
blu, ma chiazzato da nuvole che mutavano e si scurivano e si muovevano sul tessuto.
Sembrava essere sulla sessantina, con una spruzzata di capelli bianchi, ma aveva una
tonnellata di trucco da scena, e quel volto liscio da chirurgia plastica, così che non
sembrava davvero giovane, né davvero vecchio, solo sbagliato – come una bambola
di Ken che qualcuno aveva sciolto per metà in un microonde. I suoi occhi saettavano
avanti e indietro da schermo a schermo, come se stesse cercando di assorbire tutto
contemporaneamente. Borbottava delle cose al telefono, e la bocca continuava a
fremere. Era divertito, o matto, o entrambe le cose.
Mellie fluttuò verso di lui. “Ah, signore, Mr. Eolo, questi semidei –“
“Aspetta!” Sollevò una mano per farla zittire, poi indicò uno degli schermi.
“Guarda!”
Era una di quelle trasmissioni che seguivano l’andamento delle tempeste, dove
matti in cerca di adrenalina inseguivano i tornado. Mentre Jason guardava, una Jeep
entrò dritta in una tromba d’aria e venne lanciata in cielo.
Eolo gridò di piacere. “Il Canale dei Disastri. Le persone lo fanno di proposito!” Si
voltò verso Jason con un enorme sorriso da matto. “Non è fantastico? Guardiamolo
di nuovo.”
“Um, signore,” disse Mellie, “questo è Jason, figlio di –“
“Sì, sì, me lo ricordo,” disse Eolo. “Sei tornato. Com’è andata?”
Jason esitò. “Mi scusi? Credo che mi abbia scambiato –“
“No, no, Jason Grace, non è vero? E’ stato – quando – l’anno scorso? Eri in missione
per combattere un mostro marino, mi sembra.”
“Io – io non mi ricordo.”
Eolo rise. “Non deve essere stato un mostro marino molto bello! No, io mi ricordo di
ogni eroe che sia mai venuto da me per aiuto. Odisseo – dei, è rimasto attraccato
alla mia isola per un mese! Te almeno sei rimasto solo per qualche giorno. Ora,
guarda questo video. Queste papere vengono risucchiate dritte in -“
“Signore,” lo interruppe Mellie. “Due minuti alla messa in onda.”
“In onda!” esclamò Eolo. “Adoro la messa in onda. Come vi sembro? Trucco!”
Immediatamente, un piccolo tornado di pennelli, carta assorbente e ovatta discese
su Eolo. Si gettarono sulla sua faccia con una nuvola di fumo color rosa carne finché
la sua carnagione non divenne persino più terribile di prima. Del vento gli turbinò fra
i capelli e gli lasciò dritti in aria come un albero di Natale ghiacciato.
“Mr. Eolo.” Jason si tolse lo zaino d’oro dalle spalle. “Le abbiamo portato questi
spiriti delle tempeste vagabondi.”
“Davvero!” Eolo guardò la borsa come se fosse il regalo di un fan – qualcosa che non
voleva affatto. “Bè, che carino.”
Leo diede una spintarella a Jason, e lui gli offrì la borsa. “Borea ci ha mandati a
catturargli per lei. Speriamo che gli accetterà e smetterà – lo sapete – di ordinare
che i semidei vengano uccisi.”
Eolo rise, e guardò Mellie incredulo. “Semidei che devono essere uccisi – l’ho
ordinato?”
Mellie controllo sul suo computer. “Sì, signore, il quindici settembre. “Spiriti delle
tempeste rilasciati dalla morte di Tifone, semidei da ritenersi responsabili”,
eccetera… sì, un ordine generale perché vengano uccisi tutti.”
“Oh, suvvia,” disse Eolo. “Ero solo irritato. Revoca quell’ordine Mellie, e um, chi ha il
turno di guardia – Teriyaki? – Teri, porta questi spiriti delle tempeste nella cella
Quattordici E, lo faresti?”
Un’arpia piombò giù dal nulla, afferrò la borsa d’oro e si lanciò nell’abisso.
Eolo sorrise a Jason. “Ora, scusate per quella faccenda dell’uccidere a vista. Ma dei,
ero davvero furioso, non è vero?” Il suo volto si scurì all’improvviso, e il completo
fece lo stesso, con i risvolti che lampeggiarono. “Sapete… ora ricordo. Sembrava
quasi come se una voce mi stesse dicendo di dare quell’ordine. Un piccolo formicolio
freddo dietro al collo.”
Jason si tese. Un formicolio freddo dietro al collo… Perché sembrava così familiare?
“Una… um, voce nella sua testa, signore?”
“Sì. Com’è strano. Mellie, dovremmo uccidergli?”
“No, signore,” disse lei pazientemente. “Ci hanno appena portato gli spiriti delle
tempeste, il che rende tutto apposto.”
“Certamente.” Eolo rise. “Scusate. Mellie, mandiamo qualcosa di carino ai semidei.
Una scatola di cioccolatini, magari.”
“Una scatola di cioccolatini a ogni semidio nel mondo, signore?”
“No, troppo costoso. Non importa. Aspetta, è ora! Sono in onda!”
Eolo volò via verso lo schermo blu mentre della musica da previsione del tempo
cominciò a suonare.
Jason guardò Piper e Leo, che sembravano confusi quanto lui.
“Mellie,” disse lui, “è… sempre così?”
Lei sorrise in modo timido. “Bè, sapete come si dice. Se non ti piace il suo umore,
aspetta cinque minuti. Quel modo di dire “dovunque tiri il vento” – è stato basato su
di lui.”
“E quella cosa riguardo il mostro marino,” disse Jason. “Sono già stato qui?”
Mellie arrossì. “Mi dispiace, non me lo ricordo. Io sono la nuova assistente di Mr.
Eolo. Sono stata con lui per più tempo della maggior parte, ma, tuttavia – non così
tanto.”
“Quanto durano di solito le sue assistenti?” chiese Piper.
“Oh…” Mellie ci pensò per un momento. “Io lo sto facendo da… dodici ore?”
Una voce squillò dagli altoparlanti galleggianti: “E ora, meteo ogni dodici minuti! Qui
è il vostro uomo delle previsioni per Meteo degli Dei dell’Olimpo – sul canale OW! –
Eolo!”
Le luci si accesero su Eolo, che ora si trovava davanti allo schermo blu. Il suo sorriso
era di un bianco innaturale, e sembrava che avesse preso così tanta caffeina che gli
stesse per esplodere la faccia.
“Salve Olimpo! Qui Eolo, padrone dei venti, con le previsioni ogni dodici! Avremo un
sistema di bassa pressione sulla Florida quest’oggi, quindi aspettatevi delle
temperature più miti dal momento che Demetra vuole risparmiare gli agrumeti!”
Indicò lo schermo blu, ma quando Jason guardò sui monitor, vide che alle spalle di
Eolo veniva proiettata un’immagine digitale, così sembrava che stesse in piedi
davanti a una mappa degli Stati Uniti con soli sorridenti e nuvole arrabbiate in
movimento. “Lungo la costa orientale – oh, aspettate.” Si picchiettò sull’auricolare.
“Scusate ragazzi! Poseidone è arrabbiato con Miami oggi, così sembra che la gelata
della Florida è tornata! Scusa, Demetra. Su, nel Midwest, non sono certo di quello
che St Louis ha fatto per offendere Zeus, ma potete aspettarvi delle tempeste
invernali! Borea in persona è stato chiamato a punire l’area con il ghiaccio. Cattive
notizie, Missouri! No, aspettate. Efesto è dispiaciuto per il Missouri centrale, così
tutti voi avrete temperature molto più moderate e cieli soleggiati.”
Eolo continuò in quel modo – dando le previsioni per ogni area del paese e
cambiandole due o tre volte mentre riceveva messaggi con l’auricolare – gli dei, che
a quanto sembrava davano ordini per i vari venti e condizioni meteorologiche.
“Non può essere giusto,” sussurrò Jason. “Il tempo non è così irregolare.”
Mellie fece un sorriso furbo. “E quanto spesso hanno ragione gli uomini delle
previsioni mortali? Parlano di fronti e di pressione e di umidità, ma il tempo gli
sorprende tutte le volte. Almeno Eolo ci dice perché è così imprevedibile. Un lavoro
molto duro, cercare di soddisfare tutte le divinità contemporaneamente. E’
abbastanza perché chiunque…”
Si bloccò, ma Jason sapeva cosa voleva dire. Impazzisca. Eolo era completamente
matto.
“E queste sono le previsioni,” concluse Eolo. “Ci vediamo tra dodici minuti, perché
sono certo che cambieranno!”
Le luci si spensero, gli schermi tornarono a mandare programmi casuali, e solo per
un momento il volto di Eolo lasciò trasparire la stanchezza. Poi sembrò ricordarsi di
avere degli ospiti, e rimise su un sorriso.
“Allora, mi avete portato dei furfanti spiriti delle tempeste,” disse Eolo. “Immagino
che dovrei dirvi… grazie! E volevate qualcos’altro? Suppongo di sì. I semidei lo
vogliono sempre.”
Mellie disse, “Um, signore, questo è il figlio di Zeus.”
“Sì, sì. Lo so. Ho detto che me lo ricordo dalla scorsa volta.”
“Ma, signore, sono stati mandati dall’Olimpo.”
Eolo sembrò sconvolto. Poi rise così improvvisamente che per poco Jason non cadde
nell’abisso. “Vuoi dire che sei qui per conto di tuo padre, questa volta? Finalmente!
Sapevo che avrebbero mandato qualcuno per ritrattare il mio contratto!”
“Um, cosa?” chiese Jason.
“Oh, grazie a dio!” Eolo sospirò si sollievo. “E’ da, quanto, tremila anni da che Zeus
mi ha nominato padrone dei venti. Non che sia ingrato, ovviamente! Ma,
seriamente, il mio contratto è così vago. Chiaramente sono immortale, ma “padrone
dei venti”. Cosa vuol dire? Sono uno spirito della natura? Un semidio? Un dio?
Voglio essere un dio dei venti, perché i vantaggi sono così migliori. Possiamo iniziare
con quello?”
Jason guardò i suoi amici, confuso.
“Amico,” disse Leo, “crede che siamo qui per dargli una promozione?”
“Allora siete qui per questo?” Eolo fece un grosso sorriso. Il suo completo da lavoro
divenne completamente blu – nemmeno una nuvola nel tessuto. “Fantastico! Voglio
dire, credo che ho dimostrato un bello spirito di iniziativa con il canale meteo, eh? E
ovviamente sono sempre nella stampa. Così tanti libri sono stati scritti su di me: Aria
Sottile, Tra le Nuvole, Via col Vento –“
“Er, no credo che quelli parlino di lei,” disse Jason, prima di accorgersi di Mellie che
scuoteva la testa.
“Sciocchezze,” disse Eolo. “Mellie, sono delle biografie su di me, vero?”
“Assolutamente, signore,” squittì lei.
“Ecco, vedete? Io non leggo. Chi ha tempo? Ma ovviamente i mortali mi amano.
Allora, cambieremo il mio titolo ufficiale in dio dei venti. Poi, per quanto riguarda
stipendio e personale –“
“Signore,” disse Jason, “non siamo stati mandati dall’Olimpo.”
Eolo sbatté le palpebre. “Ma –“
“Io sono il figlio di Zeus, sì,” disse Jason, “ma non siamo qui per rinegoziare il suo
contratto. Siamo in un’impresa e abbiamo bisogno del suo aiuto.”
L’espressione di Eolo si fece più dura. “Come l’ultima volta? Come ogni eroe che
viene qui? Semidei! Riguarda sempre voi, non è vero?”
“Signore, la prego, non ricordo dell’ultima volta, ma se mi ha aiutato prima –“
“Io aiuto sempre! Bè, a volte distruggo, ma per la maggior parte aiuto, e a volte mi
viene chiesto di fare entrambe le cose allo steso tempo! Perché, Enea, il primo della
tua razza –“
“La mia razza?” chiese Jason. “Intende, i semidei?”
“Oh, per favore!” disse Eolo. “Intendo la vostra stirpe di semidei. Lo sai, Enea, figlio
di Venere – l’unico eroe sopravvissuto di Troia. Quando i greci incendiarono la sua
città, lui fuggì in Italia, dove fondò il regno che alla fine sarebbe diventato Roma,
blah, blah, blah. Questo è quello che intendevo.”
“Non capisco,” ammise Jason.
Eolo mandò gli occhi al cielo. “Il punto è, anche io venni coinvolto in mezzo a quel
conflitto! Giunone mi chiama: “Oh, Eolo, distruggi la nave di Enea per me. Non mi
piace.” Poi Nettuno dice, “No, non farlo! Quello è il mio territorio. Placa i venti.” Poi
Giunone dice, “No, distruggi la sua nave, o dirò a Giove che non collabori!” Credete
che sia facile trattare con richieste del genere?”
“No,” disse Jason. “Immagino di no.”
“E non fatemi cominciare a parlare di Amelia Earhart! Ricevo ancora chiamate
arrabbiate dall’Olimpo per averla fatta precipitare!”
“Noi volgiamo solo delle informazioni,” disse Piper con la sua voce più tranquilla.
“Abbiamo sentito che lei sa tutto.”
Eolo si raddrizzò i risvolti delle maniche e sembrò ammorbidirsi leggermente. “Bè…
questo è vero, ovviamente. Per esempio, so che questa faccenda qui –“ agitò le dita
verso loro tre – “questo schema avventato di Giunone per portarvi tutti insieme
finirà molto probabilmente in un massacro. Per quanto riguarda te, Piper McLean,
so che tuo padre è in guai seri.” Stese la mano, e un pezzo di carta ci svolazzò sopra.
Era una foto di Piper con un uomo che doveva essere suo padre. Il suo volto era
davvero familiare. Jason era piuttosto sicuro di averlo visto in qualche film.
Piper prese la foto. Le tremavano le mani. “Questa – questa viene dal suo
portafoglio.”
“Sì,” disse Eolo. “Tutte le cose perse nel vento alla fine arrivano a me. La foto è
volata via quando i Figli della Terra lo hanno catturato.”
“I cosa?” chiese Piper.
Eolo ignorò la domanda con un gesto e socchiuse gli occhi verso Leo. “Ora, te, figlio
di Efesto… sì, vedo il tuo futuro.” Un altro fiolio cadde nelle mani del dio del vento –
un vecchio disegno stracciato fatto con i pastelli.
Leo lo prese come se potesse essere ricoperto di veleno. Barcollò all’indietro.
“Leo?” disse Jason. “Cos’è?”
“Una cosa che ho – ho disegnato quando ero piccolo.” Lo ripiegò velocemente e se
lo mise nel giaccone. “Non è… sì, non è niente.”
Eolo rise. “Davvero? Solo la chiave del tuo successo! Ora, dove eravamo? Ah, sì,
volevate delle informazioni. Ne siete certi? A volte le informazioni possono essere
pericolose.”
Sorrise a Jason come se stesse lanciando una sfida. Dietro di lui, Mellie scosse la
testa in allarme.
“Sì,” disse Jason. “Dobbiamo trovare il covo di Encelado.”
Il sorriso di Eolo svanì. “Il gigante? Perché vorreste andare là? E’ orribile! Non guarda
nemmeno il mio programma!”
Piper mostrò la foto. “Eolo, lui ha mio padre. Dobbiamo salvarlo e scoprire dove Era
è tenuta prigioniera.”
“Ora, questo è impossibile,” disse Eolo. “Persino io non posso vederlo e, credetemi,
ci ho provato. C’è un velo di magia sulla posizione di Era – molto forte, impossibile
da localizzare.”
“Si trova in un luogo chiamato la Casa del Lupo,” disse Jason.
“Aspetta un attimo!” Eolo si mise una mano sulla fronte e chiuse gli occhi. “Sto
ricevendo qualcosa! Sì, si trova in un luogo chiamato la Casa del Lupo! Purtroppo,
non so dove si trovi.”
“Encelado lo sa,” insistette Piper. “Se ci aiuta a trovarlo, potremmo ottenere la
posizione della dea –“
“Sì,” disse Leo, intromettendosi. “E se la salviamo, lei le sarebbe molto grata –“
“E Zeus potrebbe darle una promozione,” concluse Jason.
Eolo corrugò le sopracciglia. “Una promozione – e tutto quello che voi volete da me
è la posizione del gigante?”
“Bè, se potesse anche farci arrivare là,” rettificò Jason, “sarebbe fantastico.”
Mellie batté le mani emozionata. “Oh, potrebbe farlo! Lui invia spesso dei venti in
aiuto –“
“Mellie, silenzio!” disse Eolo secco. “Ho una mezza idea di licenziarti per aver
permesso a queste persone di entrare sotto falsa identità.”
Il suo volto di fece pallido. “Sì, signore. Mi scusi, signore.”
“Non è stata colpa sua,” disse Jason. “Ma per quanto riguarda quell’aiuto…”
Eolo inclinò la testa come se stesse pensando. Poi Jason si rese contro che il signore
del vento stava ascoltando le voci nel suo auricolare.
“Bè… Zeus approva,” borbottò Eolo. “Dice…dice che sarebbe meglio se poteste
evitare di salvarla fino a dopo il weekend, perché ha in programma una grande festa
– Ow! Questa è Afrodite che gli urla contro, ricordandogli che il solstizio inizia
all’alba. Lei dice che dovrei aiutarvi. Ed Efesto… sì. Hmm. Molto raro che siano
d’accordo su qualcosa. Aspettate…”
Jason sorrise verso i suoi amici. Finalmente avevano un po’ di fortuna. I loro genitori
divini gli stavano sostenendo.
Verso l’entrata, Jason udì un rumoroso rutto.
Coach Hedge entrò dondolando dall’atrio con la faccia ricoperta d’erba. Mellie lo
vide arrivare passando attraverso il pavimento di fortuna e trattenne il respiro. “Chi
è quello?”
Jason soffocò un rantolo. “Quello? Quello è solo Coach Hedge. Uh, Gleeson Hedge.
Lui è il nostro…” Jason non era certo di come chiamarlo: maestro, amico, problema?
“La nostra guida.”
“E’ così caprino,” mormorò Mellie.
Dietro di lei, Piper gonfiò le guancie, facendo finta di vomitare.
“Che succede ragazzi?” Hedge si avvicinò trottando. “Wow, posto carino. Oh! Zolle
d’erba.”
“Coach, ha appena mangiato,” disse Jason. “E stiamo usando le zolle come
pavimento. Questa è, ah, Mellie –“
“Un’aura.” Hedge sorrise in modo vincente. “Bella come una brezza estiva.”
Mellie arrossì.
“Ed Eolo qui ci stava proprio per aiutare,” disse Jason.
“Sì,” borbottò il signore del vento. “Così sembra. Troverete Encelado sul Monte
Diablo.”
“Monte del Diavolo?” chiese Leo. “Non sembra bello.”
“Mi ricordo di quel posto!” disse Piper. “Ci sono stata una volta con mio padre. Si
trova solo a est della Baia di San Francisco.”
“Di nuovo la Bay Area?” Il coach scosse la testa. “Non buono. Non buono per
niente.”
“Ora…” Eolo iniziò a sorridere. “Per quanto riguarda il farvi arrivare là –“
All’improvviso il suo volto si fece inerte. Si piegò e si picchiettò sul suo auricolare
come se avesse un malfunzionamento. Quando si raddrizzò di nuovo, i suoi occhi
erano selvaggi. Malgrado il trucco, assomigliava a un uomo anziano – un uomo
molto anziano e spaventato. “Non mi ha parlato per secoli. Non posso – sì, sì
capisco.”
Deglutì, guardando Jason come se si fosse appena strasformato in uno scarafaggio
gigante. “Mi dispiace, figlio di Giove. Nuovi ordini. Dovete morire tutti.”
Mellie fece uno strillo acuto. “Ma – ma, signore! Zeus ha detto di aiutargli. Afrodite,
Efesto –“
“Mellie!” scattò Eolo. “Il tuo lavoro è già appeso a un filo. Inoltre, ci sono degli ordini
che trascendono persino i desideri degli dei, soprattutto quando si tratta delle forze
della natura.”
“Gli ordini di chi?” disse Jason. “Zeus la licenzierà se non ci aiuta!”
“Ne dubito.” Eolo fece scattare il polso, e molto al di sotto di loro, nella fossa, si aprì
la porta di una cella. Jason poteva sentire le grida degli spiriti delle tempeste
provenienti da lì dentro, che salivano a spirale verso di loro, urlando in cerca di
sangue.
“Persino Zeus capisce l’ordine delle cose,” disse Eolo. “E se lei si sta svegliando – per
tutti gli dei – non possiamo rifiutare i suoi ordini. Addio, eroi. Sono terribilmente
dispiaciuto, ma dovrò farlo in fretta. Sono di nuovo in onda tra quattro minuti.”
Jason evocò la sua spada. Coach Hedge tirò fuori la sua clava. Mellie l’aura urlò,
“No!”
Si tuffò ai loro piedi proprio quando gli spiriti delle tempeste colpirono con la forza
di un uragano, facendo a pezzi il pavimento, riducendo i campioni di tappezzeria, il
marmo e il linoleum in quelli che sarebbero dovuti essere dei proiettili letali, se il
vestito di Mellie non si fosse allargato come uno scudo assorbendo la forza
dell’impatto. Caddero tutti e cinque nell’abisso, ed Eolo urlò da sopra, “Mellie, sei
così licenziata!”
“Presto,” gridò Mellie. “Figlio di Zeus, hai qualche potere sull’aria?”
“Un po’!”
“Allora aiutami, o siete tutti morti!” Mellie gli afferrò la mano, e una scossa elettrica
attraversò il braccio di Jason. Capì di cosa aveva bisogno. Dovevano controllare la
loro caduta e puntare a uno dei tunnel aperti. Gli spiriti delle tempeste gli stavano
seguendo, avvicinandosi rapidamente, portando con loro una nuvola di granate
mortali.
Jason afferrò la mano di Piper. “Abbraccio di gruppo!”
Hedge, Leo e Piper cercarono di rannicchiarsi insieme, reggendosi a Jason e Mellie
mentre precipitavano.
“Questo NON E’ BELLO!” urlò Leo.
“Fatevi avanti, sacche d’aria!” gridò Hedge verso gli spiriti delle tempeste. “Vi
polverizzerò!”
“E’ grandioso,” sospirò Mellie.
“Concentrazione?” incitò Jason.
“Giusto!” disse lei.
Incanalarono il vento verso l’apertura più vicina così che la loro caduta divenne più
simile a un capitombolo. Nonostante ciò, furono sbattuti dentro il tunnel a una
velocità dolorosa e rotolarono uno sopra l’altro lungo una cavità ripida che non era
stata progettata per le persone. Non potevano fermarsi in nessun modo.
Il vestito di Mellie si gonfiò intorno al suo corpo. Jason e gli altri si aggrapparono
disperatamente a lei, e cominciarono a rallentare, ma gli spiriti delle tempeste
stavano gridando nel tunnel alle loro spalle.
“Non posso – resistere – a lungo,” avvertì Mellie. “Rimanete insieme! Quando i venti
colpiscono –“
“Stai andando alla grande, Mellie,” disse Hedge. “Mia madre era un’aura, sai. Lei in
persona non avrebbe potuto fare di meglio.”
“Mi manderai un messaggio –Iride?” supplicò Mellie.
Hedge strizzò l’occhio.
“Potreste organizzare il vostro appuntamento più tardi?” urlò Piper. “Guardate!”
Dietro di loro, il tunnel si stava facendo scuro. Jason poteva sentire le orecchie che
gli si tappavano mentre la pressione saliva.
“Non posso fermargli,” avvertì Mellie. “Ma cercherò di farvi da scudo, farvi un altro
favore.”
“Grazie, Mellie,” disse Jason. “Spero che troverai un nuovo lavoro.”
Lei sorrise, e poi si dissolse, avvolgendogli in una gentile brezza calda. Poi i venti veri
colpirono, lanciandogli nel cielo così velocemente che Jason svenne.
39
PIPER
Piper sognò di trovarsi sul tetto del dormitorio della Wilderness School.
La notte nel deserto era fredda, ma aveva portato delle coperte e, con Jason accanto
a lei, non aveva bisogno di altro calore.
L’aria sapeva di salvia e legna bruciata. All’orizzonte le Spring Mountain
incombevano come neri denti seghettati, con il fioco bagliore di Las Vegas alle loro
spalle.
Le stelle erano così luminose che Piper aveva temuto che non sarebbero stati in
grado di vedere la pioggia di meteore. Non voleva che Jason pensasse che l’aveva
trascinato là sopra con una falsa scusa. (Anche se la sua scusa era stata
assolutamente falsa.). Ma le meteore non delusero. Una rigava il cielo quasi ogni
minuto – una linea di fuoco bianca, gialla o blu. Piper era certa che Nonno Tom
avrebbe avuto qualche mito Cherokee per spiegarle, ma al momento era occupata a
creare la sua stessa storia.
Jason le prese la mano – finalmente – e indicò mentre due meteore si incrociavano
nell’atmosfera e formavano una croce.
“Wow,” disse lui. “Non posso credere che Leo non abbia voluto vederle.”
“In realtà, non l’ho invitato,” disse Piper con fare vago.
Jason sorrise. “Oh, davvero?”
“Mm-hmm. Ti sei mai sentito come se tre persone fossero una folla?”
“Sì,” ammise Jason. “Come in questo momento. Sai in quanti guai finiremmo se ci
facessimo beccare qui sopra?”
“Oh, mi inventerei qualcosa,” disse Piper. “So essere molto persuasiva. Allora, vuoi
ballare o cosa?”
Lui rise. I suoi occhi erano fantastici, e il suo sorriso era persino più bello alla luce
delle stelle. “Senza musica. Di notte. Su un tetto. Sembra pericoloso.”
“Io sono una ragazza pericolosa.”
“Quello lo posso credere.”
Si mise in piedi e le offrì la mano. Ballarono lentamente qualche passo, ma si
trasformò presto in un bacio. Piper non fu quasi in grado di ricambiare il bacio,
perché era troppo impegnata a sorridere.
Poi il suo sogno cambiò – o forse si trovava nell’Oltretomba, morta – perché si
ritrovò di nuovo nel grande magazzino di Medea.
“Ti prego, fa che sia un sogno,” mormorò, “e non la mia punizione eterna.”
“No, cara,” disse la dolce voce di una donna. “Nessuna punizione.”
Piper si voltò, temendo di vedere Medea, ma accanto a lei c’era una donna diversa,
intenta a guardare nello scaffale degli sconti del cinquanta per cento.
La donna era bellissima – capelli lunghi fino alle spalle, un collo elegante, tratti
perfetti e una figura stupenda infilata in un paio di jeans e un top bianco neve.
Piper aveva visto la sua parte di attrici – la maggior parte delle ragazze di suo padre
erano di una bellezza mozzafiato – ma questa ragazza era diversa. Era elegante
senza provarci, alla moda senza sforzi, splendida senza trucco. Dopo aver visto Eolo
con il suo sciocco volto truccato e tirato, Piper pensò che questa donna sembrava
ancora più meravigliosa. Non c’era nulla di artificiale in lei.
Tuttavia, mentre Piper guardava, l’aspetto della donna mutò. Piper non riusciva a
capire quale fosse il colore dei suoi occhi, o l’esatto colore dei suoi capelli. La donna
divenne sempre più bella, come la sua immagine si stesse allineando con i pensieri
di Piper – avvicinandosi il più possibile al suo ideale di bellezza.
“Afrodite,” disse Piper. “Mamma?”
La dea sorrise. “Stai solo sognando, piccola mia. Se qualcuno dovesse chiedere, io
non sono stata qui. Okay?”
“Io –“ Piper voleva fare un migliaio di domande, ma erano tutte affollate insieme
nella sua testa.
Afrodite tirò su un vestito turchese. Piper pensava che fosse splendido, ma la dea
fece una smorfia. “Questo non è il mio colore, vero? Peccato, è carino. Medea ha
davvero delle cose adorabili qui.”
“Questo – questo edificio è esploso,” balbettò Piper. “L’ho visto.”
“Sì,” annuì Afrodite. “Suppongo che sia per questo che è tutto in saldo. Ora è solo un
ricordo. E mi dispiace di averti tirato fuori dal tuo altro sogno. Molto più piacevole,
lo so.”
La faccia di Piper bruciava. Non sapeva se era più arrabbiata o imbarazzata, ma
soprattutto si sentiva vuota dalla delusione. “Non era reale. Non è mai nemmeno
successo. Allora perché lo ricordo così vividamente?”
Afrodite sorrise. “Perché sei mia figlia, Piper. Tu vedi le possibilità molto più
vividamente degli altri. Tu vedi cosa potrebbe essere. E potrebbe ancora succedere
– non ti arrendere. Sfortunatamente –“ la dea fece un gesto verso il grande
magazzino. “Prima hai altre prove da affrontare. Medea tornerà, insieme a molti
altri nemici. Le Porte della Morte si sono aperte.”
“Cosa vuoi dire?”
Afrodite le fece l’occhiolino. “Sei una ragazza intelligente, Piper. Lo sai.”
Una sensazione fredda scese su di lei. “La donna addormentata, quella che Medea e
Mida hanno chiamato la loro padrona. E’ riuscita ad aprire una nuova entrata
dall’Oltretomba. Sta lasciando che i morti tornino nel mondo.”
“Mmm. E non semplicemente dei morti qualunque. I peggiori, i più potenti, quelli
che hanno più motivi per odiare gli dei.”
“I mostri stanno tornando dal Tartaro nello stesso modo,” indovinò Piper. “E’ questo
il motivo per il quale non rimangono disintegrati.”
“Sì. La loro padrona, come la chiami te, ha un rapporto speciale con Tartaro, lo
spirito dell’abisso.” Afrodite sollevò un top con lustrini dorati. “No… questo mi
farebbe sembrare ridicola.”
Piper rise a disagio. “Tu? Non puoi sembrare altro che perfetta.”
“Sei dolce,” disse Afrodite. “Ma la bellezza consiste nel trovare la giusta forma, la
forma più naturale. Per essere perfetti, devi sentirti perfetta riguardo te stessa –
evitando di cercare di essere qualcosa che non sei. Per una dea, questo è
particolarmente difficile. Noi possiamo mutare così facilmente.”
“Mio padre pensava che tu fossi perfetta.” La voce di Piper tremò. “Non ti ha mai
superata.”
Lo sguardo di Afrodite si fece distante. “Sì… Tristan. Oh, era fantastico. Così dolce e
gentile, divertente e attraente. Nonostante ciò aveva così tanta tristezza dentro di
se.”
“Possiamo per favore non parlare di lui al passato?”
“Mi dispiace, cara. Non volevo lasciare tuo padre, ovviamente. E’ sempre così
difficile, ma è stata la cosa migliore. Se avesse capito chi ero davvero –“
“Aspetta – non sapeva che eri una dea?”
“Certo che no.” Afrodite sembrava offesa. “Non gli farei mai una cosa del genere.
Per la maggior parte dei mortali, è semplicemente una cosa troppo difficile da
accettare. Può rovinare le loro vite! Chiedi al tuo amico Jason – ragazzo adorabile,
comunque. La sua povera madre fu distrutta quando scoprì che si era innamorata di
Zeus. No, è stato molto meglio che Tristan pensasse che fosse stata una donna
mortale ad averlo lasciato senza spiegazioni. Meglio un ricordo dolce-amaro che
un’immortale, inaccessibile dea. Cosa che mi porta a una questione importante…”
Aprì la mano e mostrò a Piper una brillante fiala di vetro con del liquido rosa.
“Questa è una delle miscele più gentili di Medea. Cancella solo i ricordi più recenti.
Quando salverai tuo padre, se riuscirai a salvarlo, dovresti dargli questo.”
Piper non riusciva a credere a quello che stava sentendo. “Vuoi che droghi mio
padre? Vuoi che gli faccia dimenticare quello che ha passato?”
Afrodite tirò su la fiala. Il liquido gettò un barlume rosa sul suo volto. “Tuo padre
sembra sicuro di se, Piper, ma cammina su un filo sottile tra due mondi. Ha lavorato
per tutta la sua vita per negare le vecchie storie riguardo divinità e spiriti, e tuttavia
teme che quelle storie possano essere reali. Teme di aver chiuso fuori una parte
importante di se stesso, e un giorno ciò lo distruggerà. Ora è stato catturato da un
gigante. Sta vivendo in un incubo. Anche se sopravvive… se deve vivere il resto della
sua vita con quei ricordi, sapendo che dei e spiriti camminano sulla terra, questo lo
distruggerà. Eì ciò quello che spera il nostro nemico. Lei lo spezzerà, e in questo
modo spezzerà il tuo spirito.”
Piper voleva urlare che Afrodite si sbagliava. Suo padre era la persona più forte che
conosceva. Piper non gli avrebbe mai portato via i ricordi come Era aveva fatto con
Jason.
Ma in qualche modo non riusciva a rimanere arrabbiata con Afrodite. Si ricordò
quello che suo padre aveva detto mesi fa, sulla spiaggia a Big Sur: Se credessi
davvero nel Paese dei Fantasmi, o negli spiriti animali, o nelle divinità Greche… non
credo che riuscirei a dormire la notte. Sarei sempre in cerca di qualcuno da
biasimare.
Ora anche Piper voleva qualcuno da biasimare.
“Chi è lei?” chiese Piper. “Quella che sta controllando i giganti?”
Afrodite strinse le labbra. Si spostò all’espositore successivo, che conteneva
armature malconce e toghe stracciate, ma Afrodite le guardò come se si trattasse di
capi di marca.
“Hai una forte volontà,” meditò. “Non mi danno mai molto credito tra gli dei. I miei
figli vengono derisi. Vengono messi da parte come vanitosi e superficiali.”
“Alcuni lo sono.”
Afrodite rise. “Te lo concedo. Forse anche io qualche volta sono vanitosa e
superficiale. Una ragazza deve farsi delle concessioni. Oh, questo è carino.” Tirò su
una corazza di bronzo bruciata e macchiata e la mostrò a Piper. “No?”
“No,” disse Piper. “Hai intenzione di rispondere alla mia domanda?”
“Pazienza, piccola mia,” disse la dea. “Quello che voglio dire è che l’amore è la più
potente motivazione nel mondo. Sprona i mortali verso la grandezza. Le loro azioni
più nobili, più coraggiose, vengono fatte per amore.”
Piper tirò fuori il suo pugnale e studiò la sua lama riflettente. “Come Elena che diede
inizio alla Guerra di Troia?”
“Ah, Katoptris.” Afrodite sorrise. “Sono contenta che tu l’abbia trovato. Vengo
biasimata così tanto per quella guerra, ma, sinceramente, Paride ed Elena erano una
coppia tenera. E gli eroi di quella guerra ora sono immortali – almeno nella memoria
dell’uomo. L’amore è potente, Piper. Può mettere in ginocchio persino gli dei. Ho
detto questo a mio figlio Enea quando fuggì da Troia. Pensava di aver fallito.
Pensava di essere un perdente! Ma viaggiò in Italia –“
“E divenne il progenitore di Roma.”
“Esattamente. Vedi, Piper, i miei figli possono essere molto forti. Tu puoi essere
molto forte, perché la mia discendenza è unica. Io sono più vicina all’inizio della
creazione di qualsiasi altro dio dell’Olimpo.”
Piper si sforzò di ricordarsi della nascita di Afrodite. “Tu non sei… nata dal mare? Su
una conchiglia?”
La dea rise. “Quel pittore Botticelli aveva una grande immaginazione. Non sono mai
stata su una conchiglia, grazie tante. Ma, sì, sono nata dal mare. I primi esseri a
sorgere dal Caos furono la Terra e il Cielo – Gaia e Urano. Quando il loro figlio, il
Titano Crono uccise Urano –“
“Facendolo a pezzi con la sua falce,” ricordò Piper.
Afrodite storse il naso. “Sì. I pezzi di Urano caddero nel mare. La sua essenza
immortale creò la schiuma marina. E da quella schiuma –“
“Sei nata tu. Ora ricordo. Così tu sei –“
“L’ultima figlia di Urano, che era più grande degli dei o dei Titani. Quindi, in maniera
strana, sono il dio dell’Olimpo più vecchio. Come ho detto, l’amore è una forza
potente. E tu, figlia mia, sei molto di più di un visetto carino. Motivo per il quale sai
già chi sta svegliando i giganti, e chi ha il potere per aprire le porte nelle parti più
profonde della terra.”
Afrodite aspettò, come se potesse avvertire Piper che metteva lentamente insieme i
pezzi di un puzzle, il quale creava un’immagine orribile.
“Gaia,” disse Piper. “La terra stessa. E’ lei il nostro nemico.”
Sperava che Afrodite dicesse di no, ma la dea tenne lo sguardo fisso sullo scaffale
delle armature rovinate. “Ha dormito per ere, ma si sta lentamente svegliando.
Persino addormentata, è potente, ma una volta che si sarà svegliata… saremo
condannati. Dovete sconfiggere i giganti prima che ciò accada, e far tornare Gaia nel
suo sonno. Altrimenti la ribellione è solo cominciata. I morti continueranno a
sorgere. I mostri si riformeranno con velocità persino più grande. I giganti
distruggeranno il luogo di nascita degli dei. E, se faranno ciò, tutta la civilizzazione
brucerà.”
“Ma Gaia? Madre Natura?”
“Non la sottovalutare,” avvertì Afrodite. “E’ una divinità crudele. Lei ha orchestrato
la morte di Urano. Lei diede a Crono la falce e lo esortò a uccidere il suo stesso
padre. Mentre i Titani governavano il mondo, lei ha dormito in pace. Ma quando gli
dei gli hanno sopraffatti, Gaia si è risvegliata in tutta la sua rabbia e ha dato alla luce
una razza – i giganti – per distruggere l’Olimpo una volta per tutte.”
“E sta succedendo di nuovo,” disse Piper. “L’alba dei giganti.”
Afrodite annuì. “Ora lo sai. Cosa farai?”
“Io?” Piper strinse i pugni. “Cosa dovrei fare? Mettermi un vestito carino e parlare in
modo dolce a Gaia convincendola a tornare a dormire?”
“Vorrei che ciò potesse funzionare,” disse Afrodite. “Ma, no, dovrai trovare la tua
stessa forza, e combattere per quello che ami. Come i miei prediletti, Elena e Paride.
Come mio figlio Enea.”
“Elena e Paride morirono,” disse Piper.
“Ed Enea divenne un eroe,” ribatté la dea. “Il primo grande eroe di Roma. Il risultato
dipenderà da te, Piper, ma ti dirò questo: i sette semidei più grandi di sempre
devono essere riuniti per sconfiggere i giganti, e quell’impresa non avrà successo
senza di te. Quando le due parti si incontreranno… tu sarai la mediatrice. Tu
determinerai se ci sarà amicizia o massacro.”
“Quali due parti?”
La visione di Piper cominciò ad annebbiarsi.
“Ti devi svegliare presto, figlia mia,” disse la dea. “Non sono sempre d’accordo con
Era, ma ha fatto un audace rischio, e sono d’accordo sul fatto che doveva essere
preso. Zeus ha tenuto le due parti divise per troppo tempo. Solo insieme avrete il
potere di salvare l’Olimpo. Ora, svegliati, e spero che ti piacciano i vestiti che ho
scelto.”
“Quali vestiti?” chiese Piper, ma il sogno si fece scuro.
40
PIPER
Piper si svegliò al tavolino di un bar che dava sulla strada.
Per un secondo, pensò di stare ancora sognando. Era una mattinata soleggiata.
L’aria era frizzante, ma non sgradevole per sedersi all’aperto. Agli altri tavoli, un
miscuglio di ciclisti, uomini d’affari e ragazzi universitari erano seduti a chiacchierare
e a bere caffè.
Poteva sentire l’odore degli alberi di eucalipto. Un sacco di pedoni passeggiava
davanti a piccoli negozi caratteristici. La strada era costeggiata da alberi di
Callistemon e azalee in fiore, come se l’inverno fosse un concetto estraneo.
In altre parole: si trovava in California.
I suoi amici erano seduti intorno a lei – tutti con le mani placidamente giunte sul
petto, a sonnecchiare piacevolmente. E avevano tutti dei nuovi vestiti addosso.
Piper guardò il suo completo e boccheggiò. “Madre!”
Urlò più forte di quel che voleva. Jason indietreggiò, urtando il tavolo con le
ginocchia, e poi si svegliarono tutti.
“Cosa?” chiese Hedge. “Combattere chi? Dove?”
“Cadendo!” Leo afferrò il tavolino. “No – non stiamo cadendo. Dove ci troviamo?”
Jason sbatté le palpebre, cercando di orientarsi. Si concentrò su Piper e fece un
suono strozzato. “Cosa stai indossando?”
Piper probabilmente arrossì. Stava indossando il vestito turchese che aveva visto nel
suo sogno, con leggings neri e stivali di pelle nera. Aveva il suo braccialetto con il
ciondolo d’argento preferito, anche se l’aveva lasciato a casa a Los Angeles, e il suo
vecchio giacchetto da snowboard di suo padre, che sorprendentemente si abbinava
piuttosto bene con i suoi vestiti. Tirò fuori Katoptris e, a giudicare dal riflesso nella
lama, aveva avuto un trattamento anche ai capelli.
“Non è niente,” disse. “E’ mia –“ Si ricordò di Afrodite che l’avvertiva di non
menzionare il fatto che avessero parlato. “Non è niente.”
Leo sogghignò. “Afrodite attacca di nuovo, huh? Sarai la guerriera meglio vestita
della città, reginetta di bellezza.”
“Hey, Leo.” Jason gli diede una piccola spinta al braccio. “Ti sei guardato
recentemente?”
“Cosa… oh.”
Avevano tutti subito una trasformazione. Leo stava indossando dei pantaloni gessati,
scarpe di pelle nera, una maglietta girocollo bianca con bretelle, e la sua cintura
degli attrezzi, occhiali da sole Ray-Ban e un cappello maschile basso e schiacciato.
“Dio, Leo.” Piper cercò di non ridere. “Credo che mio padre lo abbia indossato alla
sua ultima premiere, tranne la cintura degli attrezzi.”
“Hey, zitta!”
“Io credo che abbia un bell’aspetto,” disse Coach Hedge. “Ovviamente, io ho un
aspetto migliore.”
Il satiro era un incubo di tinte pastello. Afrodite gli aveva dato un largo completo a
vita alta giallo canarino con scarpe bicolore che gli calzavano sopra gli zoccoli. Aveva
un giallo capello a tesa larga intonato, una maglietta rosa, una cravatta celeste e un
garofano blu al polso, che Hedge prima annusò e poi mangiò.
“Bè,” disse Jason, “almeno tua madre mi ha trascurato.”
Piper sapeva che ciò non era esattamente vero. Guardandolo, il suo cuore fece un
piccolo balletto di tip-tap. Jason era vestito semplicemente con jeans e una
maglietta viola pulita, come quella che indossava al Grand Canyon. Aveva delle
scarpe da ginnastica nuove, e i suoi capelli erano stati spuntati. I suoi occhi avevano
lo stesso colore del cielo. Il messaggio di Afrodite era chiaro: A lui non servono
miglioramenti.
E Piper concordava.
“Comunque,” disse a disagio, “come siamo arrivati qui?”
“Oh, è stata opera di Mellie.” disse Hedge, masticando felicemente il suo garofano.
“Quei venti ci hanno sparati per metà paese, suppongo. Ci saremmo spiaccicati
all’impatto, ma l’ultimo dono di Mellie – una gentile brezza delicata – ha
ammortizzato la nostra caduta.”
“Ed è stata licenziata a causa nostra,” disse Leo. “Cavoli, facciamo schifo.”
“Ah, starà bene,” disse Hedge. “Inoltre, non poteva farne a meno. Io faccio questo
effetto sulle ninfe. Le manderò un messaggio quando avremo finito con questa
impresa e l’aiuterò a pensare a qualcosa. Quella è un’aura con la quale mi stabilirei e
alleverei un gregge di cuccioli di capra.”
“Sto per vomitare,” disse Piper. “Qualcun altro vuole un caffè?”
“Caffè!” Il sorriso di Hedge era macchiato di blu a causa del fiore. “Io amo il caffè!”
“Um,” disse Jason, “ma – soldi? I nostri zaini?”
Piper guardò a terra. Gli zaini erano ai loro piedi, e sembrava che tutto fosse ancora
al suo posto. Mise la mano nella tasca del suo giacchetto e sentì due cose che non si
aspettava. Una era un fascio di soldi. L’altra era una fiala di vetro – la pozione per
l’amnesia. Lasciò la fiala in tasca e tirò fuori i soldi.
Leo fischiò. “Paghetta? Piper, tua madre è grande!”
“Cameriera!” chiamò Hedge. “Sei espresso doppi, e qualsiasi cosa vogliano questi
ragazzi. Metta tutto sul conto della ragazza.”
Non ci misero molto a capire dove si trovavano. Sui menù c’era scritto “Cafè Verve,
Walnut Creek, CA.” E, secondo quanto disse la cameriera, erano le 9 di mattina del
21 Dicembre, il solstizio d’inverno, cosa che gli lasciava tre ore alla scadenza di
Encelado.
Non dovettero neanche domandarsi dove si trovasse il Monte Diablo. Potevano
vederlo all’orizzonte, proprio alla fine della strada. Dopo le Rockies, il Monte Diablo
non sembrava molto grande, né era coperto di neve. Sembrava del tutto tranquillo,
con le pendici dorate macchiate da alberi grigio-verdi. Ma Piper sapeva che la
grandezza con le montagne era ingannevole. Probabilmente era molto più grande da
vicino. E anche l’aspetto era ingannevole. Eccoli là – di nuovo in California –
teoricamente casa sua – con cieli soleggiati, tempo mite, persone rilassate e un
piatto di biscotti con gocce al cioccolato e caffè. E a solo qualche chilometro di
distanza, da qualche parte su quella montagna tranquilla, un super-potente, supermalvagio gigante stava per mangiarsi suo padre per pranzo.
Leo tirò qualcosa fuori dalla sua tasca – il vecchio disegno a pastelli che gli aveva
dato Eolo. Afrodite doveva aver pensato che fosse importante se l’aveva
magicamente trasferito nel suo nuovo completo.
“Cos’è quello?” chiese Piper.
Leo lo ripiegò di nuovo cautamente e lo mise via. “Niente. Non volete vedere i miei
lavoretti dell’asilo.”
“E’ più di quello,” indovinò Jason. “Eolo ha detto che era la chiave del tuo successo.”
Leo scosse la testa. “Non oggi. Stava parlando di… più tardi.”
“Come fai a esserne sicuro?” chiese Piper.
“Fidati di me,” disse Leo. “Ora – qual è il nostro schema di gioco?”
Coach Hedge ruttò. Si era già preso tre espressi e un piatto di ciambelle, insieme a
due tovaglioli e un altro fiore dal vaso sul tavolo. Avrebbe mangiato anche le posate,
solo che Piper gli aveva schiaffeggiato la mano.
“Scalare la montagna,” disse Hedge. “Uccidere tutto tranne il padre di Piper.
Andarsene.”
“Grazie, Generale Eisenhower,” brontolò Jason.
“Hey, sto solo dicendo!”
“Ragazzi,” disse Piper. “C’è un’altra cosa che dovete sapere.”
Fu difficile perché non poteva parlare di sua madre, ma gli raccontò che aveva capito
alcune cose durante i suoi sogni. Gli raccontò del loro vero nemico: Gaia.
“Gaia?” Leo scosse la testa. “Quella non è Madre Natura? Lei dovrebbe avere, tipo,
fiori tra i capelli e uccellini che le cantando intorno e cervi e conigli che le fanno il
bucato.”
“Leo, quella è Biancaneve,” disse Piper.
“Okay, ma –“
“Ascoltate, pasticcini.” Coach Hedge si pulì il caffè dal pizzetto. “Piper ci sta dicendo
delle cose serie qui. Gaia non è una rammollita. Non sono neanche certo che io sia in
grado di batterla.”
Lei fischiò. “Davvero?”
Hedge annuì. “Questa donna della terra – lei e il suo vecchio uomo, il cielo, erano
dei tipi maligni.”
“Urano,” disse Piper. Non poté evitare di guardare verso il cielo blu, chiedendosi se
avesse gli occhi.
“Esatto,” disse Hedge. “Quindi Urano, non è il papà migliore. Lancia i loro primi figli,
i Ciclopi, nel Tartaro. Ciò fa infuriare Gaia, ma lei si prende il suo tempo. Poi hanno
un altro gruppo di figli – i dodici Titani – e Gaia ha paura che anche loro vengano
gettati in prigione. Così va da suo figlio Crono –“
“Il grosso tipo cattivo,” disse Leo. “Quello che hanno sconfitto la scorsa estate.”
“Esatto. E Gaia è colei che gli da la falce, e gli dice, “Hey, perché io non chiamo tuo
padre qua sotto? E mentre lui parla con me, distratto, tu puoi farlo a pezzi. Poi puoi
conquistare il mondo. Non sarebbe fantastico?””
Nessuno disse nulla. I biscotti con gocce di cioccolato di Piper non sembravano più
così appetitosi. Anche se aveva già sentito la storia, ancora non riusciva
perfettamente a farsene una ragione. Provò a immaginarsi un figlio così incasinato
da uccidere il suo stesso padre solo per il potere. Poi si immaginò una madre così
incasinata da convincere suo figlio a farlo.
“Senza dubbio non è Biancaneve,” decise.
“Nah, Crono era un cattivo ragazzo,” disse Hedge. “Ma Gaia è letteralmente la
madre di tutti i cattivi ragazzi. E’ così antica e potente, così enorme, che è difficile
per lei essere completamente cosciente. La maggior parte del tempo, dorme, e
questo è il modo nel quale ci piace – mentre russare.”
“Ma lei mi ha parlato,” disse Leo. “Come può essere addormentata?”
Gleeson si spazzò via le briciole dai suoi risvolti giallo canarino. Era al suo sesto
espresso ora, e le sue pupille erano grandi come monete da un quarto di dollaro.
“Persino mentre dorme, parte della sua coscienza è attiva – sogna, tiene d’occhio, fa
piccole cose come far esplodere i vulcani e far sorgere i mostri. Persino ora, non è
pienamente sveglia. Credetemi, non volete vederla pienamente sveglia.”
“Ma sta diventando più potente,” disse Piper. “Sta facendo sorgere i giganti. E se il
loro re torna – questo Porfirione –“
“Farà sorgere un esercito per distruggere gli dei,” completò Jason. “Iniziando con
Era. Sarà un’altra guerra. E Gaia si sveglierà completamente.”
Gleeson annuì. “Motivo per il quale è una buona idea per noi quella di rimanere
lontani dalla terra il più possibile.”
Leo guardò in modo accorto verso il Monte Diablo. “Allora… scalare una montagna.
Quello sarebbe male.”
Il cuore di Piper affondò. Prima le viene chiesto di tradire i suoi amici. Ora stavano
cercando di aiutarla a salvare suo padre, anche se sapevano che stavano cadendo
dritti in una trappola. L’idea di combattere un gigante era stata spaventosa
abbastanza. Ma l’idea che Gaia – una forza più potente di un dio o di un Titano –
fosse dietro a tutto quello…
“Ragazzi, non posso chiedervi di fare questo,” disse Piper. “E’ troppo pericoloso.”
“Stai scherzando?” Gleeson ruttò e mise in mostra il suo sorriso blu garofano. “Chi è
pronto a pestare le cose?”
41
LEO
Leo sperava che il taxi potesse portargli fino alla cima.
Non ebbe una fortuna del genere. Il taxi sbandò e sferragliò mentre saliva lungo la
strada di montagna, e a metà percorso trovarono la stazione dei ranger chiusa, con
una catena a bloccare la strada.
“Fino a dove posso arrivare,” disse il tassista. “Siete sicuri? Sarà una lunga
camminata a tornare indietro, e la mia macchina si sta comprando in maniera
strana. Non posso aspettarvi.”
“Siamo sicuri.” Leo fu il primo a uscire. Aveva una brutta sensazione riguardo a cosa
non andasse bene con il taxi, e quando guardò verso il basso, vide che aveva
ragione. Le gomme stavano affondando nella strada come se fosse stata fatta di
sabbie mobili. Non velocemente – solo abbastanza da far pensare al guidatore di
avere un problema di trasmissione o un’asse difettosa – ma Leo sapeva che non era
così.
La strada era fatta di terra battuta. Non c’era nessun motivo per il quale avrebbe
dovuto essere morbida, ma le scarpe di Leo avevano già iniziato ad affondare. Gaia
gli stava ostacolando.
Mentre i suoi amici uscivano, Leo pagò il tassista. Fu generoso – diavolo, perché no?
Erano i soldi di Afrodite. Inoltre, aveva la sensazione che non sarebbe mai sceso da
quella montagna.
“Tenga il resto,” disse. “E se ne vada da qui. Veloce.”
L’autista non discusse. In un attimo, tutto quello che poterono vedere fu la sua scia
di polvere.
La vista dalla montagna era piuttosto stupefacente. L’intero entroterra intorno al
Monte Diablo era un mosaico di città – griglie di strade a tre corsie e graziose
periferie della classe media, negozi e scuole. Tutte quelle persone normali che
vivevano delle vite normali – il tipo di vita che Leo non aveva mai conosciuto.
“Quella è Concord,” disse Jason, indicando verso nord. “Sotto di noi Walnut Creek. A
sud, Danville, dopo quelle colline. E da quella parte…”
Indicò verso ovest, dove una catena di colline dorate faceva da scudo a uno strato di
nebbia, come il bordo di una ciotola. “Quelle sono le Berkeley Hills. La East Bay.
Dopo quella, San Francisco.”
“Jason?” Piper gli toccò il braccio. “Ti ricordi qualcosa? Sei stato qui?”
“Sì…no.” Le rivolse uno sguardo angosciato. “E’ solo che sembra importante.”
“Quella è la terra dei Titani.” Coach Hedge annuì verso ovest. “Brutto posto, Jason.
Fidati di me, qui siamo tanto vicini a ‘Frisco quanto vogliamo essere.”
Ma Jason guardò verso la conca nebbiosa con talmente tanta brama che Leo si sentì
inquieto. Perché Jason sembrava così collegato a quel luogo – un luogo che Hedge
aveva detto essere malvagio, pieno di magia cattiva e antichi nemici? E se Jason
veniva da lì? Tutti quanti continuavano a insinuare che Jason era un nemico, che il
suo arrivo al Campo Mezzosangue era stato uno sbaglio pericoloso.
No, pensò Leo. Ridicolo. Jason era loro amico.
Cercò di muovere il piede, ma ora i suoi talloni erano completamente conficcati
nella terra.
“Hey, ragazzi,” disse. “Continuiamo a muoverci.”
Gli altri notarono il problema.
“Gaia è più forte qui,” brontolò Hedge. Tirò fuori gli zoccoli dalle scarpe, poi le passò
a Leo. “Tieni queste per me, Valdez. Sono carine.”
Leo sbuffò. “Sì, signore, Coach. Le desidera lucidate?”
“Questo è pensare da universitario, Valdez.” Hedge annuì con approvazione. “Ma
prima faremo meglio a scalare questa montagna mentre siamo ancora in grado.”
“Come facciamo a sapere dove si trova il gigante?” chiese Piper.
Jason puntò verso la cima. Dalla vetta si levava un pennacchio di fumo. Da lontano,
Leo aveva pensato che fosse una nuvola, ma non lo era. Qualcosa stava bruciando.
“Fumo uguale fuoco,” disse Jason. “Faremo meglio a sbrigarci.”
La Wilderness School aveva obbligato Leo a fare numerosi marce. Pensava di essere
in buona forma. Ma scalare una montagna quando la terra cercava di ingoiarsi i suoi
piedi era come fare jogging su un tapis roulant ricoperto di acchiappa mosche.
Immediatamente, Leo si era tirato su le maniche della sua maglietta a girocollo,
anche se il vento era freddo e affilato. Desiderò che Afrodite gli avesse dato dei
pantaloncini da corsa e delle scarpe un po’ più comode, ma era grato per i Ray-Ban
che gli riparavano gli occhi dal sole. Fece scivolare la mano nella sua cintura degli
attrezzi e cominciò a invocare provviste – ingranaggi, una minuscola chiave, qualche
nastro di bronzo. Mentre camminava, costruiva – senza pensarci veramente, solo
giocherellando con i pezzi.
Quando si avvicinarono alla cima della montagna, Leo era l’eroe sudato e sporco
vestito più alla moda di sempre. Le sue mani erano ricoperte di grasso per macchine.
Il piccolo oggetto che aveva costruito assomigliava a un giocattolo a carica – del tipo
che sferraglia e cammina lungo un tavolino. Non era certo di cosa fosse in grado di
fare, ma lo fece scivolare nella cintura.
Gli mancava il suo giacchetto militare con tutte le sue tasche. Persino più di quello,
gli mancava Festus. In quel momento gli avrebbe fatto comodo un drago di bronzo
sputa fuoco. Ma Leo sapeva che Festus non sarebbe tornato – non nella sua vecchia
forma almeno.
Si toccò la tasca dove teneva il disegno – quello a pastelli che aveva fatto al tavolo
da picnic sotto l’albero di nocciole quando aveva cinque anni. Si ricordò di Tia Callida
che cantava mentre lavorava, e come era stato sconvolto quando il vento gli aveva
portato via il foglio. Non è ancora il momento, piccolo eroe, gli aveva detto Tia
Callida. Un giorno, avrai la tua impresa. Troverai il tuo destino, e il tuo duro viaggio
avrà finalmente senso.
Ora Eolo gli aveva restituito il disegno. Leo sapeva che ciò voleva dire che il suo
destino si stava avvicinando, ma il viaggio era frustrante come quella stupida
montagna. Ogni volta che Leo pensava che fossero arrivati sulla cima, si scopriva che
si trattava solo di una cresta con una persino più alta dietro.
Prima le cose importanti, si disse Leo. Sopravvivere oggi. Capire il significato del
disegno a pastelli del destino più tardi.
Alla fine Jason si accovacciò dietro a un muro di rocce. Fece segno agli altri di fare lo
stesso. Leo si avvicinò di soppiatto vicino a lui. Piper dovette tirare giù Coach Hedge.
“Non voglio sporcarmi il mio completo!” si lamentò Hedge.
“Shhh!” disse Piper.
Con riluttanza, il satiro si mise in ginocchio.
Proprio al di sopra del bordo dove si stavano nascondendo, all’ombra della cresta
finale della montagna, si trovava una concavità imboschita grande circa quanto un
campo da calcio, dove il gigante Encelado si era accampato.
Gli alberi erano stati abbattuti per creare un poderoso falò viola. Il bordo esterno
della radura era disseminato di ceppi extra e attrezzi da costruzione: una ruspa; una
grande cosa a forma di bastone con delle lame rotanti all’estremità simile a un
rasoio elettrico – doveva essere una mietitrice di alberi, pensò Leo; e una lunga
colonna di metallo con la lama di un’ascia, come una ghigliottina laterale – un’ascia
idraulica.
Perché il gigante avesse bisogno di attrezzi da costruzione, Leo non ne era certo.
Non vedeva come la creatura davanti a lui potesse anche solo entrare nel posto di
guida. Il gigante Encelado era così grande, così orribile, che Leo non voleva
guardarlo.
Ma obbligò se stesso a guardare verso il mostro.
Tanto per cominciare, era alto dieci metri – raggiungeva senza problemi le cime
degli alberi. Leo era certo che il gigante potesse vedergli dietro alla loro cresta, ma
sembrava concentrato sullo strano falò viola, girandoci attorno e cantilenando a
bassa voce. Dalla vita in su, il gigante aveva un aspetto umanoide, il torace
muscoloso rivestito da un’armatura di bronzo, decorata con motivi di fiamme. Le
sue braccia erano completamente pompate. Ogni suo bicipite era più grande di Leo.
La sua pelle era bronzea, ma nera di cenere. Il suo volto era crudelmente sagomato,
come una figura d’argilla mezza finita, ma i suoi occhi brillavano di bianco, e i capelli
erano acconciati in ispidi rasta che gli ricadevano sulle spalle, intrecciati con delle
ossa.
Dalla vita in giù era persino più terrificante. Le sue gambe erano squamate di verde,
con artigli al posto dei piedi – come le zampe anteriori di un drago. In mano,
Encelado aveva una lancia grande come l’asta di una bandiera. Di tanto in tanto
immergeva la punta nel fuoco, facendo diventare il metallo rosso incandescente.
“Okay,” sussurrò Coach Hedge. “Ecco il piano –“
Leo gli diede una gomitata. “Non lo attaccherà da solo!”
“Aw, andiamo.”
Piper trattenne un singhiozzo. “Guardate.”
Appena visibile dall’altra parte del falò c’era un uomo legato a un palo. La sua testa
ciondolava come se fosse senza sensi, così Leo non poteva vedere il suo volto ma
Piper non sembrava avere nessun dubbio.
“Papà,” disse.
Leo deglutì. Desiderò che si trattasse di un film di Tristan McLean. In quel caso il
padre di Piper avrebbe finto di essere svenuto. Si sarebbe sleghato dalle catene e
avrebbe messo il gigante al tappeto con qualche tipo di gas anti-gigante
astutamente nascosto. Avrebbe iniziato a suonare della musica eroica, e Tristan
McLean avrebbe fatto la sua stupefacente fuga, correndo via al rallentatore mentre
il fianco della montagna esplodeva alle sue spalle.
Ma questo non era un film. Tistan McLean era mezzo morto e in procinto di essere
mangiato. Le uniche persone che potevano impedirlo – tre semidei adolescenti
vestiti alla moda e una capra megalomane.
“Noi siamo in quattro,” sussurrò Hedge in modo urgente. “E lui è solo uno.”
“Le è sfuggito il fatto che è alto dieci metri?” chiese Leo.
“Okay,” disse Hedge. “Allora te, io e Jason lo distraiamo. Piper gli gira attorno di
soppiatto e libera suo padre.”
Guardarono tutti Jason.
“Cosa?” chiese Jason. “Non sono il capo.”
“Sì,” disse Piper. “Lo sei.”
Non ne avevano mai parlato davvero, ma nessuno dissentì, nemmeno Hedge.
Arrivare fino a quel punto era stato un lavoro di squadra, ma quando si trattava di
decisioni di vita o di morte, Leo sapeva che era Jason colui al quale rivolgersi. Anche
se non aveva ricordi, Jason aveva un certo equilibrio in lui. Capivi benissimo che era
già stato in battaglia prima d’ora, e sapeva come mantenere la calma. Leo non era
esattamente il tipo che si fidava delle persone, ma avrebbe affidato a Jason la sua
vita.
“Detesto doverlo dire,” sospirò Jason, “ma Coach Hedge ha ragione. Una distrazione
è la migliore possibilità di Piper.”
Non una buona possibilità, pensò Leo. Nemmeno una possibilità di sopravvivere.
Solo la loro migliore possibilità.
Non potevano rimanete seduti lì a discuterne per tutto il giorno, però. Doveva
essere quasi mezzogiorno – la scadenza del gigante – e la terra stava continuando a
cercare di tirargli giù. Le ginocchia di Leo erano già affondate di cinque centimetri
nella terra.
Leo guardò l’attrezzatura da costruzione e gli venne un’idea folle. Tirò fuori il piccolo
giocattolo che aveva costruito durante la salita, e capì cosa poteva fare – se era
fortunato, cosa che non era quasi mai.
“Buttiamoci nella mischia,” disse. “Prima che ritorni in me.”
42
LEO
Il piano andò storto quasi immediatamente. Piper si arrampicò lungo la cresta,
cercando di tenere la testa bassa, mentre Leo, Jason e Coach Hedge camminarono
dritti nella radura.
Jason evocò la sua lancia dorata. La brandì sopra la testa e urlò, “Gigante!” Cosa che
suonò piuttosto buona, e molto più baldanzosa di quello che sarebbe riuscito a fare
Leo. Lui stava pensando più a qualcosa del tipo “Siamo delle patetiche formiche!
Non ucciderci!”
Encelado smise di cantilenare in direzione delle fiamme. Si girò verso di loro e
sogghignò, rivelando delle zanne come quelle di una tigre dai denti a sciabola.
“Bene,” rombò il gigante. “Che bella sorpresa.”
A Leo non piacque il suono di quello. Le sue mani si chiusero sul suo congegno a
carica. Si spostò di lato, costeggiando la strada verso il bulldozer.
Coach Hedge urlò, “Lascia andare la stella del cinema, grosso, orribile pasticcino! O
dovrò ficcarti il mio zoccolo dritto nel tuo –“
“Coach,” disse Jason. “Zitto.”
Encelado ruggì di risate. “Mi ero dimenticato di quanto fossero divertenti i satiri.
Quando domineremo il mondo, credo che conserverò la vostra specie. Potrete
intrattenermi mentre mangio tutti gli altri mortali.”
“E’ un complimento?” Hedge aggrottò le sopracciglia verso Leo. “Non credo che
fosse un complimento.”
Encelado spalancò la bocca, e i suoi denti cominciarono a brillare.
“Sparpagliatevi!” gridò Leo.
Jason e Hedge si gettarono sulla sinistra mentre il gigante sputava fuoco – una
raffica così calda che avrebbe fatto ingelosire perfino Festus. Leo si scansò dietro il
bulldozer, caricò il suo dispositivo fatto a mano e lo lanciò nel posto di guida. Poi
corse a destra, diretto verso la mietitrice di alberi.
Con la coda dell’occhio, vide Jason alzarsi e caricare in direzione del gigante. Coach
Hedge si strappò via la sua giacca giallo canarino, che era ora in fiamme, e belò con
rabbia. “Mi piaceva quel completo!” Poi sollevò la clava e caricò a sua volta.
Prima che potessero andare molto lontano, Encelado sbatté la sua lancia contro il
terreno. L’intera montagna tremò.
L’onda d’urto fece cadere Leo. Sbatté le palpebre, momentaneamente stordito.
Attraverso un velo di erba in fiamme e fumo pungente, vide Jason rimettersi
barcollante in piedi dall’altra parte della radura. Coach Hedge era privo di sensi. Era
caduto in avanti e aveva sbattuto la testa su un ceppo. Il suo peloso didietro era per
aria, con i pantaloni giallo canarino intorno alle ginocchia – una vista della quale Leo
non aveva davvero bisogno.
Il gigante urlò, “Ti vedo, Piper McLean!” Si voltò e sputò fuoco verso la fila di
cespugli alla destra di Leo. Piper corse nella radura come una quaglia agitata, la
boscaglia che bruciava dietro di lei.
Encelado rise. “Sono contento che sei arrivata. E mi hai portato i miei premi!”
Lo stomaco di Leo si attorcigliò. Quello era il momento del quale gli aveva avvertiti
Piper. Erano finiti dritti nelle mani di Encelado.
Il gigante doveva aver letto l’espressione di Leo, perché rise persino più forte.
“Esatto, figlio di Efesto. Non mi aspettavo che sareste rimasti tutti in vita così a
lungo, ma non importa. Portandovi qui, Piper McLean ha saldato il suo accordo. Se vi
tradisce, manterrò la mia parola. Può prendere suo padre e andarsene. Che me ne
importa di una star del cinema?”
Ora Leo poteva vedere il padre di Piper più chiaramente. Indossava una camicia
logora e dei pantaloni con la piega stracciati. I suoi piedi nudi erano incrostati di
fango. Non era completamente privo di sensi, perché sollevò la testa e gemette – sì,
senza dubbio Tristan McLean. Leo aveva visto quel volto in abbastanza film. Ma
aveva un brutto taglio sul lato della guancia, e appariva magro e malaticcio – per
niente eroico.
“Papà!” urlò Piper.
Mr. McLean sbatté le palpebre, cercando di mettere a fuoco. “Pipes…? Dove…”
Piper sguainò il suo pugnale e affrontò Encelado. “Lascialo andare!”
“Certamente, cara,” rombò il gigante. “Giura a me la tua fedeltà, e non abbiamo
problemi. Solo questi altri devono morire.”
Piper guardò avanti e indietro tra Leo e suo padre.
“Ti ucciderà,” avvertì Leo. “Non fidarti di lui!”
“Oh, andiamo,” ruggì Encelado. “Sapevi che sono nato per combattere Atena in
persona? Madre Gaia ha creato noi giganti con uno scopo specifico, progettati per
combattere e distruggere un dio in particolare. Io ero la nemesi di Atena, l’antiAtena, si potrebbe dire. Paragonato ad alcuni dei miei fratelli – sono piccolo! Ma
sono astuto. E manterrò la mia promessa con te, Piper McLean. Fa parte del mio
piano!”
Ora Jason era di nuovo in piedi, la lancia pronta, ma, prima che potesse agire,
Encelado ruggì – un richiamo così forte che riecheggiò lungo la vallata e venne
probabilmente sentito fino a San Francisco.
Dal margine del bosco sorsero una mezza dozzina di creature simili a orchi. Leo si
rese conto con certezza nauseante che non erano semplicemente stati nascosti là
dietro. Erano sorti direttamente dalla terra.
Gli orchi si trascinarono in avanti. Erano piccoli paragonati a Encelado, alti circa due
metri. Ciascuno aveva sei braccia – un paio nella posizione normale, poi un paio in
più che gli spuntavano dalla cima delle spalle, e un altro gruppo che gli usciva dai lati
delle costole. Indossavano solo dei luridi perizoma di pelle, e persino dall’altra parte
della radura, Leo era in grado di sentire il loro odore. Sei ragazzi che non si erano
mai fatti un bagno, ciascuno con sei ascelle. Leo decise che se fosse sopravvissuto a
quel giorno si sarebbe dovuto fare una doccia di tre ore solo per dimenticarsi del
fetore.
Leo si avvicinò a Piper. “Cosa – cosa sono quelli?”
La sua lama rifletteva la luce viola del falò. “Gegenes.”
“In inglese?” chiese Leo.
“I Figli della Terra,” disse lei. “Giganti dalle sei braccia che combatterono contro
Jason – il primo Jason, Giasone.”
“Molto bene, mia cara!” Encelado sembrava contento. “Vivevano in un miserabile
luogo in Grecia chiamato Bear Mountain. Il Monte Diablo è molto più carino! Sono
dei figli minori di Madre Natura, ma servono al loro scopo. Sono bravi con
l’attrezzatura da costruzione –“
“Vroom, vroom!” ruggì uno dei Figli della Terra, e gli altri si unirono alla cantilena,
ognuno muovendo le sue sei braccia come se stesse guidando un’auto, come se si
trattasse di qualche strano tipo di rituale religioso. “Vroom, vroom!”
“Sì, grazie ragazzi,” disse Encelado. “Hanno anche una faccenda in sospeso con gli
eroi. Soprattutto con chiunque si chiamo Jason.”
“Yay-son!” urlarono i Figli della Terra. Afferrarono tutti dei blocchi di terra, che si
solidificarono nelle loro mani, trasformandosi in brutte pietre appuntite. “Dov’è Yayson? Uccidere Yay-son!”
Encelado sorrise. “Vedi, Piper, hai una scelta. Salvare tuo padre o, ah, cercare di
salvare i tuoi amici e affrontare una morte certa.”
Piper si fece avanti. I suoi occhi ardevano di una tale rabbia, che persino di Figli della
Terra indietreggiarono. Emanava potere e bellezza, ma non aveva nulla a che fare
con i vestiti o il trucco.
“Non ti prenderai le persone a cui voglio bene,” disse. “Nessuna di loro.”
Le sue parole si riversarono per la radura con tale forza che i Figli della Terra
borbottarono, “Okay. Okay, scusa,” e cominciarono a ritirarsi.
“Mantenete le vostre posizioni, idioti!” ruggì Encelado. Ringhiò verso Piper. “Questo
è il motivo per il quale ti volevo viva, mia cara. Ci saresti stata così utile. Ma come
desideri. Figli della Terra! Vi mostrerò Jason.”
Il cuore di Leo affondò. Ma il gigante non indicò Jason. Puntò verso l’altra parte del
falò, dove Tristan McLean era appeso indifeso e mezzo cosciente.
“Ecco Jason,” disse Encelado con soddisfazione. “Fatelo a pezzi!”
La sorpresa più grande di Leo: una sola occhiata da Jason, e tutti e tre sapevano lo
schema di gioco. Quando era successo, il fatto che potessero leggersi a vicenda così
bene?
Jason caricò contro Encelado, mentre Piper si lanciò verso suo padre e Leo corse
verso la mietitrice di alberi, che si trovava tra Mr. McLean e i Figli della Terra.
I giganti a sei braccia erano veloci, ma Leo corse come uno spirito delle tempeste.
Balzò verso la mietitrice da un metro e mezzo di distanza e si gettò al posto di guida.
Le sue mani volarono sui comandi, e il macchinario rispose con velocità innaturale –
prendendo vita come se sapesse quanto fosse importante.
“Ha!” urlò Leo, e fece oscillare il braccio della gru attraverso il falò, rovesciando
pezzi di legno in fiamme addosso ai Figli della Terra e spruzzando ovunque scintille.
Due giganti vennero sopraffatti da una valanga ardente e si fusero nuovamente con
la terra – per rimanerci per un po’, si sperava.
Gli altri quattro orchi inciamparono sui ceppi in fiamme e i carboni ardenti mentre
Leo faceva girare la mietitrice. Colpì un bottone, e all’estremità del braccio
meccanico le malvagie lame rotanti cominciarono a ronzare.
Con la coda dell’occhio, poté vedere Piper vicino al palo, intenta a liberare suo
padre. Dall’altra parte della radura, Jason combatteva contro il gigante, riuscendo in
qualche modo a schivare la sua enorme lancia e le esplosioni di fuoco. Coach Hedge
era ancora eroicamente svenuto con la coda da capra dritta in aria.
L’intero fianco della montagna sarebbe presto stato in fiamme. Il fuoco non avrebbe
infastidito Leo, ma se i suoi amici venivano bloccati là sopra – no. Doveva agire
velocemente.
Uno dei Figli della Terra – a quanto pareva non quello più intelligente – caricò verso
la mietitrice di alberi, e Leo fece oscillare il braccio meccanico nella sua direzione.
Non appena le lame toccarono l’orco, questo si dissolse in argilla bagnata e schizzò
per tutta la radura. La maggior parte di lui volò in faccia a Leo.
Sputò l’argilla dalla bocca e voltò la mietitrice verso i tre Figli della Terra rimasti, che
indietreggiarono velocemente.
“Vroom-vroom cattiva!” urlò uno.
“Sì, esatto!” gli urlò Leo. “Vuoi un po’ di vrrom-vroom cattiva? Venite!”
Sfortunatamente, lo fecero. Tre orchi con sei braccia, ciascuna che lanciava grosse
pietre dure alla massima velocità – e Leo seppe che era finita. In qualche modo, si
lanciò in una capriola all’indietro scendendo dalla mietitrice mezzo secondo prima
che un masso demolisse il posto di guida. Le rocce cozzarono contro il metallo. Nel
tempo che Leo impiegò a rimettersi in piedi, la mietitrice aveva assunto l’aspetto di
una lattina di coca-cola schiacciata, che affondava nel terreno.
“Perdenti!” urlò Leo.
Gli orchi stavano prendendo altri blocchi di terra, ma questa volta stavano
guardando con sguardo feroce nella direzione di Piper.
A dieci metri di distanza, il bulldozer prese vita ruggendo. L’apparecchio fatto a
mano di Leo aveva fatto il suo lavoro, infilandosi nei controlli della ruspa e dandogli
una temporanea vita propria. Ruggì verso il nemico.
Proprio mentre Piper liberava suo padre e lo prendeva tra le braccia, i giganti
lanciarono la loro seconda raffica di pietre. Il bulldozer scivolò nel fango, sbandando
per intercettarle, e la maggior parte delle pietre sbatterono contro la sua pala. La
forza d’impatto fu così grande che fece andare il bulldozer all’indietro. Due pietre
rimbalzarono e colpirono chi le aveva lanciate. Altri due Figli della Terra si sciolsero
in argilla. Sfortunatamente, una roccia colpì il motore del bulldozer, provocando una
nuvola di fumo oleoso, e il macchinario gemette fermandosi. Un altro fantastico
giocattolo rotto.
Piper trascinò suo padre al di là della cresta. L’ultimo Figlio della Terra caricò nella
sua direzione.
Leo era a corto di trucchi, ma non poteva permettere a quel mostro di raggiungere
Piper. Corse in avanti, dritto attraverso le fiamme, e afferrò qualcosa – qualsiasi cosa
– dalla sua cintura degli attrezzi.
“Hey, stupido!” urlò, e lanciò un cacciavite verso il Figlio della Terra.
Non uccise l’orco, ma senza dubbio attirò la sua attenzione. Il cacciavite affondò
nella fronte del gigante fino all’impugnatura come se fosse di pongo.
Il Figlio della Terra gridò dal dolore e si bloccò. Tirò fuori il cacciavite, si voltò e
guardò Leo con sguardo feroce. Purtroppo, quest’ultimo orco sembrava il più grande
e il più cattivo del gruppo. Gaia aveva dato davvero il meglio di sé nel crearlo – con
super muscoli, orribile faccia deluxe, l’intero pacchetto.
Oh, fantastico, pensò Leo. Mi sono fatto un amico.
“Muori!” ruggì il Figlio della Terra. “L’amico di Yay-son muore!”
L’orco raccolse un pugno di terra, che si indurì immediatamente diventato una palla
di cannone fatta di roccia.
La mente di Leo si fece vuota. Mise la mano nella cintura degli attrezzi, ma non era
in grado di pensare a nulla che potesse essere d’aiuto. Avrebbe dovuto essere
ingegnoso – ma non poteva crearsi o costruirsi o improvvisare la sua vita d’uscita da
questa situazione.
Bene, pensò. Uscirò stile “fiamma della gloria”.
Eruttò in fiamme, urlò, “Efesto!” e caricò verso l’orco a mani vuote.
Non lo raggiunse mai.
Una macchia indistinta di turchese e nero balenò alle spalle dell’orco. Una lama di
bronzo luccicante affettò verso l’alto un lato del Figlio della Terra, e verso il basso
l’altro.
Sei grandi braccia caddero a terra, con i massi che rotolarono via dalle loro inutili
mani. Il Figlio della Terra guardò in basso, molto sorpreso. Borbottò, “Braccia ciaociao.”
Poi si sciolse nella terra.
Piper era là, con il fiatone, il suo pugnale coperto d’argilla. Suo padre era seduto
sulla cresta, intontito e ferito, ma ancora vivo.
L’espressione di Piper era feroce – quasi pazza, come quella di un animale messo
all’angolo. Leo era contento che fosse dalla sua parte.
“Nessuno fa del male ai miei amici,” disse lei, e, con un’improvvisa sensazione di
calore, Leo si rese conto che stava parlando di lui. Poi lei urlò, “Andiamo!”
Leo vide che la battaglia non era finita. Jason stava ancora combattendo il gigante
Encelado – e non stava andando bene.
43
JASON
Quando la lancia di Jason si spezzò, seppe che era morto.
La battaglia era iniziata abbastanza bene. Gli istinti di Jason erano entrati in azione, e
la sua pancia gli aveva detto che aveva affrontato degli avversari grandi quasi
quanto questo prima d’ora. Taglia e forza equivalevano alla lentezza, perciò Jason
doveva solo essere più veloce – prendere il passo, far stancare il suo avversario e
evitare di essere schiacciato o arrostito.
Rotolò via dal primo affondo della lancia del gigante e colpì Encelado nella caviglia. Il
giavellotto di Jason riuscì a infilzare la dura pelle di drago, e l’icore dorato – il sangue
degli immortali – fuoriuscì dal piede artigliato del gigante.
Encelado urlò dal dolore e lo colpì con il fuoco. Jason si spostò velocemente,
rotolando dietro al gigante, e colpendolo nuovamente dietro al ginocchio.
Andò avanti in quel modo per secondi, minuti – era difficile da giudicare. Jason udiva
i suoni del combattimento nella radura – macchinari da costruzione che
sferragliavano, fuoco che ruggiva, mostri che urlavano e pietre che si scontravano
con il metallo. Udì Leo e Piper urlare in modo provocatorio, il che voleva dire che
erano ancora vivi. Jason cercò di non pensarci. Non poteva permettersi di distrarsi.
La lancia di Encelado lo mancò di un soffio. Jason continuava a schivare, ma la terra
gli si incollava ai piedi. Gaia si stava facendo più forte, e il gigante stava diventando
più veloce. Encelado poteva essere lento, ma non era stupido. Cominciò a prevedere
le mosse di Jason, e i suoi attacchi lo stavano solo infastidendo, rendendolo più
adirato.
“Non sono qualche mostro minore,” urlò Encelado. “Io sono un gigante, nato per
distruggere gli dei! Il tuo piccolo stuzzicadenti d’oro non può uccidermi, ragazzo.”
Jason non sprecò energia a rispondere. Era già stanco. La terra gli si attaccava ai
piedi, facendolo sentire come se pesasse cinquanta chili in più. L’aria era piena di
fumo che gli bruciava i polmoni. Le fiamme gli crepitavano intorno, alimentate dai
venti, e la temperatura si stava avvicinando al calore di un forno.
Jason sollevò il suo giavellotto per bloccare il colpo successivo del gigante – un
grosso errore. Non combattere la forza con la forza, lo rimproverò una voce – Lupa,
che gli aveva detto ciò molto tempo fa. Riuscì a deviare la lancia, ma gli graffiò la
spalla, e il suo braccio divenne insensibile.
Si fece indietro, quasi inciampando su un ceppo in fiamme.
Doveva temporeggiare – mantenere l’attenzione del gigante fissa su di lui mentre i
suoi amici affrontavano i Figli della Terra e salvavano il padre di Piper. Non poteva
fallire.
Si ritirò, cercando di attirare il gigante fino al bordo della radura. Encelado poteva
avvertire la sua stanchezza. Il gigante sorrise, scoprendo le zanne.
“Il potente Jason Grace,” lo derise. “Sì, sappiamo di te, figlio di Giove. Colui che
guidò l’assalto sul Monte Othrys. Colui che sconfisse da solo il Titano Krios e ribaltò il
trono nero.”
La mente di Jason annaspava. Non conosceva quei nomi, tuttavia gli fecero
formicolare la pelle, come se il suo copro si ricordasse del dolore che la sua mente
non ricordava.
“Di cosa stai parlando?” chiese. Si rese conto del suo errore quando Encelado sputò
fuoco.
Distratto, Jason si mosse troppo lentamente. Il colpo lo mancò, ma il calore gli
ustionò la schiena. Cadde a terra, con i vestiti in fumo. Era accecato dalla cenere e
dal fumo, annaspando mentre cercava di respirare.
Indietreggiò velocemente mentre la lancia del gigante spaccava il terreno tra i suoi
piedi.
Jason riuscì a rialzarsi.
Se solo fosse riuscito a evocare un buon colpo di fulmini – ma era già prosciugato, e
nelle sue condizioni lo sforzo avrebbe potuto ucciderlo. Non sapeva nemmeno se
l’elettricità avrebbe ferito il gigante.
La morte in battaglia è onorabile, disse la voce di Lupa.
Questo è davvero confortante, pensò Jason.
Un ultimo tentativo: Jason prese un respiro profondo e caricò.
Encelado lo fece avvicinare, sogghignando con aspettativa. All’ultimo secondo, Jason
fece una finta e rotolò tra le gambe del gigante. Si rialzò velocemente, piantandosi
con tutta la sua forza, pronto per infilzarlo alla base della schiena, ma Encelado
anticipò il trucco. Si spostò di lato con troppa velocità e agilità per un gigante, come
se la terra lo stesse aiutando a muoversi. Fece scivolare la sua lancia di lato,
scontrandosi con il giavellotto di Jason – e, con un colpo secco simile allo sparo di un
fucile, la sua arma dorata si frantumò.
L’esplosione fu più calda del respiro del gigante, accecando Jason con luce dorata. La
forza lo buttò a terra e lo lasciò a corto di fiato.
Quando riacquistò la vista, si trovava seduto sul bordo di un cratere. Encelado si
trovava dall’altra parte, traballante e confuso. La distruzione del giavellotto aveva
rilasciato così tanta energia che aveva aperto una fossa profonda dieci metri dalla
forma perfettamente conica, fondendo la terra e le rocce in una lucida sostanza
vetrosa. Jason non era sicuro di come avesse fatto a sopravvivere, ma i suoi vestiti
stavano fumando. Era a corto di energia. Non aveva armi. Ed Encelado era ancora
molto vivo.
Jason cercò di alzarsi, ma le sue gambe sembravano di piombo. Encelado sbatté le
palpebre guardando la distruzione, poi rise. “Impressionate! Sfortunatamente,
quello è stato il tuo ultimo trucco, semidio.”
Encelado saltò il cratere con un unico balzo, piantando i piedi ai due lati di Jason. Il
gigante sollevò la lancia, la sua punta sospesa due metri sopra il petto di Jason.
“E ora,” disse Encelado, “il mio primo sacrificio a Gaia!”
44
JASON
Il tempo sembrò rallentare, cosa che era davvero frustante, dal momento che Jason
non era ancora in grado di muoversi. Si sentì affondare nella terra, come se il suolo
fosse un materasso ad acqua – comodo, che lo incoraggiava a rilassarsi e mollare. Si
chiese se le storie dell’Oltretomba fossero vere. Sarebbe finito nei Campi della
Punizione o nell’Elisio? Se non poteva ricordarsi di nessuna delle sue imprese,
avrebbero contato comunque? Si domandò se i giudici l’avrebbero preso in
considerazione, o se suo padre, Zeus, gli avrebbe scritto un messaggio: “Per favore,
esonerate Jason dalla dannazione eterna. Ha avuto un’amnesia.”
Jason non riusciva a sentirsi le braccia. Poteva vedere la punta della lancia
avvicinarsi al suo petto al rallentatore. Sapeva che avrebbe dovuto muoversi, ma
sembrava che non ne fosse in grado. Buffo, pensò. Tutti quegli sforzi per rimanere in
vita, e poi boom. Te ne stai semplicemente lì indifeso mentre un gigante sputafuoco
ti infilza.
La voce di Leo urlò, “Attenzione!”
Un grosso cuneo di metallo si schiantò contro Encelado con un enorme thunk! Il
gigante traballò e scivolò nel cratere.
“Jason, tirati su!” esclamò Piper. La sua voce gli diede energia, scuotendolo fuori dal
suo stordimento. Si mise a sedere, la testa intontita, mentre Piper lo afferrava da
sotto le braccia e lo metteva in piedi.
“Non mi morirai in braccio,” ordinò lei. “Tu non mi morirai in braccio.”
“Sì, signore.” Si sentiva stordito, ma lei era più o meno la cosa più bella che avesse
mai visto. I suoi capelli fumavano. Il suo volto era macchiato di fuliggine. Aveva un
taglio sul braccio, e il suo vestito era strappato e le mancava uno stivale. Bellissima.
A circa trenta metri alle sue spalle, Leo era in piedi su un pezzo di macchinario da
costruzione – un lungo oggetto simile a un cannone con un unico enorme pistone, il
bordo staccato via.
Poi Jason guardò in basso nel cratere e vide dove era andata a finire l’altra estremità
dell’ascia idraulica. Encelado si stava dibattendo per sollevarsi, con la lama di
un’ascia grande quanto una lavatrice bloccata sopra la sua corazza.
Sorprendentemente, il gigante riuscì a togliersi la lama di dosso. Urlò di dolore e la
montagna tremò. Icore dorato impregnava la parte anteriore della sua armatura, ma
Encelado si mise in piedi.
In modo malfermo, si chinò e recuperò la sua lancia.
“Bel tentativo.” Il gigante sussultò. “Ma non posso essere sconfitto.”
Sotto i loro sguardi, l’armatura del gigante si aggiustò da sola e l’icore smise di
scorrere. Persino i tagli sulle sue gambe con le squame da drago, per i quali Jason
aveva lavorato così tanto, erano ormai solo delle pallide cicatrici.
Leo corse da loro, vide il gigante e imprecò. “Cos’ha quel tipo? Ormai dovresti
morire!”
“Il mio destino è stabilito,” disse Encelado. “I giganti non possono essere uccisi dagli
dei o dagli eroi.”
“Solo da entrambi,” disse Jason. Il sorriso del gigante vacillò, e Jason vide qualcosa
nei suoi occhi che assomigliava alla paura. “E’ la verità, non è così? Dei e semidei
devono agire insieme per ucciderti.”
“Non vivrete abbastanza per provarci!” Il gigante cominciò a incespicare lungo il
pendio del cratere, scivolando sulle pareti vetrose.
“Qualcuno di voi ha un dio a portata di mano?” chiese Leo.
Il cuore di Jason si riempì di terrore. Guardò il gigante sotto di loro, che combatteva
per uscire dalla fossa, e seppe cosa sarebbe dovuto accadere.
“Leo,” disse, “se hai una corda in quella cintura degli attrezzi, tienila pronta.”
Balzò verso il gigante senza armi eccetto le sue mani nude.
“Encelado!” urlò Piper. “Guarda dietro di te!”
Era un ovvio trucco, ma la sua voce era così irresistibile, che ci cascò persino Jason. Il
gigante disse, “Cosa?” e si voltò come se ci fosse un ragno gigante sulla sua schiena.
Jason placcò le sue gambe al momento esatto. Il gigante perse l’equilibrio. Encelado
cozzò nel cratere e scivolò nel fondo. Mentre cercava di alzarsi, Jason mise le mani
attorno al collo del gigante. Quando Encelado lottò per rimettersi in piedi, Jason
stava cavalcando sulle sue spalle.
“Scendi!” urlò Encelado. Cercò di afferrare le gambe di Jason, ma lui si dimenava,
contorcendosi e arrampicandosi sui capelli del gigante.
Padre, pensò Jason. Se ho mai fatto qualcosa di buono, qualsiasi cosa che tu abbia
approvato, aiutami ora. Ti offro la mia stessa vita – ma salva i miei amici.
Improvvisamente poté avvertire l’odore metallico di una tempesta. L’oscurità ingoiò
il sole. Il gigante si bloccò, avvertendolo anche lui.
Jason urlò ai suoi amici, “A terra!”
E ogni capello che aveva sulla testa si rizzò.
Crack!
Fulmini fluirono attraverso il corpo di Jason, dritti dentro Encelado e nel terreno. La
schiena del gigante si irrigidì, e Jason venne sbalzato via in salvo. Quando recuperò
l’orientamento, stava scivolando lungo la parete del cratere, il quale si stava
spaccando. La folgore aveva aperto la montagna stessa. La terra rombò e si aprì, e le
gambe di Encelado scivolarono nell’abisso. Si aggrappò inutilmente alle pareti
vetrose della fossa, e solo per un attimo riuscì a reggersi al bordo, con le mani che
tremavano.
Fissò lo sguardo su Jason con un’occhiata di odio. “Non hai vinto nulla, ragazzo. I
miei fratelli stanno sorgendo, e loro sono dieci volte più forti di me. Distruggeremo
gli dei alle loro radici! Morirete, e l’Olimpo morirà con –“
Il gigante perse la presa e cadde nella crepa.
La terrà tremò. Jason cadde verso la spaccatura.
“Aggrappati!” urlò Leo.
I piedi di Jason avevano raggiunto il bordo dell’abisso quando afferrò la corda, e Leo
e Piper lo tirarono su.
Rimasero insieme, esausti e terrorizzati, mentre l’abisso si chiudeva come una bocca
arrabbiata. La terra smise si aggrapparsi ai loro piedi.
Per il momento, Gaia non c’era più.
Il fianco della montagna era in fiamme. Il fumo si alzava fino a trenta metri in aria.
Jason avvistò un elicottero – forse pompieri o giornalisti – venire verso di loro.
Tutto intorno a loro c’era una strage. I Figli della Terra si erano fusi in pile di argilla,
lasciando solo i loro missili di roccia e alcuni orrendi pezzi di perizoma, ma Jason
immaginò che si sarebbero riformati presto. Il materiale da costruzione era in
rovine. La terra era sfregiata e annerita.
Coach Hedge cominciò a muoversi. Si mise a sedere con un lamento e si massaggiò
la testa. I suoi pantaloni giallo canarino erano ora del colore della senape mischiata
con il fango.
Sbatté le palpebre e si guardò intorno verso la scena della battaglia. “Ho fatto io
questo?”
Prima che Jason potesse rispondere, Hedge sollevò la sua clava e si rimise malfermo
in piedi. “Sì, volevate un po’ di zoccoli? Vi ho dato degli zoccoli, pasticcini! Chi è la
capra, huh?”
Fece un piccolo balletto, dando calci alle rocce e facendo quelli che dovevano
probabilmente essere dei gesti volgari da satiri verso le pile di argilla.
Leo abbozzò un sorriso, e Jason non poté farne meno – cominciò a ridere.
Probabilmente sembrava un po’ isterico, ma era un sollievo talmente grande quello
di essere vivo che non gli importò.
Poi un uomo apparve dall’altra parte della radura. Tristan McLean barcollò in avanti.
I suoi occhi erano vuoti, sotto shock, come una persona che aveva appena
attraversato una zona nucleare.
“Piper?” chiamò. La sua voce si spezzò. “Pipes, cosa – cosa è –“
Non riuscì a completare la frase. Piper gli corse incontro e lo abbracciò stretto, ma
lui sembrò quasi non riconoscerla.
Jason aveva provato una sensazione simile – quella mattina al Grand Canyon,
quando si era svegliato senza ricordi. Ma Mr. McLean aveva il problema contrario.
Lui aveva troppi ricordi, un trauma troppo grosso che la sua mente semplicemente
non riusciva a sopportare. Si stava spezzando.
“Dobbiamo portarlo fuori di qui,” disse Jason.
“Sì, ma come?” disse Leo. “Non è nella condizione di camminare.”
Jason lanciò un’occhiata all’elicottero, che ora stava volando in cerchio direttamente
sopra di loro. “Puoi costruire un corno o qualcosa del genere?” chiese a Leo. “Piper
deve fare una chiacchierata.”
45
PIPER
Prendere in prestito l’elicottero fu facile. Far salire suo padre a bordo, no.
A Piper bastò solo qualche parola detta attraverso il corno improvvisato di Leo per
convincere il pilota ad atterrare sulla montagna. L’elicottero del Servizio del Parco
era grande abbastanza per l’evacuazione medica o per le ricerche e i salvataggi, e
quando Piper disse alla guidatrice ranger molto carina che sarebbe stata una
fantastica idea portagli fino all’aeroporto di Oakland, lei acconsentì prontamente.
“No,” borbottò suo padre mentre lo sollevavano da terra. “Piper, cosa – c’erano dei
mostri – c’erano dei mostri –“
Le ci volle l’aiuto di Leo e Jason per reggerlo, mentre Coach Hedge raccoglieva le
loro scorte. Fortunatamente, Hedge si era rimesso i pantaloni e le scarpe, così Piper
non dovette spiegare le gambe da capra.
Spezzava il cuore di Piper vedere suo padre in quello stato – spinto oltre il punto di
rottura, a piangere come un bambino piccolo. Non sapeva esattamente cosa gli
avesse fatto il gigante, come i mostri gli avessero distrutto lo spirito, ma non credeva
che avrebbe retto a scoprirlo.
“Andrà tutto bene, papà,” disse, rendendo la sua voce il più calmante possibile. Non
voleva incantare il suo stesso padre, ma sembrava l’unico modo. “Queste persone
sono miei amici. Ti aiuteremo. Sei al sicuro ora.”
Lui sbatté le palpebre e guardò verso i rotori dell’elicottero. “Lame. Avevano una
macchina con così tante lame. Avevano sei braccia…”
Quando lo fecero arrivare alle porte, il pilota si avvicinò per aiutare. “Cos’ha che non
va?” chiese.
“Inalazione da fumi,” propose Jason. “O esaurimento da calore.”
“Dovremmo portarlo all’ospedale,” disse il pilota.
“Va bene così,” disse Piper. “L’aeroporto va bene.”
“Sì, l’aeroporto va bene,” concordò immediatamente il pilota. Poi si accigliò, come
se non fosse certa del perché avesse cambiato idea. “Lui non è Tristan McLean, la
star del cinema?”
“No,” disse Piper. “Gli assomiglia solo. Non ci pensi più.”
“Sì,” disse il pilota. “Gli assomiglia solo. Io –“ Sbatté le palpebre, confusa. “Mi sono
dimentica quello che stavo dicendo. Mettiamoci in cammino.”
Jason sollevò le sopracciglia verso Piper, ovviamente impressionato, ma Piper si
sentiva miserabile. Non voleva stravolgere la mente delle persone, convincerle di
cose alle quali non credevano. Sembrava così prepotente, così sbagliato – come
qualcosa che avrebbe fatto Drew al campo, o Medea nel suo malvagio grande
magazzino. E come avrebbe ciò aiutato suo padre? Non poteva convincerlo che
sarebbe stato bene, o che non fosse successo nulla. Il suo trauma era
semplicemente troppo profondo.
Alla fine lo fecero salire a bordo, e l’elicottero decollò. Il pilota continuava a ricevere
domande dalla radio, che le chiedevano dove stava andando, ma lei le ignorò.
Virarono lontano dalla montagna in fiamme e si diressero verso le Berkeley Hills.
“Piper.” Suo padre le afferrò la mano e la tenne come se avesse paura di cadere.
“Sei te? Loro mi hanno detto – mi hanno detto che saresti morta. Hanno detto… che
sarebbero accadute delle cose orribili.”
“Sono io, papà.” Le ci volle tutta la sua forza di volontà per non piangere. Doveva
essere forte per lui. “Andrà tutto bene.”
“C’erano dei mostri,” disse lui. “Mostri veri. Spiriti della terra, usciti dritti dalle storie
di Nonno Tom – e la Madre della Terra era arrabbiata con me. E il gigante, Tsul’kålu,
che sputava fuoco-“
Si concentrò nuovamente su Piper, i suoi occhi simili a vetri rotti, che riflettevano un
tipo di luce folle. “Hanno detto che eri un semidio. Tua madre era…”
“Afrodite,” disse Piper. “La Dea dell’amore.”
“Io – io – “ fece un respiro tremante, poi sembrò dimenticarsi come espirare.
Gli amici di Piper stavano attenti a non guardare. Leo giocherellava con un bullone
preso dalla sua cintura degli attrezzi. Jason fissava la vallata sottostante – le strade
che si ingorgavano mentre i mortali fermavano le loro macchine e guardavo
imbambolati la montagna in fiamme. Gleeson masticava lo stelo del suo garofano, e
per una volta il satiro non sembrava in vena di urlare o fare lo spaccone.
Tristan McLean non sarebbe dovuto essere visto in quel modo. Lui era una star. Lui
era sicuro di sé, elegante, garbato – sempre controllato. Quella era l’immagine
pubblica che proiettava. Piper aveva già visto quell’immagine vacillare prima. Ma
questo era diverso. Ora era spezzata, andata.
“Non sapevo di mamma,” gli disse Piper. “Non finché non sei stato catturato.
Quando abbiamo scoperto dove ti trovavi, siamo venuti subito. I miei amici mi
hanno aiutato. Nessuno ti farà più del male.”
Suo padre non riusciva a smettere di tremare. “Voi siete eroi – tu e i tuoi amici. Non
posso crederci. Tu sei un eroe vero, non come me. Non stai recitando una parte.
Sono così fiero di te, Pipes.” Ma le parole erano mormorate in modo disattento, in
una semi-trance.
Guardò giù nella vallata, e la sua presa nella mano di Piper si indebolì. “Tua madre
non me l’ha mai detto.”
“Pensava che fosse la cosa migliore.” Suonava patetico, persino alle orecchie di
Piper, e nessuna quantità di incanto con le parole poteva cambiarlo. Ma non disse a
suo padre quello di cui Afrodite era davvero preoccupata: Se deve vivere il resto
della sua vita con quei ricordi, sapendo che dei e spiriti camminano sulla terra,
questo lo distruggerà.
Piper si tastò la tasca del suo giacchetto. La fiala era sempre lì, calda al tocco.
Ma come poteva cancellargli i ricordi? Suo padre sapeva finalmente chi era. Era fiero
di lei, e per una volta lei era il suo eroe, non il contrario. Ora non l’avrebbe mai
mandata via. Condividevano un segreto.
Come poteva tornare al modo in cui le cose erano prima?
Gli tenne la mano, parlandogli di piccole cose – il suo periodo alla Wilderness School,
la sua cabina al Campo Mezzosangue. Gli raccontò come Coach Hedge mangiasse i
garofani e fosse stato colpito nel didietro sul Monte Diablo, come Leo avesse
addomesticato un drago, e come Jason avesse fatto ritirare i lupi parlando in Latino.
I suoi amici sorrisero a malincuore mentre lei raccontava le loro avventure. Suo
padre sembrò rilassarsi mentre lei parlava, ma non sorrise. Piper non era nemmeno
certa che la sentisse.
Mentre passavano oltre colline nella East Bay, Jason si tese. Si sporse così tanto
dall’apertura che Piper temeva sarebbe caduto.
Indicò. “Cos’è quello?”
Piper guardò in basso, ma non vide nulla di interessante – solo colline, boschi, case,
piccole strade che serpeggiavano attraverso i canyon. Una strada sopraelevata
tagliava le colline attraverso un tunnel, collegando la East Bay con le città interne.
“Dove?” chiese Piper.
“Quella strada,” disse lui. “Quella che attraversa le colline.”
Piper prese il casco integrale che le aveva dato il pilota e trasmise la domanda alla
radio. La risposta non fu molto emozionante.
“Dice che è la Superstrada 24,” riferì Piper. “Quello è il Caldecott Tunnel. Perché?”
Jason fissò con insistenza l’entrata del tunnel, ma non disse nulla. Scomparve dalla
loro vista mentre volavano sul centro di Oakland, ma Jason continuò a fissare in
lontananza, la sua espressione inquieta quasi quanto quella del padre di Piper.
“Mostri,” disse suo padre con una lacrima che gli scendeva lungo la guancia. “Vivo in
un mondo di mostri.”
46
PIPER
I controllori del traffico aereo non volevano autorizzare l’atterraggio di un elicottero
non programmato all’aeroporto di Oakland – fino a che Piper non parlò alla radio.
Allora si scoprì che non c’era nessun problema.
Atterrarono sulla pista, e guardarono tutti Piper.
“Ora che si fa?” le chiese Jason.
Lei si sentì a disagio. Non voleva essere lei il capo, ma per il bene di suo padre
doveva sembrare sicura di se. Non aveva nessun piano. Si ricordava solo che lui era
volato fino a Oakland, cosa che voleva dire che il suo aereo privato si trovava ancora
là. Ma quel giorno era il solstizio. Dovevano salvare Era. Non avevano idea di dove
andare o se era persino troppo tardi. E come poteva lasciare suo padre in quelle
condizioni?
“Prima di tutto,” disse. “Devo – devo portare mio padre a casa. Mi dispiace, ragazzi.”
I loro volti crollarono.
“Oh,” disse Leo. “Voglio dire, assolutamente. Ora ha bisogno di te. Possiamo
pensarci noi, da qui in poi.”
“Pipes, no.” Suo padre era rimasto seduto sulla soglia della porta dell’elicottero, con
una coperta intorno alle spalle. Ma si mise in piedi barcollando. “Hai una missione.
Un’impresa. Non posso –“
“Penserò io a lui,” disse Coach Hedge.
Piper lo fissò. Il satiro era l’ultima persona che si aspettata che si sarebbe offerta.
“Lei?” chiese.
“Io sono un protettore,” disse Gleeson. “Quello è il mio lavoro, non combattere.”
Suonava un po’ depresso, e Piper si rese conto che forse non avrebbe dovuto
raccontare di come fosse stato messo al tappeto nell’ultima battaglia. A modo suo,
forse il satiro era sensibile come suo padre.
Poi Hedge si raddrizzò, e serrò la mascella. “Ovviamente, sono anche bravo a
combattere.” Fissò tutti loro, sfidandoli a controbattere.
“Sì,” disse Jason.
“Terrificante,” concordò Leo.
Il coach grugnì. “Ma sono un protettore, e posso farlo. Tuo padre ha ragione Piper.
Devi portare avanti l’impresa.”
“Ma…” Gli occhi di Piper pizzicavano, come se fosse di nuovo nell’incendio della
foresta. “Papà…”
Lui stese le braccia, e lei lo abbracciò. Sembrava fragile. Stava tremando così tanto,
che la cosa la spaventò.
“Lasciamogli un minuto da soli,” disse Jason, e guidarono il pilota qualche metro
lungo la pista.
“Non posso crederci,” disse suo padre. “Ti ho deluso.”
“No, papà!”
“Le cose che hanno fatto, Piper, le visioni che mi hanno mostrato…”
“Papà, ascolta.” Tirò fuori la fiala dalla tasca. “Afrodite mi ha dato questo, per te.
Porta via i ricordi recenti. Farà sembrare come se nulla di tutto questo sia mai
capitato.”
Lui la fissò, come se stesse traducendo le sue parole da una lingua straniera. “Ma tu
sei un eroe. Mi dimenticherei di quello?”
“Sì,” sussurrò Piper. Si sforzò di usare un tono rassicurante. “Sì, lo faresti. Sarebbe
come – come prima.”
Lui chiuse gli occhi e fece un respiro tremante. “Ti voglio bene, Piper. Te ne ho
sempre voluto. Ti – ti ho mandata via perché non volevo che fossi esposta alla mia
vita. Non il modo nel quale sono cresciuto – la povertà, la disperazione. Nemmeno la
pazzia di Hollywood. Pensavo – pensavo che ti stessi proteggendo.” Abbozzò una
fragile risata. “Come se la tua vita senza di me fosse migliore, o più sicura.”
Piper gli prese la mano. L’aveva sentito parlare di proteggerla prima d’ora, ma non ci
aveva mai creduto. Aveva sempre pensato che stesse solo razionalizzando. Suo
padre sembrava così sicuro e accomodante, come se la sua vita fosse un giro sulle
giostre. Come poteva sostenere che lei avesse bisogno di essere protetta da quello?
Alla fine Piper capì che aveva agito per il suo bene, cercando di non mostrare quanto
fosse spaventato e insicuro. Aveva davvero cercato di proteggerla. E ora la sua
abilità di combattere era stata distrutta.
Lei gli offrì la fiala. “Prendila. Magari un giorno saremo pronti per parlare ancora di
questo. Quando tu sarai pronto.”
“Quando sarò pronto,” mormorò lui. “Lo fai sembrare come – come se fossi io
quello che sta crescendo. Dovrei essere io il genitore.”
Prese la fiala. I suoi occhi luccicarono con una piccola, disperata speranza. “Ti voglio
bene, Pipes.”
“Ti voglio bene anche io, papà.”
Bevve il liquido rosa. I suoi occhi si rivolarono dentro la testa, e crollò in avanti. Piper
lo afferrò, e i suoi amici corsero per aiutare.
“Preso,” disse Hedge. Il satiro barcollò, ma era forte abbastanza per tenere Tristan
McLean in piedi. “Ho già chiesto alla nostra amica ranger di far portare il suo aereo.
Sta arrivando. Indirizzo di casa?”
Piper glielo stava per dire. Poi le venne in mente una cosa. Controllò la tasca di suo
padre, e il suo BlackBerry era ancora là. Sembrava bizzarro che avesse ancora
qualcosa di così normale dopo tutto quello che aveva passato, ma indovinò che
Encleado non avesse avuto nessun motivo per prenderglielo.
“E’ tutto qui,” disse Piper. “Indirizzo, il numero del suo autista. Stia solo attento a
Jane.”
Gli occhi di Hedge si accesero, come se avesse avvertito una possibile lotta. “Chi è
Jane?”
Quando Piper ebbe finito di spiegare, il lucido aereo bianco privato del padre era
rollato vicino all’elicottero.
Hedge e l’assistente di volo fecero salire il padre di Piper a bordo. Poi Hedge scese
un’ultima volta per salutare. Abbracciò Piper e guardò con sguardo feroce Jason e
Leo. “Voi pasticcini, vi prenderete cura di questa ragazza, mi avete sentito? O vi farò
fare le flessioni.”
“Afferrato, Coach,” disse Leo, con un sorriso accennato sulla bocca.
“Niente flessioni,” promise Jason.
Piper diede al vecchio satiro un altro abbraccio. “Grazie, Gleeson. Si prenda cura di
lui, per favore.”
“Tutto sotto controllo, McLean,” le assicurò. “Hanno birra di radice ed enchiladas
vegetariane su questo volo, e tovaglioli cento per cento lino – yum! Mi ci potrei
abituare.”
Mentre trottava sulle scale perse una scarpa, e il suo zoccolo fu visibile per un
secondo. Gli occhi dell’assistente di volo si spalancarono, ma lei distolse lo sguardo e
fece finta che non ci fosse nulla di strano. Piper pensò che avesse probabilmente
visto cose più strane, lavorando per Tristan McLean.
Quando l’aereo si diresse lungo la pista di decollo, Piper cominciò a piangere. Se lo
era tenuto dentro per troppo tempo e semplicemente non poteva più. Prima che se
ne rendesse conto, Jason la stava abbracciando, e Leo le stava vicino a disagio,
tirando fuori dei Kleenex dalla sua cintura degli attrezzi.
“Tuo padre è in buone mani,” disse Jason. “Sei stata fantastica.”
Lei singhiozzò nella sua maglietta. Si concesse di essere tenuta così per sei respiri
profondi. Sette. Poi non poté più indulgere. Loro avevano bisogno di lei. Il pilota
dell’elicottero aveva già un’aria inquieta, come se si stesse cominciando a
domandare perché gli avesse portati lì.
“Grazie, ragazzi,” disse Piper. “Io –“
Voleva dirgli quanto significassero per lei. Avevano sacrificato tutto, forse persino la
loro impresa, per aiutarla. Lei non poteva ripagargli, non poteva nemmeno tradurre
la sua gratitudine in parole. Ma le espressioni dei suoi amici le dissero che avevano
capito.
Poi, proprio accanto a Jason, l’aria iniziò a luccicare. All’inizio Piper pensò che si
trattasse del calore della pista, o forse dei fumi di scarico dell’elicottero, ma aveva
già visto qualcosa del genere nella fontana di Medea. Era un messaggio Iride.
Un’immagine apparve nell’aria – una ragazza dai capelli scuri con completo
mimetico invernale argentato, un arco in mano.
Jason inciampò all’indietro dalla sorpresa. “Talia!”
“Grazie agli dei,” disse la Cacciatrice. La scena alle sue spalle era difficile da
distinguere, ma Piper udì urla, metallo che sbatteva contro metallo e suoni di
esplosioni.
“L’abbiamo trovata,” disse Talia. “Voi dove siete?”
“Oakland,” disse lui. “Te dove sei?”
“La Casa del Lupo! Oakland va bene; non siete troppo lontani. Stiamo ritardando i
tirapiedi del gigante, ma non possiamo bloccargli per sempre. Venite qui prima del
tramonto, o è tutto finito.”
“Allora non è troppo tardi?” esclamò Piper. La speranza la inondò, ma l’espressione
di Talia la abbatté velocemente.
“Non ancora,” disse Talia. “Ma, Jason – è peggio di quello che pensavo. Porfirione
sta sorgendo. Sbrigatevi.”
“Ma dove si trova la Casa del Lupo?” implorò lui.
“Il nostro ultimo viaggio,” disse Talia, la sua immagine che cominciava a tremolare.
“Il parco. Jack London. Ricordi?”
Per Piper tutto ciò non aveva senso, ma Jason sembrava come se fosse stato colpito
da un proiettile. Barcollò, il volto pallido, e il messaggio Iride scomparve.
“Fratello, stai bene?” chiese Leo. “Sai dov’è?”
“Sì,” disse Jason. “Sonoma Valley. Non lontano. Non via aerea.”
Piper si voltò verso il pilota ranger, che aveva guardato tutto quello con un
espressione sempre più perplessa.
“Signora,” disse Piper con il suo sorriso migliore. “Non le dispiace aiutarci un’ultima
volta, vero?”
“Non mi dispiace,” concordò il pilota.
“Non possiamo portare una mortale in battaglia,” disse Jason. “E’ troppo
pericoloso.” Si voltò verso Leo. “Credi di poter pilotare questa cosa?”
“Um…” L’espressione di Leo non rassicurò esattamente Piper. Ma poi lui mise la
mano sul lato dell’elicottero, concentrandosi duramente, come se stesse ascoltando
la macchina.
“Elicottero Utility Bell 412HP,” disse Leo. “Quattro rotori lama principali compositi,
velocità di navigazione ventidue nodi, altezza massima raggiungibile ventimila piedi.
Il serbatoio è quasi pieno. Certo, posso pilotarlo.”
Piper sorrise nuovamente al ranger. “Non ha problemi se un ragazzo minore senza
patente prende in prestito il suo elicottero, vero? Lo restituiremo.”
“Io –“ Per poco il pilota non si strozzò con le parole, ma alla fine le fece uscire: “Non
ho problemi.”
Leo sogghignò. “Saltate su, ragazzi. Zio Leo vi porterà a fare un giro.”
47
LEO
Pilotare un elicottero? Certo, perché no. Leo aveva fatto un sacco di cose molto più
pazze in quell’ultima settimana.
Il sole stava calando mentre volavano in direzione nord, sopra al Richmond Bridge, e
Leo non riusciva a credere che la giornata fosse trascorsa così velocemente. Ancora
una volta, non c’era niente di meglio del disturbo da deficit dell’attenzione e di una
bella battaglia mortale per far volare il tempo.
Mentre pilotava l’elicottero, andava avanti e indietro tra la sicurezza e il panico. Se
non ci pensava, si ritrovava a spingere automaticamente i pulsanti giusti, a
controllare l’altimetro, portando lentamente all’indietro il volante e volando dritto.
Se si permetteva di pensare a quello che stava facendo, cominciava a dare in
escandescenza. Si immaginava zia Rosa che gli urlava contro in spagnolo, dicendogli
che era un lunatico delinquente che avrebbe fatto precipitare e mandato a fuoco
l’elicottero. Parte di lui sospettava che avesse ragione.
“Tutto bene?” gli chiese Piper dal posto del copilota. Sembrava più nervosa di
quanto lo fosse lui, così Leo fece una faccia coraggiosa.
“Alla grande,” disse. “Allora, cos’è la Casa del Lupo?”
Jason si sporse tra i loro sedili. “Una villa abbandonata a Sonoma Valley. La costruì
un semidio – Jack London.”
Leo non riconobbe il nome. “E’ un attore?”
“Scrittore,” disse Piper. “Storie di avventura, giusto? Il Richiamo della Foresta?
Zanna Bianca?”
“Sì,” disse Jason. “Era un figlio di Mercurio – cioè, Hermes. Era un avventuriero,
girava il mondo. Fu persino disoccupato per un po’. Poi fece fortuna scrivendo.
Comprò una grande fattoria in campagna e decise di costruire questa enorme villa –
la Casa del Lupo.”
“Chiamata così perché scriveva storie sui lupi?” indovinò Leo.
“In parte,” disse Jason. “Ma il posto, e la ragione per la quale scriveva di lupi – stava
lasciando degli indizi sulla sua esperienza personale. Ci sono un sacco di buchi nella
storia della sua vita – come nacque, chi era suo padre, perché vagava in giro così
tanto – cose che puoi spiegare solo se sai che era un semidio.”
La baia scivolò sotto di loro, e l’elicottero continuò verso nord. Davanti a loro, colline
gialle si estendevano fino a dove Leo poteva vedere.
“Allora Jack London è stato al Campo Mezzosangue,” indovinò Leo.
“No,” disse Jason. “No, non c’è stato.”
“Fratello, mi stai facendo impazzire con questi discorsi misteriosi. Ti stai ricordando
del tuo passato, sì o no?”
“Pezzi,” disse Jason. “Solo pezzi. Niente di bello. La Casa del Lupo si trova su un
terreno sacro. E’ dove London ha iniziato il suo viaggio da bambino – dove scoprì che
era un semidio. E’ quello il motivo per il quale è tornato là. Pensava che potesse
vivere lì, reclamare quella terra, ma non era destinata a lui. La Casa del Lupo era
maledetta, Andò in fiamme una settimana prima che lui e sua moglie ci si sarebbero
dovuto trasferire. Qualche anno dopo, London morì, e le sue ceneri furono
seppellite sul luogo.”
“Allora,” disse Piper, “come fai a sapere tutto questo?”
Un’ombra attraversò il volto di Jason. Probabilmente si trattava solo di una nuvola,
ma Leo poteva giurare che la sua forma sembrava quella di un’aquila.
“Anche io ho iniziato il mio viaggio là,” disse Jason. “E’ un luogo potente per i
semidei, un luogo pericoloso. Se Gaia riesce a reclamarlo, a usare il suo potere per
seppellire Era nel solstizio e a far sorgere Porfirione – ciò potrebbe essere
abbastanza per svegliare completamente la dea della terra.”
Leo tenne le mani sul joystick, guidando l’elicottero a velocità massima – correndo in
direzione nord. Poteva vedere delle perturbazioni davanti a loro – una macchia di
oscurità simile a un banco di nuvole o a una tempesta, proprio dove erano diretti
loro.
Il padre di Piper l’aveva definito un eroe prima. E Leo non riusciva a credere ad
alcune delle cose che aveva fatto – sconfiggere Ciclopi, disattivare campanelli
esplosivi, combattere contro orchi a sei braccia con macchinari da costruzione.
Sembrava come se fossero accadute a un’altra persona. Lui era solo Leo Valdez, un
ragazzo orfano di Houston. Aveva passato la sua vita a scappare, e parte di lui voleva
ancora farlo. Cosa pensava di fare, volando verso una villa maledetta per
combattere altri mostri malvagi?
La voce di sua madre gli riecheggiò nella testa: Niente è irreparabile.
A parte il fatto che te ne sei andata per sempre, pensò Leo.
Vedere Piper e suo padre di nuovo insieme gli aveva fatto realizzare delle cose.
Anche se Leo fosse sopravvissuto a quell’impresa e avessero salvato Era, per lui non
ci sarebbe stata nessuna felice riunione. Non sarebbe tornato da un’affettuosa
famiglia. Non avrebbe visto sua madre.
L’elicottero sussultò. Il metallo scricchiolò, e Leo poté quasi immaginarsi che il
ticchettio fosse un codice Morse: Non è la fine. Non è la fine.
Raddrizzò l’elicottero, e il cigolio si fermò. Stava solo avendo delle allucinazioni
uditive. Non poteva rimuginare su sua madre, o sull’idea che continuava a
tormentarlo – che Gaia stesse riportando le anime indietro dall’Oltretomba – quindi
perché lui non poteva approfittarne per farne qualcosa di buono? Pensare in quel
modo l’avrebbe fatto impazzire. Aveva un lavoro da fare.
Lasciò che i suoi istinti prendessero il sopravvento – proprio come far volare
l’elicottero. Se pensava troppo all’impresa, o a quello che sarebbe potuto capitare
dopo, sarebbe entrato nel panico. Il trucco era non pensare – solo riuscire a
superarlo.
“Trenta minuti restanti,” disse ai suoi amici, anche se non era certo di come facesse
a saperlo. “Se volete riposarvi un po’, ora è il momento adatto.”
Jason si allacciò la cintura sul retro dell’elicottero e crollò quasi immediatamente.
Piper e Leo rimasero completamente svegli.
Dopo qualche minuto di silenzio imbarazzante, Leo disse, “Tuo padre starà bene, sai.
Nessuno gli darà fastidio con quella capra pazza intorno.”
Piper lo guardò, e Leo fu colpito da quanto fosse cambiata. Non solo fisicamente. La
sua presenza era più forte. Sembrava più… qui. Alla Wilderness School aveva passato
il semestre cercando di non essere vista, nascondendosi nell’ultima fila della classe,
in fondo all’autobus, all’angolo della mensa il più lontano possibile dai ragazzi
rumorosi. Ora sarebbe stata impossibile da non vedere. Non importava cosa
indossava – eri costretto a guardarla.
“Mio padre,” disse pensierosa. “Sì, lo so. Stavo pensando a Jason. Sono preoccupata
per lui.”
Leo annuì. Più si avvicinavano al quel banco di nuvole scuro, più anche Leo
cominciava a preoccuparsi. “Sta cominciando a ricordarsi. Ciò dovrebbe renderlo un
po’ irascibile.”
“Ma se… se è una persona diversa?”
Leo aveva avuto lo stesso pensiero. Se la Foschia era in grado di influenzare i loro
ricordi, non poteva essere un’illusione anche l’intera personalità di Jason? Se il loro
amico non era loro amico, ed erano diretti verso una villa maledetta – un luogo
pericoloso per i semidei – cosa sarebbe successo se tutti i ricordi di Jason fossero
tornati nel bel mezzo di una battaglia?
“Nah,” decise Leo. “Dopo tutto quello che abbiamo passato? Non posso crederci.
Noi siamo una squadra. Jason può farcela.”
Piper si allisciò il suo vestito blu, che era bruciacchiato e a brandelli dalla loro
battaglia sul Monte Diablo. “Spero che tu abbia ragione. Ho bisogno di lui…” Si
schiarì la voce. “Cioè, ho bisogno di fidarmi di lui…”
“Lo so,” disse Leo. Dopo aver assistito al crollo di suo padre, Leo capiva che Piper
non poteva permettersi di perdere anche Jason. Aveva appena visto Tristan McLean,
il suo forte, gentile padre star del cinema, ridotto sull’orlo della pazzia. Leo era stato
a malapena in grado di assistere a quello, ma per Piper – Wow, non riusciva
nemmeno a immaginarlo. Pensava che ciò l’avrebbe resa insicura anche riguardo se
stessa. Se la debolezza era ereditaria, si stava probabilmente chiedendo, lei avrebbe
potuto crollare come aveva fatto suo padre?
“Hey, non ti preoccupare,” disse Leo. “Piper tu sei la più forte, la più potente
reginetta di bellezza che abbia mai incontrato. Puoi fidarti di te stessa. Per quello
che vale, puoi fidarti anche di me.”
L’elicottero sobbalzò in un vuoto d’aria, e Leo per poco non saltò fuori dalla sua
pelle. Imprecò e raddrizzò l’elicottero.
Piper rise nervosamente. “Fidarmi di te, huh?”
“Ah, zitta.” Ma sogghignò verso di lei, e per un secondo, sembrò come se si stesse
semplicemente rilassando piacevolmente con un’amica.
Poi colpirono il banco di nuvole.
48
LEO
All’inizio, Leo pensò che delle rocce stessero bersagliando il parabrezza. Poi si rese
conto che si trattava di nevischio. Della brina cominciò a formarsi ai bordi del vetro,
e delle fangose onde di ghiaccio gli bloccarono la vista.
“Una tempesta di ghiaccio?” urlò Piper sopra al rumore del motore e del vento.
“Dovrebbe essere così freddo a Sonoma?”
Leo non ne era certo, ma qualcosa riguardo quella tempesta sembrava cosciente,
malvagio – come se gli stesse colpendo intenzionalmente.
Jason si svegliò velocemente. Si piegò in avanti, afferrandosi ai loro sedersi per
mantenersi in equilibrio. “Ci stiamo avvicinando.”
Leo era troppo impegnato a lottare con il volante per rispondere. Improvvisamente
non era più così facile pilotare l’elicottero. I suoi movimenti si fecero lenti e
sussultanti. L’intera macchina tremò nel vento ghiacciato. L’elicottero
probabilmente non era stato pensato per volare nel freddo. I controlli si rifiutavano
di rispondere, e cominciarono a perdere
altitudine.
Sotto di loro, il suolo era una scura trapunta di alberi e nebbia. Il fianco di una collina
incombeva davanti a loro e Leo diede uno strattone al volante, sfiorando le cime
degli alberi.
“Là!” urlò Jason.
Una piccola vallata si aprì davanti a loro, con al centro la sagoma scura di un edificio
. Leo indirizzò l’elicottero dritto verso quel punto. Tutto intorno a loro c’erano
balenii di luce che ricordavano a Leo le armi traccianti sulla recinzione di Mida. Gli
alberi si spaccavano ed esplodevano al bordo della radura. Delle sagome si
muovevano nella nebbia. La battaglia sembrava essere ovunque.
Fece atterrare l’elicottero in un campo ghiacciato a circa cinquanta metri dalla casa
e spense il motore. Si stava per rilassare quando sentì un fischio e vide una sagoma
scura uscire dalla nebbia e sfrecciare verso di loro.
“Fuori!” urlò Leo.
Balzarono giù dall’elicottero e mancarono a malapena i rotori prima che un enorme
BOOM scosse il terreno, facendo perdere l’equilibrio a Leo e schizzandogli ghiaccio
tutto addosso.
Si rimise in piedi tremante e vide che la palla di neve più grande del mondo – un
amasso di neve, ghiaccio e terra grande quanto un garage – aveva completamente
schiacciato il Bell 412.
“Stai bene?” Jason corse verso di lui, con Piper al suo fianco. Sembravano stare
entrambi bene, a parte il fatto che erano chiazzati di neve e fango.
“Sì.” Leo rabbrividì. “Suppongo che dobbiamo a quella ragazza ranger un nuovo
elicottero.”
Piper indicò verso sud. “La battaglia è da quella parte.” Poi si accigliò. “No… è tutta
intorno a noi.”
Aveva ragione. I suoni del combattimento risuonavano per tutta la vallata. La neve e
la nebbia rendevano difficile dirlo con sicurezza, ma sembrava esserci un cerchio di
battaglie tutto intorno alla Casa del Lupo.
Dietro di loro incombeva la casa dei sogni di Jack London – un’enorme rovina di
pietre rosse e grigie e travi di legno rozzamente intagliate. Leo poteva immaginarsi
che aspetto aveva prima che fosse distrutta dalle fiamme – una combinazione tra
una capanna di tronchi e un castello, come qualcosa che avrebbe potuto costruire
un taglialegna miliardario. Ma, con la foschia e il nevischio, il luogo dava l’idea di
malinconia e di essere infestato. Leo non aveva problemi a credere che le rovine
fossero maledette.
“Jason!” chiamò la voce di una ragazza.
Talia apparve dalla nebbia, con il giaccone incrostato di neve. Aveva l’arco in mano,
e la sua faretra era quasi vuota. Corse verso di loro, ma fece solo qualche passo
prima che un orco a sei braccia – uno dei Figli della Terra – apparve all’improvviso
dalla tempesta alle sue spalle, con una clava sollevata in ogni mano.
“Attenta!” urlò Leo. Corsero per aiutare, ma Talia aveva la situazione sotto controllo.
Si lanciò facendo un salto, scoccando una freccia mentre ruotava su se stessa come
una ginnasta e atterrò in ginocchio. L’orco ricevette una freccia argentata dritta in
mezzo agli occhi e si sciolse in una pila di argilla.
Talia si mise in piedi e recuperò la sua freccia, ma la punta si era spezzata. “Quella
era l’ultima.” Diede un calcio risentito alla pila di argilla. “Stupido orco.”
“Bel colpo, però,” disse Leo.
Talia lo ignorò come al solito (cosa che senza alcun dubbio voleva dire che pensava
che lui fosse forte come sempre). Abbracciò Jason e fece un cenno con la testa verso
Piper. “Appena in tempo. Le mie Cacciatrici stanno bloccando un perimetro intorno
alla villa, ma saranno sopraffatte a momento.”
“Dai Figli della Terra?” chiese Jason.
“E i lupi – i tirapiedi di Licaone.” Talia si soffiò via un granello di ghiaccio dal naso.
“Anche spiriti delle tempeste – “
“Ma gli avevamo consegnati a Eolo!” protestò Piper.
“Che ha cercato di ucciderci,” le ricordò Leo. “Forse sta di nuovo aiutando Gaia.”
“Non lo so,” disse Talia. “Ma i mostri continuano a riformarsi quasi tanto
velocemente quanto noi riusciamo a uccidergli. Ci siamo impossessate della Casa del
Lupo senza problemi: abbiamo sorpreso le guardie e le abbiamo mandate dritte nel
Tartaro. Ma poi è arrivata questa tempesta mostruosa. Ondate dopo ondate di
mostri hanno cominciato ad attaccare. Ora siamo circondate. Non so chi o cosa sta
guidando l’assalto, ma credo che lo avessero pianificato. Era una trappola per
uccidere chiunque cercasse di salvare Era.”
“Dove si trova?” chiese Jason.
“Dentro,” disse Talia. “Abbiamo cercato di liberarla, ma non riusciamo a capire come
rompere la gabbia. Mancano solo pochi minuti prima che il sole tramonti. Era crede
che quello sia il momento nel quale Porfirione rinascerà. Inoltre, molti mostri sono
più forti di notte. Se non liberiamo Era in fretta –“
Non ebbe bisogno di finire la frase.
Leo, Jason e Piper la seguirono nella villa in rovine.
Jason oltrepassò la soglia e cadde all’istante.
“Hey!” Leo lo afferrò. “Non c’è nulla, amico. Cosa c’è che non va?”
“Questo posto…” Jason scosse la testa. “Scusate… il ricordo mi ha assalito.”
“Quindi sei stato qui,” disse Piper.
“Lo siamo stati entrambi,” disse Talia. La sua espressione era torva, come se stesse
rivivendo la morte di qualcuno. “Qui è dove mia madre ci portò quando Jason era
piccolo. Lo lasciò qui, dicendomi che era morto. Lui scomparve.”
“Lei mi consegnò ai lupi,” mormorò Jason. “Sotto il volere di Era. Lei mi diede a
Lupa.”
“Quella parte non la conoscevo.” Talia si accigliò. “Chi è Lupa?”
Un’esplosione scosse l’edificio. Appena fuori della porta, una nuvola a forma di
fungo atomico si gonfiò nell’aria, facendo piovere fiocchi di neve e ghiaccio come
un’esplosione nucleare fredda invece che calda.
“Forse questo non è il momento per le domande,” suggerì Leo. “Mostraci la dea.”
Una volta dentro, Jason sembrò riacquistare sicurezza. La casa era costruita a forma
di U gigante, e Jason gli guidò tra le due ali verso un cortile esterno con una piscina
vuota. Sul fondo della piscina, proprio come gli aveva descritto Jason dai suoi sogni,
due spirali fatte di rocce e filamenti di radici erano spuntate fuori, spaccando il
fondo.
Una delle due spirali era molto più grande – una scura massa solida alta circa sei
metri, e a Leo sembrava una sacca per i cadaveri di pietra. Al di sotto della massa di
filamenti fusi poteva distinguere la sagoma di una testa, ampie spalle, torace e
braccia enormi, come se la creatura fosse bloccata fino alla vita nella terra. No, non
era bloccata – stava sorgendo.
All’estremità opposta della piscina, l’altra spirale era più piccola e intrecciata in
maniera più stretta. Ogni filamento era spesso quanto un palo del telegrafo, con
talmente poco spazio tra uno e l’altro che Leo dubitava che sarebbe riuscito a farci
passare il braccio. Nonostante ciò, poteva vedere all’interno. E al centro della gabbia
c’era Tia Callida.
Era esattamente come se la ricordava Leo: capelli scuri coperti da uno scialle, il
vestito nero di una vedova, un volto rugoso con occhi luccicanti e spaventosi.
Non brillava, né irradiava qualsiasi sorta di potere. Aveva l’aspetto di una normale
donna mortale, la sua cara, vecchia babysitter psicotica.
Leo si gettò nella piscina e si avvicinò alla gabbia. “Hola, Tia. Siamo in un piccolo
guaio?”
Lei incrociò le braccia e sospirò esasperata. “Non ispezionarmi come se fossi una
delle tue macchine, Leo Valdez. Fammi uscire da qui!”
Talia arrivò accanto a lui e guardò con disgusto verso la gabbia – o forse stava
guardando la dea. “Abbiamo provato tutto quello che ci è venuto in mente, Leo, ma
forse non ci ho messo il cuore. Se fosse dipeso da me, l’avrei semplicemente lasciata
lì.”
“Ohh, Talia Grace,” disse la dea. “Quando uscirò da qui, sarai dispiaciuta di essere
mai nata.”
“Risparmiatelo!” scattò Talia. “Sei sempre stata nient’altro che una maledizione per
ogni figlio di Zeus per secoli. Hai mandato un mucchio di mucche con problemi
intestinali a inseguire la mia amica Annabeth –“
“E’ stata irrispettosa!”
“Mi hai fatto cadere una statua sulle gambe.”
“E’ stato un incidente!”
“E hai preso mio fratello!” La voce di Talia tremò di emozione. “Qui – in questo
luogo. Hai rovinato le nostre vite. Dovremmo lasciarti a Gaia!”
“Hey,” intervenne Jason. “Talia – sorella – lo so. Ma non è questo il momento.
Dovresti aiutare le tue Cacciatrici.”
Talia serrò la mascella. “Bene. Per te, Jason. Ma se vuoi il mio parere, non ne vale la
pena.”
Talia si voltò, saltò fuori dalla piscina e si tuffò fuori dall’edificio.
Leo si voltò verso Era con rispetto forzato. “Mucche con problemi intestinali?”
“Concentrati sulla gabbia, Leo,” brontolò lei. “E, Jason – tu sei più saggio di tua
sorella. Scelgo bene i miei campioni.”
“Non sono il tuo campione, signora,” disse Jason. “Ti sto aiutando perché mi hai
rubato i ricordi e salvarti è l’alternativa migliore. A proposito di ciò, cosa sta
succedendo a quello?”
Annuì verso l’altra spirale che assomigliava alla sacca per cadaveri di granito taglia
king. Leo se lo stava solo immaginando, o era diventata più alta da quando erano
arrivati?
“Quello, Jason,” disse Era, “è il re dei giganti che viene dato nuovamente alla luce.”
“Schifoso,” disse Piper.
“Infatti,” disse Era. “Porfirione, il più forte della sua specie. Gaia aveva bisogno di
una grande quantità di potere per farlo risorgere – il mio potere. Per settimane mi
sono indebolita mentre la mia essenza veniva usata per creargli una nuova forma.”
“Quindi sei come una lampada per riscaldare,” indovinò Leo. “O un fertilizzante.”
La dea lo guardò con sguardo feroce, ma a Leo non importò. Quella vecchia signora
gli aveva reso la vita miserabile da quando era un neonato. Aveva tutti i diritti di
stuzzicarla.
“Scherza quanto vuoi,” disse Era con un tono tagliente. “Ma al tramonto, sarà
troppo tardi. Il gigante si sveglierà. Mi offrirà una scelta: sposarlo, o essere
consumata dalla terra. E non posso sposarlo. Saremo tutti distrutti. E, quando
moriremo, Gaia si sveglierà.”
Leo aggrottò le sopracciglia in direzione della spirale del gigante. “Non possiamo
farla esplodere o qualcosa del genere?”
“Senza di me, non avete il potere,” disse Era. “Tanto vale cercare di distruggere una
montagna.”
“Fatto una volta oggi,” disse Jason.
“Sbrigatevi e fatemi uscire!” pretese Era.
Jason si grattò la testa. “Leo, puoi farlo?”
“Non lo so.” Leo cercò di non entrare nel panico. “Inoltre, se lei è una dea, perché
non si è liberata da sola?”
Era camminò furiosamente nella gabbia, imprecando in greco antico. “Usa il
cervello, Leo Valdez. Ti ho scelto perché sei intelligente. Una volta intrappolato, il
potere di un dio è inutile. Il tuo stesso padre mi ha intrappolata una volta su una
sedia d’oro. Fu umiliante! Dovetti implorarlo – implorarlo per la libertà e scusarmi
per averlo gettato dall’Olimpo.”
“Sembra giusto,” disse Leo.
Era gli lanciò il divino sguardo minaccioso. “Ti ho guardato da quando eri un
bambino, figlio di Efesto, perché sapevo che avresti potuto aiutarmi in questo
momento. Se esiste qualcuno che è in grado di trovare un modo per distruggere
questo abominio, quello sei tu.”
“Ma non è una macchina. E’ come se Gaia avesse tirato fuori le mani dalla terra e…”
Leo si sentì stordito. Il verso della loro profezia gli ritornò alla mente: La fucina e la
colomba la gabbia spezzeranno. “Aspettate. Ho un’idea. Piper, mi servirà il tuo aiuto.
E ci servirà del tempo.”
L’aria si fece gelida. La temperatura precipitò così velocemente, che le labbra di Leo
si spaccarono e il suo alito si trasformò in vapore. La brina ricoprì le pareti della Casa
del Lupo. I venti si lanciarono dentro – ma, invece che uomini alati, questi avevano la
forma di cavalli, con corpi fatti di scure nuvole da tempesta e criniere che
crepitavano di lampi. Alcuni avevano delle frecce d’argento che gli uscivano dai
fianci. Dietro di loro vennero i lupi dagli occhi rossi e i Figli della Terra a sei braccia.
Piper sguainò il suo pugnale. Jason afferrò un’asse ricoperta di ghiaccio dal
pavimento della piscina. Leo mise la mano nella sua cintura degli attrezzi, ma era
così scosso, che tutto quello che produsse fu una scatola di mentine. Le rigettò
dentro, sperando che non l’avesse notato nessuno, e al loro posto tirò fuori un
martello.
Uno dei lupi si fece avanti. Stava trascinando una statua a grandezza umana dalla
gamba. Al bordo della piscina, il lupo aprì le fauci e la lasciò cadere così che loro
potessero vederla – la scultura di ghiaccio di una ragazza, un arciere con corti capelli
a punta e un’espressione sorpresa sul volto.
“Talia!” Jason si gettò in avanti, ma Piper e Leo lo tirarono indietro. Il terreno
attorno alla statua di Talia era già intessuto di ghiaccio. Leo temeva che se Jason
l’avesse toccata, si sarebbe congelato anche lui.
“Chi l’ha fatto?” urlò Jason. Il suo corpo crepitava di elettricità. “Ti ucciderò io
stesso!”
Da qualche parte alle spalle dei mostri, Leo udì la risata di una ragazza, chiara e
fredda. Venne fuori dalla nebbia nel suo vestito bianco immacolato, una corona
d’argento sui suoi lunghi capelli scuri. Rivolse loro uno sguardo con quei suoi
profondi occhi castani che Leo aveva pensato fossero così belli in Quebec.
“Bon soir, mes amis,” disse Chione, la dea della neve. Rivolse a Leo un sorriso gelido.
“Purtroppo, figlio di Efesto, hai detto che avete bisogno di tempo? Temo che il
tempo sia uno strumento che non avete.”
49
JASON
Dopo la lotta sul Monte Diablo, Jason non credeva che si sarebbe mai potuto sentire
più spaventato o devastato.
Ora sua sorella era congelata ai suoi piedi. Era circondato da mostri. Aveva spezzato
la sua spada d’oro e l’aveva sostituita con un pezzo di legno. Aveva più o meno
cinque minuti prima che il re dei giganti fuoriuscisse e gli distruggesse. Jason aveva
già giocato la sua carta migliore, invocando la folgore di Zeus quando aveva
affrontato Encelado, e dubitava che avrebbe avuto la forza o la collaborazione da
sopra per farlo di nuovo. Il che voleva dire che le sue uniche risorse erano una
piagnucolante dea imprigionata, una “diciamo” fidanzata con un pugnale e Leo, che
a quanto sembrava pensava di poter sconfiggere gli eserciti dell’oscurità con delle
mentine.
Sopra a tutto questo, i peggiori ricordi di Jason stavano tornando. Sapeva con
certezza che aveva fatto molte cose pericolose nella sua vita, ma non era mai stato
più vicino alla morte di quanto lo fosse in quel momento.
Il nemico era bellissimo. Chione sorrise, con i suoi occhi scuri che luccicavano
mentre un pugnale di ghiaccio le cresceva in mano.
“Cosa hai fatto?” chiese Jason.
“Oh, così tante cose,” disse soddisfatta la dea della neve. “Tua sorella non è morta,
se è quello che volevi dire. Lei e le sue Cacciatrici saranno dei bei giocattoli per i
nostri lupi. Pensavo di scongelarle una alla volta e cacciarle per divertimento. Far sì
che siano loro le prede per una volta.”
I lupi ringhiarono con approvazione.
“Sì, miei cari.” Chione mantenne gli occhi su Jason. “Tua sorella ha quasi ucciso il
loro re, sai. Licaone è in una grotta da qualche parte, senza dubbio a leccarsi le
ferite, ma i suoi servitori si sono uniti a noi per vendicare il loro padrone. E presto
Porfirione sorgerà, e noi domineremo il mondo.”
“Traditrice!” urlò Era. “Invadente dea di terza categoria! Non sei degna di versarmi il
vino, meno che mai di dominare il mondo.”
Chione sospirò. “Seccante come sempre, Regina Era. Ho aspettato di zittirti per
millenni.”
Chione agitò la mano, e il ghiaccio avvolse la prigione, sigillando le aperture tra i
filamenti di terra.
“Così va meglio,” disse la dea della neve. “Ora, semidei, per quanto riguarda le
vostre morti –“
“Tu sei quella che ha ingannato Era a venire qui,” disse Jason. “Tu hai dato a Zeus
l’idea di chiudere l’Olimpo.”
I lupi ringhiarono, e gli spiriti delle tempeste nitrirono, pronti per attaccare, ma
Chione sollevò la mano. “Pazienza, miei amati. Se vuole parlare, che importa? Il sole
sta tramontando, e il tempo è dalla nostra parte. Ovviamente, Jason Grace. Come la
neve, la mia voce è calma e gentile, e molto fredda. E’ facile per me sussurrare agli
altri dei, soprattutto quando sto solo confermando le loro stesse paure più
profonde. Ho sussurrato anche nell’orecchio di Eolo che avrebbe dovuto emettere
l’ordine di uccidere i semidei. E’ un piccolo servizio per Gaia, ma sono certa che sarò
ben ricompensata quanto i giganti, suoi figli prenderanno il potere.”
“Avresti potuto ucciderci in Quebec,” disse Jason. “Perché lasciarci vivere?”
Chione arricciò il naso. “Lavoro sporco, uccidervi nella casa di mio padre, soprattutto
quanto insiste nel volere incontrare tutti i visitatori. Ci ho provato, ricordate.
Sarebbe stato delizioso se avesse accettato di trasformarvi in ghiaccio. Ma una volta
che vi ha dato la garanzia di un passaggio sicuro non potevo disobbedirgli
apertamente. Mio padre è un vecchio sciocco. Vive nella paura di Zeus ed Eolo, ma è
comunque potente. Molto presto, quando i miei nuovi padroni si saranno svegliati,
toglierò la carica a Borea e prenderò il trono del Vento del Nord, ma non ancora.
Inoltre, mio padre aveva ragione su un punto. La vostra impresa era suicida. Mi
aspettavo completamente che voi falliste.”
“E per aiutarci,” disse Leo, “hai fatto precipitare dal cielo il nostro drago sopra
Detroit. Quei cavi ghiacciati nella sua testa – quella è stata colpa tua. Pagherai per
questo.”
“Tu sei anche quella che teneva informato Encelado sul nostro conto,” aggiunse
Piper. “Siamo stati tormentati dalle tempeste di neve per tutto il viaggio.”
“Sì, ora mi sento così vicina a tutti voi!” disse Chione. “Quando siete riusciti a
superare Omaha, ho deciso di chiedere a Licaone di darvi la caccia così che Jason
potesse morire qui, alla Casa del Lupo.” Chione gli rivolse un sorriso. “Vedi, Jason, il
tuo sangue versato su questo terreno sacro lo contaminerà per generazioni. I tuoi
fratelli semidei ne saranno oltraggiati, soprattutto quando troveranno i corpi di
questi due dal Campo Mezzosangue. Crederanno che i greci abbiamo cospirato con i
giganti. Sarà… delizioso.”
Piper e Leo non sembravano capire quello che stava dicendo. Ma Jason lo sapeva. I
suoi ricordi stavano tornando abbastanza perché si rendesse conto di quanto
pericolosamente efficace poteva essere il piano di Chione.
“Metterai semidei contro semidei,” disse lui.
“E’ così facile!” disse Chione. “Come ti ho detto, io mi limito a incoraggiare quello
che voi fareste in ogni caso.”
“Ma perché?” Piper allargò le mani. “Chione, ridurrai il mondo a pezzi. I giganti
distruggeranno tutto. Tu non vuoi questo. Richiama i tuoi mostri.”
Chione esitò, poi rise. “I tuoi poteri persuasivi stanno migliorando, ragazza. Ma io
sono una dea. Non mi puoi incantare. Le divinità del vento sono creature del caos!
Rovescerò Eolo e farò scappare le tempeste. Se distruggeremo il mondo mortale,
tanto meglio! Loro non mi hanno mai onorata, perfino ai tempi dei greci. Gli umani e
i loro discorsi sul riscaldamento globale. Pah! Gli farò raffreddare velocemente.
Quando riconquisteremo i luoghi antichi, ricoprirò l’Acropoli di neve.”
“I luoghi antichi.” Gli occhi di Leo si spalancarono. “E’ questo, quello che voleva dire
Encelado sul distruggere le radici degli dei. Intendeva la Grecia.”
“Potresti unirti a me, figlio di Efesto,” disse Chione. “So che mi trovi bellissima.
Sarebbe sufficiente per il mio piano se morissero questi altri due. Rifiuta quel
destino ridicolo che ti hanno dato le Parche. Vivi e sii il mio eroe, invece. Le tue
abilità sarebbero molto utili.”
Leo sembrava sconvolto. Lanciò un’occhiata dietro di lui, come se Chione potesse
stare parlando con qualcun altro. Per un secondo, Jason fu preoccupato. Immaginò
che Leo non avesse dee bellissime che gli facevano delle offerte del genere tutti i
giorni.
Poi Leo rise così forte, che si piegò in due. “Sì, unirmi a te. Giusto. Fino a che non ti
stuferai di me e non mi trasformerai in un Leo-ghiacciolo? Signora, nessuno rompe il
mio drago e se la cava. Non riesco a credere di aver pensato che fossi focosa.”
Il volto di Chione si fece rosso. “Focosa? Osi insultarmi? Io sono fredda, Leo Valdez.
Molto, molto fredda.”
Sparò un getto di gelido nevischio verso i semidei, ma Leo sollevò la mano. Un muro
di fiamme ruggì davanti a loro, e la neve si dissolse in una nuvola di vapore.
Leo sogghignò. “Vedi, signora, questo è quello che succede alla neve in Texas. Si –
scioglie.”
Chione sibilò. “Ne ho avuto abbastanza. Era sta morendo. Porfirione sta sorgendo.
Uccidete i semidei. Fate che siano il primo pasto del nostro re!”
Jason soppesò la sua asse di legno ghiacciata – un’arma stupida con la quale morire
combattendo – e i mostri caricarono.
50
JASON
Un lupo si scagliò contro Jason. Lui si fece indietro e brandì il suo pezzo di legno
contro il muso della bestia producendo un soddisfacente schiocco. Forse poteva
essere ucciso solo dall’argento, ma un bel bastone vecchio stile poteva sempre
provocargli un mal di testa.
Si voltò verso il suono degli zoccoli e vide un cavallo spirito delle tempeste
incombere verso di lui. Jason si concentrò e invocò il vento. Appena prima che lo
spirito potesse calpestarlo, Jason si lanciò in aria, afferrò il collo fumoso del cavallo e
piroettò sulla sua schiena.
Lo spirito delle tempeste arretrò. Cercò di scuotere via Jason, poi cercò di dissolversi
nella nebbia per perderlo, ma in qualche modo Jason rimase in sella. Ordinò al
cavallo di mantenere la forma solida, e il cavallo sembrava incapace di rifiutare.
Jason poteva sentirlo combattere contro di lui. Poteva avvertire i suoi pensieri
furenti – caos totale a cui veniva impedito di liberarsi. Ci volle tutta la forza di
volontà di Jason per imporre i suoi desideri e mettere il cavallo sotto controllo.
Pensò a Eolo, che sorvegliava migliaia e migliaia di spiriti come lui, alcuni molto
peggiori. Non c’era da stupirsi che il Padrone dei Venti fosse leggermente impazzito
dopo secoli di quella pressione. Ma Jason aveva un solo spirito da controllare, e
doveva vincere.
“Sei mio ora,” disse Jason.
Il cavallo sgroppò, ma Jason si resse forte. La sua criniera guizzava mentre girava
intorno alla piscina vuota, con gli zoccoli che provocavano temporali in miniatura –
tempeste – in ogni punto che toccavano.
“Tempesta?” disse Jason. “E’ il tuo nome?”
Lo spirito cavallo scosse la criniera, evidentemente soddisfatto di essere
riconosciuto.
“Bene,” disse Jason. “Ora, combattiamo.”
Si lanciò nella battaglia, agitando il suo pezzo di legno congelato, buttando di lato i
lupi e gettandosi dritto attraverso altri venti. Tempesta era uno spirito forte, e ogni
volta che solcava uno dei suoi fratelli, rilasciava così tanta energia che gli altri spiriti
si vaporizzavano in un’innocua nuvola di nebbia.
Attraverso il caos, Jason intravedeva a tratti i suoi amici. Piper era circondata dai
Figli della Terra, ma sembrava che se la stesse cavando da sola. Aveva un aspetto
così di grande effetto quando combatteva, brillando quasi di bellezza, che i Figli della
Terra la fissavano in soggezione, dimenticandosi che avrebbero dovuto ucciderla.
Abbassavano le loro clave e guardavano confusi mentre lei sorrideva e gli attaccava.
Loro le sorridevano di rimando – finché lei non gli faceva a fette con il suo pugnale, e
questi si scioglievano in mucchi di fango.
Leo aveva preso Chione in persona. Mentre combattere contro una dea avrebbe
dovuto essere un suicidio, Leo era l’uomo adatto a quel lavoro. Lei continuava a
evocare pugnali di ghiaccio da lanciargli contro, raffiche di aria invernale, tornado di
neve. Leo bruciava tutto. Il suo intero corpo guizzava di rosse lingue di fioco come se
fosse stato immerso nella benzina. Avanzò verso la dea, usando due martelli da
fabbro dalla punta di argento per schiacciare qualsiasi mostro si mettesse sulla sua
strada.
Jason si rese conto che Leo era l’unica ragione per la quale erano ancora vivi. La sua
aura ardente stava riscaldando l’intero cortile, contrastando la magia invernale di
Chione. Senza di lui, sarebbero congelati come le Cacciatrici molto tempo fa.
Dovunque Leo andasse, il ghiaccio si scioglieva dalle rocce. Persino Talia cominciò a
scongelarsi in un po’ quando Leo le passò accanto.
Chione indietreggiò lentamente. La sua espressione passò dalla furia allo shock al
leggero panico mentre Leo si faceva più vicino.
Jason stava andando a corto di nemici. I lupi giacevano in mucchi storditi. Alcuni
strisciarono via all’interno delle rovine, guaendo per le ferite. Piper pugnalò l’ultimo
Figlio della Terra, che si rovesciò a terra in una pila di fango. Jason guidò Tempesta
attraverso l’ultimo ventus, facendolo dissolvere in vapore. Poi si girò e vide Leo
incombere verso la dea della neve.
“Siete arrivati troppo tardi,” ringhiò Chione. “Lui è sveglio! E non credete di aver
vinto qualcosa qui, semidei. Il piano di Era non funzionerà mai. Sarete gli uni alle
gole degli altri prima che possiate mai fermarci.”
Leo diede fuoco ai suoi martelli e gli lanciò verso la dea, ma questa si trasformò in
neve – una polverosa immagine bianca di se stessa. I martelli di Leo sbatterono
contro la donna di neve, riducendola in una poltiglia fumante.
Piper aveva il fiatone, ma sorrise verso Jason. “Bel cavallo.”
Tempesta s’impennò sulle zampe posteriori, mandando archi di elettricità dagli
zoccoli. Un totale spaccone.
Poi Jason udì uno scricchiolio alle sue spalle. Il ghiaccio sciolto sulla gabbia di Era
scivolò via in una cortina di nevischio, e la dea esclamò, “Oh, non pensate a me! Solo
la regina dei cieli, che sta morendo!”
Jason smontò e disse a Tempesta di rimanere pronto. I tre semidei saltarono nella
piscina e corsero verso la spirale.
Leo aggrottò le sopracciglia. “Uh, Tia Callida, stai diventando più bassa?”
“No, stupido! La terra mi sta reclamando. Sbrigatevi!”
Per quando a Jason potesse non piacere Era, quello che vide all’interno della gabbia
lo spaventò. Non solo Era stava affondando, ma la terra si stava alzando intorno a lei
come l’acqua in una vasca. Rocce liquide le avevano già ricoperto gli stinchi. “Il
gigante si sveglia!” avvertì Era. “Vi restano solo pochi secondi!”
“Ci sono,” disse Leo. “Piper, ho bisogno del tuo aiuto. Parla alla gabbia.”
“Cosa?” disse lei.
“Parla con lei. Usa tutto quello che hai a disposizione. Convinci Gaia a dormire.
Cullala per placarla. Rallentala solamente, cerca di far allentare i filamenti mentre io
–“
“Va bene!” Piper si schiarì la voce e disse, “Hey, Gaia. Bella nottata, huh? Cavoli,
sono stanca. Che mi dici di te? Pronta per dormire un po’?”
Più parlava, più suonava sicura. Jason sentì i suoi stessi occhi farsi pesanti, e dovette
obbligarsi a non concentrarsi sulle sue parole. Sembrava avere qualche effetto sulla
gabbia. Il fango stava salendo più lentamente. I filamenti sembrarono ammorbidirsi
giusto un po’ – diventando più simili a radici di alberi che a rocce. Leo tirò fuori una
sega circolare dalla sua cintura. Come potesse entrare là dentro, Jason non ne aveva
idea. Poi Leo guardò il filo e grugnì frustato. “Non ho nessun posto dove attaccarla
alla corrente!”
Lo spirito cavallo Tempesta saltò nella fossa e nitrì.
“Davvero?” chiese Jason.
Tempesta abbassò la testa e trottò verso Leo. Leo sembrava dubbioso, ma sollevò la
spina e una brezza la fece frullare dentro al fianco del cavallo. Scintillarono dei
lampi, collegandosi con i poli della spina, e la sega circolare prese vita.
“Forte!” sogghignò Leo. “Il tuo cavallo è dotato di spine elettriche!”
Il loro buon umore non durò a lungo. Dall’altra parte della piscina, la spirale del
gigante si sgretolò con un suono simile a quello di un albero che veniva spezzato a
metà. Il suo rivestimento di viticci più esterno esplose a partire dal basso, facendo
piovere rocce e frammenti di legno mentre il gigante si liberava e sorgeva dalla
terra.
Jason aveva pensato che nulla potesse essere più spaventoso di Encelado.
Si sbagliava.
Porfirione era persino più alto, e persino più muscoloso. Non irradiava calore, o non
aveva nessun segno che mostrasse che poteva sputare fuoco, ma aveva qualcosa di
più spaventoso – un tipo di energia, magnetismo perfino, come se il gigante fosse
così enorme e denso da avere il suo campo di gravitazione personale.
Come Encelado, il re gigante era umanoide dalla vita in su, rivestito con un’armatura
di bronzo, e dalla vita in giù aveva delle gambe con squame di drago, ma la sua pelle
era del colore dei fagioli verdi. I suoi capelli erano verdi come le foglie estive,
intrecciati con lunghi riccioli e decorati con armi – pugnali, asce e spade a grandezza
naturale, alcune delle quali curve e coperte di sangue – forse trofei presi dai semidei
ere prima. Quando il gigante aprì gli occhi, questi erano completamente bianchi,
come marmo lucidato. Fece un respiro profondo.
“Vivo!” urlò. “Lode a Gaia!”
Jason fece un piccolo eroico piagnucolio che sperava i suoi amici non potessero
sentire. Era molto sicuro che nessun semidio poteva affrontare da solo quel tipo.
Porfirione era in grado di sollevare le montagne. Poteva schiacciare Jason con un
dito.
“Leo,” disse Jason.
“Huh?” La bocca di Leo era spalancata. Perfino Piper sembrava stupefatta.
“Voi continuate a lavorare,” disse Jason. “Liberate Era!”
“Cosa farai tu?” chiese Piper. “Non puoi seriamente –“
“Intrattenere un gigante?” disse Jason. “Non ho altra scelta.”
“Eccellente!” ruggì il gigante mentre Jason si avvicinava. “Un antipasto! Chi sei tu –
Hermes? Ares?”
Jason pensò di fingere di esserlo, ma qualcosa gli suggerì di non farlo.
“Sono Jason Grace,” disse. “Figlio di Giove.”
Quegli occhi bianchi lo trafissero. Dietro di lui, la sega circolare di Leo ronzò e Piper
parlava alla gabbia con tono calmo, cercando di mantenere la paura via dalla sua
voce.
Porfirione lanciò indietro la testa e rise. “Eccezionale!” Guardò verso il cielo
nuvoloso della notte. “Allora, Zeus, mi sacrifichi un tuo figlio? Il gesto è apprezzato,
ma non ti salverà.”
Il cielo non rombò nemmeno. Nessun aiuto dall’alto. Jason era da solo.
Fece cadere il suo bastone di fortuna. Aveva le mani ricoperte di schegge, ma ciò
non importava al momento. Doveva far guadagnare a Leo e Piper un po’ di tempo, e
non poteva farlo senza un’arma adatta.
Era giunto il momento di apparire molto più sicuro di quanto fosse davvero.
“Se sapessi chi sono,” urlò Jason verso il gigante, “ti preoccuperesti di me, non di
mio padre. Spero che ti sia goduto i tuoi due minuti e mezzo di rinascita, gigante,
perché ti sto per rimandare dritto nel Tartaro.”
Gli occhi del gigante si strinsero. Piantò un piede fuori dalla piscina e si chinò per
dare un’occhiata migliore al suo avversario. “Allora… cominceremo con il vantarci, è
così? Proprio come ai vecchi tempi! Molto bene, semidio. Io sono Porfirione, re dei
giganti, figlio di Gaia. Nei tempi antichi, sorsi dal Tartaro, l’abisso di mio padre, per
sfidare gli dei. Per dare inizio alla guerra, rapii la regina di Zeus.” Sogghignò verso la
gabbia della dea. “Salve, Era.”
“Mio marito ti ha distrutto una volta, mostro!” disse Era. “Lo farà di nuovo!”
“Ma non l’ha fatto, mia cara! Zeus non era abbastanza potente per uccidermi.
Dovette fare affidamento su un debole semidio per farsi aiutare, e perfino allora
abbiamo quasi vinto. Questa volta, completeremo ciò che abbiamo iniziato. Gaia si
sta svegliando. Ci ha dotato di numerosi, ottimi servi. I nostri eserciti scuoteranno la
terra – e noi vi distruggeremo alle radici.”
“Non osereste,” disse Era, ma si stava indebolendo. Jason poteva avvertirlo nella sua
voce. Piper continuava a sussurrare alla gabbia, Leo continuava a segare, ma la terra
si stava ancora alzando dentro la prigione di Era, ricoprendola fino alla vita.
“Oh, sì,” disse il gigante. “I Titani hanno tentato di attaccare la vostra nuova casa a
New York. Audace, ma inefficace. Gaia è più saggia e paziente. E noi, i suoi più grandi
figli, siamo molto, molto più forti di Crono. Noi sappiamo come uccidere voi dei
dell’Olimpo una volta per tutte. Dovete essere estirpati completamente come alberi
marci – le vostre più antiche radici devono essere strappate e bruciate.”
Il gigante guardò accigliato Piper e Leo, come se gli avesse appena notati intenti a
lavorare sulla gabbia. Jason si fece avanti e urlò per recuperare l’attenzione di
Porfirione.
“Hai detto che ti ha ucciso un semidio,” urlò. “Come, se siamo così deboli?”
“Ha! Credi che verrei a spiegartelo? Sono stato creato per essere il sostituto di Zeus,
nato per distruggere il signore del cielo. Prenderò il suo trono. Prenderò sua moglie
– o, se non mi avrà, lascerò che la terra consumi la sua forza vitale. Quello che vedi
davanti a te, ragazzo, è solo la mia forma indebolita. Diventerò più forte ogni ora che
passa, finché non sarò invincibile. Ma sono già ben capace di ridurti in una macchia
di grasso!”
Si sollevò nella sua altezza completa e aprì le mani. Una lancia di sei metri comparve
dalla terra. Lui l’afferrò, poi calpestò il terreno con i suoi piedi da drago. Le rovine
tremarono. Tutto intorno al cortile, i mostri cominciarono a raccogliersi – spiriti delle
tempeste, lupi e Figli della Terra, rispondendo tutti alla chiamata del re gigante.
“Fantastico,” borbottò Leo. “Ci servivano proprio altri nemici.”
“Sbrigatevi,” disse Era.
“Lo so!” scattò Leo.
“Vai a dormire, gabbia,” disse Piper. “Bella, assonnata gabbia. Sì, sto parlando a un
mucchio di filamenti di terra. Non è per niente strano.”
Porfirione brandì la lancia sulla cima delle rovine, distruggendo un camino e
gettando legno e pietra per tutto il cortile. “Allora, figlio di Zeus! Ho finito con le mie
vanterie. Ora è il tuo turno. Cosa stavi dicendo sul volermi distruggere?”
Jason guardò verso il cerchio di mostri, che aspettavano impazienti l’ordine del loro
padrone di ridurgli a brandelli. La sega circolare di Leo continuava a ronzare e Piper
continuava a parlare, ma sembrava senza speranza. La gabbia di Era era quasi
completamente riempita di terra.
“Io sono il figlio di Giove!” urlò, e tanto per fare effetto invocò i venti, sollevandosi di
qualche centimetro da terra. “Io sono un figlio di Roma, console dei semidei, pretore
della Prima Legione.” Jason non capiva molto di quello che stava dicendo, ma riversò
le parole come se le avesse pronunciate molte volte prima d’ora. Stese le braccia,
mostrando il tatuaggio con l’aquila e la sigla SPQR, e con sua sorpresa il gigante
sembrò riconoscerlo.
Per un momento, Porfirione sembrò davvero inquieto.
“Ho ucciso il mostro marino di Troia,” continuò Jason. “Ho rovesciato il trono nero di
Crono e ho distrutto il Titano Krios con le mie stesse mani. E ora distruggerò te,
Porfirione, e ti darò in pasto ai tuoi stessi lupi.”
“Wow, amico,” borbottò Leo. “Hai mangiato carne rossa?”
Jason si scagliò contro il gigante, determinato a farlo a pezzi.
L’idea di combattere un immortale di dodici metri a mani vuote era così ridicola che
perfino il gigante sembrò sorpreso. Metà volando, metà saltando, Jason atterrò sul
ginocchio squamato da rettile del gigante e si arrampicò sul suo braccio prima che
Porfirione avesse anche solo realizzato cosa era successo.
“Osi?” urlò il gigante.
Jason raggiunse le sue spalle e strappò via dalle trecce del gigante piene di armi una
spada. Gridò, “Per Roma!” e guidò la spada nell’obiettivo utile più vicino – l’enorme
orecchio del gigante.
Dei lampi screziarono fuori dal cielo e colpirono la spada, facendo volare Jason.
Rotolò quando colpì il terreno. Quando alzò lo sguardo, il gigante stava barcollando.
I suoi capelli erano in fiamme, e il lato della sua faccia era annerito a causa del
lampo. La spada gli si era spezzata nell’orecchio. L’icore dorato gli scivolava lungo la
gola. Le altre armi stavano mandando scintille e fumando nelle trecce.
Porfirione per poco non cadde. Il cerchio di mostri fece un ringhio collettivo e si
mosse in avanti – lupi e orchi con gli sguardi fissi su Jason.
“No!” gridò Porfirione. Recuperò l’equilibrio e guardò feroce il semidio. “Lo ucciderò
io stesso.”
Il gigante sollevò la sua lancia e questa cominciò a brillare. “Vuoi giocare con le
saette, ragazzo? Ti sei dimenticato. Io sono il flagello di Zeus. Sono stato creato per
distruggere tuo padre, il che vuol dire che so esattamente cosa ucciderà te.”
Qualcosa nella voce di Porfirione disse a Jason che non stava mentendo.
Jason e i suoi amici avevano avuto una bella avventura. Loro tre avevano fatto delle
cose stupefacenti. Sì, perfino cose eroiche. Ma mentre il gigante sollevava la lancia
Jason seppe che non c’era modo nel quale potesse deviare quel colpo.
Quella era la fine.
“Fatto!” urlò Leo.
“Dormi!” disse Piper, con così tanta forza che i lupi più vicini caddero a terra e
iniziarono a russare.
La gabbia di pietra e legno si sgretolò. Leo aveva segato alla base dei filamenti più
spessi e a quanto sembrava aveva così spezzato il collegamento della gabbia con
Gaia. I viticci si ridussero in polvere. Il fango attorno a Era si disintegrò. La dea si fece
più grande, brillando di potere.
“Sì!” disse. Si levò le vesti nere per rivelare una toga bianca, le braccia adornate di
gioielli d’oro. Il suo volto era spaventoso e bello allo stesso tempo, e una corona
dorata le brillava tra i lunghi capelli neri. “Ora avrò la mia vendetta!”
Il gigante Porfirione indietreggiò. Non disse nulla, ma lanciò a Jason un’ultima
occhiata di odio. Il suo messaggio era chiaro: Un’altra volta. Poi sbatté la sua lancia
contro la terra, e il gigante scomparve nel terreno come se fosse caduto lungo uno
scivolo.
Intorno al cortile, i mostri cominciarono a entrare nel panico e a ritirarsi, ma non
c’era via di fuga per loro.
Era brillò più luminosa. Gridò, “Copritevi gli occhi, miei eroi!”
Ma Jason era troppo sconvolto. Capì troppo tardi.
Guardò mentre Era si trasformava in una Supernova, esplodendo in un anello di
forza che vaporizzò ogni mostro all’istante. Jason cadde, la luce che gli consumava la
mente, e il suo ultimo pensiero fu che il suo corpo stava bruciando.
51
PIPER
“Jason!”
Piper continuò a chiamare il suo nome mentre lo teneva tre le braccia, anche se
aveva quasi perso la speranza. Aveva perso i sensi da due minuti ormai. Il suo corpo
stava fumando, i suoi occhi erano ruotati dentro la testa. Non riusciva nemmeno a
capire se stesse respirando.
“E’ inutile, bambina.” Era stava sopra di loro nei suoi semplici vestiti neri e lo scialle.
Piper non aveva visto la dea diventare nucleare. Fortunatamente aveva chiuso gli
occhi, ma poteva vederne le conseguenze. Ogni traccia di inverno era sparita dalla
vallata. Non c’era neanche nessun segno della battaglia. I mostri erano stati
vaporizzati. Le rovine erano state riportate a quello che erano prima – sempre
rovine, ma senza le prove che fossero state invase da un’orda di lupi, spiriti delle
tempeste e orchi a sei braccia.
Persino le Cacciatrici erano tornate in vita. La maggior parte aspettava sul prato a
una rispettosa distanza, ma Talia era inginocchiata al fianco di Piper, con la mano
sulla fronte di Jason.
Talia guardò feroce verso la dea. “E’ colpa tua. Fai qualcosa!”
“Non parlarmi in questo modo, ragazza. Io sono la regina –“
“Curalo!”
Gli occhi di Era lampeggiarono di potere. “Io l’avevo avvertito. Non farei mai del
male al ragazzo intenzionalmente. Doveva essere il mio campione. Gli ho detto di
chiudere gli occhi prima che rivelassi la mia vera forma.”
“Um…” Leo si accigliò. “La vera forma è una cosa brutta, giusto? Allora perché l’hai
fatto?”
“Ho liberato il mio potere per aiutare voi, sciocco!” gridò Era. “Sono diventata
energia pura così che potessi disintegrare i mostri, restaurare questo posto e perfino
salvare queste fastidiose Cacciatrici dal ghiaccio.”
“Ma i mortali non possono guardarti in quella forma!” urlò Talia. “L’hai ucciso!”
Leo scosse la testa sbigottito. “Questo è quello che voleva dire la nostra profezia. E
attraverso l’ira di Era la morte libereranno. Andiamo, signora. Sei una dea. Fagli
qualche magia voodoo! Riportalo indietro.”
Piper sentiva la conversazione per metà, ma soprattutto era concentrata sul volto di
Jason. “Sta respirando!” annunciò.
“Impossibile,” disse Era. “Vorrei che fosse vero, bambina, ma nessun mortale ha mai
–“
“Jason,” chiamò Piper, mettendo ogni frammento della sua forza di volontà nel suo
nome. Non poteva perderlo. “Ascoltami. Puoi farlo. Torna indietro. Starai bene.”
Non successe nulla. Si era solo immaginata il suo respiro?
“Curare non è un potere di Afrodite,” disse Era in modo addolorato. “Persino io non
posso guarire questo, ragazza. Il suo spirito mortale –“
“Jason,” disse ancora Piper, e si immaginò la sua voce risuonare attraverso la terra,
giù fino all’Oltretomba. “Svegliati.”
Lui boccheggiò, e i suoi occhi si spalancarono. Per un attimo, furono pieni di luce –
brillanti di oro puro. Poi la luce si dissolse e i suoi occhi tornarono alla normalità.
“Cosa – cosa è successo?”
“Impossibile!” disse Era.
Piper lo avvolse in un abbraccio finché lui non gemette, “Mi stai stritolando.”
“Scusa,” disse lei, così sollevata che rise mentre si asciugava una lacrima dall’occhio.
Talia strinse la mano del fratello. “Come ti senti?”
“Caldo,” mormorò lui. “Ho la bocca secca. E ho visto qualcosa… di davvero terribile.”
“Quella era Era,” borbottò Talia. “Sua Maestà, la Mina Vagante.”
“Basta così, Talia Grace,” disse la dea. “Ti trasformerò in un armadillo, quindi
aiutami –“
“Smettetela, voi due,” disse Piper. Sorprendentemente, si zittirono entrambe.
Piper aiutò Jason ad alzarsi in piedi e gli diede l’ultimo nettare delle loro provviste.
“Ora…” Piper si girò verso Talia ed Era. “Era – Vostra Maestà – non avremmo potuto
salvarla senza le Cacciatrici. E, Talia, non avresti mai più visto Jason – io non l’avrei
incontrato – se non fosse stato per Era. Voi due fate pace, perché abbiamo dei
problemi più grandi.”
La fissarono entrambe, e per tre lunghi secondi Piper non era certa di quale delle
due l’avrebbe uccisa per prima.
Alla fine Talia grugnì. “Hai spirito, Piper.” Tirò fuori un biglietto argentato dal suo
giaccone e lo infilò nella tasca del giacchetto da snowboard di Piper. “Se mai volessi
essere una Cacciatrice, chiamami. Ci faresti comodo.”
Era incrociò le braccia. “Fortunatamente per questa Cacciatrice, hai ragione, figlia di
Afrodite.” Studiò Piper con lo sguardo, come se la vedesse chiaramente per la prima
volta. “Ti sei domandata, Piper, perché ti ho scelta per questa impresa, perché non
ho rivelato il tuo segreto all’inizio, persino quando sapevo che Encelado ti stava
usando. Devo ammettere, fino a questo momento non ero sicura. Qualcosa mi ha
detto che saresti stata vitale per quest’impresa. Ora vedo che avevo ragione. Sei
persino più forte di quanto pensassi. E hai ragione sui pericoli che arriveranno.
Dobbiamo lavorare insieme.”
Il viso di Piper era caldo. Non era certa di come rispondere al complimento di Era,
ma Leo si fece avanti.
“Sì,” disse, “non credo che quel Porfirione si sia semplicemente sciolto e sia morto,
huh?”
“No,” concordò Era. “Salvandomi, e salvando questo luogo, avete impedito a Gaia di
svegliarsi. Ci avete fatto guadagnare un po’ di tempo. Ma Porfirione è sorto.
Semplicemente, sapeva che era meglio non rimanere qui, soprattutto dal momento
che non ha ancora riacquistato i suoi pieni poteri. I giganti possono essere uccisi solo
da un’unione di dio e semidio, che lavorano insieme. Quanto mi avete liberata –“
“Lui è scappato,” disse Jason. “Ma dove?”
Era non rispose, ma un senso di terrore investì Piper. Si ricordava quello che
Porfirione aveva detto riguardo l’uccidere gli dei dell’Olimpo sradicando le loro
radici. Grecia. Guardò l’espressione torva di Talia, e pensò che la Cacciatrice era
arrivata alla stessa conclusione.
“Devo trovare Annabeth,” disse Talia. “Deve sapere cosa è accaduto qui.”
“Talia…” Jason le afferrò la mano. “Non abbiamo mai avuto l’occasione di parlare di
questo posto, o –“
“Lo so.” La sua espressione si ammorbidì. “Ti ho perso una volta qui. Non voglio
lasciarti di nuovo. Ma ci incontreremo presto. Mi riunirò a voi al Campo
Mezzosangue.” Lanciò un’occhiata a Era. “Gli farai arrivare lì al sicuro? E’ il minimo
che tu possa fare.”
“Non è compito tuo dirmi – ”
“Regina Era,” interruppe Piper.
La dea sospirò. “D’accordo. Sì. Vai via, Cacciatrice!”
Talia abbracciò Jason e salutò. Quando le Cacciatrici se ne furono andate, il cortile
sembrò stranamente tranquillo. La piscina asciutta non mostrava nessun segno dei
viticci di terra che avevano riportato indietro il re gigante o che avevano
imprigionato Era. Il cielo notturno era sereno e stellato. Il vento mormorava tra le
sequoie. Piper ripensò a quella notte in Oklahoma quando lei e suo padre avevano
dormito nel cortile anteriore di Nonno Tom. Pensò alla notte sul tetto del dormitorio
della Wilderness School, quando Jason l’aveva baciata – almeno, nei suoi ricordi
alterati dalla Foschia.
“Jason, cosa ti è successo qui?” chiese lei. “Voglio dire – so che tua madre ti ha
abbandonato. Ma hai detto che era un terreno sacro per i semidei. Perché? Cosa è
successo dopo che sei stato lasciato da solo?”
Jason scosse la testa a disagio. “E’ ancora scuro. I lupi…”
“Ti è stato affidato un destino,” disse Era. “Sei stato dato al mio servizio.”
Jason si accigliò. “Perché tu hai obbligato mia madre a farlo. Non riuscivi a
sopportare di sapere che Zeus avesse avuto due figli con mia madre. Sapere che si
era innamorato di lei due volte. Io ero il prezzo che hai preteso per lasciare in pace il
resto della mia famiglia.”
“Era anche la scelta giusta per te, Jason,” insistette Era. “La seconda volta che tua
madre riuscì a prendersi l’amore di Zeus, è stato perché lei lo immaginò con un
aspetto diverso – l’aspetto di Giove. Mai prima d’ora era accaduto ciò – due
bambini, Greci e Romani, nati nella stessa famiglia. Tu dovevi essere separato da
Talia. Qui è dove tutti i semidei della sua specie iniziano il loro viaggio.”
“Della sua specie?” chiese Piper.
“Intende dire Romani,” disse Jason. “I semidei vengono lasciati qui. Incontriamo la
dea lupo, Lupa, lo stesso lupo immortale che allevò Romolo e Remo.”
Era annuì. “E, se sei abbastanza forte, vivi.”
“Ma…” Leo sembrava confuso. “Cosa è successo dopo? Voglio dire, Jason non è mai
arrivato al campo.”
“Non al Campo Mezzosangue, no,” concordò Era.
Piper ebbe la sensazione che il cielo le stesse girando sulla testa, stordendola. “Sei
andato da un’altra parte. E’ lì che sei stato tutti questi anni. In qualche altro luogo
per i semidei – ma dove?”
Jason si voltò verso la dea. “I ricordi stanno tornando, ma non la posizione. Non me
lo dirai, vero?”
“No,” disse Era. “Quello è parte del tuo destino, Jason. Devi trovare da solo la tua via
di ritorno. Ma quando lo farai… unirai due grandi poteri. Ci darai speranza contro i
giganti, e cosa più importante – contro Gaia in persona.”
“Tu vuoi che noi ti aiutiamo,” disse Jason, “ma ci stai nascondendo delle
informazioni.”
“Darvi le risposte renderebbe quelle risposte invalide,” disse Era. “Quello è il
metodo delle Parche. Dovete creare il vostro stesso cammino perché abbia un
significato. Ormai, voi tre mi avete sorpreso. Non avrei pensato che fosse
possibile…”
La dea scosse la testa. “E’ sufficiente dire, avete agito bene, semidei. Ma questo è
solo l’inizio. Ora dovete tornare al Campo Mezzosangue, dove comincerete a
programmare la fase successiva.”
“Della quale non ci dirai nulla,” disse scontroso Jason. “E immagino che tu abbia
distrutto il mio bel cavallo spirito delle tempeste, quindi dovremo tornare a casa a
piedi?”
Era mise la da parte la domanda con un gesto della mano. “Gli spiriti delle tempeste
sono creature del caos. Non l’ho distrutto, ma non ho idea di dove sia andato, o se lo
vedrai di nuovo. Ma c’è una via più facile per tornare a casa. Dal momento che mi
avete reso un grande servizio, per questo posso aiutarvi – almeno per questa volta.
Addio, semidei, per ora.”
Il mondo si fece sottosopra, e Piper fu sul punto di svenire.
Quando riacquistò la vista, si trovava di nuovo al campo, nel padiglione della mensa,
nel bel mezzo della cena. Si trovavano sul tavolo della cabina di Afrodite, e Piper
aveva un piede nella pizza di Drew. Sessanta campeggiatori si alzarono
contemporaneamente, fissandoli attoniti.
Qualsiasi cosa avesse fatto Era per sparargli per tutto il paese, non era stata una
bella cosa per lo stomaco di Piper. Era a malapena in grado di controllare la nausea.
Leo non fu così fortunato. Saltò giù dal tavolo, corse verso il braciere di bronzo più
vicino, e ci rigettò dentro – cosa che non fu probabilmente una grande offerta agli
dei.
“Jason?” Chirone trottò in avanti. Senza dubbio il vecchio centauro aveva visto cose
strane per migliaia di anni, ma persino lui appariva completamente sbalordito. “Cosa
-? Come -?”
I campeggiatori di Afrodite fissarono Piper con le bocche spalancate. Piper pensò
che dovesse avere un aspetto terribile.
“Ciao,” disse nel modo più casuale che poteva. “Siamo tornati.”
52
PIPER
Piper non si ricordava molto del resto della notte. Raccontarono la loro storia e
risposero a un milione di domande dagli altri campeggiatori, ma alla fine Chirone
vide quanto fossero stanchi e gli ordinò di andare a letto.
Era così bello dormire su un materasso vero, e Piper era così esausta che crollò
all’istante, cosa che le risparmiò qualsiasi preoccupazione su come sarebbe stato
tornare nella cabina di Afrodite.
Il mattino seguente si svegliò nel suo letto, sentendosi rinvigorita. Il sole entrava
dalle finestre accompagnato da una piacevole brezza. Sarebbe potuto essere
primavera invece che inverno. Gli uccelli cantavano. I mostri gridavano nella foresta.
L’odore della colazione si diffondeva nell’aria dal padiglione della mensa – bacon,
pancake e ogni tipo di cose meravigliose.
Drew e la sua banda la stavano guardando accigliati, con le braccia incrociate.
“Buongiorno.” Piper si mise a sedere e sorrise. “Bella giornata.”
“Ci farai fare tardi per la colazione,” disse Drew, “il che vuol dire che spetta a te
pulire la cabina per l’ispezione.”
Una settimana prima, Piper avrebbe colpito Drew in faccia, o si sarebbe nascosta di
nuovo sotto le coperte. Ora ripensò ai Ciclopi di Detroit, Medea a Chicago, Mida che
la trasformava in oro a Omaha. Guardando Drew, che un tempo la infastidiva, Piper
rise.
L’espressione compiaciuta di Drew crollò. Si fece indietro, poi si ricordò che avrebbe
dovuto essere arrabbiata. “Cosa stai –“
“Ti sto sfidando,” disse Piper. “Che ne dici di fare a mezzogiorno nell’arena? Puoi
scegliere le armi.” Uscì dal letto, si stirò con comodo e fece un sorriso raggiante
verso i suoi compagni di cabina. Intravide Mitchell e Lacy, che l’avevano aiutata a
prepararsi per l’impresa. Stavano sorridendo incerti, con gli occhi che scattavano da
Piper a Drew come se fosse una partita di tennis molto interessante.
“Mi siete mancati ragazzi!” annunciò Piper. “Ci divertiremo moltissimo quando sarò
consigliere anziano.”
Drew divenne completamente rossa. Perfino i suoi vice più vicini apparivano un po’
nervosi. Quello non era in programma.
“Tu –“ farfugliò Drew. “Piccola orrida strega! Io sono stata qui più a lungo di tutti.
Non puoi semplicemente –“
“Sfidarti?” disse Piper. “Certo che posso. Regole del campo: sono stata riconosciuta
da Afrodite. Ho portato a termine un’impresa, che è una in più di quelle che hai
completato tu. Se credo di poter fare un lavoro migliore, posso sfidarti. A meno che
tu non voglia semplicemente ritirarti. Ho detto tutto giusto, Mitchell?”
“Perfettamente corretto, Piper.” Mitchell stava sogghignando. Lacy stava saltellando
su e giù come se stesse cercando di decollare.
Alcuni degli altri ragazzi cominciarono a sorridere, come se si stessero godendo i
diversi colori nei quali si stava trasformando la faccia di Drew.
“Ritirarmi?” strillò Drew. “Tu sei pazza!”
Piper scrollò le spalle. Poi più veloce di una vipera tirò fuori Katoptris da sotto il
cuscino, sguainò il pugnale e spinse la punta sotto il collo di Drew. Tutti gli altri
indietreggiarono velocemente. Un ragazzo sbatté contro un tavolo da trucco e
rilasciò una nuvola di polvere rosa.
“Un duello, allora,” disse Piper allegramente. “Se non vuoi aspettare fino a
mezzogiorno, ora va bene. Hai trasformato questa cabina in una dittatura, Drew.
Silena Beauregard era migliore. Afrodite riguarda l’amore e la bellezza. Essere
amorevoli. Diffondere la bellezza. Buoni amici. Belle esperienze. Belle imprese. Non
consiste nell’avere semplicemente un aspetto bello. Silena ha fatto degli errori, ma
alla fine ha sostenuto i suoi amici. Ecco perché era un eroe. Metterò le cose a posto,
e ho la sensazione che mamma sarà dalla mia parte. Vogliamo scoprirlo?”
Drew incrociò gli occhi per guardare la lama del pugnale di Piper.
Passò un secondo. Poi due. A Piper non importava. Era totalmente felice e sicura di
sé. Si doveva capire dal suo sorriso.
“Io… mi ritiro,” borbottò Drew. “Ma se credi che mi dimenticherò mai di questo,
McLean –“
“Oh, spero che non lo farai,” disse Piper. “Ora, vai al padiglione della mensa e spiega
a Chirone perché siamo in ritardo. C’è stato un cambio di direzione.”
Drew indietreggiò fino alla porta. Persino i suoi vice più fidati non la seguirono. Stava
per andarsene quando Piper disse, “Oh, e, Drew, tesoro?”
L’ex consigliere si voltò di malavoglia.
“Nel caso pensassi che non sono una vera figlia di Afrodite,” disse Piper, “non
provare nemmeno a guardare Jason Grace. Potrà non saperlo ancora, ma lui è mio.
Se provi anche solo a fare una mossa, ti caricherò in una catapulta e ti lancerò al di
sopra di Long Island Sound.”
Drew si voltò così velocemente che sbatté contro lo stipite della porta. Poi se ne
andò.
La cabina era silenziosa. Gli altri campeggiatori fissarono Piper. Quella era la parte
della quale non era sicura. Non voleva governare con la paura. Lei non era come
Drew, ma non sapeva se l’avrebbero accettata.
Poi, in maniera spontanea, i campeggiatori di Afrodite acclamarono così forte, che
dovevano avergli sentiti per tutto il campo. La issarono fuori dalla cabina, la
sollevarono sulle loro spalle e la trasportarono fino al padiglione della mensa –
ancora in pigiama, con i capelli ancora in disordine, ma non le importava. Non si era
mai sentita meglio.
Entro il pomeriggio, Piper si era cambiata con comodi vestiti del campo e aveva
guidato la cabina di Afrodite nelle loro attività della mattina. Era pronta per il tempo
libero.
Un po’ dell’adrenalina della sua vittoria era scemata perché aveva un appuntamento
alla Casa Grande.
Chirone la aspettava sul portico anteriore nella sua forma umana, condensato nella
sedia a rotelle. “Vieni dentro, mia cara. La video conferenza è pronta.”
L’unico computer del campo si trovava nell’ufficio di Chirone, e l’intera stanza era
rivestita di pannelli di bronzo.
“I semidei e la tecnologia non vanno d’accordo,” spiegò Chirone. “Chiamate con i
telefoni, messaggi, perfino navigare su Internet – tutte queste cose possono attrarre
i mostri. Per esempio, solo questo autunno in una scuola di Cincinnati, abbiamo
dovuto salvare un giovane eroe che aveva cercato su Google le gorgoni e ha ricevuto
un po’ più di quello che aveva richiesto, ma non importa. Qui al campo, siete
protetti. Tuttavia… cerchiamo di essere cauti. Potrai parlare solo per alcuni minuti.”
“Afferrato,” disse Piper. “Grazie, Chirone.”
Lui sorrise e guidò la sua sedia a rotelle fuori dall’ufficio. Piper esitò prima di cliccare
il tasto di chiamata. L’ufficio di Chirone era confusionario e accogliente. Una parete
era ricoperta di magliette provenienti da varie convention – PARTY PONY ’09 VEGAS,
PARTY PONY ’10 HONOLULU, eccetera. Piper non sapeva chi fossero i Party Pony,
ma a giudicare dalle macchie, dai segni di bruciatura e dai fori provocati dalle armi
nelle magliette, dovevano avere degli incontri piuttosto selvaggi. Sullo scaffale sopra
alla scrivania di Chirone c’era uno stero antico con cassette etichettate “Dean
Martin” e “Frank Sinatra” e “Le più Grandi Hit degli Anni 40”. Chirone era così
vecchio che Piper si chiese se ciò volesse dire 1940, 1840 o magari semplicemente
40 DC.
Ma la maggior parte dello spazio sulle pareti dell’ufficio era ricoperto da foto di
semidei, come un muro della fama. Uno degli scatti più recenti mostrava un ragazzo
adolescente con capelli scuri e occhi verdi. Dal momento che stava a braccetto con
Annabeth, Piper suppose che il ragazzo dovesse essere Percy Jackson. In alcune delle
foto più vecchie riconobbe persone famose: uomini d’affari, atleti, persino alcuni
attori che suo padre conosceva.
“Incredibile,” mormorò.
Piper si chiese se un giorno la sua foto sarebbe andata su quel muro. Per la prima
volta, si sentì come se facesse parte di qualcosa di più grande di lei. I semidei
esistevano da secoli. Qualsiasi cosa facesse, la faceva per tutti loro.
Fece un respiro profondo e chiamò. La schermata del video apparve sullo schermo.
Gleeson Hedge sogghignò verso di lei dall’ufficio di suo padre. “Sentite le novità?”
“Piuttosto difficili da mancare,” disse Piper. “Spero che lei sappia quello che sta
facendo.”
Chirone le aveva mostrato un giornale a pranzo. Il misterioso ritorno di suo padre da
non si sa dove era andato in prima pagina. La sua assistente personale Jane era stata
licenziata per aver coperto la sua scomparsa e per non aver avvertito la polizia. Un
nuovo personale era stato assunto e personalmente esaminato dal “life coach” di
Tristan McLean, Gleeson Hedge. Secondo il giornale, Mr. McLean sosteneva di non
avere ricordi dell’ultima settimana, e i media si stavano completamente buttando
sulla storia. Alcuni pensavano che si trattasse di una furba mossa pubblicitaria per
un film – forse McLean avrebbe interpretato un personaggio senza memoria? Alcuni
credevano che fosse stato rapito da terroristi, o da fan furiosi, o che fosse
eroicamente fuggito da un ricercatore di riscatto usando le sue incredibili abilità di
combattente da Re di Sparta. Qualunque fosse la verità, Tristan McLean era più
famoso che mai.
“Sta andando benissimo,”assicurò Hedge. “Ma non preoccuparti. Lo terremo fuori
dall’occhio del pubblico per il prossimo mese o giù di lì finché le cose non si
calmeranno. Tuo padre ha delle cose più importanti da fare – come riposarsi e
parlare con sua figlia.”
“Non si metta troppo comodo là a Hollywood, Gleeson,” disse Piper.
Hedge sbuffò. “Stai scherzando? Queste persone fanno sembrare Eolo sano di
mente. Tornerò non appena potrò, ma tuo padre dovrà prima rimettersi in piedi. E’
un bravo ragazzo. Oh, e ad ogni modo, ho pensato a quell’altro piccolo problema. Il
Park Service della Bay Area ha appena ricevuto un nuovo elicottero come regalo
anonimo. E il pilota ranger che ci ha aiutati? Ha ricevuto un’offerta molto redditizia
per volare per Mr. McLean.”
“Grazie, Gleeson,” disse Piper. “Per tutto.”
“Sì, bè. Non cerco di essere fantastico. Mi viene naturale. Parlando del palazzo di
Eolo, ti presento la nuova assistente di tuo padre.”
Hadge fu spinto leggermente da una parte, e una giovane ragazza carina sorrise alla
camera.
“Mellie?” Piper la fissò, ma si trattava senza dubbio di lei: l’aura che gli aveva aiutati
a scappare della fortezza di Eolo. “Lavori per mio padre ora?”
“Non è grandioso?”
“Lui sa che sei un – lo sai – spirito del vento?”
“Oh, no. Ma adoro questo lavoro. E’ – um – una brezza.”
Piper non poté fare a meno di ridere. “Sono contenta. E’ fantastico. Ma dove –“
“Un secondo.” Mellie baciò Gleeson sulla guancia. “Andiamo, vecchia capra.
Smettila di divorare lo schermo.”
“Cosa?” chiese Hedge. Ma Mellie lo guidò via e chiamò, “Mr. McLean? E’ in linea!”
Un secondo più tardi, comparve il padre di Piper.
Fece un’enorme sorriso. “Pipes!”
Aveva un aspetto fantastico – era tornato alla normalità, con i suoi scintillanti occhi
castani , la barba vecchia di un giorno, il suo sorriso sicuro e i capelli appena tagliati
come se fosse pronto per girare una scena. Piper era sollevata, ma si sentiva anche
un po’ triste. Tornare alla normalità non era necessariamente quello che voleva.
Nella sua mente, avviò l’orologio. In una chiamata normale del genere, in un giorno
di lavoro, aveva l’attenzione di suo padre a malapena per più di trenta secondi.
“Hey,” disse debolmente. “Ti senti bene?”
“Tesoro, mi dispiace così tanto di farti preoccupare con questa faccenda della
scomparsa. Non lo so…” Il suo sorriso tentennò, e lei capì che stava cercando di
ricordare – annaspando per un ricordo che avrebbe dovuto essere lì, ma non c’era.
“Onestamente, non sono certo di cosa sia successo. Ma sto bene. Coach Hedge è
stato un dono da dio”
“Un dono da dio,” ripeté lei. Buffa scelta di parole.
“Mi ha detto della tua nuova scuola,” disse il padre. “Mi dispiace che la Wilderness
School non abbia funzionato, ma avevi ragione. Jane aveva torto. Sono stato uno
sciocco a darle ascolto.”
Dieci secondi rimasti, più o meno. Ma almeno suo padre suonava sincero, come se si
sentisse davvero pentito.
“Non ricordi nulla?” disse lei, con un po’ di ansia.
“Certo che ricordo,” disse lui.
Un brivido le scese lungo il collo. “Davvero?”
“Mi ricordo che ti voglio bene,” disse. “E sono orgoglioso di te. Sei contenta nella tua
nuova scuola?”
Piper sbatté le palpebre. Non avrebbe pianto in quel momento. Dopo tutto quello
che aveva passato, sarebbe stata una cosa ridicola. “Sì, papà. E’ più simile a un
campo, non una scuola, ma… Sì credo che sarò felice qui.”
“Chiamami più che puoi,” disse. “E torna a casa per Natale. E, Pipes…”
“Sì?”
Lui toccò lo schermo come se stesse cercando di raggiungerla con la mano. “Sei una
meravigliosa giovane donna. Non te lo dico abbastanza spesso. Mi ricordi così tanto
tua madre. Lei sarebbe orgogliosa. E Nonno Tom –“ ridacchiò – “diceva sempre che
saresti stata la voce più potente della nostra famiglia. Mi eclisserai un giorno, lo sai.
Mi ricorderanno come il padre di Piper McLean, e questa è l’eredità migliore che
possa immaginare.”
Piper cercò di rispondere, ma aveva paura che sarebbe crollata. Si limitò a toccare le
sue dita sullo schermo e ad annuire.
Mellie disse qualcosa sullo sfondo, e suo padre sospirò. “Chiamata dallo studio. Mi
dispiace, tesoro.” E suonava genuinamente irritato di dover andare via.
“Va tutto bene, papà,” riuscì a dire. “Ti voglio bene.”
Lui le strizzò l’occhio. Poi la chiamata video si fece scura.
Quarantacinque minuti? Forse un minuto intero.
Piper sorrise. Un piccolo miglioramento, ma era sempre un progresso.
Nell’area comune, trovò Jason che si rilassava su una panchina, con una palla da
basket tra i piedi. Era sudato dal suo allenamento, ma aveva un aspetto fantastico
nella sua canottiera arancione e pantaloncini corti. Le diverse cicatrici e lividi
dell’impresa stavano guarendo, grazie ad alcuni interventi medici dalla cabina di
Apollo. Le sue braccia e gambe erano muscolose e abbronzate – distraevano come
sempre. I suoi biondi capelli corti catturavano la luce del pomeriggio così che
sembrava come se si stessero trasformando in oro, stile Mida.
“Hey,” disse. “Com’è andata?”
Impiegò un secondo per concentrarsi sulla sua domanda. “Hmm? Oh, sì. Bene.”
Si mise a sedere vicino a lui e guardarono i campeggiatori andare avanti e indietro.
Un paio di ragazze di Demetra stavano facendo degli scherzi a due ragazzi di Apollo –
facendogli crescere l’erba intorno alle caviglie mentre tiravano la palla nel canestro.
Al negozio del campo, i ragazzi di Hermes stavano attaccando un’insegna che diceva:
SCARPE VOLANTI, LEGGEREMENTE USATE, OGGI AL 50%! I ragazzi di Ares stavano
circondando la loro cabina con del filo spinato nuovo. La cabina di Hypnos stava
russando. Una normale giornata al campo.
Nel frattempo, i ragazzi di Afrodite stavano guardando Piper e Jason, cercando di
fare finta che non fosse così. Piper fu abbastanza sicura di aver visto passaggi di
soldi, come se stessero piazzando delle scommesse su un bacio.
“Sei riuscito a dormire?” gli chiese.
Lui la guardò come se gli avesse appena letto nel pensiero. “Non molto. Sogni.”
“Sul tuo passato?”
Annuì.
Lei non gli fece pressione. Se voleva parlare, bene, ma lo conosceva troppo bene per
incalzare l’argomento. Non si preoccupò nemmeno del fatto che la conoscenza che
aveva di lui fosse basata per la maggior parte su tre mesi di falsi ricordi. Tu vedi le
possibilità, aveva detto sua madre. E Piper era determinata a rendere quelle
possibilità reali.
Jason fece girare la palla da basket. “Non sono delle belle novità,” avvertì. “I miei
ricordi non sono buoni per – per nessuno di noi.”
Piper era piuttosto certa che era stato sul punto di dire per noi – a indicare loro due,
e si domandò se si fosse ricordato di una ragazza del suo passato. Ma non lasciò che
ciò la preoccupasse. Non in una soleggiata giornata invernale come quella, con Jason
accanto a lei.
“Capiremo come fare,” assicurò lei.
Lui la guardò esitante, come se volesse davvero poterle credere. “Annabeth e Rachel
stanno venendo per la riunione di questa sera. Probabilmente dovrei aspettare fino
ad allora per spiegare…”
“Okay.” Staccò qualche filo d’erba vicino ai suoi piedi. Sapeva che c’erano delle cose
pericolose in serbo per entrambi. Avrebbe dovuto competere con il passato di Jason,
e potevano persino non sopravvivere alla loro guerra contro i giganti. Ma, al
momento, erano entrambi vivi, e lei era determinata a godersi quell’attimo.
Jason la studiò con attenzione. Il tatuaggio sul suo avambraccio era blu chiaro nella
luce del sole. “Sei di buon umore. Come puoi essere così sicura che le cose
funzioneranno?”
“Perché tu ci guiderai,” disse lei semplicemente. “Ti seguirei ovunque.”
Jason sbatté le palpebre. Poi, lentamente, sorrise. “Cosa pericolosa da dire.”
“Io sono una ragazza pericolosa.”
“Quello lo posso credere.”
Si alzò e si spazzolò i pantaloncini. Le offrì la mano. “Leo dice che ha qualcosa da
farci vedere nella foresta. Vieni?”
“Non me lo perderei mai.” Prese la sua mano e si alzò in piedi.
Per un momento, continuarono a tenersi per mano. Jason inclinò la testa.
“Dovremmo andare.”
“Sì,” disse lei. “Solo un secondo.”
Lasciò andare la sua mano, e tirò fuori un biglietto dalla tasca – il biglietto da visita
argentato che Talia le aveva dato per le Cacciatrici di Artemide. Lo buttò in un fuoco
eterno lì vicino e lo guardò bruciare. Non ci sarebbero stati cuori spezzati nella
cabina di Afrodite dal quel momento. Quello era un rito di passaggio di cui non
avevano bisogno.
Dall’altra parte del prato, i suoi compagni di cabina apparirono delusi dal fatto che
non avessero assistito a un bacio. Cominciarono a dividere le scommesse.
Ma andava bene così. Piper era paziente, e poteva vedere un sacco di buone
possibilità.
“Andiamo,” disse a Jason. “Abbiamo delle avventure da pianificare.”
53
LEO
Leo non si sentiva così agitato da quando aveva offerto hamburger di tofu ai lupi
mannari. Quando arrivò alla rupe calcarea nella foresta, si voltò verso il gruppo e
sorrise nervoso. “Ci siamo.”
Ordinò alle sue mani di prendere fuoco e le appoggiò contro la porta.
I suoi compagni di cabina boccheggiarono.
“Leo!” gridò Nyssa. “Sai controllare in fuoco!”
“Sì, grazie,” disse. “Lo so.”
Jake Mason, che era uscito dal suo gesso per il corpo ma aveva ancora le stampelle,
disse, “Santo Efesto. Questo vuol dire – è così raro che –“
L’enorme porta di pietra si aprì, e tutti spalancarono la bocca. Ora la mano in
fiamme di Leo appariva insignificante. Persino Piper e Jason apparivano stupefatti, e
loro avevano visto abbastanza cose sorprendenti ultimamente.
Solo Chirone non sembrava sorpreso. Il centauro aggrottò le folte sopracciglia e si
lisciò la barba, come se il gruppo stesse per camminare attraverso un campo minato.
Ciò rese Leo ancora più nervoso, ma non poteva cambiare idea ormai. I suoi istinti gli
dicevano che doveva condividere quel posto – con la cabina di Efesto, almeno – e
non poteva tenerlo nascosto a Chirone o ai suoi due migliori amici.
“Benvenuti al Bunker Nove,” disse con quanta sicurezza poteva. “Entrate.”
Il gruppo rimase in silenzio mentre facevano il giro della struttura. Tutto era
esattamente come Leo lo aveva lasciato – macchinati giganti, tavoli da lavoro,
vecchie mappe e diagrammi tecnici. Era cambiata solo una cosa. La testa di Festus
era appoggiata sul tavolo centrale, sempre ammaccata e bruciacchiata dal suo
ultimo schianto su Omaha.
Leo si avvicinò alla testa, con un sapore amaro in bocca, e accarezzò la fronte del
drago. “Mi dispiace, Festus. Ma non mi dimenticherò di te.”
Jason mise una mano sulla spalla di Leo. “Efesto lo ha portato qui per te?”
Leo annuì.
“Ma non puoi ripararlo,” indovinò Jason.
“Impossibile,” disse Leo. “Ma la testa verrà riutilizzata. Festus verrà con noi.”
Piper si avvicinò e aggrottò le sopracciglia. “Cosa vuoi dire?”
Prima che Leo potesse rispondere, Nyssa esclamò, “Ragazzi, guardate questo!”
Era in piedi davanti a uno dei tavoli da lavoro, intenta a sfogliare velocemente un
album di schizzi – diagrammi per centinaia di macchinari e armi diverse.
“Non ho mai visto niente del genere,” disse Nyssa. “Ci sono più idee strabilianti qui
che nel laboratorio di Dedalo. Ci vorrebbe un secolo solo per realizzare il prototipo
di tutto.”
“Chi ha costruito questo posto?” chiese Jake Mason. “E perché?”
Chirone rimase in silenzio, ma Leo si concentrò sulla mappa a muro che aveva visto
durante la sua prima vista. Mostrava il Campo Mezzosangue con una linea di trireme
sul Sound, catapulte montate sulle colline intorno alla vallata, e punti segnati per
trappole, trincee e luoghi per le imboscate.
“E’ il centro di comando usato durante la guerra,” disse. “Il campo è stato attaccato
in passato, non è vero?”
“Durante la Guerra dei Titani?” chiese Piper.
Nyssa scosse la testa. “No. Inoltre, quella mappa sembra davvero vecchia. La data…
c’è scritto 1864?”
Si voltarono tutti verso Chirone.
La coda del centauro si agitò irritata. “Questo campo è stato attaccato molte volte,”
ammise. “Quella mappa viene dall’ultima Guerra Civile.”
Apparentemente, Leo non era l’unico a essere confuso. Gli altri campeggiatori di
Efesto si guardarono a vicenda accigliati.
“La Guerra Civile…” disse Piper. “Intendi la Guerra Civile Americana, tipo
centocinquanta anni fa?”
“Sì e no,” disse Chirone. “I due conflitti – mortali e semidei – si sono rispecchiati a
vicenda, come fanno di solito nella storia occidentale. Prendete una qualsiasi guerra
civile o rivoluzione dalla caduta di Roma in poi, e questa segnerà un momento nel
quale anche i semidei hanno combattuto gli uni contro gli altri. Ma quella Guerra
Civile fu particolarmente orribile. Per i mortali americani, continua a essere il
conflitto più sanguinante di tutti i tempi – peggiore delle perdite subite nelle due
Guerre Mondiali. Per i semidei, fu altrettanto devastante. Persino a quei tempi,
questa vallata era il Campo Mezzosangue. Ci fu un’orribile battaglia in questi boschi
che durò per giorni, con terribili perdite da entrambi le parti.”
“Entrambi le parti,” disse Leo. “Vuoi dire che il campo si spaccò?”
“No,” disse Jason. “Intende dire due gruppi diversi. Il Campo Mezzosangue era una
parte nella guerra.”
Leo non era certo di volere una risposta, ma chiese, “Chi era l’altra?”
Chirone alzò lo sguardo verso lo striscione lacero con su scritto BUNKER 9, come se
si stesse ricordando il giorno nel quale fu issato.
“La risposta è pericolosa,” avvertì. “E’ qualcosa sulla quale ho giurato sul Fiume Stige
di non parlare mai. Dopo la Guerra Civile Americana, gli dei erano così inorriditi dal
prezzo che avevano dovuto pagare i loro figli che giurarono che non sarebbe mai
capitato di nuovo. I due gruppi furono separati. Gli dei piegarono tutta la loro
volontà, tesserono la Foschia più strettamente possibile, per assicurarsi che i nemici
non si ricordassero mai a vicenda, non si incontrassero mai nelle loro imprese, così
che si sarebbe potuto evitare lo spargimento di sangue. Questa mappa risale agli
ultimi giorni scuri del 1864, l’ultima volta che i due gruppi combatterono. Ci siamo
andati vicini molte volte da allora. Gli anni Sessanta furono particolarmente
rischiosi. Ma siamo riusciti a evitare un’altra guerra civile – almeno per ora. Proprio
come ha indovinato Leo, questo bunker era il centro di comando per la cabina di
Efesto. Nell’ultimo secolo, è stata riaperta alcune volte, solitamente come
nascondiglio in tempi di grande agitazione. Ma venire qui è pericoloso. Agita vecchi
ricordi, risveglia le vecchie faide. Persino quando i Titani ci hanno minacciato lo
scorso anno, non ho ritenuto che valesse la pena di correre il rischio di usare questo
luogo.”
Improvvisamente il senso di trionfo di Leo si trasformò in colpevolezza. “Hey,
sentite, è stato questo posto che ha trovato me. Doveva accadere. E’ una buona
cosa.”
“Spero che tu abbia ragione,” disse Chirone.
“Ce l’ho!” Leo tirò fuori dalla tasca il suo vecchio disegno e lo stese sul tavolo perché
potessero vederlo tutti.
“Ecco,” disse fieramente. “Eolo me lo ha restituito. L’ho disegnato quando avevo
cinque anni. Questo è il mio destino.”
Nyssa aggrottò le sopracciglia. “Leo, è il disegno a pastelli di una barca.”
“Guardate.” Indicò il diagramma tecnico più grande sul pannello di sughero – il
progetto che mostrava una trireme Greca. Lentamente, gli occhi dei suoi compagni
si spalancarono mentre mettevano a confronto i due disegni. Il numero di alberi e
remi, persino le decorazioni sugli stemmi e sulle vele erano esattamente gli stessi
del disegno di Leo.
“E’ impossibile,” disse Nyssa. “Quel progetto deve avere minimo cento anni.”
“‘Profezia – Confuso – Volo’,” Jake Mason lesse le note sul progetto. “E’ il
diagramma per una nave volante. Guardate, questo è il carrello di atterraggio. E
l’armeria – Santo Efesto: balestre rotanti, archi caricati, listelli di bronzo Celeste.
Quella cosa sarebbe una macchina da guerra da paura. E’ mai stata costruita?”
“Non ancora,” disse Leo. “Guardate la testata.”
Non c’erano dubbi – la figura sulla parte anteriore della nave era la testa di un
drago. E un drago molto specifico.
“Festus,” disse Piper. Tutti si girarono e guardarono la testa del drago appoggiata sul
tavolo.
“E’ destinato a essere la nostra testata,” disse Leo. “Il nostro porta fortuna, i nostri
occhi nel mare. Devo costruire questa nave. La chiamerò l’Argo II. E, ragazzi, avrò
bisogno del vostro aiuto.”
“L’Argo II.” Piper sorrise. “Come la nave di Giasone.”
Jason sembrò un po’ a disagio, ma annuì. “Leo ha ragione. Quella nave è
esattamente quello di cui abbiamo bisogno per il nostro viaggio.”
“Quale viaggio?” disse Nyssa. “Siete appena tornati!”
Piper fece scorrere le dita lungo il vecchio disegno a pastelli. “Abbiamo affrontato
Porfirione, il re dei giganti. Ha detto che avrebbe distrutto gli dei alle loro radici.”
“Esatto,” disse Chirone. “La maggior parte della Grande Profezia di Rachel resta
ancora un mistero, ma una cosa è chiara. Voi tre – Jason, Piper e Leo – siete tra i
sette semidei che dovranno partecipare a quell’impresa. Dovrete affrontare i giganti
nella loro terra natale, dove sono più forti. Dovrete fermagli prima che riescano a
svegliare completamente Gaia, prima che distruggano il Monte Olimpo.”
“Um…” Nyssa si mosse a disagio. “Non parli di Manhattan, vero?”
“No,” disse Leo. “Il Monte Olimpo originale. Dobbiamo salpare per la Grecia.”
54
LEO
Ci vollero alcuni minuti perché l’informazione fosse assimilata. Poi gli altri
campeggiatori di Efesto cominciarono a fare domande tutti insieme. Chi erano gli
altri quattro semidei? Quanto ci sarebbe voluto per costruire la barca? Perché non
potevano andare tutti in Grecia?
“Eroi!” Chirone sbatté il suo zoccolo contro il pavimento. “I dettagli non sono ancora
tutti chiari, ma Leo ha ragione. Avrà bisogno del vostro aiuto per costruire l’Argo II.
Si tratta probabilmente del più grande progetto che la Cabina Nove abbia mai
intrapreso, persino più grande del drago di bronzo.”
“Ci vorrà come minimo un anno,” indovinò Nyssa. “Abbiamo così tanto tempo?”
“Avete sei mesi al massimo,” disse Chrione. “Dovrete salpare entro il solstizio
d’estate, quando il potere degli dei è più forte. Inoltre, evidentemente non
possiamo fidarci degli dei del vento, e i venti estivi sono i meno potenti e i più facili
da navigare. Non potete permettervi di salpare più tardi, o potrebbe essere troppo
tardi per fermare i giganti. Dovrete evitare di viaggiare via terra, usando solo l’aria e
il mare, quindi questo veicolo è perfetto. Con Jason che è il figlio del dio del cielo…”
La sua voce si spense, ma Leo immaginò che Chirone stesse pensando al suo
studente scomparso, Percy Jackson, il figlio di Poseidone. Anche lui sarebbe stato
utile per quel viaggio.
Jake Mason si voltò verso Leo. “Bè, una cosa è certa. Tu ora sei il consigliere anziano.
Questo è il più grande onore che la cabina abbia mai avuto. Qualcuno ha da
obbiettare?”
Non lo fece nessuno. Tutti i suoi compagni gli sorrisero, e Leo poté quasi avvertire la
maledizione della loro cabina che si spezzava, il loro senso di disperazione sciogliersi.
“E’ ufficiale, allora,” disse Jake. “Sei tu il capo.”
Per una volta, Leo era senza parole. Fin da quando era morta sua madre, aveva
trascorso la vita a scappare. Ora aveva trovato una casa e una famiglia. Aveva
trovato un lavoro da fare. E, per quanto spaventoso fosse, Leo non era tentato di
scappare – nemmeno un po’.
“Bè,” disse alla fine, “sei voi ragazzi mi eleggete come capo, dovete essere persino
più matti di me. Allora, andiamo a costruire una macchina da guerra da paura!”
55
JASON
Jason aspettò da solo nella Cabina Uno.
Annabeth e Rachel sarebbero arrivate a minuti per la riunione dei consiglieri capi, e
lui aveva bisogno di tempo per pensare.
Il sogno della notte precedente era stato peggio di quello che aveva lasciato capire –
persino con Piper. I suoi ricordi erano ancora confusi, ma stavano tornado pezzetti e
parti. La notte nella quale Lupa lo aveva sottoposto al test alla Casa del Lupo, per
decidere se sarebbe stato un cucciolo o cibo. Poi il lungo viaggio verso sud a… non
riusciva a ricordarsi, ma aveva dei flash della sua vecchia vita. Il giorno in cui aveva
ricevuto il suo tatuaggio. Il giorno in cui era stato sollevato su uno scudo ed era stato
proclamato pretore. I volti dei suoi amici: Dakota, Gwendolyn, Hazel, Bobby. E
Reyna. Senza dubbio c’era una ragazza di nome Reyna. Non era certo di cosa
significava per lui, ma il ricordo lo faceva interrogare su quello che sentiva per Piper
– e se stesse facendo qualcosa di sbagliato. Il problema era che Piper gli piaceva
molto.
Jason spostò le sue cose nella nicchia d’angolo, dove sua sorella aveva dormito in
passato. Rimise la fotografia di Talia sulla parete così che non si sentisse solo. Fissò
la statua corrucciata di Zeus, forte e fiero, ma la statua non lo spaventava più. Lo
rendeva solo triste.
“So che puoi sentirmi,” disse Jason alla statua.
La statua non disse nulla. I suoi occhi dipinti sembravano fissarlo.
“Vorrei poter parlare con te di persona,” continuò Jason, “ma capisco che non puoi
farlo. Agli dei romani non piace interagire così tanto con i mortali, e – bè, tu sei il re.
Devi dare l’esempio.”
Ancora silenzio. Jason aveva sperato in qualcosa – un rombo di tuoni più forte del
solito, una luce brillante, un sorriso. No, non importava. Un sorriso sarebbe stato
inquietante.
“Ricordo alcune cose,” disse. Più parlava, meno si sentiva imbarazzato. “Ricordo che
è difficile essere un figlio di Giove. Tutti si aspettano sempre che io sia il leader, ma
mi sento sempre solo. Immagino che tu provi la stessa cosa sull’Olimpo. Gli altri dei
contestano le tue decisioni. A volte devi prendere delle scelte difficili, e gli altri ti
criticano. E non puoi venire in mio aiuto come potrebbero fare gli altri dei. Devi
mantenermi a distanza così non sembra che stia facendo favoritismi. Immagino che
volevo semplicemente dire…”
Jason fece un respiro profondo. “Capisco tutto questo. Va bene. Cercherò di fare del
mio meglio. Cercherò di renderti orgoglioso. Ma mi farebbe davvero comodo una
qualche guida, papà. Se c’è qualsiasi cosa che puoi fare – aiutami, così io posso
aiutare i miei amici. Ho paura di fargli uccidere. Non so come proteggergli.”
Gli formicolò il retro del collo. Si rese conto che c’era qualcuno dietro di lui. Si voltò
e trovò una donna con un vestito nero incappucciata, un mantello di pelle di capra
sopra le spalle e una spada romana infoderata – un gladio – in mano.
“Era,” disse.
Lei si tirò indietro il cappuccio. “Per te, sono sempre stata Giunone. E tuo padre ti ha
già mandato delle guide, Jason. Ti ha mandato Piper e Leo. Loro non sono solo una
tua responsabilità. Loro sono anche tuoi amici. Ascoltali, e agirai bene.”
“E’ stato Giove a mandarti qui per dirmi questo?”
“Nessuno mi manda da nessuna parte, eroe,” disse lei. “Io non sono un
messaggero.”
“Ma tu mi hai coinvolto in tutto questo. Perché mi hai mandato in questo campo?”
“Credo che tu lo sappia, “ disse Giunone. “Uno scambio di leader era necessario. Era
l’unico modo per collegare il divario.”
“Io non ho accettato il tuo piano.”
“No. Ma Zeus mi ha donato la tua vita, e io ti sto aiutando ad adempiere il tuo
destino.”
Jason cercò di controllare la sua rabbia. Guardò verso la sua maglietta arancione del
campo e ai tatuaggi sul suo braccio, e sapeva che quelle cose non sarebbero dovute
andare insieme. Era diventato una contraddizione – una miscela tanto pericolosa
quanto qualsiasi cosa che Medea avrebbe potuto preparare.
“Non mi stai restituendo tutti i miei ricordi,” disse. “Anche se hai promesso.”
“La maggior parte torneranno in tempo,” disse Giunone. “Ma devi trovare la tua
strada di ritorno da solo. Hai bisogno di questi prossimi mesi con i tuoi nuovi amici,
la tua nuova casa. Ti stai guadagnando la loro fiducia. Quando salperai con la tua
nave, sarai un leader in questo campo. E sarai pronto a fare da pacificatore tra due
grandi poteri.”
“E se non stessi dicendo la verità?” chiese. “E se stessi facendo tutto questo per
causare un’altra guerra civile?”
L’espressione di Giunone era impossibile da decifrare – divertimento? Disprezzo?
Affetto? Probabilmente tutte e tre. Per quanto potesse apparire umana, Jason
sapeva che non lo era. Poteva ancora vedere quella luce accecante – la vera forma
della dea che si era impressa nella sua mente. Lei era Giunone ed Era. Esisteva in
molti posti contemporaneamente. Le sue ragioni per fare qualcosa non erano mai
facili.
“Io sono la dea della famiglia,” disse. “La mia famiglia è stata divisa per troppo
tempo.”
“Ci hanno divisi così che non ci uccidiamo a vicenda,” disse Jason. “Questa sembra
una ragione piuttosto buona.”
“La profezia richiede che cambiamo. I giganti sorgeranno. Ognuno può essere ucciso
solo da un dio e un semidio che lavorano insieme. Quei semidei devono essere i
sette più grandi dell’epoca. Al momento, sono divisi in due luoghi. Se rimaniamo
divisi, non possiamo vincere. Gaia conta su questo. Tu devi unire gli eroi dell’Olimpo
e salpare insieme per incontrare i giganti sull’antico campo di battaglia della Grecia.
Solo allora gli dei si convinceranno a unirsi a voi. Sarà l’impresa più pericolosa, il
viaggio più importante, mai intrapreso dai figli degli dei.”
Jason guardò di nuovo in alto, verso la torva statua di suo padre.
“Non è giusto,” disse Jason. “Potrei rovinare tutto.”
“Potresti,” concordò Giunone. “Ma gli dei hanno bisogno degli eroi. Ne abbiamo
sempre avuto bisogno.”
“Persino te? Pensavo che tu odiassi gli eroi.”
La dea gli rivolse un sorriso asciutto. “Ho quella reputazione. Ma, se vuoi sapere la
verità, Jason, spesso invidio i figli mortali degli altri dei. Voi semidei potete
abbracciare entrambi i mondi. Credo che ciò aiuti i vostri genitori divini – persino
Giove, maledetto lui – a capire il mondo mortale meglio di quanto lo faccia io.”
Giunone sospirò in maniera così triste che, malgrado la sua rabbia, Jason provò
quasi dispiacere per lei.
“Io sono la dea del matrimonio,” disse. “Non è nella mia natura essere infedele. Ho
solo due figli divini – Ares ed Efesto – entrambi delle delusioni. Io non ho eroi
mortali che facciano i miei interessi, che è il motivo per il quale sono spesso così
sgradevole nei confronti dei semidei – Ercole, Enea, tutti loro. Ma è anche il motivo
per il quale ho favorito il primo Jason, un puro mortale, che non aveva un genitore
divino che lo guidasse. E il motivo per il quale sono grata che Zeus ti abbia dato a
me. Tu sarai il mio campione, Jason. Tu sarai il più grande degli eroi e porterai unità
ai semidei, e di conseguenza all’Olimpo.”
Le parole si posarono su di lui, pesanti come sacchi di sabbia. Due giorni fa, era stato
terrorizzato all’idea di guidare dei semidei in una Grande Profezia, tuffandosi per
combattere i giganti e salvare il mondo.
Era ancora terrorizzato, ma qualcosa era cambiato. Non si sentiva più solo. Ora
aveva degli amici, e una casa per la quale combattere. Aveva persino una dea
protettrice che lo controllava, che doveva pur contare qualcosa, anche se non
sembrava molto degna di fiducia.
Jason doveva alzarsi e accettare il suo destino, proprio come aveva fatto quando
aveva affrontato Porfirione a mani nude. Senza dubbio, sembrava impossibile.
Poteva morire. Ma i suoi amici contavano su di lui.
“E se fallisco?” chiese.
“Una grande vittoria richiede un grande rischio,” ammise lei. “Fallisci, e ci sarà
spargimento di sangue come non ne abbiamo mai visto. I semidei si distruggeranno
a vicenda. I giganti invaderanno l’Olimpo. Gaia si sveglierà, e la terra scuoterà via
tutto quello che abbiamo costruito per più di cinque millenni. Sarà la fine di tutti
noi.”
“Fantastico. Semplicemente fantastico.”
Qualcuno bussò alla porta della cabina.
Giunone si rimise il cappuccio sulla testa. Poi porse a Jason il gladio inguainato.
“Prendi questo per l’arma che hai perso. Parleremo di nuovo. Che ti piaccia o no,
Jason, io sono la tua sostenitrice e il suo collegamento con l’Olimpo. Abbiamo
bisogno l’uno dell’altra.”
La dea scomparve mentre le porte si aprivano cigolando, e Piper entrò.
“Annabeth e Rachel sono qui,” disse. “Chirone ha convocato il concilio.”
56
JASON
Il concilio non era minimamente come l’aveva immaginato Jason. Per prima cosa, si
teneva nella sala della ricreazione della Casa Grande, intorno a un tavolo da pingpong, e uno dei satiri stava servendo nachos e coca-cola. Qualcuno aveva portato
dentro la testa di Seymour il leopardo dal salone e l’aveva appesa alla parete. Di
tanto in tanto, uno dei consiglieri gli lanciava un biscotto per cani.
Jason si guardò intorno alla stanza e cercò di ricordarsi il nome di tutti. Grazie al
cielo, Leo e Piper erano seduti vicino a lui – era la loro prima riunione come
consiglieri anziani. Clarisse, leader della cabina di Ares, aveva gli stivali sul tavolo, ma
non sembrava importare a nessuno. Clovis dalla cabina di Hypnos stava russando
all’angolo mentre Butch dalla cabina di Iris stava guardando quante matite riusciva a
far entrare nelle narici di Clovis. Travis Stoll dalla cabina di Hermes, stava tendendo
un accendino sotto una pallina da ping-pong per vedere se bruciava, e Will Solace
dalla cabina di Apollo si stava avvolgendolo e disfando in maniera assente una
benda intorno al polso. Il consigliere della cabina di Ecate, Lou Ellen qualcosa-delgenere, stava giocando a “Ti-ho-preso-il-naso” con Miranda Gardiner della cabina di
Demetra, a parte il fatto che Lou Ellen aveva davvero staccato magicamente il naso
di Miranda e lei stava cercando di riprenderselo.
Jason aveva sperato che Talia si presentasse. Dopotutto, aveva promesso – ma non
si vedeva da nessuna parte. Chirone gli aveva detto di non preoccuparsi. Talia veniva
spesso distolta dall’obbiettivo mentre combatteva i mostri o dirigeva imprese per
Artemide, e sarebbe probabilmente arrivata presto. Ma, in ogni caso, Jason era
preoccupato.
Rachel Dare, l’Oracolo, sedeva vicino a Chirone a capotavola. Indossava la sua
uniforme scolastica della Clarion Academy, cosa che sembrava un pò stramba, ma lei
sorrise a Jason.
Annabeth non sembrava così rilassata. Indossava l’armatura sopra i vestiti del
campo, con il pugnale al fianco e i capelli biondi legati in una coda di cavallo. Non
appena Jason entrò nella stanza, lei lo bloccò con uno sguardo ansioso, come se
stesse cercando di estrargli le informazioni con la sola forza di volontà.
“Ordine,” disse Chirone. “Lou Ellen, per favore, restituisci a Miranda il suo naso.
Travis, se gentilmente potessi estinguere la palla da ping-pong in fiamme e, Butch,
credo che venti matite siano davvero troppe per le narici di un qualsiasi umano.
Grazie. Ora, come potete vedere, Jason, Piper e Leo sono tornati vittoriosi… più o
meno. Alcuni di voi hanno sentito parti della loro storia, ma lascerò che vi raccontino
i dettagli.”
Guardarono tutti Jason. Lui si schiarì la gola e iniziò la storia. Piper e Leo
intervenivano di tanto in tanto, aggiungendo i dettagli che lui dimenticava.
Ci vollero solo alcuni minuti, ma sembrò di più con tutti che lo guardavano. Il silenzio
era pesante, e con così tanti semidei con deficit dell’attenzione che rimanevano
seduti fermi ad ascoltare per così tanto tempo Jason capì che la storia doveva
suonare piuttosto eccitante. Concluse con la visita di Era appena prima dell’incontro.
“Quindi Era è stata qui,” disse Annabeth. “Ha parlato con te.”
Jason annuì. “Sentite, non sto dicendo che mi fido di lei –“
“Questo è intelligente,” disse Annabeth.
“ – ma non si sta inventando nulla circa un altro gruppo di semidei. E’ da li che
vengo.”
“Romani.” Clarisse lanciò a Seymour un biscotto. “Ti aspetti che noi crediamo che ci
sia un altro campo di semidei, ma che loro seguono la forma romana degli dei. E noi
non abbiamo mai nemmeno sentito parlare di loro.”
Piper si sporse in avanti. “Gli dei hanno tenuto i due gruppi separati, perché ogni
volta che si incontravano, cercavano di uccidersi a vicenda.”
“Quello lo posso rispettare,” disse Clarisse. “Tuttavia, perché non ci siamo mai
imbattuti gli uni negli altri durante le imprese?”
“Oh, sì,” disse Chirone tristemente. “Lo avete fatto, molte volte. E’ sempre una
tragedia, e gli dei fanno sempre del loro meglio per ripulire i ricordi di quelli
coinvolti. La rivalità risale alla Guerra di Troia, Clarisse. I greci invasero Troia e la
rasero al suolo. L’eroe troiano Enea scappò, e alla fine arrivò in Italia, dove fondò la
stirpe che un giorno sarebbe diventata Roma. I romani divennero sempre più
potenti, venerando gli stessi dei ma con nomi diversi e con personalità leggermente
differenti.”
“Più battaglieri,” disse Jason. “Più uniti. Più dedicati all’espansione, alla conquista e
alla disciplina.”
“Ehw,” esclamò Travis.
Molti degli altri apparirono altrettanto a disagio, tuttavia Clarisse scrollò le spalle
come se ciò suonasse bene per lei.
Annabeth fece roteare il suo pugnale sul tavolo. “E i romani odiavano i greci. Si
vendicarono quando conquistarono le isole greche e le resero parte dell’Impero
Romano.”
“Non gli odiavano esattamente,” disse Jason. “I romani ammiravano la cultura greca
ed erano un po’ gelosi. In cambio, i greci pensavano che i romani fossero dei barbari,
ma rispettavano il loro potere militare. Così durante i tempi romani i semidei hanno
cominciato a dividersi – Greci o Romani.”
“Ed è stato così fin da quel momento,” indovinò Annabeth. “Ma è folle. Chirone,
dov’erano i romani durante la Guerra dei Titani? Non volevano aiutare?”
Chirone giocherellava con la barba. “Loro aiutarono, Annabeth. Mentre tu e Percy
guidavate la battaglia per salvare Manhattan, chi credi che abbia conquistato il
Monte Othrys, la base dei Titani in California?”
“Frena,” disse Travis. “Tu hai detto che il Monte Othrys è semplicemente crollato
quando abbiamo sconfitto Crono.”
“No,” disse Jason. Ricordava degli sprazzi della battaglia – un gigante con
un’armatura stellata e un elmo montato da corna di ariete. Ricordava il suo esercito
di semidei che scalava il Monte Tam, combattendo contro orde di mostri serpenti.
“Non è semplicemente caduto. Abbiamo distrutto il loro palazzo. Io stesso ho
sconfitto il Titano Krios.”
Gli occhi di Annabeth erano tempestosi come un ventus. Jason poteva quasi vedere i
suoi pensieri che si muovevano, mettendo insieme i pezzi.
“La Bay Area. A noi semidei è sempre stato detto di stare alla larga da lì perché il
Monte Othrys era là. Ma quella non era l’unica ragione, vero? Il campo Romano –
deve trovarsi da qualche parte vicino a San Francisco. Scommetto che è stato
posizionato lì per tenere d’occhio il territorio dei Titani. Dove si trova?”
Chirone si mosse a disagio nella sua sedia a rotelle. “Non lo so. Onestamente,
nemmeno a me è stata data quell’informazione. La mia controparte, Lupa, non è
esattamente il tipo che condivide. Anche la memoria di Jason è stata spazzata via.”
“Il campo è pesantemente coperto dalla magia,” disse Jason. “E pesantemente
protetto. Potremmo cercalo per anni e non trovarlo mai.”
Rachel Dare incrociò le dita delle mani. Di tutte le persone nella stanza, solo lei non
sembrava nervosa per la conversazione. “Ma ci proverai, non è vero? Costruirai la
nave di Leo, l’Argo II. E prima di dirigervi verso la Grecia salperete verso il campo
romano. Avrete bisogno del loro aiuto per affrontare i giganti.”
“Brutto piano,” avvertì Clarisse. “Se quei romani vedono arrivare una nave da
guerra, penseranno che stiamo attaccando.”
“Probabilmente hai ragione,” concordò Jason. “Ma dobbiamo provare. Sono stato
mandato qui per imparare sul Campo Mezzosangue, per cercare di convincervi che i
due campi non devono essere nemici. Un’offerta di pace.”
“Hmm,” disse Rachel. “Perché Era è convinta che abbiamo bisogno di entrambi i
campi per vincere la guerra contro i giganti. Sette eroi dell’Olimpo – alcuni greci,
alcuni romani.”
Annabeth annuì. “La tua Grande Profezia – qual è l’ultimo verso?”
“E alle Porte della Morte, i nemici armati si dovran temere.”
“Gaia ha aperto le Porte della Morte,” disse Annabeth. “Sta facendo uscire i peggiori
malvagi dell’Oltretomba per combatterci. Medea, Mida – ce ne saranno ancora, ne
sono certa. Forse il verso vuol dire che i semidei romani e greci si uniranno e
troveranno le porte, e le chiuderanno.”
“O potrebbe voler dire che si combatteranno a vicenda alle Porte della Morte,” fece
notare Clarisse. “Non dice che collaboreremo.”
Ci fu silenzio mentre i campeggiatori elaboravano quel pensiero felice.
“Io vengo,” disse Annabeth. “Jason, quando avrai costruito questa nave, fammi
venire con te.”
“Speravo che ti saresti offerta,” disse Jason. “Tu di tutte le persone – avremo
bisogno di te.”
“Aspetta.” Leo si accigliò. “Voglio dire, per me va bene e tutto. Ma perché Annabeth
di tutte le persone?”
Annabeth e Jason si studiarono a vicenda, a Jason capì che aveva messo tutto
insieme. Vedeva la pericolosa verità.
“Era ha detto che il mio venire qui è stato uno scambio di leader,” disse Jason. “Un
modo per i due campi di venire a conoscenza dell’esistenza dell’altro.”
“Sì?” disse Leo. “Quindi?”
“Uno scambio funziona con due parti,” disse Jason. “Quando sono arrivato qui, i
miei ricordi erano stati cancellati. Non sapevo chi ero o dove appartenevo.
Fortunatamente, voi ragazzi mi avete accettato, e io ho trovato una nuova casa. So
che non siete miei nemici. Il campo romano – loro non sono così amichevoli. Devi
provare che sei degno velocemente, o non sopravvivi. Potrebbero non essere così
gentili con lui, e se scoprono da dove viene sarà in guai seri.”
“Lui?” disse Leo. “Di chi stai parlando?”
“Il mio ragazzo,” disse Annabeth torva. “E’ scomparso nello stesso periodo in cui è
apparso Jason. Se Jason è venuto al Campo Mezzosangue –“
“Esattamente,” concordò Jason. “Percy Jackson si trova nell’altro campo, e
probabilmente non si ricorda nemmeno chi è.”