il mistero del figlio: generazione di dio, destinazione dell`uomo

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il mistero del figlio: generazione di dio, destinazione dell`uomo
IL MISTERO DEL FIGLIO: GENERAZIONE DI DIO,
DESTINAZIONE DELL’UOMO
Prof. Alberto COZZI
contributo ha la forma di un sonQuesto
daggio che indaga in vari settori della teo-
tosto se la lasciamo essere, nell’affidamento a
una promessa che non tradisce.
logia l’emergenza del tema della generazione,
intesa come relazione qualificata con l’origine, e il suo nesso col mistero filiale in Cristo e
in noi, per rilevarne dimensioni e logica di
funzionamento. Sono stati individuati tre ambiti stimolanti.
1.2. La generazione del Figlio costituisce peraltro il centro del vangelo, che coglie la continuità dell’azione di Dio dall’origine al compimento in Cristo. Il centro e culmine
dell’azione salvifica e rivelatrice di Dio fin
«dall’origine» rimanda alla confessione kerigmatica del «Padre che genera il Figlio nel
mondo a nostro vantaggio, risuscitandolo da
morte per la potenza dello Spirito Santo»2.
Questa certezza fondamentale della fede getta
una luce nuova sul senso dell’agire storico di
Dio e sul destino finale dell’uomo: nella fine,
anticipata in Cristo, si coglie tutta la fecondità
dell’origine e il senso dell’«essere generati»
nel Figlio.
1. Ritorno al centro della fede: generazione
(pasquale) del Figlio e nascita dell’umanità
nuova
In questo primo ambito il tema della generazione propizia il recupero della «differenza
cristiana» e quindi la riscoperta di ciò che c’è
in gioco di qualificante nel vangelo del Figlio,
ovvero il mistero «senza fondo» dell’umanità
dell’uomo, donato/consegnato a se stesso dall’amore del Padre.
1.3. Su questo sfondo, la fede deve assumere
la forma di un ascolto totale: si tratta di lasciarsi generare ad un’umanità nuova in quel
luogo primordiale, inaugurale e originario in
cui l’uomo è consegnato a se stesso. In questa
prospettiva la fede offre ancora oggi la grande
sfida di un’esperienza di «nascita dell’umanità dell’uomo», coincidente con la «nascita di
Dio»3.
1.1. La differenza cristiana. La «generazione
pasquale di Cristo come Figlio e il rimando
alla verità del Padre» costituiscono quel centro dell’esperienza credente che ripropone in
ogni stagione la questione dell’oggetto formale della fede, contro ogni forma di «riduzione
gnostica»1: «Quanto è all’origine e al cuore di
tutte le cose è stato svelato: il Padre, che da
tutta l’eternità, ci circonda dell’amore con cui
ama il suo unico Figlio. Ed è proprio di questo che a loro volta devono rendere testimonianza nel mondo». Il mistero del Figlio in
noi custodisce la profondità inviolabile del
nostro essere, ciò per cui siamo mistero a noi
stessi. Non «diventiamo uomini» nella misura
in cui possediamo la nostra origine, ma piut-
2. L’incarnazione tra generazione eterna e
opera interiore della grazia: spunti per una
conoscenza affettiva di Dio
Il nesso tra generazione del Figlio e rinascita
dell’uomo ha una prima grande elaborazione
nell’idea sacramentale, mistica e ascetica della «nascita di Cristo» nel credente. Si tratta di
2
F.X. DURRWELL, Il Padre. Dio nel suo mistero, Città
Nuova, Roma 1995.
3
Per questa parte si veda la riflessione di M. BELLET, Il
pensiero che ascolta. Come uscire dalla crisi, Figlie di
San Palo, Milano 2006; ID., Naissance de Dieu. Proposition du possibile, Desclée de Brouwer, Vienne 1975;
ID., Au Christ inconnu, Desclée de Brouwer, Paris
1976; ID., Christ (coll. Jésus et Jésus Christ 42),
Desclée, Paris 1990.
1
Questa parte rimanda all’originale diagnosi della teologia e della cultura nella storia del cristianesimo proposta da J.M. LE GUILLOU, Il mistero del Padre, Jaca
Book, Milano 1975 (or. franc. del 1973). Una recente
esecuzione della medesima intuizione si trova in E.
DURAND, Le Père alpha et oméga de la vie trinitarie,
Cerf, Paris 2008.
1
cepisce come auto-affezione nel dinamismo
immanente della vita che si comunica, partecipandosi, auto-generandosi nel Figlio.
un modo di pensare la «grazia» come nuovo
legame con l’origine, nel quale ci viene comunicata una vita che assimila al Figlio fino a
«lasciarlo generare in noi».
2.3. Suggestioni blondelliane: l’azione che si
appropria di tutto ciò che ci viene donato è
quella che genera Dio nella nostra umanità6:
«Tutti noi dobbiamo partorire, generando Dio
in noi, theotòkoi. E quasi che bisognasse essere Dio per essere pienamente uomo, l’uomo
nonostante la sua incomprensibile debolezza è
tale da avere in se stesso quanto basta perché
nessun altro essere possa essere più grande. Il
dono che l’azione religiosa gli arreca si incorpora alla sua sostanza in maniera così stretta,
che la natura umana diventa capace di produrre e di creare in qualche modo colui dal quale
dipende in tutto e per tutto. Come se, al tempo
stesso, il donatore volesse dipendere in tutto
dal destinatario del dono, e come se l’uomo,
chiamato a dare finalmente soddisfazione
all’eccesso infinito del suo volere, diventasse,
secondo un’espressione di san Tommaso, «il
Dio del suo Dio». In questo modo, a poco a
poco, si rivela l’ambizione totale della volontà, la quale cercava se stessa senza dapprima
conoscersi interamente. Per questo all’azione
soltanto è attribuito il potere di manifestare
l’amore e di conquistare Dio».
2.1. La generazione del Figlio in noi: la nascita di Cristo dal cuore della Chiesa e dei credenti4. Si tratta di un tema chiave
dell’esperienza spirituale cristiana, che ha dimensioni dottrinali, mistiche e ascetiche notevoli nella tradizione, da Ireneo e Ippolito, attraverso la teologia greca e nel Medioevo fino
a Eckhart. È nota la domanda di Origene:
«Che giova a me se Cristo è nato dalla Vergine santa, ma non nel mio intimo?» (In Ieremiam 9,1).
2.2. La conoscenza affettiva di Dio nell’esperienza dell’essere generati a immagine del Figlio: suggestioni di Eckhart e una rilettura di
M. Henry5. (a) La differenza-unità Dio-uomo
va misurata in termini di generazione filiale e
non unicamente in termini di rapporto essereente o creatore-creatura. L’uomo si conosce
nella sua verità, nell’anima non-creata ma generata dal Padre nel Figlio, proprio lasciandosi generare da Dio. L’uomo si conosce nel
Verbo che non è un’immagine che viene
dall’esterno, dal mondo creato, ma dal suo
fondo, esattamente là dove Dio lo genera costantemente come Figlio. (b) Si può comprendere, alla luce di questa intuizione sul conascere come Figlio da Dio Padre nel Verbo,
l’interpretazione recente che M. Henry ha offerto della lezione eckhartiana: «Col cristianesimo spunta l’intuizione inaudita di un altro
Logos – un Logos che è appunto una rivelazione: non più però la visibilità del mondo,
ma l’auto-rivelazione della vita» (Parole di
Cristo, 116). Ne deriva che l’uomo non si può
ricevere dal mondo, da un’esteriorità mondana che realizza dinamiche di rappresentazione
e proiezione all’esterno di sé. L’uomo si per-
3. La generazione del Figlio nel compimento
trinitario della nuzialità: l’analogia trinitatis della famiglia nel «sillage» di H.U. von
Balthasar
Quest’ultimo sondaggio sposta la considerazione della generazione del Figlio nell’ambito
dell’analogia interpersonale o familiare. In tal
senso sembrerebbe recuperare meglio l’idea
di nuzialità/fecondità e della comunicazione
della vita (divina e filiale) in regime di comunione. In realtà il termine mediatore dell’analogia tra la fecondità della vita trinitaria e
l’esperienza della nascita del figlio rimanda
piuttosto alla questione dell’essere e precisamente al senso della differenza ontologica,
4
Lo studio migliore del tema rimane quello di H. RAHSimboli della Chiesa. L’ecclesiologia dei Padri,
Edizioni San Paolo, Cinisello B. 1995, 13-143: si tratta
del saggio, scritto nel 1935.
5
Ci lasciamo guidare dal suggestivo lavoro di M.
STATZU, Mistica dell’incarnazione. Per una conoscenza affettiva di Dio tra generazione eterna e opera interiore della grazia, Glossa, Milano 2010.
NER,
6
Questa parte riprende alcune riflessioni tratte dalla
parte finale dell’«Action»: M. BLONDEL, L’azione.
Saggio di una critica della vita e di una scienza della
prassi, nuova versione e commento a cura di S. SORRENTINO, Edizioni Paoline, Cinisello B. 1993, 511-531.
2
nella linea dell’intuizione di G. Siewert7. È
sintomatico il fatto che la «metafisica dell’infanzia» qui proposta ovvero l’analisi del
bambino quale «simbolo dell’origine», rilegge
l’esperienza infantile come luogo strategico
per la percezione dell’autentica esperienza
dell’essere, nella sua pienezza e nella sua logica di appropriazione8. La relazione uomodonna e la generazione vengono messe a tema
nella misura in cui realizzano quella «trasparenza ontologica» di questo dinamismo, nella
quale si rispecchia il dinamismo della vita trinitaria. Così l’essere, inteso come atto comunicato gratuitamente, si conferma «Gleichnis
Gottes», immagine o riflesso di Dio nel creato.
(b) La soglia: il senso della differenza ontologica. La centralità del problema della differenza Dio/uomo trova nel cristianesimo un
capovolgimento strategico: non è possibile
porsi la domanda sul senso e il fine dell’esistenza, se non verificandone il fondamento.
L’accesso al fondamento in sé sussistente della realtà non sussistente inerisce al dinamismo
libero dell’autocoscienza, la quale nella polarità di essere-per-sé ed essere-per-un-altro rimanda allo spirito assoluto autocoscienze e
libero (che si possiede nel dono di sé all’altro,
differente nell’unità).
3.2. Una sosta sulla soglia: la trasparenza
ontologica dell’uomo come bambino (di F.
Ulrich). Raccogliamo alcuni semplici spunti
da un poderoso pensiero metafisico, concentrandoci sull’uomo come inizio10.
3.1. Il luogo della ricerca: la questione ontologica sulla soglia (pronao) tra fenomenologia
del senso (atrio) e fede cristiana trinitaria/cristologica (duomo). Una rilettura di
«Epilog»: per orientarsi9.
(a) Il presupposto ontologico: se l’essere è
qualcosa di «semplice e completo ma non
sussistente», che sussiste nel singolo ente
concreto proprio mentre questo lo determina
secondo una certa essenza, ricevendolo, ne
deriva che la realtà è avvenimento singolare
che vive di un atto d’essere che riceve (ma
non possiede totalmente) e che attivamente
determina per avere la sua consistenza
nell’esistenza. L’unità dei due elementi,
l’essere e l’ente, non è data a partire da un logos disponibile, in base al quale dedurre il
passaggio dall’essere all’ente. Il passaggio
dall’essere all’ente ha piuttosto la forma di un
dono. Il suo simbolo meglio riuscito è il bambino.
(a) Il pronao: una fenomenologia delle religioni. Va raccolto dall’uomo religioso
l’interrogativo sull’essere e in particolare sulla distanza tra l’Assoluto divino e il finito. Ma
proprio qui emerge la novità della buona notizia cristiana: la differenza tra Dio e l’uomo
non è annullata, ma rivendicata proprio dal
fatto che «Dio è in se stesso dedizione e fecondità, e quindi all’interno della sua unità
vuole fare spazio all’altro, e questo positivamente Altro giustifica l’alterità della creatura
rispetto a Dio e che l’Altro in Dio, senza eliminare la differenza Dio-creatura, può essere
quest’altro anche nella creatura» (Epilogo,
111).
(b) Le due relazioni costitutive dell’uomo come figlio: uomo-donna come padre-madre e il
bambino. Per non risolvere il bambino in un
vuoto da riempire di nozioni e valori perché
divenga adulto o peggio in una pienezza di fe-
7
Su questo basti il rimando a M. CABALA CASTRO,
L’être et Dieu chez Gustav Siewerth, Peeters, LouvainParis 1997; E. TURPE, Siewerth après Siewerth. Le lien
idéal de m’amour dans le thomisme spéculatif de Gustav Siewerth et la visée d’un réalisme transcendental,
Peeters, Luovain-Paris 1998.
8
G. SIEWERTH, Aux sources de l’amour. Métaphysique
de l’enefance, Parole et Silence, Langres 2001 (or. ted.
1957).
9
Spunti interessanti si trovano in N. REALI, La ragione
e la forma. Il sacramento nella teologia di H.U. von
Balthasar, Mursia-PUL, Roma 1999, 13-69.
10
Si veda F. ULRICH, Der Mensch als Anfang. Zur philosophischen Anthropologie der Kindheit, Johannes
Verlag, Einsiedeln 1970. Le intuizioni raccolte da questo denso testo sono una piccola porta di accesso alla
poderosa riflessione elaborata in ID., Homo Abyssus.
Das Wagnis der Seinsfrage, Johanness Verlag, Freiburg 1998 (opera del 1961); si veda anche ID., Leben in
der Einheit von Leben und Tod, Johannes Verlag, Freiburg 1999.
3
del fondamento della realtà: Dio Trinità. Tutto
ciò avviene nel «corpo di Cristo», che diventa
sacramento della «vera fecondità» (Epilogo,
157-160). Anche sul corpo di Cristo restano
scritte le due relazioni costitutive del generare
un figlio: la relazione nuziale (differenza
nell’unità del dono di sé che apre al terzo) e il
rapporto bambino/madre (dono e libertà, comunione e distinzione). Ne viene proposta
una rilettura cristologica, perché il corpo di
Cristo è il luogo in cui l’infinito divino incontra il tempo, l’assoluto il finito, non in una
giustapposizione o in una dissoluzione, ma in
una compenetrazione che ha la forma della
generazione.
licità che poi si perde per la necessità di crescere, occorre mantenere l’unità singolare di
ricchezza e povertà che caratterizza la vita.
Ma il bambino è un’unità di ricchezza e povertà, pienezza e bisogno, proprio per la sua
relazione coi genitori, dai quali si riceve pienamente e in relazione ai quali si afferma. Il
bambino può realizzare quell’unità polare in
modo costruttivo solo se è frutto di un dono
dell’uomo (principio attivo) alla donna (principio potenziale) e viceversa.
(c) La logica del funzionamento. Da quanto
detto si ricava la verità dell’essere come amore, ciò per cui l’infanzia è simbolo dell’essere
all’origine: mistero di una ricchezza che si fa
povera e di una potenzialità/povertà che diventa ricca (coniugalità feconda di uomo e
donna), possesso di sé che si svuota nel dono
all’altro per diventare ricco nell’altro e con
l’altro in un frutto che è «più» di ciò che è
donato e apre a uno spazio ulteriore (fecondità). Il frutto di questo dono, che unisce ricchezza e povertà nella relazione, è a sua volta
una realtà totalmente dipendente dalle condizioni poste eppure qualcosa di autonomo, singolare, consistente al di là delle condizioni
poste.
3.4. Il compimento della nuzialità e la fecondità: genere e generazione in prospettiva trinitaria12. Le più recenti proposte di teologia
sponsale o nuziale alla luce della Trinità recuperano il valore della famiglia quale icona
della Trinità attraverso il compimento storicosalvifico della nuzialità tra Dio e uomo, uomo
e donna nella nuzialità escatologica di Cristo
e della Chiesa13. L’analogia tra famiglia e
Trinità si fonda sul compimento in Cristo della relazione nuziale, voluta da Dio all’origine,
ferita dalla colpa e inserita nel dramma della
salvezza e risanata-elevata da Cristo in rapporto alla Chiesa. Tale relazione nuziale (o
sponsale) si inscrive nel dinamismo storicosalvifico e nella tensione tra dono naturale
(Adamo/Eva), sua attuazione redentivo-soprannaturale (Cristo/Chiesa), apertura al compimento nelle nozze escatologiche (Gerusalemme celeste/Agnello). La famiglia è dunque, per la mediazione della nuzialità realizzata in Cristo e nella Chiesa, sacramento
dell'amore trinitario. Ne deriva il nesso tra
famiglia e Trinità.
3.3. La fecondità dell’avvenimento cristologico e il compimento della vera nuzialità di
uomo e donna11. Siamo rimasti con Balthasar
sulla soglia che ci offriva indicazioni sulle
modalità con le quali l’uomo si rapporta al
fondamento trascendente della sua libertà. La
polarità tra esser-per-sé ed essere-per-altro,
che segna in modo drammatico la condizione
umana, legando la realizzazione dell’uomo alla reciproca apertura delle libertà, trova
nell’evento cristologico il luogo in cui è attestato definitivamente il compimento, poiché a
caratterizzare la natura delle persone divine è
proprio la totale e incondizionata dedizione
libera all’altro da sé. L’azione di Cristo diventa l’evento insuperabile della manifestazione
12
A. SCOLA, Il mistero nuziale 2: matrimonio-famiglia,
PUL-Mursia, Roma 2000; M. OUELLET, Divina somiglianza. Antropologia trinitaria della famiglia, Lateran
University Press, Roma 2004; C. ROCCHETTA, Teologia della famiglia. Fondamenti e prospettive, EDB,
Bologna 2011; K. HEMMERLE, Matrimonio e famiglia
in un’antropologia trinitaria, «Nuova Umanità» 6
(1984) 3-31; G. MAZZANTI, Teologia sponsale e sacramento delle nozze. Simbolo e simbolismo nuziale,
EDB, Bologna 2001.
13
Si veda G. MAZZANTI, Teologia sponsale e sacramento delle nozze.
11
Per orientarci su questo tema centrale nella vastissima riflessione balthasariana rimandiamo a M. SERRETTI, Il mistero della eterna generazione del figlio, Mursia-PUL, Roma 1998; R. CARELLI, L’uomo e la donna
nella teologia di H.U. von Balthasar, Eupress FTL,
Lugano 2007.
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