“Al di là del conflitto” Sostegno e tutela del minore e dei legami

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“Al di là del conflitto” Sostegno e tutela del minore e dei legami
Master
in
“Mediazione Familiare ”
“Al di là del conflitto”
Sostegno e tutela del minore e dei
legami familiari durante la
separazione
Candidata
Debora Pastore
Relatrice
Proff.ssa Nicoletta Vegni
ANNO ACCADEMICO __2015 – 2016__
Indice
INTRODUZIONE
2
CAPITOLO 1. La famiglia tra passato e presente
1.1 Evoluzione del diritto di famiglia
4
1.2 La crisi della famiglia moderna
7
1.3 Una scelta di vita sempre più frequente: la separazione
10
1.4 Il diritto alla bigenitorialità: l’affidamento condiviso
13
CAPITOLO 2. Come la separazione dei genitori influisce sui figli
2.1 Le reazioni psicosomatiche del bambino
2.2 La sindrome da alienazione parentale
16
19
2.3 La violenza assistita
22
26
2.4 La dipendenza affettiva
CAPITOLO 3. I nuovi servizi a sostegno e tutela dei legami familiari
3.1 Servizi a sostegno della famiglia
31
3.2 La mediazione familiare
33
3.3 Gli strumenti della mediazione familiare
35
3.4 Ostacoli e vincoli alla mediazione
38
CONCLUSIONI
41
BIBLIOGRAFIA
43
RIFERIMENTI NORMATIVI
44
WEBGRAFIA
45
1
INTRODUZIONE
La mia tesi di Master presenta lo strumento della mediazione familiare, come percorso che la
coppia decide congiuntamente di intraprendere per passare al di là del conflitto coniugale,
generato sovente dalla decisione della separazione, per salvare e tutelare quel che di buono
rimane dopo la rottura del legame coniugale.
L’analisi di questo “strumento” a disposizione delle coppie avviene anche alla luce
dell’espansione del fenomeno della separazione, che porta come conseguenza una evidente
trasformazione dell’assetto familiare.
In particolare vengono esposti i temi legati al problema della tutela dei figli nelle situazioni di
rischio, prodotti dalla forte conflittualità genitoriale a seguito della separazione, e dei
malesseri che sempre la precedono e spesso la seguono.
Nel primo capitolo intitolato “La famiglia tra passato e presente”, mi soffermo ad analizzare
l’evoluzione storica del diritto di famiglia e le novità introdotte dalle normative in merito alla
famiglia e alla possibilità di interrompere il legame coniugale, ritenuto per tantissimi anni una
unione indissolubile. Individuo quindi i principali cambiamenti, avvenuti all’interno della
nostra società nel secolo scorso, che hanno apportato delle trasformazioni strutturali
all’interno della società stessa, rivoluzionando il tradizionale assetto della famiglia
caratterizzata da ruoli e funzioni ben definiti e distinti tra i coniugi e dalla subordinazione
della moglie al marito, definito appunto capo famiglia, approdando ai nostri giorni ad un’idea
di famiglia moderna, in cui vige l’uguaglianza tra i coniugi, le relazioni sentimentali sono
meno stabili e durature, e la donna è sempre più impegnata in attività lavorative che la
rendono più indipendente e meno presente in casa.
Nel secondo capitolo intitolato “Come la separazione dei genitori influisce sui figli”,
focalizzo l’attenzione sulle reazioni psicosomatiche dei bambini che assistono alla
separazione dei genitori, in un clima caratterizzato da forte conflittualità e tensione, che incide
spesso negativamente sulla loro funzione genitoriale, rendendoli meno sensibili alle esigenze
dei figli e più concentrati a “farsi la guerra” a vicenda, strumentalizzando i bambini come se
fossero oggetti da usare per far soffrire l’ex partner. In queste situazioni estreme, sono i
bambini a pagare lo scotto di una separazione mal gestita dai genitori, con conseguenze che
potrebbero influire negativamente anche sulla loro vita presente e futura e sul futuro dei loro
legami affettivi.
Nel terzo e ultimo capitolo intitolato “ I nuovi servizi a sostegno e tutela dei legami familiari”,
2
presento brevemente una serie di servizi a sostegno delle famiglie che si trovano in una
situazione di bisogno o di difficoltà a causa della separazione, per poi soffermarmi più
approfonditamente sul servizio di mediazione familiare, come opportunità per “separarsi
bene", per garantire il principio di bigenitorialità e per prevenire gli effetti psicologicamente
ed emotivamente rischiosi che potrebbero ripercuotersi sulla crescita dei figli.
La mediazione familiare non è una “bacchetta magica” che risolve magicamente il
conflitto, ma permette di sperimentare nuove modalità relazionali e comunicative,
consentendo di iniziare un nuovo percorso di dialogo e cooperatività che la coppia, visti i
vantaggi, può essere propensa a portare avanti autonomamente nel tempo.
3
CAPITOLO 1.
LA FAMIGLIA TRA PASSATO E PRESENTE
1.1 Evoluzione del diritto di famiglia
Il concetto di famiglia tradizionale si rispecchia perfettamente nel diritto romano ove la patria
potestà costituiva la base su cui si fondava la famiglia romana. La patria potestà1 si esercitava
indistintamente su tutti coloro che facevano parte della famiglia e riguardo alle donne, essa
prendeva il nome più specifico di manus o potestas maritalis.
Era l’appartenenza alla famiglia a creare il fondamento della sottoposizione alla potestà del
capo di casa. La figlia usciva dal “mundio del padre”2 attraverso il matrimonio, che sanciva il
passaggio dal “mundio del padre” a quello del marito.
Questa strutturazione gerarchica e patriarcale della famiglia è stata confermata anche nel
primo codice civile italiano del 1865, sostanzialmente ispirato al codice napoleonico, in cui
veniva confermata la soggezione della moglie all’autorità del marito – capofamiglia, di cui si
sanciva la superiorità e la conseguente disuguaglianza dei coniugi nei diritti e nei doveri.
I rapporti familiari erano rapporti di subordinazione e di soggezione al capo famiglia, il marito
era il capo della famiglia e aveva il dovere di proteggere la moglie e la prole, di tenerla presso
di sé e di provvederne al sostentamento, mentre la moglie era obbligata a seguire il marito
dovunque egli ritenesse opportuno di fissare la sua residenza, non poteva compiere atti
giuridici di un certo rilievo se non attraverso l’istituto dell’autorizzazione maritale.
Per quanto riguarda i figli naturali, oltre a una condizione subalterna rispetto ai figli legittimi,
la legge prevedeva il divieto di riconoscerli se uno dei genitori era legato da vincolo
matrimoniale all'epoca del concepimento.
Questi caratteri maschilisti e autoritari del modello familiare, furono ribaditi anche nel codice
civile del 1942, che a sua volta si basava su una concezione patriarcale dei rapporti personali,
per questo discriminava moglie e figli rispetto al pater familias.
La vera svolta in ambito di diritto di famiglia si ebbe con l’entrata in vigore della
Costituzione italiana nel 1948. La Costituzione italiana scardinò il tradizionale rapporto tra
famiglia e diritto, sia direttamente attraverso gli artt. 29, 30 e 31, ma anche indirettamente
1 L. Brigida “La Patria Potestas dal Codice 1865 al Diritto di Famiglia”, V. XIII, Archivio Storico Giuridico Sardo di
Sassari, 2001, Sassari. pp. 62-63;
2 Ibidem, pp. 70-71;
4
estendendo i principi contenuti negli artt. 2 e 3, inoltre sancì l’uguaglianza giuridica e morale
dei coniugi e l’uguale trattamento dei figli (legittimi e naturali).
Con l’entrata in vigore della nostra Carta Costituzionale la famiglia non fu più vista come
istituzione, bensì come formazione sociale ove si forma e si svolge la personalità umana e lo
Stato si impegna ad assicurare una particolare tutela giuridica alla famiglia e ad agevolarne la
nascita e l'adempimento dei relativi compiti (art.31 Cost.).
I principi costituzionali contenuti negli articoli 29 e 30 contengono gli elementi essenziali ai
quali le leggi si devono ispirare nella regolazione dei rapporti familiari.
Sebbene la Costituzione segnò una svolta epocale, questi principi rimasero in gran parte
inattuati nella legge ordinaria per quasi trent’anni, quindi nonostante l’entrata in vigore della
Costituzione, il diritto di famiglia continuò sostanzialmente a essere quello del 1942, ovvero
ispirato ai tradizionali principi dell’autorità maritale e della forte discriminazione verso i figli
naturali.
Soltanto tra la fine degli anni sessanta e l’inizio degli anni settanta il diritto di famiglia venne
rinnovato con la riforma del diritto di famiglia (legge 19 maggio 1975, n. 151) che oltre a dare
una compiuta realizzazione al principio di eguaglianza, sia tra i coniugi sia tra i figli legittimi
e i figli naturali introdusse altre rilevanti novità.
In particolare la Riforma del 1975 abrogò l’istituto della dote, istituì la comunione dei beni
come regime patrimoniale legale della famiglia (in mancanza di diversa convenzione), inoltre
venne sostituita la patria potestà, dalla potestà di entrambi i genitori, con particolare
riferimento alla tutela dei figli e infine venne eliminato l’istituto della separazione per colpa3.
In riferimento a quest’ultimo istituto, ovvero la separazione per colpa, prima della Riforma
del Diritto di Famiglia del 1975, era prevista la separazione per violazione degli obblighi
derivanti dal matrimonio. Ciò significa che nella disciplina codicistica originaria, quella del
1942, la separazione giudiziale tra i due coniugi era prevista solamente per determinate cause
riconducibili a gravi violazioni dei doveri familiari e del matrimonio. Cause quali l’adulterio o
il volontario abbandono del coniuge ad esempio, determinavano la separazione per colpa,
quindi in questa vecchia concezione, la separazione veniva pronunciata come una sorta
di sanzione per i fatti commessi da uno dei due coniugi. La separazione era quindi possibile
solo nel caso di comportamento “colpevole” da parte di uno dei due coniugi.
Alla base della separazione per colpa c’erano infatti le fondamenta della concezione
autoritaria e gerarchica della famiglia, secondo cui non ci si poteva sottrarre agli obblighi del
matrimonio ad esclusione del verificarsi di determinate cause tassative.
3 Lance Legal Network, www.causadiseparazione.it;
5
Solo in seguito alla legge sul divorzio (legge n. 898 01/12/1970) e alla riforma del Diritto di
Famiglia questa vecchia disciplina venne finalmente abrogata, eliminando il concetto di
“colpa e sostituendolo con il principio del “consenso”.
Il consenso alla separazione basa la causa della separazione, sull’ impossibilità del continuare
la convivenza, o sulla presenza di comportamenti che possono recare pregiudizio
all’educazione dei figli.
Inoltre il secondo comma dell’art.151 c.c. ha introdotto anche un’altra novità ovvero la
possibilità di richiedere al giudice l’addebito della separazione4 all’altro coniuge, quando è
quest’ultimo ad aver determinato, con i suoi comportamenti, l’intollerabilità della convivenza
coniugale. L'addebito della separazione è infatti una sorta di sanzione contro la violazione dei
doveri familiari e coniugali da parte del marito o della moglie.
Il coniuge a cui viene addebitata la separazione perde ogni diritto al mantenimento e gli
vengono attenuati i diritti successori.
Arrivando ai giorni nostri, il legislatore italiano è recentemente intervenuto, per riformare il
diritto di famiglia, con l’intento di conformare il Codice Civile alle mutate istanze della
coscienza sociale. Questa importante riforma del diritto di famiglia contenuta nel decreto
legislativo 154/2013 in vigore dal 14 febbraio 2014, ha modificato le definizioni ed i legami
tra i genitori e i figli e tra i nonni e i nipoti. Ora, ai nonni viene riconosciuto il diritto di
mantenere i rapporti con i nipoti, diritto che possono far valere davanti al giudice inoltre si è
superato il concetto di potestà genitoriale sostituendolo con il concetto di responsabilità
genitoriale5.
La responsabilità genitoriale si esprime, in concreto, attraverso una serie di diritti e doveri che
gravano sui genitori esercenti tale responsabilità. Secondo la definizione offerta dal
Regolamento
(Ce)
n.
2201/2003,
così
detto
Bruxelles
II bis,
“la responsabilità
genitoriale costituisce l’insieme dei diritti e dei doveri di cui è investita una persona fisica o
giuridica in virtù di una decisione giudiziaria, della legge o di un accordo in vigore,
riguardanti la persona o i beni di un minore”.
Si riscrive l’art. 316 del Codice civile, il quale oggi prevede che la responsabilità genitoriale è
esercitata da entrambi i genitori, tenendo conto delle capacità, delle inclinazioni naturali e
delle aspirazioni del figlio.
Entrambi i genitori sono titolari della responsabilità genitoriale fino a diversa decisione del
giudice, nessuno dei due, dunque, potrà più arrogarsi il diritto di eseguire un cambio di
4 Lance Legal Network, www.causediseparazione.it;
5 A. Falcone, “Diritto di famiglia: la potestà genitoriale cede il posto alla responsabilità genitoriale”, in Rivista
online Filo Diritto, 25 febbraio 2014, www.filodiritto.com;
6
residenza o iscrivere il figlio ad una scuola senza il consenso dell’altro genitore, né potrà
impedire la frequentazione del minore con l’ex. compagno/a come rivalsa per la crisi di
coppia.
Riguardo alle coppie coniugate la riforma prevede che la responsabilità genitoriale di
entrambi i genitori non cessa a seguito di separazione, scioglimento o cessazione degli effetti
civili, annullamento, nullità del matrimonio (nuovo art. 317 c.c.).
Da questa breve analisi della nuova normativa in materia di responsabilità genitoriale è
evidente che la riforma, grazie soprattutto alla pressione europea, va certamente nella
direzione del rafforzamento del concetto di bigenitorialità.
1.2 La crisi della famiglia moderna
La famiglia è il nucleo naturale fondamentale della società, essa ha un ruolo centrale nella vita
di ogni individuo ed è il luogo in cui avviene la primaria forma di convivenza umana.
La famiglia inoltre è la più importante agenzia educativa in quanto ha un ruolo sostanziale
nello sviluppo sociale e nella formazione della personalità dell’individuo.
Negli ultimi cinquant’anni le trasformazioni sociali, seguite da importanti novità legislative
introdotte nel nostro ordinamento giuridico hanno portato a un cambiamento radicale del
ruolo della donna nella società e nei rapporti tra uomo e donna nonché a modificazioni dei
contesti familiari, tanto che oggi si parla di crisi dell'istituzione del matrimonio e della
famiglia.
Il declino dell’istituzione del matrimonio nonché la diffusione di una molteplicità di tipologie
familiari sono degli incontestabili indicatori dei cambiamenti nel modo di concepire la
famiglia. A partire dalla metà degli anni sessanta infatti si è andata manifestando una
crescente disaffezione nei confronti della famiglia tradizionale, fondata sul matrimonio, su
una progenie numerosa e su una rigida separazione dei ruoli tra uomo e donna, ovvero
all'uomo il classico ruolo di capo famiglia e alla donna quello di “angelo del focolare”.
Fino agli anni sessanta il matrimonio veniva considerato come il naturale punto di approdo di
un rapporto amoroso. E' l'epoca della famiglia fondata sull'unione coniugale, sulla rigida
divisione dei ruoli tra i coniugi e sull'inferiorità sociale e giuridica della moglie e dei figli nei
confronti del marito.
Dalla metà degli anni sessanta in poi viene sempre meno la coincidenza tra amore e
matrimonio e importanti cambiamenti si sono verificati anche all’interno delle relazioni
7
familiari, in particolare i rapporti di coppia diventano più flessibili e simmetrici, e quelli tra
genitori e figli più democratici.
La crisi dell'istituzione matrimoniale e i profondi mutamenti della famiglia sono documentati
da una serie di dati demografici come ad esempio: il calo e il ritardo dei matrimoni; l’aumento
delle convivenze, le cosiddette famiglie di fatto; l’aumento delle separazioni e dei divorzi;
l’aumento delle famiglie ricostituite, cosiddette famiglie allargate; l’aumento delle famiglie
con un solo genitore; il calo delle nascite e l’aumento delle nascite fuori dal matrimonio.
In realtà le famiglie ricostituite non sono un fenomeno nuovo nel nostro paese, infatti in Italia
verso la metà del secolo scorso, il 20% dei matrimoni erano seconde nozze in quanto buona
parte delle persone vedove si risposava.
Nella società contemporanea le famiglie ricostituite6 sono molto diverse, infatti in passato
esse si formavano generalmente dopo la morte di un coniuge, oggi invece si creano in seguito
ad un divorzio. Questo implica una differenza nella complessità tra le due strutture familiari
che si vengono a formare, perché la ricostituzione familiare in seguito alla morte di un
genitore significa per i figli, una sorta di sostituzione del genitore defunto, mentre la
ricostituzione familiare in seguito al divorzio, implica l’aggiunta di un genitore oltre a quelli
biologici.
Di conseguenza è chiaro che le strutture e le relazioni familiari che si creano in seguito ad un
divorzio sono molto più complesse, una evidente difficoltà che una famiglia ricostituita deve
fronteggiare è diventare un gruppo familiare senza avere una propria storia familiare alle
spalle.
Riflettendo sulle cause di tali mutamenti sociali, queste possono essere riconducibili sia a
fattori di natura socioeconomica come l'industrializzazione avanzata, il passaggio da una
società rurale ad una società urbana, così come l'ingresso di massa delle donne nel mercato
del lavoro; sia a fattori di natura culturale come il declino dei valori religiosi tradizionali e
l'affermazione dell'autonomia individuale.
Nella nostra società è stata in gran parte abolita la morale cristiana, lasciando più spazio ad un
desiderio sempre più crescente di libertà individuale. Spesso le persone non vogliono
rinunciare a tale libertà e sono restie ad allacciare legami forti e stabili che
comprometterebbero appunto il godimento della loro libertà. Le coppie di fatto sono un chiaro
segnale di questa tendenza a non volersi assumere la responsabilità e soprattutto i vincoli
correlati al matrimonio. A causa dell’individualismo e del desiderio di libertà illimitata, non di
rado si verificano episodi di infedeltà, che è divenuta spesso la causa di separazioni e divorzi,
6 M. A. Toscano, “Introduzione alla sociologia”, Milano, 2010, p. 211;
8
inoltre si è sempre meno propensi a compiere dei sacrifici e delle rinunce personali per il bene
comune della coppia. Primeggiano l’individualismo, l’egoismo e il desiderio di affermazione
professionale che ora appartiene anche alla donna che rivendica i propri diritti e cerca di
ottenere la propria emancipazione e indipendenza economica dal marito.
Ormai il suo compito è cambiato e non si limita più ad accudire i figli e la casa, ma partecipa
attivamente, insieme al marito al mantenimento della famiglia.
Questo suo desiderio di affermarsi nel mondo del lavoro ha portato alla nascita di famiglie
formate da due componenti ed è in sensibile aumento il numero di coppie che sceglie di avere
un solo figlio, mentre è in calo vistoso il numero di bambini con due o più fratelli.
Si tratta spesso di scelte dettate dalle esigenze economiche e dall'impossibilità di dedicare
gran parte del proprio tempo alla famiglia, in una società dai ritmi frenetici e che valorizza il
successo personale in ambito professionale.
Proprio l'intersezione concausale tra una molteplicità di elementi come il ritmo incalzante del
mondo in cui viviamo e la rinnovata figura femminile, ha portato ad un consistente
restringimento del nucleo familiare, ormai le famiglie in cui convivono genitori, figli e nonni
sono quasi del tutto scomparse.
Il tempo da trascorrere con i figli è sempre poco e lo stesso vale per gli anziani, sempre più
soli e abbandonati a se stessi, anche i legami con la parentela si assottigliano rispetto ai
decenni passati.
E’ così giunto al termine il processo di trasformazione della famiglia dal modello patriarcale7,
caratteristico di una società contadina ed artigiana, caratterizzato dal legame e dalla solidarietà
familiare nonché dall’essenzialità della vita, al modello moderno, caratterizzato invece
dall’individualismo, dall’instabilità dei legami familiari e dalla interscambiabilità dei ruoli tra
uomo e donna. L'uomo e la donna diventando uguali sul piano dei valori e dei diritti umani,
diventano anche complementari nello scambio dei compiti e nell'obiettivo di mantenere unita
la famiglia.
Se prima la donna, dipendendo in tutto e per tutto dal marito, era solita sopportare qualsiasi
situazione non osando ribellarsi al proprio marito, ora al contrario è consapevole di avere gli
stessi diritti del marito e può arrivare a fare di tutto per affermare e mantenere la propria
indipendenza.
Nel nuovo modello di vita familiare viene rivalutato anche il ruolo del padre, che non
rappresenta più una figura autoritaria a cui rivolgersi con timore. Il padre infatti si occupa dei
7 M. Virdis, “La lenta evoluzione della famiglia. Il passaggio da quella partiarcale a quella moderna, che ha
rovesciato la solidarietà tra generazioni”, AmicoMario, 2012, amicomario.blogspot.it;
9
figli allo stesso modo della madre, riesce a conoscerli più da vicino rispetto al passato, può
capirne le esigenze ed i problemi. Improntando l'educazione sui valori del dialogo e
dell'uguaglianza, i genitori possono ottenere dai figli una maggiore riconoscenza.
Infine anche il matrimonio ha assunto un significato diverso dal passato, prima era
considerato un'unione indissolubile, una decisione dalla quale non si tornava indietro, mentre
oggigiorno le coppie che divorziano sono in costante aumento. E’ anche diventato più
semplice e veloce l’iter burocratico per ottenere il divorzio, infatti grazie alla Legge 11
maggio 2015, n. 55 (detta legge sul divorzio breve) si sono accorciati i tempi di attesa per
ottenere lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, prima si richiedeva
l’attesa di 3 anni di separazione, mentre oggi il termine scende a 12 mesi per la separazione
giudiziale e a 6 mesi per quella consensuale.
1.3 Una scelta di vita sempre più frequente: la separazione
La separazione è uno dei principali mali della società odierna, difatti in quasi tutte le famiglie
è ormai presente almeno un caso di separazione o di divorzio.
Separazione e divorzio non sono semplici eventi familiari ma momenti di transizione, processi
di crisi e trasformazione che coinvolgono almeno tre generazioni, ovvero la coppia, i figli e le
famiglie di origine8.
Il loro considerevole aumento negli ultimi dieci anni ci porta a compiere una seria riflessione
sul destino dei legami familiari, sempre più fragili, frammentati e conflittuali.
La fine di una relazione è tra gli eventi più dolorosi e destabilizzanti che l’essere umano possa
sperimentare, sia per chi prende tale decisione, sia per chi invece tale decisione la subisce, ma
ciò è valido anche nel caso in cui si trattasse di una decisione condivisa. Il percorso della
separazione non è tanto diverso da quello del lutto anche se la perdita della persona è solo sul
piano affettivo, ai coniugi rimane addosso un senso di perdita e di vuoto per lo spazio che
l’altro lascia, uno spazio reale, concreto e uno interiore, affettivo.
Durante la separazione, quando comincia il doloroso percorso separativo, inizia
parallelamente una sorta di destrutturazione della personalità9, soprattutto da parte del partner
più inconsapevole di ciò che stava accadendo e quindi meno attento a cogliere i segnali di
rottura della coppia.
8 Family Bridge, www.familybridge.it;
9 V. Randone, “I preliminari della separazione e la separazione”, Medicitalia, 2013, www.medicitalia.it;
10
Spesso quando si viene a conoscenza della separazione di una coppia, la prima reazione è
quella di cercare una spiegazione per attribuire colpe e responsabilità all’uno o all’altro
coniuge, senza considerare che lo stare insieme è un percorso che si costruisce insieme giorno
per giorno e se si interrompe è perché entrambi hanno smesso di costruire. Con molta
probabilità hanno smesso di comunicare già da tempo, di mettersi al corrente di qualche
delusione vissuta all’interno del rapporto, di preoccuparsi del reciproco benessere e della
reciproca serenità. Litigi continui, incomprensioni, difficoltà ad ascoltare l'altro o ad essere
ascoltati, aggiunti alla fatica della quotidianità, la stanchezza psicofisica come conseguenza
dei ritmi incessanti della vita moderna possono mettere a dura prova la sopravvivenza della
coppia. La distanza affettiva poi crea le condizioni per un eventuale tradimento. Chi si sente
trascurato spesso cerca al di fuori della coppia un sostegno temporaneo che gli consente di
sopportare e superare il momento critico.
Molti sono i segnali che denotano la sofferenza in una coppia: malumori, silenzi prolungati
assenza di dialogo, litigi frequenti o assenza totale di litigi, spalle girate pur rimanendo
sempre nello stesso letto, addormentamenti sempre più in differita temporale, sessualità
inesistente e tanti altri10.
Spesso i figli, le pressioni delle famiglie di origine così come i non trascurabili impegni
economici, spingono la coppia a rimanere insieme per abitudine e comodità, facendo finta di
non vedere il malessere esistente all’interno della relazione di coppia.
Si entra così nel vortice dell’abitudine che può durare anche anni prima che uno dei coniugi o
entrambi decidano di porre fine alla vita insieme.
Nella chiusura del rapporto di coppia i partner affrontano la stessa sofferenza ovvero il dolore
del distacco da chi è stato importante, da una relazione che un tempo era speciale, devono poi
entrambi fare i conti con il senso di fallimento per il progetto interrotto.
E’ importante tener presente poi che la separazione di fatto, o legale, non coincide
automaticamente con la separazione emotiva dei coniugi11, che al contrario si realizza molto
frequentemente in tempi diversi. La separazione emotiva così come affermato dalla psicologa
e psicoterapeuta Anna Oliverio Ferraris, implica un processo che pone fine ai legami
psicologici tra i due coniugi o che comunque li trasformi completamente.
Non è sempre facile per i partner affrontare e superare questo percorso. Può succedere che
mentre chi richiede la separazione, ha già iniziato a costruire ed elaborare dentro di
sé il distacco tanto tempo prima, spesso senza informare l’altro, al contrario chi viene lasciato,
10 V. Randone, “I preliminari della separazione e la separazione”, Medicitalia, 2013, www.medicitalia.it;
11 S. Castrica, “La separazione coniugale: il processo emotivo”, Psiconauti, www.psiconauti.it;
11
è travolto dall’evento e rimane emotivamente coinvolto, non riesce a superare l’esperienza
vissuta e la vive come un fallimento personale o un affronto.
Il partner che viene lasciato, come già affermato in precedenza, deve affrontare un’esperienza
molto simile a quella del lutto che si articola in diverse fasi:
Fase 1: la negazione
Il coniuge che viene lasciato non accetta la realtà dei fatti e cerca in tutti i modi di recuperare
la relazione. Molto spesso in questa fase i figli divengono uno strumento, cioè vengono usati
dal coniuge per riallacciare i rapporti con l’altro o per convincerlo a tornare insieme. Spesso i
figli vengono usati come pretesto per sentire l’altro coniuge. In questa fase le emozioni
prevalenti sono l’angoscia, la collera e l’odio nei confronti del coniuge che ha interrotto la
relazione. Questi sentimenti possono lasciare spazio al desiderio di vendetta e punizione.
Fase 2: la resistenza
In questa fase il coniuge raggiunge gradualmente la consapevolezza della fine della relazione
coniugale. La delusione e la collera per l’abbandono subìto possono riversarsi sul partner o
possono essere trattenuti dentro di sé. Scontri e conflitti si inaspriscono per il rifiuto di
concedere la separazione all’altro e prendono piede ricatti, accuse reciproche, inganni
alternate a implorazioni per tornare insieme.
Fase 3: la depressione
In questa fase si prende atto dell’impossibilità di cambiare le cose e dell’irreversibilità della
situazione. Ciò comporta un periodo di profondo dolore, di scoraggiamento, astenia e forte
delusione.
Fase 4: l’accettazione
Gradualmente si passa all’elaborazione del “lutto” e i sentimenti dolorosi legati all’abbandono
pian piano si attenuano. Si inizia a pensare al futuro e ad un progetto di vita separato da quello
del partner.
Quando il percorso di elaborazione della separazione emotiva non è completo, permangono
sensi di colpa e collera che possono alimentare dinamiche conflittuali nocive sia per gli ex
coniugi, sia per i loro figli. In questi casi per il coniuge non è tollerabile la separazione
dall’altro, non riesce ad accettare questo distacco e ad affrontare il dolore conseguente alla
12
fine del legame, così le difficoltà che i coniugi incontrano nel separarsi, spinge gli stessi a
seguire un iter giudiziario che spesso aumenta il livello del conflitto.
Queste situazioni spesso degenerano in quello che viene definito “mobbing familiare” e nella
“sindrome di alienazione genitoriale” (PAS).
Avvocati, consulenti di parte, accuse reciproche, vendette, querele, denunce, e in tutta questa
diatriba, i coniugi dimenticano di essere anche dei genitori, e sono talmente impegnati a “farsi
la guerra” da non notare la sofferenza dei figli che vengono seppur indirettamente coinvolti
nello scontro, e sono costretti a mettere da parte i loro bisogni di legame con entrambi i
genitori, di sicurezza e di sostegno.
1.4 Il diritto alla bigenitorialità: l’affidamento condiviso
Anche la cultura giuridica ha riconosciuto l’importanza della tutela del rapporto dei figli con
entrambi i genitori, intervenendo con la recente modifica della disciplina dell’affidamento dei
figli (Legge 8 febbraio 2006, n. 54) che tutela il diritto alla bigenitorialità e il bisogno di
continuità relazionale del minore, valorizzando la necessità della reciproca responsabilità dei
genitori nella cura dei figli. La normativa sull’affidamento condiviso ha preso atto del bisogno
di appartenenza familiare riconoscendo il diritto del minore a mantenere un rapporto
equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori, a ricevere cura ed educazione da
entrambi e conservare rapporti significativi con le rispettive famiglie d’origine (art. 155,
comma 1, c.c.).
La cultura giuridica, in linea con le teorie psicologiche che già da tempo hanno affermato
l’importanza della tutela dei rapporti dei figli con entrambe le figure genitoriali e le rispettive
famiglie d’origine, ha identificato l’interesse del minore nel mantenimento dei suoi rapporti
con entrambi i genitori.
Introducendo l’affidamento condiviso come modalità ordinaria e l’affidamento esclusivo
come una situazione residuale, ha permesso una inversione di tendenza nelle prassi dei
tribunali. Gli effetti di questa nuova legislazione sono infatti visibili osservando l’andamento
nel tempo delle quote corrispondenti alle differenti modalità di affidamento. I dati sul tipo di
affidamento adottato permettono di monitorare l’effetto dell’introduzione della nuova legge,
la quale ha avuto conseguenze evidenti sia nelle separazioni sia nei divorzi, poiché la nuova
modalità è diventata la regola e non più l’eccezione. Fino al 2005, l’affidamento esclusivo dei
figli minori alla madre è stata la tipologia ampiamente prevalente12. Nel 2005, i figli minori
12 Separazioni e divorzi in Italia, Istat 2011;
13
sono stati affidati alla madre nell’80,7% delle separazioni e nell’82,7% dei divorzi. La
custodia esclusivamente paterna si è mostrata residuale. A partire dal 2006, in concomitanza
con l’introduzione della nuova legge, la quota di affidamenti concessi alla madre si è
fortemente ridotta a vantaggio dell’affido condiviso. Il vero e proprio cambiamento è
avvenuto nel 2007 con il 72,1% di separazioni con figli in affido condiviso contro il 25,6% di
quelle con figli affidati esclusivamente alla madre, questi dati si sono poi consolidati
ulteriormente con il passare del tempo13. Nel 2010 le separazioni con figli in affido condiviso
sono state l’89,8% contro il 9,0% di quelle con figli affidati esclusivamente alla madre,
mentre la quota di affidamenti concessi al padre continua a rimanere su livelli molto bassi14.
Nonostante questi dati, è ancora molto attuale il dibattito sull’effettiva applicabilità di questo
regime di affidamento. Certamente affinché questo sistema trovi un esito positivo è necessaria
una buona cooperazione tra i genitori ed è importante che la cultura della bigenitorialità venga
innanzitutto recepita dai genitori e da tutte le figure professionali coinvolte.
A questo proposito è importante citare una recente ordinanza del 9 luglio 2015, del Tribunale
di Milano15, che ha confermato l’affidamento condiviso anche in caso di infedeltà coniugale,
se il coniuge fedifrago è un buon genitore.
Questo a conferma del fatto che il marito che tradisce non può essere considerato
automaticamente un padre inadeguato, quindi non essere un buon marito non significa non
essere un buon padre e i figli andrebbero di conseguenza tenuti al di fuori dei contrasti
coniugali.
Una cosa è l’infedeltà verso il coniuge che può rilevare ai fini dell’eventuale domanda
di addebito della separazione o del risarcimento del danno, un’altra è il diritto alla
genitorialità.
Secondo la donna tradita, le scappatelle del marito dovevano condurre a limitare il rapporto
con i figli, ma per il tribunale non sussistevano ragioni per derogare alla regola
dell’affidamento condiviso. Non è sostenibile infatti, ha affermato il giudice Giuseppe
Buffone che “un marito eventualmente fedifrago sia consequenzialmente un padre inadatto: la
violazione degli obblighi nascenti dal matrimonio è certamente sanzionabile con l’addebito e
finanche con l’azione risarcitoria; ma non giustifica affatto un affido monogenitoriale o una
limitazione del diritto di visita del padre. Non solo: la madre che utilizzi l’infedeltà del
marito come argomento per incidere sul rapporto genitoriale tra padre e figli, pone in essere
13 Separazioni e divorzi in Italia, Istat 2011;
14 Separazioni e divorzi in Italia, Istat 2014;
15 Tribunale di Milano, sez. IX Civile, ordinanza 9 luglio 2015, Giudice Giuseppe Buffone;
14
una condotta scorretta e non allineata ai doveri genitoriali, come tale valutabile anche ai fini
degli artt. 337-quater c.c. e 709-ter c.p.c.16”.
Quest’ordinanza dovrebbe far riflettere sull’importanza di porre sempre al centro l’interesse
preminente dei minori coinvolti in un conflitto coniugale, che richiede ai genitori uno sforzo
di saggezza per superare i conflitti e le delusioni personali, in modo da guardare al di là del
conflitto per tutelare l’interesse dei figli che rimangono tali anche quando i genitori si
separano.
16 Tribunale di Milano, sez. IX Civile, ordinanza 9 luglio 2015, Giudice Giuseppe Buffone, sentenza visibile sul
portale www.osservatoriofamiglia.it;
15
CAPITOLO 2.
COME LA SEPARAZIONE DEI GENITORI
INFLUISCE SUI FIGLI
2.1 Le reazioni psicosomatiche del bambino
La separazione dei genitori rappresenta per i figli un grande sconvolgimento, un’esperienza
che modificherà la vita di tutta la famiglia in modo permanente17. La separazione spesso
avviene dopo prolungate e intense tempeste emotive, spesso prima della separazione i figli
hanno già sofferto a causa delle discussioni tra i loro genitori e per la mancanza di armonia,
affetto e rispetto familiare, necessari per un corretto sviluppo emotivo.
Il momento più delicato è quello che segue immediatamente la separazione, quello in cui gli
stessi genitori devono fare i conti con le loro emozioni, con la fine del loro matrimonio, con la
loro sofferenza.
Sono proprio il tipo di legame, di conflitto e l’esistenza o meno di cooperazione tra gli ex
coniugi che diventano elementi determinanti per comprendere il funzionamento del nuovo
sistema familiare e il grado di benessere/malessere dei figli. Le situazioni di maggior
pregiudizio per i figli sono proprio quelle in cui vi è un legame ambiguo tra i genitori, o
quando gli stessi presentano un alto livello di escalation del conflitto. Non vi è dubbio su
quanto la qualità della relazione e cooperazione tra i genitori influisca sul benessere del
bambino e sul superamento positivo di tale situazione di transizione familiare.
Le sensazioni che un figlio sperimenta durante la separazione dei genitori possono anche
variare in base alla personalità e al temperamento del bambino, ma nella maggior parte dei
casi includono emozioni intense come il timore, il senso di colpa, l’ira e questo periodo è
inoltre caratterizzato da una grande instabilità e incertezza.
Le reazioni e le conseguenze della separazione sui figli, variano anche in funzione dell’età che
i figli hanno al momento della separazione e alla loro resilienza. Il bambino di un anno non
capirà che cosa succede, però è possibile che intuisca i sentimenti dei suoi genitori.
I problemi più frequenti nei bambini, durante i primi mesi seguenti alla separazione dei
genitori comprendono: cambi nelle abitudini alimentari come ad esempio la perdita di
appetito o al contrario, il mangiare eccessivamente per nervosismo; disturbi del sonno come
17 M. Castoldi, “Separazione e Coppia in crisi”, Spazio aiuto, www.spazioaiuto.it;
16
incubi, attacchi di panico notturni, insonnia primaria o secondaria; stress e abbassamento delle
difese immunitarie; disturbi intestinali come mal di pancia, diarrea; disturbi dell’attenzione;
calo del rendimento scolastico18.
Non di rado i bambini reagiscono mostrandosi più facilmente irritabili ed evidenziando
un’eccessiva dipendenza dal genitore con il quale sono maggiormente in contatto, in quanto il
bambino in questo periodo è tormentato dal gran timore che lo si abbandoni. Agli occhi del
bambino, così come i genitori hanno finito di amarsi e preso la decisione di separarsi, in egual
modo egli pensa che anche l’amore nei suoi confronti possa esaurirsi.
Il bambino in età scolare tende a sentirsi solo e spaventato, prova sentimenti di confusione e
incertezza sul suo futuro, inoltre lo preoccupano una moltitudine di problemi pratici e
quotidiani come il non sapere dove andrà ad abitare, se dovrà o meno cambiare casa o scuola
e di conseguenza inserirsi in una nuova classe, se i suoi nuovi compagni o amici saranno
simpatici o meno, e tutto ciò può portare a degli stati ansiosi.
I bambini più grandi, specialmente quelli in età adolescenziale, possono manifestare una
diminuzione dell’ammirazione nei confronti dei genitori, possono anche presentare periodi di
intensa ribellione. In questo caso, possono scaturire reazioni dicotomiche: da una parte
l’adolescente matura prematuramente, e ciò porta come conseguenza l’eccessiva severità e
intransigenza con se stesso, dall’altra parte invece si potrebbe verificare l’opposto, ovvero una
diminuzione della maturità che cela il desiderio di tornare a momenti passati della sua
infanzia dove era più sereno e felice.
Varie ricerche e studi in questo ambito, hanno dimostrato che la maggior parte dei bambini
recupera un completo benessere entro due anni dalla separazione.
Le condizioni fondamentali perché questo avvenga, sono che i genitori collaborino e che le
visite all’altro genitore si siano stabilizzate.
Anche i bambini, proprio come gli adulti coinvolti nella separazione, attraversano varie fasi di
stress paragonabili a quelle del dolore per la morte di qualche caro.
Queste fasi19 comprendono:
Fase 1: il rifiuto
Alcuni bambini non riuscendo ad accettare l’idea della separazione, tentano di non farsi
coinvolgere, cercando di non ascoltare i discorsi inerenti questo argomento. Per riuscire a far
questo possono isolarsi o fare finta che non stia succedendo niente.
18 M. Di Pietro, M. Dacomo, “La separazione dei genitori”, Educazione Razionale Emotiva E.R.E.,
www.educazione-emotiva.it;
19 Idem;
17
Fase 2: la rabbia
Quando i bambini si rendono conto di non poter evitare la separazione, possono
manifestare rabbia verso uno o entrambi i genitori, verso i coetanei o i compagni di scuola.
Un bambino piccolo può fare molti più capricci rispetto a prima.
Il bambino può esprimere la sua rabbia anche fuori casa, per questo motivo è importante che a
scuola gli insegnanti siano a conoscenza della separazione. Così facendo gli insegnanti
avranno la possibilità di dare maggior aiuto al bambino ed essere più comprensivi nei suoi
confronti. Non è raro che il rendimento scolastico peggiori in questo periodo per la
preoccupazione che il bambino prova riguardo alla sua situazione familiare.
Fase 3: tentare il riavvicinamento
Alcuni bambini pensano di poter fare qualcosa per evitare che i genitori si separino. In questo
caso è importante rassicurare il bambino dicendogli che niente di ciò che ha fatto o non ha
fatto ha avuto un peso sulla decisione dei genitori e che non può fare niente perché mamma e
papà tornino insieme.
Fase 4: la depressione
Quando il bambino ha piena consapevolezza di quello che sta accadendo, della sua
inevitabilità e del fatto che la separazione è definitiva, il bambino può diventare depresso e
piangere molto facilmente.
Fase 5: accettazione della separazione
Proprio come succede agli adulti, anche per i bambini arriva il momento in cui la separazione
dei genitori viene accettata.
Ci sono alcune condizioni che favoriscono il raggiungimento di un risultato ottimale come la
possibilità per i bambini di esprimere la loro sofferenza, la percezione di una situazione
stabile e sicura con il genitore con il quale vivono e la dimostrazione di affetto ed interesse da
parte di entrambi i genitori.
I bambini hanno bisogno di amore e supporto per essere aiutati a gestire queste diverse fasi,
sarebbe molto utile per loro poter manifestare e comunicare le proprie emozioni, sebbene non
tutti vogliano o siano in grado di farlo.
Un fattore importante sarebbe garantire ai bambini la loro abituale quotidianità, quindi fare in
modo che i bambini continuino ad avere gli stessi ritmi e abitudini di prima.
18
Pur riconoscendo che si tratta di un periodo difficile, in casa dovrebbero essere mantenute le
stesse regole comportamentali di prima. Infatti, cercare di essere più comprensivi sul rispetto
delle norme di condotta può portare ad un peggioramento del comportamento del bambino..
Il bambino in questa situazione non è solo osservatore, ma in quanto partecipante, seppur in
un ruolo passivo, spesso è chiamato ad assumersi ruoli rilevanti, costretto a schierarsi, conteso
ora da una parte ora dall’altra. Il figlio corre il rischio di vivere la scissione dei propri
sentimenti, sentiti come inaccettabili e incomunicabili. Si può facilmente immaginare cosa
provi un bambino, che sente la madre nominare il padre per cognome o attraverso ingiurie, o
all’impossibilità per un bambino, di manifestare i propri sentimenti di affetto per il genitore
che ha lasciato la casa familiare, per paura di ferire i sentimenti del genitore con cui vive.
Nei casi più gravi di conflittualità fra i genitori, viene messa a dura prova l’integrità ed il
benessere psichico del bambino.
2.2 La sindrome da alienazione parentale
La sindrome da alienazione genitoriale (PAS20, dall’acronimo di Parental Alienation
Syndrome) è un ipotetico quanto controverso disturbo psicologico, che secondo le teorie dello
psichiatra statunitense Richard Gardner, può insorgere nei figli, a seguito del loro
coinvolgimento in separazioni conflittuali, non opportunamente mediate.
La PAS è tutt’oggi oggetto di dibattito ed esame, sia in ambito scientifico sia in ambito
giuridico, è infatti messa in un dubbio la validità di tale teoria, e comunque non è riconosciuta
come un disturbo psicopatologico dalla grande maggioranza della comunità scientifica e
legale internazionale.
Secondo Richard Gardner invece la PAS è paragonabile nonché assimilabile ad una vera e
propria forma di violenza emotiva, a danni del figlio minore coinvolto, capace di produrre
significative psicopatologie sia nel suo presente che nella sua vita futura.
Questa sindrome è caratterizzata da un genitore definito alienante, il quale attiva una costante
campagna denigratoria nei confronti dell'altro genitore, che è invece definito alienato, in
presenza del figlio, e ciò col passare del tempo, fa sorgere nel minore un vero e proprio rifiuto
nonché insofferenza nei confronti del genitore alienato.
Il figlio subisce una sorta di “lavaggio del cervello” ad opera del genitore alienante, che lo
porta a perdere il contatto con la realtà, creando una “realtà virtuale”, mantenuta in vita dalle
20 S. A. Martini, “La sindrome di alienazione genitoriale”, Milano, 2011, www.psicologi-italia.it;
19
sole informazioni denigratorie che il minore riceve dal genitore alienante, a carico del
genitore alienato ovvero quello non affidatario.
Il mondo virtuale nel quale il bambino viene costretto a vivere, è costantemente alimentato da
una serie di ingiurie e accuse ai danni del genitore non affidatario, che possono concretizzarsi
in falsi ricordi, piuttosto che induzione di ricordi, fino a vere e proprie accuse di vario tipo.
Secondo Gardner, il bambino subisce una sorta di “riprogrammazione” operata dal genitore
affidatario che condivide con il minore la sofferenza per tutte le condotte considerate ingiuste
e scorrette, dell’altro genitore.
Si crea un’alleanza tra il genitore affidatario e il bambino, che inizia ad appoggiare la visione
del genitore alienante, esprimendo in modo apparentemente autonomo, astio e disprezzo nei
confronti dell’altro genitore.
Il bambino arriva ad instaurare una battaglia personale nei confronti del genitore non
affidatario e come conseguenza di tutto questo, il bambino rifiuta ogni forma di contatto,
seppur telefonico, con il genitore oggetto dell’alienazione.
Le tecniche di “riprogrammazione del bambino”21 ad opera del genitore alienante, tipicamente
comprendono:

l'uso di espressioni denigratorie riferite all'altro genitore;

false accuse di trascuratezza;

violenza o abuso (nei casi peggiori, anche abuso sessuale);

la costruzione di una “realtà virtuale familiare” caratterizzata dal terrore e dalla
vessazione, che provoca nei figli profondi sentimenti di paura, diffidenza e odio verso
il genitore alienato.
Per quanto concerne il riconoscimento ovvero la diagnosi di PAS, ci si basa sull’osservazione
di otto presunti sintomi22, che dovrebbero essere riscontrati nel bambino.
Il primo sintomo è la campagna di denigrazione, nella quale il bambino mima e scimmiotta i
messaggi di disprezzo del genitore alienante verso l'altro genitore. In una situazione di
normalità, ciascun genitore non permetterebbe al bambino di mantenere una simile condotta,
in questo caso invece, il genitore alienante non mette in discussione questa mancanza di
rispetto, ma anzi la rinforza e può addirittura arrivare a favorirla.
Il secondo sintomo è la razionalizzazione debole dell'astio, per cui il bambino cerca di
spiegare le ragioni del suo disagio nel rapporto con l’altro genitore, ma lo fa attraverso
21 M. Rossi, “La sindrome di alienazione parentale in un convegno alla camera dei deputati con Giuseppe
Cassano”, 2015, www.diritto.it;
22 www.alienazione.genitoriale.com;
20
pretesti futili, motivazioni illogiche o insensate, quanto superficiali. Alcuni esempi di questo
atteggiamento da parte del bambino, citati dallo stesso Gardner, sono: "non voglio vedere mio
padre perché mi manda a letto troppo presto", oppure "perché mi dice sempre di non
interrompere!".
Un ulteriore elemento sintomatico è la mancanza di ambivalenza, per il quale il genitore
rifiutato è descritto dal bambino come "tutto negativo", mentre l'altro genitore è visto come
"tutto positivo".
Il quarto sintomo è quello del cosiddetto fenomeno del pensatore indipendente, in cui il
bambino è determinato ad affermare di essere una persona che sa pensare e ragionare in modo
indipendente, autonomamente con la propria testa, e di aver di conseguenza elaborato da solo
i termini della campagna di denigrazione senza l’influenza del genitore alienante.
Il quinto sintomo è l'appoggio automatico e incondizionato del bambino al genitore alienante.
Si tratta di una presa di posizione del bambino, sempre e solo a favore del genitore alienante,
in qualunque genere di conflitto che si venga a creare.
L'assenza di senso di colpa è il sesto sintomo, questo significa che tutte le espressioni di
disprezzo nei confronti del genitore alienato, avvengono senza sentimenti di colpa da parte
bambino, ma al contrario trovano una giustificazione in quanto meritati.
Gli scenari presi a prestito sono affermazioni del bambino che non possono ragionevolmente
provenire da lui direttamente, in quanto frutto di elaborazioni troppo complesse per la sua età,
quali ad esempio l'uso di parole o situazioni per descrivere le colpe del genitore escluso.
Infine, l'ottavo sintomo è l'estensione delle ostilità alla famiglia allargata del genitore rifiutato,
che coinvolge nell'alienazione la famiglia, gli amici e le nuove relazioni affettive (una
compagna o un compagno) del genitore rifiutato.
Sempre secondo lo psichiatra statunitense Gardner, possono essere riscontrate a posteriori una
serie di manifestazioni nel bambino come conseguenza della PAS:

alterazione nei processi di esame di realtà;

condotte narcisistiche;

indebolimento della capacità empatica e di contatto emotivo con l’altro;

condotte devianti legate alla riduzione del rispetto nei confronti delle autorità, anche
se non genitoriali;

disturbi di personalità legati a spunti paranoidei;

disturbi legati a disfunzioni nell’identità di genere;
21
Socialmente si presta ancora troppa poca attenzione alla qualità del rapporto dei figli con il
genitore non affidatario, soprattutto se quest’ultimo si è allontanato a causa di una nuova
relazione affettiva. Il biasimo sociale, per quanto comprensibile, è molto pericoloso per lo
sviluppo dei figli in quanto innesca un’alleanza sociale col genitore alienante.
Tuttavia, al contrario di quanto comunemente si possa pensare, coloro che lasciano la famiglia
non intendono separarsi anche dai figli, ma solo dal proprio coniuge e andrebbero perciò
aiutati affinché la loro separazione dai figli non avvenisse mai.
Gli aspetti di genitorialità nelle separazioni, potrebbero essere chiaramente definiti e tutelati
se si comprendesse l’esistenza nella famiglia di due “entità di coppia”, distinte per diritti,
doveri e responsabilità reciproche: la “coppia coniugale” e la “coppia genitoriale”23.
Il conflitto coniugale quindi, non deve necessariamente scatenare anche un “conflitto
genitoriale”, ed eventuali contrasti fra le due entità potrebbero essere affrontati con l'ausilio
della mediazione familiare.
Troppo spesso i coniugi in fase di separazione decidono di impelagarsi in meccanismi di
conflitto giudiziario, si “fanno guerra” a vicenda, confidando in una "verità processuale" con
tanto di parte vincente contrapposta a parte soccombente.
Quando un genitore arriva a percepire i figli come non-persone24, ovvero come mezzi per
acquisire maggior potere nel conflitto, oppure come strumento per dare sfogo a sentimenti di
rabbia e disagio propri della sola “coppia coniugale”, si crea un clima di odio e desiderio di
rivendicazione nei confronti dell’ex coniuge, che conduce all'uso dei figli in quanto armi da
usare a proprio vantaggio ed è questo uno dei principali scenari che può portare all'insorgenza
della PAS.
2.3 La violenza assistita
In molti casi di separazione tra coniugi, la rottura avviene in seguito a continui litigi, beghe
legali, denunce e addirittura violenze perpetrate nel tempo nei confronti del partner e in
presenza dei figli.
Un bambino che assiste alle scenate di rabbia, alle manifestazioni di violenza, fisica o verbale,
tra i suoi genitori ne viene sempre inevitabilmente danneggiato. Talvolta alcune coppie in
aperto e continuo conflitto non prendono la decisione di separarsi proprio pensando al “bene
del bambino”, ma in realtà espongono il bambino al grave danno di vivere in un clima di
23 Sindrome da alienazione genitoriale, Wikipedia, l’enciclopedia libera, 2015;
24 Idem;
22
costante tensione e di violenza psicologica, dove vengono troppo spesso mischiati momenti di
affetto a momenti di ira e disprezzo.
Si parla quindi di danni gravi, anche se il bambino non viene direttamente toccato o insultato
ma semplicemente assiste alla violenza. Molti ricercatori sono concordi nell’affermare che
ambienti familiari fortemente conflittuali, generino nel bambino, sensazioni di insicurezza e
impotenza.
Il danno è sul piano della formazione della personalità, che viene compromessa
dall’esposizione alle minacce, dalle intimidazioni, dalla sensazione di mancata protezione e di
allarme continuo.
Nei casi più gravi, in cui la violenza è quotidiana e cronica, si parla di violenza assistita25,
configurando una situazione nella quale il minore è coinvolto in atti di violenza compiuti su
figure di riferimento affettivamente significative.
Proprio gli aspetti di abuso emozionale sono all’origine di pesanti danni evolutivi, poiché
hanno un’incidenza sulla strutturazione dell’immagine di sé e producono una percezione
interna di svalutazione, viene danneggiato il sistema nervoso e il funzionamento intellettivo
ed emozionale, creando le premesse ad uno stato di grande vulnerabilità del bambino.
Questi bambini hanno un senso di autostima molto basso e spesso il loro sviluppo neurocognitivo risulta essere danneggiato, in quanto esposti ad alti livelli di violenza con l’aggiunta
di una riduzione della loro capacità empatica.
La capacità di formare delle opinioni significative riguardo a se stessi, agli altri, all’ambiente
e al futuro, si basa proprio sull’apprendimento nell’infanzia. Nei bambini vittime di violenza
assistita, queste abilità e la percezione di sé, sono spesso distorte, difatti potrebbero essere
sovrastimati i pericoli e le avversità del mondo ed essere invece sottostimati l’efficacia ed il
valore personale.
I primi a non averne consapevolezza o addirittura a sottovalutare i danni della violenza
assistita sui figli, sono proprio i genitori26. Spesso sminuiscono ciò che avviene durante le loro
liti accese e si convincono che i figli, non essendo presenti, siano di conseguenza protetti dalla
violenza che ne deriva. Chiaramente assistere ad una violenza per i bambini è un evento che
genera disorientamento, crea traumi e genera molto dolore. Così come assistere alla violenza è
25 La prima definizione del fenomeno è stata introdotta in Italia dal CISMAI (Coordinamento Italiano dei Servizi
contro il Maltrattamento e l’Abuso all’Infanzia) nel 2003, per violenza assistita da minori in ambito familiare
s’intende il fare esperienza da parte del bambino di qualsiasi forma di maltrattamento compiuto atttraverso
atti di violenza fisica, verbale, psicologica, sessuale ed economica, compiuta su figure di riferimento o su altre
figure significative, adulte o minori; s’includono le violenze messe in atto da minori su altri minori o su altri
membri della famiglia e gli abbandoni e i maltrattamenti ai danni di animali domestici. Di tale violenza il
bambino può fare esperienza direttamente, indirettamente e/o percependone gli effetti. CISMAI, 2003;
26 G.Usai, “Violenza assistita da parte dei minori”; 2014, trasferimentotec.wordpress.com;
23
molto doloroso, lo è anche il fatto stesso di sapere, seppur a posteriori, che certi episodi siano
avvenuti all’interno della propria casa, che dovrebbe invece essere l’emblema dell’amore
familiare. E’ stato dimostrato che anche il solo assistere alla violenza cronica fra genitori può
generare nel bambino un disturbo post traumatico da stress.
I minori davanti a questi episodi di violenza assistita si sentono spesso impotenti e
sperimentare il senso d’impotenza reiterato nel tempo, riduce fino ad annullare le capacità di
coping27 nel bambino, ovvero quelll’insieme di abilità e strategie mentali e comportamentali
per fronteggiare una certa situazione, il bambino sviluppa così un forte sentimento di
fallimento.
Talvolta il bambino può presentare comportamenti ambivalenti, tenendo a casa un
atteggiamento taciturno e apparentemente tranquillo, mentre a scuola potrebbe dar sfogo alla
sua aggressività repressa. Quasi sempre, di fatto, l'aggressività sociale è manifestata dal
bambino fuori dalle mura domestiche e rappresenta il rovescio della medaglia dei
comportamenti vessatori e del clima di tensione che è costretto a vivere in casa.
Lo stress che subisce, viene scaricato al di fuori del contesto abitativo, sotto forma di volgarità
apprese nell’ambito familiare o di manifestazioni di aggressività fisica verso il gruppo dei
pari. Nel riprodurre il modello appreso in casa, il bambino agisce in maniera indisponente e
provocatoria sia nei confronti dei compagni di scuola, sia nei riguardi degli insegnanti. Sono
proprio questi ultimi che per primi dovrebbero intuire che tali atteggiamenti non fanno parte
del temperamento dell’allunno.
Le ricerche in materia di violenza rilevano una più alta incidenza, di comportamenti devianti e
delinquenziali, negli adolescenti che hanno avuto esperienze infantili avverse: i maltrattamenti
assistiti vengono considerati come una delle cause delle fughe da casa, del bullismo e della
violenza nei rapporti sentimentali tra adolescenti.
La psicologa statunitense Virginia Satir scrisse nel 1972: “Un bambino quando viene al
mondo, non ha né passato né esperienza da cui trarre indicazioni per gestire se stesso,
nessuna scala grazie a cui giudicare le sue capacità. Deve basarsi sulle esperienze che ha
con le persone che gli stanno intorno e sui messaggi che esse gli inviano riguardo al suo
valore come persona”.
27 B. Monticelli, “I Processi di Coping nell’Adattamento allo Stress”; Psicolab, 2006, www.psicolab.net;
24
Nella violenza assistita di genere in ambiente domestico, le sopraffazioni contro le madri ed i
bambini, sono molto diffusi nel nostro Paese. In questo ultimo decennio il fenomeno si è
ulteriormente esteso e si rileva un elevato rischio di cronicizzazione28.
A livello socio-culturale ed istituzionale, pare avere maggior rilievo la dimensione della
violenza che colpisce gli adulti e accade che resti invece sullo sfondo o in penombra il
dramma vissuto dal minore. Si sente parlare molto di donne vittime di violenza, di
femminicidio con descrizioni di maggior risonanza rispetto all’infanticidio o alla fascia
infantile che assiste alla sofferenza nonchè alla morte della madre. Si dimentica troppo spesso
che dove c’è una madre, vittima di violenza domestica c’è anche un bambino che vive nello
stesso ambiente violento.
La violenza assistita da maltrattamento sulle madri e sulle altre figure presenti in famiglia,
può porre a grave rischio la vita del bambino anche prima della sua nascita. Dai dati di ricerca
risulta che i figli delle donne maltrattate in gravidanza presentano esiti da sofferenza fetale.
Il nascituro avrà una mamma sopraffatta dal proprio dolore, ne potrebbe conseguire una
precarietà nel prendersi cura del figlio e potrebbe risentirne, in maniera significativa, lo stile
di attaccamento. Muovendosi dunque dalla premessa secondo cui l’elemento primario
protettivo per il bambino è costituito dalla presenza di una figura accudente e serena non è
difficile comprendere come nella violenza domestica la madre non possa essere in grado di
assolvere a tale funzione. I fattori di rischio sono pertanto connessi alla presenza di una figura
genitoriale femminile sofferente, che difficilmente potrà conservare adeguati livelli di risposta
emozionale e di attenzione alle necessità del bambino. Una madre vittima di reiterate
vessazioni, umiliata, spaventata, angosciata e in costante allerta per l’insieme delle
prevaricazioni, non può essere in grado di dedicarsi sufficientemente ai bisogni del figlio.
Per quanto concerne il riconoscimento pubblico della violenza assistita, esso è avvenuto in
tempi recenti nel nostro paese ed è cresciuto parallelamente al diffondersi delle iniziative delle
associazioni femminili nella tutela delle donne che subiscono violenza domestica. La
sensibilità verso questo fenomeno risale agli anni 90 e si è sviluppata grazie all’incontro del
sapere e del lavoro degli operatori pubblici e privati, che si occupano di tutelare le donne ed i
minori. È così emersa la consapevolezza della stretta relazione tra violenza domestica e
violenza assistita29.
28 M. Ricci, “Bambini invisibili. La violenza assistita intrafamiliare”; Movimento per l’infanzia, 2015,
www.movimentoinfanzia.it;
29 Telefonorosa, “La violenza assistita”, 2015, www.telefonorosa.it;
25
Alla luce di quanto detto, è di importanza fondamentale saper proteggere questi bambini,
intervenendo sulla consapevolezza sociale del fenomeno, ma anche sul nucleo familiare,
responsabilizzando i genitori sugli effetti negativi della violenza assistita.
2.4 La dipendenza affettiva
Le esperienze della nostra infanzia, in particolare quelle dolorose e traumatiche, tendono a
riemergere sotto forma di comportamenti disfunzionali, talvolta questi sono talmente evidenti
che risulta impossibile ignorarne gli effetti30.
La teoria dell’attaccamento dello psicoanalista britannico John Bowlby, può aiutare a
comprendere meglio le dinamiche della dipendenza affettiva. L’ipotesi di Bowlby è stata
avvalorata da rigorose ricerche, confermate poi sperimentalmente, ed afferma che lo sviluppo
emotivo della persona dipenda dalle caratteristiche del legame che si instaura fra madre e
bambino. Gli studi portarono l’autore ad indagare quali potessero essere i differenti tipi di
questo legame e da questi studi nacque la cosiddetta teoria dell’attaccamento.
A parere dello studioso molti disturbi infantili come pure alcune psicopatologie e stati di
angoscia presenti nell’adulto, sono attribuibili alle situazioni stressanti vissute dal bambino
durante esperienze traumatiche di distacco e separazione. Secondo Bowlby il modello di
attaccamento che viene introiettato durante i primi anni di vita è così forte e stabile che
diventerà un aspetto della personalità, fungendo da modello relazionale e caratterizzando i
futuri rapporti.
“Basandosi sugli studi più recenti nel campo della psicologia dello sviluppo, Siegel e Hartzell
evidenziano come l’attaccamento sicuro o insicuro del bambino nei confronti dei genitori
sia dipendente dal modo in cui il genitore accudisce il figlio fin dai primi mesi di vita,
mostrandosi in grado di rispondere ai suoi bisogni di base come essere accudito, nutrito,
coccolato, consolato e protetto, ma anche dalla modalità con cui comunica con lui,
rivelandosi aperto ad accogliere ogni emozione che il bambino sperimenta ed esprime, dalla
gioia alla curiosità, alla tristezza, alla rabbia o al disagio. L’attaccamento sicuro verso i
genitori che il bambino sviluppa nel corso dei primi tre anni di vita è un potente
organizzatore del suo futuro sviluppo sociale ed emotivo e delle caratteristiche più
significative della sua personalità.
I legami sicuri con i genitori emotivamente affidabili e sensibili generano infatti nel bambino
sentimenti di sicurezza e fiducia che egli trasferirà successivamente in altre relazioni
30 G. Tripaldi, “Stili di attaccamento e dipendenza affettiva”, psicologia.tesionline.it;
26
significative con adulti, educatori e insegnanti, bambini, fratelli e amici, potenziando così la
sua competenza sociale ed emotiva.
Gli stessi sentimenti di fiducia nei confronti dei genitori e degli adulti significativi saranno
determinanti per la costruzione della personalità del bambino, influenzando il suo senso di
efficacia, autostima e sicurezza interna, oltre che la sua resistenza psicologica a eventi
stressanti”31.
Gli studi confermano infatti la tendenza ad assumere con il partner lo stesso ruolo assunto
durante l’infanzia con il genitore di riferimento, nella speranza questa volta di ottenere quelle
risposte di reciprocità non avute in passato.
Ma come agiscono sul bambino e sull’individuo adulto questi differenti stili di attaccamento?
La risposta ce la fornisce direttamente Bowlby:
“Ogni individuo costruisce modelli operativi (rappresentazioni mentali) del mondo e di sé
stesso nel mondo. In base a come percepisce gli eventi, l’uomo programma il suo futuro e
formula previsioni. Nelle rappresentazioni mentali del mondo che ognuno di noi costruisce, la
caratteristica principale è ‘chi’ sono le figure le figure di attaccamento, ‘dove’ possono
essere trovate, e ‘come’ ci si aspetta che rispondano. In modo analogo, nelle
rappresentazioni mentali del sé che ognuno costruisce, la caratteristica principale è quanto
l’individuo sente di essere degno o non degno di amore agli occhi delle sue figure di
attaccamento”.
(Bowlby,1973)
Il concetto centrale della teoria dell’attaccamento di Bowlby è che gli individui sviluppano
rappresentazioni mentali, chiamate dall’autore Internal Working Model (IWM), che
consistono in una serie di aspettative che l’individuo ha nei confronti di se stesso, delle figure
significative della sua esistenza, e del rapporto tra sé e queste figure.
Le strategie adattive messe in atto dal bambino nel primo anno di vita, saranno le stesse che in
seguito utilizzerà con il partner nella sua relazione amorosa, inconsapevolmente convinto che
l’unica maniera per mantenere la vicinanza della persona amata sia quella di adottare le
strategie infantili che a suo tempo gli garantirono la presenza della madre.
Secondo Bowlby esistono quattro tipologie di attaccamento che legano la madre, o la figura
principale di accudimento, e il bambino ovvero:
31 D. J. Siegel, M. Hartzell, “Errori da non ripetere”, Prefazione all’edizione italiana di C. R. Crugnola, Milano,
2005, pp. VII-VIII;
27
1. Stile sicuro: Il bambino in situazioni di stress è in grado esprimere il suo disagio, sicuro
che l’adulto di riferimento sarà in grado di fornirgli aiuto e porsi come una base sicura per
l’esplorazione. Il bambino quindi esplora l'ambiente che lo circonda e gioca sotto lo sguardo
vigile della madre con cui interagisce. Quando la madre esce e rimane con uno sconosciuto, il
bambino è visibilmente turbato, ma al ritorno della madre, il bambino si tranquillizza e si
lascia consolare.
Il bambino è consapevole che nella figura della madre ha una base sicura, dalla quale si può
allontanare per esplorare il mondo e alla quale può sempre ritornare qualora qualcosa lo turbi
o ne senta la necessità.
La figura di riferimento è sensibile ai segnali del bambino, disponibile e pronta a dargli
protezione nel momento in cui il bambino lo richiede.
I tratti che maggiormente caratterizzano questo stile sono: sicurezza nell’esplorazione del
mondo, convinzione di essere amabile, capacità di sopportare distacchi prolungati, nessun
timore di abbandono, fiducia nelle proprie capacità e in quelle degli altri, sé positivo e
affidabile,
altro
positivo
e
affidabile.
L’emozione
predominante
è
la
gioia.
Le relazioni interpersonali future in generale saranno improntate sul rispetto di sé e dell’altro,
sulla stima e sulla fiducia e nelle relazioni amorose sarà portato a ricercare partner che
abbiano la sua stessa sicurezza, dunque le sue relazioni saranno durature ed equilibrate e
tenderà a superare i conflitti e le difficoltà con strategie adeguate alla situazione.
2. Stile insicuro/evitante: il bambino si focalizza su se stesso, non manifesta le sue emozioni
negative perché sa che non saranno tollerate dal genitore, lo scopo è evitare il dolore di essere
rifiutato nel momento in cui avrà più bisogno di aiuto. Il bambino percepisce la figura di
accudimento come qualcuno a cui non chiedere aiuto nel momento del bisogno, poiché tale
figura si dimostra inaffidabile, poco presente e spesso rifiutante.
Il bambino quindi, esplora l'ambiente ignorando la madre ed è indifferente
al suo
allontanamento e alla sua uscita, e non si lascia avvicinare al suo ritorno.
I tratti caratterizzanti questo stile sono: insicurezza e sfiducia nel mondo esterno, tendenza
all’evitamento per paura del rifiuto, apparente autosufficienza, convinzione di non essere
amato,
Le
sé
relazioni
affidabile,
altro
interpersonali
negativo.
future
L’emozione
saranno
predominante
caratterizzate
da
è
la
tristezza.
freddezza
emotiva.
Il bambino ormai divenuto adulto e avendo interiorizzato la madre “rifiutante”, cercherà in
tutti i modi di difendersi da eventuali esperienze altrettanto rifiutanti. Le relazioni amorose
28
saranno sempre prive di un totale coinvolgimento, inoltre tenderà a non mostrare affetto nelle
relazioni.
3. Stile ansioso/ambivalente: il bambino percepisce la figura di riferimento come disponibile
in maniera discontinua in quanto, a volte la madre è presente, ma spesso è assente. Ragion per
cui l’esplorazione del mondo risulterà insicura, connotata da ansia. Il bambino ha
comportamenti contraddittori nei confronti della madre, a tratti la ignora, a tratti cerca il
contatto. Quando la madre se ne va e poi ritorna, il bambino risulta inconsolabile.
La madre fornisce delle risposte imprevedibili alle richieste del bambino, infatti il suo
comportamento risulta esageratamente affettuoso, intrusivo, o al contrario rifiutante e
scollegato dalle esigenze del figlio. La vicinanza al genitore inaffidabile e imprevedibile può
essere mantenuta solo attraverso una esagerata manifestazione dei propri bisogni, la rabbia e
l’ansia espressa dal bambino sembrano essere l’unico strumento per mantenere tale vicinanza.
Il bambino si percepirà come persona da amare in maniera discontinua. Il sentimento che lo
caratterizzerà sarà la colpa.
Nelle relazioni interpersonali sociali e amorose il soggetto sarà in balia spesso dell’impulso,
della
passione
e
talvolta
mostrerà
grande
gelosia,
possessività
e
ossessione.
Idealizzerà gli altri sopravvalutandoli e sovente sminuirà se stesso, con sentimenti di sfiducia
circa le proprie capacità.
4. Stile disorientato/disorganizzato: la figura di riferimento risulta spaventata/spaventante, e
diviene per il bambino allo stesso tempo fonte di conforto e di allarme, evocando
contemporaneamente risposte contraddittorie. Il bambino può avere reazioni completamente
opposte, ad esempio, può apparire apprensivo, piange e si butta sul pavimento o porta le mani
alla bocca con le spalle curve in risposta al ritorno dei genitori dopo una breve separazione.
Altri bambini disorganizzati, invece, manifestano comportamenti conflittuali, come girare in
tondo mentre simultaneamente si avvicinano ai genitori. Altri ancora appaiono disorientati,
congelati in tutti i movimenti, mentre assumono espressioni simili alla trance. Sono anche da
considerarsi casi di attaccamento disorganizzato quelli in cui i bambini si muovono verso la
figura di attaccamento con la testa girata in altra direzione, in modo da evitarne lo sguardo.
A questo punto il bambino sperimenta la tendenza contraddittoria sia a fuggire che ad
avvicinarsi alla figura di attaccamento e ciò lo porta ad un collasso delle strategie
comportamentali, manifestando perciò i movimenti e le espressioni fuori luogo.
29
L’immagine di sé e dell’altro è vissuta in maniera negativa, vi è rifiuto dell’intimità e spesso
conflitto tra questo e la ricerca dell’altro dal quale tali soggetti a volte si mostrano dipendenti.
Il soggetto lamenterà solitudine e paura di non piacere se non riesce a trovare una persona con
cui stare.
Quando instaurerà una relazione di coppia, assumerà un ruolo passivo, colpevolizzandosi
eccessivamente per i problemi interni alla coppia stessa.
Si può facilmente notare come negli stili disorganizzato, ambivalente ed evitante, siano
presenti elementi caratteristici della dipendenza affettiva come il controllo ansioso e ossessivo
di sé, dell’altro e della relazione, la convinzione di non essere degni di amore, che talvolta
porta addirittura all’accettazione passiva di forme di maltrattamento.
La mancanza di cure attente, proprie di uno sviluppo psicofisico armonico, non permette al
bambino di sviluppare una base sicura, tanto da non sapere, in quanto per lui non esperibile,
che gli altri lo aiuteranno quando ne avrà bisogno, svilendo così la fiducia in se stesso e nelle
figure adulte ed in futuro nella società.
Con dipendenza affettiva si intende il comportamento disadattivo caratterizzato da una forte
dipendenza dal partner. La dipendenza affettiva è un disturbo della personalità che pervade la
dimensione emotiva del soggetto, trasformando il rapporto di coppia da funzionale in
patologico32.
Alla luce di queste teorie è facile comprendere come il modello relazionale introiettato dal
bambino nei primi anni della sua vita, diventi poi il vocabolario emotivo di tutto ciò che egli
sperimenterà, guidandolo a comportamenti apparentemente privi di senso in quanto autolesivi,
inappropriati, dolorosi, ma che in un’ottica psicodinamica non solo acquistano senso, ma
possono diventare punto di partenza per un cambiamento33.
L’importanza di definire lo stile di attaccamento si ricollega di conseguenza alla possibilità di
poter dare un’interpretazione ai disagi del bambino, di riconoscerli in tempo e di prevenire
attraverso l’intervento psicologico, psicopatologie paralizzanti e ben più difficili da risolvere
in età matura.
32 G. Tripaldi, “Stili di attaccamento e dipendenza affettiva”, psicologia.tesionline.it;
33 Idem;
30
CAPITOLO 3.
I NUOVI SERVIZI A SOSTEGNO E TUTELA DEI
LEGAMI FAMILIARI
3.1 Servizi a sostegno della famiglia
Nel nostro Paese il ritardato sviluppo di questi particolari servizi deriva principalmente dalle
trasformazioni giuridiche34 che hanno portato alla legge sul divorzio (legge n. 898
01/12/1970), emanata in tempi relativamente recenti; ma dipende in maniera sostanziale
anche dalla frammentazione familiare, esplosa effettivamente dalla metà del secolo scorso.
L'Italia si è trovata nella condizione di dover stare al passo con gli innumerevoli cambiamenti
di quest’ultimo periodo, così si è posta l’obiettivo di cercare di limitare la precarietà delle
strutture familiari e quindi di tentare di mantenere e di sostenere i legami generazionali.
La diffusione dei servizi per il diritto di visita e di relazione sul territorio nazionale è il
risultato dell'evidente bisogno di sostegno delle dinamiche genitoriali, che già da qualche
anno hanno visto nascere in risposta a tale necessità le consultazioni, le varie forme di terapia
e la mediazione familiare. L’offerta di risorse per la coppia o i componenti della famiglia
separata è varia e comprende anche interventi di sostegno, tra i quali, il counseling, la
psicoterapia dei singoli e delle coppie, i gruppi di auto-mutuo aiuto, e gli interventi di
valutazione e controllo sociale finalizzati a valutare i rischi e salvaguardare i legami35.
Recentemente, si stanno diffondendo i Gruppi di supporto per i genitori e i Gruppi di parola
destinati ai figli dei genitori separati, che offrono uno spazio-tempo alternativo alla sede
giudiziaria in cui diventa possibile fermarsi, elaborare e condividere l’esperienza della
separazione all’interno dei gruppi36.
Un fenomeno che sta assumendo un ruolo sempre più rilevante nell’erogazione dei servizi per
la famiglia è quello delle associazioni dei “genitori separati”. Si tratta di una tipologia del
terzo settore che mette al centro la relazione familiare e i suoi bisogni specifici. Molte
34 A. G. Danovi, “1975-2015 Diritto di famiglia 40 anni di riforme e aggiustamenti”, Corriere della sera.it,
27esimaora.corriere.it, Milano, 2015;
35 B. Colombo, C. Spettu, “Sostegno e tutela dei legami familiari durante la separazione dentro e fuori le aule
del tribunale”, in Rivista per Psicologia e Giustizia, Anno 13, numero 2, 2012, p. 2;
36 Ibidem, pp. 9–10;
31
associazioni offrono oltre alla possibilità di scambio e di condivisione delle esperienze, anche
un servizio informativo e di supporto attraverso consulenze psicologiche e legali37.
Una particolare attenzione alla valorizzazione delle risorse e delle competenze genitoriali
proviene anche da alcuni provvedimenti legislativi in materia di politiche sociali, che hanno
stimolato la diffusione di una serie di interventi nelle diverse realtà territoriali 38, in
particolare:
- l’ex legge 285/97 (Disposizione per la promozione di diritti e di opportunità per l’infanzia e
l’adolescenza), di portata fortemente innovativa in quanto propone un approccio preventivo
secondo il quale il sostegno non è solo per i casi a rischio. Il bambino e l’adolescente sono
considerati nell’ambito del contesto familiare di appartenenza, da privilegiare anche nella
realizzazione degli interventi in cui oltre alla riparazione di situazioni problematiche, ci sia
una promozione del benessere attraverso lo sviluppo dei servizi di ascolto, consulenza ed
aiuto nei problemi quotidiani e la creazione di una rete solidale.
E’ questo il contesto in cui nascono i servizi per la famiglia. Alla base c’è la condivisione
dell’idea che per migliorare la vita dei minori, sia importante sostenere i genitori nella loro
funzione educativa.
Nell’attuazione di questa legge è stata data particolare attenzione ai possibili interventi utili a
sostenere la genitorialità, ma soprattutto necessari per valorizzare le risorse del sistema
familiare coinvolgendo i suoi membri nella ricerca di modalità di superamento delle eventuali
difficoltà.
- la legge 328/2000, legge quadro di riforma dell’assistenza, ha come obiettivo la
realizzazione di un sistema integrato di interventi e servizi sociali, a partire dalla “normalità”
delle persone e della famiglia e non esclusivamente dalle situazioni di disagio39.
Tra gli interventi di questa legge, in prosecuzione della 285/97 emergono quelli a sostegno
della genitorialità: il supporto alle famiglie è previsto sia in fase preventiva che in momenti di
crisi e di disagio.
La considerazione di intervenire con servizi adeguati a sostegno delle famiglie in difficoltà,
pongono in essere il servizio di mediazione familiare con particolare riferimento a coloro che
affrontano la transizione della separazione, mirando quindi alla salvaguardia dei legami
familiari e alla tutela del rapporto affettivo dei figli con entrambi i genitori. La letteratura
37 B. Colombo, C. Spettu, “Sostegno e tutela dei legami familiari durante la separazione dentro e fuori le aule
del tribunale”, in Rivista per Psicologia e Giustizia, Anno 13, numero 2, 2012, p. 10;
38 M. Malagoli Togliatti, M. Tafà (a cura di), “Gli interventi sulla genitorialità nei nuovi centri per le famiglie.
Esperienze di ricerca”, Milano, 2005;
39 G. Virzì, “Percorrendo la strada delle relazioni: il bambino conteso nella separazione dei genitori”, Studio
associato prevenire è possibile, 2015, www.prepos.it;
32
infatti ci indica una sorta di impossibilità fisiologica dei genitori coinvolti nella crisi connessa
alla separazione, ad occuparsi sufficientemente dei figli, soprattutto nella prima fase, quando
le energie sono prevalentemente dedicate alla gestione del legame di coppia e dei bisogni
personali40.
“La consapevolezza dell’importanza e della necessità di sostenere il legame genitoriale in
occasione della separazione o del divorzio, ha indirizzato l’intervento psico-sociale alla
ricerca di interventi rivolti alla coppia genitoriale finalizzati a costruire o integrare le
capacità di risoluzione del conflitto e esercitare congiuntamente le funzioni genitoriali. È
sempre più condivisa l’idea che anche le famiglie caratterizzate da modelli di relazione
altamente conflittuale possono comunque far emergere una disposizione alla collaborazione.
Intervenire sul conflitto non significa quindi eliminarlo ma adottare una diversa modalità di
gestione della conflittualità, per esempio basata sulla collaborazione anziché sulla logica
antagonistica, con la finalità di offrire maggiori garanzie affinché i genitori mantengano una
comune genitorialità rispetto ai compiti di cura e di educazione dei figli”41.
I servizi a sostegno della famiglia partono da un principio saldo, espresso così da Grechez:
"Un bambino ha diritto di avere accesso ad entrambi i genitori, ha il diritto di non perdere
metà del suo essere figlio e della sua identità, ha il diritto di non essere obbligato a scegliere
di detestare uno dei suoi genitori" (Grechez, 1992).
Infatti, questi servizi sostengono l'importanza del diritto del bambino di avere rapporti con
entrambi i genitori, partendo dalla convinzione che il minore debba incontrare i genitori
nonostante il forte conflitto coniugale in corso.
3.2 La mediazione familiare
In questi ultimi anni, nella cultura giuridica si sta diffondendo sempre più l’idea che il
processo di separazione debba condurre verso un nuovo progetto esistenziale, il più possibile
condiviso dai suoi protagonisti. In quest’ottica, una risorsa sempre più diffusa per i genitori
che hanno deciso di separarsi è la mediazione familiare.
Sia in ambito clinico e sia in ambito giuridico è stata ormai riconosciuta l’importanza di
tutelare e sostenere il legame dei figli con ciascun genitore durante la transizione della
separazione. Un fattore determinante del buon adattamento dei figli alla separazione è proprio
40 . Virzì, “Percorrendo la strada delle relazioni: il bambino conteso nella separazione dei genitori”, Studio
associato prevenire è possibile, 2015, www.prepos.it;
41 B. Colombo, C. Spettu, “Sostegno e tutela dei legami familiari durante la separazione dentro e fuori le aule
del tribunale”, in Rivista per Spicologia e Giustizia, Anno 13, Numero 2, 2012, p. 6;
33
la continuità dei rapporti tra i figli e ciascuna figura genitoriale, possibile in presenza di
modalità collaborative tra i genitori. Nel campo dell’intervento psico-sociale e giuridico,
questo ha significato adoperarsi per attenuare il conflitto e per valorizzare le possibilità di
cooperazione tra i genitori42.
Nella fase di transizione della separazione, emergono i punti di debolezza e di forza della
famiglia e la capacità della società di supportare le relazioni familiari.
La mediazione familiare è un percorso che cerca di contenere l’intensità del conflitto e di
rigenerare e riorganizzare i legami familiari. Per raggiungere questo obiettivo, i genitori sono
aiutati a comprendere il senso di quanto è loro accaduto, a riconoscere le proprie
responsabilità, a investire le proprie risorse nella relazione con l’altro, affinché si diano loro
stessi delle regole e partecipino alle decisioni che riguardano i loro legami.
Questo percorso può rappresentare per la famiglia coinvolta un momento in cui acquisire
consapevolezza del cambiamento in atto nel proprio sistema familiare e permettere ai genitori
di evidenziare e valorizzare ciò che entrambi possono dare ai figli. I genitori possono
acquisire maggiore consapevolezza dei vissuti e delle esigenze dei propri figli e prepararsi
quindi a una ristrutturazione del proprio equilibrio che permetta la salvaguardia dei legami
generazionali.
Se la separazione è un processo evolutivo che richiede una nuova negoziazione dei rapporti,
ne consegue che gli effetti esercitati dalla disgregazione familiare non risalgono tanto alla
separazione in sé, quanto alla riuscita del processo di riorganizzazione familiare.
La ricca letteratura internazionale sugli effetti della separazione esercitati sui figli documenta
che il processo di conflittualità tra gli ex-coniugi costituisce una delle variabili più
significative in grado di generare conseguenze negative sui figli e incidere negativamente
sulla qualità della riorganizzazione delle relazioni familiari.
La gestione del conflitto improntata alla cooperazione è invece una premessa fondamentale,
anche se non l’unica, per il benessere dei figli43.
La mediazione familiare è sostanzialmente un percorso, scandito da fasi circolari, all’interno
di un setting strutturato in cui il mediatore, favorisce, attiva e sostiene la comunicazione tra i
partner ai fini della gestione del conflitto e a vantaggio della capacità di negoziare sugli
aspetti che riguardano la separazione. E’ fondamentale che, da parte di entrambi i genitori, ci
siano chiarezza e sincerità nelle comunicazioni che vengono date ai bambini.
42 B. Colombo, C. Spettu, “Sostegno e tutela dei legami familiari durante la separazione dentro e fuori le aule
del tribunale”, in Rivista per Psicologia e Giustizia, Anno 13, numero 2, 2012, p. 1;
43 Ibidem, pp. 3-4;
34
I bambini per esempio hanno la necessità di sapere con chi andranno a vivere e quando
avranno la possibilità di vedere l’altro genitore, hanno bisogno di essere rassicurati sul fatto
che entrambi i genitori vogliono loro bene come prima44.
I bambini inoltre, non devono avere un ex-papà o una ex-mamma, sono gli adulti che hanno
deciso di porre fine alla loro relazione matrimoniale, si diventa ex-coniugi ma non si diventa
ex-figli.
Lo stress che la separazione può esercitare sui bambini, può essere alleviato se i genitori sono
in grado di mantenere una relazione collaborativa ed amichevole45.
L’obiettivo privilegiato della mediazione familiare, si realizza quando i genitori si
riappropriano, seppur separati, della comune responsabilità genitoriale, senza lasciare dietro di
sé né vinti né vincitori, e alla fine del loro percorso sono stati in grado di condividere un
progetto genitoriale comune.
La comunicazione nelle relazioni è uno dei punti cruciali della mediazione familiare, pertanto
il percorso di mediazione deve eliminare, laddove possibile, tutti gli ostacoli che impediscono
ai due coniugi di dialogare e di trovare serenamente e in maniera collaborativa la soluzione ai
loro problemi pratici e organizzativi connessi alla separazione46.
Inoltre è di importanza fondamentale che entrambi i genitori siano concordi sugli aspetti
educativi, relazionali, psicologici e in generale, su tutti quegli aspetti che influenzano la
crescita dei figli.
La coppia è chiamata a continuare a svolgere il ruolo genitoriale, attraverso la valorizzazione
delle risorse che afferiscono a tale funzione, queste si possono sintetizzare nei seguenti punti:

riconoscimento del ruolo genitoriale dell’altro;

attenzione ai bisogni del figlio;

consapevolezza che il figlio necessita del contributo affettivo e educativo di ognuno
di loro.
3.3 Gli strumenti della mediazione familiare
La mediazione familiare è uno spazio di incontro in un ambiente neutrale, nel quale i coniugi
in procinto di separazione, già separati o divorziati, hanno la possibilità di negoziare le
44 M. Di Pietro, M. Dacomo, “La separazione dei genitori”, Educazione Razionale Emotiva E.R.E.,
www.educazione-emotiva.it;
45 Idem;
46 M. G. Barraco, “Infedeltà e Tradimento”, Studio associato prevenire è possibile, 2015, www.prepos.it;
35
relative questioni, sia negli aspetti relazionali che in quelli economici. Le parti in mediazione
sono incoraggiate ad elaborare gli accordi che meglio soddisfano i bisogni di tutti i membri
della famiglia, con particolare riguardo all’interesse dei figli. Le decisioni prese nell’ambito
della mediazione dovranno ovviamente rispettare lo schema legale, in quanto esse verranno
comunque sottoposte al controllo ed alla successiva approvazione dell’Autorità Giudiziaria.
Le decisioni adottate attraverso il processo di mediazione avranno sicuramente maggiori
possibilità di essere rispettate, più di quanto ne abbiano quelle imposte dagli organi giudiziari,
in quanto sono decisioni prese dagli stessi ex coniugi, decisioni condivise e stabilite attraverso
un percorso di partecipazione.
Gli accordi raggiunti, in ogni caso, saranno oggetto di valutazione da parte dei rispettivi
avvocati di fiducia prima di essere sottoposti al vaglio del Giudice.
Il mediatore familiare è un terzo imparziale rispetto alla coppia che ha l'obiettivo di sostenere
la coppia stessa durante la fase della separazione e del divorzio. All'interno di questo spazio
neutrale il mediatore familiare si propone dunque come una risorsa alternativa al sistema
giudiziario, volta a favorire la negoziazione di tutte quelle questioni relative alla separazione o
al divorzio. Il mediatore facilita la comunicazione tra i genitori affinchè essi possano superare
l’empasse del conflitto, negozino e trovino accordi equi e soddisfacenti per entrambi.
E’ colui il quale aiuta le parti in conflitto a riconoscere l’altro seppur nel disagio e nel dolore.
Nel corso della mediazione familiare, per aiutare le parti a trovare un accordo soddisfacente,
vengono utilizzati dal mediatore una serie di strumenti:

strumenti di comunicazione: alle parti viene insegnato a comunicare in maniera
civile esprimendo il proprio punto di vista senza accuse o giudizi sull’altro ed
ascoltando attivamente;

strumenti di negoziazione: partendo dall’analisi dei bisogni di ciascuno e tenendo
conto dell’interesse prevalente dei figli, a continuare ad avere rapporti significativi
con entrambi i genitori, le parti vengono aiutate a trovare la soluzione più
soddisfacente per la riorganizzazione della loro famiglia.
E’di fondamentale importanza per il mediatore, ai fini del buon svolgimento della sua azione
mediativa, la conoscenza nonchè l’interpretazione dei tre livelli comunicativi:

il primo livello è quello che descrive la componente verbale della comunicazione.
Questa indica ciò che si dice ovvero la scelta delle parole, la costruzione logica delle
frasi e l'uso di alcuni termini piuttosto che di altri.
36

il secondo livello concerne il paraverbale, cioè il modo in cui qualcosa viene detto.
Ci si rieferisce al tono, alla velocità, al timbro, al volume, della voce.

il terzo livello riguarda il non verbale: tutto quello che si trasmette attraverso la
propria postura, i propri movimenti, ma anche attraverso la posizione occupata nello
spazio e gli aspetti estetici come il modo di vestire o di prendersi cura della propria
persona.
Anche il silenzio è un elemento da tenere in considerazione, da interrompere quando genera
imbarazzo e da rispettare, quando invece è ricerca e riflessione. Il silenzio costituisce un
modo strategico di comunicare e il suo significato varia con le situazioni, con le relazioni e
con la cultura di riferimento. In generale il valore comunicativo del silenzio può essere
attribuibile alla sua ambiguità, dal momento che può essere un segnale sia di un ottimo
rapporto e di una comunicazione intensa, che di un pessimo rapporto e di una comunicazione
deteriorata.
Il silenzio può svolgere diverse funzioni:

Gestione dei legami affettivi (avvicina o allontana)

Valutazione (consenso o dissenso)

Rivelazione (rendere o meno manifesto qualcosa)

Attivazione (può indicare una forte concentrazione mentale o una dispersione
mentale)
Il silenzio è parte integrante dello scambio verbale che si verifica nel corso del colloquio
stesso
Il silenzio può avere diversi significati:

Può essere un momento di riflessione, il soggetto ha bisogno di fermarsi a riflettere
davanti ad un quesito problematico.

Può derivare da aspetti emozionali, sentimenti che il soggetto prova in quel dato
momento, che bloccano il flusso di parole.

Può manifestare resistenza o opposizione, si rifiuta di partecipare .

Può essere vuoto e privo di comunicazione.
37
Come il silenzio anche l’ascolto è un elemento imprescindibile della situazione comunicativa
di colloquio.
Il mediatore al fine di facilitare l’emissione delle risposte, può utilizzare alcune strategie
durante il colloquio:

Riformulazione : si riformulano i concetti principali del discorso ripetendoli in forma
interrogativa;

Reiterazione a riflesso semplice: riutilizzare le stesse parole formulate dai soggetti,
per incoraggiarli a continuare;

Sintesi: si ripropongono temi importanti, riscontrando nessi
tra temi e problemi
trattati;

Riflesso parziale: è il medoatore che in questo caso, decide cosa è più importante
trascurando il resto;

Verbalizzazione di sentimenti: vi è una riproposta del mediatore, verso il soggetto, di
sentimenti che sono sembrati sottesi dalle parole di quest’ultimo, favorendo così il
processo di esternazione dei sentimenti e degli stati d’animo.

Comportamento a eco: il mediatore utilizzale “parole eco” cioè ripete le ultime parole
utilizzae dal soggetto per incoraggiarlo a riprendere e continuare il discorso;

Riconduzione del soggetto al tema: il mediatore distoglie dalle divagazioni il soggetto
riportandolo verso il tema principale.
3.4 Ostacoli e vincoli alla mediazione
Un primo compito molto importante e sostanziale, a capo del mediatore è quello di valutare se
esistano o meno degli ostacoli al percorso di mediazione. Il mediatore deve assistere le parti
nella valutazione dei benefici, rischi e costi della mediazione stessa e deve informare dei
metodi alternativi a loro disposizione per la soluzione dei loro problemi. Il mediatore
familiare non deve prolungare la mediazione inappropriatamente o senza necessità, se diviene
evidente che il caso sia inadatto alla mediazione familiare, o se una o più parti risulti rifiutare
o essere incapace di partecipare al processo di mediazione in modo significativo.
Quando si parla di ostacoli alla mediazione, essi possono essere causati da vari fattori come:

la presenza di un iter giudiziario = denunce, consulenze tecniche, maltrattamento ed
altro
38

il tipo di richiesta= un’attenta analisi della domanda è necessaria durante la fase
conoscitiva/informativa per evitare richieste “mascherate”, tra cui una presa in carico
di tipo terapeutico

il tipo di invio= ad esempio un invio coatto da parte del Tribunale

presenza di una patologia al livello individuale o relazionale.
E’ importante sottolineare che prima di effettuare un percorso di mediazione familiare è
necessario valutare se esiste o meno per quella determinata coppia la possibilità di compiere
tale percorso. E’ importante avere la consapevolezza che non tutte le coppie sono mediabili,
cioè in grado di compiere un percorso di mediazione.
Come già detto, una fase di rilevanza fondamentale è quella della valutazione, che permette di
capire se è possibile intraprendere tale intervento, attraverso la raccolta di informazioni che
permettono di osservare la presenza di eventuali vincoli od ostacoli.
Gli ostacoli non rendono possibile la mediazione, quando non sussistono delle risorse da
attivare, al fine di creare un contesto positivo nel quale realizzare gli interventi47.
Quando si parla di vincoli invece, si intendono quelle situazioni che non possono essere
modificate o elaborate in sede di mediazione e che pertanto la rendono irrealizzabile. Si pensi
per esempio a situazioni in cui è presente una patologia psichiatrica, abuso e violenza sul
minore, una condanna penale o un altissimo grado di conflittualità tra i coniugi48.
Alla luce di ciò è possibile comprendere come nei casi di maltrattamento e/o abuso sui figli o
sul coniuge e di denunce penali è impossibile attivare un canale di comunicazione e di fiducia.
E’ pertanto auspicabile la presenza di una genitorialità responsabile sia in termini giuridici sia
a livello di autonomia. La mancanza di autonomia infatti, può derivare da vari fattori, come ad
esempio, un’eccessiva ingerenza della famiglia d’origine, degli avvocati o dalla dipendenza di
sostanze stupefacenti, pertanto può rappresentare un vincolo ma anche un ostacolo, nella
misura in cui non permette una matura assunzione di responsabilità.
Il contesto coatto, spesso presente in un servizio sociale di tutela del minore, è un vincolo in
quanto impedisce l’instaurarsi di un clima di fiducia tra i genitori e l’operatore.
La fase valutativa è molto significativa soprattutto perché aiuta ad individuare una serie di
parametri che permettono di capire se è possibile effettuare un intervento di mediazione,
quali:

le modalità espressive del conflitto,
47 M. G. Barraco, “Infedeltà e Tradimento”, Studio associato prevenire è possibile, 2015, www.prepos.it;
48 Idem;
39

gli stili interattivi della coppia e della famiglia,

fase del ciclo vitale della famiglia,

fase del processo di adattamento alla separazione,

ruolo delle famiglie d’origine,

disponibilità ad accettare un contesto alternativo,

risorse a disposizione di ogni coniuge,

esercizio del ruolo genitoriale.
Un mediatore deve declinare l'incarico, ritirarsi o richiedere assistenza tecnica specializzata
quando ritiene che un caso ecceda la sua competenza professionale.
In alcuni casi, ci sono coppie che non riescono ad utilizzare positivamente lo strumento della
mediazione familiare e vengono pertanto definite non mediabili: coppie che procedono nel
conflitto per anni senza trovare mai soluzione alle proprie difficoltà e senza mai fare ricorso
con successo all’aiuto di un professionista della psiche; coppie che tendono ad escludere un
genitore, favorendo così l’instaurarsi della cosiddetta sindrome di alienazione genitoriale;
coppie nelle quali il conflitto ha determinato il disinteresse pressoché totale da parte di uno
dei due genitori nei confronti dei figli o ha addirittura fatto sì che un genitore rinunciasse sin
dall’esordio alla propria funzione genitoriale, non riconoscendo il nuovo nato come proprio
figlio-discendente. Nonostante le perplessità di alcuni mediatori, l’esperienza maturata in
questi anni ha mostrato che inserire in un percorso di mediazione coppie siffatte non solo può
rischiare di non produrre risultati positivi, ma può addirittura risultare dannoso, in quanto, in
seguito al fallimento del tentativo di mediazione, i due genitori finiranno per sentirsi rinforzati
nel loro senso di impotenza e nell’idea della ineluttabilità del conflitto in cui sono invischiati.
In questi casi, le coppie finiscono per delegare, come estrema possibilità, al sistema
giudiziario la soluzione delle proprie difficoltà.
Lo scopo della mediazione familiare è quello di guidare la coppia verso la cooperazione, la
comprensione e la tolleranza, e non è pertanto appropriata per questo tipo di coppie e per le
famiglie in presenza di PAS.
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CONCLUSIONI
La coppia che si separa lo fa rispetto alla propria relazione affettiva e non in qualità di
genitori, anche se purtroppo questo è ciò che spesso accadde in molte situazioni. Diventa
pertanto indispensabile imparare a collaborare con l’ex coniuge, per poter così garantire
l’esercizio della funzione genitoriale, consentendo ai figli di avere un normale rapporto
affettivo con entrambi i genitori. Inoltre l’accesso alla relazione con il genitore non
convivente è anche una garanzia di accesso ad entrambe le storie familiari.
La situazione ideale dopo la separazione sarebbe quella improntata all’esercizio di una
genitorialità condivisa, in cui i genitori devono riorganizzarsi, rispettando i reciproci spazi,
per poterla esercitare insieme nell’interesse dei figli. Il problema è che diventa molto difficile,
soprattutto a livello emotivo, tenere distinta la coniugalità dalla genitorialità, soprattutto nella
fase iniziale della separazione, in cui le emozioni sono più intense ed è più facile lasciarsi
travolgere dall’evento separativo.
Sarebbe opportuno non lasciarsi travolgere dalle emozioni, dalla delusione profonda che
accompagna ogni separazione e cercare di mantenere il controllo della situazione, tenendo
presente l’obiettivo più importante ovvero quello di portare in salvo qualcosa di buono dal
legame che c’è stato, riconoscendo la comune responsabilità genitoriale.
La separazione in sé, non è un evento assolutamente negativo, anzi la separazione è
connaturata alla esistenza dell’essere umano. La vita di ogni individuo è connotata da
momenti separativi, pensiamo alla nascita come separazione, o allo svezzamento e crescita
come separazione, e infine alla morte come separazione definitiva. In questo senso la
separazione è contenuta all’interno di tappe evolutive che normalmente devono verificarsi.
E’ importante tenere sempre presente che essa rappresenta certamente una delle fasi più
delicate e stressanti della storia familiare, accompagnandosi a stati d’ansia, depressione,
incertezza e disorientamento dei singoli membri coinvolti. Considerando la separazione come
una fase fisiologica della vita, è facile comprendere come non sia la separazione in sé a
generare ripercussioni negative, ma è come gli individui affrontano tale evento che può
portare a esiti più o meno gravosi. Il conflitto in sé non è negativo, bensì è una forza neutrale,
dalla quale si può prendere spunto per la propria crescita personale e il cambiamento. Ciò che
conta è se c’è la volontà di affrontare e gestire il conflitto in modo maturo e responsabile.
L’energia generata dal conflitto può essere utilizzata in modo costruttivo, anziché distruttivo e
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quando i conflitti vengono risolti in modo cooperativo invece che attraverso la contestazione,
le relazioni possono uscirne migliorate e addirittura rafforzate.
Se c’è buona volontà da parte dei coniugi, percezioni ed atteggiamenti reciproci possono
cambiare così in seguito, la mutata atmosfera di apertura, ascolto e cooperazione può
irradiarsi da essi ad altri membri della loro famiglia. Risolvere un conflitto significa andare
oltre le singole ragioni dell’uno o dell’altro, si lasciano perdere colpevolizzazioni inutili per
lasciare spazio al riconoscimento dell’altro e delle reciproche differenze, ai fini del
raggiungimento di un obiettivo di comune interesse.
E’ in questo contesto che la Mediazione familiare può essere considerata un valido strumento,
a disposizione delle coppie che intendono separarsi in modo maturo e responsabile, aiutandole
nell’elaborazione della fine della propria unione. La separazione pertanto diviene un lavoro di
coppia, così come insieme ci si sposa, così insieme ci si separa. L’obiettivo comune è quello
di gestire insieme il conflitto, nonchè ridefinire i nuovi confini familiari. Lo scopo principale
da raggiungere è rappresentato dal benessere dei propri figli, andando al di là del conflitto
coniugale, guardando al futuro piuttosto che al passato in un’ottica di rispetto della
cogenitorialità.
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