2016.02.16 Corriere BO CELE
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Codice cliente: 2495859 17 Corriere di Bologna Martedì 16 Febbraio 2016 BO Cultura Spettacoli Il lutto Addio a Gatteschi guida della Zanichelli Aveva passato ben quarant’anni in Zanichelli e con la sua guida del settore commerciale la casa editrice bolognese ha raggiunto i risultati migliori di una lunga storia. È scomparso sabato a Bologna, dopo una breve malattia, Gino Gatteschi, fino all’anno scorso a capo del commerciale di Zanichelli, che oggi lo ricorda per la sua «visione del lavoro lucida, innovativa e coraggiosa». Gatteschi, nato nel 1951 a Poppi in provincia di Arezzo, aveva L’intervista Sabina Guzzanti racconta il suo nuovo monologo «Come ne venimmo fuori», in cui guarda ai nostri anni con gli occhi e la serenità di chi se ne sente affrancato. Con la regia di Gallione. Oggi a Ferrara, poi a Bagnacavallo e Bologna Da sola Sabina Guzzanti sul palco durante il nuovo spettacolo che toccherà tre città diverse in regione, a partire da oggi Locandina Lo spettacolo si intitola Come ne venimmo fuori (proiezioni dal futuro), ed è scritto e interpretato da Sabina Guzzanti con la regia di Giorgio Gallione È in scena questa settimana in ben tre teatri della nostra regione (stasera al Comunale di Ferrara, 0532/202675, venerdì a Bagnacavallo, 0545/64330, sabato al teatro Il Celebrazioni di Bologna, 051/4399123, tutti alle 21) Io mi documento sempre Lo facevo anche quando imitavo Valeria Marini Per costruire questo lavoro, ho letto libri di economia «Proiettati nel futuro Fatto di democrazia» L a vera idea liberatoria, quello che Sabina Guzzanti chiama «il centro emotivamente attraente» del suo nuovo spettacolo, Come ne venimmo fuori, sta nel guardare ai nostri anni con gli occhi e la serenità di chi se ne sente affrancato. Questi nostri anni, definiti dall’attrice romana senza mezze parole «secolo di merda», popolato da cittadini inermi chiamati «merdolani» (che saremmo noi), hanno un inizio e una fine esatti come una carta d’identità: la data di nascita è il 1990, quello di morte il 2041. Oggi, in piena epoca «merdolana», al pensiero che le cose possano cambiare, si rimane sbigottiti. Eppure, ci suggerisce la protagonista del monologo, la fine del tunnel arriverà. Come, non lo dice nean- che sotto tortura. Di certo, sarà un mondo armonico e civile, il denaro non sarà più un fine ma un mezzo e i «merdolani» non erano stupidi come si credeva. Come ne venimmo fuori (proiezioni dal futuro), scritto e interpretato da Sabina Guzzanti con la regia di Giorgio Gallione, è in scena questa settimana in ben tre teatri della nostra regione (stasera al Comunale di Ferrara, 0532/202675, venerdì a Bagnacavallo, 0545/64330, sabato al teatro Il Celebrazioni di Bologna, 051/4399123, tutti alle 21). Signora Guzzanti, un titolo al passato remoto ci proietta in un futuro immaginifico che sa di balsamico: non sarà utopia? «Il futuro di cui parlo è democratico e non dovremmo ar- renderci considerando la democrazia un’utopia. Tralasciando i vari politici che mentono per lavoro, tra di noi ci sono tante persone comuni che hanno amore per la democrazia, ma sono angosciate, preoccupate». Perché secondo lei? «Per questioni di sopravvivenza, principalmente». Interpreta una donna che ha l’incarico di pronunciare un discorso sul secolo più buio dell’umanità facendo ridere, in realtà ha letto testi di economia per costruire questo lavoro. «Ma io mi documento sempre. Lo facevo anche quando imitavo Valeria Marini, l’ho fatto ora per parlare di questo sistema politico in cui dagli anni 80 ci convincono a seguire pre- cise regole economiche alternative alla catastrofe. Un po’ come Renzi: o lui o morte». Renzi è solo l’esempio più recente. «Infatti questo è un pensiero elaborato nel corso dei secoli. L’importante è esserne consapevoli. Ora ci dicono che non ci sono più soldi. E dove sono andati se prima c’erano?». Perché il secolo buio inizia con il crollo del Muro di Berlino? «Io a 15 anni già manifestavo a favore del crollo del Muro, quando poi è caduto davvero ero felicissima, ma col tempo ciò ha causato solo l’impossibilità dell’alternativa». Cioè la morte delle ideologie? «La morte della sinistra. Esistono solo sfumature di de- Quando nello spettacolo cito i dati degli italiani che non sono in grado di comprendere il contenuto di un giornale, c’è da preoccuparsi Syusy svela la donna misteriosa Melluso e Schiavo firmano il doc su Matilde di Canossa con la Blady Da sapere Matilde di Canossa è al centro di un documentario in fase di realizzazione che vede protagonista Syusy Blady È prodotto dalla società bolognese Pop Cult e finanziato in parte dall’EmiliaRomagna Film Commission Coca-Cola è nata nel 1892, Disney è del 1923, Ikea è del 1943, Nike nasce nel 1967, la Apple nel 1976. I marchi più famosi, amati, o odiati, o comunque discussi sono nati negli ultimi 100 anni». Così Syusy Blady motiva il suo interesse per un brand che invece ha quasi mille anni alle spalle, quello legato a Matilde di Canossa, al centro di un documentario in fase di realizzazione che la vede protagonista. Prodotto dalla società bolognese POPCult e finanziato in parte dall’Emilia-Romagna Film Commission, La signora Matilde vedrà la Blady trasformarsi in una professoressa di marketing, pronta ad attraversare i luoghi matildici per far conoscere, specie ai più giovani, una delle donne più potenti e misteriose della storia. La novità del film diretto da Marco Melluso e Diego Schiavo sta proprio nell’affrontare con piglio brillante e ampio ricorso a segni grafici, emoticon compresi, una figura imponente, di cui l’anno scorso si sono ricordati i 900 anni dalla morte, che visse la sua esistenza tra intrighi e scomuniche. Il gioco continuo di specchi nel film vedrà agitarsi la Sacro Romano Impero Inc. e la Papato Spa, con i due contendenti impegnati in un continuo Risiko che vede diretto le filiali Zanichelli di Varese e Torino, prima che Federico Enriques lo nominasse nel 2001 direttore commerciale. Negli ultimi anni, poi, aveva creato una rete di docenti formatori che aveva avvicinato decine di migliaia di insegnanti alle tecnologie digitali nella didattica. contrapposti l’imperatore Enrico IV e papa Gregorio VII, trasformato in una sorta di Steve Jobs dell’epoca. «La storia di Matilde è un po’ ostica — dice il regista Melluso — e per questo abbiamo puntato sulla sua capacità di creare un ‘brand’ di se stessa in grado di funzionare in tutt’Europa, dagli Appennini a Bruxelles. Come dimostra la diffusione trasversale del detto ‘andare a Canossa’ per indicare un atto di sottomissione”. Il film, che una volta concluso verrà proiettato in festival e sale, è stato anche proposto alla Rai e sarà diffuso in Dvd. L’obiettivo è di trasformarlo nel prototipo di un au- stra». Qual è il vero problema? «La distribuzione della ricchezza. Il resto è chiacchiera. E il neoliberismo, al centro dello spettacolo, si annida nelle coscienze usando un linguaggio che nessuno capisce». Sono molti gli argomenti trattati, a partire dalla scuola. «L’istruzione è il primo strumento d’accesso. Quando nello spettacolo cito i dati degli italiani che non sono in grado di comprendere il contenuto di un giornale c’è da preoccuparsi. E ciò spesso non depone a favore del giornalismo italiano». Nello spettacolo ne ha anche per i social network, ma è anche grazie a loro se ha diffuso il suo ultimo film, la Trattativa. «Non li attacco, ma ne racconto le dinamiche e mi colpiscono le reazioni di grande vivacità del pubblico. È un settore ancora abbastanza inesplorato e interessante per questo». Si ostina a non avere la televisione in casa? «Sì, ma solo perché non c’è nulla da vedere». Una volta ha detto che non è contro ma da un’altra parte. «L’ho detto perché non sono una persona integrata nel sistema politico e culturale di questo Paese. Al tempo stesso continuo a lavorare, anche se certe persone continuano a descrivermi in modo infamante. Non capisco perché, ma evidentemente se succede c’è qualcosa che non va». Ma alla fine, i merdolani chi sono? «Dal futuro posso dirvi che si è scoperto non essere stupidi e ignoranti, ma vittime che dovevano solo trovare l’autostima». Paola Gabrielli © RIPRODUZIONE RISERVATA tentico format, in grado di raccontare con linguaggio fresco e meno polveroso figure storiche come Guglielmo Marconi e il conte Cesare Mattei, che volle l’omonima Rocchetta. «Matilde è una donna sola, con due matrimoni naufragati — continua Melluso — che ha saputo ritagliarsi un ruolo tra due poteri fortissimi. Nel film ci saranno tanti elementi che rimandano a lei, dall’allevamento del maiale all’impulso che diede alla diffusione delle castagne in Appennino. Sino a quell’ars canusina che a inizio ‘900 riproponeva nell’artigianato lo stile dell’epoca matildica». Anche l’Alma Mater e il Comune di Bologna devono molto a quella donna che, racconterà il documentario, «fu regina d’Italia senza essere sposata a nessun re e sepolta in Vaticano senza essere santa». Piero Di Domenico © RIPRODUZIONE RISERVATA