L`OSSERVATORE ROMANO

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L`OSSERVATORE ROMANO
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L’OSSERVATORE ROMANO
GIORNALE QUOTIDIANO
Unicuique suum
Anno CLVI n. 116 (47.251)
POLITICO RELIGIOSO
Non praevalebunt
Città del Vaticano
domenica 22 maggio 2016
.
In Venezuela la Corte suprema approva i poteri speciali a Maduro e l’opposizione evoca l’intervento dei militari
Il vertice umanitario mondiale
Scontro aperto
Impegno
per la pace
Si acuisce la tensione politica in un Paese piegato da una grave crisi economica
di FAUSTA SPERANZA
CARACAS, 21. «La possibilità di un
sollevamento dei militari è nell’aria.
Le forze armate sono lì per proteggere la Costituzione e dunque devono scegliere: o con la legge o con
Maduro». Le parole di Henrique
Capriles, leader dell’opposizione antichavista in Venezuela, rendono bene il clima di tensione e attesa che
in queste ore attraversa il Paese sudamericano. Ieri il Tribunale Supremo ha approvato il decreto che conferisce al presidente Nicolás Maduro
i poteri speciali in forza dello stato
di emergenza. Il Parlamento venezuelano, controllato dall’opposizione, aveva invece respinto il decreto.
«Se Maduro ignora questa decisione
e pretende di legiferare al posto del
Parlamento — ha dichiarato Capriles
in un’intervista alla Bbc — allora il
suo Governo si pone al di fuori della Costituzione».
Da mesi ormai il Venezuela, già
alle prese con una drammatica crisi
economica, deve fronteggiare uno
scontro istituzionale senza precedenti. Come detto, per il Tribunale Supremo è costituzionale lo stato di
emergenza proclamato da Maduro
una settimana fa, e dunque i poteri
speciali. Il Tribunale ha infatti evocato «minacce esterne ed interne che
puntano a destabilizzare l’economia
e l’ordine sociale nel Paese». Una
decisione che non ha sorpreso nessuno: dalle politiche dello scorso dicembre l’opposizione controlla il
Parlamento di Caracas e la Corte
boccia quasi ogni decisione adottata
dal potere legislativo. Nelle strade il
clima è rovente: l’opposizione continua a organizzare marce di protesta
contro la politica di Maduro. Capriles e gli altri leader antichavisti hanno depositato il 2 maggio scorso
quasi due milioni di firme per chiedere un referendum sulla destituzione di Maduro. E pochi giorni fa migliaia di persone hanno manifestato
a Caracas e in altre venti città per
ottenere un cambiamento. Proprio in
questo caos — stimano gli esperti —
il ruolo dell’esercito potrebbe diventare fondamentale.
Maduro segue la linea dura e
punta il dito contro gli Stati Uniti,
accusati di ordire un complotto per
rovesciare la situazione e far salire al
potere un Governo fantoccio controllato da Washington. Per oggi il
L’Ecuador dopo il terremoto
Scosso
dalle fondamenta
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SILVINA PÉREZ
A PAGINA
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Proteste antichaviste a Caracas (Reuters)
leader chavista ha indetto vaste esercitazioni militari, le maggiori dal
2015. Almeno mezzo milione di militari professionisti e riservisti prenderanno parte alle manovre che dureranno due giorni. Il capo dello Stato
ha minacciato di «applicare restrizioni alle libertà civili se ci fosse il ri-
schio di un golpe violento». E nella
notte la polizia ha arrestato il capo
della sicurezza del presidente del
Parlamento, l’esponente dell’opposizione Henry Ramos Allup, accusato
di essere la mente di diversi attacchi
alle forze dell’ordine avvenuti nelle
scorse settimane.
Sul piano internazionale, l’ex presidente del Governo spagnolo, José
Luis Rodríguez Zapatero, ha avviato
un tentativo di mediazione tra le
parti. Iniziativa sostenuta non solo
dagli Stati Uniti, ma anche da Argentina, Cile, Colombia e Uruguay,
che chiedono la ripresa del dialogo
politico e il rispetto dello stato di
diritto, auspicando «una genuina intesa civile: i problemi del Venezuela
devono essere risolti dai venezuelani
stessi» si legge in un comunicato
congiunto. Alle radici della crisi venezuelana, tuttavia, non c’è solo lo
scontro politico. C’è anche, e forse
soprattutto, una crisi economica devastante. La distribuzione alimentare
è caotica, i blackout sono continui e
l’inflazione erode il potere d’acquisto dei consumatori. I servizi elementari scarseggiano: gli ospedali
sono senza medicinali, ormai disponibili solo sul mercato nero. Anche
se dotato delle più grandi riserve di
petrolio del mondo, il Venezuela è
sull’orlo del crollo: l’anno scorso la
crescita economica è scesa del 5,7
per cento e il tasso d’inflazione ufficiale ha superato il 180 per cento.
Per il 2016 si prevede un calo del pil
(prodotto interno lordo) del sette
per cento. Una situazione sulla quale ha inciso profondamente anche il
drastico calo del prezzo del petrolio
sui mercati internazionali.
I seguaci di Moqtada Al Sadr fanno irruzione nella zona verde di Baghdad
Iraq nel caos
DAMASCO, 21. Tensione altissima in
Iraq. Le forze di sicurezza hanno
annunciato di aver ripreso il controllo della zona verde (quella dove
sono presenti i principali uffici governativi e le ambasciate) nella capitale Baghdad, dopo i violenti
scontri con i seguaci di Moqtada Al
Sadr. Secondo alcuni media locali,
ieri sera i dimostranti hanno iniziato a ritirarsi dall’area. Il bilancio
degli scontri parla di almeno quattro morti e di decine di feriti.
Un gruppo di sostenitori del movimento di Al Sadr, esponente politico e religioso sciita, è infatti riuscito a penetrare nell’area fortificata. Gli uomini della sicurezza irachena hanno quindi fatto ricorso ai
gas lacrimogeni per disperdere i
manifestanti. Stando a fonti della
stampa locale, i dimostranti sono
riusciti a entrare anche all’interno
del Parlamento e perfino nell’ufficio
del premier, Haider Al Abadi. Lo
scorso 30 aprile migliaia di sostenitori dell’imam sciita avevano fatto
irruzione nel Parlamento iracheno,
costringendo i deputati a fuggire. I
manifestanti chiedevano al capo del
Governo di attuare al più presto le
riforme. Nello specifico, i seguaci
di Al Sadr chiedono una più energica lotta alla corruzione e la nascita di un esecutivo tecnico non agganciato al sistema delle quote etniche e tribali.
Al Sadr fondò l’Esercito del
Mahdi nel giugno del 2003 per
combattere le forze di occupazione
in Iraq. Figlio di Mohammed Sadeq, storico leader sciita ucciso nel
1999 a Najaf dagli uomini di Saddam Hussein, Al Sadr — che controlla 25 deputati ed è di origine libanese — sta riuscendo ad accreditarsi come il punto di riferimento
del crescente malcontento popolare
degli sciiti in Iraq. La decisione di
contestare il premier Al Abadi, an-
Santa Rita tra Klein e Buzzati
Miracoli
senza limiti
PATRIZIA DALLA ROSA
A PAGINA
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ch’egli sciita, e di irrompere nel
Parlamento segna ora — dicono gli
analisti — una frattura profonda
all’interno della stessa comunità
sciita irachena. Con conseguenze
difficili da prevedere.
Intanto, le violenze continuano
anche in Siria. Ieri il ministro della
Difesa russo, Serghiei Shoigu, ha
annunciato di aver proposto agli
Stati Uniti di compiere da mercoledì prossimo raid congiunti per
«colpire i gruppi di Jabhat Al Nusra e le formazioni armate illegali
che non sostengono la tregua, nonché carovane con armi e munizioni
e unità armate che attraversano illegalmente il confine turco-siriano».
Shoigu ha spiegato che «il varo di
queste misure permetterà di avviare
il processo di soluzione pacifica del
conflitto in tutto il territorio siriano». L’annuncio ha però preso in
contropiede gli Stati Uniti. «Non
abbiamo ricevuto la proposta e ho
letto le stesse notizie che avete voi»
ha detto il portavoce del Pentagono, il capitano Jeff Davis, aggiungendo che «al momento non collaboriamo né ci coordiniamo con i
russi in alcuna operazione in Siria».
Il Santo Padre ha ricevuto questa mattina in udienza Sua Eccellenza il Signor Aleksander
Lukashenko, Presidente della
Repubblica di Bielorussia, e Seguito.
ta della Chiesa in Bielorussia e alla pacifica convivenza tra le comunità cattolica e ortodossa del Paese, come pure tra le altre confessioni religiose.
Si è sottolineato, infine, il ruolo
svolto dalla città di Minsk, quale
sede di alcuni recenti colloqui finalizzati alla ricerca di soluzioni
per la pace nella regione.
L’Indonesia e il dialogo
Sulla stessa strada
MARCO BELLIZI
A PAGINA
S
complesso, nessuno debba essere
lasciato indietro. Da qui, il dovere
di assicurarsi che sempre meno
persone siano penalizzate da
un’economia globale che non conosce sostenibilità.
C’è poi una tavola rotonda dedicata a un tema sintetico quanto essenziale: ridurre i rischi. Infine, il
dibattito che appare più concreto
di tutti, quello su come aumentare
i finanziamenti.
L’appello, che emerge già prima
del summit, arriva anche alle religioni e nello stesso tempo è lanciato proprio dalle religioni. A Istanbul infatti ci sarà un dibattito speciale proprio sull’impegno delle
confessioni religiose.
C’è un antefatto: in vista del vertice umanitario mondiale, un anno
fa, a Ginevra, i rappresentanti di
quattro religioni hanno partecipato
alla giornata di dibattito dedicata
proprio al ruolo speciale svolto dalle istituzioni e organizzazioni religiose nelle zone di conflitto. All’incontro, promosso dall’Ordine di
Malta, hanno partecipato cristiani,
musulmani, ebrei, buddisti.
In quell’occasione Jemilah Mahmoud, per anni medico in prima fila in vari conflitti e scelto da Ban
Ki-moon per guidare il team internazionale di preparazione del vertice di Istanbul, ha ricordato che le
organizzazioni a carattere religioso
assicurano la maggior parte dell’assistenza umanitaria da cui attualmente nel mondo dipendono, per
la stretta sopravvivenza, ben ottanta milioni di persone. Le organizzazioni religiose sono spesso le prime a intervenire sul campo nelle situazioni di emergenza umanitaria e
per questo godono della fiducia
delle comunità locali. Un’altra caratteristica fondamentale è che il
loro arrivo non è legato a interessi
politici.
Ma anche i leader religiosi hanno un obiettivo preciso da raggiungere, lavorandoci molto. Ed è far sì
che tutti si impegnino a giocare un
ruolo nella battaglia contro i fondamentalismi.
Più in generale, da parte dei leader politici, è necessaria una doverosa assunzione di responsabilità
affinché cooperazione faccia rima
con riconciliazione, e perché l’impegno all’assistenza proceda di pari
passo con un impegno serio per la
pace.
NOSTRE INFORMAZIONI
Udienza al presidente
della Repubblica di Bielorussia
Nella mattinata di sabato 21 maggio, Papa Francesco ha ricevuto in
udienza, nel Palazzo apostolico
vaticano, Sua Eccellenza il Signor
Aleksandr Lukashenko, Presidente
della Repubblica di Bieolorussia,
il quale ha successivamente incontrato il cardinale Pietro Parolin,
segretario di Stato, accompagnato
dall’arcivescovo Paul Richard Gallagher, segretario per i Rapporti
con gli Stati.
Nel corso dei cordiali colloqui è
stata espressa soddisfazione per il
buono stato delle relazioni bilaterali e sono state affrontate alcune
tematiche di interesse comune,
con particolare riferimento alla vi-
eimila partecipanti, tra cui
cinquanta leader mondiali.
Prende il via, lunedì 23 maggio a Istanbul il primo vertice
umanitario mondiale, voluto dal
segretario generale dell’Onu, BanKi-moon. Per due giorni, nella capitale turca si riuniranno rappresentanti di governi, agenzie per gli
aiuti umanitari, comunità colpite,
società civile e settore privato.
Parteciperà anche la delegazione
della Santa Sede presieduta dal
cardinale segretario di Stato, Pietro
Parolin, della quale faranno parte
l’osservatore permanente presso le
Nazioni Unite a New York, arcivescovo Bernardito Auza, e l’osservatore permanente presso l’ufficio
delle Nazioni Unite ed Istituzioni
specializzate a Ginevra, arcivescovo
Silvano Tomasi.
Lo scenario è drammatico e noto. Ogni giorno, le cronache parlano di nuove vittime della violenza.
Su dieci, nove di queste sono civili.
E sono centoventicinque milioni le
persone direttamente coinvolte in
questa vera e propria guerra mondiale a pezzi.
L’obiettivo ultimo della mobilitazione che ha portato al vertice è, in
sostanza, tutelare l’umanità, mettendo in campo una cooperazione
davvero mondiale. Dalle guerre più
diverse ai disastri ambientali più
dimenticati. Lo scopo è ambizioso
e i piani di azione sono innumerevoli e complessi.
Per questo primo incontro, sono
cinque le tematiche fondamentali
indicate come chiavi di lettura. La
prima è la priorità delle priorità: ridurre e prevenire i conflitti. Contestualmente viene l’impegno per garantire il rispetto del diritto umanitario.
Le leggi internazionali non mancano ma il punto è «far rispettare
le norme che tutelano l’umanità»,
come è scritto nel titolo di una delle tavole rotonde. Oggi le guerre,
che restano comunque drammatiche, sono asimmetriche, senza una
contrapposizione precisa di eserciti
o schieramenti di forze, e troppo
spesso non c’è rispetto dei più basilari principi dei regolamenti internazionali.
In tema di umanità, un presupposto è fondamentale, anche se
troppo spesso dimenticato. È l’idea
che, per parlare di umanità nel suo
6
Il Santo Padre ha ricevuto
questa mattina in udienza:
gli Eminentissimi Cardinali:
— Marc Ouellet, Prefetto della Congregazione per i Vescovi;
— Agostino Vallini, Vicario
Generale di Sua Santità per la
Diocesi di Roma;
— Albert Malcolm Ranjith
Patabendige Don, Arcivescovo
di Colombo (Sri Lanka);
Sua Eccellenza Monsignor
Michael W. Banach, Arcivescovo titolare di Memfi, Nunzio
Apostolico in Senegal e in
Mauritania.
Il Santo Padre ha nominato
l’Eminentissimo Cardinale João
Braz de Aviz, Prefetto della
Congregazione per gli Istituti
di Vita Consacrata e le Società
di Vita Apostolica, Suo Inviato
Speciale al Congresso Eucaristica nazionale del Portogallo, che
sarà celebrato a Fátima dal 10 al
12 giugno 2016.
Il Santo Padre ha nominato
l’Eminentissimo Cardinale Dominik Duka, O.P., Arcivescovo
di Praga (Repubblica Ceca),
Suo Inviato Speciale alla solenne Celebrazione Eucaristica
che, in occasione del 1700° anniversario della nascita di San
Martino di Tours, si terrà a
Szombathely (Ungheria) il 9 luglio 2016.
Il Santo Padre ha nominato
Nunzio Apostolico in Gabon
Sua
Eccellenza
Monsignor
Francisco Escalante Molina, Arcivescovo titolare eletto di Gratiana, Nunzio Apostolico nella
Repubblica del Congo.
Nomina
di Vescovo Ausiliare
Il Santo Padre ha nominato
Vescovo Ausiliare di Brno (Repubblica Ceca), il Reverendo
Pavel Konzbul, finora Parroco
della Cattedrale dei Santi Pietro
e Paolo a Brno, assegnandogli
la Sede titolare di Litomyšl.
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domenica 22 maggio 2016
Un gruppo di migranti in arrivo
al porto di Málaga (Afp)
L’Ecuador dopo il terremoto
Scosso
dalle fondamenta
BRUXELLES, 21. I ministri dell’Interno Ue hanno concordato ieri una
posizione comune per l’attivazione
di un “freno d’emergenza” che permetterà la sospensione dell’esenzione
dei visti per Paesi terzi. Si tratta di
un elemento fondamentale, prima di
arrivare alla liberalizzazione dei visti
per la Turchia nell’area Schengen,
uno dei punti centrali, e più controversi, dell’intesa tra l’Unione e Ankara per gestire i flussi migratori. In
sostanza, grazie al “freno di emergenza”, l’Unione potrà reintrodurre
l’obbligo di visti nel caso di un aumento dei rischi per l’ordine pubblico o la sicurezza interna, e in particolare con un aumento sostanziale di
crimini gravi o attacchi terroristici
legati al Paese in questione.
Per la Turchia, invece, scatterà anche se Ankara non dovesse fare abbastanza per fermare il flusso di migranti verso l’Ue. «Non si tratta di
una misura punitiva nei confronti di
nessuno, ma di una misura di sicurezza per l’Europa» ha spiegato il
commissario Ue per gli Affari interni
e l’immigrazione, Dimitris Avramopoulos, al termine dei lavori. Perché
ci sia un sospensione della liberalizzazione dei visti «è necessario che ci
sia un meccanismo di controllo, e le
misure approvate dai ministri permettono un monitoraggio dell’Ue
sugli altri Paesi» ha detto il commissario.
E sempre ieri Avramopoulos ha
voluto sottolineare che l’accordo tra
Per la gestione del flusso di migranti verso l’Europa
Va avanti l’intesa con Ankara
Unione e Turchia per la gestione
della crisi dei migranti si applica soltanto alla Turchia, e «per il momento è difficile ipotizzare di replicarlo
per altri Paesi». L’Italia aveva ipotizzato di riutilizzare lo schema alla
base dell’accordo con la Turchia anche ad altri Paesi, in particolare Libano e Giordania. «Il fattore comune a questi Paesi è che tutti e tre si
trovano sotto il peso della pressione
Ballottaggio in Austria
per le presidenziali
Norbert Hofer nel corso di un comizio a Vienna (Afp)
re vincere un’estrema destra dura e
pura non mi piace», ha detto il
presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker, in
un’intervista a «Le Monde». Con
l’estrema destra «non è possibile
né un dibattito né un dialogo».
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La morte
della fondatrice
di Vidas
ROMA, 21. Lutto nel mondo della sanità italiana. È morta ieri
Giovanna Cavazzoni, fondatrice
dell’associazione Vidas, che da
34 anni offre assistenza sociosanitaria completa e gratuita ai
malati terminali. «Donna delle
utopie e insieme personalità di
profondo rigore e pragmatismo»,
Cavazzoni, classe 1931, è stata
«una volontaria nel cuore e
nell’operato quotidiano» e «ha
dedicato tutta la vita agli altri, ai
più soli e sofferenti, in difesa
della dignità della persona malata sino all’ultimo istante» si legge in un comunicato della sua
associazione.
GIOVANNI MARIA VIAN
direttore responsabile
Giuseppe Fiorentino
vicedirettore
Piero Di Domenicantonio
migratoria» ha premesso Avramopoulos. A Turchia, Libano e Giordania «diamo sostegno politico ed economico, ma ogni Paese ha le proprie
particolarità». In futuro, ha proseguito, «quando l’accordo Ue-Turchia sarà pienamente funzionante
magari potremo usare la stessa matrice per altri casi. Ma per il momento questo tipo di accordo si ap-
Allarme povertà
e disuguaglianze
nell’analisi
dell’Istat sull’Italia
Favorito il candidato dell’estrema destra
VIENNA, 21. Domani, domenica,
l’Austria torna alle urne per decidere al ballottaggio chi sarà il nuovo presidente della Repubblica.
L’opzione che gli elettori troveranno sulla scheda è sorprendente: ad
affrontarsi saranno infatti due outsider. Da un lato, il candidato della
estrema destra populista del Partito
della libertà (Fpö), Norbert Hofer,
favorito dal vantaggio di 14 punti
ottenuto al primo turno. Dall’altro,
il candidato indipendente appoggiato dai Verdi, Alexander van der
Bellen, cui è affidato il difficile
compito di realizzare una clamorosa rimonta.
Per la prima volta, quindi, i
principali partiti del Paese, socialdemocratici e popolari, che tradizionalmente governano assieme,
sono esclusi dal ballottaggio. Il
primo turno del 24 aprile scorso si
è infatti concluso con Hofer al 35,1
per cento dei consensi e Van der
Belle al 21,3 per cento, mentre il
socialdemocratico Rudolf Hundstorfer e il popolare Andreas
Khol hanno avuto entrambi solo
l’11 per cento. Consolidando una
tendenza che in gran parte dell’Europa, dall’Ungheria alla Polonia,
dalla Slovacchia fino alla Germania, vede le forze euroscettiche in
ascesa, anche in Austria — indicano
gli analisti — è prevista l’affermazione della destra populista e antiimmigrati. «La prospettiva di vede-
quale il Governo aveva investito
800 milioni.
Inoltre, gli ecuadoriani che ricevono uno stipendio che supera i
1.000 dollari al mese dovranno devolvere un giorno di salario. Chi
ha uno stipendio oltre i 2.000 dollari contribuirà con due giorni di
salario e così via, fino ad arrivare a
chi riceve 5.000 dollari, che pagherà cinque giorni di salario. Con
queste misure fiscali di emergenza,
sommate al prestito di 400 milioni
di dollari richiesto alle istituzioni
finanziarie internazionali, il Governo spera di raccogliere denaro sufficiente per finanziare la ricostruzione.
Una delle città più colpite è stata Pedernales, nella provincia di
Manabí, molto vicino all’epicentro
del grande sisma. Qui sono morte
166 persone, e 2.500 case sono state
ridotte in macerie. Quasi 25.000
persone sono rimaste senza lavoro.
In questa città turistica della costa
settentrionale dell’Ecuador tutti gli
hotel sono ormai inutilizzabili.
«Non sono solo gli edifici a essere
collassati, ma l’intera popolazione». Negli ultimi anni, l’Ecuador
aveva infatti scommesso molto sulla promozione del turismo settore
profondamente colpito dal terribile
sisma.
Con la campagna «All you need
is Ecuador» (“Tutto ciò che ti serve è l’Ecuador”), il Governo intendeva intercettare il turismo proveniente dall’Europa e dagli Stati
Uniti con un’offerta che spaziava
dalle bellezze della regione costiera, delle Ande, dell’Amazzonia e
delle Galápagos. Ora, in tempo record, è stata avviata una campagna
in rete chiamata «D on’t cancel
your trip to Ecuador» (“Non annullare il tuo viaggio in Ecuador”).
Malgrado la zona costiera, la più
colpita dal sisma, rappresenti forse
la principale attrazione turistica, altre regioni che richiamano altrettanti visitatori sono rimaste intatte.
È il caso delle isole Galápagos,
delle città coloniali di Quito e
Cuenca o della maestosa foresta
amazzonica. La cosa certa è che il
sisma ha colpito il Paese con forza
e il recupero è molto lento.
Una catastrofe di tale portata in
una nazione tanto piccola, con
un’economia in gran parte dipendente dal settore petrolifero — in
netto calo — fa intendere quanto il
futuro assomigli a un tunnel del
quale è difficile scorgere la via
d’uscita.
di SILVINA PÉREZ
ROMA, 21. L’Italia sta uscendo da
una recessione lunga e profonda e
sperimenta un primo, importante,
momento di crescita persistente,
anche se a bassa intensità. Questa, in sintesi, l’analisi dell’Istat
(che celebra i 90 anni di attività
statistica) nel Rapporto annuale
2016, da cui emerge, tuttavia, anche la crescita delle disuguaglianze e l’allarme povertà. L’indicatore di grave deprivazione materiale
– rileva la quota di persone in famiglie che sperimentano situazioni di disagio – si assesta nel 2015
all’11,5 per cento. Ciò significa
che quasi due persone su tre si
sono trovate in condizioni di grave povertà nel 2015. E questo dato risulta oltre tre volte più elevato nel Mezzogiorno rispetto al
Nord.
Il rapporto dell'Istat conferma
inoltre la crisi occupazionale.
Continuano ad aumentare le famiglie in cui nessuno ha un lavoro, arrivando nel 2015 a 2,2 milioni, e 1 su 4 è al Sud. Il calo del
tasso di occupazione è stato più
contenuto per i laureati rispetto a
chi ha conseguito solo la licenza
media o un diploma. Instabilità e
precarietà lavorativa riguardano
principalmente i giovani e le donne. In sostanza, commentano gli
esperti, la mobilità sociale nel
Paese si è fermata e chi proviene
da condizioni più disagiate stenta
a costruirsi una posizione.
Il pil (prodotto interno lordo)
ha fatto segnare un rialzo dello
0,8 per cento lo scorso anno. Secondo la stima preliminare, il dato è salito dello 0,3 per cento (più
1 per cento su base annua) nel
primo trimestre 2016. Tuttavia la
disuguaglianza nella distribuzione
del reddito non accenna a ridursi.
In dieci anni (1990-2010) è infatti
passata da 0,40 a 0,51, l’incremento più alto tra i Paesi europei per
i quali sono disponibili i dati. A
pagare il prezzo più elevato della
crisi economica sono stati i bambini. L’incidenza di povertà relativa per i minori, che tra il 1997 e il
2011 aveva oscillato su valori attorno all’11-12 per cento, ha raggiunto il 19 per cento nel 2014.
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Gaetano Vallini
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plica solo nell’ambito dell’intesa raggiunti con La Turchia».
L’accordo con Ankara ha avuto
successo finora, permettendo di abbattere il numero dei migranti e dei
rifugiati in rotta verso l’Europa attraverso la rotta balcanica. Ieri la
Grecia ha rimandato in Turchia 51
migranti, tra cui cinque bambini, come previsto appunto dal sistema di
ricollocamento stabilito dall’accordo.
Le autorità greche fanno sapere che
23 persone sono sbarcate nel porto
di Dikili, nella provincia egea di
Smirne, e altre 28 più a sud in quello di Gulluk, nella provincia di Mugla. I migranti rinviati sono originari
di Bangladesh, Pakistan, Afganistan,
Iraq, Iran, Algeria, Marocco e Nepal. Il totale delle persone rimandate
in Turchia da inizio aprile, nell’ambito dell’accordo, sale così a 441, tra
cui 18 siriani. I migranti e rifugiati
che si trovano in Grecia restano quasi 55.000.
Bruxelles, intanto, guarda anche
ad Atene. La Commissione Ue ha
messo a disposizione della Grecia 56
milioni di euro di aiuti per la gestione della crisi dei migranti. Le risorse
verranno usate per «accrescere le capacità di registrazione» dei richiedenti asilo da parte delle autorità elleniche, e assistenza alle persone più
vulnerabili che si trovano su territorio greco. I soldi — dicono fonti specializzate — arriveranno tramite il
fondo Amif per l’immigrazione e
l’integrazione (46 milioni) e il fondo
Isf per la sicurezza interna (dieci milioni). Con le risorse messe a disposizioni salgono a 237 milioni di euro
gli aiuti messi a disposizione di Atene dall’inizio del 2015 per rispondere
all’emergenza migranti.
Da quando la terra ha tremato violentemente lo scorso 16 aprile, la
vita di decine di migliaia di ecuadoriani è stata distrutta. Il devastante sisma, di 7,8 gradi Richter, è
stato seguito da altre due nuove
onde sismiche che hanno aggiunto
danni ai danni. La terra si è rimessa a tremare il 18 maggio e dall’inizio del mese lo ha fatto altre 1.564
volte, con un bilancio di 655 morti,
18.601 feriti e 30.000 persone senza
casa.
Molti abitanti delle zone colpite
sono rimasti senza lavoro, perché la
loro attività commerciale è crollata
o perché il luogo dove lavoravano
ha smesso di esistere. Una di queste persone è Rafael Castillo, agricoltore di San Vicente, una piccola
comunità dell’entroterra della provincia costiera di Manabí. «Ho
perso tutto, la mia casa e le mie
coltivazioni di papaya. Ora dovrò
chiedere un prestito per poter seminare di nuovo, ma ci vorrà più
di un anno per ottenere il raccolto», racconta. Come lui, migliaia di
ecuadoriani sono obbligati a cercare un modo per andare avanti, ricostruendo vite che il terremoto ha
demolito.
Con le antenne telefoniche cadute a terra e senza possibilità di comunicare con l’esterno, il paesino
di Quinindé nella provincia di
Esmeraldas sta cercando di tornare
alla normalità. Il 75 per cento delle
case è stato distrutto, ma il terremoto non ha fatto vittime. «La cosa peggiore è la paura che ci è rimasta dentro», assicura Valdés,
proprietario di due ettari di terreno
in cui coltivava maracuja, pepe e
cacao.
Mentre il Governo stima i danni
in tre miliardi milioni di dollari, la
popolazione colpita si chiede come
affrontare le conseguenze del sisma
«Abbiamo 640 milioni nella Banca
interamericana di sviluppo e della
Banca mondiale pronti per essere
usati. La liquidità esiste e potrebbe
arrivare a un miliardo, perché anche il Fondo monetario internazionale ci ha offerto una linea di credito da 400 milioni senza condizioni», ha assicurato il presidente Rafael Correa nel comunicato settimanale sullo stato dei lavori. Per attenuare le conseguenze economiche
del sisma, l’Ecuador metterà in
vendita, fra le altre attività, l’azienda idroelettrica Sopladora, sulla
L’Esecutivo
messicano
licenzia
3119 maestri
Uomo armato tenta di entrare alla Casa Bianca
Tensione a Washington
WASHINGTON, 21 L’uomo armato
di pistola che ieri pomeriggio ha
cercato di entrare nel perimetro
della Casa Bianca è stato identificato come Jesse Olivieri, un trentenne della Pennsylvania che ora è
ricoverato in gravi condizioni dopo
che un agente lo ha colpito al tora-
ce. Per un’ora la Casa Bianca è rimasta in stato di lockdown, “confinamento”, con nessuno che poteva
entrare o uscire dal complesso. Il
presidente Obama non era a Washington al momento dell’incidente. All’interno della Casa Bianca si
trovava il vice presidente Biden.
Agente della sicurezza lungo il perimetro della Casa Bianca (Epa)
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CITTÀ DEL MESSICO, 21. È battaglia
in Messico sulla riforma della scuola. Il Governo del presidente Enrique Peña Nieto ha annunciato il licenziamento di 3119 maestri per aver
partecipato a uno sciopero illegale
contro la legge sull’educazione. Secondo il coordinamento nazionale
dei
lavoratori
dell’educazione
(Cnte), sono oltre 24.000 i maestri
che mantengono lo sciopero e altre
manifestazioni contro la riforma nel
settore e contro i sistemi di valutazione che considerano troppo severi.
Di fronte alla sede della Segreteria
di educazione pubblica (Sep) a Città
del Messico i partecipanti a un sit-in
lo scorso 15 maggio hanno detto di
non temere di essere licenziati. Nel
frattempo, a Oaxaca per il quinto
giorno consecutivo, proseguono i
blocchi delle strade e delle installazioni pubbliche da parte dei maestri
che manifestano contro la riforma
voluta dal Governo.
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L’OSSERVATORE ROMANO
domenica 22 maggio 2016
pagina 3
Operazioni di ricerca nella zona di mare
dove l’aereo egiziano è precipitato (Ansa)
Al
G7
dei ministri economici e finanziari in Giappone
Piano d’azione
per la stabilità globale
TOKYO, 21. Accordo sulle oscillazioni dei tassi di cambio delle valute
senza fissare target predefiniti e misure di contrasto al finanziamento
del terrorismo, ma anche un richiamo all’aumento delle incertezze globali, al rischio Brexit e all’emergen-
Il sostegno Nato
all’Afghanistan
proseguirà
oltre il 2016
BRUXELLES, 21. I ministri degli
Esteri della Nato hanno concordato che la missione Resolute
Support in Afghanistan «continuerà oltre il 2016» e hanno anche dato disponibilità a continuare il finanziamento delle forze
armate e polizia afghane «fino a
tutto il 2020». Lo ha annunciato
ieri il segretario generale dell’Alleanza atlantica, Jens Stoltenberg, aggiungendo di aspettarsi
che il vertice di luglio a Varsavia
confermerà gli impegni e che il
ministro degli Esteri afghano, Salahuddin Rabbani, ha illustrato
le iniziative del Governo per la
lotta alla corruzione, la protezione dei diritti umani e delle donne
e per fare passi avanti nel processo di pace.
Quanto al sostegno finanziario
per le forze armate afghane, «i
contributi hanno superato 1,4 miliardi», ma al vertice di Varsavia
del prossimo 8 e 9 luglio, «potremo annunciare il nostro impegno
a continuare i finanziamenti alle
forze afghane fino al 2020». Infatti, ha aggiunto, «questo è fondamentale per la abilità dell’Afghanistan di costruire forze di sicurezza stabili e assicurare una sicurezza duratura al Paese».
La situazione in Afghanistan
resta critica con gli insorti talebani che hanno intensificato i loro
attacchi nel corso della loro tradizionale offensiva di primavera.
E l’impegno internazionale deve
continuare: lo ha ammesso lo
stesso presidente statunitense,
Barack Obama, che in un primo
momento aveva promesso di terminare entro il suo secondo mandato il conflitto in Afghanistan.
E, intanto, la Nato ha confermato che un suo veicolo è stato
oggi al centro di un attentato
nelle vicinanze della base aerea
di Bagram, nella provincia centrale afghana di Parwan, e che in
esso non vi sono state vittime o
feriti. «Un nostro veicolo è stato
colpito dall’esplosione di uno ied
nelle vicinanze di Bagram» e che
«nonostante la rivendicazione dei
talebani e le notizie dei media, il
personale della coalizione coinvolto non ha riportato danni».
za immigrazione. Questi i punti
centrali del comunicato finale del G7
dei ministri finanziari e banchieri
centrali, che si è chiuso oggi a Sendai, in Giappone.
Nella nota, diffusa dalla presidenza giapponese del vertice, si annuncia che sulla questione dei tassi di
cambio delle valute è stato raggiunto un accordo per permettere un
maggior equilibrio e prevenire nuove crisi globali. E questo perché
«un eccesso di volatilità e movimenti disordinati dei tassi di cambio
possono avere un impatto negativo
sulla stabilità economica: devono essere evitate svalutazioni competitive» (ovvero l’intenzionale indebolimento della moneta per rafforzare le
esportazioni). Il G7 ha poi messo in
evidenza come il rischio Brexit, la
crisi dei rifugiati e la minaccia del
terrorismo stanno rendendo più
complicata la situazione economica.
Anche per questo — si legge nel comunicato finale — devono essere rafforzate le misure di controllo e di
regolamentazione della finanza.
Parigi conferma i messaggi prima della perdita dei contatti
Fumo a bordo dell’Egyptair
PARIGI, 21. Dall’aereo Egyptair precipitato sono stati inviati messaggi automatici che segnalavano la presenza
di fumo a bordo: lo conferma Bea, l’ufficio di inchiesta
francese per la sicurezza dell’aviazione civile. «Ci sono
stati messaggi inviati dall’aereo che indicavano la presenza di fumo nella cabina poco prima della perdita di
contatti, ma è troppo presto per interpretare e capire la
causa dell’incidente senza aver trovato il relitto e le scatole nere», ha spiegato un portavoce della Bea. Il tratto
di mare dove l'areo si è inabissato viene controllato anche da velivoli che decollano da Sigonella e nelle pros-
sime ore è atteso in zona un ricognitore francese con
sonar e altri macchinari utili alla ricerca delle scatole
nere — che sono state localizzate oggi — fondamentali
per capire cosa sia successo al volo MS804, sparito dai
radar verso le 2.45 di giovedì e inabissatosi dopo misteriose virate. Il ministro degli Esteri francese, Jean-Marc
Ayrault, ha detto che per il momento non c’è «alcuna
indicazione» valida per privilegiare qualche ipotesi.
Certamente non si può escludere che si sia trattato di
un attentato terroristico. L’Airbus A320 è caduto senza
lanciare Sos in condizioni meteorologiche ottimali.
Centinaia le vittime
Migliorano le misure di sicurezza nella capitale libica
Ondata di caldo in India
Verso la riapertura
delle ambasciate a Tripoli
NEW DELHI, 21. Immersa in un’ondata di caldo canicolare senza precedenti, l’India ha toccato oggi nuovi
record di temperatura. A Phalodi,
città nello Stato nordoccidentale del
Rajastan, sono stati registrati 51 gradi di temperatura, il livello più alto
negli ultimi 60 anni.
E non è stata l’unica città a registrare picchi da record: a Bikaner e
Barmer la colonnina di mercurio ha
infatti segnalato 49,5 gradi. Condizioni di caldo inteso, con almeno 45
gradi sono stati segnalati anche nella
capitale. New Delhi, così come in
molti altri Stati dell’Unione.
L’India sta affrontando una delle
peggiori siccità di sempre. L’ondata
di calore, piuttosto abituale in questa parte dell’anno, sta investendo
duramente la parte nord-occidentale
centrale del Paese. Almeno 330 milioni le persone colpite. Il Governo
centrale ha chiesto alla popolazione
di prendere precauzioni, ma solo
nello Stato meridionale di Telangana sono già morte 300 persone. I
servizi meteo hanno lanciato un
nuovo allarme per una ulteriore ondata di calore la prossima settimana.
Un bambino indiano nel fiume Sabarmati (Ap)
Ankara revoca
l’immunità parlamentare
ANKARA, 21. Con una maggioranza
schiacciante il Parlamento turco ha
dato il via libera alla revoca dell’immunità parlamentare, aprendo la
strada a processi e arresti per decine di deputati, soprattutto curdi.
La legge è stata approvata da 376
parlamentari, superando la soglia
dei 2/3 e quindi il rischio di dover
passare per un referendum. Il sì alla norma — proposta dal partito di
Governo guidato dall'Akp — è arrivato anche grazie all’opposizione
nazionalista Mhp e da almeno una
ventina di deputati del socialdemocratico Chp, che ha lasciato libertà
di coscienza. L’emendamento costituzionale prevede la rimozione
dell’immunità dei deputati sotto inchiesta. Al momento sono 139 di
tutti i partiti, per un totale di 682
richieste di autorizzazione a procedere: più della metà a carico dei
curdi. Altri 105 casi dovrebbero ap-
Nel comunicato si fa anche riferimento all’importanza di attuare
strategie fiscali flessibili e all’intesa
sull’orientamento delle politiche
monetarie che devono continuare a
sostenere l’economia e garantire la
stabilità dei prezzi.
Come rilevano gli analisti, al vertice non si è giunti a un’intesa su
misure coordinate per stimolare
l’economia globale, ma ci si è limitati a indicare che bisognerebbe attuare una combinazione di interventi di tipo monetario, fiscale e strutturale. Il segretario al Tesoro statunitense, Jacob Lew, è intervenuto
sulla crisi greca, chiedendo alla Germania di concedere un alleggerimento del debito ellenico. Al termine di un bilaterale con il ministro
delle Finanze tedesco, Wolfgang
Schäuble, Lew ha dichiarato: «Ho
sottolineato l’importanza del fatto
che l’Europa onori l’impegno che
aveva preso in occasione dell’accordo sul nuovo piano di aiuti» che
prevedeva un «alleggerimento significativo del debito».
prodare in Parlamento prima della
ratifica del presidente Recep Tayyp
Erdoğan. Tra i curdi, almeno 50
parlamentari su 59 rischiano di perdere il loro scranno. Alcuni potrebbero finire direttamente in galera,
come previsto per le accuse più gravi di sostegno al Pkk, che sono oltre 200. Una spada di Damocle
possibile in gran parte per la severità della legge antiterrorismo, che
Ankara ha blindato nelle trattative
con l’Ue. La norma approvata dal
Parlamento turco ha suscitato forti
allarmi a livello internazionale. «È
un colpo alla democrazia turca e alla libertà politica», ha denunciato il
presidente
dell’Europarlamento,
Martin Schulz. A sollevare la questione, fanno sapere da Berlino, sarà lunedì anche il cancelliere Angela Merkel nel suo incontro con Erdoğan a Istanbul, a margine del
vertice umanitario dell’O nu.
TRIPOLI, 21. Il Governo di unità
nazionale libico del premier designato, Fayez Al Sarraj «ha i piani
pronti per garantire la sicurezza di
ambasciate e sedi diplomatiche» a
Tripoli. Lo ha dichiarato ieri sera il
generale Abdul Rahman Al Taweel.
«Molti Paesi hanno manifestato attraverso i loro ambasciatori e ministri l’intenzione di tornare a Tripoli,
senza che sia stata fissata alcuna
data, poiché ciò dipende dalle misure di sicurezza e dalla situazione
generale», ha spiegato Al Taweel.
«Stiamo equipaggiando questo apparato perché sia una forza in grado di proteggere le ambasciate», ha
aggiunto il generale libico, assicurando che «una volta che avremo
accertato la sua preparazione, inviteremo le ambasciate a tornare. Ma
nel caso in cui avessimo il minimo
dubbio sul livello di protezione —
ha precisato — lo comunicheremo,
in quanto la protezione delle sedi
diplomatiche sarà responsabilità
dello Stato libico».
Mahdi Al Barghathi, ministro designato della Difesa del Governo di
unità nazionale libico, è arrivato
giovedì a Tripoli a quasi due mesi
da quando, a fine marzo, nella capitale sbarcò il premier con sette
dei nove membri del Consiglio presidenziale. Al Barghathi è un generale dell’esercito, dello stesso esercito nazionale libico del generale
Per indagare sulle violazioni dei diritti umani
Missione dell’Onu in Burundi
BUJUMBURA, 21. Una missione indipendente delle Nazioni Unite è al
lavoro nel Burundi per indagare sulle violazioni dei diritti dell’uomo.
L’Unhcr
(l’Alto
commissariato
dell’Onu per i diritti umani) ha inviato nella capitale burundese, Bujumbura, una équipe per investigare
sulle gravi violazioni che si sarebbero consumate dall’inizio della crisi
in cui è piombato il Paese africano.
La durata prevista della missione è
di quattro mesi.
Il 17 dicembre dello scorso anno,
il Consiglio dei diritti umani delle
Nazioni Unite aveva votato una risoluzione per l’invio «urgente» di
esperti indipendenti, dopo le pesanti accuse di esecuzioni extragiudiziarie e l’esistenza di fosse comuni in
campi militari.
Queste fosse comuni sarebbero
state rinvenute dopo il presunto at-
tacco dei ribelli — che si opponevano alla controversa rielezione per un
terzo mandato del presidente, Pierre
Nkurunziza — ai militari. A riguardo, l’Alto commissario dell’Onu incaricato per i diritti dell’uomo, Zeid
Ràad Al Hussein, aveva giudicato la
situazione «esplosiva», parlando di
«un Paese sul punto di precipitare
nella guerra civile».
I rappresentanti della missione
dell’Onu avranno anche la possibilità di recarsi nei Paesi confinanti con
il Burundi, per raccogliere le testimonianze dei rifugiati burundesi.
Dopo l’annuncio del presidente
Nkurunziza di ricandidarsi per un
terzo mandato nonostante il parere
contrario della Costituzione, elezione avvenuta poi nel giugno scorso
con il 69 per cento dei consensi, il
Paese africano è caduto in una grave crisi caratterizzata da violenze,
che hanno già provocato più di 500
morti e la disperata fuga di oltre
270.000 persone.
Fonti delle Nazioni Unite riprese
dalle agenzie di stampa internazionali hanno, dall’inizio dell’anno, già
registrato oltre 350 casi di tortura e
denunciato numerosi casi di esecuzioni extragiudiziarie e di sparizioni
forzate.
Inoltre, sono cresciuti gli attacchi
da parte di milizie armate contro
esponenti del partito di Governo: il
17 aprile scorso sono stati uccisi
quattro politici che si erano radunati in un bar della capitale, mentre la
settimana precedente era stato colpito a morte un funzionario. Gli attacchi non sono stati rivendicati, ma
fonti governative riprese dall’Afp
hanno dichiarato che i responsabili
potrebbero essere rifugiati burundesi in Tanzania.
Khalifa Haftar, ma è ritenuto avverso ad Haftar, «politicamente abbastanza distante da lui da poter essere accettato da altri gruppi e, quindi, rifiutato da Haftar», come sottolineano gli analisti dell’European
Council of Foreign Relations.
A Tripoli, come nel resto del
Paese in cui le milizie restano un
fattore determinante, la situazione
appare ancora incerta. Il Governo
di Al Sarraj, che manca ancora di
completa legittimazione in assenza
della fiducia del Parlamento di Tobruk, non avrebbe preso il controllo
della sede del ministero della Difesa e Al Barghathi lavorerebbe quindi dalla base navale di Abu Sittah.
Al Barghathi, ha scritto il «Libya
Herald», è arrivato da Ras Lanuf
all’aeroporto di Mitiga dopo colloqui che mercoledì lo avrebbero visto impegnato con Ibrahim Al Jathran, che manterrebbe il comando
della forza di polizia responsabile
dei terminal petroliferi nella Libia
centrale. Al Jathran e i suoi uomini
hanno dichiarato di recente il loro
sostegno al Governo di Al Sarraj,
anche se nei giorni scorsi lo stesso
«Libya Herald» aveva scritto di
una presunta decisione di Al Jathran di «sostenere l’operazione
dell’esercito nazionale libico di
Khalifa Haftar» per «liberare Sirte
dai jihadisti dell’Is», che qui hanno
la loro roccaforte in Libia.
Sanguinosi
scontri tribali
nel Sudan
KHARTOUM,
21.
Violentissimi
scontri tra due clan di una stessa
tribù nel sud del Sudan hanno
causato questa settimana decine di
morti. Secondo l’emittente indipendente Shorouk, almeno 37 persone hanno perso la vita nello
scontro tra rami della tribù Hamar, di etnia araba, nello Stato
del West Kordofan. Alla base delle tensioni tra le due fazioni ci sarebbe una disputa su furti di bestiame. E la grave crisi economica
colpisce anche il confinante Sud
Sudan dove dall’inizio dell’anno
almeno sessantanovemila persone
sono scappate proprio in Sudan a
causa della penuria alimentare e ai
combattimenti in corso. Lo ha reso noto l’Onu. Il Paese è colpito
da una guerra civile che ha provocato decine di migliaia di morti.
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 4
domenica 22 maggio 2016
Una santa estrema nel rapporto artistico e intellettuale tra Yves Klein e Dino Buzzati
«Cessione da parte di Yves Klein a Dino Buzzati
della Zona di sensibilità pittorica immateriale Serie n. 1,
Zona n. 5» (Parigi, Pont-au-Doble, 26 gennaio 1962,
foto Shunk-Kender © Roy Lichtenstein Foundation, per
gentile concessione di Philippe Siauve, Yves Klein Archives)
Miracoli senza limiti
di PATRIZIA DALLA ROSA
el racconto di Dino
Buzzati Dove fui giovane stregone, del 1939, il
giornalista narratore riconosce in Africa, in un
incontaminato paesaggio dei primordi, e come tale in grado di ridestare
sue indelebili visioni d’infanzia, il
luogo in cui, bambino, stava per subire il supplizio di uomini selvaggi,
quando alle sue urla accorsero amici
lupi a liberarlo. «Oggi potrei emettere tutte le urla immaginabili e non
succederebbe niente», si legge nel
pezzo africano di Buzzati. Le urla
dell’adulto rimarrebbero non solamente inascoltate, ma inudibili, vuote
come sono di quella fede, di quella
candida adesione, di quell’abbandonica arresa al non visibile che connotano il bambino. L’uomo-bambino,
infatti, o il poeta, sanno di essere immersi nel mistero (etimo: «chiudersi,
esser chiuso»), e perciò chiudono occhi e bocca intuendo di essere in presenza di qualcosa di più grande.
Quando il bambino Buzzati
s’inoltrava nel mondo naturale del
greto e dei fondali del Piave e le savane dell’infanzia, lo immagino anelare, come un riparo, a qualcosa di
permanente, a un pre-esistente eterno di cui sentiva nostalgia, che lui
intuiva forse nella percezione di
N
un’appartenenza a uno stesso mondo minerale: l’attinenza del corpo
con l’acqua, ma perfino con le stesse
montagne, anch’esse, in fondo, generate da misteriose energie, spinte alla
superficie del mondo a nascere con
fatica, piegate in corrugamenti che
parlano di sforzo di consolidamento
e tentativo di permanere. Fisicità,
dunque, perché nel mistero si è immersi. E la fede non è in un “al di
là”, ma in questo fisico essere immersi nel mistero per tramite di una
natura che il sentire aurorale dell’infanzia abbaglia di infinito.
L’adultità divora quel sentire primo, e allora si rompe l’alleanza con
il pulsare del più vero reale. È di
questo che Buzzati ha narrato (con
parole e immagini) per tutta la vita.
È il tema centrale de Il segreto del
bosco vecchio, ma la sua intera opera
non cessa di indicarci questa interruzione del linguaggio originario, con
il quale il bambino è in sintonia.
Benché, adulto, Buzzati non riesca
ad avere ancora «quell’animo lì»,
tuttavia il suo è un non congedo
dall’infanzia, che si esprime in termini di permanente apertura al mistero. Poiché la fede nel mistero non
solamente lo permea per tutta la vita, ma pure non cessa di esserci indicata con la sua opera, fino alla fine.
Sulla pagina letteraria il mondo
dell’infanzia è mostrato come irraggiungibile. In quello straordinario
racconto che è Il borghese stregato,
Buzzati mette in scena come l’adulto
paghi duramente la colpa dell’incur-
Relazioni possibili
È in corso fino all’8 giugno al Palazzo Crepadona di Belluno la
mostra di Luigi Manciocco «Relazioni possibili», curata da Angela
Madesani. L’esposizione è incentrata sul tema del misticismo sacro, in
particolare nel rapporto artistico e intellettuale tra Yves Klein e Dino
Buzzati, con particolare riguardo a santa Rita da Cascia e all’influenza
di questa figura sull’opera dell’artista francese e dello scrittore
bellunese. Pubblichiamo un intervento dal catalogo.
sione nell’infanzia con un desiderio
che viola la realtà: “stregato” (o stregone), infatti, è il personaggio: non
c’è stata fluidità in quell’incursione,
che tocca solamente il personaggio,
il quale è colpito, e muore, mentre
lo scrittore torna incolume, resta al
di qua. Intuisco dolore nella pagina
letteraria di Buzzati, certo profondissimo (in fondo è dalla dualità Belluno-Milano / infanzia - età adulta
che nasce), ma vi si può riconoscere
anche ironia, basti pensare a come
l’autore si esprime in quel delizioso
racconto che è Il lasciapassare, dove
sulla pretesa «unidimensionalità»
dell’artista il narratore scherza, appunto, con finissima ironia.
L’istintuale pittura gli concede
maggiore immediatezza. Con il ciclo
narrativo pittorico de I miracoli di Val
Morel Dino Buzzati torna a riappropriarsi pienamente di un linguaggio
che per tutta la vita gli era in qualche
modo stato negato: il disegno, la pittura, il fumetto. E lo fa, non a caso —
lui che ha sognato tutta la vita di tornare «ragazzo libero» — ritornando,
anche fisicamente, ai prati e ai boschi
della sua infanzia: luoghi-tempo di
svelamento-ascolto. Buzzati disperatamente persegue il sentire di quel
bambino che, come ha osservato Andrea Zanzotto, sapeva «che esistono
“vite del gran tutto” riflesse in mille
raggi nelle mille luci del paesaggio».
E il meraviglioso-meravigliante “vecchio Toni della Santa”, custode di un
fantomatico santuario in Val Morel
nel racconto Spiegazione, non è altro
che l’alter ego di Buzzati. Quando
dell’età prima i macigni della guerra
e del divenire adulto hanno finito
con il serrare anzitempo il vedere
senza finitezza, Buzzati torna a cercare il vecchio del piccolo santuario,
ma non lo trova più. Il commovente
grido «dove sei, vecchio Toni della
Santa?» corrisponde a: «Dove sei,
colui che sentiva?».
Yves Klein sì che sentiva. «Meravigliosamente insensibile alla razionalità del nostro mondo», scrive di
lui Buzzati. Rimasto bambino, con
la fede nell’immenso mistero più vicino a sé che il tangibile, mistero più
sentito di ciò che necessita del concreto per essere sentito, mistero fidato come un bene fidato. Non mi stu-
fidare al fuoco la ricevuta dell’acquisto di una «zona di sensibilità immateriale» mentre Klein sparge nelle
acque del fiume il ricavato della vendita, sotto forma di alcuni foglietti
d’oro puro, affinché il corrispettivo
materiale tornasse nell’acqua e nel
vento. Buzzati ha di certo riconosciuto in questo artista il puro poeta
Un’illustrazione da «I miracoli di Val Morel» di Dino Buzzati
pisce che santa Rita da Cascia abbia
veramente esaudito le sue preghiere,
e che ora alle sue opere, come lui
chiedeva alla santa, sia realmente tributata l’attenzione e la contemplazione per ciò che è puro, frutto di irripetibile atto creativo.
Nella celebre foto che ritrae i due
artisti sul Lungosenna, Buzzati ha
un sorriso di tenera adesione nell’af-
che lo abitava. Così come sa che
Yves Klein con la sua pittura e la
sua arte immateriale può rendere
percepibile anche il non visibile,
Buzzati sa che ciò che perdiamo da
adulti è la percezione del reale nella
sua forza più immensa e più vera, a
riprova che, oltre le sue urla inudibili, mai si è inceppato in lui il credere
nel mistero.
Rita
e Costantino
Alle frontiere della fede
Porta giubilare a Pigalle
di MARTIN STEFFENS
di GAUTHIER VAILLANT
al 1956 la Cappella di
Santa Rita conserva una
presenza della Chiesa nel
quartiere parigino di sexshop e cabaret e attira
molte persone, affascinate dalla patrona delle cause disperate. Domenica,
in occasione della festa della santa
italiana, più di un migliaio di persone
sono attese nella cappella che sarà
per un fine settimana un “luogo giubilare”, con una porta santa della misericordia e una processione nel quartiere. Solo un albergo dalla facciata
sbiadita separa la Cappella di Santa
Rita dalla vetrina di un sex-shop, con
la sua immancabile insegna gracchiante al neon. Una tra tante altre, a
D
Patrona
delle cause disperate
«La Croix» ha pubblicato, nei numeri del 20
e del 21-22 maggio, due articoli sulla
popolarissima patrona delle cause disperate
che riproponiamo in questa pagina in nostre
traduzioni.
Pigalle, il quartiere parigino ad alto
tasso di zolfo. Di fronte, le pale del
Moulin Rouge girano sulla Place
Blanche per la felicità dei turisti.
A eccezione di una vetrata e del
suo nome scritto a lettere nere sul
muro di un palazzo anonimo, nulla fa
immaginare la presenza di un luogo
di culto tra i pub e i cabaret. E neppure che una manciata di cattolici sia
lì riunita, in pieno pomeriggio, per
adorare il Santissimo Sacramento.
Uno di loro, pur abitando nel quartiere, ammette di averci messo anni
prima di scoprire l’esistenza della
cappella.
Dal 1956 santa Rita è una presenza,
voluta all’inizio per le prostitute del
quartiere, ma i cui frequentatori sono
oggi i più svariati. Anche il quartiere
è cambiato. «Quando ero bambino,
c’era una ragazza ogni venti metri»
ricorda padre Pierre-Olivier Picard,
cappellano del luogo, i cui nonni vivevano lì. Se la prostituzione e i sexshop non sono scomparsi da Pigalle,
moltissimi bar apprezzati dai giovani
parigini alla moda e salaci attrazioni
per turisti ne hanno cambiato la fisionomia.
La Cappella resta comunque attiva
nell’accoglienza delle prostitute. Ma
non se ne parla molto, per discrezione. «Anche le ragazze del Bois de
Boulogne ci conoscono» assicura padre Picard. «Ho persino visto diverse
volte dei travestiti», racconta Gabrielle, che fa la volontaria da dodici
anni.
Ma la Cappella deve la sua popolarità anche a santa Rita, patrona delle cause disperate, che attira una
grande varietà di persone, a volte lontane dalla Chiesa. «Ci sono miliardari, artisti, musulmani», elenca padre
Picard. Il fascino che santa Rita esercita può sconfinare nella superstizione, anzi nell’esoterismo, aggiunge. «A
volte sono i medium a mandarmi le
persone» prosegue il cappellano. «Altri vengono per chiedere preghiere di
liberazione. Il rischio dell’idolatria è
molto reale, siamo alle frontiere della
fede».
Anche quando vengono per l’adorazione o la messa, i fedeli di santa Rita
non entrano né escono mai dalla cappella senza fermarsi prima davanti alla
statua vicino alla porta. Si fanno il segno della croce, la toccano e poi accendono ceri sui porta candele già sovraccarichi. Ai suoi piedi una cesta tra-
bocca di intenzioni di preghiere scritte
su pezzetti di carta. In ginocchio davanti alla statua, una ragazza in lacrime bisbiglia una supplica in spagnolo.
Ci sono persone che vengono per
chiedere qualcosa, altre che sono già
state esaudite. Dire che queste ultime
sono convinte del potere della santa è
un eufemismo. «Prova, vedrai!», sfida
Rita, con un nome adeguato alla circostanza: una hostess di 27 anni, imbattibile sulla vita della santa patrona. Jocelène, 60 anni, viene qui ogni
mercoledì dall’Hauts-de-Seine. «Venti
anni fa, una collega mi ha consigliato
di dire una novena a Santa Rita». È
stato allora, assicura, che il suo ex
marito si è riavvicinato a lei. «E non
era quello che avevo chiesto a santa
Rita, perché avevo già trovato un altro “principe azzurro!”».
C’è anche Alexandra, guarita da un
tumore al seno, o Carla, che veniva
picchiata dal marito. Oggi, questa
portinaia di 36 anni, giocherellando
con il suo rosario, racconta la sua
conversione, dopo essere entrata
nella cappella «spinta dalla più
profonda disperazione». Ora ci
viene tutti i giorni a messa.
«Non posso più farne a meno».
In occasione della festa di
santa Rita, la cappella sarà per
tutto il fine settimana un
luogo giubilare, con una
porta santa della misericordia e una processione nelle
strade del quartiere. Lo ha
deciso il cardinale André
Vingt-Trois, arcivescovo di
Parigi, su suggerimento di
padre Picard. «L’idea non è
mia — precisa quest’ultimo
— ma di Papa Francesco,
che ha detto che le più
grandi figure di misericordia sono per lui suor
Faustina, padre Pio e santa
Rita».
La statua di santa Rita nella cappella a lei dedicata
nel quartiere parigino di Pigalle
Il 21 maggio festeggiamo Costantino.
L’idea che questo bel nome nasconde fa
fremere gli uni, esultare gli altri. Quanti
fremono denunciano nel “costantinismo”
l’infelice incontro tra la fede cristiana e il
potere politico. L’imperatore Costantino,
convertito al cristianesimo, pose anzitutto
fine alle persecuzioni e poi, favorendo la
Chiesa, aprì l’era della cristianità. Gli
altri, nostalgici, deplorano il legame che
univa a quel tempo i poteri temporale e
spirituale.
Ebbene, quando si guarda alla vita di
Costantino, la prima cosa che si vede è
una persona. O piuttosto due: c’è sua
madre Elena, ripudiata dal marito quando
divenne imperatore e riabilitata dal figlio.
Con lo scettro in mano, Costantino diede
grande risalto alla fede ricevuta da sua
madre, come sant’Agostino diede a quella
di Monica la bellezza della sua penna. A
meno che non sia il contrario: non è
impossibile che sia stato Costantino a far
convertire la madre, come fece san
Martino con la sua.
Che importa. Costantino è innanzitutto
una storia d’amore. E una testimonianza:
un convertito, è più forte di lui, fa del
tutto per esprimere Gesù là dove è. Se è
macellaio, tra il banco e la cella
frigorifera; se è gallerista, nell’esporre
l’arte cristiana. Se è imperatore, è chiaro,
l’effetto della conversione è enorme. Ma si
può impedire a Costantino di esercitare il
suo mestiere e di farlo nella luce di
Cristo?
Costantino non è né la vocazione della
Chiesa a dominare il mondo né una falsa
via che si sarebbe dovuta evitare. Solo la
generosità di un Dio che tocca il cuore
dei poveri e non dimentica nessuno,
anche tra quelli che governano. Nei piani
di Dio, non so se c’era la cristianità, ma
c’erano Elena e Costantino.
E per quanti non comprendono e si
disperano per i rapporti tra religione e
politica, il 22 festeggiamo santa Rita.
domenica 22 maggio 2016
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 5
Il Monastero Bianco
a Sohag
In un padre del deserto contemporaneo
La forza
della debolezza
Da quel primo incontro, sia io che
diversi miei fratelli siamo tornati più
volte a Deir Abu Makar, per confrontarci con una testimonianza monastica che ci riporta all’essenziale
della nostra vocazione, per abbeverarci alle sorgenti del monachesimo
cristiano — non si dimentichi che in
quei medesimi luoghi i monaci sono
presenti ininterrottamente dal IV
secolo — e per cercare di leggere insieme ad altri fratelli nella fede «ciò
che lo Spirito Santo dice alle
chiese».
Tutto questo fino al dono inaspettato e immeritato che la bontà del
Signore ha voluto farci sul finire dello scorso anno: in settembre la partecipazione di Anba Epiphanius qui
a Bose al convegno annuale di spiritualità ortodossa dedicato alla beatitudine dei misericordiosi, il suo vivere, muoversi e parlare in mezzo a
noi come un fratello
nella fede e un padre
nella vita monastica.
Poi nel mese di dicembre
in
Egitto
l’evento di grazia che
ha superato ogni nostra attesa: Markos, il
«Matta el Meskin, un padre del deserto
nostro novizio copto,
contemporaneo (1919-2016)» è il tema
ha ricevuto con la bedel convegno internazionale di
nedizione del Patriarca
spiritualità che si svolge nel monastero
Tawadros l’abito modi Bose il 21 e il 22 maggio. L’incontro,
nastico dalle mani di
organizzato in collaborazione con il
Anba Epiphanius ed è
monastero egiziano di San Macario il
stato quindi sigillato
Grande, intende porre l’accento
un autentico gemelsull’eredità umana e spirituale, a dieci
laggio spirituale tra i
anni dalla scomparsa, di una delle
nostri due monasteri.
maggiori figure della Chiesa copta
Dagli incontri fraortodossa. Pubblichiamo l’intervento
terni con i monaci di
del priore di Bose che ha aperto il
San Macario è sempre
convegno.
emersa in tutta la sua
trasparenza una vita
che ha come fondamento il nutrimento
San Macario a Wadi el Natrun e di quotidiano della parola di Dio, uniincontrarvi l’autore della traduzione co cibo che sostiene la speranza del
francese, abuna Wadid, un ingegne- regno di Dio. «Quando chiesi a
re cattolico che, desideroso di ab- Matta el Meskin di insegnarmi a
bracciare la vita monastica e non tro- pregare — mi confidò una volta un
vandone la possibilità all’interno monaco — l’abba mi disse di dargli
della sua chiesa copto-cattolica, ven- la mia Bibbia. Aprì il libro, cercò
ne accolto a San Macario nel pieno l’inizio della Lettera agli Efesini, si alrispetto della sua identità confessiozò, levò gli occhi al cielo, lesse ad
nale, fino a divenire uno dei monaci
più vicini al cuore di Matta el Me- alta voce il primo versetto, tacque,
ripeté due volte ogni parola, poi riskin.
Pochi mesi fa sono venuto a sape- lesse tutto daccapo. Passò al versetto
re che proprio la traduzione in fran- seguente, alzò la voce, supplicò Dio
cese di quel testo sull’unità dei cri- di perdonarlo, canticchiò il versetto,
stiani era stata all’origine del primo la ripeté a bassa voce, alzò le mani,
incontro tra Wadid e abuna Matta el pianse... E fece così fino alla fine del
Meskin a Wadi Rayyan... Ma su capitolo. Si era completamente diquesto intenso legame
fraterno ascolteremo la
voce di fr. Wadid stesso che, pur nell’impossibilità di essere tra
noi fisicamente, non
ha voluto far mancare
il suo contributo ai
nostri lavori.
A San Macario fervevano i lavori di ricostruzione. Matta el
Meskin, dopo aver diretto personalmente il
progetto, l’impostazione e l’esecuzione degli
interventi
principali,
viveva ormai in disparte,
dedicandosi
unicamente alla preghiera e alla paternità
spirituale nei confronti
dei suoi monaci. A
chi, come me, chiedeva di incontrarlo, faceva rispondere che la
sua persona non era
importante e che solo
l’incontro con il Signore restava fondamentale per ogni cristiano e per ogni monaco. Ma la sua parola giungeva attraverso il vissuto dei menticato della mia presenza accansuoi monaci — parabola vivente di to a lui!».
cosa significa la sequela cristiana
A un giornalista che lo interroganella via monastica — e per me in va sulle origini del proprio cammino
particolare grazie ai dialoghi fraterni monastico, abuna Matta el Meskin
con fr. Wadid, uomo di pace e di ac- rispondeva: «La mia vita è una procoglienza, capace allora come oggi fonda relazione tra Dio e me. Ho
di trasmettere a quanti lo accostano cominciato da solo. Lo scopo è stato
l’intensa ricerca della comunione quello di offrire la mia vita al Signonell’amore che arde in lui come ar- re: questo l’ho capito e deciso grazie
deva nel suo padre spirituale.
a una lettura continua della Bibbia.
di ENZO BIANCHI
el tardo autunno del
1969, quando l’embrione di questa comunità
monastica di Bose contava appena quattro
fratelli e una sorella, scoprii un testo
di abuna Matta el Meskin tradotto
in francese e non ancora pubblicato:
L’Unité chrétienne. Rimasi folgorato
dalla lucidità profetica di quelle parole e volli tradurle e pubblicarle in
Italia su una piccola rivista, Lettere
’70, che raccoglieva le riflessioni spirituali di alcuni cristiani di diverse
confessioni stimolati dalla «novella
Pentecoste» del concilio Vaticano II.
Uscì nel numero di febbraio del 1970
con il titolo Ecumenismo o coalizione?
Pochi anni dopo, a metà degli anni Settanta, ebbi la gioia di visitare
per la prima volta il monastero di
N
Matta el Meskin
Antico e Nuovo Testamento mi hanno concesso di costruire la mia vita
su un fondamento solido. Mi sono
chiesto: come potrò donare tutta la
mia vita al Signore in questi pochi
anni che ho da vivere? Come potrò
realizzare nella mia esistenza ciò che
hanno vissuto le persone della Bibbia? Ho pensato che la mia vita fosse troppo breve per poter assimilare
questo libro. Allora ho tentato, nella
preghiera e con molte lacrime, di capire questi uomini dell’Antico Testamento e, poco alla volta, mi sono diventati familiari: mi sono adattato a
loro, e ora essi vivono in me e io in
loro. Come essi hanno vissuto la loro relazione con Dio, così anch’io
oggi. Nei libri dell’Antico Testamento ho sperimentato l’amore di Dio,
la sua severità, la sua pedagogia, la
sua bontà. Giorno e notte ho letto la
Bibbia, affinché diventasse la mia
propria carne e il mio sangue. Poi
sono passato al Nuovo Testamento,
che è stato per me un libro luminoso. Ho capito che il Signore è la luce del giorno, e Cristo la stella della
pace. Antico e Nuovo Testamento
mi collegano a Dio: la mia vita, il
mio pensare, il mio amare non è al-
bo quotidiano nella lettura, nello
studio, nella contemplazione. Così
era solito ripetere abuna Matta:
«Quando leggiamo un apoftegma, a
noi deve accadere questo: prima lo
Spirito ci convince che la loro esperienza è vera, poi dobbiamo lottare
per fare nostra questa loro esperienza, perseverando nella
lotta fino alla morte,
cioè pronti a morire
Ardente fautore di un’unità dei cristiani
per rimanere fedeli al
comandamento che lo
non si stancò mai
Spirito ci ha dato.
di ricercare vie di pace e di comunione
Morire per mettere in
pratica nello Spirito
un comandamento del
tro che la Sacra Scrittura. Il resto Signore: questo è il vero martirio.
non mi interessa più».
Ma colui che è pronto a morire sarà
Ma la Scrittura giunge attraverso salvato dal Signore e non morirà,
una tradizione ed è per questo che — perché il Signore stesso è morto per
accanto a essa — i detti degli abba noi. Se il monaco, prima ancora di
del deserto e le opere dei padri della ricevere l’abito, è pronto a rimanere
chiesa sono per i monaci di Scete ci- incondizionatamente fedele, fino alla
morte, se non ha paura della morte,
allora la sua vita monastica sarà spiritualmente riuscita. Ma se teme per
il suo corpo, se rifiuta di correre rischi, allora la sua vita monastica sarà
molto penosa. Peggio ancora: sarà
assai difficile per lui essere trasformato dallo Spirito in un uomo
nuovo».
È in questa medesima ottica di
morte e risurrezione che abuna Matta el Meskin collocava anche il suo
sforzo quotidiano di conformarsi alla
volontà del Signore che, alla vigilia
della passione, aveva pregato il Padre perché i suoi discepoli fossero
«una cosa sola». Ardente fautore di
un’unità dei cristiani fondata non
sulla spinta affettiva o sulla tendenza
opportunistica alla coalizione, bensì
sulla forza della debolezza — come
ben dimostra quel profetico scritto
della fine degli anni Sessanta — padre Matta el Meskin non si è mai
stancato di ricercare vie di pace e di
comunione che trovano la loro origine nel comune sottomettersi alla volontà di Dio. Ancora nella mia ultima visita a San Macario a inizio di
questo secolo, sapendo del peggioramento delle condizioni di salute di
abuna Matta, chiesi di poterlo vedere. Fr. Wadid tornò da me con il suo
consueto volto radioso e mi riferì
che il padre mi salutava con affetto e
mi invitava ancora una volta all’essenziale: restare saldamente attaccati
a Gesù Cristo e alla sua Parola.
Diversità e comunione
La verità si rivela insieme
Pubblichiamo il testo integrale di un articolo
del priore di Taizé uscito su «Réforme» del
19 maggio scorso.
di
FRATEL
ALOIS
l motivo che portò nel Novecento
alla nascita dell’ecumenismo fu
quello di evitare una competizione
confessionale nella missione. Oggi
la prospettiva è diversa: come cristiani,
siamo capaci di camminare insieme con
le nostre differenze per essere fermento
di pace nell’umanità? Per aiutare l’umanità a essere una sola famiglia, possiamo
mostrare che l’unità è possibile nel rispetto del pluralismo? All’approssimarsi del
quinto centenario della Riforma, credo
sia fondamentale approfondire questa riflessione.
La diversità delle Chiese è a volte vista
come un’opportunità per raggiungere il
maggior numero possibile di persone.
Senza alcun dubbio, le nuove comunità
che sono emerse nella storia o che stanno
emergendo oggi rispondono alle aspirazioni di persone che amano sinceramente
Cristo. Ma non possiamo dimenticare
che, attraverso la sua croce e la sua resurrezione, Cristo ci ha uniti in un solo corpo. Da allora non vi è nulla che possa
veramente giustificare le nostre prese di
distanza gli uni dagli altri.
Un atteggiamento gentile nasconde, a
volte male, i giudizi reciproci e il rifiuto
di riconciliarsi. I dialoghi ufficiali vanno
avanti, ma capita anche che sottigliezze
teologiche servano a giustificare le separazioni. Ora, i giovani in particolare — e
a Taizé possiamo testimoniarlo — hanno
sete di senso e di orientamento. Non
possiamo offrire loro ancora a lungo la
confusione delle nostre divisioni.
I cristiani sono posti di fronte a questa
esigenza: la comunione tra tutti coloro
che amano Cristo si può stabilire solo se
si rispetta l’altrui diversità; ma può offrire
un vero orientamento solo se è visibile.
Abbiamo bisogno di un nuovo punto di
partenza per avanzare verso una simile
diversità riconciliata.
Troppo spesso il punto di partenza è
stato l’analisi delle divisioni. Forse in una
fase preliminare questo era necessario.
Ma il punto di partenza doveva essere
Cristo, che non è diviso. Dietrich
Bonhoeffer scrive: «È solo attraverso Gesù Cristo che si è fratelli gli uni degli altri (…) È solo attraverso Cristo che ci apparteniamo gli uni gli altri, ma attraverso
Cristo la nostra appartenenza reciproca è
reale, integrale e per l’eternità».
Prendiamo questo punto di partenza!
Cristo risorto riunisce in una sola comunità uomini e donne di ogni orizzonte,
I
lingua e cultura, e persino nazioni nemiche. È un punto di partenza che obbliga
i cristiani a ricercare la loro comunione
visibile.
Da ciò deriva una proposta: le Chiese
non dovrebbero forse osare mettersi sotto
uno stesso tetto, o sotto una stessa tenda,
ancor prima che sia stato trovato un accordo su tutte le questioni teologiche?
Ciò significa innanzitutto che dobbiamo
pregare insieme più regolarmente, non
solo una volta all’anno o in modo del
tutto eccezionale! Accogliamoci più spesso. Le nostre comunità locali, di diverse
confessioni, avrebbero tanto da ricevere
le une dalle altre. Potremmo anche abituarci a fare più cose possibile insieme e
a non fare nulla senza tener conto degli
altri? Il recente sinodo della Chiesa protestante unita di Francia a Nancy ha offerto un esempio di questo, tenendo conto della dimensione ecumenica nella revisione della traduzione del Padrenostro.
Tra le Chiese ci saranno sempre delle
differenze; queste resteranno una sfida e
un invito a dialogare in modo franco; così possono essere un arricchimento. Ma
non è giunto il momento di dare la priorità all’identità battesimale comune a tutti? In tutte le Chiese a essere messa al
primo posto è stata l’identità confessionale. Ci si definisce in primo luogo come
protestanti, cattolici od ortodossi. In realtà, è all’identità battesimale che bisognerebbe dare la priorità.
Una famiglia abita una casa comune.
Se tutti i cristiani formano una famiglia,
Di solito ci si definisce
in primo luogo come protestanti
cattolici od ortodossi
Ma è all’identità battesimale
che bisognerebbe dare la priorità
la cosa più normale non è forse vivere come sotto uno stesso tetto, senza aspettare
che tutti i punti di vista siano pienamente armonizzati? «Quanto è buono e
quanto è soave che i fratelli vivano insieme!» (Salmi, 133, 1). Fu quando erano
riuniti sotto lo stesso tetto della camera
alta di Gerusalemme che gli apostoli e
Maria, e alcuni altri uomini e donne, ricevettero il dono dello Spirito Santo. E
lo Spirito Santo ci unisce sempre.
Avremo il coraggio di camminare insieme verso la verità, insieme e non isolatamente? Di fatto la verità si rivela solo
nell’incontro d’amore. La storia di Pietro
e di Cornelio (Atti degli apostoli, 10-11) lo
L’Agnello (Taizé, chiesa della Riconciliazione)
dimostra. È l’incontro a svelare una verità
che era sconosciuta a entrambi.
In Cesarea un angelo dice a Cornelio,
centurione romano, di far cercare Pietro,
senza sapere per quale fine. Allo stesso
tempo, a Giaffa, Pietro ha un strana visione: è invitato a mangiare ogni sorta di
animali che un ebreo non ha il diritto di
mangiare. Né Pietro né Cornelio capiscono il senso della loro visione.
È solo quando Pietro accompagna i
messaggeri di Cornelio e si ritrova dal
centurione romano che comincia a capire:
la sua visione voleva dire che «non si deve dire profano o immondo nessun uomo». È dunque legittimo che vada da
quel romano. Allora gli dice quel che sa
di Dio e di Gesù. Ed ecco che, tra lo stupore generale, lo Spirito Santo viene donato a Cornelio e ai suoi, come era stato
donato a degli ebrei a Pentecoste.
Né Pietro né Cornelio conoscevano in
anticipo la verità che si sarebbe rivelata.
È stato necessario che s’incontrassero attorno a una stessa mensa e sotto lo stesso
tetto perché la verità si manifestasse.
Ciò è vero anche per noi oggi: è solo
insieme che scopriamo la verità, e allora
l’incontro ci trasforma. Questa trasformazione può essere dolorosa quando mette
a nudo le nostre resistenze, i nostri rifiuti
nascosti, i nostri giudizi sugli altri. Ma è
soprattutto una festa quando l’esperienza
di un’accoglienza incondizionata ci svela
la verità del Vangelo, l’amore incondizionato di Dio. Questa verità non può rivelarsi finché ognuno resta dalla propria
parte. Ecco una scoperta che potremmo
fare insieme in occasione dell’anniversario del 2017.
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 6
domenica 22 maggio 2016
Il tempio buddista
di Borobudur
Il patriarca Cirillo sulle relazioni con la Chiesa cattolica
Positiva
dinamica
dal nostro inviato
MARCO BELLIZI
Al numero 7 di Jalan Katedral, a Jakarta, c’è la cattedrale cattolica di
Santa Maria Assunta. Se uscendo
dal cortile alberato che costeggia
l’edificio si attraversa la strada, e si
ha la fortuna di passare indenni tra
gli stormi di ciclomotori cavalcati
anche da quattro passeggeri alla volta, ci si trova di colpo nella moschea
di Istiqlal. I due luoghi di culto sono così vicini che, per un costume
ormai consolidato, l’arcivescovo cattolico e l’imam, dopo le celebrazioni, prima di tornare alle loro rispettive dimore attraversano la strada e
si fermano per un breve saluto, che
si protrae in occasione delle ricorrenze religiose più importanti. Non
sembra molto. Eppure, dalla possibilità che questa abitudine duri il
più a lungo possibile dipende buona
parte del futuro dei rapporti fra
islam e cristianesimo e, più in generale, fra islam e mondo occidentale.
Perché la frontiera che separa il dialogo dall’odio oggi passa per l’Indonesia ancor più che da Siria, Iraq o
Nigeria, e più che da Parigi o Bruxelles. In Indonesia, Paese con circa
258 milioni di abitanti, vive la comunità musulmana più numerosa al
mondo. È evidente che la direzione
che essa vorrà prendere, da che parte della frontiera deciderà di stare,
sarà un elemento decisivo non solo
per il futuro del sud-est asiatico.
Qui, insomma, si gioca una partita fondamentale. Ed è una partita
tutta interna al mondo islamico, non
solo tra le due grandi famiglie dei
sunniti e degli sciiti ma tra una visione moderna, tollerante e pacifica
dell’islam e il flusso carsico dell’odio
fondamentalista. L’Indonesia è il
Paese della convivenza. Lo è da
sempre. Bhinneka Tunggal Ika è il
motto della nazione: «Unità nella
diversità». Lo ripete ogni indonesiano che parla della patria, quasi come fosse una carta d’identità. E ogni
indonesiano lo pratica e lo vive ogni
giorno, studiando, passeggiando e
pregando l’uno accanto all’altro, cristiani con musulmani, buddisti con
induisti. Ma un Paese con 258 milioni di abitanti, di cui l’80 per cento
islamici, fa gola a chi cerca soldati.
Gli attentati che hanno colpito Jakarta il 14 gennaio scorso, quando la
città è stata preda per qualche ora di
una serie di esplosioni e sparatorie
che hanno provocato la morte di
sette persone e il ferimento di altre
ventitré, sembra aver segnato la fine
dell’età dell’innocenza per questa
nazione altrimenti tranquilla, cordiale, accogliente. E hanno messo in allarme Governo, amministrazioni locali e comunità religiose, impegnati
da sempre in un dialogo costante e
continuo.
A essere preoccupati sono in primo luogo i cristiani, soprattutto dopo che gli attentati sono stati rivendicati dal sedicente Stato islamico.
Grigorius Sri Nurhartanto, rettore
dell’università Atma Jaya di Yogyakarta, in Java centrale, un ateneo
fondato da laici cattolici ma aperto
a tutti gli studenti, non ha difficoltà
ad ammetterlo: «Sono molto preoccupato. Ci sono persone che cercano
di inserirsi in luoghi pacifici per
creare tensioni. Ma io credo molto
nella forza dell’educazione. Qui noi
cerchiamo prima di tutto di crescere
degli uomini, dandogli dei valori. È
l’unica strada possibile». Novian, 20
anni, musulmano, studia all’Atma
Jaya e sembra avere idee molto chiare su cosa sia il fondamentalismo
islamico e su cosa possa convincere i
suoi coetanei ad arruolarsi nelle organizzazioni estremiste: «Sono persone che non hanno niente, non ricevono abbastanza cure dalla famiglia, non hanno strumenti per capire
e non interpretano correttamente
l’islam. Dicono di rispondere al
jihad. Ma per me si può fare jihad
anche studiando».
Non è il solo a pensarla in questi
termini. Il caso dell’Indonesia è unico, soprattutto per la presenza di
due enormi organizzazioni islamiche
moderate, Nahdlatul Ulama e
Muhammadiyah, in passato concorrenti ma ora grosso modo sulle stesse posizioni. Il primo movimento,
moderno, convinto assertore dell’importanza
della
formazione
e
dell’azione sociale, si è evoluto nel
corso del tempo fino a diventare,
con i suoi 23.000 collegi e quattro
milioni di studenti, il portabandiera
dell’Islam Nusantara (l’islam dell’arcipelago), vale a dire un islam nazionale,
proprio
dell’Indonesia.
All’indomani degli attentati di Jakarta, il Nahdlatul Ulama ha orga-
Passa anche per l’Indonesia il futuro del dialogo tra le religioni
Sulla stessa strada
nizzato nel Paese due summit
dell’Organizzazione della cooperazione islamica, ai quali hanno partecipato circa cinquecento leader moderati provenienti da settanta nazioni. Tra essi c’era il vicepresidente
della Repubblica, Jusuf Kalla, a nome del capo dello Stato Joko Widodo, eletto il 9 luglio 2014 grazie anche all’appoggio dei cattolici, che
rappresentano circa il 4 per cento
della popolazione. “Jokowi”, come
viene chiamato confidenzialmente, è
musulmano. Dopo gli attentati ha
subito rassicurato non i cristiani ma
tutta la popolazione, a dimostrazione del fatto che la minaccia contro i
fedeli di una religione, in Indonesia,
è una minaccia rivolta a tutti. «Il
dialogo con il presidente — conferma padre Augustinus Ulahayanan,
segretario esecutivo della Commis-
sione per gli affari religiosi ed ecumenici della Conferenza episcopale
indonesiana — è costante. E noi cattolici siamo dei consiglieri particolarmente apprezzati per la nostra disponibilità a contribuire al benessere
del Paese».
Del resto, il rapporto fra religione
e nazione in Indonesia assume
un’identità che non è quella classica
riferibile alla categoria dello Stato
confessionale. «Il fatto è — spiega
l’arcivescovo di Jakarta, Ignatius
Suharyo Hardjoatmodjo — che gli
indonesiani si sono confrontati a
lungo tra loro sulla possibilità di
avere una religione di Stato. Ma poi
hanno deciso che dovevano avere
una sola lingua e una sola cultura.
Ma non una sola religione». Così, la
Pancasila, la filosofia assurta in Indonesia a norma costituzionale, ha
sancito il diritto di tutti a credere in
Dio, oltre al diritto alla giustizia e
all’unità. Attualmente sono sei le comunità religiose ufficialmente riconosciute dallo Stato: musulmana,
cattolica, protestante, buddista, induista e confuciana.
A Borobudur, lo splendido tempio buddista dichiarato dall’Unesco
patrimonio dell’umanità, la Pancasila trova le sue radici più antiche. I
rilievi scolpiti nei mattoni di roccia
vulcanica con i quali è stato realizzato l’edificio narrano storie di compassione e di misericordia, dell’incontro di Siddharta con i poveri e i
sofferenti, del sacrificio di sé per nutrire chi ha bisogno, del rispetto verso gli indù. Oggi a visitarlo sono soprattutto frotte di giovani musulmani. Ragazzi in abiti all’occidentale e
ragazze gioiose con i capelli coperti
dal velo. Molte vengono da Sumatra, dove gli episodi di tensione fra
le comunità religiose sembra siano
più frequenti. Eppure sono qui,
mandate dalle scuole ad apprendere
le storie care ai buddisti. Le donne
dell’islam: per gli occidentali spesso
un abisso di mistero.
A Doha, nel ricco e modernissimo
Qatar, il museo della cultura islamica è stato progettato (da un architetto francese) a forma di burqa. A
Jakarta, invece, dove il reddito procapite viaggia attorno ai 4 dollari, il
volto delle donne è sempre scoperto,
e sorridente. In Indonesia, fra le
tante iniziative di amicizia interreligiosa, c’è anche il “dialogo dei veli”:
a Banda Aceh (in Java occidentale)
le suore fanno visita alle donne musulmane per confrontarsi sulle
questioni che ritengono di poter
avere in comune. «L’esperimento ha
funzionato — racconta padre Ulahayanan, che ne è stato l’ideatore — e
lo ripeteremo sicuramente». Si conta
sul fatto che le donne, quando decidono di prendere di petto una situazione, di solito arrivano fino in
fondo. Anche in condizioni difficili
come quella di Aceh, dove vige la
sharia».
Nella diocesi di Sanggau, nel
Borneo occidentale, i cattolici sono
invece il 52 per cento della popolazione e praticamente non esistono
tensioni fra le comunità religiose.
«La chiave — racconta il vescovo
Giulio Mencuccini — è la scuola.
Già all’inizio della missione, nel
1950, si sono aperti istituti ai quali
tutti potevano accedere. I ragazzi,
cristiani, buddisti, musulmani, indù,
sono cresciuti insieme. Ci sono giovani islamici che cantano nel coro
della chiesa, anche durante le celebrazioni. Vivere insieme e rispettarsi
per loro è naturale». Anche al pesandren (scuola islamica) Nurul Umrah,
a Yogyakarta, sono abituati a ospitare tutti, cristiani, buddisti, atei. Abdul Muhaimin, che la guida, è un
navigato costruttore di ponti: nel
1984 ha fondato il forum Persauduran Umat Beriman, che si occupa di
unire l’educazione formale alle attività sociali. A Pasqua lo invitano un
po’ tutti a tenere discorsi. «In quei
giorni sono più occupato dei preti»,
ammicca strizzando l’occhio.
Quando però si parla di radicalismo islamico il clima si fa più serio.
Muhaimin, su questo tema, è in costante contatto con le autorità politiche. È una sorta di sentinella delle
tensioni sociali. «Ci sono molti elementi — osserva — alla base del successo della propaganda radicale.
Uno di questi è l’inconsistenza della
politica nel contrastare ingiustizia e
povertà. Poi c’è la mancanza del
senso di appartenenza alla nazione
in cui si vive. Da parte nostra, noi
guide religiose dobbiamo sforzarci
di insegnare religione ed etica in
modo più umanistico». Muhaimin è
un personaggio piuttosto franco, e
non risparmia le critiche ai cattolici:
«In generale li consideriamo più
aperti e tolleranti rispetto agli altri
cristiani. Tuttavia ritengo che dovrebbero impegnarsi più costantemente nel dialogo e non solo quando si sentono minacciati». Ciò non
gli ha impedito di partecipare alla
marcia che si è tenuta il 20 maggio
per le strade della città, nel giorno
della festa nazionale che precede anche l’anniversario della caduta del
dittatore Mohammad Suharto, avvenuta nel 1998. Un appuntamento
importante e fortemente simbolico,
perché la marcia parte tradizionalmente dal Kraton, il palazzo dove
risiede il sultano Hamengkubuwono
X, considerato da tutti come il vero
guardiano del pluralismo.
La realtà indonesiana è varia. Nonostante alcuni casi difficili, in generale — spiega l’arcivescovo di Jakarta
— «si può dire che la situazione sia
buona, anzi direi che i rapporti con
i musulmani sono addirittura eccellenti. Ma devono esserlo ancora di
più in futuro». L’allusione è ai problemi che ancora si incontrano per
la costruzione di nuove chiese. «Ci
dicono: noi l’autorizzazione ve la
diamo ma prima dovete farvi dare il
benestare dagli abitanti che avete intorno», spiega quasi rassegnato il
vescovo di Bandung, Antonius Subianto Bunyamin, segretario generale della Conferenza episcopale indonesiana. Storie difficilmente comprensibili per la cultura giuridica occidentale ma che vanno spiegate anche con i caratteri particolari
dell’amministrazione indonesiana, la
quale prevede forme di autonomia
molto pronunciate. Grazie a questo
sistema, l’Indonesia, pur essendo
una Repubblica presidenziale, riesce
a tenere insieme figure in apparenza
antitetiche come quella del governatore e del sultano.
Naturalmente ciò non basta per
far tacere la comunità cattolica, che
legittimamente reclama nuovi luoghi
di culto per i fedeli. Per le ultime
autorizzazioni richieste si è in attesa,
a Bandung, da dieci anni. L’ultimo
via libera per la realizzazione di una
chiesa è arrivato dopo ventiquattro
anni. Ombre che contrastano con
una quotidianità fatta di integrazione naturale, di religiosità non ostentata. L’esperienza concreta racconta
di libri sulla Pancasila realizzati da
cattolici e distribuiti dalle autorità
musulmane, di ragazzi islamici che
fanno servizio d’ordine durante la
processione della croce, di leader
musulmani che assistono alla messa
crismale, di un rosario con i colori
della nazione distribuito ai fedeli
per rinsaldare la loro coscienza nazionale oltre che l’attitudine alla misericordia.
L’Indonesia può essere un modello per il resto del mondo islamico.
L’interesse da parte della comunità
internazionale è alto. Monsignor
Suhario Hardjoatmodjo racconta di
essere stato invitato di recente ad
Amman, in Giordania, per un intervento illustrativo sui principi della
Pancasila. Doveva parlare tre o
quattro minuti ma l’uditorio era così
interessato che la regina Rania lo ha
invitato a continuare. «Alla fine ho
parlato per quindici minuti», ricorda. Si cerca una modalità di convivenza che possa durare nel tempo.
La cercano gli occidentali, ma la
cercano anche i musulmani. Per
questo l’esperienza dell’Indonesia va
preservata e incoraggiata. Perché, a
volte, per raggiungere l’altro basta
avere il coraggio di attraversare una
strada.
MOSCA, 21. Le relazioni con la
Chiesa cattolica hanno assunto una
«dinamica positiva» che nasce soprattutto dalla mutua e chiara
«comprensione della necessità di
unire gli sforzi per difendere i valori cristiani tradizionali e contrastare
sfide come la secolarizzazione, la
discriminazione contro i cristiani, la
crisi delle relazioni familiari che minano le fondamenta della morale
personale e nella vita pubblica». È
quanto ha sottolineato — riferisce
l’agenzia Interfax-Religion — il patriarca ortodosso di Mosca, Cirillo,
in occasione delle celebrazioni per
il settantesimo anniversario di fondazione del Dipartimento per le relazioni ecclesiastiche esterne del patriarcato. Appuntamento solenne al
quale hanno preso parte, giovedì 19,
numerosi alti rappresentanti della
Chiesa ortodossa insieme a esponenti della vita civile e politica della Federazione ussa. In particolare,
Cirillo non ha mancato di ricordare
come la collaborazione tra cattolici
e ortodossi nella difesa delle
popolazioni cristiane perseguitate in
tanti
angoli
del
pianeta sia stata una
delle questioni centrali affrontate nel
corso dell’incontro
con Papa Francesco
all’Avana del 12 febbraio
scorso.
«Unendo gli sforzi
della testimonianza
di Oriente e Occidente di fronte alle
forze che stanno
cercando di eliminare virtualmente il
cristianesimo, saremo in grado di
compiere la nostra
missione in modo
molto più efficace».
All’incontro
tra
Francesco e Cirillo
ha fatto riferimento,
nel corso del suo intervento anche il
metropolita Hilarion, presidente del
Dipartimento per le relazioni ecclesiastiche esterne del patriarcato di
Mosca. «Non è un caso che questo
incontro — ha detto Hilarion — sia
stato definito come “storico”». Anche perché «si è svolto in un momento critico della storia moderna,
mentre aleggiava la minaccia di una
nuova guerra mondiale». In quel
frangente, ha ricordato, l’abbattimento, avvenuto poche settimane
prima, di un aereo russo in volo
sulla Siria avrebbe potuto svolgere
lo stesso ruolo catalizzatore delle
attività militari che ebbe nel 1914
l’attentato di Sarajevo, che poi sfociò nella tragedia del primo grande
conflitto mondiale. E la concentrazione di diverse forze militari ai
confini della Siria avrebbe potuto
provocare un confronto armato tra
queste forze invece che sollecitare
un fronte comune nei confronti
dell’avanzare dei miliziani del cosiddetto Stato islamico. «E solo
Dio sa — ha commentato Hilarion
— come sarebbe finita». In questo
contesto, ha affermato, «la richiesta
di azioni congiunte e coordinate,
avviata dal patriarca e dal Papa,
non avrebbe potuto essere più tempestiva. Ed è stata ascoltata. Oggi,
in tutto il mondo, le persone si
stanno rendendo conto che siamo
in grado di sconfiggere il terrorismo
grazie agli sforzi congiunti».
Nel suo intervento Hilarion è poi
tornato a sottolineare come quello
dell’intensificare i rapporti con le
comunità cristiane non ortodosse
sia tra i compiti principali, se non il
principale, del Dipartimento per le
relazioni ecclesiastiche esterne. In
questa prospettiva, è ovvio che proprio le relazioni con la Chiesa cattolica assumono un ruolo assai importante. «Il dialogo ufficiale, che
continua dal 1979 tra la famiglia
delle Chiese ortodosse locali e la
Chiesa cattolica romana prende in
esame un ampio spettro di questio-
ni. Si tratta di consultazioni teologiche di lungo termine». Parallelamente, però, «la cooperazione bilaterale del Patriarcato di Mosca con
le varie istituzioni della Chiesa cattolica romana oggi verte principalmente intorno a questioni sociali su
cui le nostre posizioni sono vicine».
Al riguardo — riferisce il sito in rete
del Dipartimento per le relazioni
ecclesiastiche esterne — Hilarion ha
sottolineato come che gli eventi degli ultimi anni abbiano confermato
la necessità di unire gli sforzi di
cattolici e ortodossi contro il laicismo liberale, la crisi dei valori familiari, l’erosione delle norme della
morale tradizionale. A tutto ciò si
aggiunge, ha rimarcato, «il particolare interesse a rafforzare la nostra
cooperazione in difesa dei cristiani
perseguitati dagli estremisti» in
Medio oriente.
Incontro fra rappresentanti cristiani, musulmani ed ebrei del Regno Unito
Per un progetto comune
LONDRA, 21. «Le comunità di fede contribuiscono
in modo unico alla crescita della sfera pubblica in
questo Paese, e credo che questo sia riconosciuto
da tutti»: è quanto ha dichiarato l’arcivescovo di
Canterbury e primate della Comunione anglicana,
Justin Welby, durante un incontro a Lambeth Palace con leader e rappresentanti delle comunità
cristiane, ebraiche e musulmane presenti nel Regno Unito.
L’evento ha avuto lo scopo principale di mostrare e affermare l’importanza del lavoro comunitario di base svolto dai gruppi religiosi in Gran
Bretagna, in particolare attraverso il programma
«Near Neighbours» della Church of England, gestito dalla Church Urban Fund. Nel suo intervento, l’arcivescovo di Canterbury ha ricordato
l’obiettivo che accomuna le comunità di fede. «A
volte possiamo non essere d’accordo su alcune cose, ma sono molto grato per il fatto che possiamo
lavorare insieme e condividere il nostro comune
desiderio di prosperità per ogni essere umano in
questo Paese».
Welby, inoltre, ha ricordato l’importanza di un
nuovo progetto appena avviato che consiste in un
gemellaggio tra una chiesa e una moschea. «Non
si tratta — ha precisato — di culto comune, ma di
uno sforzo comune per servire la comunità, e prego Dio per questo coraggioso passo in avanti
compiuto dalle comunità cristiane locali e dalla
leadership musulmana locale».
L’OSSERVATORE ROMANO
domenica 22 maggio 2016
pagina 7
Campagna dell’episcopato argentino a favore dell’opera evangelizzatrice
Nostra missione
BUENOS AIRES, 21. Con il motto
La misión es nuestra, la Conferenza episcopale argentina ha
presentato ieri, venerdì, la campagna 2016 a sostegno dell’opera evangelizzatrice della Chiesa.
Non si tratta di una raccolta
specifica per uno scopo specifico — sottolinea il Consiglio episcopale per gli affari economici,
promotore dell’iniziativa — ma
«ha l’obiettivo di incoraggiare
tutti i fedeli a riflettere su ciò
che ognuno può apportare nelle
rispettive comunità in modo che
la Chiesa possa svolgere la sua
opera in Argentina». Per il presidente del dicastero, monsignor
sogno di accrescere la consapevolezza dell’importanza di fornire le proprie risorse disponibili
per le attività di evangelizzazione». E ha precisato che «questa
campagna è frutto di un lavoro
cominciato negli anni Novanta
del secolo scorso quando un
gruppo di laici cercò di aiutare
la Chiesa a trovare strade nuove
in direzione dell’autosostentamento».
Intanto sta per concludersi
(domani) a Mar del Plata la
Settimana sociale 2016 organizzata dalla Commissione per la
pastorale sociale della Conferenza episcopale, presieduta dal ve-
sociale argentina, ribadisce l’invito alla riflessione sulla realtà
nazionale. All’insegna del motto
«Vogliamo essere nazione. Dobbiamo caricarci la patria sulle
spalle», la Chiesa auspica che i
diversi settori invitati all’evento
«possano avanzare nel dialogo e
nella fratellanza sociale. Dobbiamo imparare — ha sottolineato
l’arcivescovo di Buenos Aires,
cardinale Mario Aurelio Poli —
a pensare insieme. Il magistero
di Papa Francesco ci incoraggia
in tal senso: dobbiamo accostarci con fiducia al tavolo del dialogo».
Di vario genere i principali temi discussi durante la Settimana
sociale: dal miglioramento della
qualità della vita democratica alla creazione di uno spazio di
dialogo e di incontro per avanzare proposte che portino allo
sviluppo integrale e al bene comune; dall’approfondimento della formazione e della conoscenza
della dottrina sociale della Chiesa alla promozione di un interscambio tra i diversi settori sociali al fine di elaborare un’agenda condivisa delle priorità.
Se ognuno
dà il meglio
di sé
Enrique Eguía Seguí, vescovo
ausiliare di Buenos Aires, «siamo tutti invitati a mettere al servizio della Chiesa i nostri talenti, il nostro tempo e il nostro sostegno economico. Sia i parrocchiani sia i sacerdoti hanno bi-
scovo di Gualeguaychú, monsignor Jorge Eduardo Lozano, e
dal vescovo di Mar del Plata,
monsignor Antonio Marino.
L’incontro, che vede la partecipazione di rappresentanti di tutti i settori della vita politica e
Documento delle diocesi di frontiera
Minacciati dalla crisi
sociale e ambientale
BUENOS AIRES, 21. «Il degrado e la
minaccia progressiva al nostro pianeta
e all’essere umano come parte integrante dell’ecosistema planetario rappresentano una situazione grave e
complessa che ci coinvolge tutti»; sfidati e incoraggiati dalla lettera enciclica di Papa Francesco Laudato si’, sulla
cura della casa comune, «riaffermiamo che tutto è collegato e che non ci
sono due crisi separate, ambientale e
sociale, ma un’unica e complessa crisi
socio-ambientale»: è quanto sottolinea
il documento finale del trentunesimo
incontro delle “diocesi di frontiera”,
svoltosi nei giorni scorsi a Paso de la
Patria, nella provincia argentina di
Corrientes.
Vescovi, sacerdoti, religiosi e laici di
Argentina, Paraguay, Brasile e Uruguay hanno analizzato i problemi pastorali comuni, soffermandosi in particolare su quelli legati all’ambiente,
con la guida dell’enciclica Laudato si’.
La constatazione dell’assenza di
una presa di coscienza collettiva e della preoccupazione per il progressivo
degrado del nostro pianeta — riferisce
Fides — è stato uno degli elementi sviscerati nel corso dei lavori.
L’aumento continuo della popolazione, la sua concentrazione progressiva in grandi centri urbani e lo sviluppo industriale causano, giorno per
giorno, sempre più problemi all’ambiente. Nelle province e diocesi interessate ci sono gravi problemi di inquinamento, specialmente nei fiumi,
nei laghi e nelle falde sotterranee. Un
altro punto importante di riflessione
ha riguardato la necessità di avere
maggiore informazione per l’azione
pastorale sui problemi ambientali della zona, come l’eccessivo sfruttamento
dell’Acuífero Guaraní (una delle più
grandi riserve idriche sotterranee del
Sud America, ubicata fra Argentina e
Paraguay), i piani nucleari, i progetti
fracking (ovvero di fratturazione
idraulica), le miniere metallifere a cielo aperto, le dighe e altri mega progetti di natura ambientale.
A conclusione dell’incontro è stata
celebrata una messa nella basilica di
Itatí, presieduta da monsignor Julio
César Bonino Bonino, vescovo di Tacuarembó (Uruguay), durante la quale è stato annunciato che la prossima
riunione delle “diocesi di frontiera” si
terrà fra un anno nella diocesi brasiliana di Bagé.
BUENOS AIRES, 21. «Se voi
date il meglio di voi stessi
aiutate il mondo a essere diverso»: è questo il tema della
colletta, promossa dalla Caritas a favore dei più bisognosi,
che si terrà l’11 e il 12 giugno
nelle diocesi dell’Argentina.
La raccolta annuale della
Caritas è un’occasione di solidarietà e un invito a contribuire generosamente a questa
importante iniziativa. «In
questo anno di misericordia
— hanno sottolineato i promotori — rinnoviamo ancora
una volta la nostra solidarietà
con coloro che hanno bisogno di noi».
Caritas Argentina può contare sul sostegno di oltre
trentaduemila volontari che
operano in più di tremilacinquecento parrocchie, cappelle, uffici e centri di missione,
assicurando la loro presenza
in situazioni molto difficili e
il contatto diretto con i più
svantaggiati.
Nella colletta dello scorso
anno, la Caritas ha raccolto
52.139.540 pesos, destinati a
programmi di assistenza immediata e di promozione
umana. Non solo, parte del
ricavato ha contribuito a realizzare progetti per le microimprese, corsi di formazione
professionale e piani di inclusione sociale.
Sostegno della Chiesa in Colombia all’intesa tra Governo e Farc
Un futuro
per i bambini soldato
BO GOTÁ, 21. La Chiesa appoggia
sempre iniziative che permettano il
reinserimento di chi abbandona le
armi, soprattutto se si tratta di bambini: è quanto ha dichiarato nei
giorni scorsi l’arcivescovo di Bogotá
e presidente del Celam (Consiglio
episcopale latinoamericano), cardinale Rubén Salazar Gómez, in merito all’accordo tra Governo e Forze
armate rivoluzionarie della Colombia (Farc) grazie al quale i minori
arruolati nelle fila della guerriglia
cesseranno di essere combattenti e
saranno coinvolti in programmi di
reinserimento sociale.
Il porporato ha ricordato che la
Chiesa, dal canto suo, «è sempre
stata presente in questo cammino di
reinserimento di chi aveva partecipato alla guerriglia. Esistono a tal
proposito una serie di iniziative, sia
del Governo sia della Chiesa, che
spesso si completano e si appoggiano l’una con l’altra, per ottenere
questo reinserimento, soprattutto se
si tratta di minori che nella maggior
parte dei casi erano stati reclutati in
maniera violenta e per questo hanno
necessità di un’attenzione particolare per tutti gli aspetti della loro crescita».
Secondo l’accordo (sostenuto
dall’Unicef) raggiunto dalle parti, i
bambini sotto i 15 anni saranno i
primi ad abbandonare la guerriglia.
Per quelli che hanno tra i 15 e i 18
anni le modalità saranno decise entro poco tempo. In totale, questo
accordo riguarderà diverse centinaia
di ragazzi, tra cui tanti bambini-soldato impegnati in questo conflitto
che dura da più di mezzo secolo.
Negli ultimi diciassette anni, circa
seimila bambini hanno abbandonato
le fila della lotta armata; di essi il
60 per cento proveniva dalle Farc.
Allargando lo sguardo al complesso delle trattative di pace, l’arcivescovo di Bogotá, in un colloquio
con l’agenzia Aciprensa, ha ricordato gli anni terribili che hanno caratterizzato la storia del Paese sudamericano: «Abbiamo vissuto per tanti
anni una situazione anormale, assurda, senza alcuna spiegazione. Ora —
ha concluso Salazar Gómez — c’è la
possibilità che la situazione cambi
radicalmente» e che la guerriglia abbandoni l’idea di imporre le proprie
idee con le armi, «convertendosi in
un partito politico che entri nel gioco democratico».
Subito dopo l’intesa tra Governo
e Farc, su Twitter il presidente della
Repubblica, Juan Manuel Santos,
ha parlato di un «accordo storico
Nei giovani le speranze dei vescovi del Ghana
Contro
la corruzione
ACCRA, 21. Le speranze del
Ghana, dove «la corruzione
è un cancro endemico che ha
raggiunto i vertici del Paese», sono riposte nei giovani:
lo crede fortemente il vescovo di Konongo–Mampong,
Joseph Osei-Bonsu, presidente della Conferenza episcopale, che parlando agli
In Uganda i vescovi puntano sui social media
Il Vangelo corre su WhatsApp
KAMPALA, 21. «Gesù invitava a gridare il Vangelo sui tetti, oggi si tratta di usare altri mezzi: le antenne radio e i social media per arrivare a tutti»: monsignor Giuseppe Franzelli, vescovo di Lira e responsabile delle comunicazioni sociali della Conferenza episcopale
ugandese, usa queste parole per commentare
la scelta di puntare sulla conoscenza delle
nuove tecnologie applicandole a informazione
ed evangelizzazione. «Bisogna credere di più
nella necessità di una comunicazione che vada
al di là di quel che diciamo dal pulpito. Serve
— ha dichiarato al Sir — un uso più coraggioso e più coordinato dei mezzi che abbiamo a
disposizione».
Proprio a tale esigenza rispondono, da oltre
dieci anni, gli incontri organizzati dal consiglio per le comunicazioni sociali. «Quest’anno
— ha spiegato il presule — il tema scelto, sia
per l’aggiornamento professionale sia per la riflessione pastorale, è stato quello delle nuove
tecnologie e del loro uso per l’informazione e
l’evangelizzazione. Si impone un cambiamento di mentalità, per essere presenti dove è la
gente, soprattutto i giovani. Per questo va data attenzione ai social media. Possono essere
un modo per costruire ponti, che è la nostra
vocazione».
per sottrarre i bambini alla guerra»,
confermando che saranno restituiti
alle loro famiglie prima possibile. «I
diritti di questi minori saranno rispettati», ha assicurato a sua volta il
capo dei negoziatori delle Farc,
Iván Márquez, precisando che seguiranno «programmi sociali ed
educativi».
I social network e gli altri servizi che possono essere usati anche solo tramite uno smartphone, secondo monsignor Franzelli, sono
uno degli ambiti su cui è necessario puntare
di più. «Anche con la povertà attuale di mezzi
e risorse, milioni di ugandesi possiedono un
cellulare: un’applicazione come WhatsApp
permette di diffondere il messaggio biblico o,
in tempo reale, le parole pronunciate dal Papa. Le nuove tecnologie — ha proseguito —
rendono possibile un contatto costante». Sono
innanzitutto i numeri a spingere in questa direzione: secondo i dati dell’Unione internazionale delle telecomunicazioni, oltre la metà degli ugandesi possiede un telefonino. Per andare incontro a tale realtà, ai coordinatori diocesani della comunicazione e ai giornalisti dei
media cattolici sono state fornite le competenze di base sul web e sulla pubblicazione di
contenuti online. «Raggiungere le persone
con i nuovi media — ha concluso — è continuare, oggi, la missione e l’evangelizzazione».
studenti diplomatisi in una
scuola di Mamponteng li ha
esortati a «stare lontani» da
pratiche illecite e a essere
esempio di vita per gli altri.
Secondo l’ultimo rapporto
dell’Afrobarometro (che rileva la percezione che gli africani hanno del proprio Paese) — citato da Fides — ben
l’82 per cento dei ghanesi ritiene che la nazione stia procedendo nella direzione sbagliata per colpa della corruzione. La scuola di Mamponteng è simbolo dello
sforzo educativo della Chiesa
e l’arcidiocesi di Kumasi ha
avviato presso una parrocchia il primo programma di
ricerca di giovani talenti cattolici: «I giovani devono
unirsi al programma per far
crescere i talenti donati loro
da Dio al fine di aiutare la
crescita sociale ed economica
del Paese e delle loro famiglie», ha detto l’arcivescovo
Gabriel Justice Yaw Anokye.
E sempre i giovani sono
stati al centro delle considerazioni dei vescovi, durante
l’assemblea plenaria della
Conferenza episcopale regionale dell’Africa occidentale.
Nell’occasione i presuli li
hanno esortati a «non perdere la speranza, ma a credere
nella possibilità di realizzare
la propria vita e il proprio
benessere sul continente africano».
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 8
domenica 22 maggio 2016
Murale di Elimo Njau
raffigurante l’ultima cena
La Guida pubblicata dalla Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli
Istantanea
della Chiesa missionaria
di GIANLUCA BICCINI
«Una sorta di Atti degli apostoli parte
seconda, che vede all’opera discepoli
esemplari, pronti a mettersi in gioco, ad
entrare dentro le pieghe e le piaghe della storia, a farsi prossimo con popolazioni nuove per suscitare ovunque quella nostalgia di Dio che è il naturale presupposto al dono del battesimo». Il cardinale prefetto Fernando Filoni presenta
così la Guida delle Missioni Cattoliche
2015, stampata dalla Tipografia vaticana
e realizzata dalla Congregazione per
l’evangelizzazione dei popoli in occasione del cinquantesimo anniversario del
decreto conciliare Ad gentes.
Giunta all’ottava edizione, la pubblicazione mostra «quasi dal vivo le prove
e le fatiche, oltre alle gioie e alle attese»
delle 1.111 circoscrizioni ecclesiastiche,
tra diocesi, vicariati, prefetture, missio
sui iuris, amministrazioni e ordinariati
militari, affidate al dicastero missionario,
illustrando, con abbondanti dati e informazioni, lo sviluppo e la maturazione
delle giovani Chiese di missione nei cinque continenti: 507 in Africa, 478 in
Asia, 80 nelle Americhe e 16 in Oceania.
Sfogliando il volume con la copertina
verde, dietro le cifre rimbalzano immagini-flash nelle quali è possibile individuare i volti di vescovi valorosi, di sacerdoti zelanti, di catechisti infaticabili e
di missionari e missionarie eroici. Del
resto — scrive il porporato nella presentazione — le quasi 1.800 pagine «trasudano anche sangue. È quello dei martiri
di questo tempo di inaudita violenza»,
segnato da persecuzioni e discriminazioni «che investono Paesi differenti: Egitto, Siria, Pakistan, Nigeria, Mali, Iraq,
Iran, Turchia, Libia, Sudan, Arabia Saudita, Yemen, Tunisia, Kenya, Somalia,
Niger». «La situazione — commenta il
cardinale prefetto — è grave. L’odio verso i cristiani avanza e trova emulazione.
Molti luoghi di culto sono oggetto di
attacco, oltre a scuole cattoliche e singole abitazioni. In alcune di queste nazioni è reato addirittura possedere e utilizzare la Bibbia».
Eppure nel libro non mancano segni
di speranza, che vanno dall’annuncio
del Vangelo all’importante opera educativa svolta a livello primario, secondario
e universitario; dall’immensa rete ospedaliera ai piccoli dispensari; dalle microrealizzazioni in agricoltura alle attività
commerciali. Insomma un’istantanea
della Chiesa missionaria che oltre a dare
risposta alle necessità pastorali, si propone come possibile “granaio” per le
numerose richieste provenienti dalla
Chiesa universale. Infatti se da un lato
diminuiscono i missionari e le missionarie europei, dalle diocesi di recente costituzione e ricche di vocazioni iniziano
a partire sacerdoti diocesani, religiosi e
fidei donum. Da Brasile e Bolivia giungono in Africa; mentre da Paesi di que-
st’ultimo continente vanno in soccorso
di Chiese europee e americane scarse di
personale; così come fa il clero della
Corea e dell’India. E la cooperazione
tra le Chiese non avviene soltanto lungo
il tradizionale asse nord-sud, ma finisce
col prendere direzioni prima impensabili.
L’introduzione all’opera illustra il servizio della Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli: dalle competenze
affidatele per la nomina dei vescovi, dei
rettori dei seminari e le necessità pastorali delle giovani Chiese, a quelle delle
Pontificie opere missionarie (PP.O O.MM.)
che assicurano i sussidi annuali alle
Chiese locali; dall’agenzia Fides, che informa sulla vita del mondo missionario,
all’archivio storico, che custodisce e cura
la documentazione cartacea del dicastero; dalla Pontificia università Urbaniana, vero e proprio centro di formazione
filosofica, teologica e giuridica, ai collegi romani. Tra questi ultimi — che svolgono una funzione educativa degli studenti sacerdoti, religiose, seminaristi e
laici — il Pontificio collegio Urbano, i
collegi San Pietro, San Paolo e Mater
Ecclesiae, il collegio San Giuseppe per
l’aggiornamento dei professori degli atenei e dei seminari maggiori, il Centro
internazionale di animazione missionaria
(Ciam).
Scorrendo l’indice generale, si nota
che l’opera è articolata in due sezioni
principali: la prima presenta i Paesi di
missione, con allegate cartine geografiche delle diocesi e alcune informazioni
storiche e religiose: la seconda annovera
le singole circoscrizioni ecclesiastiche.
Insomma, conclude il cardinale Filoni
riferendosi all’opera, non solo «un utile
strumento di lavoro», ma anche «un’occasione per conoscere il polso della
Chiesa missionaria e condividere con essa le consolazioni e i patimenti legati
all’annuncio del Vangelo».
Il terzo segreto di Fátima
Alcuni articoli hanno di recente riportato dichiarazioni attribuite a Ingo Dollinger, secondo cui il cardinale Ratzinger, dopo la
pubblicazione del terzo segreto di Fátima,
avvenuta nel giugno 2000, gli avrebbe confidato che tale pubblicazione non è stata
completa. A tale proposito, Benedetto XVI
comunica «di non aver mai parlato col professor Dollinger circa Fátima», afferma chiaramente che le dichiarazioni attribuite allo
stesso Dollinger su questo tema «sono pure
invenzioni, assolutamente non vere», e ribadisce con nettezza che «la pubblicazione del
terzo segreto di Fátima è completa».
A Cosenza il cardinale Amato beatifica il parroco Francesco Maria Greco e ne sottolinea la testimonianza sacerdotale
Come una calamita
Per Francesco Maria Greco essere
parroco significava svolgere la sua
missione come il buon samaritano, che, scendendo da Gerusalemme a Gerico, «sana l’umanità
ferita dal male e dal vizio, per far
rinascere la fede assopita o addirittura spenta». È stato il cardinale Angelo Amato, prefetto della
Congregazione delle cause dei
santi, a sintetizzare con questa
immagine l’operato del prete calabrese durante la beatificazione
presieduta a nome di Papa Francesco sabato pomeriggio, 21 maggio, nello stadio comunale di Cosenza.
Parlando del nuovo beato il
porporato ha sottolineato la fecondità della Chiesa in Calabria
e, in modo particolare, nell’arcidiocesi cosentina. Tra i testimoni
di santità, ha ricordato san Francesco di Paola, sant’Umile da Bisignano, il beato Angelo d’Acri,
oltre all’oblato minimo Nicola
Saggio da Longobardi, canonizzato da Papa Francesco, il 23 novembre 2014. Senza contare, inoltre, i numerosi servi e serve di
Dio e i venerabili di queste terre
di antica tradizione cristiana.
Facendo notare come per la seconda volta nel giro di pochi anni lo stadio cosentino ospiti una
beatificazione — dopo quella di
Madre Elena Aiello, avvenuta il
14 settembre 2011 — il cardinale ha accostato l’immagine
del campo sportivo a
quella di una cattedrale. «La santità come
lo sport — ha detto
— è una palestra
di vita cristiana, fatta di
esercizio, di-
sciplina e agonismo».
Riguardo al nuovo beato, il
porporato ha ricordato come egli
fosse un uomo di cultura, che
aveva posto l’istruzione religiosa a
base dell’apostolato. «L’istruzione
catechistica — ha raccontato — veniva impartita personalmente da
lui ogni giorno e spesso affrontava, col sorriso sulle labbra, i viaggi più faticosi per portare nei
paesi più remoti e desolati un
raggio di fede, una parola di speranza e un aiuto concreto ai bisognosi». Il suo fervore e il suo
esempio smossero gli animi a seguirlo. Per questo egli fondò l’associazione delle figlie del Sacro
Cuore, l’oratorio festivo per ragazzi, l’apostolato della preghiera
e vari circoli ricreativi. Incentivò
anche la pastorale vocazionale,
instradando i giovani alla vita sacerdotale e religiosa: «Li teneva
vicino a sé e li seguiva, diventando per ognuno di essi amico e
fratello incomparabile».
Due efficaci strumenti del suo
apostolato parrocchiale furono la predicazione e
l’amministrazione
del sacramen-
to della riconciliazione. Le sue
parole erano sempre «semplici e
chiare: non battevano l’aria, ma
toccavano i cuori». Invitava alla
preghiera, alla comunione eucaristica, alla confessione frequente.
Inoltre «mirava alla formazione e
al consolidamento di atteggiamenti di concordia e non di divisione, di rispetto e non di disprezzo, di umiltà e non di superbia». A questo proposito diceva
che la superbia, «figlia dell’ignoranza, inietta nei cuori il letale veleno dell’invidia e dell’avarizia».
Soprattutto «mediante il suo intenso apostolato nel confessionale», egli «infondeva nei cuori la
medicina del perdono e il balsamo della consolazione e della
gioia».
Il cardinale ha poi ricordato
come il capolavoro del suo apostolato sia stato la fondazione
delle Piccole operaie dei Sacri
cuori, con la collaborazione di
Raffaella De Vincenti, che «dovette superare un vero esame di
idoneità». Il sacerdote, infatti,
in una lettera alla donna
delinea i tratti salienti che vuole im-
Vetrata di Giovanni Hajnal
per l’aula liturgica del santuario
di San Francesco di Paola
pressi nella figura della direttrice
della nuova istituzione: «Deve essere accesa d’amore per i Sacri
cuori, deve lavorare, lottare e soffrire unicamente per la loro gloria
senza risparmiarsi nulla né ricusare nulla». Lo spirito evangelico
del fondatore fece sì che l’istituto
si sviluppasse al tal punto che nel
1921 poteva già contare 22 case e
140 consorelle.
L’apostolato di Greco e delle
sue suore si diffuse in Calabria e
nell’Italia meridionale, toccando
anche le popolazioni di origine
albanese di rito greco bizantino.
Il porporato ha inoltre ricordato
che per realizzare la sua vocazione egli dovette superare l’avversione del padre, che lo constrastava non per cattiveria d’animo, ma
perché lo voleva farmacista come
lui. A Napoli frequentò il liceo
arcivescovile, poi il seminario
maggiore e venne ordinato sacerdote ad Acri il 17 settembre 1881.
Concluse i suoi studi con la laurea in teologia. Dopo un breve tirocinio apostolico a Napoli, nel
1888 fu nominato arciprete della
parrocchia di San Nicola di Bari
in Acri, e vi rimase fino alla morte avvenuta il 31 gennaio 1931.
Nella città natale, ha spiegato il
cardinale, «il suo portamento
ascetico suscitava ammirazione e
rispetto. Ma fu soprattutto la totale dedizione al ministero parrocchiale che colpì la cittadinanza». Da notare che i fedeli erano attratti da lui
«come da una calamita
e subito lo ritennero
un santo». Giunto
ad Acri, infatti, il
giovane sacerdote si diede un
programma di autentica ascesi
che portò avanti per tutta la vita.
In conclusione, il celebrante ha
osservato come nelle nostre città i
santi siano «una indispensabile riserva non solo di virtù cristiane
ma anche di valori umani come la
gioia, la concordia, l’amicizia, la
fraternità, la misericordia. Essi sono il sale della terra e la luce del
mondo». Una vocazione incarnata in maniera esemplare dalla testimonianza del nuovo beato e
delle suore Piccole operaie dei
Sacri cuori. «La santità, con i fiori e i frutti delle sue virtù — ha
concluso — è la primavera di ogni
esistenza. Che questo giorno sia
l’inizio per tutti noi di una vita
rinnovata».
Itinerario
colombiano
L’ordinazione di due vescovi,
la visita ad altrettanti vicariati
apostolici, gli incontri a Bogotá
con i vertici del Consiglio episcopale
latinoamericano (Celam)
e della Conferenza episcopale,
infine l’apertura del dodicesimo
congresso nazionale missionario
a Bucaramanga: sono i principali
appuntamenti nell’agenda
del cardinale Fernando Filoni,
prefetto della Congregazione
per l’evangelizzazione dei popoli,
in occasione del viaggio in
Colombia iniziato sabato 21 maggio.
Il porporato, che giunge in serata
nella capitale e resta nel Paese
per una settimana, sarà accolto
dal nunzio apostolico
Ettore Balestrero. Domenica 22
nella cattedrale primaziale di Bogotá
celebrerà la messa per l’ordinazione
dei vescovi Raul Alfonso Carrillo
Martínez, orginario della diocesi
di Zipaquirá, e Jaime Uriel Sanabria
Arias, della diocesi di Tunja,
chiamati a guidare rispettivamente
i vicariati apostolici
di Puerto Gaitán e di San Andrés
y Providencia. Dopo un pranzo
con il cardinale Rubén Salazar
Gómez, arcivescovo di Bogotá
e presidente del Celam,
nel pomeriggio il prefetto
di Propaganda fide visiterà
le chiese della Vera Cruz,
di San Francisco e della Tercera
per poi salire al santuario
del Monserrate, a 3.100 metri
sul livello del mare, da cui si può
ammirare tutta la città.
Lunedì 23 e martedì 24 sono
in programma le visite
a due vicariati apostolici: a Guapi,
sulla costa pacifica, il porporato
farà anche sosta a Cali; e a Puerto
Leguízamo, nell’Amazzonia
colombiana, dove incontrerà
le comunità indigene.
Mercoledì 25, tornato a Bogotá,
il cardinale Filoni avrà
appuntamenti istituzionali di alto
livello, il più importante dei quali
sarà con il presidente
della Repubblica, Juan Manuel
Santos, nel palazzo di Nariño,
sua residenza ufficiale.
Infine da giovedì 26 e sabato 28
l’ultima tappa a Bucaramanga,
per dare impulso al congresso
nazionale e presiedere, tra l’altro,
la messa di invio dei missionari.
Nomina episcopale
nella Repubblica Ceca
La nomina di oggi riguarda la Repubblica Ceca.
Pavel Konzbul, ausiliare di Brno
Nato il 17 ottobre 1965 a Brno-Juliánov, nel 1983 ha superato gli esami di maturità.
Nel 1989 ha ottenuto la laurea in elettrotecnologia alla facoltà di elettrotecnica
dell’Università tecnica a Brno. Dopo il servizio militare, dal 1990 ha lavorato
nell’Istituto di tecnica presso l’Accademia delle scienze della Repubblica Ceca a
Brno e ha insegnato alla facoltà di elettrotecnica presso l’Università tecnica a Brno,
dove ha ottenuto il dottorato in teoria del campo elettromagnetico. Nel 1995 è entrato nell’associazione laica di San Domenico dove esercitava l’incarico di vice-superiore
della provincia nazionale. Dopo gli studi teologici alla Facoltà di teologia dei Santi
Cirillo e Metodio presso l’università di Palacky a Olomouc, il 28 giugno 2003 è stato
ordinato sacerdote e incardinato a Brno. Per due anni è stato vicario parrocchiale a
Letovice, Boskovice e a Hustopeče u Brna. Dal 2005 al 2013 è stato direttore spirituale del liceo vescovile a Brno. Attualmente è parroco della cattedrale dei Santi Pietro e Paolo a Brno (dal 2013), membro del consiglio presbiterale della diocesi di
Brno (dal 2013) e canonico del capitolo reale dei Santi Pietro e Paolo a Brno (dal
2015).