Tratto da www.namibiatribe.com Il gruppo etnico Herero comprende

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Il gruppo etnico Herero comprende diversi sottogruppi tra cui i Tjimba (o Ovatjimba) , provenienti dall’Angola e gli
Himba (o Ovahimba) , due espressioni dello stesso ceppo con caratteristiche e abitudini di vita pressochè uguali.
Quando gli altri Bantù di lingua Herero, nel corso del XIX secolo, furono messi in fuga dai guerrieri Nama e migrarono
verso il centro della Namibia, gli Himba restarono nel nord, in un’area di difficile accesso, continuando a praticare la
pastorizia seminomade. Isolati per lungo tempo in zone inaccessibili, non subirono, come i fratelli Herero, l’influenza
della colonizzazione europea riuscendo così a conservare intatti costumi e tradizioni ancestrali.
Il loro territorio è il Kaokoland, la cui capitale è Opuwo, ove vivono allevando bestiame, e per
tutto il territorio è possibile incontrare enormi mandrie di bovini che rappresentano la loro
ricchezza. Il bestiame è la vita per gli Himba e svolge un ruolo fondamentale nelle cerimonie e
nei rituali. Per tale motivo le vacche sono sacre al punto da costituire un tabù alimentare: una
vacca viene uccisa, per essere usata come cibo, secondo un complesso rituale arcaico, solo in
occasione di eventi solenni come matrimoni, funerali, la comparsa dei primi denti o il primo
mestruo. La morte di un capo tribù è occasione per sacrificare una vacca mediante
decapitazione: la testa viene impalata su lunghi rami e deposta sulla tomba mentre il resto della carcassa viene
abbandonato agli animali predatori. In sostituzione gli Himba si cibano di carne di capra. Le vacche sono considerate
animali “sacri” perché rappresentano la ricchezza e pertanto chi possiede un numero grande di capi acquista prestigio
e guadagna posizione sociale e potere politico. I bovini sono usati per “comprare” una sposa o anche per pagare multe
o indennizzi : l’adulterio, ad esempio, è punito con l’ammenda di sei tori, l’omicidio con quindici. I Tjimba vivono in
villaggi più vicini alla capitale Opuwo, gli Himba, invece, pur essendo sparsi su tutto il territorio , sono concentrati
soprattutto nella zona più a nord ovest, nei pressi delle Cascate Epupa. Gli Himba , etnia di lingua herero, in seguito ad
intricate vicende storiche, furono costretti ad abbandonare le terre di origine perdendo nella diaspora il bestiame. Fu
così che si videro attribuire il soprannome di “miserabili”. Il nome Himba o Ova-Himba vuol dire, infatti, “coloro che
chiedono” perché, nell’ottica del pastore africano, un uomo senza vacche non può essere altro che un mendicante. E la
vacca per gli Himba è qualcosa di più che una macchina per produrre proteine : è il perno intorno a cui ruota la vita
familiare e sociale. Gli Himba rappresentano l’etnia più caratteristica della Namibia mantenendo ancora le tradizioni
ancestrali da 5000 anni ad oggi : sono pastori seminomadi che vivono tuttora in capanne molto rudimentali ed
essenziali. La loro cultura è oggi a rischio e dipende anche dalla responsabilità individuale del viaggiatore se la loro
società tradizionale, rimasta sino ad ora isolata, sopravviverà all'impatto col mondo moderno. Finora, vissuti di
allevamento di sussistenza in aree remote della Namibia , si sono largamente sottratti alle influenze occidentali e
mantengono orgogliosamente i costumi degli antenati.
Essi si ostinano a rifuggire dal mondo moderno e la “polizia del pudore”, istituita dai missionari , non è mai riuscita a
persuadere le donne Himba a coprirsi il seno. Di conseguenza le donne di questa tribù hanno mantenuto il loro
delizioso e inconfondibile abbigliamento tradizionale : un gonnellino corto formato da più strati sovrapposti di pelle di
capra tenuto in vita da cinture che si differenziano in relazione
all'età e allo stato civile : una cintura bianca, braccialetti bianchi o
collarini anch’essi bianchi indicano che la ragazza non ha raggiunto
la pubertà e non è ancora sposata. Il bianco è praticamente il segno
che la ragazza è ancora molto giovane. La donna sposata porta
invece una cintura di metallo. Gli Himba non conoscono il metallo
ma se lo procurano, barattandolo con le tribù vicine , come gli
Ovambo. Poi lo lavorano e ne fanno soprattutto delle cavigliere
utilizzando dei tondini di acciaio e dei fili di cuoio; alla nascita del
primo figlio aggiungono un filo e così questo alto gambale di perle
in ferro battuto, infilate in lacci di cuoio, continua ad alzarsi,
ricoprendo caviglie e polpacci, non solo a scopo estetico ma anche
per protezione contro i morsi dei serpenti. Anche gli avambracci sono avvolti da fili di rame e da molti bracciali mentre
i piedi sono nudi. Hanno il seno nudo e il resto del corpo ornato di gioielli che consistono principalmente in pesanti
collane realizzate con rame, piccole palline di ferro, conchiglie e ossa infilate in sottili stringhe di cuoio. Soprattutto le
conchiglie sono i monili più preziosi; dopo la nascita del primo figlio le donne possono adornare il petto con l’
“ohumba”, la grande conchiglia sacra proveniente dalle coste dell’Angola, a forma di cono, levigata e resa lucente,
simbolo di fecondità, gioiello prezioso ereditato dalla madre.
Anche la cura della pelle del corpo e dei capelli è fuori del comune: la donna Himba si cosparge tutto il corpo, per più
volte al giorno, con un impasto di ocra e grasso animale cui vengono aggiunte erbe aromatiche: un impasto di color
rosso, una vera “crema di bellezza” che viene messa sulla pelle, sui capelli e sugli abiti, con lo scopo di proteggere
l’epidermide dal torrido sole del giorno, dal freddo della notte e dall’assalto degli insetti e per contrastare il naturale
invecchiamento (evidentemente funziona, visto che anche le donne più anziane conservano una pelle
meravigliosamente liscia). Rappresenta, inoltre, quasi un rito iniziatico
per essere più seducenti, un “richiamo sessuale”. L’ocra usata per la
preparazione della “crema” proviene da una pietra morbida di origine
dell’Angola, il burro è il derivato del latte di capra. Gli ingredienti,
mescolati tra loro e con un’erba profumata preventivamente pestata,
vengono conservati in contenitori ricavati da corna di vacca e rivestiti
sopra e sotto con pelle. Le donne non si lavano mai, si cospargono 2-3
volte al giorno con questo impasto e, mensilmente, per eliminare i vari
strati, cospargono la pelle con una mistura di ocra e farina di polenta,
che ha la funzione di “abrasivo” come uno scrub, mentre i capelli
vengono ripuliti con la cenere. Quasi maniacale è l’attenzione che gli
Himba pongono alle loro acconciature costituite, sia nei maschi che
nelle femmine, da trecce che essi identificano con le corna lunate degli
zebù e sono espressione del loro status sociale. Le acconciature
intrecciate delle donne sono molto complicate, delle vere opere d’arte:
le bambine portano due treccine davanti che ricadono sul viso oppure
due treccine davanti e due dietro; le fanciulle nubili si acconciano con
tante treccine. L’ornamento sulla nuca sta a simboleggiare l’arrivo del
mestruo perché si capisca che la ragazza è pronta per prendere marito
e, comunque, per mettere al mondo figli. Le donne sposate lasciano
cadere i capelli sulle spalle in lunghe trecce attorcigliate e tempestate
di nastri e, per farle apparire più lunghe, intrecciano le chiome con fibre
di piante. Al centro della testa portano una sorta di diadema a forma di
U (erembe) realizzato con pelle di capra. Anche l’acconciatura, come
tutto il corpo, è coperta con l’impasto di ocra. Fino al primo mestruo le
bambine rimangono in famiglia, poi passano una settimana davanti al fuoco sacro per essere purificate e quindi
iniziano a vestirsi e ad acconciarsi i capelli come le donne adulte e sono pronte per il matrimonio. Il matrimonio può
avvenire a qualsiasi età; per assurdo, la bambina può avere anche 5 anni, ma, in questo caso, fino alla pubertà rimane
con i genitori. Per potere sposare una ragazza è ancora in vigore l’uso
dei “lobola” ossia il prezzo, in bestiame, vacche e pecore, che la
famiglia dello sposo deve pagare ai genitori della futura moglie per
dimostrare che è in grado di mantenerla. Gli uomini sono alti e
muscolosi e vestono quasi tutti all’occidentale, infatti, anche se
portano il gonnellino, indossano sopra una maglietta. I piccoli
portano treccine che vengono intrise di sterco e urina fino all’età di
10 anni, poi vengono rasati ai lati mentre sulla sommità della testa
viene lasciata una cresta di capelli da cui parte un codino che ricade
sulla nuca che infilano entro un “cappellino” che ricopre i capelli; un
codino singolo segnala la loro condizione di adolescenti non ancora
maturi per il matrimonio; quando raggiungono la maggiore età si
aggiungerà una nuova treccina: questa acconciatura con doppio
codino segnalerà che i giovani sono in età da accasarsi. L’uomo
sposato si distingue da quello scapolo per una folta capigliatura , che
non taglierà mai, raccolta in due trecce attorno alla testa e rinserrata
entro un berretto di pelle triangolare che toglierà solo in situazioni
particolari come, ad esempio, un funerale durante il quale questa
fascia viene tolta e i capelli ricadono sciolti. Il lutto dura un intero
anno. Anche le donne mantengono il lutto per un anno intero e
durante questo periodo non portano gli ornamenti più evidenti (ad
esempio la conchiglia) ma tengono solo quelli che possono essere
facilmente nascondibili. L’abbigliamento degli uomini è uguale per
tutti: perizoma di pelle di capra o di bovino pieghettato sul davanti e
decorato con perline, sandali di cuoio, collanine al collo. Essi si
cospargono il corpo con grasso misto a cenere.
Un rito specifico degli Himba consiste nell’ ablazione degli incisivi inferiori: verso i 13-14 anni, appena raggiunta la
pubertà, si fanno saltare questi denti tramite un pezzettino di legno apposito colpito in maniera decisa con una pietra
mentre quelli superiori vengono limati. Questa ritualità un tempo era obbligatoria ma oggigiorno è facoltativa.
Nonostante questo i giovani Himba sono pronti a dimostrare a tutti gli altri di essere fieri di appartenere a questo
popolo e quindi accettano di sottoporsi a questo rito. Sebbene agli europei ciò possa sembrare crudele esso deve
necessariamente essere visto come una ritualità legata alle tradizioni di un
popolo, al pari delle scarificazioni in alcune popolazioni della valle dell’Omo,
le collane attorno al collo delle “donne giraffa” o i tatuaggi che ricoprono
quasi interamente il corpo dei Maori in Nuova Zelanda. La vita del popolo
Himba della Namibia, selvaggia e pastorale, è scandita da consuetudini che
si ripetono uguali da sempre ed è segnata dalle transumanze degli animali
che costituiscono la ricchezza del popolo.
La loro struttura sociale è molto complessa e dettata da una forte
commistione di un sistema di tipo patriarcale con uno stampo matriarcale.
Mentre, infatti, gli uomini sono formalmente i capi clan, è la discendenza
matrilineare a determinare le parentele. I villaggi, su base familiare, ospitano poche decine di persone e conservano
usi e costumi tradizionali grazie anche al loro lungo isolamento dovuto alla presenza dell’esercito sudafricano. Solo con
la recente indipendenza della Namibia i territori Himba si sono aperti al turismo. L’unità abitativa è il “kraal”, di forma
circolare, entro cui si svolge la vita; è composta da due cerchi concentrici: da un recinto per gli animali e da capanne a
cupola, molto semplici , che , come quelle dei Masai, sono costruite con rami di mopane o di acacia e fango e ricoperte
con un impasto di argilla e sterco bovino. Sul tetto delle capanne sono posti tutti gli arnesi da lavoro. All’interno della
capanna c’è una sorta di cono fatto con stecchetti ed erba intrecciata , sotto il quale viene messo il carbone acceso per
profumare gli indumenti e gli ambienti.
Il capo villaggio ha più mogli: la prima viene scelta dalle rispettive famiglie quando i futuri sposi sono ancora in fasce.
Le due famiglie di origine sono lontane e in questo modo si evitano incroci fra consanguinei. Le altre mogli le sceglie lui
ma esse possono anche rifiutare. L’uomo già sposato e in cerca di altre mogli può decidere di sposare anche una
bambina ma la giovane fanciulla va a stare con lo zio materno finchè non è pronta al matrimonio, ed è lei l’unica
moglie a dormire con il marito, le altre hanno ciascuna una propria capanna. Durante la notte dormono nelle capanne
per ripararsi dal freddo; normalmente quella del capo villaggio ha il retro che guarda verso est ma l’uomo si muove e
ogni notte va in una capanna o l’altra. In ogni villaggio Himba, tra la capanna del capo e il recinto degli animali è posto
il “fuoco sacro”: è questo un luogo di culto legato alla sfera religiosa. Gli Himba credono che il fuoco metta in
comunicazione gli uomini con il dio, attraverso gli spiriti degli antenati; ritengono che le anime dei morti abbiano
poteri sovrannaturali e influenzino i viventi riuscendo a metterli in
contatto con il dio Mukuru. Da ciò deriva la necessità di mantenere buoni
rapporti con le anime attraverso il fuoco sacro. Il fuoco è, generalmente,
un unico ceppo che arde giorno e notte, ed è cura della prima moglie e
della prima figlia vegliare perché non si spenga. Secondo un rito preciso il
fuoco deve essere acceso la mattina e la sera mentre durante il giorno le
braci sono conservate nella capanna del capo. Intorno al fuoco si
celebrano tutti i rituali della comunità: si tengono assemblee, si prendono
le decisioni più importanti, si invoca la guarigione di un malato (se il fuoco
si affievolisce non è un buon segno). E durante le cerimonie sarà questo
ceppo a dare vita al fuoco tribale per simboleggiare un contatto con le
anime. E’ vietato camminare sulle braci ma anche attraversare la linea che unisce il fuoco e la capanna del capo. Una
grande cerimonia viene fatta quando gli animali rubati vengono ritrovati. Gli uomini raccolgono molte foglie di
mopane e ne fanno una catasta; il capo tribù “lava” con le foglie il volto dei bimbi e delle donne che procedono in fila
inginocchiate. Alla fine della cerimonia viene sacrificato un montone. Nel villaggio e in tutto il territorio ci sono recinti
fatti di canne che racchiudono gli orti nei quali vengono coltivati vari vegetali: mais, sorgo, spinacio selvatico e zucche.
Molto spesso questi villaggi vengono abbandonati perché, per assicurare pascoli e acqua sufficienti alle mandrie, gli
Himba sono costretti a spostarsi continuamente. Questo popolo ha un’economia quasi soltanto di sussistenza; con la
vendita di qualche capo di bestiame si procurano gli alimenti che non producono e qualche lusso, come il thè e il
tabacco. Per il resto fanno tutto con le loro mani e le risorse ancestrali, gli animali domestici e la vegetazione
spontanea. Le abitazioni cilindrico-coniche costruite con rami sigillati con argilla, le recinzioni fatte intrecciando
magistralmente rami di acacie spinose, gli attrezzi per la preparazione del cibo: tutto è come nei secoli scorsi. Alle
donne spetta un ruolo importante all’interno del clan, dalla cura dei figli alla gestione dell’alimentazione che non è
molto varia.
La dieta degli Himba consiste principalmente di latte cagliato e di carne di capra, pecora o zebra cacciata a colpi di
lancia e con l’ausilio di un potentissimo veleno, tratto dalla linfa dell’arbusto Adenium boehmianum. La mattina i
ragazzi mungono le vacche e poi le portano al pascolo. Anche alle donne è permesso mungere il bestiame, ma tocca al
capo del villaggio assaggiare per primo il latte di ogni secchio: gli viene porto il recipiente colmo, egli vi bagna le labbra
e vi intinge un dito della mano destra, per affermare il controllo sugli armenti e sui prodotti da essi derivati. La sera la
cena è rappresentata da latte, mais e uova. Il latte viene spesso mescolato a farina di mais così da formare una sorta di
polenta bianchissima che essi mangiano con le mani direttamente dalla pentola in cui è cucinata. Le donne, tutte
bellissime, sono onnipresenti nel villaggio e, insieme agli anziani e ai bambini non si allontanano mai dal villaggio
mentre gli uomini si dedicano alla cura del bestiame. Alle donne delle singole comunità spetta la proprietà collettiva
delle mandrie, sotto il controllo del fratello della madre. Proprio per questo gli uomini, una volta sposati, lasciano la
loro tribù per quella della sposa. Però l’autorità politica e religiosa è sempre nelle mani di un uomo, solitamente il capo
famiglia o il capo villaggio.
Le faccende domestiche sono ben divise anche se alle
donne toccano i lavori più duri : ad esse spetta il compito
ricavare la quantità giornaliera di farina necessaria,
operazione che si esegue strofinando il mais su una
pietra appuntita , di pestare il mais e di fare il burro; gli
uomini hanno invece l’onere di occuparsi del pascolo del
bestiame. L’acqua è spesso insufficiente e deve essere
pompata dagli strati più profondi dei fiumi, ma se questo
non è possibile gli Himba lasciano il loro kraal alla ricerca
di migliori condizioni di vita. Alle donne è anche affidata
la cura dei figli verso i quali hanno un rapporto molto
tenero. I bambini accompagnano la madre in ogni
momento della giornata appesi dietro le spalle, sostenuti
da un ingegnoso sistema di cinghie di cuoio, e imparano fin da piccoli ad accudire il bestiame e a rispettare i valori
delle tradizioni del popolo. Ridotti a poco più di 7000 individui, gli Himba della Namibia hanno un’indole pacifica e
vivono di pastorizia nei loro villaggi ove hanno tutto ciò di cui necessitano e quando questo viene a mancare,
abbandonano il villaggio e si spostano in aree più favorevoli. Hanno una grande resistenza e un metabolismo che
consente loro di fare a piedi 120 km in un giorno solo (dall’alba al tramonto).