Le donne irpine
Transcript
Le donne irpine
VIII Domenica 10 ottobre 2010 «Le ragazze dovevano imparare a zappare, mietere, cucinare, stirare, cucire, rassettare casa, accudire i figli» o Otto Cultura, personaggi e miti dell’Irpinia dialetti e tradizioni «La saggezza popolare dice: “S’ sapess’ la zita quand’ sap’ la mar’tata, lu munn’ fuss’ ciumb’ e cicat’”» trapassato presente a condizione femminile, nella so cietà rurale irpina no n era sicuramente facile. Le do nne si trovavano a dover affrontare disc riminazio ni e so prusi cui spesso non potevano sottrarsi. Esse erano considerate sciocche, “inferiori” e succubi dell’uomo; Un antic o d e tto d ic e va “ la fe mm’ na, mezza femm’na eia chiamata, s’ nun eia scalitrita, né eia mezza e né eia mica” la donna mezza donna è definita, se non è scaltra e svelta non è nemmeno la metà, è zero. La loro vita si svolgeva fra le mura di casa, i campi e la chiesa. Non era loro p e rme s s o né d i us c ire s e nza e s s e re accompagnate dall’uomo anche a messa, né di c o ntraddire qualsiasi po sizio ne o idea del marito o del padre. Considerate un peso per la famiglia, la lo ro nasc ita non era accompagnata da festeggiamenti partic o lari, “quann’ nasc ’ na femm’ na, c hiang’ n’ li matun’ r’ la c asa” q uando nasce una donna piangono anche i mattoni della c asa e spesso venivano date in marito il prima possibile, in modo da non dover pesare troppo sulla povera economia domestica. La loro educazione scolastica, fino a che no n è stata resa o bbligato ria, era tralasc iata a favo re di un’educ azio ne prettamente “c asalinga”: le ragazze do vevano imparare a zappare, mietere, c uc inare, stirare, cucire, rassettare casa, accudire i figli. Fra i vari detti che sottolineano queste prio rità, ric o rdiamo “sc o pa la c asa nun sai chi tras’. Fatt’ lu liett’ nun sai chi aspiett’” (pulisci casa perché non sai chi può farti visita. Rifai il letto perché no n sai chi può venire all’improvviso). Le ragazze arrivavano impreparate all’ado lesc enza e al matrimo nio , perc hé in famiglia non si parlava affatto di sessualità. Esse si preoccupavano e si sorprendevano quando si ritrovavano a dover far fro nte ai primi cicli mestruali gli veniva detto “s’eia rotta la cozz’ca” si è rotta la crosta, così come le bambine non capivano da dove potessero arrivare quei grossi teli di sto ffa intrisi di sangue c he, puntualmente, o gni mese, le lo ro mamme lavavano quasi di nascosto e se scoperte dic evano ho ammazzato il c o niglio o il pollo. Inoltre se non diventavano signorine entro il dic io ttesimo anno di età gli veniva detto “nù z’ femm’na r’ munn’ t’eia fa mo nac a” no n sei do nna di mo ndo ti devi fare mo nac a Allo stesso mo do , il parto sc o nvo lgeva le gio vani puerpere, fino a quel momento convinte che i bambini si tro vassero so tto la mangiato ia o che nascessero dal ginocchio! La vita delle do nne era resa anc o ra più difficile dalle continue tensioni sociali cui dovevano far fronte. Non esisteva, infatti, una “solidarietà di genere”, per cui, oltre a dover sottostare ai voleri degli uomini, esse dovevano scontrarsi continuamente anc he fra di lo ro : per po ter spo sare un buo n partito , per po ter fro nteggiare le pretese della suo c era, per po ter essere c o nsiderate più virtuo se rispetto alle donne di altri paesi. Una ragazza riceveva facilmente l’approvazione sociale se era timida, sottomessa, con pochi grilli per la testa, se pensava al bene della famiglia, se vestiva in mo d o d imesso , se sap eva c uc inare e tenere la c asa o rdinata. Bastava disc o starsi anche solo leggermente da queste aspettative e la so c ietà la bo llava c o me «Anche i continui contrasti con la suocera vengono sintetizzati in frasi semplici ma d’effetto: “Nor’ma r’ stat’ e figl’ma r’ viern’ (mia nuora d’estate e mia figlia d’inverno) sta a significare che la suocera si augurava che la nuora partorisse d’estate quando lei era impegnata nei lavori in campagna, mentre per la figlia si augurava che partorisse d’inverno, quando, avendo meno lavori da fare poteva accudirla» le donne irpine «Le donne erano considerate sciocche, “inferiori” e succubi dell’uomo, Un antico detto diceva “la femm’na, mezza femm’na eia chiamata, s’ nun eia scalitrita, né eia mezza e né eia mica” la donna mezza donna è definita, se non è scaltra e svelta non è nemmeno la metà, è zero. La loro vita si svolgeva fra le mura di casa, i campi e la chiesa. Non era loro permesso né di uscire senza essere accompagnate dall’uomo anche a messa, né di contraddire qualsiasi posizione o idea del marito o del padre. Considerate un peso per la famiglia, la loro nascita non era accompagnata da festeggiamenti particolari, “quann’ nasc’ na femm’na, chiang’n’ li matun’ r’ la casa” quando nasce una donna piangono anche i mattoni della casa» o di MARIANGELA CIORIA E TERESA LAVANGA una “poco di buono”. Riscattarsi da questa cattiva nomea era quindi difficile, e anche trovare marito diventava quasi impossibile. Il detto “brutta so ngh’ e c ara m’ tengh’ , po zza ess’ accis’ chi m’ tr’mend’” (anche se sono brutta mi preservo, possa morire chi mi guarda) sta a simboleggiare proprio questa eccessiva attenzione alle apparenze, a q uanto “ dic eva la gente” . Infatti, anche se le do nne co nducevano una vita prettamente casalinga, l’opinione pubblica era tenuta in massima considerazione. Se l’uomo di casa, padre o marito che fosse, sentiva dic erie sulla pro pria do nna era quasi obbligato a picchiarla, a rinchiuderla in c asa per lunghi perio di, ad impedirle qualsiasi c o ntatto c o n l’ esterno usando espressioni forti come:”taggia accir’ cum a la serpa” ti devo ammazzare c o me si fa con i serpenti picchiando in testa. Prima di spo sarsi, le ragazze do vevano quindi fro nteggiarsi c o n altre c o etanee o c o n do nne pro venienti da altri paesi. I detti c he rac c hiudo no in po c he battute questa situazione erano tanti: “Chi ten' fac- cia s' marita e chi no resta zita” (chi ha la fac c ia to sta si spo sa e c hi no rimane zitella), “Chi eija ciumb’ r’ man’ e d’ pier’ vai a Carif’ e trova muglier’” (chi ha problemi fisic i va a Carife e tro va mo glie), “R’ Vallatar’ songh’ tutt’ coss’ tort’, macc atur’ a c h’ lo r’ d’ mo rt' c a s’ vuo nn’ mar’tà” (le donne di Vallata hanno tutte le gambe storte e fazzoletti neri, perché vogliono sposarsi), “Femm’n’ r’ Cannela s o ngh’ s c io c c h’ e s o ngh’ f’ d e l’ s ’ s ’ vuonn’ mar’tà mangh’ la cap’ s’ sann’ fa” (le do nne di Candela so no scio cche ma sono fedeli, ma se vogliono sposarsi non sanno nemmeno pettinarsi), “R’ femm’n’ r’ Mund’lio n’ vann’ a lavà senza sap o n’ s’ mitt’ n’ n’ go p p a a na preta zecula annanz’ e zecula addret’” (le do nne di Mo nteleo ne vanno a lavare senza sapone si mettono sopra una pietra e strofinano avanti e indietro). Dopo essersi sposate, le ragazze andavano a vivere nella c asa della suo c era, do ve o gni gio rno do vevano far fro nte a gelo sie e dispetti. Esse infatti venivano c o nsid erate semp re “ sang’ aggiunt’ ” a Trevico L’associazione culturale Irpinia Mia L’Associazione Irpinia Mia nasce nel 2008 a Trevico come ente con scopo culturale, che persegue esclusivamente finalità di utilità sociale, senza fini di lucro, neppure indiretto, né di tipo economico, politico o sindacale. L'associazione ha per oggetto lo svolgimento di attività nei seguenti settori: - la valorizzazione e la promozione della cultura, della storia e delle tradizioni locali, riferite in spec ie al territo rio del Comune di Trevico e, più in generale della Baronia e dell’Irpinia; - la valorizzazione e la promozione delle peculiarità socio-culturali e gastronomiche locali; - la promozione dell'istruzione, con riferimento alle attività di cui innanzi; - la tutela, la promozione e la valorizzazione dei beni di interesse storico, artistico e culturale, con particolare - ma non esclusivo - riferimento al territorio di Trevico; - la tutela e la valorizzazione della natura e dell'ambiente; - la rievocazione delle tradizioni del passato appartenenti alla c o munità della Baronia per offrire anche alle nuove generazioni la conoscenza degli usi e delle consuetudini di allo ra, anc o ra vive nella memoria degli anziani; e si avvale principalmente dell'opera personale, volontaria, spontanea, libera e gratuita dei propri associati. (sangue aggiunto) e mai persone di famiglia. La saggezza po po lare infatti dic e: “s’ sapess’ la zita quand’ sap’ la mar’tata, lu munn’ fuss’ ciumb’ e cicat’” (se la nubile sapesse c iò c he sa la spo sata il mo ndo sarebbe monco e cieco). Anche i continui contrasti con la suocera vengono sintetizzati in frasi semplici ma d’ effetto : “No r’ ma r’ stat’ e figl’ ma r’ viern’ ( mia nuo ra d’ estate e mia figlia d’inverno) sta a significare che la suocera si augurava c he la nuo ra parto risse d’ estate quando lei era impegnata nei lavori in campagna, mentre per la figlia si augurava che partorisse d’inverno, quando , avendo meno lavo ri da fare po teva accudirla. “Ije vengh’ ca s’ figliata, tu vien’ quann’ stongh’ malata” (io ti accudisco quando tu partorisci, tu mi accudisci quando io so no malata) , era la prima c o sa c he le giovani madri si sentivano dire quando, dopo ore di travaglio, si ritrovavano sole a c asa c o n la suo c era. Questa diffic ile c o nvivenza fac eva sì c he le ragazze si sentissero sempre fuo ri po sto anc he in quella che, dopo il matrimonio era diventata la loro nuova casa e dicevano sovente “p’c asa mia so ngh’ na rigina p’ c asa toija nu stracc’ ra cucina” (a casa di mia madre so no una regina, a c asa tua uno straccio da cucina). Nei non rari litigi, le nuore si riscattavano urland o a mariti e s uo c e re “ la Maro nna la so gra nu la vulije mangh’ r’ zucch’r’” (la Madonna la suocera non la volle nemmeno di zucchero), rischiando di prendere q ualc he sc apac c io ne, ma finalmente liberandosi di qualche sassolino nella scarpa!