prato e calvisano

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prato e calvisano
PRATO E CALVISANO,
LINGUAGGI DIVERSI
Prima partita di finale scudetto
tra Prato e Calvisano. La
"noia" (meglio illustrata nel
break della scorsa settimana)
continua: vincono sempre la
mischia e i calci. Che sono
sempre stati gli argomenti
più convincenti del rugby,
nonostante tutti i tentativi
- che continuano - di farli
passare di moda.
Nel primo tempo 17-3 per il
Prato, nel secondo 24-5 per
il Calvisano. Alla fine un 2227 per la squadra di Andrea
Cavinato, confezionato anche
da 21 mischie (più lOresets!!),
25 calci di punizione (13-12
per il Calvisano), 2 cartellini
gialli (uno per parte), 12 punti
di piede per squadra parte,
due mete contro tre e i cinque
punti di differenza alla fine
sono proprio in una meta.
Dal grosso delle cifre si
capisce bene che è stata una
partita piena. Piena anche di
errori ma sotto certi aspetti
didascalica di due modi di
interpretare (almeno in questa
partita) uno stesso gioco.
SQUADRE.Il Prato è
parso una squadra di scuola,
chiara nelle sue scelte, un
po' come i suoi allenatori,
simpatici, estroversi
(da
dibattito televisivo...) ma
poco concreti. Più attraente
che efficace. Per la seconda
partita
dovrà
inventarsi
qualcosa, perché contro il
Calvisano non bastano i
volumi e le belle espressioni,
spesso frantumate da una
tecnica individuale pellegrina
(se le gambe sono il motore
dei trequarti, le mani buone
sono l'impianto elettrico).
Calvisano è sembrato una
squadra di cultura scientifica,
come la laurea in architettura
del suo tecnico, esperta,
strutturata sull'avversario e
con una buona dosedicinismo.
Battuta ma non umiliata
nel primo tempo è parso
evidente che si era preparata
un discorso tattico, vanificato
per disattenzione (quattro
penalty incassati da Wakarua)
e scarsa reattività (meta di
Ngawini). Forse è bastato far
capire che il discorso doveva
essere chiaro e percepibile e
che i punti deboli potevano
essere ovviati, perché le cose
cambiassero. Se Cavinato ha
saputo far questo e azzeccare
poi i cambi, il merito è tutto
suo. Lui ha fatto il "discorso
del re" e Griffen è stato il suo
microfono
CINISMO.- Le partite di play
off non si giocano, si vincono.
Il bello va ignorato a favore del
concreto. Non sarà piacevole,
ma chi ha inventato i play
off non pensava all'estetica,
né allo stile rugby, né ai
meriti pregressi o presenti,
tantomeno (17-3 per il Prato)
ai meriti parziali. Per vincere
i play off è necessario essere
scarsamente rugbisti, solo
cinici, perché l'obbiettivo è
uno solo.
Personalmente penso di
aver compreso perché un
campione vince di più, da
un pessimo esempio arrivato
da Eddy Merckx, forse il più
grande ciclista di ogni tempo,
il "cannibale". Scrivo queste
note nel giorno in cui il Giro
d'Italia ha fatto tappa a Lago
Laceno, vicino ad Avellino.
Anche nel lontano 1976 ci era
arrivato e quel giorno accadde
lo "scandalo" Merckx che
ebbe per vittima Francesco
Moser.
CANNIBALE.Da
appassionato
cronista
innamorato
di
ciclismo
cadevo spesso nell'enfasi
che si trascina questo sport.
D I LUCIANO R A V A G N A N I
[email protected]
Il giorno prima, con Moser
vincitore di una cronotappa
e maglia rosa, avevo alzato
peana al campione trentino.
Ma quel giorno, sulle rampe
di Lago Laceno, Moser non
si sentiva bene, l'intestino
lo aveva tradito. Era nel
gruppetto di "gentiluomini"
che si contendevano la tappa,
quando si alzò un grido,
irripetibile, che Claudio
Bortolotto, gregario di Moser,
mi definì chiaramente nei
termini più tardi. In sostanza
Merckx, che correva alla
ruota di Moser, aveva urlato
che la maglia rosa se la stava
facendo (letteralmente) sotto
e che il guano colava fino
alle pedivelle. Quella frase
crudele e irrispettosa fu come
la tromba della carica. Moser
venne attaccato, distrutto
nel morale e nella dignità
di atleta, perse la maglia
rosa. Merckx non vinse il
giro (che andò a Gimondi),
non si fece certo amici in
gruppo o nella carovana,
ma con quell'azione diede
la dignità di cinismo (che è
una filosofia) a un termine
disgustoso. Il "cannibale"
non si era smentito.
SPUGNA.- Un pessimo
esempio,
ripeto.
Ma
indicativo. Quando uno sport
identifica il divertimento solo
nel successo, i termini del
rapporto devono solorispettare
le regole scritte. Altrimenti si
fanno altre cose (stavo per
scrivere altri sport...). Dica,
sinceramente, chi ha visto nel
secondo tempo la mischia del
Calvisano disintegrare quella
del Prato, nove introduzioni
più otto reset, tre penalty
trasformati in mischie, due
mete di penalizzazione, quasi
20 minuti ad arare nei 5 metri,
di non aver pensato al "getto
della spugna"; che era troppo
e che doveva finire presto.
Impietoso il rugby vero lo è
sempre stato. Cinico è soltanto
una presa d'atto contingente.
ARBITRI.- Carlo Damasco,
il nostro arbitro migliore,
ha diretto il primo play off
scudetto. Come si è detto,
troppe le cose nel match, per
dire (per quel che consente la
tv) che è stato perfetto. Certo
che ha imposto la sua serenità
e capacità di convincere, il
suo modo di arbitrare. E a
proposito del "modo" va detto
che Damasco ha arbitrato per
la quinta volta in stagione
il Calvisano (2 vittorie,
1 pari), per la seconda il
Prato (un pari, 1 sconfìtta).
Ecco, il Prato per il secondo
match dovrà anche ripassarsi
l'arbitro designato. Non è
bello dover giocare secondo
l'arbitro, ma ormai sappiamo
che è così. Nella stagione
regolare scorsa, Calvisano e
L'Aquila sono stati diretti da
9 arbitri; Prato e Mogliano 11,
Rovigo e S: Gregorio da 13.
C'è differenza. Il Calvisano
è stato diretto in particolare
da Falzone e Damasco, il
Prato da Penne (5 match), il
Rovigo da Damasco (3), il
Mogliano da Mancini (4),
il Petrarca nessuno più di 2
partite. Distribuire 15 arbitri
(più 3 stranieri) in 90 partite
e accontentare tutti non è
semplice, ma è fuor di dubbio
che abituarsi a certi arbitraggi
è vantaggioso. Per quello che
si vuol fare e quello che si può
fare. Soprattutto nelle mischie
ordinate e nel gioco a terra
(che è ormai la stragrande
maggioranza).
CURIOSITÀ'. - Sempre
parlando di mischia, qualcosa
- per interposto club - unisce
l'elezione di Francois Hollande
a presidente della repubblica
francese, a questo reparto così
discusso e così pacificamente
indispensabile nel rugby.
Hollande, appassionato di
rugby, nel corso della sua
carriera politica, è stato sindaco
di Tulle, cittadina della Corréze
nella quale (75,7 % di voti per
lui) ha tenuto il suo primo
discorso dopo l'elezione. Nel
panorama del rugby francese
Tulle, costituito nel 1921,
ora relegato in Federale2, è
stato fino agli Anni 80 un club
temibile soprattutto per il suo
pack di ferro, illustrato a livello
internazionale dai nomi, tra
gli altri, di Berejnoi, Michel
Yachvili (padre del mediano
di mischia del Biarritz) e
Rossignol. In questa cittadina,
ancora totalmente votata al
rugby come tutta la Corréze,
l'elezione di Hollande ha in
parte mitigato la delusione
rugbistica per la retrocessione
del Brive (roccaforte principale
della zona e scuola di pack) dal
Super 14 al Pro2. Non tutte le
mischie...