IX Leo - WordPress.com
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IX Leo Leo non aveva voglia di uscire dalla parete. Aveva altre tre bretelle da legare, e nessun’altro era abbastanza magro da poter entrare nel vespaio. (Uno dei tanti vantaggi dell’essere pelle e ossa.) Incastrato tra gli strati dello scafo con l’impianto idraulico e quello elettrico, Leo poteva restare da solo con i suoi pensieri. Quando era frustrato, il che avveniva circa ogni cinque secondi, avrebbe potuto colpire qualsiasi cosa con il suo cacciavite e gli altri membri dell’equipaggio avrebbero pensato che stesse lavorando, non che stesse facendo qualche capriccio. Un problema del suo santuario: ci entrava solamente fino alla vita. Il posteriore e le gambe rimanevano fuori, in mostra al grande pubblico, il che gli rendeva difficile nascondersi. “Leo!” la voce di Piper proveniva da qualche parte dietro di lui. “Abbiamo bisogno di te.” L’anello elastomero di bronzo celeste gli scivolò delle mani nelle profondità del vespaio. Leo sospirò. “Parla con i pantaloni, Piper! Perché le mani sono occupate!” “Non parlerò con i tuoi pantaloni. Incontro in sala mensa. Siamo quasi ad Olimpia.” “Si, va bene. Sarò lì tra un secondo.” “Cosa stai facendo, comunque? Sei stato rintanato lì dentro per giorni.” Leo recuperò la torcia dalle piastre e i pistoni di bronzo celeste che stava montando molto lentamente. “Manutenzione ordinaria.” Silenzio. Piper era un po’ troppo brava a capire quando mentiva. “Leo–” “Ehy, già che sei lì, fammi un favore. Mi è venuto prurito proprio sotto la– ” “Va bene, me ne vado!” Leo si concesse un altro paio di minuti per fissare il tutore. Il suo lavoro era fatto. Non durava a lungo. Ma stava facendo progressi. Certo, aveva gettato le basi per il suo progetto segreto quando aveva costruito l’Argo II, ma non lo aveva detto a nessuno. Era appena onesto con se stesso riguardo a quello che faceva. Niente dura per sempre, gli aveva detto suo padre una volta. Neanche le macchine migliori. Si, va bene, forse era vero. Ma Efesto aveva anche detto, tutto può essere riutilizzato. Lo scopo di Leo era verificare quella teoria. Era un rischio pericoloso. Il fallimento avrebbe potuto schiacciarlo. Non solo emotivamente. Sarebbe stato schiacciante anche fisicamente parlando. Il pensiero lo fece diventare claustrofobico. Si divincolò dal vespaio e tornò alla sua cabina. Beh… tecnicamente era la sua cabina, ma lui non aveva mai dormito lì. Il materasso era disseminato di fili, chiodi e pezzi di bronzo smontati da diverse macchine. I suoi tre armadi portautensili – Chico, Harpo e Groucho – prendevano la maggior parte della stanza. Decine di utensili elettrici erano appesi alle pareti. Sul piano di lavoro erano accumulati i modelli e delle fotocopie, il testo di Archimede che Leo aveva recuperato da un laboratorio sotterraneo a Roma. Anche se avesse voluto dormire nella sua cabina, sarebbe stato troppo stretto e pericoloso. Preferiva la Branda giù in sala macchine, dove il ronzio costante dei macchinari lo aiutava ad addormentarsi. Inoltre, fin da quando era stato sull’Isola di Ogigia, era diventato un appassionato del campeggio. Un sacco a pelo sul pavimento era tutto quello di cui aveva bisogno. La cabina serviva solo per l’archiviazione… e per lavorare ai suoi progetti più difficili. Tirò fuori le chiavi dalla cintura degli attrezzi. Non aveva molto tempo, ma aprì il cassetto centrale di Groucho e fissò i due oggetti preziosi al suo interno: un astrolabio in bronzo che aveva trovato a Bologna, e un pezzo di cristallo preso da uno dei muri da Ogigia. Leo non aveva capito come mettere le due cose insieme, però , la cosa lo stava facendo impazzire. Aveva sperato di ottenere alcune risposte quando avevano visitato Itaca. Dopo tutto, era la casa di Ulisse, il tizio che aveva costruito l’astrolabio. Ma, a giudicare da quello che aveva detto Jason, quelle rovine non avevano alcuna risposta per lui – solo un mucchio di demoni e fantasmi imbestialiti. In ogni caso, Ulisse non aveva mai fatto funzionare l’astrolabio. Non aveva avuto un cristallo da usare come faro per la strada di casa. Leo lo aveva. Avrebbe concluso quello che il semidio più intelligente di tutti i tempi aveva fallito. Proprio la fortuna di Leo. Una ragazza immortale super-gnocca lo aspettava su Ogigia, ma lui non riusciva a capire come collegare quello stupido pezzo di roccia nel dispositivo di navigazione vecchio di tremila anni. Alcuni problemi che del nastro adesivo avrebbe potuto risolvere. Leo richiuse il cassetto chiudendolo a chiave. I suoi occhi si spostarono sulla bacheca sopra il suo tavolo da lavoro, dove vi erano due quadri appesi fianco a fianco. Il primo era un vecchio disegno a pastelli che aveva fatto a sette anni – uno schema di una nave che aveva visto nei suoi sogni. Il secondo era uno schizzo a carboncino che Hazel aveva recentemente fatto per lui. Hazel Levesque… in quella ragazza c’era qualcosa. Appena Leo si era riunito all’equipaggio a Malta, aveva capito subito che Leo stesse male dentro. La prima occasione che aveva trovato, dopo tutto quel disastro nella casa di Ade, era entrata nella cabina di Leo dicendo, ‘Dimmi tutto.’ Hazel era una buona ascoltatrice. Leo le raccontò tutta la storia. Più tardi, quella sera, Hazel era tornata con il suo blocco da disegno e i carboncini. “Descrivimela,” insistette. “Ogni dettaglio.” Sembrava un po’ strano aiutare Hazel a fare un ritratto di Calypso – come se stesse parlando ad un’artista della polizia: Si, ufficiale, è quella la ragazza che ha rubato il mio cuore! Suonava come un’eccitante canzone country. Ma descrivere Calypso fu facile. Leo non riusciva a chiudere gli occhi senza vederla. Ora la sua simile guardò verso di lui dalla bacheca – i suoi occhi a mandorla, le labbra imbronciate, i suoi lunghi capelli lisci che ricadevano su una spalla del suo abito senza maniche. Poteva quasi sentire il suo profumo di cannella. La sua fronte corrugata e la sua bocca sembravano dire, Leo Valdez, sei così pieno di te. Era fatta, amava quella ragazza! Leo aveva appeso il suo ritratto accanto al disegno dell’Argo II per ricordare a sé stesso che alle volte i sogni si avverano. Come quando da ragazzino, aveva sognato una nave volante. Alla fine l’aveva costruita. Ora avrebbe costruito un modo per tornare da Calypso. Il ronzio dei motori della nave diminuì. Sopra la cabina dell’altoparlante, la voce di Festus scricchiolò e cigolò. “Si, grazie amico.” Disse Leo. “Adesso vado.” La nave stava scendendo, il che significava che i progetti di Leo avrebbero dovuto aspettare. ‘Stai tranquillo, luce-del-sole,’ gli disse il ritratto di Calypso. “Tornerò da te, proprio come ti ho promesso.” Leo poté immaginare la sua risposta: ‘Io non ti sto aspettando, Leo Valdez. Io non sono innamorata di te. E certamente non credo alle tue promesse folli!’Il pensiero lo fece sorridere. Prese le chiavi dalla sua cintura degli attrezzi e si diresse verso la sala mensa. Gli altri sei semidei stavano gustando la prima colazione. Una volta, Leo si sarebbe preoccupato che fossero tutti sottocoperta e nessuno al timone, ma da quando Piper aveva risvegliato in modo permanente Festus con la sua lingua ammaliatrice – una capacità che Leo non aveva ancora compreso – la testa di drago era stata in grado di far funzionare l’Argo II da sé. Festus poteva navigare, controllare il radar, fare un frullato di mirtilli e lanciare dei getti di fuoco incandescente contro i nemici – tutto contemporaneamente – senza nemmeno andare in cortocircuito. Inoltre, avevano Buford l’incredibile tavolo che controllava il tutto. Dopo che Coach Hedge si era unito alla spedizione con il viaggio-ombra, Leo aveva deciso che il suo tavolino a tre gambe avrebbe potuto fare altrettanto bene un lavoro come quello svolto dal loro ‘Accompagnatore adulto’. Aveva laminato il tavolo Buford con una pergamena magica che proiettava a dimensioni ristrette una simulazione olografica del Coach Hedge. Un Mini-Hedge che sbatacchiava gli zoccoli in giro sulla cima di Buford, dicendo cose a caso come ‘FALLA FINITA’, ‘TI FACCIO FUORI’ e la popolare ‘METTITI DEI VESTITI ADOSSO!’ Oggi era Buford l’addetto al timone. Se le fiamme di Festus non avessero spaventato i mostri, l’ologramma di Hedge su Buford ci sarebbe sicuramente riuscito. Leo si fermò sulla soglia della sala mensa, osservando la scena intorno al tavolo da pranzo. Non aveva avuto spesso modo di vedere tutti i suoi amici insieme. Percy stava mangiando un enorme pila di frittelle blu ( che cosa aveva con il cibo blu? ) mentre Annabeth lo rimproverava per aver versato troppo sciroppo. “Le stai annegando!” Si lamentò. “Ehy, sono un figlio di Poseidone,” disse. “Non posso affogare io, e così neanche i miei pancakes!” Alla loro sinistra, Frank e Hazel stavano usando le loro ciotole di cereali per fermare un mappa della Grecia. Sembravano concentrati su quella, le loro teste erano molto vicine. Ogni tanto la mano di Frank finiva per coprire quella di Hazel, appena dolcemente e in modo così naturale che sembravano una vecchia coppia sposata, e Hazel non lo guardava nemmeno con un po’ di agitazione, il che era un vero progresso per una ragazza del 1940. Fino a poco tempo prima, se qualcuno avesse bestemmiato, l’avrebbe quasi fatta svenire. A capo del tavolo, Jason era seduto a disagio con la maglietta arrotolata sulla cassa toracica mentre l’infermiera Piper gli cambiava le bende. “Resisti ancora,” disse. “So che fa male.” “È solo freddo,” rispose lui. Leo riusciva a percepire il dolore nella sua voce. La lama di quello stupido gladius lo aveva trafitto da parte a parte. L’ingresso della ferita sulla schiena era di una brutta tonalità violacea ed emetteva vapore. Il che non era probabilmente un buon segno. Piper cercava di rimanere positiva, ma in privato aveva rivelato a Leo quanto fosse preoccupata. L’ambrosia, il nettare e le medicine non potevano aiutarlo ancora per molto. Un taglio così profondo provocato dal bronzo celeste o dall’oro Imperiale poteva letteralmente sciogliere l’essenza di un semidio dal suo interno. Jason sarebbe potuto stare meglio. Aveva detto di sentirsi meglio. Ma Piper non ne era così sicura. Peccato che Jason non fosse un automa di metallo. Se così fosse stato, Leo avrebbe almeno avuto qualche idea su come aiutare il suo migliore amico. Ma con gli esseri umani … Leo si sentiva impotente. Si rompevano con troppa facilità. Amava i suoi amici. Avrebbe fatto qualsiasi cosa per loro. Ma mentre li guardava tutti quanti – tre coppie, tutti concentrati l’uno sull’altro – pensò all’avvertimento di Nemesi, la dea della vendetta: Non troverai mai un posto tra i tuoi fratelli. Sarai per sempre la settima ruota. Stava cominciando a pensare che Nemesi avesse ragione. Supponendo che Leo fosse vissuto abbastanza a lungo, assumendo che il suo piano segreto avrebbe funzionato, il suo destino era con un’altra, su un’isola che nessun uomo avrebbe mai trovato due volte. Ma per ora il meglio che poteva fare era seguire la sua vecchia regola: Continuare a muoversi. Soprattutto quando non se ne ha voglia. “Che succede, ragazzi?” passeggiò nella sala mensa. “Oh, sì, dei brownies!” Afferrò l’ultimo – da una speciale ricetta al sale marino che avevano ricevuto da Aphros, il centauro marino sul fondo dell’Atlantico. L’interfono crepitò. Il Mini-Hedge di Buford gridò attraverso gli altoparlanti, “METTEVI DEI VESTITI ADOSSO!” Tutti trasalirono. Hazel finì ad un metro di distanza da Frank. Lo sciroppo di Percy finì nel suo succo d’arancia. Jason si divincolò goffamente nella sua maglietta, e Frank si trasformò in un bulldog. Piper guardò Leo. “Credevo ti fossi sbarazzato di quello stupido ologramma.” “Ehy, Buford voleva solo darvi il buongiorno. Ama il suo ologramma! Inoltre, a tutti noi manca il coach. E Frank è un bulldog così carino.” Frank si trasformò di nuovo in un corpulento, burbero ragazzo cinesecanadese. “Siediti e basta, Leo. Abbiamo delle cose di cui parlare.” Leo si infilò tra Jason e Hazel. Capì che erano meno propensi agli scherzi di lui. Diede un morso al suo brownie e afferrò un pacchetto di cibo spazzatura italiano – Fonzies – per completare la sua equilibratissima colazione. Ne era diventato un po’ dipendente da quando ne aveva acquistato un po’ a Bologna. Erano al formaggio e mais – due dei suoi ingredienti preferiti. “Allora…” Jason fece una smorfia mentre si sporgeva in avanti. “Rimarremo in volo e ci avvicineremo il più possibile ad Olympia. È in una posizione più interna di quanto vorrei – a cinque miglia – ma non abbiamo molta scelta. Secondo Giunone, dobbiamo trovare la dea della vittoria e, uhm,… sottometterla.” Un imbarazzante silenzio calò intorno al tavolo. Con le nuvole tendevano a coprire le pareti olografiche, la mensa era più scura a cupa di quello che avrebbe dovuto, il che non poteva essere di aiuto. Da quando i Kerkopes, i gemelli nani, avevano mandato in corto circuito le mura, i video in tempo reale dal Campo Mezzosangue erano spesso oscurati, trasformandosi in una riproduzione in primo piano del nano – baffi rossi, le narici e il lavoro dentario fatto male. Non era affatto utile quando si stava cercando di mangiare o di avere una seria conversazione sulla fine del mondo. Percy sorseggiò il suo succo d’arancia aromatizzato allo sciroppo. Sembrava trovarlo abbastanza buono. “Mi sta bene se dovessimo lottare con una dea occasionale, ma Nike non è una dei buoni? Voglio dire, personalmente, mi piace la vittoria. Come se non ne avessimo abbastanza.” Annabeth tamburellò le dita sul tavolo. “Sembra strano. So che Nike si trova ad Olimpia – la sede delle Olimpiadi e tutto il resto. I concorrenti venivano sacrificati a lei. I Greci e i Romani la andarono ad adorare lì per, tipo, 1200 anni, giusto?” “Quasi fino alla fine dell’Impero romano,” concordò Frank. “I romani la chiamavano Vittoria, ma non c’è differenza. Tutti l’amavano. A chi non piace vincere? Non capisco perché dovremmo sottometterla.” Jason aggrottò la fronte. Un filo di vapore si arricciò fuori dalla ferita sotto la camicia. “Tutto quello che so… è quello che ha detto il demone di Antinoo, la Vittoria dilaga ad Olympia. Giunone ci ha avvertiti che non avremmo mai potuto sanare la spaccatura tra Greci e Romani a meno che non sconfiggiamo Vittoria.” “Come possiamo sconfiggere la vittoria?” domandò Piper. “Sembra uno di quegli enigmi impossibili.” “Come facciamo a far volare le rocce,” disse Leo, “o a mangiare un solo Fonzies.” Se ne gettò un altro pugno in bocca. Hazel arricciò il naso. “Quella roba finirà per ucciderti.” “Stai scherzando? Ci sono talmente tanti conservanti in queste cose che vivrò per sempre. Ma, ehy, questa dea della vittoria dev’essere grandiosa e popolarissima – Non ricordate come sono i suoi figli al Campo Mezzosangue?” Hazel e Frank non erano mai stati al Campo Mezzosangue, ma gli altri annuirono gravemente. “Ha ragione,” disse Percy. “I ragazzi della Cabina diciassette – sono supercompetitivi. Quando si tratta di recuperare la bandiera, sono quasi peggio dei ragazzi di Ares. Uh, senza offesa, Frank. ” Frank si strinse nelle spalle. “Stai dicendo che Nike ha un lato oscuro?” “I suoi figli sicuramente ce l’hanno,” disse Annabeth. “Non rifiutano mai una sfida. Devono essere i numeri Uno in tutto. Se la loro mamma è quella…” “Wow,” Piper sbatté le mani sul tavolo mentre la nave si era messa a dondolare. “Ragazzi, tutti gli dei sono divisi tra i loro aspetti Greci e Romani, giusto? Se lo è anche Nike e lei è la dea della vittoria– ” “Sarebbe davvero in conflitto,” disse Annabeth. “Entrambi i suoi lati vorrebbero vincere sull’altro in modo da poter dichiarare un vincitore. Sarà letteralmente in lotta con sé stessa.” Hazel spostò la sua ciotola dei cereali sulla mappa della Grecia. “Ma noi non vogliamo che un lato o l’altro vinca. Dobbiamo fare in modo che i Greci e i Romani siano nella stessa squadra.” “Forse è quello il problema,” disse Jason. “Se la dea della vittoria è dilagante, divisa tra greci e romani potrebbe comportare l’impossibilità di riunire i due campi.” “Come facciamo?” chiese Leo. “Avviamo uno scontro su Twitter?” Percy accoltellò i suoi Pancakes. “Forse è come Ares. Quel tipo può innescare una lotta mentre passeggia tra una folla di gente. Se Nike irradia vibrazioni competitive o qualcosa del genere, potrebbe aggravare l’intera rivalità greco-romana.” Frank indicò Percy. “Ti ricordi quel vecchio dio del mare ad Atlanta – Forco? Aveva detto che i piani di Gea avevano sempre un sacco di strati. Potrebbe essere parte della strategia dei Giganti – tenere i due campi divisi per mantenere gli Dei divisi. Se è così, non possiamo lasciare che Nike ci faccia scontrare l’uno contro l’altro. Dovremmo inviare una quadra di quattro – due Greci e due Romani. Mantenendoci equilibrati potremmo equilibrare anche lei.” Ascoltando Zhang, Leo ebbe uno di quei momenti di déja-vu. Non riusciva a credere quanto fosse cambiato il ragazzo nelle ultime settimane. Frank non era diventato solamente più alto e muscoloso. Era anche più fiducioso in se stesso, più disposto a prendere un incarico. Forse era perché il suo legnetto magico ad altamente infiammabile era stato sistemato in un posto sicuro privo dal rischio di esplodere, o forse era perché aveva comandato una legione di zombie venendo promosso a pretore. Qualunque cosa fosse, Leo aveva difficoltà a vederlo come il tipo goffo che un tempo non riusciva a tirare fuori le dita dalle manette cinesi. “Penso che Frank abbia ragione,” disse Annabeth. “Un gruppo di quattro persone. Dovremo stare attenti a chi mandare. Non vogliamo fare nulla che possa rendere la dea, uhm, più instabile.” “Vado io,” si propose Piper. “Posso provare ad usare la lingua ammaliatrice.” Delle rughette di preoccupazione comparvero attorno agli occhi di Annabeth. “Non questa volta Piper. Nike è super competitiva. Afrodite… beh, lo è anche lei a modo suo. Penso che Nike potrebbe vederti come una minaccia.” Una volta, Leo ci avrebbe fatto una battuta sopra. Piper una minaccia? La ragazza era come una sorella per lui, ma, se aveva bisogno di aiuto per picchiare un banda di teppisti o sottomettere una dea della vittoria, Piper non era la prima persona a cui avrebbe pensato. Recentemente, però… beh, Piper non aveva avuto dei cambiamenti ovvi come quelli di Frank, ma era cambiata. Aveva accoltellato Khione, la dea della neve nel petto. Aveva scacciato i Boreadi. Aveva sconfitto uno stormo di arpie selvatiche da sola. Quanto alla sua lingua ammaliatrice, era diventata così potente che rendeva Leo nervoso. Se lei gli avesse detto di mangiare le verdure, avrebbe potuto effettivamente farlo. Le parole di Annabeth non sembrarono turbarla. Piper annuì scrutando il gruppo. “Chi dovrebbe andare, allora?” “Jason e Percy non dovrebbero andare insieme,” osservò Annabeth. “Giove e Poseidone – pessima combinazione. Nike potrebbe indurvi allo scontro con facilità.” Percy le rivolse un sorriso di traverso. “Si, non possiamo avere un altro incidente come in Kansas. Potrei uccidere mio fratello Jason.” “O io potrei uccidere mio fratello Percy,” disse graziosamente Jason. “Il che dimostra che ho ragione,” disse Annabeth. “Non dobbiamo inviare Frank e me insieme. Marte e Atena – sarebbe altrettanto male.” “Okay,” interruppe Leo. “Percy e me per i Greci. Frank e Hazel per i romani. È l’ultimo team che sognerebbe la competitività o cose del genere.” Annabeth e Frank si scambiarono un’occhiata d’intesa. “Potrebbe anche funzionare” decise Frank. “Voglio dire, nessuna combinazione è perfetta, ma Poseidone, Efesto, Plutone e Marte… non ci vedo nessun grande antagonismo.” Hazel tracciò il dito lungo la mappa della Grecia. “Così dobbiamo ancora attraversare il Golfo di Corinto. Speravo che potessimo visitare Delphi, magari ottenendo qualche consiglio. Inoltre è una strada più lunga se circumnavighiamo il Peloponneso.” “Si.”Il cuore di Leo affondò guardando quanto avevano ancora da navigare. “È già il ventuno Luglio. Contando oggi, abbiamo solo dieci giorni fino a –” “Lo so,” disse Jason. “Ma Giunone è stata chiara. La via più breve ci porterebbe al suicidio.” “Lo stesso per Delphi…” Piper si sporse verso la cartina. La piuma blu di arpia nei capelli oscillò come un pendolo. “Cosa sta succedendo lì? Se Apollo non ha più il suo oracolo…” Percy grugnì. “Probabilmente ha qualcosa a che fare con quel verme di Ottaviano. Forse raccontava così male del futuro che ha distrutto i poteri di Apollo.” Jason riuscì a sorridere, anche se i suoi occhi erano pieni di dolore. “Speriamo di poter trovare Apollo e Artemide. Poi potremmo chiederlo a lui stesso. Giunone ha detto che i gemelli potrebbero essere disposti ad aiutarci.” “Una sacco di domande senza risposte,” mormorò Frank. “Un sacco di miglia da Percorrere prima di arrivare ad Atene.” “Per prima cosa,” disse Annabeth. “Voi ragazzi dovete trovare Nike e capire come sottomettere il suo… qualsiasi cosa che Giunone intendesse dire. Ancora non capisco come si possa sconfiggere una dea che controlla la Vittoria. Sembra impossibile.” Leo iniziò a sorridere. Non poteva farne a meno. Certo, avevano solamente dieci giorni per fermare i Giganti dalla veglia di Gea. Certo, sarebbe potuto morire prima di cena. Ma amava sentirsi dire che qualcosa era impossibile. Era come se qualcuno porgendogli una torta meringata ala limone gli desse una fetta dicendogli di non buttarla. Lui non riusciva a resistere alla sfida. “Staremo a vedere.” Si alzò in piedi. “Lasciatemi prendere la mia collezione di granate, e ci vediamo sul ponte, ragazzi!”