pag. 44-57

Transcript

pag. 44-57
© Springer-Verlag 2001
Pathologica (2002) 94:44-57
RILETTURE
P. Scarani
Robert Koch (1843-1910): una vita in trincea (contro i microbi, contro
Virchow e contro tanti altri)... ed un inaspettato “parallelo” con Golgi
L’antefatto: una rubrica di Nature [1]
Nel numero di Nature del 26 luglio (sto scrivendo nel 2001)
è riportato uno scritto di Robert Koch, pubblicato un secolo
prima dalla stessa rivista.
Si tratta di un editoriale appassionato, in cui l’autore cerca di mobilitare gli scienziati sul fatto che la tubercolosi non
è una semplice malattia sociale, legata alla povertà e alle cattive condizioni igieniche. Si tratta invece, di una malattia dovuta ad un agente eziologico ben definito, anzi, ad un nemico subdolo e diabolico, contro il quale bisogna mobilitarsi per
ottenerne una completa eradicazione. Lo scritto di Koch ricorda straordinariamente quanto Jenner proclamò circa
cent’anni prima a proposito del vaiolo. Sarebbe interessante
sapere se Koch avesse intenzione di imitare quel precedente.
Anche Jenner, infatti, aveva in mente l’eradicazione del vaiolo. Fu in un certo senso miglior profeta di Koch, in quanto
previde, per mezzo della vaccinazione applicata su larga scala, la scomparsa del vaiolo entro due secoli. E così fu. Certo,
il virus del vaiolo non è astuto come il micobatterio: è troppo virulento. In tal modo, la sua circoscrizione è stata più
semplice. Non bisogna comunque illudersi troppo: il virus del
vaiolo delle scimmie e dei cammelli è in agguato…. E se
qualche paleopatologo in cerca di gloria, scavando antichi sepolcri in un remoto permafrost, trovasse, in una salma insospettabile, qualche virus del vaiolo umano congelato?... Che
pensare, poi, dei laboratori segreti per la guerra biologica [2]?
Ai tempi dello scritto di Koch su Nature, sia il vaiolo che
la tubercolosi si presentavano ancora come ombre minacciose. La vaccinazione contro il vaiolo era tuttavia una pratica già diffusa. Contro i micobatteri, invece, nel 1901, non
si faceva quasi nulla.
P. Scarani ()
Anatomia Umana Normale, Via Irnerio 48, I-40126 Bologna, Italia
e-mail: [email protected]
Ma torniamo a Koch. Thomas Brock, la mia maggior
fonte di ispirazione, sostiene che la vita di quest’uomo, nonostante i suoi meriti eccezionali, sia conosciuta molto male, soprattutto perché le sue biografie sono già datate, ed
esclusivamente in lingua tedesca [3]. La ‘rilettura’ di Nature
mi ha spronato a sfiorare questo tema. Come si vedrà, ritorneranno anche svariati motivi, già trattati in precedenti articoli di Pathologica.
Infanzia felice
Heinrich Herrmann Robert Koch (i primi due nomi non li
userà mai) nasce l’11 dicembre 1843 a Clausthal (Bassa
Sassonia). Si tratta di un paesino minerario tra i monti
dell’Harz. Qui una volta erano ambientate cose infernali, come i sabba della notte fra il 30 aprile e il primo di maggio
(notte di Valpurga). I Koch non erano qui per motivi stregoneschi, ma per le miniere. Il padre era infatti un amministratore minerario particolarmente dotato, tanto da divenire
direttore d’una miniera. Ben fece, perché il danaro gli occorreva, avendo reso gravida la moglie ben 13 volte. Undici
figli arrivarono all’età adulta. Robert era il terzo. Due migrarono negli Stati Uniti. Ho già parlato di quanto fosse dura la vita in Germania dopo le guerre napoleoniche [4, 5]. Fu
questo il periodo della “germanizzazione” degli Stati Uniti.
Come tante mamme con molti figli, la signora Koch aveva il figlio prediletto: Robert [3]. Era bello, prestante, estremamente intelligente. Poi, lo si vede da alcune foto di famiglia, egli aveva nei riguardi della madre quelle finezze affettive, che contribuiscono a creare un particolare rapporto
madre-figlio. Un rapporto tenero, ma pericoloso, che forse
può spiegare la vita sentimentale tempestosa di Robert.
Una volta tanto, ho qualcosa in comune con uno dei personaggi di cui parlo (purtroppo, soltanto una cosa). Come io
ebbi zio Gigi, Robert ebbe zio Eduard (fratello della madre)
ad ispirargli un profondo amore e interesse per la natura e la
fotografia [3]. Io, ho dato il meglio di me con le foto aeree
Robert Koch (1843-1910): una vita in trincea (contro i microbi, contro Virchow e contro tanti altri) ...
della Scozia, della Groenlandia e di Chicago (che conosce
soltanto il direttore di questa rivista). Robert, invece, ha inventato la microfotografia. Ricordatevene, quindi: le vostre
foto al microscopio sono dovute agli sforzi memorabili attuati a proprie spese, in casa propria, fra un paziente e l’altro, da parte di un medico di campagna. Tale era Robert
Koch quando acquisì fama internazionale col bacillo del carbonchio.
Un medico di periferia
Robert è uno studente brillante. Al ginnasio non può tuttavia
soffrire gli studi classici. Gli piacciono invece la matematica e le lingue moderne, specialmente l’inglese [3], che, fra
l’altro, gli sarà di grande aiuto per gli studi sul colera in
Egitto e a Calcutta. Arrivato alla scelta per la professione
(deve iscriversi a Goettingen), opta inizialmente per le scienze naturali (quindi per una carriera d’insegnante).
Rapidamente, tuttavia, è “stregato” dalla medicina. Rimarrà
comunque sempre legato alla natura.
Goettingen è un paradiso, per uno studente brillante: ci
sono Friedrich Woehler, lo scopritore dell’urea, il grande
matematico Friedrich Gauss, e, soprattutto, Jakob Henle.
Quest’ultimo è l’iniziatore di Robert alla teoria dell’esistenza di germi patogeni. Sotto la guida dell’anatomopatologo
Wilhelm Krause, Robert dà primariamente prova di sé, svolgendo un’accurata ricerca sulla presenza di cellule gangliari
lungo i nervi dell’utero. Il lavoro ha tale successo, che gli è
assegnato un premio, utilizzato per seguire le conferenze di
Virchow, al 49° congresso della Società dei naturalisti e medici tedeschi [3]. Poco dopo (1865) dà prova della propria
dedizione alla ricerca svolgendo su se stesso una ricerca sulla produzione dell’acido succinico nell’uomo: sarà la sua tesi di laurea (gennaio 1866).
Tutto ciò sembrerebbe l’inizio di una brillante carriera
accademica. No. Robert si sposa nel 1867, e inizia una grigia e dura carriera, con notevoli problemi economici (la figlia – Gertrud Trudi – nasce nel 1868). È costretto a cambiare ripetutamente sede: Amburgo; Langenhagen, presso
Hannover; Niemegk, presso Berlino; Rakwitz, presso l’attuale Poznan [3]. È un medico capace e laborioso. La giovinezza gli impedisce tuttavia di “sfondare”, in un mondo
già saldamente in mano ad altri. Robert non è però tipo da
lasciare appassire i propri interessi tra le difficoltà e continua a coltivare la passione per le scienze naturali, riempiendosi la casa di animali d’ogni possibile specie. A
Rakwitz ha un notevole successo coi pazienti, che gli forniscono attestati di stima ed affetto [3]. Egli stesso, però,
butta l’occasione alle ortiche. È scoppiata la guerra francoprussiana (1870) e Robert, esentato per la miopia, va volontario come medico, lavorando negli ospedali militari di
Neufchateau e Orleans. Questi duri anni sono comunque
profondamente formativi per Robert, perché lo mettono a
45
contatto con malattie di cui si dovrà occupare: colera, tifo,
ferite infette.
Il notevole talento e la coscienziosità di Robert danno i
loro frutti nel 1872. Egli aveva sostenuto gli esami di medico di distretto (un posto sicuro, con incarichi di sanità pubblica e possibilità di esercitare contemporaneamente la libera professione), ma senza ricevere assegnazioni. Un nobile,
particolarmente soddisfatto delle prestazioni professionali di
Robert, lo fa assegnare come medico di distretto alla cittadina di Wollstein, oggi Wolstzyn, a mezza strada tra Poznan
e la vecchia Breslavia (Wroclaw) [3]. A Wollstein trascorrerà
anni felici, con solido successo professionale, attestato dal
fatto che la strada in cui abitò si chiama tuttora via Robert
Koch. La gente è contenta di questo medico brillante e dedicato appassionatamente al lavoro.
In questa cittadina, Robert continua a dedicarsi con sempre maggiore intensità alle scienze naturali, puntando su
obiettivi destinati a proiettarlo in un mondo che nemmeno
lui immagina.
Carbonchio: la sesta piaga d’Egitto
“... presero dunque fuliggine di fornace e si posero alla presenza del faraone. Mosè la gettò in aria, ed essa produsse
ulcere pustolose con eruzioni su uomini e bestie” Esodo 9,
10.
Il carbonchio è il rubino e anche il granato rosso. Deriva
dal latino carbunculus, piccolo carbone. Si chiama anche antrace, etimo latino d’origine greca, il quale pure significa
carbone. Questa parola esiste ancora in alcuni dialetti del
meridione (antraci, ndrascia, ndracie – spero che nessuno si
offenda per la mala scrittura). Chi è vissuto ai tempi del riscaldamento a carbone, ricorderà l’antracite, il carbone più
pregiato e costoso.
Il bacillo del carbonchio oggi è più noto come anthrax, il
nome da incubo oramai intimamente legato all’uso di quest’agente nella guerra biologica e ai guai connessi. Le spore
penetrano nel corpo della vittima attraverso ferite, per inalazione, o dal tubo digerente [6]. L’eventuale lesione cutanea
d’esordio può avere il colore del rubino. L’evoluzione è tuttavia rapida verso la necrosi: si passa allora al colore dell’antracite. Poi si sviluppa la setticemia e la morte. La morte della vittima è un requisito fondamentale per la propagazione della malattia. Tuttavia, la morte non basta, perché, se
i bacilli rimangono intrappolati nel cadavere, sono facilmente distrutti dai germi della putrefazione. Se invece sono
emessi all’esterno, tramite i liquidi che essudano dalle pustole o che fuoriescono dal naso o dalla bocca durante l’agonia, si trasformano in spore resistentissime. Lo stesso succede se l’animale è rapidamente seppellito senza trattamento sporicida, o se la pelle è asportata senza precauzioni ed
essiccata nell’ambiente. Quando le spore si sono formate,
possono persistere per decine d’anni nell’ambiente. Le ripetute epidemie dell’Europa centrale e della Russia sembrano
essersi spesso manifestate dopo il dissodamento di terreni in
46
Robert Koch (1843-1910): una vita in trincea (contro i microbi, contro Virchow e contro tanti altri) ...
cui erano stati seppelliti animali morti di carbonchio vari anni prima [6]. Specialmente trattando pelli (per esempio,
quelle molto rinomate degli agnellini d’Astracan), o lana di
pecore malate, le spore possono essere inalate. Si ha allora
la forma più severa di carbonchio: quello polmonare, che
trapassa fulmineamente nella sepsi. È questa la forma di carbonchio che si prefiggono i fautori della guerra biologica. I
primi a mettere in pratica quest’idea furono i Giapponesi,
che le sperimentarono su prigionieri di guerra e le impiegarono contro i Cinesi [7]. In tempi più recenti, sono stati imitati dai Sudafricani (prima di Mandela) [2].
Le armi biologiche sono esecrabili e imprevedibili. La
dimostrazione di ciò è fornita dal terrificante episodio di
Sverdlovsk (oggi Ekaterinburg, il nome di questa città prima
che il bolscevico Sverdlov vi comandasse l’esecuzione dello Zar e della sua famiglia) del 1979 [6]. A causa della guerra fredda e della necessità di ‘proteggere’ il prestigio delle
forze armate sovietiche anche dopo la caduta di quel regime
(ma anche i laboratori segreti [2]), fino a tempi molto recenti
l’emissione accidentale nell’atmosfera di una quantità, per
fortuna modesta, di spore d’un ceppo molto virulento del bacillus anthracis, è stata tenuta malamente nascosta.
Il brillante lavoro di Jeanne Guillemin [6], la quale già si
distinse per aver dimostrato l’inconsistenza delle accuse
americane a proposito dell’uso di micotossine nel Laos (yellow rain), coadiuvata da un gruppo di altri studiosi americani e siberiani, ha dimostrato inequivocabilmente il percorso
delle spore da un laboratorio segreto ai luoghi in cui si trovavano le quasi 100 vittime umane e anche i numerosi animali contagiati. Si tratta di un magnifico esempio di lavoro
multidisciplinare “alla Koch”. Fu infatti eseguita una serie di
rilevazioni anatomopatologiche, microbiologiche e cliniche,
verificate poi con controlli crociati sui ricordi dei superstiti
e dei familiari, i quali permisero di stabilire con precisione
dove si trovassero le vittime nei giorni precedenti l’esordio
della malattia. Cruciale fu comunque il fatto di stabilire che,
proprio nel giorno supposto come quello del contagio, il
vento spirava dal laboratorio alle zone in cui si trovavano le
vittime, caratteristicamente disposte in quartieri e villaggi
tutti su di una linea retta.
Mi è sembrato opportuno riportare questo studio per due
motivi. Innanzitutto, esso dimostra un assunto di Robert
Koch. Egli sosteneva di non aver mai fatto granché per scoprire quel che scoprì, ma di essersi semplicemente limitato a
“guardarsi attorno attentamente”: i tesori della verità sono lì
che aspettano. L’altro motivo riguarda la ferocia del bacillo del
carbonchio. Oggi conosciamo molto della sua potentissima
esotossina, con frazioni multiple dotate d’azioni molto sofisticate. Conosciamo invece poco della sua abilità nel servirsi
dei macrofagi come mezzo di trasporto. L’orrore delle storie
cliniche recuperate dalla Guillemin evidenzia le sofferenze
inaudite cui sono sottoposte le vittime. Fu proprio questo che
indusse Robert a dare la caccia ai bacilli del carbonchio.
Nell’Ottocento il carbonchio produceva danni gravissimi
agli allevamenti tedeschi e anche all’industria tessile e ali-
mentare. In proporzione, la trasmissione all’uomo era un
problema minore. Koch inizia tuttavia ad occuparsene a causa degli effetti devastanti sull’uomo. I russi hanno sempre
considerato il carbonchio come una delle tante note caratteristiche della loro terra. È fra l’altro loro merito l’aver descritto la forma intestinale, dovuta all’ingestione di carne
contaminata, spesso come conseguenza dell’immissione sul
mercato di resti animali destinati alla distruzione.
Il lavoro di Robert sui bacilli del carbonchio non è il primo sui germi patogeni. Il suo maestro Jacob Henle parla di
‘agenti del contagio’. Anche Pasteur e Lister sono già al lavoro sull’antisepsi. Edwin Klebs ha già elaborato i famosi
‘postulati di Koch’ (dimostrazione e isolamento del germe e
successiva riproduzione della malattia in animali sani).
Casimir Joseph Davaine, sotto l’influenza degli studi di
Pasteur sulla fermentazione (1857) ha trasmesso il carbonchio per mezzo di sangue infetto, nel quale sono ben visibili i probabili agenti, conformati a bastoncino (bacilli) [3].
Nel complesso, allo studio dei microrganismi patogeni,
manca la precisione di Robert Koch. Nella fattispecie (il carbonchio), esiste un grossissimo problema. Il carbonchio non
è in genere una malattia da contagio diretto fra vittima e vittima, ma qualcosa di ambientale, che dà purtroppo credito
agli ambientalisti, futuri grandi nemici di Robert: Rudolf
Virchow e Max von Pettenkofer. Servendosi delle proprie
funzioni d’ufficiale sanitario, Robert riesce ad entrare in
possesso delle carcasse degli animali morti di carbonchio,
perché ha oramai percepito che da quelle partono le epidemie, non dal terreno in sé. In tal modo, documenta la formazione delle endospore nei bacilli e la straordinaria resistenza agli agenti ambientali da esse posseduta. Koch giunge a questa prima scoperta a Wollstein, ‘fra un paziente e
l’altro’. Pur nel fervore della ricerca, Robert lavora in condizioni veramente difficili. Gli strumenti disponibili sono
modesti. Soprattutto, è però il lavorare nei ritagli di tempo,
a rendere tesa anche la sua vita familiare. In quest’epoca si
percepisce già un certo grado di tensione nei rapporti con la
moglie. La tensione, ovviamente, cresce con l’evidenziazione delle endospore. Adesso, infatti, Koch deve coltivare i bacilli in un terreno appropriato, per averne in quantità sufficiente, e, soprattutto, deve riprodurre la malattia negli animali da esperimento con l’uso delle spore.
Il miracolo avviene per Natale. Un coniglio del suo stabulario casalingo, inoculato l’antivigilia, muore il 24 dicembre. Il giorno di Natale (1875), Robert gli fa l’autopsia e lo
trova pieno di bacilli [3]. Non s’accontenta e continua ad
inoculare i suoi poveri conigli, alla ricerca di una via particolarmente efficace. Passa così anche Capodanno, ma alla
fine si accorge di una cosa fantastica: scarificando la cornea,
non ottiene soltanto una spettacolare setticemia carbonchiosa, ma anche ottime colture di bacilli nell’umor acqueo. Due
piccioni con una fava. E allora, via con la caccia a grandi
quantità d’umor acqueo nelle macellerie. Rapidamente
Robert capisce anche l’importanza della temperatura (30-35
gradi) e della presenza d’ossigeno, per avere buone crescite
Robert Koch (1843-1910): una vita in trincea (contro i microbi, contro Virchow e contro tanti altri) ...
[3]. Alla fine, non solo ha le crescite dei bacilli nelle colture, ma anche la formazione delle spore!
Quello che impressiona in Koch è la straordinaria capacità d’intuire ciò che sta accadendo sotto i suoi occhi, utilizzandolo poi al meglio in tempi incredibilmente rapidi.
Robert ha davanti a sé il ciclo vitale del bacillo del carbonchio ed anche, di conseguenza, la spiegazione dell’apparente origine ambientale di questa malattia. È passato appena un anno dall’inizio dei suoi studi (da dilettante, in casa, si noti bene). Intanto, tutta l’Europa scientifica brancola nel buio. “Ciclo vitale” è proprio il termine con cui egli
presenta il bacillo del carbonchio come causa di tale malattia [3]. Forse è proprio il suo atteggiamento da morfologo “alla Goethe”, a favorirlo [8]: Koch è medico e naturalista nello stesso tempo. Come tale, non lavora a compartimenti stagni.
Verso la fama: Ferdinand Cohn
Pensate se al posto di Bismarck ci fosse stato Hitler, nel
1876: niente ebrei, niente Cohn all’università di Breslavia
(oggi città polacca). Virchow e Pettenkofer avrebbero mandato Koch al manicomio, impedendo così lo sviluppo ulteriore della storia che sto raccontando, e, soprattutto, lo sviluppo dell’infettivologia e della microbiologia.
Ferdinand Cohn (1828-1898) è un grande botanico,
un’autorità nello studio dei microrganismi, e si trova a due
passi da Wollstein. Robert gli scrive per dimostrargli le proprie scoperte, perché oramai intuisce di aver fatto qualcosa
d’importante: degno, quindi, d’essere pubblicato. Cohn è
molto intelligente e rimane colpito dalla garbata lettera di
Koch sul ciclo vitale del bacillo del carbonchio. Evidentemente capisce che non si tratta di un esaltato in cerca di gloria e lo invita a Breslavia. È un trionfo, di cui dà atto anche
l’anatomopatologo, Julius Cohnheim (1839-1884), il famoso discepolo eretico di Virchow [3].
Questi uomini non hanno il minimo dubbio di trovarsi di
fronte ad un lavoro straordinario, per di più compiuto con
mezzi modestissimi. Cohnheim prevede addirittura altre sorprese da parte di Robert: un buon profeta!
Il lavoro sul bacillo del carbonchio è pubblicato sulla rivista di Cohn [9].
Invenzione della microscopia moderna
Robert Koch è un ricercatore a tutto campo. Per di più, parte dalla medicina, dall’uomo che soffre. Possiede quindi potenti motivazioni morali a compiere i suoi studi. Uno degli
aspetti più caratteristici della sua attività è però certamente
quello del morfologo. Come ho già accennato, Robert è un
tipico erede di Goethe [8]. Il suo modo di porsi nei confronti
della realtà è proprio quello di Goethe scienziato. Più mi
guardo attorno nel mondo tedesco del diciannovesimo seco-
47
lo, meno capisco l’indifferenza con cui si continua a considerare Goethe in questo settore.
Koch vuole vedere nitidamente i microrganismi: in coltura e con gli occhi. Inventa così il metodo rivoluzionario
della coltura su piastra, anziché in brodo, prima con la gelatina, poi, venuto a conoscenza di questa scoperta, con l’agar.
Petri, un suo allievo, inventerà in un secondo tempo le comode capsule omonime.
Sulle piastre si possono vedere e contare le colonie. Ma
non basta: bisogna vederli, i microrganismi. E Robert dà
l’assalto al microscopio.
Seibert e Krafft, di Wetzlar [3], producono già buoni microscopi, ma troppo scadenti per le esigenze del ricercatore
privato Robert Koch. L’esperienza della pubblicazione sul
bacillo del carbonchio gli insegna poi che i disegni non sono l’ideale per i preparati al microscopio e Robert sa dove
andare a parare: nella microfotografia. I suoi fornitori di microscopi, oltre ad essere lenti nell’evasione degli ordini, forniscono un apparecchio fotografico verticale che non gli va
bene, per la difficoltà con cui si effettua la messa a fuoco …
e la facilità con cui la si perde. Le esposizioni sono infatti
lunghissime. Il fotografo dell’Ottocento deve preparare egli
stesso le lastre all’istante. Con proteste e obiezioni reiterate,
Robert ottiene una macchina orizzontale [3]. I primi risultati ottenuti sbalordiscono i maggiori esperti dell’epoca.
Questi successi iniziali fan seguito al lavoro sul carbonchio
e sono tutti legati alla sua idea di essiccare il materiale contenente i batteri. Robert ha infatti notato che i batteri non sono modificati apprezzabilmente da questa procedura, la quale consente di raccoglierli in uno strato sottile [3]. Ma è solo l’inizio. I bacilli del carbonchio sono grossi e il violento
contrasto fornito dall’assenza del condensatore gli consente
di evidenziare i microrganismi senza colorazioni specifiche.
Nonostante stia movendo i primi passi su questo terreno,
Koch produce un nuovo splendido lavoro, che molti considerano una pietra miliare in microscopia [10].
A Breslavia, Robert affascina tutti gli anatomopatologi
della scuola di Cohnheim, ma in particolare Carl Weigert, e
anche il cugino di questi, Paul Ehrlich, ancora studente. Essi
lo iniziano ai coloranti d’anilina [3]. Proprio le prove di
Robert sul colorante più idoneo per le microfotografie dei
batteri costituiscono il pezzo forte della pubblicazione del
1877, le cui illustrazioni lasciano ancora ammirati gli esperti di oggi.
Lo sviluppo di colorazioni più efficaci, rende Koch sempre
più esigente nei riguardi delle prestazioni del microscopio. Le
otterrà valorizzando le scoperte di Ernst Abbe (1840-1905),
l’uomo che dovremmo giustamente chiamare ‘il microscopio’.
Fisico e matematico d’estrazione, egli crea la teoria del microscopio, rendendone in tal modo possibile la fabbricazione standardizzata (è il vero padre della Zeiss), e, fra l’altro, inventa il
condensatore e l’olio per l’obiettivo ad immersione [3].
Purtroppo, mancano le persone interessate. Fortunatamente,
Robert se ne accorge nel 1878 e lo visita a Jena: un momento
fondamentale per la storia della morfologia.
48
Robert Koch (1843-1910): una vita in trincea (contro i microbi, contro Virchow e contro tanti altri) ...
Con l’obiettivo ad immersione, Koch può fotografare anche i batteri più piccoli del bacillo del carbonchio. Si accorge poi che il condensatore, oltre ad intensificare l’illuminazione, gli consente una verifica crociata dei microrganismi
che osserva. Senza condensatore, grazie ai violenti contrasti
che si producono, può osservare i microrganismi essiccati e
non colorati. Col condensatore, il contrasto fra microrganismo e sfondo è affidato esclusivamente ai coloranti.
Assistiamo insomma ad un felice matrimonio fra le tecniche
d’allestimento dei preparati ideate da Koch e la genialità matematica di Abbe.
Questa è la vera rivoluzione della microscopia. Malpighi
aveva mostrato mondi nuovi, col microscopio. Galileo, mostrò mondi nuovi e diversi dalle aspettative comuni, col telescopio. Il secondo scatenò un autentico uragano. Il primo,
no. Ci volle Robert Koch, per scatenarlo. Perché? Semplice:
col microscopio, Robert punta il cannone contro un mondo
d’assassini, causa di un’elevatissima mortalità, soprattutto
infantile e giovanile.
Il problema delle ferite infette
Koch è soddisfatto e frustrato nello stesso tempo, a causa della celebrità improvvisamente raggiunta. Di colpo si trova ad essere un ricercatore di fama internazionale. Deve subito lottare
contro incomprensioni di basso livello, quantunque irrilevanti
per la qualità del suo lavoro. Non sorprende la superficialità
del chirurgo Billroth, il quale, ricevuto il lavoro sul carbonchio
da Cohn, sostenne che un suo allievo aveva fatto la stessa cosa. Si trattava di un lavoro improponibile, in realtà [3].
Se Billroth può non fare testo, Virchow lo fa! E lo farà
fino alla tomba, per il povero Koch! Memore della cortese
visita che una volta il “professore dei professori” gli aveva
fatto, per una campagna di scavi archeologici attorno a
Wollstein (l’archeologia è una passione comune ai due studiosi), Robert si reca a fargli visita a Berlino. Koch ha avuto la grande fortuna di conoscere due galantuomini (Cohn e
Cohnheim). Poi, ha conosciuto i chirurghi (Billroth).
Adesso, impara a conoscere i mostri sacri. In occasione degli scavi archeologici, Robert era un povero medico di campagna. Adesso è ancora un medico di campagna, ma si è dimostrato più dotato dei titolati ricercatori delle università
germaniche. Per di più, coi suoi germi, sconvolge il dogma
virchowiano della patologia cellulare. La freddezza e l’ostentato disinteresse di Virchow feriscono profondamente
Robert. Fra l’altro, egli lo ammira fin dalla giovinezza, tanto da esserne considerato anche, impropriamente, un allievo.
Per il momento, tuttavia, dominano gli aspetti positivi
delle grandi conquiste di Koch. In Gran Bretagna, i riscontri favorevoli sono enormi. Lo stesso si può dire in Francia,
nonostante la nascente e persistente incomprensione fra
Pasteur e Koch, legata anche alla recente invasione tedesca.
È proprio questa celebrità che spinge Robert a “cercar casa”.
Wollstein è un luogo meraviglioso, in cui egli si trova a vivere un rapporto veramente idilliaco coi pazienti. Tuttavia,
come scrive a Cohn [3], la lontananza dalle riviste scientifiche e dai colleghi interessati alle ricerche di cui si occupa,
cominciano a pesargli. Cohn ci prova subito e fa chiamare
Robert a Breslavia, come professore straordinario d’igiene
(1879). Purtroppo, si tratta di un’istituzione soltanto sulla
carta. Inoltre, non c’è possibilità di lavoro come medico distrettuale. Per questo, Robert torna a Wollstein, dove è accolto trionfalmente.
Questi problemi sono marginali all’attività scientifica di
Robert, che nel 1878 rende pubbliche le sue scoperte sulle
ferite infette. Le infezioni delle ferite, e la conseguente, praticamente costante, setticemia, erano l’incubo dei medici militari, e non solo. Anche una ferita chirurgica presentava
sempre questa minaccia, nonostante la profilassi antisettica
di Joseph Lister, uno dei primi ammiratori di Koch nel
Regno Unito.
L’eziologia batterica di queste infezioni e setticemie è già
accettata; tuttavia, la scarsa qualità dei metodi di studio dei
microrganismi prima di Koch, fa sì che persista una grande
confusione. Ci si trova in una specie di notte, in cui tutte le
vacche sembrano nere e i gatti grigi. Il gatto grigio, in questo caso, è il fantomatico Microsporum septicum, il quale,
secondo Klebs, sarebbe la causa di tutte le sepsi [3].
A Wollstein, Robert si rende conto che ogni sepsi si presenta come una storia a sé, dovuta ogni volta ad un diverso
microrganismo. Bisogna individuarli con accurati studi
morfologici. A questa premessa segue una scoperta fondamentale, oggi ovvia: nel sangue di un individuo sano non ci
sono batteri. Se ci sono, sono loro, gli assassini. È questa
l’occasione in cui Robert sfrutta a fondo le scoperte di Abbe
(olio per l’immersione e condensatore) e i coloranti all’anilina di Weigert. I batteri in azione nelle sepsi sono infatti
troppo piccoli. Fra l’altro, per fotografarli, Koch e Abbe sviluppano un filtro che lascia passare la zona blu dello spettro. Le emulsioni fotografiche dell’epoca hanno infatti la
massima sensibilità in questa regione [3]. L’isolamento di
questi microrganismi è molto difficile, in quanto Robert non
è ancora dotato delle sofisticate attrezzature necessarie a sviluppare le colture su piastra. Attua così inoculi successivi in
animali di laboratorio. I sintomi ricompaiono costantemente
e le caratteristiche morfologiche dei microrganismi si mantengono costanti nel tempo (per ciascun caso, naturalmente,
poiché si tratta, volta per volta, d’agenti diversi). Una cosa
cambia, tuttavia: nei successivi inoculi, il decorso della malattia si fa sempre più rapido e violento. È la legge della progressiva crescita della virulenza.
È bene notare che Robert illustra le sue scoperte con
grande rigore e chiarezza, ma non in modo dogmatico. Il
dogmatismo è sovente opera dei suoi allievi o degli autori di
libri di testo. La scoperta dell’aumento della virulenza è, in
ogni caso, accolta con incredibile entusiasmo negli ambienti scientifici, in quanto sembra un’ulteriore conferma della
selezione naturale [3].
Robert Koch (1843-1910): una vita in trincea (contro i microbi, contro Virchow e contro tanti altri) ...
Il nuovo studio di Koch ha enorme risonanza. Non piace
a Virchow, ma è seguito da numerose conferme, le quali porteranno ai risultati che Robert non ha raggiunto: l’individuazione degli stafilococchi e degli streptococchi (18801883) da parte del chirurgo scozzese Alexander Ogston
(1844-1929), il quale dichiara di aver seguito alla lettera il
procedimento di Koch.
Lo studio sulle ferite infette fu presentato in convegni a
Lipsia e Kassel. Non è facile trovarne i resoconti scritti.
Aggiungo, a questo proposito, una nota di colore.
L’iscrizione ai congressi è molto costosa, e Robert, essendo
un medico di campagna, se la paga di tasca propria, come,
d’altra parte, ha fatto per tutti gli strumenti utilizzati nelle ricerche sinora effettuate.
Siamo alla vigilia del trasferimento di Koch a Berlino.
La partenza da Wollstein è un giorno di gioia e di tristezza.
La popolazione è sinceramente dispiaciuta. Brock sostiene
che la gente trovava in lui tratti d’umanità veramente eccezionali, oltre all’indiscussa capacità professionale [3].
L’approdo a Berlino avviene per Robert piuttosto tardi. Ha
avuto, è vero, un esordio e un successo fulminei. Tuttavia,
proprio questo potrebbe indurre a pensare che tutto finisca a
Berlino. Invece, siamo appena all’alba.
All’Ufficio Imperiale per la Salute di Berlino: “piccole”
invenzioni
Ferdinand Cohn procura il posto per Robert al Kaiserliche
Gesundheitsamt di Berlino. Come consigliere scientifico di
tale ufficio, infatti, Cohn riesce a promuovere l’ammissione
di Koch nel consiglio stesso. L’impiego vero e proprio gli è
conferito il 7 luglio 1880. Robert, contento come una
Pasqua, prende servizio il 10 luglio: dichiara egli stesso che
oramai non può più permettersi di fare ricerca senza sfamare la propria famiglia [3]. Ha 37 anni e la sua carriera scientifica ufficiale sta appena cominciando.
La genialità non sempre è sufficiente per avere il riconoscimento dei propri meriti. Se poi essa si manifesta avanti negli anni, tale riconoscimento diviene quasi impossibile,
in quanto proprio l’età è addotta a giustificazione per escludere una persona da una possibile carriera brillante. Robert
ha avuto la fortuna d’incontrare Cohn. Pensate se, dopo
averne riconosciuto i meriti scientifici, Cohn avesse detto:
“Bravo, dottor Koch, Lei ha fatto cose eccezionali. Oramai,
però, non è più un bambino! Che cosa vuol fare adesso? Il
ricercatore?! Ma andiamo! Largo ai giovani! Poi, sa, più di
tanto non si può scoprire!” …. Senza Cohn, probabilmente
l’articolo finirebbe qui. Altri avrebbero fatto le scoperte di
Koch. Vista, però, la sua velocità e perspicacia, non so quanto tempo sarebbe passato.
Con un laboratorio moderno finalmente disponibile,
Robert comincia subito a produrre quello che prima non poteva: le colture su piastra. Questo contributo è tuttora tal-
49
mente utilizzato nei laboratori, che la gente lo considera
quasi una banalità. Eppure, prima di Koch, c’erano soltanto
terreni di coltura liquidi, con enormi problemi per verificarne la purezza, come lo stesso Pasteur deve ammettere [3].
Robert deriva l’idea da esperienze d’un allievo di Cohn,
Joseph Schroeter [3], il quale aveva notato che Serratia marcescens si riproduce con maggior efficienza se coltivata alla
superficie d’un terreno nutritivo (patate, carne, etc.), e, nel
1881, pubblica, nell’organo ufficiale dell’istituzione in cui
lavora, i principi per ottenere colture pure: la Bibbia del batteriologo, come si cominciò a dire quasi subito [3]. Qui non
voglio tanto evidenziare la lucida descrizione del metodo rigoroso con cui deve per gradi procedere la purificazione,
quanto l’importanza attribuita alle colture solide. Le piastre
nascono dalla necessità di bloccare i batteri. Robert ha compreso che i batteri patogeni sono esigenti e non si accontentano di patate. E qui sta il colpo di genio: trovato il terreno
liquido idoneo, lo trasforma in gelatina. Per il momento,
Robert ha un po’ di problemi, dovendo usare piastre di vetro
piane o provette. Richard J. Petri (1852-1921), presenterà le
sue famose capsule nel 1887.
Altro problema della gelatina è la sua liquefazione ad alte temperature. Manca ancora l’agar (o agar-agar) usato ai
tropici come gelificante da tempi immemorabili. Fu introdotto in Europa nell’Ottocento, per le gelatine di frutta. Fra
gli altri, l’usava Fannie, la moglie di Walther Hesse (18461911), un collaboratore di Koch [3]. Hesse lo provò in provetta, parlandone poi, evidentemente con Robert, che lo descrive nel suo lavoro sulla tubercolosi, nel 1882. Il metodo
della solidificazione con agar dei terreni di coltura non è mai
stato pubblicato [3].
Un’immediata, e poco nota, applicazione dei terreni solidi è la verifica dell’efficacia delle tecniche di sterilizzazione, tuttora in uso. In questo campo, fra l’altro, Robert
s’accorge della scarsa efficacia dei disinfettanti carbolici di
Lister, stabilendo, la differenza fra inibizione della crescita
dei microrganismi e uccisione degli stessi.
Lo studio dello sterilizzatore ideale è molto articolato e
complesso, a causa dei tanti parametri da considerare, compreso l’eventuale danno al materiale da sterilizzare. Questi
studi berlinesi sulla sterilizzazione sono un po’ ad ombre e
luci. Koch non comprende, per esempio l’importanza dell’autoclave, preferendo il vapore a 100°C a pressione ordinaria. Si dimostra invece un attento osservatore nel comprendere che quella che conta è la temperatura raggiunta dall’oggetto da sterilizzare, non dall’ambiente [3]. Insomma,
l’inizio di Robert a Berlino è buono. Ma sta per arrivare il
bacillo di Koch.
Tubercolosi
Una malattia mostruosa, la tubercolosi, che, quando Koch
inizia la sua attività a Berlino, è la causa di un settimo delle
50
Robert Koch (1843-1910): una vita in trincea (contro i microbi, contro Virchow e contro tanti altri) ...
morti umane. Le scoperte dei batteriologi e degli infettivologi in altri campi hanno oramai convinto molti medici che
si tratti di una malattia contagiosa. Esistono tuttavia molti
oppositori. Virchow, per esempio, ritiene che si tratti di una
malattia ambientale, come il tifo, che aveva studiato da giovane per conto del governo prussiano [4]. Non si cura tuttavia minimamente, in entrambi i casi, d’una possibile eziologia batterica. Anzi, il solo parlarne lo rende molto nervoso,
al pari delle splendide ricerche del suo allievo Cohnheim
sulla diapedesi.
Come Virchow, l’igienista Max von Pettenkofer (18121901), pensa che le malattie contagiose siano dovute alla
composizione chimica del terreno, dell’aria e dell’acqua.
Non voglio con questo negare che simili idee abbiano dato
significativi contributi allo sviluppo della tossicologia, dell’igiene pubblica e del lavoro. L’ostinazione, sua e di
Virchow, a considerare con scetticismo, o, addirittura, con
franca ostilità, gli studi di Pasteur e di Koch, appare tuttavia
molto pericolosa. Quest’ideologia (d’altro non si tratta, poiché essa è quasi integralmente fondata su speculazioni), è
molto vecchia, e, purtroppo, ricorrente. Pettenkofer, per
esempio, mi fa pensare al don Ferrante dei Promessi sposi.
Ricorderete senz’altro la sua ostinata convinzione sulla natura astrale della peste, sino alla morte. C’è un’unica differenza: Pettenkofer, come vedremo, non muore per le sue erronee convinzioni.
Le idee sulla tubercolosi sono tanto confuse, che la miliare e le forme acute sono ancora tenute distinte dalla tisi
cronica. Virchow stesso è estremamente ambiguo nella caratterizzazione di questa malattia, tanto da non riuscire a distinguerla chiaramente, nelle forme pluridistrettuali, dalle
neoplasie maligne. Decisamente, senza la microbiologia, l’anatomia patologica è in serie difficoltà.
Robert inizia i suoi studi sull’agente della tubercolosi il
18 marzo 1881 [3]. Il 24 marzo 1882 presenta la scoperta del
bacillo tubercolare alla Società fisiologica di Berlino: è stato
fulmineo, come sempre, ed è spaventatissimo, come sostiene
il suo collaboratore Loeffler (avrete già capito che è lo scopritore dei corinebatteri della difterite: Koch sa scegliere...).
Chi gli crederà? E invece, succede qualcosa d’incredibile. La
comunità scientifica mondiale, come la gente comune, non
solo è convinta: ne è profondamente commossa e appena tre
mesi dopo l’imperatore Guglielmo I nomina Robert
Consigliere privato dell’Impero. Anche Virchow si convince.
Cosa incredibile, se si considera che Koch era stato costretto
a tenere presso i fisiologi la conferenza sulla propria sensazionale scoperta, in quanto tutte le altre Società mediche temevano una reazione del “professore dei professori”.
Ma che cos’ha combinato, Robert? Niente d’eccezionale: ha fede. È convinto che la tubercolosi sia una malattia parassitaria e vuol trovare il parassita ad ogni costo.
Poi, a Breslavia, ha trovato un grande amico: Paul
Ehrlich (1854-1915). Questi, in cambio d’una sincera stima
quasi immediata, ha iniziato Koch alle colorazioni. Proprio
usando il blu di metilene di Ehrlich su materiale estratto da
tubercoli, Robert s’accorge di sottili bastoncelli visibili a
stento, ma sempre presenti. Si colorano male, però. Usa allora un colorante di contrasto marrone, il bruno di Bismarck
[3]. Questo assorbe la luce blu, e fa apparire i bastoncelli azzurri brillanti su di uno sfondo intensamente scuro. Già questa modifica li fa apparire molto più numerosi.
A un certo punto, capita un guaio: Robert usa del blu di
metilene fresco, e non vede più niente. Una persona normale lascerebbe perdere. Lui, invece, pensa: “Qualcosa, presente in abbondanza nell’aria del laboratorio, è andato a finire nel mio blu di metilene”. Annusa l’aria ed esclama “ammoniaca!” (non so se sia andata proprio così, perché non
c’ero). Aggiunge l’ammoniaca, e riecco i bastoncini! Poiché
l’ammoniaca è una sostanza alcalina molto forte, in seguito
preferirà gli idrossidi di sodio o di potassio, parimenti efficaci. Questa tecnica improvvisata sarà migliorata da altri
molto rapidamente.
In ogni caso, Robert trae le giuste conclusioni: questi bacilli sembrano dotati d’una parete con caratteristiche insolite, che può essere superata dai coloranti soltanto in presenza di sostanze fortemente alcaline. Koch è anche colpito dalla forma di questi bacilli sottilissimi e si accorge che somigliano molto ai bacilli della lebbra. Ha poi dimostrato la loro presenza in tutte le lesioni tubercolari. Adesso deve coltivarli e, dopo vari tentativi, si serve del siero di sangue coagulato, incubato a 37-38 gradi. E aspetta con fede, anche
quando altri butterebbero tutto nell’immondizia. Fa proprio
bene, perché, alla terza settimana, compaiono piccolissime
colonie a superficie rugosa. Fra l’altro, in successivi isolamenti di bacilli tubercolari, Koch userà, per la prima volta,
l’agar.
Ottimo lavoro, finora. Nelle colture pure, crescono sempre gli stessi bacilli. Ma sono virulenti? Eh, sì! Robert inietta le cavie, che muoiono rapidamente. Ma basta, questo? La
tubercolosi umana, infatti, non è una malattia naturale delle
cavie. Robert allora dimostra che le sue colture pure producono nelle cavie gli stessi sintomi e le stesse lesioni anatomopatologiche indotte da materiale tubercolare umano.
Queste mie povere parole non sono sicuramente in grado di suscitare in voi quel silenzio reverenziale, di stupore,
che suscitò la splendida presentazione berlinese di Koch e
l’osservazione dei preparati microscopici e colturali.
Ehrlich, al microscopio, sembra in estasi: in realtà, sta producendo. Capisce infatti subito l’opportunità di sostituire le
sostanze alcaline minerali con l’anilina, e, di lì a poco, descrive l’acido-resistenza (1 maggio 1882). Come noto, poi,
Franz Ziehl (1857-1926) sostituisce l’anilina con l’acido
carbolico, e, infine, Friedrich Neelsen, di Rostock (18541894), introduce la fuxina contrastata col blu di metilene.
Insomma, a meno di un anno dall’uscita del lavoro di Koch
sulla tubercolosi [11], è pronto anche lo Ziehl-Neelsen.
Bravi i tedeschi, no? A proposito. Gli studi di Ehrlich sui coloranti di anilina, furono punto di partenza per lo sviluppo
del metodo di Gram, che Hans Christian Gram (1853-1938)
pubblicò nel 1884 [3].
Robert Koch (1843-1910): una vita in trincea (contro i microbi, contro Virchow e contro tanti altri) ...
Qualche palato fine ora potrebbe dire: e Paul von
Baumgarten? Bravo! Questo medico (1848-1928) era di
Koenigsberg, dove insegnava Kant. Non cercatela sull’atlante, perché oggi, miserabilmente, si chiama Kaliningrad. A
parte questo, von Baumgarten comunicò di aver visto bacilli tubercolari in preparati non colorati ottenuti da tessuti infetti il 18 marzo 1882. Prima di Koch, quindi. Non fu però
in grado di coltivarli, né di inocularli in animali da esperimento [3]. Direi proprio che non ci siamo.
Accontentati i palati fini, passiamo agli antipodi.
Dobbiamo infatti occuparci del colera, la peste dell’età moderna. Questa volta, Robert è invitato a viva forza dall’opinione pubblica ad intervenire, e a vincere.
La peste dell’Ottocento
Il turismo globale è roba del Novecento. I vibrioni del colera, invece, l’hanno inventato nell’Ottocento. Si sono infatti
accontentati, per secoli, di produrre endemie nel subcontinente indiano, compiendo sporadici pellegrinaggi alla
Mecca. Forse, questi pellegrinaggi consentirono ai vibrioni
d’aver notizie dell’Europa, all’inizio del diciannovesimo secolo. Così, attraverso la Russia, i vibrioni si trasferirono in
Polonia, in Germania, nell’Impero austriaco, in Svezia e in
Inghilterra. Prima delle scoperte di Koch, si ebbero quattro
episodi pandemici, nell’ottocento. Il più terrificante fu quello del 1832-33, perché si collocò a ridosso della spaventosa
crisi economica dell’Irlanda e gli emigranti irlandesi portarono i vibrioni nell’America settentrionale. Di là, il colera
raggiunse il Messico e Cuba. Il colera fece molte vittime illustri. Hegel, per esempio, ne morì il 14 novembre 1831. Si
era ritirato nelle campagne attorno a Berlino, dove insegnava (l’epidemia era da poco entrata in Prussia). Inutilmente:
la malattia durò un giorno soltanto.
Nel 1883, i vibrioni indiani si misero in viaggio per il
Mediterraneo orientale e l’Egitto, in particolare. Fra l’altro,
proprio come i turisti d’oggi, i vibrioni apprezzavano molto
i piccoli porti del Sinai (El Tor non è molto lontana da
Sharm el Sheihk). In quell’anno, comunque i vibrioni visitavano un po’ tutte le località egiziane: porti del Mar Rosso,
del Mediterraneo, valle del Nilo.
Robert ha scoperto da poco i bacilli tubercolari. Louis
Pasteur (1822-1895) è da tempo all’apice della fama. Gli
Egiziani chiedono quindi urgentemente soccorso ai loro rispettivi governi. I Francesi partono per primi. Pasteur non
interviene personalmente e manda i suoi collaboratori più
giovani. Forse ha presentimenti sinistri. Si tratta, comunque,
d’un buon gruppo: Émile Roux, Louis Thuillier, Isidore
Straus, Edmond Nocard [3]. Thuillier è uno degli allievi prediletti di Pasteur. Ha appena 27 anni, ma è stato fondamentale per lo sviluppo del vaccino contro il bacillo del carbonchio. Proprio su questo tema, lui e Pasteur hanno avuto una
dura polemica con Koch, prodromica ad ulteriori persistenti
51
dissapori e divergenze fra le due scuole. I Francesi sbagliano tutto: hanno portato animali da esperimento per gli inoculi e non c’è niente da inoculare. Hanno portato terreni di
coltura liquidi e nel sangue non c’è niente. A dire il vero, essi sostengono di vedervi piccoli microrganismi. Koch pensa
che siano stati ingannati dalle piastrine, già descritte da
Bizzozero.
L’epidemia si sta oramai esaurendo. I Francesi sono
piuttosto scoraggiati. Poi, la tragedia: Thuillier ha un malessere, un po’ di diarrea. Infine, ecco i sintomi del colera: e
muore. Robert, anche lui già in missione, chiede e ottiene
di portare a spalla la bara. Un bel gesto. Pasteur, profondamente impressionato, fa ritirare la missione (fine settembre
1883).
La missione tedesca ha una quantità immane di materiali. Robert non lascia nulla al caso e si fa accompagnare da
Georg Gaffky (1850-1918), uno dei collaboratori più fidati.
Purtroppo, il colera è oramai in fase di stanca e Koch deve
“rincorrerlo”. Si concentra in particolare sui pellegrini provenienti dalla Mecca, dove la malattia è endemica. Vede anche i vibrioni, ma è perplesso. Sono nelle feci, nell’intestino ... e basta. Nel sangue non si vedono, anche all’acme della malattia. Li inocula negli animali da esperimento e non
succede niente. Va tutto bene, purtroppo, perché il vibrione
fa tutto nell’intestino. Il vibrione, poi, crescerebbe benissimo in terreni di coltura estremamente poveri. Purtroppo, la
gelatina si scioglie per il caldo eccessivo. Robert rimane in
Egitto da agosto a ottobre, pur avendo sospeso le ricerche. Il
colera, infatti, è oramai svanito. Sta invece riesplodendo in
India. La missione chiede allora il permesso di trasferirsi a
Calcutta, la “madre” dei vibrioni. Nel frattempo, Koch si gode l’Egitto, che l’entusiasma, come traspare dalle lettere che
scrive a Trudi [3]. Spende anche un patrimonio in regali.
Non ha problemi, comunque, perché Robert è oramai conscio del proprio lavoro e pretende adeguati compensi e finanziamenti, per sé e per i collaboratori. A Calcutta arriva,
per mare, a metà dicembre, proprio quando compie 40 anni.
La cosa importante, come sostiene Gaffky, è che fa fresco, e le piastre e le provette con la gelatina funzionano.
I casi di colera cominciano a scarseggiare anche in India.
Robert, però, ha le idee chiare, e cerca subito di ottenere colture pure da prelievi effettuati direttamente dall’intestino
delle vittime. Un lavoro duro, a causa della quantità di microrganismi dell’intestino. Il vibrione, fortunatamente, predilige un pH alcalino [3]. Il 2 febbraio, Robert è già sicuro:
in tutti i malati esaminati, vivi o morti, ha sempre trovato lo
stesso bacillo a virgola, facilmente distinguibile in coltura
per la sua particolarissima capacità, dopo aver formato una
colonia compatta, di diffondere massivamente all’atto della
liquefazione della gelatina. Purtroppo, come sappiamo, il vibrione predilige soltanto l’uomo, e, dopo l’isolamento, non
produce malattia negli animali, neppure quando è immesso
direttamente nell’intestino.
Koch ricorre allora all’epidemiologia, dimostrando i vibrioni nei contenitori d’acqua da cui hanno bevuto gli india-
52
Robert Koch (1843-1910): una vita in trincea (contro i microbi, contro Virchow e contro tanti altri) ...
ni contagiati dall’epidemia. È, questa, la ripetizione del magnifico studio di John Snow sui casi di colera degli utenti
della Broad Street Pump di Londra, durante la pandemia del
(1846-1862). Questa storia è raccontata in un bellissimo libro [12]. Vi consiglio di leggerlo. Riguarda la storia della
politica per l’acqua potabile nell’Ottocento in Gran
Bretagna: una serie di risse tra amministrazione pubblica,
privati, medici, chimici, farmacisti, ingegneri, ciarlatani …
come oggi.
Per la mancanza della riproduzione negli animali,
Pasteur è poco convinto della comunicazione ufficiale di
Koch. Gli scettici, tuttavia, costituiscono una minoranza effimera. Fra questi, come al solito, Pettenkofer.
Ben contento d’aver finito prima che faccia troppo caldo
(per se stesso e per la gelatina), Robert inizia il viaggio di
ritorno in aprile. Clima a parte, è contento anche dell’India.
Rimane, anzi, senza danaro e se ne fa mandare ancora parecchio dalla moglie, perché, sostiene, le cose belle da comprare sono veramente tante. È poi incantato dalle pendici
dell’Himalaya.
Il 2 maggio, il “padre del bacillo” è ricevuto dal Kaiser,
che gli regala il proprio busto di bronzo (agli altri della missione, dona una foto). Bismarck l’onora di un’udienza privata (forse progettano la sperimentazione dei vibrioni su
Virchow). Ho inserito questa sciocchezza perché voglio far
risaltare il contrario di questa mostruosità. Robert non ha
portato vibrioni con sé, perché, egli sostiene, il colera non
c’è in Europa e non vuole introdurlo per un gesto di vanità
irresponsabile. Brock parla di ciò (altrimenti, non lo saprei)
[3]. Non mette tuttavia a confronto questo gesto profondamente responsabile con l’ottusa, aberrante, criminale irresponsabilità di quei tanti (molti, purtroppo, medici) che per
odio, per ambizione, per conformismo, si sono prostituiti alle esigenze della guerra biologica, sfruttando e rischiando di
compromettere gli sforzi immani di uomini come Koch. Se
non l’avete già fatto, potete leggere i libri che ho citato in
calce [2, 6, 7]. Quello sull’anthrax può essere abbastanza interessante anche per un patologo. Tutti, comunque, sono
molto più avvincenti di un giallo o di un romanzo dell’orrore. D’altra parte, sono veri.
Il buon Dio, comunque, premia gli onesti: essendosi affezionati a Robert, i vibrioni sbarcano a Marsiglia e Tolone
nell’estate del 1884 e i Francesi lo chiamano a studiare i casi e le vittime (Pasteur non è molto soddisfatto del proprio
governo: d’altra parte, lui, ai vibrioni, non ci crede…). Vista
l’insistenza dei vibrioni, Robert li porta a Berlino. I soliti casi strani della vita: vibrioni naturalizzati francesi, spettanti
quindi, di diritto, a Pasteur, vanno a costituire, nonostante la
guerra del 1870, il primo nucleo per le ricerche sul colera
dei laboratori di Berlino. Non solo il turismo di massa: i vibrioni del colera hanno inventato anche la globalizzazione!
Voglio adesso raccontarvi un fatto personale. Anche l’asfalto delle strade sa che circa dieci anni fa inventariai i libri e gli estratti antichi dell’anatomia patologica di Bologna.
Presi questa decisione trovando un fascicolo molto danneg-
giato della Berliner Klinische Wochenschrift. Sulle prime mi
accorsi soltanto del nome di Virchow, proprio nella prima
colonna della prima pagina. Mi accorsi poi che Virchow faceva da presidente e introduceva …. La conferenza sul colera! Quest’articolo, recuperato probabilmente da Giovanni
Martinotti, grande appassionato di batteriologia, è la trascrizione stenografica del resoconto di Koch nel 1885, sui progressi a un anno dalla prima grande conferenza sui vibrioni
[13]. Forse per il modo avventuroso e casuale in cui l’ho incontrato, leggendo quest’articolo ho avuto quasi la sensazione d’incontrare Koch e di parlargli. Decisamente, sono
matto. Ma è proprio un bell’articolo.
Al culmine del successo. Primi segni di crisi
Robert è oramai un uomo ammirato e riverito in tutto il mondo. Il suo laboratorio produce. Fra l’altro, alla fine del 1883,
è pubblicato il lavoro di Loeffler sui corinebatteri. In esso,
sono enunciati i famosi “postulati di Koch” (dimostrazione
dell’agente infettivo, isolamento, riproduzione della malattia
negli animali da esperimento). Effettivamente, non esistono
pubblicazioni specifiche di Koch su quest’argomento [3].
Come allievo, e come positivista, Loeffler cerca di stabilire
criteri saldi, dogmatici, in un certo senso. Sinceramente,
però, Koch non sembra proprio un dogmatico, per lo meno
nel senso più ristretto del termine. Sicuramente, è un uomo
preciso. Egli stesso dimostra ripetutamente, nel corso delle
polemiche successive alle sue maggiori scoperte, che i risultati da lui ottenuti non sono riproducibili quando si lavora in
modo sciatto. Abitualmente, tuttavia, non è un polemista
violento. Con la maturità, si fa molto compassato e acquisisce i tratti caratteristici dell’austero scienziato tedesco.
Tuttavia, molti allievi e visitatori occasionali lo ricordano
spesso come un burbero benefico. Un giovane studioso americano, per esempio, al primo incontro gli si rivolge, stentatamente in tedesco; “capisco abbastanza la sua lingua, parli
pure inglese!”, si sente rispondere in inglese, naturalmente,
con un pesantissimo accento tedesco [3]. Nel clima germanocentrico di fine Ottocento, non è poco. Inoltre, la lingua
straniera più comunemente utilizzata è il francese. Bismarck
è una cospicua eccezione: ha imparato l’inglese nel corso
d’una selvaggia relazione giovanile con una nobildonna britannica. Ciò non vi deve sorprendere. Nonostante la faccia
torva, Bismarck è un gaudente completo.
Malauguratamente, Koch conosce male il francese parlato. Ciò gli costa una pessima figura con Pasteur, in un congresso internazionale a Ginevra (1882). Come ho detto, i
rapporti fra le due scuole sono difficili. La polemica è, però,
in genere, civile. In quest’occasione, invece, Koch fraintende alcune parole del discorso di Pasteur e risponde con un
attacco personale bruciante, e, in tutta sincerità, poco intelligente [3]. Per di più, pubblica l’attacco nel bollettino dell’istituto in cui lavora. Ciò spiega l’ostinata diffidenza con
Robert Koch (1843-1910): una vita in trincea (contro i microbi, contro Virchow e contro tanti altri) ...
cui Pasteur accoglierà la scoperta dei vibrioni. Koch, di rimando, si opporrà all’uso del vaccino antirabbico, ma si troverà contro l’opinione pubblica e sarà costretto a far marcia
indietro. Koch e Pasteur hanno due mentalità molto diverse:
il primo vuole combattere le malattie infettive agendo sulla
comunità umana, Pasteur, agisce invece sui singoli (vaccinazione). Curiosamente, Pasteur si congratula con Koch per la
scoperta della tubercolina (1890), la quale preluderà al più
terrificante disastro della vita di Robert.
Koch non è ancora un professore universitario, nonostante tutto. Gli propongono la cattedra di anatomia patologica a Lipsia, alla morte di Cohnheim (1884). Robert rifiuta: per gratitudine ai prussiani, rimane a Berlino. È una buona decisione: l’anno dopo gli è offerta la direzione del neonato istituto d’igiene, secondo in Germania dopo quello di
Pettenkofer. Virchow si oppone, ma non prevale. Robert
mantiene la direzione del suo laboratorio e inizia una brillante attività didattica [3]. Ha una visione estremamente moderna, a tutto campo, dell’igiene. D’altra parte, un ricercatore veramente motivato è anche un buon insegnante. Non
possiede un’oratoria appassionante. Tuttavia, la sua estrema
razionalità e l’eleganza delle dimostrazioni pratiche polarizzano su di lui e sulle istituzioni da lui dirette l’attenzione degli studenti di tutto il mondo.
Nel 1885, anche Goettingen crea il proprio istituto d’igiene, diretto da Carl von Fluegge (1847-1923), quello che
ha dato il nome alle goccioline emesse con la tosse e con gli
starnuti. Koch decide di fondare con Fluegge la Zeitschrift
fuer Hygiene. Robert avverte infatti la necessità di creare
istituzioni che si conformino alle proprie idee.
In questo gran daffare, Trudi, diciannovenne, si fidanza
con Eduard Pfuhl, allievo del padre e anche abbastanza vecchiotto (35 anni). Robert, come tutti i genitori di figlie, specialmente uniche, è un po’ gelosetto e lo confida all’amico
Fluegge [3]. Thomas Brock, sostiene giustamente che, in
queste confidenze, Robert appare più vecchio che geloso. I
rapporti con la moglie si stanno raffreddando. Inoltre, la direzione dell’Istituto universitario e del laboratorio presenta
una gran quantità d’oneri ufficiali e burocratici, che lo distraggono dalla ricerca. Per di più, Gaffky se ne va a
Giessen, Loeffler va a Greifswald. Koch trasferisce pertanto
Petri al laboratorio dell’Istituto imperiale. Non rimane, comunque senza allievi (è bravo!): arrivano Carl Fraenkel
(1861-1915) e Richard Pfeiffer (1858-1945). In tutta questa
confusione, Robert è nervosissimo. Fa ancora ricerca? Sì, e
consuma un’enorme quantità di cavie...
Tubercolina
Alla fine del 1889, Robert lavora praticamente in segreto,
nel laboratorio. Nessuno sa che cosa stia combinando. Poi,
l’annuncio. Al decimo congresso internazionale di medicina,
tenutosi a Berlino nell’agosto del 1890, sostiene di aver sco-
53
perto delle sostanze in grado di prevenire la crescita dei bacilli tubercolari in provetta e nel corpo dei viventi. Sostiene
di non aver raggiunto ancora risultati definitivi e di poter
soltanto dire che le cavie trattate non possono in seguito essere inoculate coi bacilli. Quelle già infette, guariscono, anche se la malattia è in fase avanzata [3].
Uno studio sfortunato, quello di Koch. Si è infatti imbattuto nell’immunità cellulomediata, la parte più difficile e
complicata della risposta immunitaria. Behring e Kitasato,
invece (Behring è la pecora nera tra gli allievi di Koch),
s’imbattono nell’immunità umorale, e, sempre nel 1890, pubblicano i loro studi sulle antitossine difterica e tetanica [3].
Avranno anche il Nobel prima di Koch.
Robert sta abbastanza abbottonato, nel corso della sua
relazione berlinese. Crea anzi una cortina impenetrabile di
segretezza attorno a ciò che ha scoperto, non tanto per motivi commerciali, quanto per il giustificatissimo timore dei
ciarlatani, i quali infatti si metteranno subito in moto, specialmente negli Stati Uniti. Koch non capisce, tuttavia, d’aver parlato troppo. Egli è probabilmente il primo medico
della storia a trovare le proprie clamorose scoperte amplificate da una cassa di risonanza mondiale. Oggi sappiamo bene quanto sia pericoloso parlare di medicina in modo sconsiderato alla televisione; per l’esperienza maturata, i nostri
errori d’esternazione sono molto meno giustificati di quelli
di Koch. Tuttavia, Koch sbaglia. È in errore nel credere che
la tubercolina agisca contro i bacilli tubercolari. Il problema
non è questo, tuttavia. Egli si cautela, abbiamo visto: sostiene di avere ancora bisogno di verifiche. L’errore è proprio
questo: se non è ancora sicuro, non deve parlare. Le manifestazioni di tripudio che hanno accompagnato le sue precedenti scoperte dovrebbero fargli capire che, oramai, da lui ci
si aspetta soltanto imprese straordinarie. La tubercolosi è
una malattia terrificante. L’annuncio della possibilità di curarla, specialmente da parte di Robert Koch, è inevitabilmente colto in maniera distorta. Né i medici, né il pubblico
danno peso alle cautele del discorso di Koch: se Koch parla
di cura, significa che la cura c’è.
Un eroe, un idolo, un grande leader, prima o poi corre
questo pericolo: cercare il consenso a tutti i costi. Il consenso, tuttavia, comporta l’impossibilità di commettere errori:
al primo errore, c’è la croce.
Varie circostanze spingono Robert a comportarsi in modo dissennato. La corte imperiale preme affinché lui presenti qualcosa di clamoroso, a Berlino. Egli stesso vuole scoprire un metodo efficace per combattere in modo specifico gli
agenti infettivi da lui scoperti. Sicuramente, non alligna in lui
il desiderio di guadagni. In questo è difeso anche da Virchow,
allorché si diffondono critiche maliziose per il ritardo nella
pubblicazione sulla tubercolina [3]. Penso di non sbagliare
nel sostenere che tutti questi stimoli impropri tolgano a
Robert la capacità critica, spingendolo, alla fine, a vedere
quello che non accade: la guarigione dalla tubercolosi.
Si crea così un circolo vizioso da cui non riesce più ad
uscire. È anzi costretto ad iniziare la sperimentazione uma-
54
Robert Koch (1843-1910): una vita in trincea (contro i microbi, contro Virchow e contro tanti altri) ...
na, col risultato che Berlino diviene la “città della speranza”
e si riempie di malati gravissimi di tubercolosi, con ovvi, agghiaccianti problemi di contagio. Comunque, l’applicazione
clinica della terapia di Koch (inverno 1890-91), fornisce risultati decisamente insoddisfacenti: sono riportati anche alcuni casi di miglioramento dei sintomi, interpretabili come
l’abituale distribuzione del quadro evolutivo della tubercolosi non trattata, purché in una popolazione sufficientemente ampia.
All’inizio del 1891, Robert pubblica finalmente il metodo di preparazione della tubercolina. Evidentemente, nel
proprio intimo è convinto del fiasco e dell’inutilità di mantenere il segreto. Tuttavia, per tutta la vita non ammetterà
l’errore. Ciò, a mio avviso, ricorda molto l’aggressiva perseveranza di Camillo Golgi nel sostenere ad oltranza la propria idea sulla rete nervosa diffusa contro la vincente dottrina del neurone [14]. C’è tuttavia una profonda differenza, fra
Koch e Golgi. La scuola di neuronanatomia di Golgi si esaurisce con lui. I suoi epigoni continuarono a sostenere la rete
nervosa diffusa (se ne parlava ancora negli “anni di piombo”, quando io studiavo anatomia), ma senza produrre significativi contributi. Gli allievi di Koch, invece non si limitano a quest’idea astrusa e molti loro nomi saranno associati a quelli dei microrganismi scoperti.
Dal disastro della tubercolina, oltre ad un prolungato offuscamento della figura di Robert, nascono il nome “tubercolina”, coniato nei primi mesi del 1891, e l’Institut fuer
Infektionskrankheioten, annesso alla Charité. La sua istituzione è richiesta da Koch specificamente per verificare gli
effetti terapeutici della tubercolina. Il motivo di fondo è
però, probabilmente, la volontà di Robert di allontanarsi dall’igiene e di riaccostarsi alla ricerca applicata alla medicina
[3]. Si scatenano, però, i corvi (parole di Robert nella corrispondenza con Trudi [3]). Virchow si oppone al bilancio preventivo della nuova istituzione e allo stipendio di Koch.
Quest’ultimo, evidentemente seccato, decide di rinunziare
all’insegnamento universitario dell’igiene, suggerendo, in
propria vece, Carl Fluegge. Invece, le trame di Virchow portano alla cattedra Max Rubner (1854-1932), un tipo che faceva strani esperimenti per dimostrare la conservazione dell’energia nei fenomeni biologici, a mio avviso, giustamente
dimenticato. Cose che capitano, no?
Andiamo invece a vedere che cosa succede tra i discepoli
di Robert.
Nuove scoperte e… amore
Emil Behring, Shibasaburo Kitasato (1852-1931), Paul
Ehrlich, Richard Pfeiffer, Bernhard Proskauer (1866-1925),
August von Wassermann (1866-1925). Adesso, forse, li
prendereste a lavorare nel vostro laboratorio. Dovete considerare, però, che, quando Koch li scelse, i loro nomi non erano ancora scritti nei libri.
Qui voglio parlare dell’antitossina difterica. Ho già detto che Behring è la “pecora nera” di Koch. Di famiglia povera, ha un virulento desiderio d’affermazione, anche economica, e comprende quanto possa essere redditizio sviluppare una terapia efficace contro qualche grave malattia infettiva. Inizia così la collaborazione con Kitasato, già al lavoro sui clostridi del tetano (da lui scoperti nel 1889) e sulla tossina tetanica. Da tali ricerche nei laboratori di Koch, alla fine del 1890 escono due pubblicazioni fondamentali: prima quella sull’antitossina tetanica (Behring-Kitasato), poi
quella del solo Behring sull’antitossina difterica [3]. Dopo il
ritorno di Kitasato in Giappone, Behring comincia ad occuparsi dell’uso pratico dei sieri e a questo punto entra in attrito con Koch. Forse, quest’ultimo è insoddisfatto nel vedere che Behring si serve di ricerche, il cui merito va prevalentemente allo studioso giapponese. Ciò che irrita Koch è
però soprattutto la commercializzazione dei sieri e l’uso di
finanziamenti dell’industria per le pubblicazioni. Lo sviluppo industriale della produzione dei sieri richiede poi studi
matematici e statistici, che Behring riesce a carpire al molto più dotato Paul Ehrlich [3]. Fra l’altro, Behring non riesce neppure ad utilizzare l’animale giusto per produrre il siero (usa i bovini) ed è clamorosamente battuto da Émile
Roux, in Francia, grazie all’uso del cavallo.
Comunque, per il siero antidifterico, Behring sarà il primo al mondo a ricevere il premio Nobel per la medicina
(1901). Alla faccia di Koch!
Paul Ehrlich, il genio buono di Robert Koch, è un esperto titolatore di antisieri, grazie ai suoi studi sulle fitotossine.
Tale metodo gli consentirà di standardizzare la corretta titolazione della tossina difterica. Questa sua, potremmo dire,
innata precisione, gli consente di gettare le basi per lo studio dell’immunologia, della tossicologia e dell’azione dei
farmaci, secondo criteri moderni e riproducibili. Proprio per
questo, anch’egli avrà il Nobel nel 1908.
Ma torniamo indietro. Nel 1892, i vibrioni del colera
pensano di consolare Robert per il disastro della tubercolina
e non sbagliano indirizzo: arrivano ad Amburgo. Il geniale
Pettenkofer continua a credere nell’origine ambientale, non
batterica, del colera. Sottrae una coltura di vibrioni e se la
beve, insieme con un assistente, che quasi se ne va al
Creatore. Pettenkofer, invece, non ha troppi problemi: forse,
i vibrioni gli crescono nel liquor.
Grazie agli amici vibrioni, Robert dimostra che
Pettenkofer non è un bravo epidemiologo. Mentre ad
Amburgo il colera fa molte vittime, ad Altona, immediatamente a valle, praticamente non c’è.
Ora, ad Amburgo usano acqua dell’Elba raccolta a monte di Amburgo (pettenkoferianamente buona), ma non filtrata. Ad Altona consumano invece l’acqua dell’Elba defluente da Amburgo, quindi, ricca di vibrioni amburghesi.
Prima di berla, però, la filtrano con la sabbia. Qui è il punto, Robert sostiene, altroché i tellurismi pettenkoferiani!
Koch è già da tempo convinto dell’importanza della filtrazione, quantunque non percepisca ancora la criticità della
Robert Koch (1843-1910): una vita in trincea (contro i microbi, contro Virchow e contro tanti altri) ...
clorazione associata alla filtrazione. L’epidemia di
Amburgo gli permette anche d’introdurre la standardizzazione dell’esame batteriologico dell’acqua, accettato anche
dai paesi di lingua inglese [11].
Behring continua a far la pecora nera, tentando di sviluppare un’immunità umorale nella tubercolosi, senza successo e senza parlarne a Koch. Fortunatamente, il povero
Robert è consolato dagli studi più accurati di Pfeiffer, il quale dimostra che nel colera e nel tifo la risposta immune è rivolta contro i batteri, non contro tossine.
L’attività intensa e i rapporti difficili con la moglie
spingono Robert a distrarsi col teatro. Nel 1889 conosce
un’attrice di 17 anni, Hedwig Freiberg. Se ne innamora. E
ne è corrisposto. Possibile, a quasi cinquant’anni? Sì. È
certamente facile spiegare la violenta infatuazione d’una
ragazzina, al cospetto d’un mito vivente, quale è Robert in
questi anni. Qui, però, abbiamo il matrimonio dopo un divorzio (1893), fatto estremamente scandaloso, alla fine
dell’Ottocento. Poi, Hedchen gli sarà (come si diceva allora) perfetta compagna, anche nei faticosissimi viaggi attorno al mondo degli ultimi anni. Contrarrà anche la malaria. Gli rimarrà fedele anche dopo la morte, dedicandosi
a studi sulle religioni dell’estremo oriente (Hedchen muore nel 1945). Un matrimonio felice? Sì e no. Robert non
contraccambia. Lo vediamo dal primo matrimonio. Ama
Emmy (la prima moglie) all’inizio, poi la sfrutta come una
schiava nel periodo delle ricerche casalinghe. Infine, se ne
dimentica. E alla fine, la getta come un paio di scarpe vecchie, dopo aver trovato Hedchen. Negli ultimi anni, penso,
si raffredda anche con Hedchen. Un immorale? No. Penso
che, quando si svolgono certe attività, sia meglio lasciare
in pace le donne (naturalmente, questo vale anche per le
donne-Koch).
Prima dell’addio: Koch viaggiatore, Koch Nobel, Koch
umiliato
La vista dell’Africa, durante i primi studi sul colera, ha irrimediabilmente conquistato la fantasia di Robert. Andare in
Africa alla fine dell’ottocento (per chi ha disponibilità finanziarie, naturalmente), è un piacere. Gli Africani sono
trattati dagli Europei peggio delle bestie. È quindi possibile
circondarsi d’un esercito di servitori remissivi senza troppe
spese e senza correre troppi rischi di trovarsi con la gola tagliata. Se a questo aggiungiamo che gli Europei cercano di
allevare il proprio bestiame nelle splendide praterie africane,
possiamo subito capire come Robert riesca a procurarsi vacanze africane pagate profumatamente. Gli animali d’allevamento europei incontrano infatti una vasta e variopinta popolazione di microrganismi, nei cui confronti sono completamente indifesi.
Tra il 1896 ed il 1898, Robert è invitato in Sudafrica dall’amministrazione britannica, perché la peste bovina, un’en-
55
demia relativamente ben tollerata dell’Africa orientale, ha
organizzato una gita turistica in Sudafrica e ha attraversato
lo Zambesi. È una strage. Robert è accolto trionfalmente a
Città del Capo (tra l’altro, il compenso previsto è lauto). Si
trasferisce poi a lavorare a Kimberley. Non riesce ad isolare
alcun agente infettivo. Si tratta infatti di un virus (se ne avrà
la dimostrazione nel 1902 [3]). In ogni caso, tenta di vaccinare il bestiame, ma senza risultati buoni. È, tuttavia, ugualmente apprezzato dal governo locale. Gli agiografi di Koch
sostennero il successo della vaccinazione. Avrebbero fatto
meglio a non esagerare [3].
La vacanza lavorativa africana di Robert è interrotta dalla peste vera, che scoppia in India, nella primavera del 1897.
La Germania nomina una propria commissione di studio,
nella quale è inserito anche Koch, che parte per l’India direttamente dall’Africa. Il francese Alexandre Yersin (18631943) ha già scoperto il bacillo da qualche anno: non c’è
quindi molto da fare. Poi, in India fa già molto caldo.
Robert, quindi, riparte a luglio per Dar es Salaam (Africa
orientale germanica, fino al 1918): la peste lo aspetta là.
Prima, però, spedisce la moglie, stremata dalle oramai lunghe peregrinazioni, in Egitto.
In Africa, oltre alla peste, incontra anche le malattie protozoarie: malaria, surra e febbre del Texas. Il suo interesse si
orienta soprattutto sulla malaria. Altri hanno già studiato il
ciclo del parassita e le zanzare. Ross avrà il Nobel nel 1902
[15]. Robert vuole soprattutto occuparsi dell’eradicazione.
Per questo, recuperata la moglie in Egitto, si reca con lei nella zona endemica di Grosseto (agosto-ottobre 1898), cercando di cogliere la malattia nella sua fase esplosiva [3]. Dopo,
torna a Berlino.
Grosseto e la Maremma sono un’area di grande interesse per gli studi epidemiologici e Robert vi ritorna nella
primavera del 1899, sempre accompagnato da Hedchen e
da alcuni collaboratori. Nemmeno la Maremma gli basta,
e, in agosto, sempre con la moglie, parte per Napoli. Gita
romantica? Macché! S’imbarcano per Batavia (oggi
Giacarta). Vanno a Bali? No: la Germania aveva splendide
colonie nel Pacifico. Ancora oggi c’è l’arcipelago delle
Bismarck, presso la Nuova Guinea, la cui porzione nordorientale era tedesca. Quest’ultima è la meta di Koch, perché c’è la malaria. Vi rimane fino all’estate del 1900. Il risultato di questi studi è molto importante: Robert si convince infatti del ruolo fondamentale della somministrazione del chinino a scopo profilattico [3]. Prima dell’introduzione dei pesticidi, questo rimarrà l’unico metodo veramente efficace per il contenimento della malaria. Camillo
Golgi lo propaganderà in Italia dopo la nomina a Senatore
del Regno.
Koch festeggia il nuovo secolo con una follia. Ha scoperto che l’agente della tubercolosi bovina è diverso da quello umano. Quando lo annuncia, nel luglio del 1901, aggiunge una notizia che lascia la gente col fiato sospeso: la tubercolosi bovina non si trasmette all’uomo: sarebbe quindi
inutile trattare il latte infetto [1]. A causa del pulpito dal qua-
56
Robert Koch (1843-1910): una vita in trincea (contro i microbi, contro Virchow e contro tanti altri) ...
le viene la predica, la confusione è paurosa e si propaga come una reazione a catena. Dovremo rioccuparcene verso la
fine di questa storia.
Fortunatamente, l’epoca dei buoni frutti non è ancora
finita: Robert si occupa infatti della salmonella del tifo, alla ricerca della ragione per cui questa malattia è endemica
in Europa. Eberth scoprì questi batteri, ma il primo a coltivarli è Georg Gaffky, nei laboratori di Koch (1884) [3].
Nel 1902, i collaboratori di Robert producono terreni di
coltura idonei all’isolamento di questi batteri e a Treviri
(città natale di Marx: curiosamente, gli abitanti non ne vogliono parlare e preferiscono ricordare che lì vicino c’è un
circuito per la formula 1) dimostrano le salmonelle nell’acqua potabile e nelle fogne. Ma questo non è niente! In
un paesino vicino a Treviri, Robert scopre infatti persone
perfettamente sane che eliminano salmonelle: ha scoperto
i portatori!
Robert ha quasi 60 anni. Evidentemente, però, il cervello gli funziona molto bene. Sostiene infatti di aver colto il
problema dei portatori, grazie alle esperienze sulla malaria
in Nuova Guinea. Quest’ultima malattia è infatti trasmessa
dalle zanzare, ma fondamentali rimangono i serbatoi umani
di parassiti, che dovrebbero appunto essere bonificati col
chinino [3].
Ma non è finita. A Natale del 1902 deve andare in
Rhodesia per una nuova epidemia del bestiame: “Rhodesian
red water”. Gli inglesi evidentemente non sono rimasti insoddisfatti dello scarso successo precedente e stanziano senza batter ciglio i pesanti contributi richiesti da Robert, per sé
e per i collaboratori. Anche questa volta le cose non vanno
bene. Rimane in Africa fino al 1904. Scopre anche un protozoo diverso da quello della febbre del Texas e stabilisce
che il vettore è una zecca. Non riesce però a raggiungere lo
scopo della missione: il contenimento della malattia. I contributi sono comunque interessanti, e saranno pubblicati in
Inglese [3].
La permanenza in Africa impedisce a Koch di partecipare alle grandi celebrazioni in Germania per il suo sessantesimo compleanno. È ugualmente contento, però. Ha modo
infatti di godere a suo piacimento delle meraviglie naturali
attorno al lago Vittoria. Da appassionato archeologo dilettante, si appassiona anche ai resti delle antiche civiltà africane [3].
Nell’ottobre del 1904, Koch va in pensione e subito dopo torna in Africa a studiare spirochete e tripanosomi.
Forse, l’Europa lo infastidisce: hanno già assegnato 4
premi Nobel per la medicina [Behring, Ross, Niels Ryberg
Finsen (fototerapia), Pavlov] e a Koch niente! Non sono state belle premiazioni: a Behring non è stato associato Ehrlich,
a Ross non è stato associato Battista Grassi [13], e non parliamo di fototerapia!
Il 1905 potrebbe essere l’anno buono, e invece, a primavera, Fritz Schaudinn (1868-1959), che non ha fatto altro di
significativo nella sua vita, annuncia la scoperta dell’agente
della sifilide. E vogliono subito dare il Nobel a lui!
Robert è pieno di nemici, anche dopo la morte di
Virchow (1902). Poi, lo scandalo della tubercolina lo tiene
ancora appeso alla croce. La motivazione periodicamente
addotta per la mancata assegnazione è che le sue scoperte
non hanno risvolti pratici [3]. La sifilide scatena però l’ira
di Elie Metchnikoff, (1845-1916) scopritore della fagocitosi, il quale, seppure ripetutamente maltrattato da Koch, lo ha
ripetutamente proposto per il premio Nobel. A questo punto, il simpatico russo francesizzato esplode, e sostiene che
Schaudinn può aspettare. Così, il 12 dicembre 1905, Robert
ha il Nobel, e adesso tutti dicono che nessuno è più degno
di lui di un simile riconoscimento.
Nell’aprile del 1906, Robert ritorna sul lago Vittoria, per
organizzare una campagna di studi sulla malattia del sonno,
fino al novembre del 1907. Non partecipa così ai festeggiamenti del 25° anniversario della scoperta del bacillo tubercolare, occasione per creare una fondazione in suo onore,
destinata a raccogliere fondi per la ricerca sulla malattia. In
questo contesto, spiccano i cinquecentomila marchi donati
da Andrew Carnegie, preludio al viaggio in America di
Robert [3], che arriva a New York con la moglie l’8 aprile
1908. Riceve accoglienze trionfali, poi va a visitare i suoi
fratelli nel Middle West. In treno, raggiunge poi San
Francisco, e, con la nave, arriva a Honolulu a maggio. È
stanco morto e si ferma fino al 1 giugno: è tanto contento,
che fa anche il bagno in mare [3]. Riparte quindi per il
Giappone, dove l’aspetta Kitasato.
Presa visione della ricerca in Giappone, inizia a fare il
turista. Dopo, dovrebbe proseguire il viaggio alla volta
dell’India, attraverso la Cina, e invece, gli giunge una richiesta formale, praticamente un ordine, del governo tedesco, di partecipare al convegno internazionale sulla tubercolosi, programmato a Washington per l’autunno [3].
Profondamente a disagio, Robert torna indietro e va a ricevere l’ultimo affronto. Vogliono infatti costringerlo a ritrattare sulla questione della tubercolosi bovina. L’affermazione della necessità del controllo dei bovini e della pasteurizzazione del latte si scontra infatti con l’affermazione
di Koch sull’innocuità per l’uomo dei micobatteri bovini. Il
problema è eminentemente politico-economico: la prima
guerra mondiale è oramai in atto a livello economico e tutti sono già contro la Germania. In questo caso, però, l’attacco grava interamente su Robert Koch, che è isolato e
messo in condizione di non nuocere da buona parte degli
scienziati di tutto il mondo. Certamente, Koch ha torto.
Tuttavia, l’azione intrapresa può quasi essere confrontata
col processo a Galileo [3]. Già allora si pensava che, nonostante la sua indubbia influenza sulla comunità scientifica
internazionale, non fosse necessario seppellirlo vivo, come
invece avvenne.
Dopo il congresso, Robert torna a Berlino, e riprende subito a studiare la tubercolosi. Ma è finita. I microrganismi
che ha studiato per tanto tempo, l’hanno risparmiato. Non
così i microbi umani. Oramai è un’ombra e muore d’infarto
a Baden Baden il 27 maggio 1910.
Robert Koch (1843-1910): una vita in trincea (contro i microbi, contro Virchow e contro tanti altri) ...
Bibliografia
1. Koch R (2001) 100 Years Ago (25-7-1901) The real nature of
tuberculosis. Nature 412:394
2. Mangold T, Goldberg J (1999) Plague Wars. A True Story Of
Biological Warfare. Macmillan, Londra
3. Brock TD (1988) Robert Koch. A life in medicine and bacteriology. Springer, Berlino
4. Scarani P (1998) Un genio coraggioso (un eroe, potremmo dire): Rudolf Virchow (1821-1902). Pathologica 90:186-192
5. Scarani P (1999) 1848-1849: grandi eventi ignorati, dieci anni prima della nascita della scuola bolognese. Pathologica
91:209-213
6. Guillemin J (1999) Anthrax. The investigation of a deadly
outbreak. University of California Press, Berkeley
7. Harris SH (1994) Factories of death. Japanese biological warfare, 1932-1945, and the American cover-up. Routledge,
Londra
57
8. Scarani P (2001) Riflessi goethiani sui problemi della scienza contemporanea. Pathologica 93:71-73
9. Koch R (1876) Die Aetiologie der Milzbrand-Krankheit, begruendet auf die Entwicklungsgeschichte des Bacillus anthracis. Beitraege zur Biologie der Pflanzen 2:277-310
10. Koch R (1877) Verfahren zur Untersuchung, zum
Conservieren und Photographiren der Bakterien. Beitraege
zur Biologie der Pflanzen 2:399-434
11. Koch Robert (1882) Ueber die Aetiologie der Tuberculose.
Berliner klinische Wochenschrift 19:221-230
12. Hamlin C (1990) A science of impurity. Water analysis. In:
Nineteenth Century Britain. Adam Hilger, Bristol
13. Koch R (1885) Conferenz zur Eroerterung der Cholerafrage.
Berliner klinische Wochenschrift 37a:1-78
14. Scarani P (1997) Appunti su Camillo Golgi, il patologo che
trovò la chiave d’accesso al neurone. Pathologica 89:351-357
15. Mazzarello P (1998) L’avventura scientifica di Battista Grassi
e la scoperta dell’Anopheles della malaria. Pathologica
90:425-437