13 novembre 2014 - Il quotidiano giuridico

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13 novembre 2014 - Il quotidiano giuridico
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE ORDINARIO di MONZA
Seconda Sezione CIVILE
Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Alessandro Gnani ha pronunciato ex art. 281 sexies c.p.c.
la seguente
SENTENZA
nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 9273/2012 promossa da:
G.M. cf Omissis
ATTORE
avv. Galli A. M.
contro
F.A.I. cf omissis
avv. Galbusera E.
CONVENUTA
CONCLUSIONI
Le parti hanno concluso come da fogli allegati al verbale d’udienza.
Concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione
Il Fatto
Agisce l’attore allegando di aver concluso con un’agenzia immobiliare una proposta di acquisto di un
appartamento, di proprietà della convenuta; di aver versato alla agenzia €10.000 a titolo di acconto sul
prezzo e/o caparra confirmatoria, poi incassati dalla convenuta, la quale accettò la proposta di acquisto
formulata dall’attore.
L’azione è per la restituzione dell’acconto/caparra e del risarcimento del danno per aver pagato la
provvigione all’agenzia. Le doglianze dell’attore sono le seguenti: a) avrebbe scoperto solo in seguito
che il sottotetto non era abitabile e che il bagno ricavatovi era abusivo; quando invece gli era stato
confermato dal mediatore che si trattava di mansarda abitabile; b) avrebbe saputo solo in seguito che il
prezzo di acquisto era vincolato alla presenza di una convenzione urbanistica, che impediva di
raggiungere il prezzo fissato in proposta d’acquisto e gli impediva di rivendere il bene ad un libero
pezzo.
Parte convenuta allega invece l’inadempimento dell’attore, il quale decise di non andare a rogito,
nonostante invitato, e chiede di trattenere l’importo di €10.000.
In diritto.
Sul preteso inadempimento di parte convenuta
Entrambi i profili dedotti dall’attore non paiono qualificabili come inadempimento dell’attrice. La
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proposta d’acquisto infatti era chiara: da un lato non si parlava di mansarda abitabile, ma di sottotetto
(v. oggetto della proposta); e quindi non poteva l’attore fare affidamento su tale proposta per intendere
la presenza di un vano abitabile. La dizione di sottotetto deve far pensare ad un vano non abitabile.
Anche la questione della presenza di una convenzione urbanistica vincolante era chiaramente
esplicitata della proposta d’acquisto: si parlava della convenzione urbanistica, e si diceva che il prezzo
era vincolato con riguardo all’appartamento (mentre era libero per il box e per il sottotetto).
Dunque, le obbligazioni che scaturivano dalla proposta a carico dell’alienante erano chiare.
Parte attrice non ha allegato alcun vizio del consenso in sede di firma della proposta d’acquisto. Non ha
chiesto l’annullamento. Dunque firmò per un contratto di cui doveva avere piena coscienza.
Si può peraltro notare che, semmai, la questione potrebbe riguardare il solo mediatore, ai sensi
dell’art.1759 c.c. Ma non mai la venditrice. La trattativa – come riferito in citazione – fu condotta solo
col mediatore, il quale fu il solo a far visionare l’immobile all’attore. La convenuta non era nemmeno
nota all’attore al tempo della proposta d’acquisto. Se dunque vi fu deficit informativo, ciò può
riguardare semmai il mediatore, non la convenuta. Ella firmò quando l’attore aveva già proposto
l’acquisto, e non poteva immaginare che, durante la trattativa, l’attore si fosse fatto l’errata convinzione
di un sottotetto abitabile. Del pari, non poteva immaginare che l’attore non sapesse della presenza della
convenzione urbanistica. Peraltro – sia detto per inciso – il bene fu poi venduto ad un terzo (come da
rogito prodotto) per un prezzo superiore a quello pattuito nella proposta d’acquisto con l’attore (stante
la libera determinazione del prezzo per box e sottotetto); sì che il timore dell’attore di non poter
rivendere poi ad un prezzo superiore, appare ingiustificato.
Ancora, non vi sono elementi per ritenere che la trattativa condotta dal mediatore – se per ipotesi la si
volesse ritenere scorretta, deficitaria, e rilevante ai fini dell’art.1759 c.c. – sia anche riferibile
all’attrice; non vi sono allegazioni da cui risulti che il mediatore agì su specifico mandato in
rappresentanza della attrice; non vi sono specifiche allegazioni per ritenere ad esempio che il sito
pubblicitario sia stato curato dal mediatore, con quella determinata informativa (eventualmente
decettiva: non si parlava di sottotetto ma di mansarda), su specifica direttiva della convenuta.
Si deve quindi concludere nel senso che eventuali contegni decettivi causati all’attore sono
ipoteticamente imputabili al solo mediatore, nell’esercizio della sua attività imprenditoriale, ma non
alla venditrice.
Sulla caparra confirmatoria
A questo punto occorre qualificare il titolo della somma data al mediatore (€10.000), e poi da questi
girata alla venditrice (fatto pacifico).
Se si tratta di acconto sul prezzo, esso andrebbe restituito al convenuto, per il semplice fatto che il
definitivo non si è concluso e quindi non vi è più alcuna causa a sorreggere la dazione. Trattandosi di
risoluzione per mutuo dissenso, il suo effetto retroattivo imporrebbe la ripetizione di una somma, ormai
sine causa.
Se invece si tratta di caparra confirmatoria, allora l’attrice avrebbe diritto a ritenere la somma. E questo
perché l’attore è divenuto inadempiente nei suoi confronti: rifiutò di addivenire al contratto di vendita
definitivo, per ragioni (come sopra indicate) non riferibili alla venditrice; dunque, verso la stessa, il
comportamento fu ingiustificato, qualificabile come violazione dell’impegno di addivenire al rogito.
Ciò detto, parte attrice s’appella alla giurisprudenza della Cassazione, secondo cui – a prescindere dal
nome dato dalle parti – una somma erogata entro un contratto con obbligazioni a carico di una sola
parte non può qualificarsi come caparra: poiché essa ha funzione di coazione di adempimento
necessariamente bilaterale; mentre bilateralità mancherebbe se una delle due parti non è tenuta ad alcun
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obbligo.
L’affermazione si trova per la prima volta nella sentenza della Cass.1729/77, e ribadita nella sentenza
n.8488/00. Si trattava nel primo caso di un patto d’opzione e nel secondo caso di un preliminare
unilaterale. Poi vi è Cass.3823/95 che ribadisce il principio in un caso analogo al presente, in cui la
somma era stata data al mediatore, affinchè poi la girasse al venditore con l’accettazione della proposta
d’acquisto.
Ciò premesso, nel caso di specie, la proposta d’acquisto all’art.5 disponeva che: la somma di €10.000
venisse trattenuta dal mediatore in deposito fiduciario, con obbligo di restituzione ove il venditore non
accettasse la proposta d’acquisto; in caso di accettazione, invece, la somma andava consegnata al
venditore “a titolo di caparra confirmatoria”.
Ad avviso del giudicante, l’orientamento su espresso della Cassazione non può essere seguito appieno.
Il patto di caparra è un patto a natura reale. La coazione bilaterale all’adempimento si produce al tempo
– e non prima – della consegna del denaro. Tutto si risolve nello stabilire se, dinnanzi ad una sfasatura
temporale tra versamento della somma e ricezione da parte dell’altro contraente, occorra riferirsi al
primo momento temporale oppure al secondo, onde valutare gli effetti obbligatori del contratto
(bilaterali o unilaterali). Non pare dubbio che, al tempo in cui il venditore riceve la somma avendo egli
accettato la proposta d’acquisto, il contratto è produttivo di obbligazioni anche per questi, e quindi può
svolgersi in senso bilaterale la cennata funzione di coazione all’adempimento.
Ebbene, tra il tempo della dazione e il tempo dell’effettiva consegna, ai fini del perfezionamento della
realità connotante il patto di caparra, si deve preferire il secondo, in un caso come questo, e in generale
ogni qual volta la dazione non sia fatta al rappresentante della controparte negoziale, ma ad un soggetto
che assume le vesti di terzo (assimilabile al depositario ex art.1773 c.c.), in posizione di equidistanza
tra le parti. Se si trattasse di rappresentante, invero, la dazione coinciderebbe con l’acceptio, effettuata
in nome altrui. Nel caso di specie invece la dazione avviene a un soggetto terzo, quando l’iter della
fattispecie non è ancora perfezionato: il terzo è tenuto a restituire la somma ove l’altra parte
contrattuale non accetti la proposta d’acquisto. Ciò equivale a mancato perfezionamento della
consegna. La qualificazione in termini di caparra opera solo con la successiva accettazione e quindi con
la finale dazione della somma dal terzo all’altra parte. È in questo momento che si perfeziona l’iter
procedimentale del patto, e può ritenersi avvenuta la consegna; in questo momento il contratto ha
efficacia obbligatoria bilaterale.
In effetti, al tempo in cui il venditore accetta la proposta, accetta anche il patto di caparra, e quindi la
somma viene versata dal proponente l’acquisto prima ancora che sia concluso il patto di caparra. Ma
ciò non pare dirimente. Dirimente, ai fini della validità ed efficacia del patto reale è solo che la
consegna sia coeva alla conclusione del patto. Ed è ciò che accade anche nel caso di specie,
intendendosi la consegna come ricezione della somma da parte del venditore; ricezione coeva alla sua
accettazione della proposta d’acquisto (valevole pure come accettazione del patto di caparra).
Non pare inammissibile, entro l’autonomia privata procedimentale, uno schema in cui una parte
propone all’altra la conclusione di un patto accessorio di caparra, nel frattempo anche compiendo il
primo atto della traditio (fattispecie anch’essa frazionabile), mediante versamento dell’oggetto della
caparra a un terzo, e acconsentendo che la traditio si perfezioni al tempo in cui l’oblato del patto di
caparra accetti detto patto.
Dunque, si deve affermare che la somma consegnata dal firmatario di una proposta d’acquisto al
mediatore, depositario fiduciario, affinchè egli la consegni al venditore al tempo in cui firmerà per
accettazione, può valere come caparra confirmatoria, conformemente alla volontà negoziale espressa
nella proposta d’acquisto, poiché la fattispecie del patto reale di caparra si perfeziona solo al tempo
della recezione della somma da parte del venditore (e non della dazione al mediatore), allorchè il
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contratto è bilateralmente produttivo di obbligazioni.
Rimane solo da dire che il recesso collegato alla ritenzione della caparra può esser fatto valere anche in
giudizio come eccezione riconvenzionale (Cass.2399/88). E tanto accade nel caso di specie, dove la
convenuta conclude per il rigetto della domanda attorea e quindi per la ritenzione della somma di
€10.000, allegando l’inadempimento dell’attore, e con ciò richiamando il presupposto legittimante il
recesso ex art.1385 c.c. Del resto, la difesa invoca espressamente l’art.5 della proposta d’acquisto, che
conferma la qualificazione di caparra.
Le spese di lite sono compensate attesa la opinione contraria della Cassazione in ordine alla qualifica di
caparra confirmatoria nel caso di specie.
p.q.m.
rigetta la domanda attorea e compensa le spese di lite.
Sentenza resa ex articolo 281 sexies c.p.c., pubblicata mediante lettura alle parti presenti ed allegazione
al verbale.
Monza, 25 novembre 2014
Il Giudice
dott. Alessandro Gnani
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