Omissione/evasione contributiva: parola fine dalla Corte di

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Omissione/evasione contributiva: parola fine dalla Corte di
Omissione/evasione contributiva: parola fine dalla Corte di Cassazione
Renzo La Costa
Può ritenersi obiettivamente con l’ultima sentenza della Corte di Cassazione nr. 18962 del
27.9.2016, si sia scritta davvero la parola fine alle incertezze connesse alla configurazione
della omissione o evasione contributiva.
La Corte d'appello aveva respinto l'impugnazione proposta dall'Inps avverso la sentenza
del giudice del lavoro che aveva accolto l'opposizione di una società
alla cartella
esattoriale notificatale per il pagamento di contributi previdenziali e relative somme
aggiuntive.
Il primo giudice aveva annullato la predetta cartella limitatamente alle somme aggiuntive
sui contributi nella stessa indicati, dopo aver ritenuto applicabile nella fattispecie il più
favorevole regime sanzionatorio previsto dalla legge per l'ipotesi di omissione contributiva
in luogo di quella dell'evasione contributiva.
La Corte territoriale, nel confermare quest'ultima decisione, ha osservato che, essendo
pacifico che le omissioni contributive erano state rilevate in sede ispettiva in base alla
semplice consultazione dei prospetti paga regolarmente tenuti dalla società, a nulla
rilevava che non erano stati predisposti ed inviati i modelli DM 10, aggiungendo che non
era, comunque, ravvisabile nel comportamento della debitrice l'elemento intenzionale
dell'evasione contributiva, previsto dall'art. 116, comma 8, lett. b) della legge n. 388/2000.
Per la cassazione della sentenza ricorreva l'Inps, Lamentava l’Istituto che , essendo pacifico
che alle inadempienze contestate nella fattispecie si applicava il nuovo regime
sanzionatorio introdotto dalla legge n. 388/2000 e che le stesse erano consistite
nell'omessa presentazione dei modelli DM 10 relativi al periodo di un anno, la Corte
d'appello avrebbe dovuto tener conto del fatto che era sufficiente l'accertamento
dell'omissione di una denuncia obbligatoria o della sua difformità rispetto alla realtà per
configurare l'ipotesi dell'evasione.
Invero, secondo l'Inps, la ricorrenza dell'elemento intenzionale dell'evasione contributiva
implica necessariamente, per effetto della citata disposizione di legge, l'intento del datore
di lavoro di non versare i contributi o i premi al fine di occultare rapporti di lavoro in
essere o retribuzioni erogate, posto che l'adempimento datoriale obbligatorio dell'invio del
modello DM 10 rappresenta l'unico strumento col quale il datore di lavoro dichiara in
modo diretto ed immediato all'istituto previdenziale le retribuzioni erogate ai dipendenti.
In caso contrario, aggiunge il ricorrente, l'istituto previdenziale creditore sarebbe costretto
ad un'attività ispettiva incessante per poter adempiere al suo ufficio istituzionale,
nonostante il sistema previdenziale sia affidato principalmente alla collaborazione dei
soggetti coinvolti nel rapporto contributivo.
Ha rilevato a riguardo la suprema Corte che il contrasto interpretativo sorto all'interno
della sezione lavoro, con riferimento alla disposizione "de qua", è stato di recente risolto da
Cass. 28966/2011, in sostanziale adesione con quanto già ritenuto da Cass. 11261/2010,e
confermato dalle successive decisioni n. 10509 del 25/6/2012 e n. 17119 dei 25/812015 ,
per cui non vi è ragione di discostarsi da tale consolidato orientamento al quale si è inteso
dare continuità.
Nella sentenza n. 28966 del 27/12/2011 della Sezione Lavoro si è, infatti, statuito che "in
tema di obbligazioni contributive nei confronti delle gestioni previdenziali ed assistenziali,
l'omessa o infedele denuncia mensile all'INPS (attraverso i cosiddetti modelli DM10) di
rapporti di lavoro o di retribuzioni erogate, ancorché registrati nei libri di cui è obbligatoria
la tenuta, concretizza l'ipotesi di "evasione contributiva" di cui all'art. 116, comma 8, lett.
B), della legge n. 388 del 2000, e non la meno grave fattispecie di "omissione contributiva"
di cui alla lettera A) della medesima norma, che riguarda le sole ipotesi in cui il datare di
lavoro, pur avendo provveduto a tutte le denunce e registrazioni obbligatorie, ometta il
pagamento dei contributi, dovendosi ritenere che l'omessa o infedele denuncia configuri
occultamento dei rapporti o delle retribuzioni o di entrambi e faccia presumere l'esistenza
della volontà datoriale di realizzare tale occultamento allo specifico fine di non versare i
contributi o i premi dovuti; conseguentemente, grava sul datore di lavoro inadempiente
l'onere di provare la mancanza dell'intento fraudolento e, quindi, la sua buona fede, onere
che non può tuttavia reputarsi assolto in ragione della avvenuta corretta annotazione dei
dati, omessi o infedelmente riportati nelle denunce, sui libri di cui è obbligatoria la tenuta."
In particolare, nel richiamato precedente si è posto l'accento sulla constatazione che nella
legge n. 388 del 2000, art. 116, comma 8, lett. a), viene fatto riferimento al mancato o
ritardato pagamento di contributi o premi, il cui ammontare è rilevabile dalle denunce
"e/o" registrazioni obbligatorie, mentre la locuzione adoperata alla lett. b) del medesimo
articolo ("in caso di evasione connessa a registrazioni o denunce obbligatorie omesse o non
conformi al vero") si caratterizza per l'uso della disgiuntiva no" fra le registrazioni e le
denunce obbligatorie, il che, sotto il profilo strettamente letterale, indica una sostanziale
parificazione della possibile connessione dell'evasione rispetto all'una o all'altra tipologia
di adempimenti; ne discende che l'omissione o l'infedeltà anche soltanto delle denunce
obbligatorie non è di ostacolo a configurare l'ipotesi dell'evasione.
A mente dell'art. 116, comma 8, lett. a) L. n. 388 cit. si avrà, dunque, l'ipotesi dell'evasione
laddove vi sia: occultamento di rapporti di lavoro ovvero di retribuzione erogate; tale
occultamento sia stato attuato con l'intenzione specifica di non versare i contributi o i
premi, ossia con un comportamento volontario finalizzato allo scopo indicato.
Quanto al primo requisito deve anzitutto notarsi, in termini generali, come la
giurisprudenza della stessa Corte sia oscillante anche nella materia - differente, ma
caratterizzata da evidenti punti di contatto con quella in questione - della possibile
equiparazione fra il mendacio alla pubblica amministrazione da parte del privato in ordine
alla sussistenza della situazione debitoria e l'occultamento doloso del debito ai fini dell'art.
2941 c.c., n. 8. Con specifico riferimento alla questione all'esame va, tuttavia, osservato che
il termine occultamento non indica necessariamente l'assoluta mancanza di qualsivoglia
elemento documentale che renda possibile l'eventuale accertamento della posizione
lavorativa o delle retribuzioni, posto che anche soltanto attraverso la mancata (o
incompleta o non conforme al vero) denuncia obbligatoria viene celata all'ente
previdenziale (e, quindi, occultata) l'effettiva sussistenza dei presupposti fattuali
dell'imposizione e ciò, si badi, proprio attraverso l'adempimento funzionalmente diretto a
consentire all'Istituto l'agevole conoscenza, mese per mese, del proprio credito
contributivo.
Nè a contrario avviso può condurre il rilievo che, in ipotesi di registrazione dei rapporti e
delle effettive retribuzioni, l'ente impositore potrebbe venire a conoscenza della situazione
effettiva, atteso che tale conoscenza resterebbe, in difetto di una denuncia periodica
veritiera, meramente eventuale, collegata cioè ad un altrettanto eventuale accertamento
(ovvero al raffronto tra i dati di cui alla denuncia obbligatoria e quelli ricavabili dai CUD
consegnati ai lavoratori), e non farebbe quindi venir meno, in relazione alla denuncia
infedele, l'occultamento dei rapporti o delle retribuzioni (che, a tutto concedere,
sussisterebbe comunque fintanto che non fossero - eventualmente - attuati gli
accertamenti ispettivi o i raffronti con i dati evincibili dai modelli CUD).
Nè può sottacersi che, come già posto in luce dalla pronuncia delle Sezioni Unite n.
4808/2005, un'interpretazione meno rigorosa del concetto di omissione, esteso a tutte le
ipotesi che in qualunque modo abbiano reso possibile all'Ente previdenziale l'accertamento
degli inadempimenti contributivi, anche a distanza di tempo, o in ritardo rispetto alle
cadenze informative periodiche prescritte dalla legge, aggraverebbe la posizione
dell'Istituto, imponendogli un'incessante attività ispettiva, laddove il sistema postula,
anche nel suo aspetto contributivo, per la sua funzionalità, una collaborazione spontanea
tra i soggetti interessati.
Quanto al secondo requisito, di carattere soggettivo, è agevole rilevare che, stante il
suddetto collegamento funzionale tra denunce mensili obbligatorie e pagamento dei
contributi dovuti, l'omissione o l'infedeltà della denuncia è di per sè sintomatica (ove non
meramente accidentale, episodica, strettamente marginale) della volontà di occultare i
rapporti e le retribuzioni al fine di evitare, nell'auspicata (beninteso dal datore di lavoro
infedele) e non implausibile possibilità che la mancanza di successivi accertamenti o
riscontri (da attuarsi per di più nell'ambito temporale dei termini prescrizionali)
consentano de facto di sottrarsi all'adempimento contributivo ovvero di effettuare il
pagamento della contribuzione in misura inferiore al dovuto; ne', d'altra parte, potrebbe
altrimenti comprendersi, se non appunto ove dettata da tale fine, l'omissione nelle
denunce obbligatorie di dati di cui comunque il datore di lavoro è evidentemente a
conoscenza, per averli, in tesi, già altrimenti registrati.
Ne discende che, in linea generale, l'inoltro di denunce infedeli o la loro omissione da un
lato configura occultamento dei rapporti di lavoro o delle retribuzioni erogate o di
entrambi e, dall'altro e al contempo, fa presumere l'esistenza di una specifica volontà
datoriale di sottrarsi al versamento dei contributi dovuti. Non può d'altra parte
condividersi l'avviso secondo cui la suddetta interpretazione condurrebbe all'inutilità della
modifica normativa introdotta dalla L. n. 388 cit, posto che, al contrario, proprio il rilievo
dato all'elemento intenzionale consente, anche in ipotesi di denunce omesse o non
veritiere, di escludere l'ipotesi dell'evasione, cosicché la suddetta presunzione (proprio
perché non assoluta) può essere vinta, con onere probatorio a carico del datore di lavoro
inadempiente, attraverso l'allegazione e prova di circostanze dimostrative dell'assenza del
fine fraudolento (perché, ad esempio, gli inadempimenti sono derivati da mera negligenza
o da altre circostanze contingenti).
In definitiva, il ricorso è stato accolto e cassa l'impugnata sentenza.