L`aborto - ITCG Mattei

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L`aborto - ITCG Mattei
L’INTERRUZIONE VOLONTARIA
DELLA GRAVIDANZA (IVG)
L’interruzione della gravidanza può essere spontanea o volontaria.
L’aborto spontaneo si verifica generalmente
a causa di anomalie nello sviluppo del feto o
della placenta, di traumi, o di malformazioni
presenti nel corpo della madre.
Tutte queste circostanze possono determinare l’espulsione prematura di un feto non
vitale. Fuori da questi casi, l’interruzione di
gravidanza può ancora derivare da una decisione volontaria. I dubbi etici sollevati da
questa possibilità si riflettono naturalmente
sul dibattito politico.
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IL DIBATTITO POLITICO E
LA LEGGE 194 DEL 1978
Cos’è il feto? E’ un semplice ammasso di cellule o è una persona in senso
giuridico? Nel primo caso esso sarebbe un semplice oggetto del diritto; nel
secondo sarebbe soggetto, e quindi, pur senza avere alcuna volontà, esso, in
quanto persona, sarebbe comunque titolare di diritti.
I dubbi politici sollevati dal tema dell’aborto, ossia la questione della sua ammissibilità in senso morale, e quella, conseguente, della sua liceità in senso
giuridico, dipendono in massima parte dalla qualificazione della vita intrauterina, e dalla propensione della scienza, del legislatore e dell’opinione pubblica
a riconoscerla come un’esistenza compiuta e autonoma rispetto a quella della
madre. Le soluzioni a cui è pervenuto il legislatore su un tema così delicato
sono perciò il frutto di un lungo e travagliato dibattito politico, a cui hanno
contribuito in maniera non irrilevante tanto le autorità religiose quanto quelle
scientifiche.
Prima del 1975 l'
aborto in Italia non era consentito, e anzi veniva sanzionato
dalle norme penali; tuttavia di fronte a circostanze di fatto qualificabili come
“stato di necessità”, la giurisprudenza considerava il reato non perseguibile.
Ciò a condizione che l’interruzione di gravidanza fosse giustificata da gravi
ragioni, come ad esempio la necessità di salvare la vita della gestante. In altri
termini la legislazione anteriore alla legge 194 valutava sempre l’aborto come
un reato, salvo rinunciare all’applicazione della pena nel caso concreto, in
presenza di circostanze giustificative rigorosamente verificabili.
Il primo sensibile mutamento di rotta avviene nel 1975, con la sentenza della
Corte Costituzionale n. 27 che, pur riconoscendo "fondamento costituzionale"
alla "tutela del concepito" nell'
articolo 2 della Costituzione, aggiunge pure che
non esiste equivalenza tra il diritto della madre, che è già persona, e quello
dell’embrione, che persona deve ancora diventare.
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L’idea che possa esistere, ma che non debba necessariamente esistere, una
persona in senso compiuto, sostenuta da questa giurisprudenza, ha aperto la
strada all’approvazione della legge sull’aborto, avvenuta tre anni dopo sotto
la spinta del movimento femminista.
Tale movimento, nel contesto del diffuso clima di contestazione sociale registratosi in quegli anni, affermava che il diritto all’aborto potesse consentire alle donne di riappropriarsi del proprio corpo, di sottrarsi ai rischi degli aborti
clandestini, insomma di autodeterminarsi rispetto ad una scelta, quella di far
nascere un figlio, che nel bene e nel male cambia anche la vita della madre.
Per la legge 194 del 1978, l’interruzione volontaria della gravidanza non costituisce più reato, purché avvenga entro il novantesimo giorno dall’inizio della
gestazione. L'
aborto provocato non costituisce reato, se è compiuto entro tale
lasso di tempo e se vi è pericolo per la salute fisica o psichica della donna, se
sussistono timori di malformazioni del feto o se si ritiene che la sopravvivenza
di questo possa venire gravemente compromessa dalla precarietà delle condizioni sociali ed economiche della famiglia. Dopo tale termine, l'
aborto è praticabile solo nei casi in cui il feto muoia o se vengono riscontrate dal medico
gravi malformazioni fetali o condizioni che mettono in pericolo la salute della
donna. Nel caso in cui la donna gravida abbia meno di 18 anni, l'
interruzione
volontaria della gravidanza deve avvenire con il consenso di chi esercita la
potestà di genitore oppure, in mancanza di questo, del giudice tutelare. La
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legge prevede anche che il personale sanitario possa esercitare, mediante
dichiarazione, l'
obiezione di coscienza con esonero dalle procedure di aborto.
Quanto alle modalità per ottenere l'
intervento, la gestante si può rivolgere al
consultorio, o a una struttura sociosanitaria, oppure al proprio medico di fiducia: costoro, secondo la previsione di legge, dovrebbero indurla a riflettere e
dissuaderla dall'
aborto, prospettando le possibili alternative. Se invece ravvisano l'
urgenza dell'
intervento, rilasciano un certificato con il quale la donna
può immediatamente recarsi ad abortire; altrimenti redigono ugualmente un
certificato che attesta la gravidanza e la richiesta presentata dalla donna: costei, decorso il termine di sette giorni, è poi legittimata a ottenere l'
intervento
di aborto. In concreto, non ha alcun rilievo la ragione avanzata dalla gestante
a sostegno della propria decisione.
Infatti non è prevista alcuna verifica della sua fondatezza e l'
esito della procedura, di fatto, è comunque il rilascio di un pezzo di carta che autorizza l'
interruzione.
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in
LA QUESTIONE
ETICA DELL’ABORTO
La Chiesa Cattolica si è sempre opposta alla possibilità di legittimare l’aborto
per ragioni che non fossero di natura strettamente terapeutica.
La ricerca scientifica ha evidenziato
e documentato lo sviluppo dell’ embrione, riflettendo sul fatto che,
quanto più è avanzato lo stadio della gravidanza, tanto più ragionevole
è la considerazione del feto come
una persona completa e differenziata in senso biologico, anziché
come un semplice ammasso di cellule privo di identità e quindi anche
privo di diritti.
La legge 194, affermando che la vita umana va tutelata dal suo inizio, trascura significativamente di riconoscere quando si ha tale inizio. Essa, legittimando la possibilità di interrompere volontariamente la gravidanza nei suoi primi
tre mesi ha semplicemente preso atto di una diffusa esigenza sociale, e l’ha
tradotta in norme giuridiche che contemperassero il diritto alla salute della
madre e il diritto alla vita del feto, una volta che abbia raggiunto un certo grado di sviluppo. Tuttavia nessuna norma determina quando ha inizio la vita,
molto probabilmente perché si tratta di un problema di coscienza, che va al di
là delle potestà normative di qualunque legislatore.Così, mentre per i laici c’è
persona quando c’è volontà o quantomeno coscienza, per la Chiesa si ha
persona nel momento stesso del concepimento, senza alcuna necessità di fare ulteriori indagini sulla qualità, la forma o il grado di sviluppo dell’embrione.
Per la Chiesa, infatti, nel concepimento c’è un progetto di vita di cui il corpo
materno è solo un veicolo; ma tale progetto trascende la determinazione umana, essendo frutto di una volontà superiore. Conseguentemente l’uomo,
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anche quando ha le conoscenze e le capacità tecniche per farlo, non dovrebbe interferire con quel progetto o mutarne il corso.
Perduta la battaglia sulla legittimazione dell’aborto, la riflessione teologica
non si è comunque arrestata, ma si è
riorganizzata predisponendo i mezzi
culturali per affrontare i problemi di
una società che accetta l’interruzione
volontaria di gravidanza. Superata la
questione relativa alla legittimità
dell’aborto, la teologia ha pertanto affrontato ed esplorato nuove tematiche,
a questa attinenti.
Rispetto alla procedura abortiva, essa ha ad esempio rivendicato la possibilità di riconoscere il diritto all’obiezione di coscienza per i medici operanti in
strutture ospedaliere che praticano l’IVG, ottenendo il riconoscimento di tale
diritto già nella legge 194. In secondo luogo, la riflessione morale, anche
muovendo da considerazioni non strettamente religiose, ha puntualizzato che
la decisione di abortire è e resta una scelta della donna, quale che sia il suo
stato civile: attualmente sulla possibilità di interrompere la gravidanza il marito o il compagno non ha voce in capitolo, mentre si afferma che dalla procreazione dovrebbe derivare sotto ogni aspetto una responsabilità comune. Più
recentemente, ma determinando una ferma obiezione da parte dei laici, si è
anche tentato di fare accettare la presenza di volontari o religiosi nei consultori, per far sì che la scelta di abortire fosse trattata dalle strutture sanitarie in
maniera meno burocratica.
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LA LEGISLAZIONE
PER LA MATERNITA’
E LE FAMIGLIE
Al di là di questo, è tuttavia da dire che, nella maggioranza dei casi, quando non è dettata da ragioni strettamente terapeutiche, l’interruzione volontaria della gravidanza è imposta da un forte disagio sociale della madre, che spesso è lasciata sola di fronte alle conseguenze di una gravidanza indesiderata, e quindi costretta ad abortire, semplicemente perché priva di alternative. A quest’ultimo riguardo, la legge 194, che non è solo
“la legge sull’aborto”, ma che, sin dalla sua denominazione reca invece “norme sulla tutela sociale della maternità”, avrebbe dovuto predisporre misure idonee a limitare le interruzioni di gravidanza ai casi in cui le stesse fossero veramente e strettamente necessarie. Tali
misure, indicate dalla legislazione sociale e lavoristica,
sono ancor oggi, troppo spesso, inadeguate e frammentarie. Ancor oggi si lamenta cioè la mancanza di una legislazione organica che, senza esaurirsi nella tutela delle lavoratrici-madri, predisponga ad esempio agevolazioni fiscali e abitative a favore delle famiglie e delle
madri in quanto tali.
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L’INTERRUZIONE VOLONTARIA
DELLA GRAVIDANZA (IVG):
ASPETTI MEDICO-SCIENTIFICI
Preso atto che oggi, piaccia o no,
l’IVG è perfettamente lecita, purché
avvenga nel rispetto dei limiti e delle procedure stabilite dal legislatore, occorre qui aggiungere che, da
un punto vista medico, esistono
una pluralità di tecniche abortive.
L’introduzione di questo tema apre
un altro filone di approfondimento,
da intendersi nel senso che, di fronte a una legislazione che consente
l’aborto volontario, e quindi legittima la soppressione del feto, la
scienza può in tali circostanze an-
cora interrogarsi sull’incidenza che
le tecniche abortive possono avere
sulla salute della donna, ossia sul
suo equilibrio psico-fisico.
Le tecniche abortive variano in relazione al periodo di gestazione.
Fino a 9-12 settimane di gravidanza l’aborto avviene per aspirazione e comporta un intervento ambulatoriale che dura dai cinque ai dieci minuti. Nel corso di esso la cervice (collo dell’utero) viene dilatata con appositi strumenti, e il
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suo contenuto aspirato attraverso una cannula. In alcuni casi, dopo l’intervento, si rende necessario ripulire la superficie dell’utero con uno strumento
chirurgico a forma di cucchiaio. In tale circostanza, la gestante può accusare
emorragie o dolori di tipo mestruale, ed essere quindi costretta a fermarsi per
una giornata nella struttura sanitaria.
Dalla dodicesima settimana di gestazione, all’incirca, si utilizza comunemente
una tecnica nota come infusione salina. Questa metodica impiega un sottile
tubo o un ago ipodermico, con cui si estrae dall'
utero, attraverso la parete
addominale, una piccola quantità di liquido amniotico per sostituirlo lentamente con una soluzione salina molto concentrata (al 20% circa), che induce contrazioni uterine in circa 24-48 ore. Il feto viene di solito espulso velocemente e
la paziente lascia l'
ospedale il giorno dopo.
Gli aborti tardivi, ossia successivi alla quindicesima settimana, vengono eseguiti con isterotomia, un intervento chirurgico simile a un taglio cesareo, che
però comporta un'
incisione dell'
addome molto più piccola.
Un'
alternativa a queste procedure è la somministrazione del farmaco denominato RU 486, il cui principio attivo, il mifepristone, blocca la produzione dell'
ormone progesterone e, in tal modo, impedisce la prosecuzione della gravidanza, determinando il distacco dell’embrione dalla mucosa endometriale in
cui è annidato.
Il farmaco è efficace entro i primi 50 giorni di gestazione e non viene applicato dopo il 63° giorno; dopo tale data, infatti, aumentano i rischi per la salute
della donna e aumenta la probabilità che essa debba sottoporsi a intervento
chirurgico per incompleto distacco del feto.
Nel 2002 l’introduzione sperimentale della RU 486 in Italia, in un ospedale di
Torino, ha suscitato vivaci polemiche tra chi ritiene che questo farmaco possa
essere immesso liberamente sul mercato, con conseguenze pericolose; e chi
giudica che il trattamento farmacologico debba essere promosso come alternativa a quello chirurgico, rendendo l’interruzione di gravidanza meno cruenta.
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