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Scene di ordinario cinebrivido
bianca
Profumo di caffè dalla cucina. Non si poteva certo dire che la domenica
fosse iniziata nel peggiore dei modi , per lei che stava ancora sotto le
coperte a rigirarsi. Dovevano essere le undici, ormai. Sentiva il rumore
dell’acqua della doccia provenire dal bagno, la radio trasmetteva i “No
Doubt”. Il volume era decisamente troppo alto per i suoi gusti, ma
abbassarlo avrebbe significato uscire da quelle coperte e saltellare per
qualche metro a piedi nudi sulle piastrelle gelide. E soprattutto, dalla doccia
sarebbe provenuta la voce di lui, che si sarebbe lamentato della musica
troppo bassa. Dopo di lui, la doccia sarebbe toccata a lei, che in quel
momento avrebbe ucciso per posticipare il più possibile l’uscita dal letto.
Soprattutto quel giorno in cui faceva veramente troppo freddo. La sera
prima erano stati al ristorante e poi erano finiti in un locale fumoso e anche
piuttosto angusto per quanto ben frequentato. Non avevano bevuto troppo,
ma attorno alle quattro del mattino, tornando, c’era sufficiente alcool in
corpo per desiderare solamente sdraiarsi e dormire, infatti gli stivali e i
vestiti di lei erano abbandonati un po’ alla rinfusa in giro per la stanza.
Quella mattina, raccogliere tutto avrebbe richiesto un discreto dispendio di
energie, ma quello che le piaceva di meno era il fatto che avrebbe dovuto
rindossare gli stessi abiti della sera prima intrisi ormai di fumo e sudore.
Allungò la mano sul comodino e afferrò il pacchetto di Marlboro rosse. Ne
sfilò una, tentando un gesto voluttuoso, l’accese dopo aver trovato nel
cassetto un vecchissimo accendino. Il primo tiro le aggredì la gola,
seccandola all’istante. Dopo il secondo tiro invece cominciò come al solito
ad avvertire una non troppo piacevole sensazione come di mancamento.
Conosceva bene quella sensazione, era la stessa di sempre: la stessa di ogni
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prima sigaretta di ogni giornata. Lui uscì dalla doccia, sbarbato, quasi
asciutto, con l’accappatoio bianco panna non del tutto chiuso. Le rivolse
uno sguardo distratto, un mezzo sorriso senza trasporto, mentre si passava
il deodorante stick sotto le ascelle. Lei detestava questo tipo di intimità, lo
detestava quando si asciugava davanti a lei senza grazia, quando si
controllava i peli del pube, sporgendosi in avanti, come se lei non fosse
presente.
Lui non era tanto male, era un trentacinquenne in forma, belloccio, aveva
soprattutto delle belle mani e a volte il suo viso assumeva delle smorfie che
lo rendevano decisamente attraente. Attraente, sì, ma non in quel momento,
cazzo. Ci sono situazioni in cui gli uomini sanno veramente essere
antierotici, pensava lei, e quel momento era uno di quelli, come uno di
quelli era il momento in cui indossava il pigiama per dormire. Tutti gli
uomini o quasi, di qualunque estrazione sociale e di qualunque età siano,
hanno un pigiama che può essere o grigio, o grigio-verde, o grigio-azzurro,
o grigio-rosso. I più audaci osano alcune fantasie a losanga sul petto. “O
dio, fai che il mio futuro marito dorma in boxer” pensò lei abbozzando un
sorrisetto che lui non colse perché si stava chinando a raccogliere le
mutande.
Lei si alzò di scatto dal letto, come se d’un tratto avesse recuperato tutte le
sue forze, raccolse tutti i suoi vestiti e la borsa e si chiuse in bagno. Quando
arrivò davanti allo specchio valutò velocemente che struccarsi la sera prima
sarebbe stato decisamente saggio. Si tolse gli slip e il top avendo cura di
non guardarsi le tette che da qualche anno stavano subendo un po’ troppo la
forza di gravità. Alla pancetta, alle smagliature, alla cellulite, ormai aveva
fatto l’abitudine e comunque conosceva poche donne che non avevano
nemmeno un difetto di cui crucciarsi ogni tanto, per esempio prima di
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entrare nella doccia. E gli uomini, quelli, dovevano aver fatto un patto col
diavolo per avere specchi particolarmente indulgenti visti gli elementi che,
per quanto decisamente non in forma, avevano comunque il coraggio di
questionare sulla pancia, o sul culo, o su qualsiasi altro difetto o presunto
tale della donna con cui, nonostante tutto, avevano condiviso il letto. In
realtà non si riferiva all’uomo che poco prima aveva lasciato il bagno in
condizioni tali da farlo sembrare un acquitrino, non si riferiva all’uomo che
aveva lasciato i peli nel lavandino e i capelli nella doccia. Lui aveva
comunque una certa classe, una sorta di delicatezza, nonostante il
deodorante stick che si passava sotto le ascelle. Non si riferiva a nessuno in
particolare,a dire la verità. Non ricordava nessuno che le avesse mosso
critiche senza una richiesta esplicita e, anche se fosse successo, era una
cosa di molti anni prima, sepolta sotto un discreto numero di sbarbatiimpigiamati-deodorati. Chissenefrega. Finì di farsi la doccia godendosi per
un po’ l’acqua calda, afferrò in fretta la salvietta giallo-verde che lui
preparava sempre per lei. Si asciugò malamente, trascurando la schiena e
l’interno coscia. Indossò i collant della sera prima, gli slip della sera prima,
il push up della sera prima, la maglietta sudaticcia e la gonna della sera
prima. Si struccò velocemente e il suo viso ricominciò ad avere un colorito
più umano e meno da maschera tragica.
Raggiunse la cucina, dove lui stava finendo il suo caffè e le aveva lasciato
un paio di brioche, lei ne addentò una mentre si versava del caffè tiepido.
“A domani sera, Cate?” chiese lui rompendo il silenzio.
“Lo sai che domani sera devo essere a Venezia”. Glielo aveva già detto,
almeno un milione di volte nelle ultime due settimane.
Lui rimase in silenzio per un po’, forse simulando indifferenza. “Da Milo”,
disse poi, dopo qualche secondo. Stava sciacquando la tazzina, era voltato
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di spalle. Non aveva fatto una domanda, ma una semplice constatazione
rassegnata. In quel momento lei lo trovò attraente.
“Lo sai che non posso fare diversamente. Domani sera devo essere a
Venezia”.
Nel frattempo lei si era persa a cercare nella borsa le chiavi della macchina.
Poi si alzò da tavola, lasciando lì la tazzina sporca, si diresse verso la porta
e lui la seguì. Prima di uscire si protese verso di lui, gli posò un bacio sulla
bocca.
“Ci vediamo la settimana prossima se vuoi, domani non posso”.
“Domani non vuoi.” Lui restituì il bacio senza convinzione, chiudendo la
porta dietro di lei.
maurie
Le mattine sono sempre uguali, stesse sensazioni, qualsiasi cosa succeda.
Un senso di vuoto, di sottile paura di quel che succederà, di quel che dovrò
fare, di quali impegni affrontare. Adesso è lì, dorme, felice immagino,
sicura del suo, del nostro amore. Del resto la nostra storia è nata in modo
così forte, rapido, violento, coinvolgente, che non poteva non spazzare via
tutto, non poteva non essere ciò che in poche settimane è diventato. Il mare.
Bello guardarlo da qui, come da sempre, il mio porto sicuro, la mia
sigaretta, il mio caffè, le barche, i pescatori. Alcuni li conosco da sempre,
fanno parte della mia vita, ed è la cosa certa, la mia compagnia sicura .
Qualsiasi cosa succeda, qualsiasi amore mi coinvolga, qualsiasi sia la
presenza che mi accompagni qui, in questa casa che mi ha visto crescere
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che raccoglie tutta la mia maledetta intensa vita, questo sarà sempre il mio
approdo sicuro, questo angolo che raccoglie tutte le mie emozioni.
Si è alzata, la sento, ma ho ancora bisogno della mia intimità. Ora andrà in
silenzio a piedi scalzi nel bagno, in tutta la sua bellezza, e vorrei tanto
raggiungerla, iniziare una nuova emozionante giornata fatta di dolcezza e
gesti d'amore. Ma non è ancora tempo, devo lavorare, riflettere, pensarti.
Sei sicuramente con lui, come riflesso di qualcosa che noi non siamo più,
un po’ mi rode, ma è bene così. Mi dispiace, ma lo sapevi. Sapevi bene che
il nostro amore era a termine. Troppo complessi, difficili, cervellotici,
autonomi, trova tu il termine. Una storia grandissima, ed un affetto che non
finirà mai. Troppe cose fatte insieme, troppi interessi, troppi ricordi in
questa casa. Non finirà mai del tutto. Ma è così. Ci rivedremo, certo, mi
tocca ancora una volta subire, le tue recriminazioni, le tue offese, i tuoi
perchè, i tuoi gesti d’amore represso. Ti guarderò ancora con affetto, con
mille sensi di colpa, il tuo sguardo penetrante ma dolce, arrabbiato ma
amorevole.
Il suo leggero muoversi per la casa mi risveglia.
“Dove sei? Già a fumare?” mi viene dietro, mi abbraccia, mi avvolge. Un
leggero bacio, il suo profumo, i suoi capelli. Mi giro, è bellissima. Si vive.
Si torna alla realtà, alla nuova realtà. Stiamo qualche secondo abbracciati,
poi lei si affaccia alla finestra, carpisce ciò che guardavo come per farlo
suo.
“Bello qui, non me ne andrei mai” e mi riabbraccia forte.
La distraggo, come per portarla via dal mio mondo segreto “Andiamo a far
colazione.”
Sorrido, rimango in silenzio, facciamo colazione, lei i suoi cornetti, Io
ancora caffè sigarette e due dolci rimasti da ieri. La guardo seduto al tavolo
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della cucina ancora in penombra intrisa di odori piacevoli. Mi coinvolge
piano, con i suoi gesti la sua sensuale semplicità la voglia di scherzare,
giocare, è spumeggiante, allegra. Si, è la donna che fa per me, stiamo bene
insieme, non devo voltarmi indietro. Torniamo dentro, lei si prepara mentre
io faccio la doccia. La raggiungo. Giochiamo, ridiamo, la prendo in
braccio, ci aiutiamo a vestirci. Siamo pronti. Si esce.
“Bella giornata di sole” dice uscendo prima di me dal portone “Andiamo in
giro per negozi o hai impegni?”
Il mio cellulare squilla, ho da lavorare. “No, avrei da fare, ma possono
aspettare”. Non rispondo al cellulare. Lei si avvia leggera accennando una
corsa alla macchina. Si va. Inizia una nuova giornata
“Stasera non ci sarò, ho un impegno”. Aspettami, non torno tardi.
coeurenhiver
Finalmente sul treno mi aspettano quattro, agognate, ore di puro ozio fino a
Venezia. Meccanicamente apro la borsa e tiro fuori il libro per il viaggio e
il lettore cd. Appoggio la fronte con un movimento lento al finestrino
freddo e non resisto alla tentazione di alitarci sopra, come da bambina. Il
vetro si appanna e mi restituisce l’immagine di una donna che sorride
stanca, i capelli raccolti sotto un buffo copricapo nero con la visiera fuori
posto. Mi tolgo in fretta il cappello e per darmi un contegno (per chi poi?),
apro con poca convinzione il romanzo. Leggo distintamente le parole, ma il
senso mi sfugge, non è durante questo viaggio che concluderò il libro,
temo. Con la mano sinistra tocco furtivamente la copertina, tastando i
caratteri in rilievo di quest’edizione economica e le sensazioni che mi
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restituiscono i polpastrelli sono rassicuranti e rilassanti. Il treno si muove a
scatti, come sempre alla partenza e istintivamente alzo per la prima volta
gli occhi per osservare i miei compagni di viaggio. Una signora anziana
con un grosso pacco natalizio sulle gambe, una mamma con un bimbo
piccolo e un uomo. Un uomo. Un uomo che mi guarda. Un uomo che mi
guarda con un libro in mano e le gambe accavallate. Mi guarda e abbozza
un sorriso. Abbasso lo sguardo d’istinto. Sorrido anch’io nascondendo la
bocca dentro il voluminoso collo della maglia, pregustando un gioco di
sguardi lungo un viaggio. Mi piace giocare, l’ho sempre fatto. Senza scopo
e senza altro fine se non quello di godermi il brivido della schermaglia e la
sensazione d’attesa che aleggia, dopo. Dopo alla fine del viaggio, dopo alla
stazione, dopo a casa di Milo. Voltarmi con una scusa e lanciare un ultimo
sguardo a uno sconosciuto che non intendo conoscere. Ma ora ho la testa
troppo piena per questo. Da ieri mi sento come immersa in una boccia di
vetro per i pesci colma d’acqua. La sensazione d’esser messa alle strette mi
urta da sempre, ma il disagio più grande me lo procura questo mio languido
accondiscendere all’altrui volontà. Quel bacio distratto e accusatorio,
perché poi? La nostra non era solo un’amicizia e un letto spartito dopo notti
passate in locali fumosi? Eppure uno sgradevole, pesante e sudaticcio
disagio si è insinuato nella mia mente. E poi Milo e la sua casa che “lo sai
che è anche tua” nel fine settimana condiviso. E il mio spazzolino dentro il
suo bicchiere in bagno. E un accappatoio per me sempre pronto vicino alla
doccia. Perché ho accettato? Perché non mi sono opposta? Soprattutto
perché mi urta il pensiero di avere uno spazzolino dentro il suo bicchiere,
vicino al suo spazzolino, nel suo bagno, in quella casa che non è la mia
casa neanche durante il fine settimana? Mi manca l’aria.
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Forse dovrei semplicemente far piazza pulita, o decidere, o ignorare questa
sgradevole sensazione alla bocca dello stomaco. Ho letto in una stupida
rivista (Donna oggi? Donna moderna? D come donna?) che in questi casi è
utile stilare una lista dei pro e decidere in conformità a questa, optando per
la possibilità numericamente più consistente, ma io non voglio scegliere.
La mia vita, strumenti per l’igiene orale esclusi, mi soddisfa, o mi fa
comodo. In questo momento ho un’unica gran certezza e mi ci aggrappo
con tutte le mie forze. Non è con uno di loro due che spartirò il bagno, la
cucina, il tinello e il cesto della biancheria sporca. E’ grave? Debbo
decidere per forza? Forse l’unico che potrebbe recriminare è Milo che
ignora l’esistenza di un trentacinquenne che si deodora con lo stick dopo
una notte trascorsa insieme nella sua casa in riva al mare, di una storia che,
giorno dopo giorno, diventa sempre più densa e vischiosa . Ma poi perché?
Perché la nostra relazione ha assunto quest’aria ufficiale? Quando hanno
iniziato a chiamarci coppia?
Con stizza chiudo il libro. Il gesto è brusco e sgraziato. La bocca storta, gli
occhi sono due fessure. Il vetro mi restituisce la mia immagine corrucciata.
Distolgo lo sguardo e sbuffo con troppa veemenza. La signora-con-pacconatalizio mi guarda e scuote la testa con disapprovazione. Le mani
allentano la presa e il libro cade con un tonfo a terra. E’ un tonfo strano,
ovattato. Mi osservo, osservo la mia mano che al rallentatore si china per
raccoglierlo, un piedino nervoso di bimbo oscilla nel mio campo visivo
come un pendolo, il pavimento grigio e macchiato si avvicina lentamente,
la mia mano sul libro, un’altra mano, maschile e bella con lunghe dita
nervose e sensuali, il libro nell’altra mano. Alzo gli occhi e mi ritrovo a
fissare altri occhi che sorridono con malcelato divertimento. “Grazie”
borbotto con la voce impastata da ore di silenziosi pensieri. “L’amore ai
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tempi del colera buffo no? Abbiamo fatto finta di leggere lo stesso libro
durante questo viaggio”. Ha un sorriso canzonatorio e affascinante. “In
ogni modo prego è stato un piacere. Mi chiamo Paolo e lei signorina
distratta e chiassosa?”.
Axiom
“E’ la donna che fa per me, stiamo bene insieme, non devo voltarmi
indietro”
Milo si rendeva conto di aver formulato questo pensiero in un momento in
cui la sua mente era condizionata dal forte senso di piacere del mattino
trascorso con la donna che possiedi, ma lo sentiva crescere, e diversamente
da ciò che gli accadeva con le altre, la riflessione gli sembrava evidente
anche lontano da lei.
Voi non potete capire quanto questa consapevolezza possa essere
drammatica per un uomo che non crede in niente al di fuori del proprio ego,
rendersi conto di aver scelto la sua donna era per lui l’equivalente del senso
di stupore provato da Newton quando gli cadde la mela in testa.
Certo la storia della mela è solo una stupida leggenda, e forse anche certe
consapevolezze non sono altro che storielle che ci raccontiamo per
prendere decisioni contro natura, e Milo da uomo razionale e pragmatico
quale è prese la sua decisione: Cate ormai era per lui come una cispia di 3
cm nell’occhio buono di capitan Harlock, doveva essere eliminata.
Vedete, quando arriva il giorno che ti rendi conto di avere l’enorme fortuna
di attendere l’arrivo a casa tua di una donna che vuoi levarti dalle palle tutti
i colori intorno a te assumono tonalità diverse, perché è in quel giorno che
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probabilmente avrai la fortuna, se sei abbastanza scaltro e ci sai fare, di
avere una donna che piange per te, e guai se quando palesa la sua
indifferenza o tenta di darsi un contegno per difendere la propria dignità
non sei abbastanza pronto da affondare la lama nella sua pelle: che senso ha
affondare ferite senza poter vedere quanto siano dolorose?
Inezie, è lo smaltimento del cadavere che creerà problemi, farla belare sarà
semplice.
Era necessario chiamare subito Luana, compose il numero e attese 5-6
squilli, poi la voce di lei, atona come ogni volta che non sapeva ma intuiva
la verità, l’accolse senza le dovute scene di giubilo:
“Luana ho deciso di eliminare Cate, voglio te, metteremo in pratica il
nostro piano proprio oggi, esci dall’ufficio, ti aspetto a casa insieme a
Wolfang.”
Wolfang Horacio Ghunter Ernst Indigo Martini, detto Kataratta Retrattile,
era un nano di 89 centimetri nato a Birkenau nell’agosto del 1943, si
presume in seguito a un rapporto contro natura tra un nazista e una ebrea
moldava di 23 kg, scarpe incluse.
Non aveva mai conosciuto i suoi genitori ma aveva una foto della madre
all’ottavo mese di gravidanza supina nella sua cuccetta di Birkenau; ci
aveva messo del tempo a capire che si trattava di sua madre: inizialmente
credeva fosse un cappello, in seguito aveva creduto che si trattasse di un
elefante dentro a un boa, poi a 35 anni aveva guardato la foto sul retro e vi
aveva trovato scritto “a Wolfang come unico ricordo della mamma”.
Portato a Venezia da un sopravvissuto dell’olocausto era stato utilizzato
fino a 62 anni come soprammobile da camera; dopo la morte del padrone si
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trovò disoccupato, ed allora fu assunto da Milo e Luana con la qualifica di
nano da giardino.
Come nano da giardino era un prodigio, riusciva da solo ad impersonare
tutti i 7 nani senza far sentire la mancanza di nessuno, ma quello che gli
veniva meglio era sicuramente Eolo a causa della naturalezza con cui
produceva continue flautolenze intestinali; era però un’inguaribile
perfezionista, ed il suo rammarico era quello di non poter impersonare in
maniera credibile Biancaneve, e non tanto perché non fosse capace nel suo
trasformismo di interpretare una donna, ma perché Biancaneve era troppo
alta e Wolfang non riusciva ad essere credibile nella sua parte.
Questo aveva necessariamente sviluppato in Kataratta Retrattile un odio
violento verso tutte le donne alte more e con poco seno, proprio come Cate.
Fu per questo che Milo e Luana decisero di rivolgersi a lui per attuare il
loro piano.
saintjust73
La giornata era fredda ed un po’ umida, ma fortunatamente la cupa coltre di
nubi si era squarciata per lasciare penetrare i gelidi raggi invernali. Cate
alzò la testa verso l’alto per scrutare meglio il cielo, quasi volesse
assaporarne il colore e tirò un sospiro di sollievo, perché quasi sicuramente
quel giorno non avrebbe piovuto. Lei detestava la pioggia. L’avrebbe
costretta a cambiare il programma o, peggio ancora, a modificare una
vecchia abitudine.
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Uscita dalla stazione prese il primo traghetto. Scese al Ponte di Rialto e
cominciò a camminare lentamente per quelle stradine che l’avrebbero
portata in Piazza San Marco. L’aveva vista centinaia di volte, ne conosceva
ogni centimetro quadrato e ogni angolo, ma era così densa di ricordi, così
affascinante che non poteva fare a meno di tornarci ogni volta. Era quasi un
punto fermo nella sua vita. Cambiavano le stagioni, mutava il colore del
cielo, variavano i volti dei turisti che immancabilmente gremivano la
piazza, ma Venezia rimaneva lì, sempre uguale a se stessa, con il suo
caratteristico odore. Immortale, ma allo stesso tempo vulnerabile. Il giorno
prima c’era stata l’acqua alta, ne poteva vedere ancora gli effetti, e anche le
pedane utilizzate per il passaggio erano ancora in posizione, pronte per una
nuova emergenza. Adorava quel posto e amava quella città, ma forse
questo era l’unico motivo per il quale continuava a vedere Milo e a
ritornare da lui.
I pensieri che prima si affollavano confusamente nella sua testa adesso pian
piano cominciavano a prendere una forma più chiara e definita. Pensava a
Milo e al loro primo incontro, avvenuto proprio lì su quella piazza, durante
il carnevale. Lui indossava uno di quei tipici costumi veneziani, dai
preziosi ricami dorati, lei era una turista affascinata e stordita dalla
confusione e dai luccichii. I loro occhi si erano incrociati tra migliaia di
altri occhi. La passione divampò nell’arco di pochi minuti, dopo uno
stupido scambio di battute e doppi sensi. La sera stessa, dopo aver cenato
insieme, si ritrovò, senza neanche accorgersene, nella sua casa e nel suo
letto. Doveva essere solo un’avventura, ma la loro relazione continuò.
Certo era stata una bella storia inizialmente, appassionata e solida. Milo era
come un porto dalle acque calme in cui approdare, ma lentamente il suo
entusiasmo si era placato ed ora si poneva nei suoi confronti in modo quasi
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indifferente. Ed il passo tra l’indifferenza e l’insofferenza è sempre molto
breve.
In quel momento tutta la sua attenzione era rivolta al bigliettino che si
ritrovava nella tasca della giacca. Lo riprese in mano e lo guardò. Da
quando aveva lasciato la stazione l’aveva tenuto lì nel taschino per tutto il
tempo, rigirandolo e giocandoci impazientemente con le dita.
“Sono a Venezia per lavoro. Mi fermerò almeno un paio di giorni.
Chiamami, se ti va.”
Avevano preso un caffè all’uscita della stazione e prima di separarsi si
erano scambiati i numeri di telefono. Avevano condiviso l’ultima parte del
viaggio e, tutto sommato, era stato molto più piacevole di quanto potesse
immaginare. Paolo era un ragazzo garbato ed educato, nonostante quel
sorriso un po’ sfrontato che aveva attirato la sua attenzione lì sul treno. Si
era ripromessa di smettere con le avventure facili, di quelle che non portano
a niente, ma adesso il desiderio di stringere a sé quel corpo, di baciare
quelle labbra sorridenti la faceva quasi avvampare e stuzzicava
terribilmente la sua fantasia.
Doveva prendere una decisione e doveva farlo in fretta, ma intanto
l’insofferenza per l’incontro con Milo cresceva. Improvvisamente nei suoi
occhi balenò un lampo. Era un’idea un po’ perversa, cinica, ma perché non
provare? Che senso aveva continuare ad arrovellarsi così? Perché non
lasciare decidere alla sorte? Affidò ad una monetina la decisione sul da
farsi. La lanciò in aria e la riprese nel palmo della mano. Attese qualche
secondo prima di guardarne il risultato, poi uno strano risolino beffardo si
stampò sul suo viso. La sorte aveva decretato il suo addio a Milo, alla sua
casa e allo stupido ed inutile nano da giardino, che non aveva mai potuto
soffrire. A cosa serviva poi un nano da giardino?
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Aveva cercato un pretesto per tanto tempo e ora l’aveva trovato. Chiaro,
semplice e definitivo.
Tirò fuori il cellulare dalla borsa e compose meccanicamente il numero
segnato sul biglietto da visita.
“Paolo? Ciao. Sono Cate. Se non sei troppo impegnato, ti andrebbe di fare
un giro per la città? Che ne dici?”
“Mi sembra un’ottima idea. Possiamo incontrarci nel pomeriggio.”
Dadà
Nel momento in cui chiudeva la conversazione con Paolo si rese conto di
averlo fatto di nuovo. Cavolo un altro nome da annotare sulla sua lista
immaginaria.
Erano tanti, di alcuni non ricordava neanche il nome, ricordava sì alcune
sfumature dei volti o di odori a volte penetranti altre nauseabondi, ma molti
erano finiti nel limbo del passato senza né nome né volto . La sua era una
corsa affannosa, una corsa iniziata circa tre anni fa.. ricordava ancora quel
giorno.
Era il 5 luglio del 2003. Quel giorno era uscita dall’ospedale dopo una
lunga degenza, era una serata molto calda ed afosa ma era la sua giornata,
quella che aveva tanto atteso.
Era l’inizio della sua nuova vita. E quel giorno aveva anche apposto il
primo nome su quella che sarebbe diventata una lunga lunghissima lista.
Mentre passeggiava per le calle il suo sorriso, appena accennato, si era fatto
sardonico al ricordo di quella notte. Lei, spavalda e fiera della sua
femminilità, delle sue forme tonde e ben fatte, del suo piccolo seno tanto
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cercato e voluto, era entrata in quel bar, frequentato fino a sei mesi fa', certa
che gli uomini l’avrebbero abbordata, voluta e desiderata.
Si era seduta al bancone ed aveva ordinato un whisky liscio, in attesa di
qualcuno.
Ormai era arrivata al terzo bicchiere di liquore ed aveva quasi finito il
pacchetto di Marlboro dure… l’aria era quasi irrespirabile a quell’ora densa
di fumo e la gola iniziava a bruciarle, inoltre il barista cominciava a
lanciarle occhiate curiose.
La sua sicurezza ormai diminuiva e vacillava così come aumentava il
dolore fetente ai piedi, costretti in quelle scarpe a punta e con un tacco da
50 cm.
Non ce la faceva più, ricordava di essere arrivata al limite ancora pochi
attimi e sarebbe andata via, quando improvvisamente una voce rauca e
bassa, che proveniva dallo sgabello accanto, chiedeva un whisky al barista
per la Signora.
In lei c’era stato un attimo di immobilità totale ed innaturale, poi
lentamente, accennando un sorriso sensuale e di vittoria, si era girata con
attesa e trepidazione ..ricordava ancora il brivido lungo la schiena… ma
girandosi i suoi occhi non avevano incrociato altri. Disorientata, si era resa
conto che doveva abbassare lo sguardo per poter vedere chi gli aveva
offerto il cicchetto.
Essì, cavolo, il primo uomo che aveva abbordato, non era un uomo ma un
piccolo essere di circa 80 cm, che neanche lo sgabello alto del bancone lo
faceva arrivare ai suoi seni.
Lui accennò un sorriso malefico e gli poggiò una mano ruvida e sudaticcia
sul braccio.
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“ Ma chi se ne frega”, questo pensò Cate in quel momento, “era pur sempre
un uomo munito di tutti gli attributi del caso”. Sì quella sera voleva godere,
voleva provare ciò che anni addietro aveva solo sognato ed immaginato.
Quella sera era la sua prima volta da DONNA. Voleva dimenticare per
sempre Cato. Era stata operata, circa sei mesi fa, dopo anni di attesa ed un
lungo percorso psicologico. Quel pomeriggio aveva varcato l’uscita
dell’ospedale Cate, ormai Catello Esposito non esisteva più.
Il suo sguardo, dapprima inorridito poi circospetto ed incerto divenne più
sicuro.
Abbozzò un sorriso sensuale e ricoprì la mano del nano che la mattina dopo
avrebbe scoperto chiamarsi Wolfang Horacio Ghunter Ernst Indigo
Martini.
Il suo nome era rimasto indelebile nella sua mente e solo una sorte
malevola del destino avrebbe incrociato di nuovo le loro strade qualche
anno dopo.
Quella notte fu indimenticabile!
Da quel giorno tanti uomini erano passati nel suo letto; lei ormai si era
affinata ed abituata alle nuova condizione, non beveva più Whisky ma
Bellini, non fumava più le Marlboro dure ma le Philip Morris light . I suoi
modi erano fascinosi ed eleganti, con scioltezza portava decolté con tacchi
stratosferici.
Ma quella sottile inquietudine è ancora lì, latente e subdola, nonostante
fossero passati anni.
Solo l’incontro con Milo l’aveva spazzata via per un attimo, lui l’aveva
fatta sentire una donna amata. L’aveva visto una mattina, dopo una lunga
notte d’amore e di passione, nei suoi occhi. Anche se per poco gli occhi si
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erano illuminati , poi subito adombrati da un velo indecifrabile quasi di
astio o di odio.
Il calore che aveva visto in essi l’aveva riscaldata per tutto il giorno ma
l’aveva anche spaventata, come non mai in quegli anni. Cate aveva capito
che poteva amarlo, che potevano essere una coppia, che potevano i loro
spazzolini essere riposti vicini sulla mensola, al lato del lavandino.
Ecco quella sensazione la prendeva di nuovo ..voleva scappare da Milo..
fuggire lontano.
Come diavolo poteva dirgli, magari dopo una notte d’amore,
“Senti, Milo, sai… io in realtà io non mi chiamo Cate ma Catello Esposito,
detto Cato, per gli amici”…
No… no… non poteva proprio e dio se avesse poi saputo che il suo primo
uomo, l’uomo che l’aveva fatta diventare una vera donna era il suo nano da
giardino detto Cataratta Retrattile… no non poteva.
Milo gli aveva raccontato del nano qualche mese fa. La sua segretaria
Luana aveva assunto una nano di nome Wolfang Horacio Ghunter Ernst
Indigo Martini per il giardino; al sol sentire quel nome era sbiancata ed
aveva fatto salti mortali per non incontrarlo… come poteva guardare
ancora negli occhi quell’essere che l’aveva fatta godere così tanto ma con
un tale odio. No ..no …non poteva.
Ormai stremata da quei pensieri e stanca dal girovagare tra le calle si
sedette ad un bar ordinò un caffè ristretto e cercò affannosamente il
cellulare nella borsa e con dita sicure scrisse “Scusami ho avuto un
contrattempo, ho ricordato un nano, non posso esserci. Buona fortuna
Cate”.
Bevve il caffè, pagò e con passo deciso si avviò da Milo
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Scene di ordinario cinebrivido
exodus
Stava per spegnere il cellulare, per evitare inutili richieste di spiegazioni da
parte di Paolo, quando lo sentì squillare: Milo. Con uno sbuffo e tanta
pigrizia aprì il suo Samsung e rispose, sentendosi chiedere la solita tiritera
del “dove sei”, “ma perché non sei ancora arrivata”, “chissà che stai
combinando”, ecc...: con tono acido tagliò dicendo che sarebbe arrivata di
lì a poco. Ma non poteva immaginare cosa Milo stesse architettando.
Arrivata a casa sua, bussa il citofono, Milo si affaccia e le fa un cenno di
entrare: “strano, sembrava affannato” pensò Cate. Era una villetta
incastonata tra le palazzine di una stradina vicino al porto, con un cancello
di ferro coperto di rampicanti mezzo ingialliti e un piccolo giardino ad
accogliere l’ospite. Subito il suo sguardo volse a scrutare intorno a se, nel
timore di poter scorgere Wolfang e tirò un sospiro di sollievo notando la
sua assenza riprendendo a respirare in modo più regolare; proseguì verso il
portone d’entrata, quando si fermò un attimo e, voltandosi indietro, pensò
che ormai l’emozione di entrare in quella casa era totalmente svanita,
sostituita da un senso quasi di disgusto; inoltre la presenza di Wolfang e il
vago sentore che Luana non fosse una segretaria qualsiasi erano motivi più
che gravi per darci un taglio. “No basta, non posso continuare in questo
modo: adesso lo vedo e gli dico che amo un altro. Se pensa di trattarmi
come puttana di compagnia, può tranquillamente correre tra la gambe di
quella zoccola bionda, dannato bastardo! E dannata anche lei per aver
avuto la brillante idea di un nano trasformista: ma tu guarda che razza di
sfiga!” e colma di rabbia si avviò su per le scale scandendo i passi decisi
col rumore dei tacchi.
18
Scene di ordinario cinebrivido
Appena entrò fu investita dal familiare odore di caffè: come ogni
occasione, Milo glielo faceva trovare pronto (“che monotono” pensava lei,
con ancora in bocca il senso di disgusto). Sorseggiò quello che stavolta le
sembrava un succo amaro e portandosi con un movimento volutamente
lento una sigaretta alla bocca, l’accese e cominciò a fumare nervosamente
nell’attesa che il “dannato” arrivasse dall’altra stanza.
“Ciao tesoro”, esordì a braccia aperte, “finalmente sei arrivata” e
l’abbracciò, pronunciandosi in avanti per baciarla. Il vomito le saliva
sempre più, ma doveva mantenere un certo contegno, per cui espirò con
stizza il fumo e lo baciò… un bacio davvero freddo; e Milo aveva un che di
diverso dal solito, ma non riusciva a mettere a fuoco di cosa si trattasse.
Aveva deciso che gli avrebbe detto tutto, ma dopo averlo visto la sua forte
rabbia stava già scemando: quel volto dai lineamenti un po’ duri, quelle
mani possenti ma curate e quel bicipite ben pronunciato uniti ad una strana
dolcezza del suo carattere le procurava un mix di emozioni tale da
stimolare in lei un senso quasi materno. “Ora basta! Glielo dico” pensò. E
si alzò di scatto.
Con enorme sorpresa Milo restò lì, immobile, ad ascoltare lo sfogo di lei: in
realtà Cate non immaginava che la sorpresa vera era che tutto il suo piano
con Luana e Kataratta era stato inutile.
Adesso però doveva trovare le forze per fingere stupore e amarezza, anche
se in realtà era sollevato che Cate avesse fatto tutto da sola. Dopo qualche
secondo di silenzio prese a chiedere perché volesse lasciarlo dopo tutto
quello che c’era stato tra loro, perché lo faceva se si amavano, perché non
gli aveva mai detto nulla e seguivano risposte piene di rabbia da parte di
Cate sul nano e la segretaria. “Uff, a quanto pare questa ha già intuito il
19
Scene di ordinario cinebrivido
mio rapporto con Luana: meno male che ha deciso di andar via da sola, così
evito delle possibili grane”, pensò.
Dopo una serie di botta e risposta pieni di accuse reciproche, Cate raccattò
frettolosamente le sue cose e decise di andar via. Proprio in quel momento
Milo ricordò che nessuno aveva avvertito Kataratta e Luana che non c’era
più bisogno di attuare il piano.
In effetti il piano escogitato dai tre era alquanto semplice e una villetta al
riparo di occhi e orecchie indiscrete sarebbe stata di grande aiuto.
Wolfang, grazie alla sua abilità di trasformista, doveva fingersi tappeto in
fondo alle scale, così da far inciampare Cate e averla a terra. A questo
punto Luana avrebbe provveduto, con un estintore, a farle perdere i sensi
con una bella botta in testa.
Solo allora avrebbero potuto divertirsi nello stuprarla, prima di renderla
irriconoscibile con un minipimer della Braun e lasciarla morire in mare:
l’acqua avrebbe poi eliminato ogni prova.
Adesso però andavano assolutamente fermati quei due, anche se c’erano
pochi secondi a disposizione, con Cate che di corsa stava per scendere le
scale. Ma proprio nell’attimo cui stava pensando al da farsi, squilla il
citofono: era la vecchia Stefy, nota zitella che viveva nella palazzina a
fianco e famosa per non tenere mai la bocca chiusa conoscendo i cazzi di
tutti, che era venuta a chiedere un po’ di zucchero per finire la sua torta.
Arwen
Quando Milo aprì la porta e si trovò di fronte la Stefy in cerca di zucchero
si sentì morire. Sapeva perfettamente che quella donna non era in grado di
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Scene di ordinario cinebrivido
cuocere nemmeno un uovo al tegamino e che l’unico motivo per cui si
trovava lì era per spettegolare di ogni abitante che aveva la sfortuna di
vivere a meno di 10 km da lei. Riuscì a trattenere Cate facendo leva sul suo
spirito di comare, in attesa di bloccare l’agguato alla prima occasione. Ma
quando la Stefy cominciava a spettegolare poteva andare avanti per ore e in
più sembrava che quel giorno tutto il vicinato avesse avuto la geniale idea
di combinarne una. Passava il tempo e Milo era anche un po’ preoccupato
per il nano che disteso sul freddo marmo poteva beccarsi una
bronkopolmonite, ma non riusciva a liberarsi dalle due donne che in quel
momento stavano passando in rassegna tutti gli amori di Manuela Arcuri,
cosa che le avrebbe quindi impegnate per almeno altre tre ore.
Improvvisamente il cane bastardino di casa si mise ad ululare e Milo prese
immediatamente la palla al balzo “Devo far rientrare Herbie, torno subito”.
Nel buio ormai fitto della casa scese gli scalini a due a due in modo sicuro
e veloce. Nel silenzio si sentiva soltanto il cuoio delle sue scarpe che
ticchettava sul marmo.
Arrivato in fondo alle scale stava per chiamare Kataratta a gran voce
quando si sentì ghermire le gambe e cadde con un tonfo sordo. Senza
capire bene cosa stesse succedendo un tessuto pesante gli coprì la testa
tappandogli la bocca, anche se in realtà era talmente sorpreso che non
sarebbe mai riuscito a profferire parola. Qualcosa di molto pesante poi calò
su di lui stordendolo e cominciò a sentire voci ovattate che sogghignavano
provenienti come da un mondo lontano. E improvvisamente capì. Nel buio
della casa quei due deficienti non si erano accorti che si trattava di lui e non
di Cate.
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Scene di ordinario cinebrivido
Immaginando che anche la deficienza abbia un limite, non si spaventò più
di tanto, sicuro che presto si sarebbero resi conto dell’errore. Ma non aveva
fatto i conti con Luana.
Affinché lo stupro avvenisse in maniera abbastanza violenta come voleva
lei (aveva sempre desiderato di produrre uno snuff-movie) per tutto il
pomeriggio aveva stuzzicato molto il nano fino a causargli un’erezione
dolorosa che questo non vedeva l’ora di soddisfare.
Così il nano, preso da un raptus di voglia, prese a togliere i jeans a quella
che credeva Cate. Luana si avvicinò da dietro e accoccolandosi alle sue
spalle carezzandolo con i suoi seni prorompenti gli sussurrò in un orecchio
“No dai, sodomizzala, urlerà di più”.
Il nano, ormai con la bava alla bocca, non se lo fece ripetere due volte,
voltò il corpo e tolse i jeans. E non si accorse che portava i boxer, alla fine
da queste donne emancipate che vogliono assomigliare a tutti i costi a un
uomo ci si può aspettare questo ed altro, e nemmeno che al tatto quel culo
era pieno di peli con tanto di coda. Pensò solo ad appoggiare il suo membro
eretto ormai allo sfinimento su quel buco e a spingerlo dentro con tutta la
sua forza.
Quando Milo si sentì deflorare a quella maniera non riuscì a trattenere un
urlo che però gli si spense in gola mentre sveniva.
Soddisfatte le voglie del nano, quando ormai il battito cardiaco era appena
percepibile, Luana accese le luci del salone mentre il nano scopriva quel
corpo la cui testa aveva sbattuto ovunque nell’enfasi della violenza e che
numerose volte aveva risuonato con un crack.
L’orrore che si disegnò sui loro volti alla vista dell’amato Milo fu ben
presto sostituito dalla paura di essere scoperti. Il nano sottovoce si rivolse a
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Scene di ordinario cinebrivido
Luana “Senti se il mare avrebbe fatto sparire le tracce da quella troia le farà
sparire anche da lui. Procediamo come deciso.”
E rimasero a guardare il corpo che lentamente si allontanava dalla riva
verso il mare aperto.
Nel frattempo la Stefy e Cate erano arrivate al sultano del Brunei.
Rondell
“Ho sentito qualcosa d’incredibile su quel sultano…”
“Sarebbe?” Cate fissò accigliata le labbra rugose di Stefy mentre, colte da
spasmi di chiara origine tourettiana, si muovevano velocemente. Aveva
davanti il volto più sconfortante che avesse visto nell’ultimo lustro, ovvero
dai tempi in cui andava a lezioni di violoncello da un effeminato eunuco
emulo di Giletti.
“Sarebbe che quel silos di letame...- la vecchia si arrestò per un lungo e
penoso istante, durante il quale il suo corpo fu scosso da spasmi -…dicevo,
quel porco ha lasciato la moglie per dedicarsi all’allevamento di struzzi
nani che custodisce gelosamente in un capannone privato e protetto da
bonzi sodomiti. Ah!!” L’ultima contrazione di quelle guance pendule fece
sussultare Cate, che finse indifferenza con un sorriso gelido scolpito in
faccia. La vecchia avvicinò la bocca odorosa di inumazione alle sue
orecchie con fare confidenziale. “Dicono che quelle bestie si nutrano di
neonati. Che dio ci salvi, mia cara…”
Cate l’assecondò scuotendo il capo in segno d’assenso, con in testa il solo
pensiero di allontanare quella cariatide transgenica il prima possibile.
“Certo, Stefy…certo…io, beh, ho letto da qualche parte che…” Un tonfo
23
Scene di ordinario cinebrivido
proveniente dal fondo delle scale, seguito da altri più ovattati, la interruppe.
Istintivamente Cate si grattò il mento, ma non trovò la scabrosità della
barba che teneva spesso incolta, trasformata in ricordo dal bombardamento
ormonale cui si era sottoposta anni addietro. Fece per lanciarsi oltre l’uscio,
ma Stefy la bloccò con prontezza inaspettata.
“Stefy, scusami, devo andare a controllare, non vorrei che fosse successo
qualcosa a Milo”
“Ma tu devi ancora ascoltare la storia sul nuovo flirt di Walter Nudo!”
L’anziana signora piantò gli occhi spiritati in quelli di Cate. Un filo di
saliva colò lungo il mento della donna, il cui cipiglio vorace si fece
improvvisamente ferino.
Cate non si sottrasse a quello sguardo di sfida “Stefy…togliti…”
La vecchia le si fece più vicina. “No!”
“Stefy, stai superando una linea che con me è meglio non superare”
“Walter Nudo…”
Cate agguantò il collo della vecchia, avvertendone la flaccida consistenza.
La sollevò di una decina di centimetri da terra e la piantò contro la parete
alle sue spalle, fissandola con il fuoco maschile che ancora covava in sé,
nonostante il cambio di sesso.
“Vecchia, hai rotto il cazzo!”
Piantò il pugno chiuso nel ventre di Stefy, prima che questa potesse
proferire altre deliranti oscenità e la lasciò cadere a terra esanime.
Udì lo stridere di ruote dall’esterno e il rumore feroce di una macchina in
accelerazione che si allontanava. Raggiunse l’ingresso, in fondo alle scale,
in pochi agili balzi e lo spettacolo che la accolse le strappò il fiato dalla
gola. Sembrava che qualcuno si fosse divertito a evirare un gatto
nell’ingresso della palazzina. Le pareti erano lorde di sangue e alcune
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Scene di ordinario cinebrivido
frattaglie di origine misteriosa erano adagiate sul pavimento. Corse in
strada, inseguita alle terga da un’angoscia straziante che delineava
immagini terrificanti nella sua mente. Notò subito che l’auto del suo uomo
era sparita. Qualcuno, dunque, aveva rapito Milo e stava scappando sulla
sua macchina. Si precipitò in garage e dovette bloccarsi sulla soglia per lo
sgomento. L’ape di Wolfang che vi trovò parcheggiata le riportò alla mente
il ricordo corrotto e licenzioso di quella notte di sesso con lui. Non c’era
tempo per ubbie e indugi. Montò sul mezzo color porpora metallizzato e
accese il motore, facendolo rombare aggressivo.
“Milo, sto arrivando. Devo mollarti definitivamente prima che tu
muoia…non mi va di essere una vedova del cazzo!”
[Primissimo piano sul volto di Cate. Sguardo invasato in macchina che poi
si rivolge verso una nuova e ambita meta. Il motore truccato dell’ape fuori
campo ne accompagna l’improvvisa uscita.]
Wolfang drenò il bicchiere e lo sbatté sul bancone del bar con fare
sfrontato. L’uomo seduto di fianco, obeso, pelato, rinchiuso in una
vomitevole camicia di flanella color cachi su cui capeggiavano inusitate
macchie di pesto alla genovese, odoroso di sudore e dal quoziente
intellettivo probabilmente prossimo al venti ruttò rumorosamente facendo
vibrare con orgoglio la cavernosa mostruosità che aveva al posto della
bocca e colpì la schiena del nano con una mano, sudata e probabilmente
complice
di
una
recentissima
fellatio,
nell’insano
tentativo
di
complimentarsi per il cicchetto appena trangugiato. Wolfang lo ignorò,
passò una banconota da cento euro a Luana, le sussurrò “Spediscimi questa
unta bisaccia di concime in bagno alludendo al fatto che sono gay…ah,
paga da bere” e si diresse verso la toilette con incedere da cartoon di serie
25
Scene di ordinario cinebrivido
zeta. Luana rimase interdetta. Sapeva già cosa stava per succedere e il
pensiero di essersi appena sbarazzata del cadavere del suo amante assieme
a un orrorifico nano omicida che stava per renderla partecipe di
un’ennesima sortita nel grottesco la fece bagnare e accolse il fatto con un
misto di sorpresa e perverso piacere. Si rivolse all’obeso. “Ciao ciccio, vai
in bagno, il mio amico desidera un lavoretto…al retto” Rise lasciva e
continuò a fissarlo accavallando le gambe sullo sgabello.
“Ah…ah sì?” L’uomo divenne improvvisamente molto sudato e grattò dal
cranio alcune scaglie di pelle, frutto della dermatite più disgustosa del
bacino mediterraneo, compreso il Magreb.
“Allora…vado?”
“Vai, tesoro…vai e colpisci. Ti amiamo tutti”
“Ma mi devo…” Il panzone si guardò attorno e ravvisò la presenza, nei
dintorni, di un paio di alcolizzati che si stavano interessando alla scena.
Abbassò la voce. “…mi devo fare proprio il nano, perdio?”
“Tesoro, non mi sembri uno che si formalizza sul tipo di buchi da riempire.
Fai il bravo, alza quelle chiappe da cisterna e vai al cesso” Luana lo guardò
in modo esplicito e tornò a sorseggiare annoiata il suo negroski.
Il pingue avventore ubbidì senza fiatare. Quando Wolfang tornò a sedersi al
bancone, Luana aveva appena finito di contare il numero di brufoli sulla
imberbe faccetta del barista.
“Hai pagato?”
“Sì”
“Bene, andiamo…in fretta ma con calma”
Uscirono dal locale e si diressero verso l’auto, Wolfang incurante, Luana
trafelata.
26
Scene di ordinario cinebrivido
“Smettila di comportarti come se avessi appena sgozzato un panzone inetto
nel cesso di un pub”
“Ci sto provando, imbecille”
Salirono sul mezzo e uscirono in fretta dal parcheggio. Luana stava
tremando e batteva le palpebre in fretta.
Wolfang arroventò la punta di un colossale spinello di marijuana. Doveva
fumare due grammi al giorno di quella roba per alleggerire le crisi
epilettiche che lo colpivano dalla nascita, oltre che per sedare un pochino
quella sua intrattabile indole assassina, ovviamente. Si girò verso Luana,
ogni secondo più pallida e afflitta. “Ora torniamo a casa, in tranquillità.
Cate ci aspetta”
[Primissimo
piano
sulla
smorfia
assassina
del
nano.
Cambio
d’inquadratura. La dolly compie una panoramica a schiaffo della strada,
mentre l’auto si allontana fino a sparire dall’inquadratura. La risata
mefistofelica di Wolfang accompagna il fade in black.]
Herbert
Il rombante mezzo a tre ruote scorrazzava con incredibile agilità tra le auto
incolonnate nel traffico della sera. Era appena uscito dalla tutto sommato
ancora scorrevole strada statale per immettersi nelle strette viuzze
cittadine,ormai
già
irrimediabilmente
congestionate.
Una
leggera
derapata,eseguita ad arte,accompagnata dal sonoro stridio delle due ruote
motrici posteriori aveva accompagnato la manovra.
La vistosa antenna del baracchino, alta oltre due metri, collocata sul
tettuccio del motocarro in mezzo a due coppie di trombe da TIR e di faretti
27
Scene di ordinario cinebrivido
di profondità, oscillava paurosamente lungo l'asse verticale. Se gli
automobilisti stanchi ed annoiati non potevano non incuriosirsi di fronte ad
un veicolo così appariscente che nel frattempo continuava imperterrito a
fare la sua gimkana in mezzo alle auto, quelli di loro che riuscirono a
notare il pezzo di femmina che lo stava conducendo (e con polso tanto
determinato) rimasero letteralmente esterrefatti. Avrebbero potuto sì
immaginarsi un adolescente in fase di esaltazione ormonale od al più un
adulto sfigatello ed un po’ ritardato. Ma certamente non avevano mai visto
una donna (e che donna!) condurre in quel modo un mezzo simile né tanto
meno avevano mai sentito una siffatta creatura imprecare e bestemmiare
come un camionista inveendo visibilmente contro il caos dell'ora di punta
che stava rallentando esageratamente il suo inseguimento.
Tra il tempo perso ad ascoltare il gossip demenziale della vecchia Stefy e
quello che stava ora accumulando i rapitori avevano accumulato un
sostanzioso vantaggio, tale che sarebbe stato addirittura sufficiente per un
drink al bar! Ma ci sarebbe voluto ben altro per fermare un Catello furioso.
Il rapido susseguirsi degli ultimi eventi aveva infatti turbato il suo stato
d'animo al punto da far affiorare in superficie quelle particolarità
caratteriali spiccatamente maschili che la novella Cate aveva vanamente
sperato di poter col tempo definitivamente rimuovere dalla sua indole. Ma
evidentemente non si trattava questa di una problematica facilmente
risolvibile nella stessa drastica maniera con cui i bisturi avevano risolto
quella fisica.
Se con il taglia e cuci chirurgico e le ininterrotte iniezioni di ormoni il
signor Esposito era rapidamente trasmutato agli occhi di tutti come la
conturbante signorina Cate, l'aspetto psicologico della questione si era
presto manifestato devastante come le schegge di una granata di artiglieria
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Scene di ordinario cinebrivido
pesante sparata in campo aperto. Scatti d'ira repentini e selvaggi, una
lunaticità marcatissima ed appetiti sessuali spropositatamente esibiti e
ricercati,erano solo alcuni,forse i sintomi più evidenti,degli aspetti
comportamentali sensibilmente alterati dal bombardamento ormonale e dai
crescenti disturbi della personalità.
Ormai era come un palloncino troppo gonfio che si accingeva a scoppiare.
Troppi elementi e tutti insieme vi avevano contribuito:il rapporto
contrastato con Milo e poi l'improvviso rapimento di quest'ultimo,il
pestaggio della vecchia rompiballe,ma sopratutto il repentino incontro col
passato tramite la vista shockante di quel Apecar porpora la cui immagine
era sempre stata impresa vividamente nella sua memoria. Wolfango, il
nano bastardo! Ricordi rabbiosi si accavallano tumultuosi nella mente della
donna mentre forse inconsciamente rotea il polso destro in maniera quasi
innaturale sulla manopola dell'acceleratore facendo sussultare l'intero
mezzo mentre il motore veniva portato pericolosamente fuori giri. Quasi
come se quel maltrattamento potesse davvero traslarsi magicamente sul suo
proprietario.
Quel defloratore di transessuali operati neovergini! Come aveva mai potuto
scendere così in basso:inaugurare la sua nuova vita con un nano da Circo
Togni! La sua rabbia montava veloce come l'albume d'uovo nel minipimer
e seguendo uno strano ma apparentemente coerente filo logico: le sembrava
quasi come se tutti gli insuccessi sentimentali accumulati dopo la perdita di
quel pene che aveva sempre mal tollerato,fossero ora facilmente attribuibili
ad una maledetta causa comune: quell’unica ma trucida e rudemente
passionale notte di sesso col satanico essere.
Era immersa in tali iracondi pensieri quando, proprio come se la fortuna
avesse finalmente voluto tenderle la mano, i suoi occhi si fissarono su una
29
Scene di ordinario cinebrivido
sagoma familiare proveniente dalla corsia opposta: l'auto di Milo! Non
avrebbe mai potuto confondere con nessun altra la vistosa berlina tedesca
su cui aveva trascorso tante serate, e non sempre e solo per essere
riaccompagnata a casa… adesso stava svoltando sulla sua destra per far
ritorno sulla statale e cate poté così avere, in un rapido colpo d'occhio,la
conferma dei suoi timori: alla guida c'era Wolfango, ed al suo fianco
quell'altra puttana di Luana!
Erano stati dunque quei due ad architettare il rapimento del povero Milo e
chissà che fine gli avevano già fatto fare! Presa da un raptus irrefrenabile
spinse l'ape in una rapida inversione di marcia ed incurante degli
sfarfallamenti di fari e dei clacson nervosi di quanti si erano visti in tal
modo tagliar improvvisamente la strada, Cate(llo) si produsse in una
sgassante accelerazione sparendo con un boato assordante in una nuvola di
fumo azzurognolo.
Il suo era un piano totalmente improvvisato, ma tanto semplice quanto
ardito: uscire dal caos cittadino per infilarsi velocemente sulla più veloce
statale al fine di riuscire a precedere a valle il duo criminale onde poter
sbarrare loro la strada al momento giusto. Tutto in quel momento quadrava
nella sua testa e non vedeva alcun serio ostacolo alla realizzazione dei suoi
propositi di vendetta. Il destino gliel'aveva fatti incontrare entrambi: Luana
la puttana,che le aveva tolto l'attenzione di Milo, ed il nano trucido.
Era un occasione unica e lampante per poter sistemare i conti col passato
una volta per tutte.
Non si preoccupava affatto di essere da sola contro due, Luana l'avrebbe
liquidata facilmente con un paio di schiaffoni ben assestati mentre il nano,
per quanto nerboruto e coriaceo,sarebbe crollato come un sacco di patate
dopo aver ricevuto negli zebedei il suo tacco d'ordinanza da 20 cm. Poi li
30
Scene di ordinario cinebrivido
avrebbe costretti a dirle dove avevano nascosto Milo. Così oltre al gusto
dolce della vendetta personale avrebbe anche assaporato quello della gloria
per aver sventato un orrendo misfatto.
Tutta persa in queste elucubrazioni mentali, Cate sorrideva a se stessa, non
rendendosi conto che stava vendendo la pelle dell'orso prima di averlo
ammazzato. Fu in quell'istante che la dea bendata le volse definitivamente
le spalle ed il suo amaro destino ebbe compimento.
Per la distrazione non si accorse del segnale bianco di stop verniciato
sull'asfalto e si immise sulla statale di gran carriera senza il minimo sentore
di pericolo.
Fu così che in quel preciso attimo l'autotreno polacco condotto da tale
Victor Deboshovsky, nativo della Boemia, si trovò la fiancata sinistra
dell'ape esattamente davanti al respingente principale del suo paraurti di
acciaio zincato. Al povero Victor non rimase nemmeno il tempo di alzare il
piede dall'acceleratore.
Un impatto devastante e senza appello, accompagnato da un boato secco e
dallo stridio delle lamiere che si aggrovigliano e si accartocciano come
quelle di una lattina di birra messa sotto una pressa. Quando, circa un
centinaio di metri più avanti, l'enorme automezzo riuscì a fermare la sua
corsa,esso non aveva che un paio di righe color porpora sul paraurti e sulla
griglia del radiatore. Né aveva perso la benché minima parte del suo
prezioso carico di maiali ruspanti provenienti dall'Ungheria. Certo, le
simpatiche bestiole erano scivolate sul pavimento del rimorchio in mezzo
al loro stesso letame e si erano prese un gran bello spavento, tuttavia erano
sostanzialmente rimaste incolumi.
Ma del motocarro elaborato non rimaneva ormai che uno sgraziato cubetto
di lamiera,solcato da strisce rosse di sangue e dal materiale organico più
31
Scene di ordinario cinebrivido
disparato. La parte più consistente che si riuscì a ritrovare della guidatrice
non
andava
molto
oltre
un
mestolino
di
poltiglia
gelatinosa
(cervello?protesi di silicone?) ed a schegge di ossa così piccole e malridotte
che sarebbero state snobbate persino dal cane randagio più affamato.
Tuttavia quando pochi minuti dopo Wolfang arrivò finalmente nel punto
del disastro non ebbe alcuna difficoltà a riconoscere i resti del suo amato
automezzo né a comprendere l'identità della poltiglia umana rimasta ad
incrostare l'asfalto. L'aveva subito riconosciuta da una ciocca di capelli
rimasta ancora attaccata ad un minuscolo frammento di calotta cranica.
La rabbia che lo stava invadendo nell'osservare la fine ingloriosa di quello
che era stato il SUO Apecar e che fino a poco prima riteneva al sicuro sotto
casa di Milo causò nel nano una violenta reazione emotiva che lo spinse ad
un gesto per lui più inconsulto che inconsueto: le lacrime.
Nemmeno il pensiero che l'autrice dell'apicidio avesse già pagato con la
vita ed in maniera tanto cruenta riuscì a farlo smettere di singhiozzare. E
nemmeno le parole di conforto di Luana, "Quella troia si è eliminata da
sola, un vero colpo di fortuna!", sortirono alcun effetto benefico su di lui.
Avrebbe certamente preferito vendicarsi personalmente.
Fu soltanto dopo circa un quarto d'ora quando il mortificato Victor,straziato
da quella che aveva scambiato per una sincera manifestazione di dolore nei
confronti di una persona amata, si avvicinò biascicando termini in dialetto
boemo arrivando persino a permettersi di poggiare, a mo’ di conforto, una
mano sulla spalla del nano che quest'ultimo si riprese immediatamente e
repentinamente dalla situazione di sconforto.
Dopo aver rivolto un'occhiata minacciosa e bruciante al polacco (che per
reazione, temendo per la sua incolumità,ritirò la mano come se avesse
preso la scossa), si girò verso destra e disse a Luana: “Non abbiamo ancora
32
Scene di ordinario cinebrivido
terminato:dobbiamo eliminare ogni traccia che possa condurre a noi.
Dobbiamo andare a trovare Gisella”.
La sua complice lo fissò con occhi sgranati: “la sorella gemella di Milo? E
perchè mai dovremmo farlo?”.
La risposta spazientita di Wolfang non si fece attendere: “Proprio perchè
erano gemelli, razza di cretina! Quei due si sentivano spessissimo e non
avevano segreti fra loro. Certamente Milo le avrà esposto il suo piano e le
avrà parlato di noi due… dobbiamo verificarlo ed eventualmente…
risaneremo la situazione".
Un occhiolino di intesa chiuse il discorso tra i due,almeno finché la donna
non si ricordò di un dettaglio: “Gisella abita piuttosto lontano da qui… non
daremo troppo nell'occhio andandoci con l'auto del fratello? Non potrebbe
insospettirsi?”.
“Mmmm, si hai ragione... ma è un problema facilmente risolvibile, almeno
nell'immediato”, e così dicendo il nano si volse con un ghigno verso il
sempre più frastornato Victor (che parlava e capiva solo il boemo) e
sopratutto verso il suo camion di maiali.
Aveva ritrovato la sua smorfia assassina.
Dimar
“Faccio il gondoliere da 25 anni, ho cominciato che ero un ragazzino. Lei
mi capisce, Venezia è una città romantica, milioni di persone vengono a
visitarla da ogni parte del mondo, tutti vogliono fare un giro in gondola.
Quando cominciai questo mestiere le cose erano diverse, c’era meno
speculazione, tutto costava di meno, si faceva il gondoliere per passione,
33
Scene di ordinario cinebrivido
per amore della tradizione. E anche per trasportare qualche bella turista,
non lo nego, d’altronde oggi ho 45 anni, ma agli inizi ero giovane e facevo
la mia figura. Ben vestito, orgoglioso della mia gondola, comprata usata da
un vecchio che se ne voleva andare in pensione a 55 anni. Perché il
mestiere del gondoliere è duro, non è mica come sembra. Tutto il giorno
sotto al sole, oppure al freddo dell’inverno, qualche volta anche con la
neve. E poi la vicinanza con l’acqua non giova alla salute, Maresciallo.
Oggi comincio a sentire dolori alle ossa. Sa, tutta quella umidità non fa
certo bene…”
“Veniamo al punto, Meneghìn. Come sono andate esattamente le cose la
scorsa notte?”
“Mi scusi, Maresciallo. Le dicevo che le cose oggi sono diverse, questi
giovani sono diversi, noi non eravamo così. Oggi vogliono tutto e subito. Io
avevo finito il mio turno, saranno state le 19. La mia Mirella mi aspettava a
casa per la cena. E’ una cara donna, mi tratta come un re e io la tratto come
una regina. La mia regina. Ma le cose non vanno bene, i soldi, Maresciallo,
non bastano mai. Con questo euro, poi… Insomma, stavo per andarmene
quando si presenta questa coppia di inglesi, due ragazzini, ben vestiti e
tutto, ma già ubriachi. Si vedeva lontano un miglio, soprattutto lui aveva un
alito che non le racconto. Ma anche lei non era proprio sobria. Mi dicono
che vogliono fare un giro in gondola, vogliono vedere Venezia “by night”,
di notte, Maresciallo. Capirà che io, col lavoro che faccio, l’inglese oramai
lo mastico abbastanza bene, e gli rispondo nella loro lingua che il mio turno
è finito, che aspettassero 5 minuti. C’era un collega che avrebbe preso il
mio posto entro breve. Ma il ragazzino sembra non avermi ascoltato, mette
una mano in tasca e caccia un rotolo di banconote. Sterline, Maresciallo,
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Scene di ordinario cinebrivido
altro che euro. Dice che me ne dà 400, “four thousand pounds”, se porto lui
e la sua ragazza in giro per i canali.”
L’uomo prese un attimo di pausa, poi continuò, lentamente.
“La conosco l’ordinanza comunale. Non si può lavorare oltre il proprio
turno, ma 400 sterline tutte assieme, di questi tempi, sono una bella cifra.
Ci porto la mia Mirella a fare shopping, le compro un bel vestito per il
matrimonio della sua sorellina. E ci scappa pure un bel paio di scarpe
nuove per me. Ha presente quelle nuove che fanno traspirare i piedi? E
allora accetto, Maresciallo, non mi dica nulla, ma io prendo sulla mia
gondola i due inglesini e li porto per i canali. Non l’avessi mai fatto. Chi
poteva immaginare che sarebbe successo tutto questo, che io oggi sarei qui
a parlarne, che sarei stato sospeso dalla cooperativa per un solo errore,
Maresciallo. Per una volta che infrango l’ordinanza quelli mi sospendono!
Che disastro, che disastro…”
“Capisco… ma io non ho tutta la giornata. Come avete rinvenuto il
cadavere?”
“Eh, come dice? Ah sì, il cadavere… Saranno passati dieci minuti da
quando gli inglesi sono saliti sulla gondola. Cantavano, erano allegri,
volevano ballare, ma io gli ho detto che così avrei perso l’equilibrio, gli ho
detto di smettere. La ragazzina, quella meno ubriaca, si è girata a guardarmi
con un viso imbronciato, poi si è sporta di botto, eh ha rimesso, nel canale.
Mi sono fermato, ho fatto per avvicinarmi, ma prima che le fossi ad un
metro ha lanciato un urlo, sembrava impazzita. Non capivo cosa diceva, la
voce era stridula, anche il suo amichetto credo che non capisse cosa diceva,
cercava solo di calmarla. Ma lei indicava il canale, era evidente. Allora ho
guardato in acqua e l’ho visto. Era seminudo, le gambe erano scoperte, i
pantaloni abbassati fino alle caviglie. Un uomo, mi sono detto, sicuramente
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Scene di ordinario cinebrivido
è un uomo, morto. Allora mi sono disinteressato della ragazzina, quasi non
sentivo più le sue urla, ho lasciato che fosse il suo amichetto ad
occuparsene e mi sono avvicinato al corpo con la gondola. Non sapevo
cosa stavo facendo, ma non potevo lascialo lì, non era giusto, non era
cristiano. Allora l’ho preso, l’ho tirato via dall’acqua, stendendolo sulla
barca. E il viso, il viso era… orribile, Maresciallo. Tutto deformato, come
avesse le ossa del cranio rotte, rientrate verso l’interno, uno spettacolo
inguardabile, inguardabile…”
“E poi ha riportato la gondola, i due ragazzini ed il cadavere fino
all’imbarco. Gli inglesi sono scappati e lei ha avvertito noi. E tutto? E’
successo altro che non mi ha ancora detto?”
Meneghìn, visibilmente scosso, fece no col capo, ammutolito dal ricordo e
dall’amarezza.
“D’accordo, allora può andare. E se ce ne sarà bisogno la contatteremo di
nuovo, ma non penso sarà necessario. Arrivederci, e buona fortuna”.
Mentre Meneghìn usciva dalla stanza, il Maresciallo fece cenno
all’Brigadiere Franceschini perché entrasse.
“Brigadiere, allora riepiloghiamo. Meneghìn rinviene, alle 19:10 circa, il
cadavere di un uomo semivestito. L’uomo risulta morto di morte violenta,
ha diverse fratture al cranio, ma non v’è traccia di annegamento. Si sa nulla
della sua identità?”
“Ancora nulla, ma il medico legale ha rinvenuto tracce di acqua marina
all’interno dell’organismo.”
“Ma non può essere affogato in mare, con quelle fratture!”
“No Maresciallo, ma è plausibile che dopo l’omicidio il corpo sia stato
gettato in mare, e che quest’ultimo l’abbia portato nella laguna.”
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Scene di ordinario cinebrivido
“E’ un caso che non risolveremo mai, e le mie vacanze se ne andranno a
benedire perché il Questore mi farà perdere del tempo inutile.”
“C’è dell’altro, Maresciallo. Lei non ci crederà, ma nelle ultime
ventiquattro ore sono successe delle cose un po’ strane.”
L’espressione del Maresciallo si fece attenta, distogliendo per un attimo i
suoi pensieri dal Questore e dalle vacanze prenotate un mese prima.
“Racconti, Franceschini.”
“Beh, è difficile anche solo cercare un punto da cui cominciare... Dunque,
nella giornata di ieri, come le dicevo, si sono verificati degli eventi
abbastanza insoliti. Nel primo pomeriggio ci è giunta la telefonata anonima
di una donna che si lamentava degli insistenti latrati di un cane,
probabilmente lasciato a se stesso in un appartamento, qui a Venezia. La
donna ci ha comunicato l’indirizzo, ed io ho pensato di mandare due dei
nostri ragazzi per un controllo. Si tratta di due ragazzi svegli, uno dei quali
svolge servizio volontario presso il canile municipale. Ho pensato che
avendo dimestichezza con gli animali…”
“Brigadiere, che me ne frega a me della dimestichezza coi cani dei nostri
appuntati! Ho già un principio di mal di testa, non ho preso le mie pillole,
mia moglie mi farà una testa così se il Questore mi costringerà a rinunciare
al viaggio che ho prenotato, e lei mi viene a parlare di cani e volontariato!”
“Mi scusi, Maresciallo. Come le dicevo, ho mandato due dei nostri. Giunti
all’appartamento, hanno suonato alla porta. I latrati del cane non
diminuivano, pare fossero davvero strazianti. A quel punto una vicina è
uscita sul pianerottolo, affermando che quella storia doveva finire, che era
disturbo della quiete, che il cane stava latrando ma che in casa doveva
esserci per forza qualcuno, perché il padrone di casa ha lì anche il suo
studio. Pare sia un avvocato della mala veneta, tale Milo Forman.”
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Scene di ordinario cinebrivido
“Milo Forman? Come il regista?”
“No, Maresciallo, quello si chiama Milos. Ma il cognome è identico. Ad
ogni modo i ragazzi si sono insospettiti, hanno pensato che fosse successo
qualcosa al proprietario di casa, e che il cane stesse cercando di richiamare
l’attenzione. Allora hanno sfondato la porta e all’interno…”
“Cosa? Cosa???? Hanno fatto irruzione senza un mandato? Un cane latra e
noi che facciamo? Mandiamo due appuntati dal cuore d’oro, innamorati
degli animali a quattro zampe, a sfondare la porta di un privato cittadino?
Brigadiere ma sta scherzando spero! No perché se lo viene a sapere il
Questore lei sa cosa succede?”
“Mi lasci finire, la prego. I nostri ragazzi hanno sfondato la porta ed
all’interno hanno rinvenuto una donna, distesa sul pavimento…”
“Morta?”
“No, svenuta…”
“Accidenti. Se fosse morta avrei potuto dire al Questore che avevamo
ricevuto una telefonata anonima su un omicidio e che i nostri ragazzi, presi
dalla foga, nell’intenzione di adempiere al meglio le proprie funzioni
avevano fatto irruzione nella speranza di salvare una vita. Oggi mi va
proprio tutto storto!... Beh, e allora, dov’è la stranezza in questa storia?”
“Non è finita, infatti. La donna è poi rinvenuta, si tratta di una vecchia
comare del quartiere. Tutti la chiamano “la Stefy”, ma all’anagrafe risulta
registrata come Stefania Lumbàrd. E’ un’inquilina dello stesso stabile in
cui risiede il proprietario dell’appartamento, il signor Forman. E la storia
che ci ha raccontato è piena di strane coincidenze che ora le illustrerò. La
Lumbàrd è stata aggredita da una donna, un’amica intima del signor
Forman, il quale in quel momento era uscito a cercare il cane, e di cui al
momento si sono perse le tracce.”
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Scene di ordinario cinebrivido
“Del cane? Ma se ha detto che era nell’appartamento e che stava latrando?
E sua la colpa se la mia emicrania non accenna a diminuire!”
“Non si sono perse le tracce del cane, Maresciallo, ma del padrone, il
signor Forman… Ad ogni modo, la donna che ha aggredito la Lumbàrd
risponderebbe al nome di Cate. Di questo la vecchia è sicura. Ma ora viene
il bello. Sempre ieri mattina c’è stato un incidente sulla provinciale 17. Un
TIR, guidato da tale Victor Deboshovsky, ha investito un Apecar che non
aveva rispettato il semaforo, uccidendo così il conducente. Indovini chi era
alla guida del mezzo a tre ruote?”
“Ma che ci mettiamo a fare gli indovinelli adesso? Devo comprare una
vocale? Chiedo l’aiuto da casa? Andiamo Franceschini, procediamo coi
fatti.”
“Chiedo scusa, Maresciallo. Alla guida dell’Apecar c’era tale Catello
Esposito. L’abbiamo potuto identificare grazie alla patente, perché il resto
del corpo, e in particolare del cranio, era completamente sfracellato, una
poltiglia irriconoscibile...”
“Grazie Brigadiere, di cuore. Oggi lei è la seconda persona che mi racconta
di crani sfracellati. Più tardi chiamo Quentin Tarantino e gli propongo di
venire a girare Pulp Fiction 2 a Venezia!”
“Non è questo il punto. Abbiamo contattato i familiari del signor Esposito.
E abbiamo scoperto che recentemente il signor Catello, a seguito di un
intervento chirurgico, ha cambiato sesso. Insomma, Maresciallo, Catello
Esposito è un omosessuale. E…”
“Non è un omosessuale, ma un’altra cosa. E’ un transessuale.”
“Era, signor Maresciallo. Ma sa come si faceva chiamare adesso? Cate,
signorina Cate Esposito. Cate, Maresciallo, come la donna che ha aggredito
la Lumbàrd!”
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Scene di ordinario cinebrivido
“Non mi dica che sono la stessa persona!”
“Esattamente. Abbiamo fatto vedere alla Lumbàrd la foto della patente del
signor Catello ed ha riconosciuto il lui la Cate che l’avrebbe aggredita poco
prima. Non è incredibile?”
“No, è meglio che incredibile. E’ perfetto. La Lumbàrd è stata aggredita ma
la sorte ha voluto che il suo aggressore fosse punito per i suoi peccati,
esentando me dal riferire al Questore che c’era un aggressore di vecchie
comari in circolazione e che stava terrorizzando tutte le impiccione della
città! Bene, Brigadiere, direi che la storia è stata interessante, ma si è fatta
ora di pranzo, e se voglio prendere la pillola per la mia emicrania, devo
mettere qualcosa nello stomaco.”
Mentre disse questo, fece per alzarsi dalla sedia, ma restò a metà del
movimento perché fu interrotto dal Brigadiere.
“Non era sua, la Apecar.”
“Come dice?”
“Il signor Catello non era alla guida della sua auto, l’Apecar era intestata a
qualcun altro.”
“E allora? Aggiunga al suo rapporto che il signor Catello dopo avere
cambiato sesso, dopo avere tramortito una donna, dopo avere rubato un
mezzo di locomozione, ha trovato felicemente e giustamente la morte sulla
provinciale 17.”
“L’Apecar è del signor Wolfang Horacio Ghunter Ernst Indigo Martini…”
“Wolfang chi?”
“Un nano.”
“Un nano?”
“Un nano.”
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Scene di ordinario cinebrivido
A quel punto il Maresciallo cadde sulla sedia sconsolato, mettendo la testa
fra le mani.
“Non è possibile, la prego, lei non può fare sul serio, Brigadiere. Si rende
conto dell’assurdità di questa conversazione? Avanti, mi dica dove sono le
telecamere nascoste, ché io so stare al gioco, ma si è davvero fatto tardi.”
“Wolfang… è un dipendente del signor Milo Forman. Il suo compito è
quello di…”
Il Brigadiere fece una pausa e diede uno sguardo perplesso al suo superiore.
Poi continuò.
“Il suo compito è quello di impersonare il nano da giardino.”
“Il nano da giardino, ma certo…”, rispose il Maresciallo con tutto il
sarcasmo che riuscì a recuperare dal fondo del suo mal di testa.
“Beh non proprio il nano, ma i nani. I sette nani per la precisione.”
“Biancaneve no?”
“E’ troppo basso, Maresciallo. Come potrebbe?”
“Come ho fatto a non pensarci?!”
“Non è finita qui, a dire il vero.”
“Guardi, Brigadiere, da questo momento in poi non mi stupisce più nulla.”
“Bene, allora mi ascolti. Sempre nella giornata di ieri, in un bar malfamato,
precisamente nella toilette dello stesso, un enorme ciccione è stato trovato
con la gola tagliata e le braghe calate. Ci ha avvertiti ovviamente il
proprietario del locale. Il quale dice che il grassone, prima di andare in
bagno, ha parlato con un nano e poi con una amica del nano. Non sa cosa si
sono detti, ma prima il nano è andato in bagno, poi l’ha raggiungo il
grassone con uno strano ghigno. Dopo pochi secondi, però, il nano è venuto
fuori dal bagno ed è uscito dal locale con la sua amica, che ha pagato in
fretta il conto. Quando il proprietario del locale si è accorto che il grassone
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Scene di ordinario cinebrivido
non usciva dalla toilette, è andato a controllare, ed ha trovato lo spettacolo
che le ho descritto.”
“Beh, tutto qui? Un nano seduce e uccide un grassone nella latrina di un bar
malfamato. Ho sentito di peggio oggi.”
“Un nano da giardino seduce e uccide un grassone nella latrina di un bar
malfamato.”
“Cosa?”
“Abbiamo mostrato al proprietario del locale una foto - fornitaci dalla
motorizzazione - del nano proprietario dell’Apecar che si è sfracellata
contro quel TIR. Sa, non sono molti i nani in circolazione di questi
tempi…”
“Immagino che lei parli così statistiche alla mano, Franceschini.”
“Semplice intuizione, Maresciallo.”
“Ceeerto! Chi non avrebbe intuito quello che lei sta per dirmi. E cioè che il
proprietario dell’Apecar è un nano da giardino che impersonifica i sette
nani, da Brontolo a Pisolo, e che nel tempo libero frequenta bar di dubbio
gusto, in cui adesca ciccioni e poi li aspetta nella toilette per sgozzarli come
maiali.”
“Dev’essere andata proprio così, Maresciallo. Abbiamo un quadro più
chiaro della situazione adesso.”
“Ma certo. Anzi, le dirò di più. Per quel film di Tarantino, pensavo di
scrivergli io la sceneggiatura. Che ne dice?”
“Non saprei, Maresciallo.”
“Vada via, Brigadiere. Per oggi ne ho abbastanza. Ho ancora un cadavere
da identificare.”
Franceschini si alzò, raggiunse la porta della stanza, poi sull’uscio si girò e
disse: “E di Herbie che ne facciamo?”
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Scene di ordinario cinebrivido
“Adesso chi è Herbie?”
“Il cane, il bastardino del signor Forman. Se non troviamo il padrone che
ne facciamo?”
“Ma cosa volete che me ne importi. Datelo ad una vicina di casa. Datelo
alla Lumbàrd. Datelo a chi volete voi.”
“La Lumbàrd non può, ha un gatto in casa. Lei capisce, un cane e un gatto
nella stessa casa. La povera signora avrebbe una vita d’inferno e…”
“Brigadiere...” disse il Maresciallo alzando su di lui uno sguardo di odio.
“Ho capito, ci penso io. Lo faccio portare in un canile. Buona giornata,
Maresciallo” disse chiudendosi la porta alle spalle.
Nel corridoio della stazione dei Carabinieri, l’appuntato Polentìn venne
incontro al Brigadiere.
“Sappiamo chi è il morto. Quello trovato la scorsa notte dal gondoliere.”
“Qualcuno che conosciamo?”
“Più o meno. L’ha riconosciuto una collega che indaga su un traffico di
stupefacenti della malavita veneta. L’ha visto mentre era in obitorio per il
riconoscimento di un parente, il fratello per la precisione. Una cosa penosa,
Brigadiere. Ha dovuto riconoscere nel fratello un uomo grande e grosso
dalle tendenze omosessuali, che ha pagato con la vita certi stravizi.
L’hanno ucciso tagliandogli la gola in un bar, ieri pomeriggio.”
Franceschini alzò appena il sopracciglio destro, poi chiese: “Allora, il nome
del morto nel canale, qual è?”
“Milo Forman.”
Il brigadiere questa volta ebbe un sussultò. Pensò a quando avrebbe dovuto
raccontare anche questa parte della storia al Maresciallo.
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Scene di ordinario cinebrivido
Polentìn proseguì: “Pare fosse un famoso avvocato al soldo della mala
veneta, ha difeso molti spacciatori di bassa lega, affiliati del clan Fattòn. Ha
un appartamento qui a Venezia, ma la residenza è in provincia di Bologna.”
“Polentìn, va dal Maresciallo, digli tutto quello che hai detto a me. Poi,
quando gliel’hai detto, esci da quella stanza il più in fretta possibile. Fidati
di me.”
Nel momento in cui Polentìn bussava alla porta dell’ufficio del
Maresciallo, Franceschini chiedeva all’appuntato Tettòn di cercargli tutti i
nomi dei parenti del fu Milo Forman.
“Ha una sola parente ancora in vita”, gli rispose Tettòn, una giovane
esperta di informatica, dopo avere consultato il database dell’anagrafe di
Bologna.
“Come si chiama?”
“Gisella Forman, vive a Pieve di Cento.”
“Informi il comando del posto che deve inviare una pattuglia a sorvegliare
l’abitazione della signorina Forman. Che facciano attenzione e siano
discreti, la vita della Forman potrebbe essere in pericolo se l’omicidio del
fratello è un regolamento di conti. Nel frattempo avverto tutte le pattuglie
che l’uomo che corrisponde al nome di Wolfang Horacio Ghunter Ernst
Indigo Martini è ricercato per omicidio. E potrebbe non essere l’unico
crimine che ha commesso…”
Nel momento in cui finiva quella frase, la porta dell’ufficio che
Franceschini aveva appena abbandonato si aprì sonoramente, mentre a
passo rapido ne veniva fuori l’appuntato Polentìn seguito dall’urlo del
Maresciallo: “Franceschiniiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii…”
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Scene di ordinario cinebrivido
SYS
Ancora più della morte, ciò che sconvolse la Forman quel giorno, fu il fatto
di dover riconoscere ufficialmente, in quel volto verdognolo , lessato
dall’acqua,e spiaccicato al punto giusto da sembrare una barretta ai cereali
Kellog's, il ragazzo così allegro e gioviale che era stato suo fratello, anche
se lo ricordava meno finocchio di quello che testimoniavano le perizie
mediche.
In effetti, finocchio, proprio non se lo ricordava.
Così ,frugando nei ricordi, ,aveva passato in rassegna tutta la vita di
Milo,con una prospettiva diversa,cercando segni di quell’omosessualità
taciuta ,segni come la sua insistenza a voler praticare sport maschili di
squadra, una pacca sulla spalla nuda all’amico del cuore a Porto Ercole
nell’estate del ‘92, quando a carnevale dell’85 faceva l’indiano e aveva le
trecce.
E pensare che la sua ultima fiamma Cate, aveva due tette!! UN culo!!
Insomma un pezzo di donna!
Naturalmente dopo gli eventi, la casa di Gisella era stata posta sotto
sorveglianza da una pattuglia dei carabinieri ,i quali erano tenuti d’occhio a
loro volta da Wolfang il nano che era giunto sul luogo con la sua compagna
di misfatti anticipandoli di un pelo. Egli percorreva il luogo, diverse volte
al dì,travestito da pancia di Luana all’ottavo mese di gravidanza.
Chiaramente al secondo giorno di gravidanza Luana si era già ampiamente
rotta le balle, di conseguenza il nano era dovuto scendere da sotto il vestito
ed escogitare il piano per potere finalmente introdursi in quella casa .
Fu così che quel pomeriggio, Luana recitando la parte da “donna facile ed
appetitosa con guasto al motore”, si fermò con la macchina fumante
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Scene di ordinario cinebrivido
proprio davanti alla volante dei carabinieri e dopo avergli riempito il campo
visivo di fumo, aprì il cofano e cominciò a smanettarci dentro, in attesa che
uno di quelli , si decidesse ad aiutarla.
Nel mentre il nano si precipitava a suonare alla porta di Gisella che
rassicurata dalla presenza dei carabinieri, apri con estrema ingenuità.
Nell’oscurità di quel atrio con le persiane semi abbassate, egli distingueva a
mala pena la sagoma esitante di una donna snella.
“Buon giorno gentile signorina” disse Wolfang “Conosce il movimento ari
krishna italia?”
Gisella guardando davanti a sé esclamò: “MA CHI E’?”
“Sono qui, più in basso, no ho detto più in BASSO!!”
Fu in quel momento che lei, abbassando per l’appunto lo sguardo, fu
colpita da una strana emozione che pian piano le pervase il corpo
inebriandola:un calore mai sentito.
Aveva di fronte un ‘uomo dai tratti rudi ,ma con gli occhioni dolci di un
peluche dalle forme animalesche, un uomo che definire brevilineo sarebbe
stato un’ eufemismo , una creatura magnetica.
Così senza neppure comprendere il perchè, lei lo fece accomodare.
Il nano seguì in salotto il movimento ondulatorio del culo di Gisella che
fissato tipo pendolo poteva anche ipnotizzare.
Poi quando lei si voltò ed un raggio di luce le illuminò il volto lui le potè
osservare il viso per la prima volta e rapito dalla sua bocca carnosa, la pelle
chiara lentigginosa, ed i capelli scuri e morbidi, ,si lasciò sfuggire un “uh
Biancaneve…”
Lei sorpresa ripeté ”BIANCANEVE??!!!”
A quel punto il nano prese confidenza e cominciò a raccontare del suo
trascorso da nano da giardino,e lei sbattendo le ciglia :
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Scene di ordinario cinebrivido
“Nano da giardino?Vuole dire come Fronzolo, Nanolo e Trombolo?
“Sì più o meno.” Disse lui orgoglioso
Poi lei le offri del caffè e la discussione andò avanti.
Nel proseguire l’ombra di tristezza sul viso di lei pareva scomparire,
mentre lui si scordava decisamente il motivo per cui era entrato.
Fu così che dal “lei” passarono al “tu” e dal “tu” fecero una puntatina sul
“voi”, e poi di nuovo al “tu”, e poi un po’confusi si guardarono negli occhi
e si sorrisero, mentre i loro corpi si accostavano sempre più, il loro calore si
confondeva ed il loro odore si mescolava ,ed infine le pelle esitante e
vogliosa di lei si ricopriva di un leggero strato di sudore che il nano in un
gesto velocissimo le portò via dal collo srotolando la lingua di 11 cm e
ricomponendola nel giro di un nanosecondo.
A quel gesto esplicito lei non seppe resistere, e si gettò sul suo corpo, gli
strappò tutti i vestiti ed infine piacevolmente colpita dalle dimensioni, lò
afferrò per il membro , facendolo roteare per qualche secondo in aria e per
poi farlo ricascare sul divano, mentre lui gridava estasiato “OOOOHHH
SI’, COSI’, COSI’, PRENDIMI, PRENDIMI!!!”
In quel momento forse suonò il campanello di casa.
GattoQuantico
Gisella era un informatica, ma non era stupida, e per complicare le cose era
un informatica con la passione per le armi, ma non per le armi qualunque,
per quelle dal fucile a canne mozze in su. Era una di quelle cose che a Milo
non aveva mai confessato, insomma ognuno hai suoi scheletri nell’armadio,
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Scene di ordinario cinebrivido
il suo gemello le tendenze omosessuali così bene nascoste, lei la sua sana
(o meno) passione per quegli attrezzi che fanno “boom”.
Per carità, non aveva mica ancora mai ammazzato nessuno, non proprio,
almeno, sparare con un fucile di precisione un colpo in fronte con un
proiettile di gomma ad un tipo che fa jogging, da 700 metri con vento da
destra teso è da considerare una bella dimostrazione di bravura, più che
tentato omicidio. Nemmeno catturare cinghiali con mele ripiene di
Nitroglicerina è da considerarsi reato, solo caccia alternativa.
Si stava consumando dalla voglia di uccidere qualcuno con uno dei suoi
gingilli; tante volte girando per strada aveva guardato qualcuno, e se dalla
faccia gli stava sul cazzo immaginava, alle volte di fargli saltare la testa
con una fucilata, alle volte di mettergli 5 chili di plastico collegati alla
chiave di accensione e vedere il cratere che ne viene fuori. Voleva le sue
vittime
smembrate,
disintegrate,
vaporizzate,
annientate,
ma
era
un’aspirante omicida per bene, e che la faccia di uno ti stia sul cazzo, non è
un motivo abbastanza serio per mettere in pratica quello che le passava per
la testa
Gisella sapeva tutto di Milo, più di quanto Milo sapesse di lei, sapeva di
Cate, di Luana del Nano, e aveva capito in tempo zero che qualcosa era
andato storto, molto storto, e se per caso, per puro caso Luana o il Nano
c’entravano anche un unghia, questa volta c’era un ragione buona e giusta
per usare proiettili veri.
Si era addormentata stringendo il fucile e ghignando sottovoce; i
Carabinieri s’erano messi di mezzo a rompere i maroni, ma era sicura che
quei due sarebbero finiti da lei, anche se avrebbe preferito essere lei a finire
da loro.
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Scene di ordinario cinebrivido
Sognò che un nano si presentava alla sua porta e sognò che dopo essersi
detti ciao, finirono a fare sesso selvaggio, pensò che questo era il risultato
di tutti quei maledetti film porno che visionava masturbandosi furiosamente
a patto che il protagonista fosse alto intorno al metro e con la virtù meno
apparente decisamente fornita. Pensò che era davvero strano che il
protagonista del sogno di mestiere facesse il nano da giardino come il socio
di Milo. Pensò che come tutti i sogni bagnati avrebbe dovuto svegliarsi
venendo e non per colpa del maledetto campanello.
Si alzò, al secondo squillo, mise il fucile sotto l’accappatoio e andò ad
aprire.
Poi come in uno dei più classici dei Déjà-vu tutto si svolse come nel sogno;
aprì la porta e senti una voce dal basso:
“Buon giorno gentile signorina, conosce il movimento ari krishna italia?”
Gisella, come aveva fatto nel sogno, disse guardando avanti a sé: “MA CHI
E’?”
“Sono qui, più in basso, no ho detto più in BASSO!!”
Fu in quel momento che lei, abbassando per l’appunto lo sguardo, fu
colpita da una strana emozione che pian piano le pervase il corpo
inebriandola:un calore mai sentito, era davvero il nano come aveva
sognato, ma soprattutto era il nano che stava aspettando, era sicura, era
l’amico di Milo.
Mentre sentì che in mezzo alle gambe diventava umida e sapeva che la sua
eccitazione non era sessuale, cerco di controllarsi, cercò di essere naturale e
lo fece entrare. Sentì il suo sguardo sul culo, e come nel sogno lui
mormorò: “uh Biancaneve…”.
Lei sorpresa ripeté ”BIANCANEVE??!!!”
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Scene di ordinario cinebrivido
E lui prese a raccontarle, come nel sogno dei suoi trascorsi da nano da
giardino.
“Nano da giardino?Vuole dire come Fronzolo, Nanolo e Trombolo?
“Sì più o meno”, disse lui orgoglioso.
Fu allora che Gisella cambiò il corso degli eventi, era lui, non c’era dubbio,
adesso era ora di tirare le somme. Si volto con un movimento sinuoso e un
sorriso malizioso mentre si slacciò l’accappatoio lasciandolo cadere.
Due splendide natiche furono l’ultima cosa che vide Wolfang prima che
tutto si facesse buio e poi una voce lo risvegliasse sussurrandogli
all’orecchio: “Spero che tu abbia una spiegazione convincente per quello
che è successo a mio fratello…”
Solo allora si rese conto che oltre ad un grosso mal di testa, aveva un fucile
piantato nel buco del culo.
Andreina
“Che.... che cosa? ..... Ma mia Biancaneve cosa dici?”
Il nano ora era sveglio del tutto: la voce da bambino rimproverato
ingiustamente gli era uscita più falsa e stridula di quanto avesse voluto.
Aveva riconosciuto all’istante in quegli occhi di ghiaccio la stessa
determinazione del suo ex-capo; nel ghigno delle labbra sensuali, la stessa
inappellabile cattiveria.
Sapeva benissimo cosa sarebbe successo e intuiva perfettamente che non
poteva farci nulla.
50
Scene di ordinario cinebrivido
“Non ci provare, Wolfang..... sto lottando contro la voglia impellente di
farti un altro buco ....e a proposito, da quando il tuo padrone era diventato
omosessuale? Pensaci bene, prima di rispondere, nano di merda.”
Gisella era sempre più eccitata: sentiva la paura di quel viscido verme,
vedeva il suo cervello da mostro viaggiare a velocità folli nel tentativo di
uscire da quella trappola che non si aspettava.
Aveva voglia di usare subito il suo fucile, ma c’era ancora qualcosa da fare,
prima del piacere.
“Pronto? Sono io, zuccherino – aspettavi forse altre telefonate a questo
numero? Vabbè, ascolta..... Lui é qui ..... non m‘importa un accidente del
tuo capo! Tu mi devi ancora un grosso favore, tesoro, ed é ora di
rendermelo per bene. Il tuo capo aspetterà – ammesso che si accorga della
tua assenza prima che tu sia già rientrato. E poi vedrai che anche tu avrai la
tua ricompensa, per il disturbo… hai trenta minuti da adesso.”
Riattaccò in tempo per sentire aprire la porta della cucina.
“Gisella? Sei là?”
“Sì, vieni nel salotto.”
“Mi sono liberata prima che ho potuto.”
“Tranquilla, non abbiamo fretta, vero Wolfang?”
“TU! NON PUOI ESSERE TU AD AVERMI FATTO QUESTO!!!! TU
SEI COLPEVOLE QUANTO ME, PUTTANA!!!”
Al nano gli era uscito come un grido da scannatoio; la porta del mattatoio si
era chiusa per sempre dietro di lui e adesso era solo e sconfitto di fronte ai
ganci e agli uncini dei suoi boia.
“Io?
IO????
MALEDETTO
PAZZO
OMICIDA
PERVERSO
E
PEDERASTA! COSA CREDEVI, CHE TI AVREI PERDONATO IL
PICCOLO
INCIDENTE
DI
MILO????
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DEL
MIO
MILO!!!!!!
Scene di ordinario cinebrivido
BASTARDO! BASTARDO!!! ERA CATE CHE DOVEVI ELIMINARE,
ANIMALE, ERA PER LEI CHE IO T STAVO ACCANTO, PEZZO DI
MERDA, INCAPACE! HAI ROVINATO TUTTO, TUTTO!!!”
I calci di Luana colpivano bene dappertutto: le sue punte affilate si
insinuavano tra le pieghe della carne di quel corpo nudo e ormai
accartocciato su se stesso.
La loro furia non risparmiava nessuna curva, non ascoltava nessun rantolo
gorgogliante di sangue.
Non si accorgevano neanche di Gisella e della sua fotocamera che
lampeggiava in continuazione.
Una sigaretta in bocca, mentre scattava prove incriminanti, Gisella
guardava con compiaciuta malignità lo spettacolo indegno di quella donna
che per anni era stata l’amante di riserva di suo fratello: come era facile
perdere la propria ipocrita perfezione vigliacca di fronte ad un mucchio di
ossa nude legate sul pavimento…
“Ok, ok, ora b…asta!!!! E BASTA, ho detto! Calmati, adesso! Se lo
massacri, il Dottore non lo prenderà più.... non credi?”
“Sì… sì scusami, hai ragione..... Lo hai chiamato?”
Luana era uscita dalla trance: specchietto e fazzoletto in mano, tentava
adesso con vergogna di darsi un contegno e di cancellare i segni evidenti di
un pianto isterico poco elegante.
“Sì…” disse Gisella, nascondendo in tasca la fotocamera, “abbiamo
appuntamento alla Clinica”.
“Alla SUA clinica? Quella dove costruisce donne perfette come quella
puttana di Cate?!”
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Scene di ordinario cinebrivido
“Esatto, quella. Da quando mio fratello lo ha reso immacolato, quello
stronzo ha unito il suo lavoro al suo hobby nello stesso luogo… risparmia
pure sui macchinari…”
“Meglio così: sarà più facile entrare in una clinica con una valigia, senza
dare nell’occhio. Piuttosto, come facciamo con quei due mocciosi là fuori?
Non credo che il mio seno sarebbe più una novità distraente per loro…”
“Non ti preoccupare, di loro si occuperà Antonio; dovrebbe essere qui a
momenti… Sei contento, nano? Abbiamo invitato anche un nostro amico
per farti la festa. Sì, ti divertirai alla tua festa, ne sono certa: l’ho
organizzata proprio pensando ai tuoi gusti.”
Wolfang aveva freddo e tremava: ma da quella bocca spalancata non usciva
più alcun suono.
E’ una follia! E’ una maledetta follia! E questa volta mi butterà nel
baratro, lo sento! Devo liberarmi di lei.... devo trovare il modo di sottrarmi
al suo ricatto! Se solo sapessi dove tiene quelle copie di backup… se solo
non fosse mai entrata nel mio stramaledetto ufficio!... Ma che cazzo dici,
Antonio! Lo sai benissimo che non sono quelle email che ti tengono al
guinzaglio! Maledizione a te e alla tua voglia di scopare! Maledizione alla
prima volta che le hai toccato la pelle, stupido figaleso rincoglionito!
Ma DEVI uscirne, devi trovare il modo di venirne fuori; e prima che tutto il
mondo ti cada addosso.
Perché sta per accadere, me lo sento: quella pazza sta per risucchiarmi nel
suo mondo malato, cazzo!
La porta si aprì e il suo respiro si fermò ancora una volta di fronte a quel
corpo sfrontato appena nascosto dall’accappatoio.
”Finalmente é arrivato, mio bel Brigadiere Franceschini!”
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Scene di ordinario cinebrivido
E, scostastasi per lasciarlo entrare, il suo accappatoio aperto ancora una
volta lo incatenò alle sue forme e al suo profumo.
Lucaxx
Il brigadiere Franceschini è originario di Napoli, ma dopo essersi arruolato
ha girovagato per tutto il nord, prestando servizio nei più disparati reparti
anticrimine.
Tipo meticoloso e sveglio il Franceschini, ma con il cruccio delle donne:
donne pericolose… e troie!!!
(Per questo si era stabilito nel triveneto, in quei luoghi dove l’accento è già
peccato!)
Gisella per lui era la TROIA per antonomasia, l’aveva conosciuta
nell’ambito di un rastrellamento di troie d’alto borgo nel quale Gisella si
distinse per essersi fatta perquisire con una certa non chalance…
Da quel giorno, i due furono avvolti da un vortice di passioni sempre più
intense che diedero luogo a situazioni molto compromettenti per il lavoro
che faceva il Franceschini.
Da lì Gisella cominciò a fare richieste, ma in realtà erano malcelati ricatti
nei quali la posta in gioco era sempre la stessa: l’onorabilità del
Franceschini!
Quella telefonata era giunta come un colpo di grazia ad una giornata
lavorativa già iniziata male per i fatti di cronaca accaduti, Franceschini non
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Scene di ordinario cinebrivido
aveva intenzione di finirla peggio, pertanto era deciso a portare a termine la
situazione in modo definitivamente “risolutivo”.
F: “Wè, ciao Gisella … allora ?”
G: “Entra!… Presto!”
F: “Ho il sentore che tu stia combinando qualcosa di grave!”
G: “Smettila, piuttosto entra e aiutaci con il nano.”
F: “Nano, quale nano?”
G: “Quello lì.”
Franceschini ebbe come un flash, ricollegò tutto e singhiozzando disse:
“Ma tu sei… quel nano?”
Il nano, con la poca forza che gli era rimasta, fece segno di sì, e al
Franceschini venne un impeto di violenza : aveva davanti a se la causa
della sua giornataccia e voleva inveire su di lui con tutta la sua rabbia.
Mentre il Franceschini si accingeva a sferrare il primo di una lunga serie di
calci, le due troie, vedendo la scena, iniziavano ad eccitarsi… e non poco!
Sedutesi nel salotto, incominciarono a masturbarsi e accarezzarsi
copiosamente con gli attrezzi più disparati ed i loro respiri affannosi erano
quasi più forti del sordo rumore che il nano faceva rimbalzando sulle pareti
della casa.
Il Franceschini, accortosi che il nano si era guadagnato una forma
affusolata, si fermò e cercò di risistemarlo in modo da favorire il palleggio
da “pibe de oro”.
Nel mentre si accorse delle due troie in calore, così diede una passata di
Bostik al nano e lo scagliò contro la parete di chiodi che Gisella aveva
attrezzato per attaccarci i suoi trofei di caccia “inconsueta”.
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Scene di ordinario cinebrivido
Liberatosi dal nano si avvicinò con bramosia alle due troie, liberò il suo
sesso e lo diede in pasto alle avide donne.
Dopo un’oretta di sesso sfrenato i tre erano lì… seduti e pensierosi sul da
farsi, infatti il nano era ancora lì e doveva sparire quanto prima.
Franceschini guardò l’orologio e si rivestì… chiese a Luana e Gisella di
prendere il nano e andare in cantina, lui le avrebbe raggiunte in secondo
momento con gli attrezzi per far sparire il corpo.
Il nano, arrivato al 7.256.365° pater nostro, stava seriamente considerando
l’opportunità di trattenere il respiro per passare a miglior vita (nano
bastardo!!!).
Mentre i tre scomparivano nella penombra dello scantinato il Franceschini
apriva la porta posteriore della casa e si allontanava con passo felpato.
Il C4, assieme alle numerose munizioni che Gisella conservava nello
scantinato, fece proprio un bel botto!
Il piano diabolico era compiuto:
- Aveva chiuso il caso;
- Non c'erano più testimoni né prove;
- Aveva eliminato quelle troie sadiche di Gisella e Luana;
- Aveva eliminato quel reietto di Wolfang;
Ma la cosa più importante era che… AVEVA TROMBATO COME UN
RICCIO!
- THE END -
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Autori
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Lucaxx .................................................................................................. 54
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