colf e badanti: i numeri del fenomeno

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colf e badanti: i numeri del fenomeno
XVII Assemblea nazionale delle Acli Colf
COLF E BADANTI: I NUMERI DEL FENOMENO
Più di un milione e mezzo di rapporti di lavoro attivi presso l’INPS a fine 2008 e 600mila
lavoratori domestici registrati, in gran parte donne straniere. Ma le stime che comprendono le
colf e le “badanti” irregolari arrivano a calcolarne fino al doppio. L’ultimo decreto flussi 2008 ne ha
previsto l’ingresso per poco più di 100mila (105.400), in aggiunta al decreto precedente che aveva
registrato 420.366 domande per lo svolgimento di attività domestiche e di cura sul totale di
740.813 istanze presentate.
La fotografia del lavoro domestico in Italia è scattata dalle Acli Colf in occasione della loro XVII
Assemblea nazionale – “Per un nuovo welfare della cura oltre il fai da te” – che apre venerdì
pomeriggio a Roma con un convegno alla Pontificia università San Tommaso d'Aquino.
Lavoratrici straniere
Dei circa 600mila lavoratori domestici regolarmente registrati, la stragrande maggioranza proviene
da Paesi stranieri. Solo il 22,3% del totale è di nazionalità italiana. Le donne sono l’87% fra i
lavoratori stranieri, il 96% fra gli italiani
Il 20% proviene dalla Romania, il 12,7% dall’Ucraina, il 9% circa dalle Filippine e il 6% dalla
Moldavia, per citare le comunità etniche e nazionali più numerose. Seguono Perù, Ecuador,
Polonia e Sri Lanka, con percentuali che vanno dal 3,6 al 2,8% e rappresentanze minori di
numerosi altri Paesi, europei, asiatici, africani e sudamericani.
«Queste donne – commentano le Colf delle Acli – rappresentano oggi l’unica speranza delle
famiglie italiane per la cura dei bambini e l’assistenza di anziani. Infatti è noto che il nostro welfare
è largamente carente di adeguati servizi per l’infanzia, per le persone anziane o per i non
autosufficienti»
Lavoratrici italiane
Le lavoratrici italiane che lavorano nelle case sono prevalentemente sposate, separate o vedove
con età superiore ai 40 anni, e svolgono lavori domestici ad ore. Solo alcune si dedicano agli
anziani, ma non in forma di co-residenza. Le donne italiane generalmente prestano servizi di cura
e manutenzione della casa, le tradizionali incombenze domestiche di pulizia, riassetto locali, stiro,
cucina, ecc. «Non si percepiscono tanto come lavoratrici domestiche – spiegano le Acli Colf – ma
come casalinghe. Non considerano il lavoro domestico un vero lavoro, piuttosto un ripiego, che
abbandonano appena possono».
Nei periodi di crisi economica come quella attuale e di espulsione di manodopera da altri settori
produttivi, sono molte le donne che ritornano nel settore domestico dove si verifica un aumento di
domande di lavoro. C’è poi il caso delle giovani, spesso studentesse, che per diverse ragioni
(difficoltà di inserimento nel mercato del lavoro, necessità di mantenersi agli studi etc) svolgono
lavoro in qualità di baby sitter o di compagnia agli anziani. Inoltre è notevole è la presenza di
pensionate ex-colf, che non possono vivere con l’importo misero di pensione maturata, che non è
mai superiore al trattamento minimo INPS. «Per le italiane – aggiungono le Acli Colf – il lavoro
domestico ad ore rappresenta un’occasione per arrotondare il bilancio familiare e per conciliare
l’occupazione extradomestica, seppur svolta in un’altra casa, con le proprie esigenze casalinghe.
Per le immigrate, la cui famiglia è rimasta in patria, è il modo per mantenere i figli, il marito o per
costruire la casa».
Famiglie divise
Secondo l’indagine Iref, l’istituto di ricerca delle Acli – “Il Welfare fatto in casa” (2007) – le famiglie
‘divise’ sono più del 60%. Solo il 38% delle colf straniere, infatti, ha i familiari più stretti (figli o
coniuge) che vivono tutti in Italia. Nello specifico, il 57% delle lavoratrici vive ancora lontano dai
propri figli, che sono affidati in Patria alle cure dell’altro coniuge (41%) o degli altri parenti (41%).
L’ingresso in Italia
Oltre 6 lavoratrici su 10 (63%) – nella ricerca Iref – raccontavano di essere è entrate in Italia con
un visto turistico. Il 18% in maniera irregolare, senza nessun documento di ingresso. Al momento
dell’indagine, quasi una colf su quattro (24%) dichiarava di vivere e lavorare in Italia in condizione
di irregolarità. Il 54% aveva un regolare permesso di soggiorno, il 18% era riuscito ad ottenere una
carta di soggiorno.
Il lavoro sommerso
Più della metà delle colf straniere (57%) dichiara di svolgere il proprio lavoro completamente o in
parte senza contratto. Il dato si ottiene sommando il numero di coloro che non possono avere un
contratto perché residenti in Italia irregolarmente (24%) a coloro (33%) che pur possedendo il
permesso o la carta di soggiorno, svolgono almeno un lavoro in nero. Considerando i soli
collaboratori “regolari”, oltre la metà (55%) denuncia delle irregolarità nei versamenti previdenziali:
nel 24% dei casi non viene versato alcun contributo; mentre al 31% degli intervistati vengono
versati solo parzialmente.
Al lavoro nero si sovrappone dunque il lavoro ‘grigio’, cioè la tendenza a denunciare meno ore di
quelle lavorate. Ma è interessante notare che 6 volte su 10 (61%) questa opzione è il frutto di una
scelta concordata dalle due parti in causa, datori di lavoro e collaboratrici familiari. Oppure sono le
stesse colf a chiedere di essere pagate in nero (14%).
Lo stipendio
Lo stipendio mensile di una collaboratrice familiare, su una media lavorativa di 42 ore settimanali,
è di 880 euro (la paga oraria media è di circa 6 euro). Ma all’interno di questo settore la disparità di
trattamento economico è forte. Chi è più ‘fragile’ – perché irregolare ed in Italia da meno di 2 anni –
non solo lavora in media 17 ore in più a settimana rispetto a chi è regolare e risiede nel nostro
Paese da oltre 10 anni (50 ore contro 33). Ma guadagna mediamente meno di 750 euro mensili, a
fronte degli oltre 1000 euro delle colf più esperte e regolari. Le ore poi di ‘straordinario’ – oltre cioè
le 40 settimanali – fruttano a queste lavoratrici più fragili un guadagno aggiuntivo di soli 145 €. Le
colf più forti raccolgono invece con gli stessi straordinari oltre 300 euro al mese, più del doppio.
Le mansioni
Sono in prevalenza le famiglie “anziane” a richiedere l’aiuto dei collaboratori domestici. Oltre la
metà delle colf (57%) lavora in abitazioni in cui risiedono degli ultrasessantacinquenni. Un terzo dei
collaboratori domestici lavora, invece, per famiglie con figli. Una colf su tre lavorare in più famiglie
(multicommittenza).
A partire dalle differenti esigenze dei nuclei familiari si definiscono i diversi profili professionali,
anche se una vera distinzione è difficile visto che ruoli e mansioni si sovrappongono
abbondantemente.
Il 31% delle lavoratrici domestiche – soprattutto asiatiche – svolge lavori di pulizia e gestione della
casa, fornendo una prestazione a ore. Fanno le tate o le baby-sitter il 17% delle colf. Oltre la metà
delle lavoratrici, invece, (51%) rientra nella categoria professionale dell’assistente familiare, quella
che nel linguaggio comune viene definita “badante”, ovvero assistenti domiciliari che accudiscono
persone anziane o non-autosufficenti. E’ un lavoro svolto in prevalenza da donne adulte (il 39% ha
oltre 45 anni) provenienti soprattutto (38%) dalle nazioni di quella che una volta era l’Unione
Sovietica, in particolare Ucraina e Moldavia, che spesso prevede la convivenza con la persona
assistita (59%).
La casa
In generale, una colf su tre (il 33%) vive nella casa in cui presta servizio. La percentuale sale al
63% tra chi lavora all’interno dei nuclei familiari composti da un anziano ormai solo. In questi casi il
collaboratore è costretto ad un impegno che va ben al di là il normale rapporto di lavoro ed implica
una forte limitazione dell’autonomia individuale: non è quindi un caso che nel 72% dei casi si tratti
di persone venute in Italia da sole o al più con il proprio partner, comunque senza figli al seguito.