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TRADUZIONE
O padre, che Dio, ingenerato e imperituro, ha dato qui a me dio generato e perituro,
per concedere agli uomini il premio e la gloria; come, infatti, genitore di tutte le
cose e supremo pastore è Cristo Signore, (5) che volge il mondo secondo i suoi
grandi disegni, così anche per i propri figli il padre è dio. Ma presta ascolto al mio
ottimo discorso con sante viscere di misericordia: anche questo è proprio del
grande Dio. Egli non disprezza l’uomo per il quale è morto, che ha fatto risorgere
insieme a Lui e per il quale tornerà di nuovo qual Dio, (10) tornerà negli ultimi
giorni a giudicare tutti. Perché mai tanto gravasti il tuo dente sui tuoi figli? Com’è
che la vendetta che si compiace del male s’abbatté sulla tua casa? E quale Erinni
scellerata scosse tanta felicità? Certamente sei nato da genitori nobili d’animo e
(15) non sei certo persona dappoco tra i mortali, perché sei carissimo a Dio che ama
coloro che lo amano e odia i malvagi: questa era anticamente la legge di Dio. Ma mi
meraviglio di come tu abbia subito afflizioni simili a coloro che hanno in odio Dio,
colpito dalle tue stesse ferite, come si suol dire. (20) L’ordine naturale della vita ha
escogitato per altri uomini afflizioni inaspettate, di qua e di là facendo roteare la
stirpe mortale. E nessuno sa dove si arresterà l’onda grande dell’ondivaga
esistenza, o quale porto accoglierà la mia nera nave. Uno lo uccide il mare infinito,
un altro riversa vivo sulla terraferma, (25) senza veste né abito, misero vagabondo
chi prima era molto ricco: ciò che portava è nascosto nell’acqua salata. Un altro nel
combattimento lo uccide la pugna, o lo consegna prigioniero nelle mani omicide di
chi lo cattura; un altro ancora i re lo privano dei beni che possedeva, (30) poiché
sono capaci di rendere e povero e ricco un uomo nello stesso giorno; ed uno crudeli
briganti e un altro dei ladri con malvagia azione di giorno e con tenebrose insidie.
Ed altri ancora li lacera un morbo che divora le membra. Invece a te Dio ha
accordato la serena assenza di tutte le cose che ho enumerato, (35) e possa
accordartela con occhi benevoli, custodendo tutto ciò che è dentro e tutto ciò che è
fuori: dove c’è una sventura, Egli dona forza. Ma una sola cosa, questa, non ti ha
concesso, di proteggere i tuoi figli come se custodissi la pupilla sotto le rotonde
palpebre, (40) perché nessuno solcando la rotta della vita potesse così dire: “Io solo
sfuggii alla perfidia dell’esistenza e ai suoi affanni”. E tu dei Samii un tempo
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signore, Policrate, cosa escogitasti? Temendo il corso incontrollabile della fortuna
hai gettato in mare l’anello che ti piaceva, perché tu compiacessi l’invidia, (45) e lo
recuperasti, ma non riuscisti ad evitare il tuo destino. Ma l’invidia non ha nessun
riscatto da parte nostra. Nessuno stupore se essa ha recato un po’ di caligine alla
nostra casa. Ed è veramente caligine o tenebra questa che sta in mezzo tra i figli e
l’ottimo padre. (50) Quale cantore esperto di lamenti intonerebbe un canto di
dolore su tali vicende? Com' è che con il nostro patire abbiamo offerto agli antichi
materia di racconto? Un tempo ci fu chi si innamorò della sua immagine e si gettò
in una fonte: lo specchio del suo bell'aspetto lo uccise. Nessuno mai odiò la propria
carne. E sono venuto a sapere che (55) una madre uccise il proprio figlio nella sua
follia: uccise ciò che guardava come se fosse una fiera; e quando se ne accorse,
pianse non una fiera, ma il figlio colpito dalle sue mani. E una madre conficcò la
spada nel corpo dei suoi figli, poiché aveva in odio il letto e la passione del padre.
(60) E, sul monte, delle cagne veloci sbranarono, anziché un’agile cerva, un
cacciatore che le amava. Non accada, o padre, che un cantore ti annoveri tra questi
personaggi, facendo memoria della malvagità dei padri e cantando le pene di una
guerra interna e di una consanguineità nemica! (65) Io lo temo; da un lato per la
mia malizia, dall'altro per quella del padre, anzi per quella del padre ancora di più,
poiché egli è più grande in entrambe le cose, sia per la canizie che per nobile
carattere; e se non per la malizia, allora è per la penosa infamia che spesso getta a
terra persino un uomo onesto. (70) Molti, infatti, conoscono il vero, ma non pochi
considerano la fama: ti invito a riflettere su questo. E voglio che il padre in tutto
domini su tutti, anche se sono fortemente adirato, perché è la natura che prescrive
così, e voglio che tu, possedendo nobile gloria tra gli uomini, ti sollevi in alto. (75)
Com’è che, o padre, ti si potrà considerare un uomo benevolo verso un estraneo se
così tanto ti adiri verso i figli che generasti, che un tempo supplicasti al Signore di
porre sulle tue ginocchia, e che una volta che son nati hai onorato con illustri
nomi? Io sono Foca e mio fratello è Pietro, nomi di discepoli di Cristo. (80) E poi l’ira
e tutto fu dimenticato. Chi, padre, come te, o ottimo, fu tanto amorevole verso i
suoi figli appena nati, ma crudele quando poi essi sono cresciuti? Se fosse possibile
o che un mortale si misuri con Dio, o i figli con i genitori, forse potrei trovare un
discorso (85) che soccorra i nostri patimenti; ma ora faremo uscire dalle nostre
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bocche soltanto queste parole: sia pessimi sia buoni, siamo tuoi, o padre: la spiga sia
del seme. Questi e io, o felicissimo uomo, siamo la tua gloria, ma anche il tuo
disonore, a seconda che siamo buoni o pessimi. Questo a tutti è apparso manifesto
(90) amare chi è buono, e porre le mani a sostegno di chi non lo è. I medici, infatti,
non prescrivono farmaci a coloro che sono sani, ma a quelli vessati dalla malattia.
Nessuno ha pietà di un uccello appollaiato su un ramo, o che lancia l’ala nell’aere,
ma di quello che è caduto lontano dal suo nido, (95) o è trafitto dagli artigli ricurvi
di un vorace sparviero, e che miseramente pigola sotto le zampe. Gratificarmi della
tua misericordia, se sono malvagissimo, è un tuo dono; ma se sono buono, dov'è che
mi agisce la legge del padre? Gli ottimi, infatti, sono miti anche con gli estranei.
(100) La grazia di Dio non è questa, aver presso di sé chi è ottimo, ma essere
benevolo con chi è malvagissimo, e sollevarlo in alto, da terra, aiutandolo con le
mani. E non per i giusti Dio morì, quando venne sulla terra e compaginò insieme il
suo essere mortale con la divinità, ma per quelli che sono prostrati a terra e sono
morti a partire da Adamo. (105) Non senti che il figlio minore, si allontanò dal
padre e vagabondo, sperperate tutte le sostanze paterne per la sua lussuria, lo
consumava la fame e quando fece ritorno alla casa del padre e si inginocchiò, subito
il padre ebbe compassione del figlio cattivo; (110) lo abbracciò gettandogli le
braccia al collo, versò lacrime e lo onorò con banchetti. E un pastore di pecore,
poiché se n’era persa una, lasciò, nella sua bontà, tutte le altre e si mise sulle tracce
di quella; se la trova mentre vaga lontano per i monti o per le selve, la prende sulle
spalle, (115) e con gioia la conta tra le altre sue cento. Tale è la grande legge del mio
Cristo che è benevolo con tutti i mortali e disprezza i superbi. Spesso la confessione
del peccato salva, da sola, l’uomo, ne lava le sue pene grazie a lacrime amare (120) e
ne purifica l’anima annerita dalla malizia. Per altrettante volte sette il Signore ha
trattato con dolcezza i peccatori, come ho sentito dai detti di Dio e lo Spirito ha
insegnato. Chi tra gli uomini è peggiore del re Manasse? Quale, tra le città, della
città del grande Nino? (125) Quale mano è peggiore di quella avida di un
pubblicano? Eppure, certo, Cristo Signore ebbe compassione anche di coloro che
s’affliggevano per la propria malvagità. Ma perché ricordare l’amore di Cristo e
quello mortale che per la loro progenie la natura conficcò nei genitori? Anche le
bestie amano la prole, se mai hai sentito parlare (130) di pantere, cinghiali e
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mandrie di vacche dai neri occhi, come trepidano e ingaggiano contesa affrontando
altre bestie e uomini ostili. Ma tu certo hai un’ira più dannosa di quella delle bestie
e dei mortali. Placa la tua grande ira! (135) Forse, padre caro, ti allevarono rupi
scoscese, o il mare, perché hai nel cuore un’ira più dura dell’acciaio. Altri godono
delle tue proprietà, stranieri, compaesani, uomini pii, uomini stolti. (140) La tua
casa è diventata, infatti, un porto comune per tutti i bisognosi; la tua tavola ha più
diletto persino del giardino di Alcinoo, colma di amici, di cibi di volatili, di animali
terrestri e di ciò che nuota nell’acqua. Invece noi giorno dopo giorno, presso porte
di estranei, vaghiamo qua e là senza alcun sostentamento, infreddoliti e senza
vestiti (145) e non c’è alcun rimedio per la nostra sventura. E non guardiamo il tuo
volto da tempo, da quando ti adirasti. Eppure lo desideriamo, quel volto, che pure
ai servi concedi spesso, pur adirato: e ciò è gran pena. Ma, profondamente infelici,
sediamo presso mense improvvisate e non riusciamo a strappare pur poche briciole
(150) da una mensa superba, come quel tal Lazzaro, e abbiamo lo stesso cibo dei
cani. Molti ci odiano per tuo riguardo, ma non pochi ci rispettano. Grande
miracolo! Onore al padre sono i figli senza onore che, afflitti, una piccola tazza
riuscirà a ristorare! (155) Dolore per i migliori sono i peggiori che portano aiuto.
Altri invece non sanno né chi, né di chi siamo: mi vergogno, infatti, a nominare il
genitore. Due sono benevoli: o per sfuggire alla sventura, o per trovare sostegno al
momento del loro soffrire, quando il demone s’agita ostilmente, (160) rispettando
la propria sventura grazie a quelle altrui. Dirò qualcosa di più grande ma tu, o
padre, sii benigno. Concedi un grande rimedio ai nostri patimenti, non arrestare il
mio discorso. Nei confronti degli altri figli sei un padre pio e mite, tanto quanto si
addice a chi è nato da Dio Padre. (165) Nessuna invidia: non si addice invidiare le
sorelle. Dopo averle allevate nel talamo sin dalla più tenera età, hai fatto loro
insegnare le opere dalle mani di una nobile donna, Chirone al femminile, ne hai
fatto plasmare gli ottimi costumi; all’apprestarsi delle nozze, hai accordato loro
valenti mariti; hai reso loro onore in città (170). Con ricca mano hai spartito loro
parte dei tuoi beni; mentre noi, che tu generasti dalla stessa ottima madre — per
cui io ti vedo spesso, o padre, ancora versare lagrime —, pia e ammirabile da tutti
gli uomini, noi che siamo i tuoi figli primogeniti (la cosa più grande per un padre)
(175) tu ci odi così tanto e ci cacci fuori di casa, quanto animo mite mostrasti alle
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sorelle. Pur controvoglia parlerò, e farò uscire fuori un discorso, perché esso,
troppo compresso nel petto, non mi spacchi. C’era un talamo e pranzo di nozze;
tutto era lieto: (180) doni, discorsi di nozze e scherzi piacevoli. Molti floridi
germogli del nostro casato, non pochi vicini, e chi gode di gloria alla corte
dell’imperatore onoravano il banchetto di nozze, e illustri sacerdoti univano la
coppia con voti e corone. (185) E da un lato i compagni danzavano intorno allo
splendido giovane, celebrando lo sposo, simile ad un bel virgulto; e le matrone
preparavano la vergine dai neri occhi alle nozze d’amore: il padre era lieto dei figli.
Mentre noi, come se fossimo simili a belve o maiali, (190) o avessimo perduto il
nostro decoro per il crudele volere di un demone, rinchiusi in casa, lontano dalla
sorella, maledivamo il fatto di essere entrati nel mare doloroso della vita. Oh! non
fossi mai stato formato nelle viscere della madre, o fossi morto imperfetto durante
le doglie della genitrice! (195) E se avessi attraversato le porte della vita e avessi
aspirato uno spirito di morte, sicché il mio primo vagito fosse diventato lagrima di
morte, non avrei incontrato sì grandi mali! Ma per questo soltanto io gemo in modo
straordinario. Infatti, pur essendo esperto nel canto, e desideroso di innalzare un
canto in onore delle nozze e del talamo della sorella, o demone di tutti il più
pernicioso, (200) e placare con canti nuziali l’ira del padre, anche di questo, come
un criminale, sono stato privato. Fu un altro a cantare la mia beltà, le nere ciglia
che spuntano sotto le bionde chiome e al di sopra delle pallide gote. (205) Fu un
altro che tirò giù Espero, un altro ancora cantò Lucifero, e non era neppure un
buon cantore. Mentre io, disonorato e ridotto al silenzio, giacevo avvolto da una
nube di lutto. Neppure quanto fa Eco, quando Pan fa risuonare canti pastorali tra i
monti, io feci risuonare il mio canto, per quanto tardivo, dal sommo delle rupi.
(210) Piangerò il destino dei carmi nati per primi, non canterò più. Alla malora libri
risuonanti, alla malora o Muse! A che gioverà, se il mio canto non giungerà alle
orecchie del padre, anche se la mia orfica cetra trascinasse le pietre tra le rupi
odrisie e fin da lungi le belve e gli uccelli? (215) Ti concederò anche questo, penosa
invidia: cessate, o canti. Che né Dio, né chi ti è amico, ti ripaghi in tal modo, o
ottimo padre. Ma anche questo timore mi sconvolge: tu, o uomo di grandissimo
valore, non ami né noi, né le figlie che porti in palmo di mano e porti in alto. (220) E
mentre a noi hai precluso la tua casa e il tuo volto, hai reso le figlie, così, invise a
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tutti. Perché Cristo Signore non vuole che un padre sia benigno con uno dei figli,
mentre per un altro nutra ostili pensieri; il Figlio dell’Eterno, secondo il principio
del contrappeso della bilancia, spesso carica di mali coloro che sono amati, (225)
trasferendo l’ira dai padri sui figli. Queste cose cadano nel profondo del mare e
stiano lontano dalla nostra casa, né dolore faccia seguito ad altri dolori. Anche
troppo l’Erinni si è accanita sui figli primogeniti. Con te, o padre, tutti quelli che
sono genitori e figli (230) sono sdegnati perché hai un cuore implacabile. L’ira del
padre spezza un modo di vivere che fu congiunto dall’unione coniugale, ma che è
stato disperso dalla malvagia Eniò. Tutti provano una grande compassione nelle
viscere, sia che abbiano fatto o patito qualcosa che fosse degna di Dio. (235) Prima
di tutto i sacerdoti, che tu onori con doni e rispetti nella tua casa, ma che tieni in
dispregio quando sono assenti, e spesso anche quando sono presenti, dal momento
che ti rimproverano, non solo con tenui esortazioni e volti compiacenti, ma anche
con discorsi severi. (240) In primo luogo i due Gregori che hanno in comune il
nome e il tenore di vita e fanno prorompere dalle loro bocche la divinità concorde,
e Bosforio e poi Anfilochio, entrambi magnanimi, i quali non si sono lasciati
abbattere dall’odiosa pena delle malattie grazie alle preghiere, al culto della Trinità
e ai sacrifici. (245) Ma né preghiera né sacrificio piegano il tuo cuore. Neppure ai
martiri sei grato, che anno dopo anno onori con larga e generosa mano, con altari,
doni, banchetti, cori, molte coppe di soave e inebriante bevanda, (250) grandi
giacigli; così tu hai in dispregio la legge di Dio. Sarebbe meglio offrendo a Dio con
umiltà poche cose, a Lui consacrare il cuore, piuttosto che onorarLo con ogni
genere di sacrifici, ma con intelletto impuro. Nulla è degno di Dio tra ciò che questa
terra offre ai mortali, e il cielo o il mare. (255) Tutto, infatti, appartiene a Dio: che
cosa un mortale potrebbe trovare al di fuori? Dell'anima soltanto è puro il
sacrificio, col quale un povero spesso supera di corsa pure un ricco. Anche di questa
coraggiosa decisione, o padre, ho rispetto, con la quale superasti molti, per volere
di Dio. (260) Non una sola è per i miseri mortali la generazione; c'è quella che viene
dalla carne e dal sangue, com'è quella per i mortali qui destinati a nascere e a
morire subito: tale è la prima generazione; poi segue quella dello Spirito Santo,
quando lo splendore scende su quanti si sono battezzati grazie all’acqua; (265) e la
terza è quella delle lagrime e del nostro dolore, perché leviga e deterge l’immagine
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annerita dalla malizia. Tu ricevi la prima dai tuoi genitori, la seconda da Dio, ma
della terza tu stesso sei artefice, quando doni bella luce alla tua esistenza. Spezzasti
i vincoli della vita, ponesti il tuo piede fuori dal fango, (270) e sfuggisti la minaccia
infuocata di Sodoma: e dalle basse colline tu fosti accolto dalla cara Segor, perché
non avevi più volto lo sguardo verso le città ridotte in cenere. Infine, a prezzo di
tutti i possedimenti ricevesti una sola perla preziosa, congiungendo Cristo e il tuo
puro intelletto. (275) Ti ricopristi di una nube celeste separandoti di netto dal
mondo terreno, e dopo aver eretto nel mezzo un muro, facesti cessare l'insolenza
del ventre, insaziabile abisso; disprezzasti gli scranni superbi e gettasti a terra
l’orgoglio gonfio e borioso dell'arroganza. (280) Sola gloria è per te il grande Dio e i
pii sono di gran lunga migliori di chi ha nobile sangue. Tutto ha ceduto dinanzi alla
croce, alla quale conducesti e configgesti il mondo come un ladrone. Con inni
notturni e con canti quotidiani celebri lo splendore trilucente dello Spirito celeste.
(285) Queste sono le cose buone, o padre, e le più vicine all'ottima meta: la meta è
per me contemplare Dio noeticamente, non è più lo specchio. Ti è rimasta dentro
solo l’ira, e la disgrazia dolce (poiché divora come fa la ruggine occulta con
l’indomabile ferro), oppure minacciosa per via dell'ira dell’infido Serpente, (290)
che scacciò dal paradiso i protoplasti grazie al modesto assaggio e li separò dalla
divinità lontano dalla quale lui stesso era caduto. Ebbene tu, o padre, frena la
terribile ira. Anche noi abbiamo Cristo Signore e tu stesso hai bisogno della Sua
benevolenza. Nei confronti dei tuoi figli sventati tu sii, o padre, (295) come ti
augureresti di trovare Dio nelle tue afflizioni, se mai si abbattesse su di te funesta
pena. Tra i mortali non sei il solo genitore, né te soltanto affliggono figli ribelli. Ho
visto spesso un genitore cedere dinanzi alle gravi malefatte di un figlio insolente.
(300) E uno è immoderato nel gioco, un altro nelle funeste bevute e nelle focose
passioni amorose, con cui rovinano il proprio casato; e uno si volta anche contro il
padre con parole ostili, e qual Erinni gli alza le mani. Tuttavia, o padre, chi è buono
smaltisce l'ira verso costoro. (305) C'è una forza imperiosa e innata, superiore alle
leggi scritte, che spegne pure ai genitori l'ira verso i figli. Molte delle cose che
vedono, poiché lo vogliono, diventano invisibili; e molte altre fanno finta di non
ascoltare, pur avendole nelle orecchie, perché la riprensione non faccia scoppiare
la terribile insolenza, (310) mettendo alla prova quel rispetto buon alleato dei
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genitori. Violenza genera insolenza, ma la mitezza il rispetto, soprattutto nei
confronti dei figli; dal momento che ci tengono alla buona nomea, i padri non
ricorrono alla forza della mano, ma ai vincoli della persuasione. L’ira del padre
contro i figli è un fuoco di paglia, subito si placa: (315) la collera incendia la lingua,
ma la compassione subentra e la fa spegnere. Ha lanciato maledizioni, ma la
ragione ha chiesto soccorso. Con pena alza le mani, e con dolore piange e lo
abbraccia. Davide, che eccelleva tra i re della stirpe di Abramo, era mite con tutti, e
tanto con i propri figli (320) da sedare l'ira e le pene ai parricidi. Giudica tu stesso in
base al re: non solo pianse con gemiti, come se fosse un uomo eccellente, il figlio
che gli si era opposto in armi e che morì per un ramo e un mulo sotto una fitta
boscaglia; ma punì chi glielo aveva annunciato con la pena riservata all'omicida.
(325) Ma tu, sconsiderato, quale male, o che cosa mai hai patito? Così aumenti nel
tuo animo un’ira indomabile? Non ti abbiamo privato dell’onore che si rende al
padre, o signore; né abbiamo assalito le messi della tua campagna, né mandrie di
buoi, né armenti, né cavalli; (330) né, stolti, salimmo nel tuo letto, cosa non buona;
né abbiamo macchinato inganni con uomini a te ostili. Nessuno sdegno, o padre, se
fossero queste azioni a far scoppiare la collera. Ma c’è una grave pecca nei tuoi figli:
siamo apparsi inferiori rispetto ad un padre migliore, a te che non hai lasciato a
nessuno il primato, per aspetto e figura. (335) E la parola non ci scorre facile, e la
lingua s'inceppa. Che colpa ho commesso? Oppure tu, ottimo, hai sbagliato, non
volendo concedere ai figli una migliore natura? Fermeremo qui il discorso! O
Signore Padre, o Figlio grandissimo, porgimi la Tua mano e acconsenti a che il
padre sia benevolo. (340) Ecco, noi tocchiamo la barba e le ginocchia, come se
fossero quelle di Dio. Oh! potessimo incontrare lo sguardo di Dio! Non ti chiediamo
nozze, né congrua ricchezza, né elevati palazzi. Porgi la mano e benevolo sguardo.
E Tu, madre mia, che a me e al padre ti mostri nei sogni della notte, (345)
temperando l’ira con le suppliche, rammentagli il talamo e l’amorosa unione, e
prega che il tuo sposo sia benevolo nei confronti dei figli. C'è sazietà di canto e di
guerra funesta. Se fossi riuscito a persuaderti, sono finite le pene; ma se non ti lasci
persuadere, (350) anche per i figli c'è Dio. Continueremo a vagare come prima! E
tua gloria sarà sia che saremo lasciati nell'abbandono, sia che moriremo! Ci
auguriamo di avere le lagrime del padre finalmente divenuto benevolo!
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