SETTIMANA n. 4/03 - Edizioni Dehoniane

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SETTIMANA n. 4/03 - Edizioni Dehoniane
SETTIMANA 34-2011:Layout 1 20/09/2011 12.45 Pagina 12
politica
SI VA VERSO IL RECUPERO DELLA LEALTÀ CONTRIBUTIVA?
SE L’EVASIONE
NON È PIÙ UNA VIRTÙ
Al di là dell’efficacia delle scelte del governo, la crisi ha costretto la
maggioranza a rivalutare l’importanza del contrasto all’evasione e
l’insostituibilità del ricorso alla leva fiscale.
S
ulle righe storte della disordinata (e socialmente sbilenca) manovra estiva di questo 2011, è possibile scoprire un paio di “parole dritte” che sarebbe sbagliato ignorare o
lasciare sepolte sotto le macerie. Non
hanno efficacia immediata sui conti
da regolare ma portano in primo piano – correttamente – un problema
sin qui proposto in maniera distorta
e fuorviante.
Il problema è quello dell’evasione fiscale che il governo ha affrontato in modo diretto sul piano teorico mentre sul piano politico, dove le
misure non risultano incisive, ha introdotto un avvio di scongelamento
delle granitiche certezze sin qui professate.
Prenderne atto e ragionarci sopra
non significa accettare tutta la manovra ma consente di riconoscere, sia
pure entro limiti definiti, e più per
necessità che per scelta, che anche i
macigni si muovono quando la terra
trema.
La compagnia
dei parassiti
Lo svolgimento teorico è stato affidato – siamo nel secolo 21° – a due
spot di indubbia efficacia.
Il primo è quello del parassita. Ricordate? C’è il parassita dei ruminanti, quello del legno, dei pesci, del
cane e quello intestinale, il verme solitario. Le immagini si inseguono, intervallate dal click della macchina fotografica. Ogni scatto uno sfruttatore fino al parassita (umano) della società, ovvero l’evasore fiscale: una
faccia da patibolo. E la voce fuori
campo che recita: «Chi vive a spese
degli altri danneggia tutti. Battere
l’evasione fiscale è tuo interesse». Indi la scritta: «Chiedi sempre lo scontrino o la ricevuta fiscale».
Elementare ma efficace: è il cuore della campagna di comunicazione
istituzionale – sulle reti Rai – realizzata dal ministero dell’Economia insieme all’Agenzia delle entrate e al
Dipartimento per l’informazione e
l’editoria della Presidenza del Consiglio dei ministri, per sensibilizzare
i cittadini «sulla necessità e l’importanza di pagare le imposte». Obiettivo: «ridurre l’evasione fiscale anche
grazie ai comportamenti attivi dei
cittadini e renderli consapevoli che
senza entrate fiscali, non è possibile
fornire servizi pubblici. In sintesi, chi
evade le tasse vive alle spese degli
altri e danneggia tutti».
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Il secondo spot ha un andamento
positivo: illustra il concetto per cui
«se tutti pagano le tasse, le tasse ripagano tutti. Con i servizi». Mostra
infatti un ambulatorio medico, una
scuola e un parco tutti squallidamente deserti («Se tanti non pagano le tasse, non ci sono servizi»); poi,
grazie a chi paga le tasse, gli ambienti si popolano: nello studio medico appare il lettino per il paziente, sui banchi spuntano i libri, nel
parco arrivano bambini festosi che
giocano. Il quadro sarà completo
«quando tutti le pagano», perché solo così «i servizi diventano davvero
più efficienti».
La campagna si è completata con
due comunicati radio e alcune affissioni nelle principali stazioni ferroviarie e negli aeroporti di Milano e
Roma, nonché in inserzioni sui maggiori quotidiani e settimanali.
Da notare che negli spot radiofonici i parassiti sono, da un lato, oggetto di una sorta di interrogazione
scolastica sui nomi scientifici dei profittatori, dall’altro, appaiono come
animali da museo, antichi reperti rinchiusi in vetrina e osservati con un
misto di disprezzo e di distacco dai
virtuosi cittadini del futuro.
Un cambio
di “dottrina”?
È vero che per l’Agenzia delle entrate si tratta di una routine dei mesi estivi, quelli in cui, specie nel settore “balneare”, il fenomeno attinge
livelli scandalosi, ma quest’anno gli
argomenti degli spot si innestano necessariamente con la drammatica situazione del debito italiano e con la
necessità di ripianarlo nei tempi imposti in sede europea. Per cui, in presenza di un’evasione di 120 miliardi
annui, l’esigenza di far cassa recuperando fondi si coniuga con il recupero della lealtà fiscale, come uno di
quei doveri inderogabili di solidarietà di cui parla la Costituzione.
La novità più rilevante si ricava
dalla differenza tra l’atteggiamento
solidale-utilitario della campagna e
l’ormai insostenibile attitudine del
centrodestra per cui un certo livello
di evasione costituisce una sorta di
legittima difesa del contribuente dall’ingordigia predatoria dello stato.
Sul punto, beninteso, non c’è stata autocritica.
Non si è riabilitata la memoria del
ministro Padoa Schioppa che fu
ostracizzato quando disse che «pa-
gare le tasse è bellissimo»; tantomeno si è evocato il Paolo di Corinti 2
quando proclama che «Iddio ama chi
dona con gioia».
Semmai si è lamentato il carattere unilaterale della campagna, nel
senso che gli slogan non consentirebbero di «instaurare un contraddittorio con chi la pensa diversamente», come si è letto su un’agenzia di “liberi imprenditori padani”.
Ma il contesto era tale che anche i
più convinti sostenitori della dottrina dell’evasione (quelli pratici sono
naturalmente silenziosi) hanno perduto il dono della parola.
C’è quindi da sperare che le energie solidali, tenute fin qui a bada dalle convenienze e anche dalle coperture politiche, si siano sentite in qualche modo mobilitate per un’impresa positiva che abbia come traguardo un mutamento del costume civile degli italiani.
Quel cuore
sanguinante
Lo stato di necessità in cui governo e parlamento sono stati costretti
ad operare – ed è questa la seconda
considerazione – ha inoltre indotto
a riconsiderare l’opportunità di agire sulla leva fiscale, svuotando d’un
colpo solo sia il miraggio di una riduzione del prelievo sia la promessa di non mettere mai le mani nelle
tasche degli italiani, tanto cara al Presidente del Consiglio il cui cuore, come ha detto in tv, ha sanguinato nel
momento in cui ha dovuto infrangere il voto.
Vero è che, in questo campo, le
“finte” hanno sopraffatto le decisioni, nel senso che le misure più stringenti sono state solo annunciate,
mentre quelle adottate hanno usufruito di sensibili sconti.
S’era detto: andrà in carcere chi
avrà evaso le imposte per somme superiori a 3 milioni di euro e saranno
pubblicati on line, sui siti dei comuni, i nomi dei contribuenti con le relative dichiarazioni… E ancora: i comuni che collaborano all’accertamento tributario potranno incassare
i frutti della lotta all’evasione per il
2012-2014.
S’era infine sostenuto che, dalla
lotta all’evasione, sarebbero arrivate
le risorse necessarie a pareggiare il
mancato introito del contributo di
solidarietà che era stato previsto per
i detentori dei redditi più elevati e
poi era stato ridotto all’osso con argomentazioni molteplici non tutte
plausibili.
Altre misure annunciate e poi sparite e/o attenuate: «Nella dichiarazione dei redditi dovrà essere indicata la banca presso cui si ha un rapporto, in modo che «l’Agenzia delle
entrate può procedere, sulla base di
questi dati, sentite le Associazioni di
categoria degli operatori finanziari
per le tipologie di informazioni da
acquisire, all’elaborazione di specifiche liste selettive di contribuenti da
sottoporre a controllo» (Tremonti).
In più, i comuni avrebbero avuto un
ruolo da protagonisti nella lotta al
sommerso: «I consigli tributari presso i comuni riceveranno i dati dalle
agenzie delle entrate e avranno una
funzione di controllo. In Italia ci sono 8.000 comuni e molte auto di lusso rispetto a quanto si dichiara nel-
le dichiarazioni dei redditi» (sempre
Tremonti).
È noto che la Bce non ha preso
per buona la sostituzione di entrate
certe, come quelle del contributo di
solidarietà, con entrate aleatorie come quelle della lotta all’evasione; e
ciò ha fornito argomenti per ridurre
il rigore degli impegni in tale campo; e tuttavia non si può negare che
qualcosa si è mosso e che non pare
consentito un ritorno puro e semplice alle posizioni di partenza.
In particolare, non c’è più spazio
per quell’apologia della funzione
compensatrice del “sommerso” con
cui anche in sede europea si era tentato di accreditare una posizione dell’Italia migliore di quella certificata
dalle cifre e dalle tendenze del debito. C’è spazio invece, a volerlo, per
una ripresa di quella cultura della
lealtà fiscale che fa capo al magistero di Ezio Vanoni, l’unica che può liberare il rapporto tra stato e cittadino dal contesto utilitario del do ut
des aprendo la via alla presa di coscienza comunitaria che metta il bene comune prima delle istanze individuali.
Saper leggere o decifrare i valori
impliciti della manovra in ordine all’evasione fiscale può divenire, a questo punto, campo d’esercizio per una
pedagogia sociale in cui ciascun soggetto ridefinisce i propri compiti in
relazione alle esigenze di tutti gli altri. Vale anche per la dimensione religiosa, in Italia soprattutto per la
Chiesa cattolica, investita anch’essa
dalla polemica sui “privilegi di casta”.
C’è da chiedersi se sia meglio limitarsi a (doverosamente) rettificare i singoli addebiti “radicali” su Ici
ed esenzioni varie, o se non valga la
pena di esercitare, come comunità,
un autentico ruolo pubblico concorrendo, in autonoma responsabilità,
ad offrire, nelle circostanze date, un
contributo moralmente e concretamente rilevante alla salvezza del paese in un momento difficile per tutti.
Domenico Rosati
Paolo Berti
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settimana /25 settembre 2011/n. 34