L`OSSERVATORE ROMANO
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L`OSSERVATORE ROMANO
Spedizione in abbonamento postale Roma, conto corrente postale n. 649004 Copia € 1,00 Copia arretrata € 2,00 L’OSSERVATORE ROMANO GIORNALE QUOTIDIANO Unicuique suum Anno CLVI n. 116 (47.251) POLITICO RELIGIOSO Non praevalebunt Città del Vaticano domenica 22 maggio 2016 . In Venezuela la Corte suprema approva i poteri speciali a Maduro e l’opposizione evoca l’intervento dei militari Il vertice umanitario mondiale Scontro aperto Impegno per la pace Si acuisce la tensione politica in un Paese piegato da una grave crisi economica di FAUSTA SPERANZA CARACAS, 21. «La possibilità di un sollevamento dei militari è nell’aria. Le forze armate sono lì per proteggere la Costituzione e dunque devono scegliere: o con la legge o con Maduro». Le parole di Henrique Capriles, leader dell’opposizione antichavista in Venezuela, rendono bene il clima di tensione e attesa che in queste ore attraversa il Paese sudamericano. Ieri il Tribunale Supremo ha approvato il decreto che conferisce al presidente Nicolás Maduro i poteri speciali in forza dello stato di emergenza. Il Parlamento venezuelano, controllato dall’opposizione, aveva invece respinto il decreto. «Se Maduro ignora questa decisione e pretende di legiferare al posto del Parlamento — ha dichiarato Capriles in un’intervista alla Bbc — allora il suo Governo si pone al di fuori della Costituzione». Da mesi ormai il Venezuela, già alle prese con una drammatica crisi economica, deve fronteggiare uno scontro istituzionale senza precedenti. Come detto, per il Tribunale Supremo è costituzionale lo stato di emergenza proclamato da Maduro una settimana fa, e dunque i poteri speciali. Il Tribunale ha infatti evocato «minacce esterne ed interne che puntano a destabilizzare l’economia e l’ordine sociale nel Paese». Una decisione che non ha sorpreso nessuno: dalle politiche dello scorso dicembre l’opposizione controlla il Parlamento di Caracas e la Corte boccia quasi ogni decisione adottata dal potere legislativo. Nelle strade il clima è rovente: l’opposizione continua a organizzare marce di protesta contro la politica di Maduro. Capriles e gli altri leader antichavisti hanno depositato il 2 maggio scorso quasi due milioni di firme per chiedere un referendum sulla destituzione di Maduro. E pochi giorni fa migliaia di persone hanno manifestato a Caracas e in altre venti città per ottenere un cambiamento. Proprio in questo caos — stimano gli esperti — il ruolo dell’esercito potrebbe diventare fondamentale. Maduro segue la linea dura e punta il dito contro gli Stati Uniti, accusati di ordire un complotto per rovesciare la situazione e far salire al potere un Governo fantoccio controllato da Washington. Per oggi il L’Ecuador dopo il terremoto Scosso dalle fondamenta y(7HA3J1*QSSKKM( +.!z!,!?!$! SILVINA PÉREZ A PAGINA 2 Proteste antichaviste a Caracas (Reuters) leader chavista ha indetto vaste esercitazioni militari, le maggiori dal 2015. Almeno mezzo milione di militari professionisti e riservisti prenderanno parte alle manovre che dureranno due giorni. Il capo dello Stato ha minacciato di «applicare restrizioni alle libertà civili se ci fosse il ri- schio di un golpe violento». E nella notte la polizia ha arrestato il capo della sicurezza del presidente del Parlamento, l’esponente dell’opposizione Henry Ramos Allup, accusato di essere la mente di diversi attacchi alle forze dell’ordine avvenuti nelle scorse settimane. Sul piano internazionale, l’ex presidente del Governo spagnolo, José Luis Rodríguez Zapatero, ha avviato un tentativo di mediazione tra le parti. Iniziativa sostenuta non solo dagli Stati Uniti, ma anche da Argentina, Cile, Colombia e Uruguay, che chiedono la ripresa del dialogo politico e il rispetto dello stato di diritto, auspicando «una genuina intesa civile: i problemi del Venezuela devono essere risolti dai venezuelani stessi» si legge in un comunicato congiunto. Alle radici della crisi venezuelana, tuttavia, non c’è solo lo scontro politico. C’è anche, e forse soprattutto, una crisi economica devastante. La distribuzione alimentare è caotica, i blackout sono continui e l’inflazione erode il potere d’acquisto dei consumatori. I servizi elementari scarseggiano: gli ospedali sono senza medicinali, ormai disponibili solo sul mercato nero. Anche se dotato delle più grandi riserve di petrolio del mondo, il Venezuela è sull’orlo del crollo: l’anno scorso la crescita economica è scesa del 5,7 per cento e il tasso d’inflazione ufficiale ha superato il 180 per cento. Per il 2016 si prevede un calo del pil (prodotto interno lordo) del sette per cento. Una situazione sulla quale ha inciso profondamente anche il drastico calo del prezzo del petrolio sui mercati internazionali. I seguaci di Moqtada Al Sadr fanno irruzione nella zona verde di Baghdad Iraq nel caos DAMASCO, 21. Tensione altissima in Iraq. Le forze di sicurezza hanno annunciato di aver ripreso il controllo della zona verde (quella dove sono presenti i principali uffici governativi e le ambasciate) nella capitale Baghdad, dopo i violenti scontri con i seguaci di Moqtada Al Sadr. Secondo alcuni media locali, ieri sera i dimostranti hanno iniziato a ritirarsi dall’area. Il bilancio degli scontri parla di almeno quattro morti e di decine di feriti. Un gruppo di sostenitori del movimento di Al Sadr, esponente politico e religioso sciita, è infatti riuscito a penetrare nell’area fortificata. Gli uomini della sicurezza irachena hanno quindi fatto ricorso ai gas lacrimogeni per disperdere i manifestanti. Stando a fonti della stampa locale, i dimostranti sono riusciti a entrare anche all’interno del Parlamento e perfino nell’ufficio del premier, Haider Al Abadi. Lo scorso 30 aprile migliaia di sostenitori dell’imam sciita avevano fatto irruzione nel Parlamento iracheno, costringendo i deputati a fuggire. I manifestanti chiedevano al capo del Governo di attuare al più presto le riforme. Nello specifico, i seguaci di Al Sadr chiedono una più energica lotta alla corruzione e la nascita di un esecutivo tecnico non agganciato al sistema delle quote etniche e tribali. Al Sadr fondò l’Esercito del Mahdi nel giugno del 2003 per combattere le forze di occupazione in Iraq. Figlio di Mohammed Sadeq, storico leader sciita ucciso nel 1999 a Najaf dagli uomini di Saddam Hussein, Al Sadr — che controlla 25 deputati ed è di origine libanese — sta riuscendo ad accreditarsi come il punto di riferimento del crescente malcontento popolare degli sciiti in Iraq. La decisione di contestare il premier Al Abadi, an- Santa Rita tra Klein e Buzzati Miracoli senza limiti PATRIZIA DALLA ROSA A PAGINA 4 ch’egli sciita, e di irrompere nel Parlamento segna ora — dicono gli analisti — una frattura profonda all’interno della stessa comunità sciita irachena. Con conseguenze difficili da prevedere. Intanto, le violenze continuano anche in Siria. Ieri il ministro della Difesa russo, Serghiei Shoigu, ha annunciato di aver proposto agli Stati Uniti di compiere da mercoledì prossimo raid congiunti per «colpire i gruppi di Jabhat Al Nusra e le formazioni armate illegali che non sostengono la tregua, nonché carovane con armi e munizioni e unità armate che attraversano illegalmente il confine turco-siriano». Shoigu ha spiegato che «il varo di queste misure permetterà di avviare il processo di soluzione pacifica del conflitto in tutto il territorio siriano». L’annuncio ha però preso in contropiede gli Stati Uniti. «Non abbiamo ricevuto la proposta e ho letto le stesse notizie che avete voi» ha detto il portavoce del Pentagono, il capitano Jeff Davis, aggiungendo che «al momento non collaboriamo né ci coordiniamo con i russi in alcuna operazione in Siria». Il Santo Padre ha ricevuto questa mattina in udienza Sua Eccellenza il Signor Aleksander Lukashenko, Presidente della Repubblica di Bielorussia, e Seguito. ta della Chiesa in Bielorussia e alla pacifica convivenza tra le comunità cattolica e ortodossa del Paese, come pure tra le altre confessioni religiose. Si è sottolineato, infine, il ruolo svolto dalla città di Minsk, quale sede di alcuni recenti colloqui finalizzati alla ricerca di soluzioni per la pace nella regione. L’Indonesia e il dialogo Sulla stessa strada MARCO BELLIZI A PAGINA S complesso, nessuno debba essere lasciato indietro. Da qui, il dovere di assicurarsi che sempre meno persone siano penalizzate da un’economia globale che non conosce sostenibilità. C’è poi una tavola rotonda dedicata a un tema sintetico quanto essenziale: ridurre i rischi. Infine, il dibattito che appare più concreto di tutti, quello su come aumentare i finanziamenti. L’appello, che emerge già prima del summit, arriva anche alle religioni e nello stesso tempo è lanciato proprio dalle religioni. A Istanbul infatti ci sarà un dibattito speciale proprio sull’impegno delle confessioni religiose. C’è un antefatto: in vista del vertice umanitario mondiale, un anno fa, a Ginevra, i rappresentanti di quattro religioni hanno partecipato alla giornata di dibattito dedicata proprio al ruolo speciale svolto dalle istituzioni e organizzazioni religiose nelle zone di conflitto. All’incontro, promosso dall’Ordine di Malta, hanno partecipato cristiani, musulmani, ebrei, buddisti. In quell’occasione Jemilah Mahmoud, per anni medico in prima fila in vari conflitti e scelto da Ban Ki-moon per guidare il team internazionale di preparazione del vertice di Istanbul, ha ricordato che le organizzazioni a carattere religioso assicurano la maggior parte dell’assistenza umanitaria da cui attualmente nel mondo dipendono, per la stretta sopravvivenza, ben ottanta milioni di persone. Le organizzazioni religiose sono spesso le prime a intervenire sul campo nelle situazioni di emergenza umanitaria e per questo godono della fiducia delle comunità locali. Un’altra caratteristica fondamentale è che il loro arrivo non è legato a interessi politici. Ma anche i leader religiosi hanno un obiettivo preciso da raggiungere, lavorandoci molto. Ed è far sì che tutti si impegnino a giocare un ruolo nella battaglia contro i fondamentalismi. Più in generale, da parte dei leader politici, è necessaria una doverosa assunzione di responsabilità affinché cooperazione faccia rima con riconciliazione, e perché l’impegno all’assistenza proceda di pari passo con un impegno serio per la pace. NOSTRE INFORMAZIONI Udienza al presidente della Repubblica di Bielorussia Nella mattinata di sabato 21 maggio, Papa Francesco ha ricevuto in udienza, nel Palazzo apostolico vaticano, Sua Eccellenza il Signor Aleksandr Lukashenko, Presidente della Repubblica di Bieolorussia, il quale ha successivamente incontrato il cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato, accompagnato dall’arcivescovo Paul Richard Gallagher, segretario per i Rapporti con gli Stati. Nel corso dei cordiali colloqui è stata espressa soddisfazione per il buono stato delle relazioni bilaterali e sono state affrontate alcune tematiche di interesse comune, con particolare riferimento alla vi- eimila partecipanti, tra cui cinquanta leader mondiali. Prende il via, lunedì 23 maggio a Istanbul il primo vertice umanitario mondiale, voluto dal segretario generale dell’Onu, BanKi-moon. Per due giorni, nella capitale turca si riuniranno rappresentanti di governi, agenzie per gli aiuti umanitari, comunità colpite, società civile e settore privato. Parteciperà anche la delegazione della Santa Sede presieduta dal cardinale segretario di Stato, Pietro Parolin, della quale faranno parte l’osservatore permanente presso le Nazioni Unite a New York, arcivescovo Bernardito Auza, e l’osservatore permanente presso l’ufficio delle Nazioni Unite ed Istituzioni specializzate a Ginevra, arcivescovo Silvano Tomasi. Lo scenario è drammatico e noto. Ogni giorno, le cronache parlano di nuove vittime della violenza. Su dieci, nove di queste sono civili. E sono centoventicinque milioni le persone direttamente coinvolte in questa vera e propria guerra mondiale a pezzi. L’obiettivo ultimo della mobilitazione che ha portato al vertice è, in sostanza, tutelare l’umanità, mettendo in campo una cooperazione davvero mondiale. Dalle guerre più diverse ai disastri ambientali più dimenticati. Lo scopo è ambizioso e i piani di azione sono innumerevoli e complessi. Per questo primo incontro, sono cinque le tematiche fondamentali indicate come chiavi di lettura. La prima è la priorità delle priorità: ridurre e prevenire i conflitti. Contestualmente viene l’impegno per garantire il rispetto del diritto umanitario. Le leggi internazionali non mancano ma il punto è «far rispettare le norme che tutelano l’umanità», come è scritto nel titolo di una delle tavole rotonde. Oggi le guerre, che restano comunque drammatiche, sono asimmetriche, senza una contrapposizione precisa di eserciti o schieramenti di forze, e troppo spesso non c’è rispetto dei più basilari principi dei regolamenti internazionali. In tema di umanità, un presupposto è fondamentale, anche se troppo spesso dimenticato. È l’idea che, per parlare di umanità nel suo 6 Il Santo Padre ha ricevuto questa mattina in udienza: gli Eminentissimi Cardinali: — Marc Ouellet, Prefetto della Congregazione per i Vescovi; — Agostino Vallini, Vicario Generale di Sua Santità per la Diocesi di Roma; — Albert Malcolm Ranjith Patabendige Don, Arcivescovo di Colombo (Sri Lanka); Sua Eccellenza Monsignor Michael W. Banach, Arcivescovo titolare di Memfi, Nunzio Apostolico in Senegal e in Mauritania. Il Santo Padre ha nominato l’Eminentissimo Cardinale João Braz de Aviz, Prefetto della Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica, Suo Inviato Speciale al Congresso Eucaristica nazionale del Portogallo, che sarà celebrato a Fátima dal 10 al 12 giugno 2016. Il Santo Padre ha nominato l’Eminentissimo Cardinale Dominik Duka, O.P., Arcivescovo di Praga (Repubblica Ceca), Suo Inviato Speciale alla solenne Celebrazione Eucaristica che, in occasione del 1700° anniversario della nascita di San Martino di Tours, si terrà a Szombathely (Ungheria) il 9 luglio 2016. Il Santo Padre ha nominato Nunzio Apostolico in Gabon Sua Eccellenza Monsignor Francisco Escalante Molina, Arcivescovo titolare eletto di Gratiana, Nunzio Apostolico nella Repubblica del Congo. Nomina di Vescovo Ausiliare Il Santo Padre ha nominato Vescovo Ausiliare di Brno (Repubblica Ceca), il Reverendo Pavel Konzbul, finora Parroco della Cattedrale dei Santi Pietro e Paolo a Brno, assegnandogli la Sede titolare di Litomyšl. L’OSSERVATORE ROMANO pagina 2 domenica 22 maggio 2016 Un gruppo di migranti in arrivo al porto di Málaga (Afp) L’Ecuador dopo il terremoto Scosso dalle fondamenta BRUXELLES, 21. I ministri dell’Interno Ue hanno concordato ieri una posizione comune per l’attivazione di un “freno d’emergenza” che permetterà la sospensione dell’esenzione dei visti per Paesi terzi. Si tratta di un elemento fondamentale, prima di arrivare alla liberalizzazione dei visti per la Turchia nell’area Schengen, uno dei punti centrali, e più controversi, dell’intesa tra l’Unione e Ankara per gestire i flussi migratori. In sostanza, grazie al “freno di emergenza”, l’Unione potrà reintrodurre l’obbligo di visti nel caso di un aumento dei rischi per l’ordine pubblico o la sicurezza interna, e in particolare con un aumento sostanziale di crimini gravi o attacchi terroristici legati al Paese in questione. Per la Turchia, invece, scatterà anche se Ankara non dovesse fare abbastanza per fermare il flusso di migranti verso l’Ue. «Non si tratta di una misura punitiva nei confronti di nessuno, ma di una misura di sicurezza per l’Europa» ha spiegato il commissario Ue per gli Affari interni e l’immigrazione, Dimitris Avramopoulos, al termine dei lavori. Perché ci sia un sospensione della liberalizzazione dei visti «è necessario che ci sia un meccanismo di controllo, e le misure approvate dai ministri permettono un monitoraggio dell’Ue sugli altri Paesi» ha detto il commissario. E sempre ieri Avramopoulos ha voluto sottolineare che l’accordo tra Per la gestione del flusso di migranti verso l’Europa Va avanti l’intesa con Ankara Unione e Turchia per la gestione della crisi dei migranti si applica soltanto alla Turchia, e «per il momento è difficile ipotizzare di replicarlo per altri Paesi». L’Italia aveva ipotizzato di riutilizzare lo schema alla base dell’accordo con la Turchia anche ad altri Paesi, in particolare Libano e Giordania. «Il fattore comune a questi Paesi è che tutti e tre si trovano sotto il peso della pressione Ballottaggio in Austria per le presidenziali Norbert Hofer nel corso di un comizio a Vienna (Afp) re vincere un’estrema destra dura e pura non mi piace», ha detto il presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker, in un’intervista a «Le Monde». Con l’estrema destra «non è possibile né un dibattito né un dialogo». L’OSSERVATORE ROMANO GIORNALE QUOTIDIANO Unicuique suum POLITICO RELIGIOSO Non praevalebunt Città del Vaticano [email protected] www.osservatoreromano.va La morte della fondatrice di Vidas ROMA, 21. Lutto nel mondo della sanità italiana. È morta ieri Giovanna Cavazzoni, fondatrice dell’associazione Vidas, che da 34 anni offre assistenza sociosanitaria completa e gratuita ai malati terminali. «Donna delle utopie e insieme personalità di profondo rigore e pragmatismo», Cavazzoni, classe 1931, è stata «una volontaria nel cuore e nell’operato quotidiano» e «ha dedicato tutta la vita agli altri, ai più soli e sofferenti, in difesa della dignità della persona malata sino all’ultimo istante» si legge in un comunicato della sua associazione. GIOVANNI MARIA VIAN direttore responsabile Giuseppe Fiorentino vicedirettore Piero Di Domenicantonio migratoria» ha premesso Avramopoulos. A Turchia, Libano e Giordania «diamo sostegno politico ed economico, ma ogni Paese ha le proprie particolarità». In futuro, ha proseguito, «quando l’accordo Ue-Turchia sarà pienamente funzionante magari potremo usare la stessa matrice per altri casi. Ma per il momento questo tipo di accordo si ap- Allarme povertà e disuguaglianze nell’analisi dell’Istat sull’Italia Favorito il candidato dell’estrema destra VIENNA, 21. Domani, domenica, l’Austria torna alle urne per decidere al ballottaggio chi sarà il nuovo presidente della Repubblica. L’opzione che gli elettori troveranno sulla scheda è sorprendente: ad affrontarsi saranno infatti due outsider. Da un lato, il candidato della estrema destra populista del Partito della libertà (Fpö), Norbert Hofer, favorito dal vantaggio di 14 punti ottenuto al primo turno. Dall’altro, il candidato indipendente appoggiato dai Verdi, Alexander van der Bellen, cui è affidato il difficile compito di realizzare una clamorosa rimonta. Per la prima volta, quindi, i principali partiti del Paese, socialdemocratici e popolari, che tradizionalmente governano assieme, sono esclusi dal ballottaggio. Il primo turno del 24 aprile scorso si è infatti concluso con Hofer al 35,1 per cento dei consensi e Van der Belle al 21,3 per cento, mentre il socialdemocratico Rudolf Hundstorfer e il popolare Andreas Khol hanno avuto entrambi solo l’11 per cento. Consolidando una tendenza che in gran parte dell’Europa, dall’Ungheria alla Polonia, dalla Slovacchia fino alla Germania, vede le forze euroscettiche in ascesa, anche in Austria — indicano gli analisti — è prevista l’affermazione della destra populista e antiimmigrati. «La prospettiva di vede- quale il Governo aveva investito 800 milioni. Inoltre, gli ecuadoriani che ricevono uno stipendio che supera i 1.000 dollari al mese dovranno devolvere un giorno di salario. Chi ha uno stipendio oltre i 2.000 dollari contribuirà con due giorni di salario e così via, fino ad arrivare a chi riceve 5.000 dollari, che pagherà cinque giorni di salario. Con queste misure fiscali di emergenza, sommate al prestito di 400 milioni di dollari richiesto alle istituzioni finanziarie internazionali, il Governo spera di raccogliere denaro sufficiente per finanziare la ricostruzione. Una delle città più colpite è stata Pedernales, nella provincia di Manabí, molto vicino all’epicentro del grande sisma. Qui sono morte 166 persone, e 2.500 case sono state ridotte in macerie. Quasi 25.000 persone sono rimaste senza lavoro. In questa città turistica della costa settentrionale dell’Ecuador tutti gli hotel sono ormai inutilizzabili. «Non sono solo gli edifici a essere collassati, ma l’intera popolazione». Negli ultimi anni, l’Ecuador aveva infatti scommesso molto sulla promozione del turismo settore profondamente colpito dal terribile sisma. Con la campagna «All you need is Ecuador» (“Tutto ciò che ti serve è l’Ecuador”), il Governo intendeva intercettare il turismo proveniente dall’Europa e dagli Stati Uniti con un’offerta che spaziava dalle bellezze della regione costiera, delle Ande, dell’Amazzonia e delle Galápagos. Ora, in tempo record, è stata avviata una campagna in rete chiamata «D on’t cancel your trip to Ecuador» (“Non annullare il tuo viaggio in Ecuador”). Malgrado la zona costiera, la più colpita dal sisma, rappresenti forse la principale attrazione turistica, altre regioni che richiamano altrettanti visitatori sono rimaste intatte. È il caso delle isole Galápagos, delle città coloniali di Quito e Cuenca o della maestosa foresta amazzonica. La cosa certa è che il sisma ha colpito il Paese con forza e il recupero è molto lento. Una catastrofe di tale portata in una nazione tanto piccola, con un’economia in gran parte dipendente dal settore petrolifero — in netto calo — fa intendere quanto il futuro assomigli a un tunnel del quale è difficile scorgere la via d’uscita. di SILVINA PÉREZ ROMA, 21. L’Italia sta uscendo da una recessione lunga e profonda e sperimenta un primo, importante, momento di crescita persistente, anche se a bassa intensità. Questa, in sintesi, l’analisi dell’Istat (che celebra i 90 anni di attività statistica) nel Rapporto annuale 2016, da cui emerge, tuttavia, anche la crescita delle disuguaglianze e l’allarme povertà. L’indicatore di grave deprivazione materiale – rileva la quota di persone in famiglie che sperimentano situazioni di disagio – si assesta nel 2015 all’11,5 per cento. Ciò significa che quasi due persone su tre si sono trovate in condizioni di grave povertà nel 2015. E questo dato risulta oltre tre volte più elevato nel Mezzogiorno rispetto al Nord. Il rapporto dell'Istat conferma inoltre la crisi occupazionale. Continuano ad aumentare le famiglie in cui nessuno ha un lavoro, arrivando nel 2015 a 2,2 milioni, e 1 su 4 è al Sud. Il calo del tasso di occupazione è stato più contenuto per i laureati rispetto a chi ha conseguito solo la licenza media o un diploma. Instabilità e precarietà lavorativa riguardano principalmente i giovani e le donne. In sostanza, commentano gli esperti, la mobilità sociale nel Paese si è fermata e chi proviene da condizioni più disagiate stenta a costruirsi una posizione. Il pil (prodotto interno lordo) ha fatto segnare un rialzo dello 0,8 per cento lo scorso anno. Secondo la stima preliminare, il dato è salito dello 0,3 per cento (più 1 per cento su base annua) nel primo trimestre 2016. Tuttavia la disuguaglianza nella distribuzione del reddito non accenna a ridursi. In dieci anni (1990-2010) è infatti passata da 0,40 a 0,51, l’incremento più alto tra i Paesi europei per i quali sono disponibili i dati. A pagare il prezzo più elevato della crisi economica sono stati i bambini. L’incidenza di povertà relativa per i minori, che tra il 1997 e il 2011 aveva oscillato su valori attorno all’11-12 per cento, ha raggiunto il 19 per cento nel 2014. Servizio vaticano: [email protected] Servizio internazionale: [email protected] Servizio culturale: [email protected] Servizio religioso: [email protected] caporedattore Gaetano Vallini segretario di redazione Servizio fotografico: telefono 06 698 84797, fax 06 698 84998 [email protected] www.photo.va plica solo nell’ambito dell’intesa raggiunti con La Turchia». L’accordo con Ankara ha avuto successo finora, permettendo di abbattere il numero dei migranti e dei rifugiati in rotta verso l’Europa attraverso la rotta balcanica. Ieri la Grecia ha rimandato in Turchia 51 migranti, tra cui cinque bambini, come previsto appunto dal sistema di ricollocamento stabilito dall’accordo. Le autorità greche fanno sapere che 23 persone sono sbarcate nel porto di Dikili, nella provincia egea di Smirne, e altre 28 più a sud in quello di Gulluk, nella provincia di Mugla. I migranti rinviati sono originari di Bangladesh, Pakistan, Afganistan, Iraq, Iran, Algeria, Marocco e Nepal. Il totale delle persone rimandate in Turchia da inizio aprile, nell’ambito dell’accordo, sale così a 441, tra cui 18 siriani. I migranti e rifugiati che si trovano in Grecia restano quasi 55.000. Bruxelles, intanto, guarda anche ad Atene. La Commissione Ue ha messo a disposizione della Grecia 56 milioni di euro di aiuti per la gestione della crisi dei migranti. Le risorse verranno usate per «accrescere le capacità di registrazione» dei richiedenti asilo da parte delle autorità elleniche, e assistenza alle persone più vulnerabili che si trovano su territorio greco. I soldi — dicono fonti specializzate — arriveranno tramite il fondo Amif per l’immigrazione e l’integrazione (46 milioni) e il fondo Isf per la sicurezza interna (dieci milioni). Con le risorse messe a disposizioni salgono a 237 milioni di euro gli aiuti messi a disposizione di Atene dall’inizio del 2015 per rispondere all’emergenza migranti. Da quando la terra ha tremato violentemente lo scorso 16 aprile, la vita di decine di migliaia di ecuadoriani è stata distrutta. Il devastante sisma, di 7,8 gradi Richter, è stato seguito da altre due nuove onde sismiche che hanno aggiunto danni ai danni. La terra si è rimessa a tremare il 18 maggio e dall’inizio del mese lo ha fatto altre 1.564 volte, con un bilancio di 655 morti, 18.601 feriti e 30.000 persone senza casa. Molti abitanti delle zone colpite sono rimasti senza lavoro, perché la loro attività commerciale è crollata o perché il luogo dove lavoravano ha smesso di esistere. Una di queste persone è Rafael Castillo, agricoltore di San Vicente, una piccola comunità dell’entroterra della provincia costiera di Manabí. «Ho perso tutto, la mia casa e le mie coltivazioni di papaya. Ora dovrò chiedere un prestito per poter seminare di nuovo, ma ci vorrà più di un anno per ottenere il raccolto», racconta. Come lui, migliaia di ecuadoriani sono obbligati a cercare un modo per andare avanti, ricostruendo vite che il terremoto ha demolito. Con le antenne telefoniche cadute a terra e senza possibilità di comunicare con l’esterno, il paesino di Quinindé nella provincia di Esmeraldas sta cercando di tornare alla normalità. Il 75 per cento delle case è stato distrutto, ma il terremoto non ha fatto vittime. «La cosa peggiore è la paura che ci è rimasta dentro», assicura Valdés, proprietario di due ettari di terreno in cui coltivava maracuja, pepe e cacao. Mentre il Governo stima i danni in tre miliardi milioni di dollari, la popolazione colpita si chiede come affrontare le conseguenze del sisma «Abbiamo 640 milioni nella Banca interamericana di sviluppo e della Banca mondiale pronti per essere usati. La liquidità esiste e potrebbe arrivare a un miliardo, perché anche il Fondo monetario internazionale ci ha offerto una linea di credito da 400 milioni senza condizioni», ha assicurato il presidente Rafael Correa nel comunicato settimanale sullo stato dei lavori. Per attenuare le conseguenze economiche del sisma, l’Ecuador metterà in vendita, fra le altre attività, l’azienda idroelettrica Sopladora, sulla L’Esecutivo messicano licenzia 3119 maestri Uomo armato tenta di entrare alla Casa Bianca Tensione a Washington WASHINGTON, 21 L’uomo armato di pistola che ieri pomeriggio ha cercato di entrare nel perimetro della Casa Bianca è stato identificato come Jesse Olivieri, un trentenne della Pennsylvania che ora è ricoverato in gravi condizioni dopo che un agente lo ha colpito al tora- ce. Per un’ora la Casa Bianca è rimasta in stato di lockdown, “confinamento”, con nessuno che poteva entrare o uscire dal complesso. Il presidente Obama non era a Washington al momento dell’incidente. All’interno della Casa Bianca si trovava il vice presidente Biden. Agente della sicurezza lungo il perimetro della Casa Bianca (Epa) Segreteria di redazione telefono 06 698 83461, 06 698 84442 fax 06 698 83675 [email protected] Tipografia Vaticana Editrice L’Osservatore Romano don Sergio Pellini S.D.B. direttore generale Tariffe di abbonamento Vaticano e Italia: semestrale € 99; annuale € 198 Europa: € 410; $ 605 Africa, Asia, America Latina: € 450; $ 665 America Nord, Oceania: € 500; $ 740 Abbonamenti e diffusione (dalle 8 alle 15.30): telefono 06 698 99480, 06 698 99483 fax 06 69885164, 06 698 82818, [email protected] [email protected] Necrologie: telefono 06 698 83461, fax 06 698 83675 CITTÀ DEL MESSICO, 21. È battaglia in Messico sulla riforma della scuola. Il Governo del presidente Enrique Peña Nieto ha annunciato il licenziamento di 3119 maestri per aver partecipato a uno sciopero illegale contro la legge sull’educazione. Secondo il coordinamento nazionale dei lavoratori dell’educazione (Cnte), sono oltre 24.000 i maestri che mantengono lo sciopero e altre manifestazioni contro la riforma nel settore e contro i sistemi di valutazione che considerano troppo severi. Di fronte alla sede della Segreteria di educazione pubblica (Sep) a Città del Messico i partecipanti a un sit-in lo scorso 15 maggio hanno detto di non temere di essere licenziati. Nel frattempo, a Oaxaca per il quinto giorno consecutivo, proseguono i blocchi delle strade e delle installazioni pubbliche da parte dei maestri che manifestano contro la riforma voluta dal Governo. Concessionaria di pubblicità Aziende promotrici della diffusione Il Sole 24 Ore S.p.A. System Comunicazione Pubblicitaria Ivan Ranza, direttore generale Sede legale Via Monte Rosa 91, 20149 Milano telefono 02 30221/3003, fax 02 30223214 [email protected] Intesa San Paolo Ospedale Pediatrico Bambino Gesù Società Cattolica di Assicurazione Credito Valtellinese L’OSSERVATORE ROMANO domenica 22 maggio 2016 pagina 3 Operazioni di ricerca nella zona di mare dove l’aereo egiziano è precipitato (Ansa) Al G7 dei ministri economici e finanziari in Giappone Piano d’azione per la stabilità globale TOKYO, 21. Accordo sulle oscillazioni dei tassi di cambio delle valute senza fissare target predefiniti e misure di contrasto al finanziamento del terrorismo, ma anche un richiamo all’aumento delle incertezze globali, al rischio Brexit e all’emergen- Il sostegno Nato all’Afghanistan proseguirà oltre il 2016 BRUXELLES, 21. I ministri degli Esteri della Nato hanno concordato che la missione Resolute Support in Afghanistan «continuerà oltre il 2016» e hanno anche dato disponibilità a continuare il finanziamento delle forze armate e polizia afghane «fino a tutto il 2020». Lo ha annunciato ieri il segretario generale dell’Alleanza atlantica, Jens Stoltenberg, aggiungendo di aspettarsi che il vertice di luglio a Varsavia confermerà gli impegni e che il ministro degli Esteri afghano, Salahuddin Rabbani, ha illustrato le iniziative del Governo per la lotta alla corruzione, la protezione dei diritti umani e delle donne e per fare passi avanti nel processo di pace. Quanto al sostegno finanziario per le forze armate afghane, «i contributi hanno superato 1,4 miliardi», ma al vertice di Varsavia del prossimo 8 e 9 luglio, «potremo annunciare il nostro impegno a continuare i finanziamenti alle forze afghane fino al 2020». Infatti, ha aggiunto, «questo è fondamentale per la abilità dell’Afghanistan di costruire forze di sicurezza stabili e assicurare una sicurezza duratura al Paese». La situazione in Afghanistan resta critica con gli insorti talebani che hanno intensificato i loro attacchi nel corso della loro tradizionale offensiva di primavera. E l’impegno internazionale deve continuare: lo ha ammesso lo stesso presidente statunitense, Barack Obama, che in un primo momento aveva promesso di terminare entro il suo secondo mandato il conflitto in Afghanistan. E, intanto, la Nato ha confermato che un suo veicolo è stato oggi al centro di un attentato nelle vicinanze della base aerea di Bagram, nella provincia centrale afghana di Parwan, e che in esso non vi sono state vittime o feriti. «Un nostro veicolo è stato colpito dall’esplosione di uno ied nelle vicinanze di Bagram» e che «nonostante la rivendicazione dei talebani e le notizie dei media, il personale della coalizione coinvolto non ha riportato danni». za immigrazione. Questi i punti centrali del comunicato finale del G7 dei ministri finanziari e banchieri centrali, che si è chiuso oggi a Sendai, in Giappone. Nella nota, diffusa dalla presidenza giapponese del vertice, si annuncia che sulla questione dei tassi di cambio delle valute è stato raggiunto un accordo per permettere un maggior equilibrio e prevenire nuove crisi globali. E questo perché «un eccesso di volatilità e movimenti disordinati dei tassi di cambio possono avere un impatto negativo sulla stabilità economica: devono essere evitate svalutazioni competitive» (ovvero l’intenzionale indebolimento della moneta per rafforzare le esportazioni). Il G7 ha poi messo in evidenza come il rischio Brexit, la crisi dei rifugiati e la minaccia del terrorismo stanno rendendo più complicata la situazione economica. Anche per questo — si legge nel comunicato finale — devono essere rafforzate le misure di controllo e di regolamentazione della finanza. Parigi conferma i messaggi prima della perdita dei contatti Fumo a bordo dell’Egyptair PARIGI, 21. Dall’aereo Egyptair precipitato sono stati inviati messaggi automatici che segnalavano la presenza di fumo a bordo: lo conferma Bea, l’ufficio di inchiesta francese per la sicurezza dell’aviazione civile. «Ci sono stati messaggi inviati dall’aereo che indicavano la presenza di fumo nella cabina poco prima della perdita di contatti, ma è troppo presto per interpretare e capire la causa dell’incidente senza aver trovato il relitto e le scatole nere», ha spiegato un portavoce della Bea. Il tratto di mare dove l'areo si è inabissato viene controllato anche da velivoli che decollano da Sigonella e nelle pros- sime ore è atteso in zona un ricognitore francese con sonar e altri macchinari utili alla ricerca delle scatole nere — che sono state localizzate oggi — fondamentali per capire cosa sia successo al volo MS804, sparito dai radar verso le 2.45 di giovedì e inabissatosi dopo misteriose virate. Il ministro degli Esteri francese, Jean-Marc Ayrault, ha detto che per il momento non c’è «alcuna indicazione» valida per privilegiare qualche ipotesi. Certamente non si può escludere che si sia trattato di un attentato terroristico. L’Airbus A320 è caduto senza lanciare Sos in condizioni meteorologiche ottimali. Centinaia le vittime Migliorano le misure di sicurezza nella capitale libica Ondata di caldo in India Verso la riapertura delle ambasciate a Tripoli NEW DELHI, 21. Immersa in un’ondata di caldo canicolare senza precedenti, l’India ha toccato oggi nuovi record di temperatura. A Phalodi, città nello Stato nordoccidentale del Rajastan, sono stati registrati 51 gradi di temperatura, il livello più alto negli ultimi 60 anni. E non è stata l’unica città a registrare picchi da record: a Bikaner e Barmer la colonnina di mercurio ha infatti segnalato 49,5 gradi. Condizioni di caldo inteso, con almeno 45 gradi sono stati segnalati anche nella capitale. New Delhi, così come in molti altri Stati dell’Unione. L’India sta affrontando una delle peggiori siccità di sempre. L’ondata di calore, piuttosto abituale in questa parte dell’anno, sta investendo duramente la parte nord-occidentale centrale del Paese. Almeno 330 milioni le persone colpite. Il Governo centrale ha chiesto alla popolazione di prendere precauzioni, ma solo nello Stato meridionale di Telangana sono già morte 300 persone. I servizi meteo hanno lanciato un nuovo allarme per una ulteriore ondata di calore la prossima settimana. Un bambino indiano nel fiume Sabarmati (Ap) Ankara revoca l’immunità parlamentare ANKARA, 21. Con una maggioranza schiacciante il Parlamento turco ha dato il via libera alla revoca dell’immunità parlamentare, aprendo la strada a processi e arresti per decine di deputati, soprattutto curdi. La legge è stata approvata da 376 parlamentari, superando la soglia dei 2/3 e quindi il rischio di dover passare per un referendum. Il sì alla norma — proposta dal partito di Governo guidato dall'Akp — è arrivato anche grazie all’opposizione nazionalista Mhp e da almeno una ventina di deputati del socialdemocratico Chp, che ha lasciato libertà di coscienza. L’emendamento costituzionale prevede la rimozione dell’immunità dei deputati sotto inchiesta. Al momento sono 139 di tutti i partiti, per un totale di 682 richieste di autorizzazione a procedere: più della metà a carico dei curdi. Altri 105 casi dovrebbero ap- Nel comunicato si fa anche riferimento all’importanza di attuare strategie fiscali flessibili e all’intesa sull’orientamento delle politiche monetarie che devono continuare a sostenere l’economia e garantire la stabilità dei prezzi. Come rilevano gli analisti, al vertice non si è giunti a un’intesa su misure coordinate per stimolare l’economia globale, ma ci si è limitati a indicare che bisognerebbe attuare una combinazione di interventi di tipo monetario, fiscale e strutturale. Il segretario al Tesoro statunitense, Jacob Lew, è intervenuto sulla crisi greca, chiedendo alla Germania di concedere un alleggerimento del debito ellenico. Al termine di un bilaterale con il ministro delle Finanze tedesco, Wolfgang Schäuble, Lew ha dichiarato: «Ho sottolineato l’importanza del fatto che l’Europa onori l’impegno che aveva preso in occasione dell’accordo sul nuovo piano di aiuti» che prevedeva un «alleggerimento significativo del debito». prodare in Parlamento prima della ratifica del presidente Recep Tayyp Erdoğan. Tra i curdi, almeno 50 parlamentari su 59 rischiano di perdere il loro scranno. Alcuni potrebbero finire direttamente in galera, come previsto per le accuse più gravi di sostegno al Pkk, che sono oltre 200. Una spada di Damocle possibile in gran parte per la severità della legge antiterrorismo, che Ankara ha blindato nelle trattative con l’Ue. La norma approvata dal Parlamento turco ha suscitato forti allarmi a livello internazionale. «È un colpo alla democrazia turca e alla libertà politica», ha denunciato il presidente dell’Europarlamento, Martin Schulz. A sollevare la questione, fanno sapere da Berlino, sarà lunedì anche il cancelliere Angela Merkel nel suo incontro con Erdoğan a Istanbul, a margine del vertice umanitario dell’O nu. TRIPOLI, 21. Il Governo di unità nazionale libico del premier designato, Fayez Al Sarraj «ha i piani pronti per garantire la sicurezza di ambasciate e sedi diplomatiche» a Tripoli. Lo ha dichiarato ieri sera il generale Abdul Rahman Al Taweel. «Molti Paesi hanno manifestato attraverso i loro ambasciatori e ministri l’intenzione di tornare a Tripoli, senza che sia stata fissata alcuna data, poiché ciò dipende dalle misure di sicurezza e dalla situazione generale», ha spiegato Al Taweel. «Stiamo equipaggiando questo apparato perché sia una forza in grado di proteggere le ambasciate», ha aggiunto il generale libico, assicurando che «una volta che avremo accertato la sua preparazione, inviteremo le ambasciate a tornare. Ma nel caso in cui avessimo il minimo dubbio sul livello di protezione — ha precisato — lo comunicheremo, in quanto la protezione delle sedi diplomatiche sarà responsabilità dello Stato libico». Mahdi Al Barghathi, ministro designato della Difesa del Governo di unità nazionale libico, è arrivato giovedì a Tripoli a quasi due mesi da quando, a fine marzo, nella capitale sbarcò il premier con sette dei nove membri del Consiglio presidenziale. Al Barghathi è un generale dell’esercito, dello stesso esercito nazionale libico del generale Per indagare sulle violazioni dei diritti umani Missione dell’Onu in Burundi BUJUMBURA, 21. Una missione indipendente delle Nazioni Unite è al lavoro nel Burundi per indagare sulle violazioni dei diritti dell’uomo. L’Unhcr (l’Alto commissariato dell’Onu per i diritti umani) ha inviato nella capitale burundese, Bujumbura, una équipe per investigare sulle gravi violazioni che si sarebbero consumate dall’inizio della crisi in cui è piombato il Paese africano. La durata prevista della missione è di quattro mesi. Il 17 dicembre dello scorso anno, il Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite aveva votato una risoluzione per l’invio «urgente» di esperti indipendenti, dopo le pesanti accuse di esecuzioni extragiudiziarie e l’esistenza di fosse comuni in campi militari. Queste fosse comuni sarebbero state rinvenute dopo il presunto at- tacco dei ribelli — che si opponevano alla controversa rielezione per un terzo mandato del presidente, Pierre Nkurunziza — ai militari. A riguardo, l’Alto commissario dell’Onu incaricato per i diritti dell’uomo, Zeid Ràad Al Hussein, aveva giudicato la situazione «esplosiva», parlando di «un Paese sul punto di precipitare nella guerra civile». I rappresentanti della missione dell’Onu avranno anche la possibilità di recarsi nei Paesi confinanti con il Burundi, per raccogliere le testimonianze dei rifugiati burundesi. Dopo l’annuncio del presidente Nkurunziza di ricandidarsi per un terzo mandato nonostante il parere contrario della Costituzione, elezione avvenuta poi nel giugno scorso con il 69 per cento dei consensi, il Paese africano è caduto in una grave crisi caratterizzata da violenze, che hanno già provocato più di 500 morti e la disperata fuga di oltre 270.000 persone. Fonti delle Nazioni Unite riprese dalle agenzie di stampa internazionali hanno, dall’inizio dell’anno, già registrato oltre 350 casi di tortura e denunciato numerosi casi di esecuzioni extragiudiziarie e di sparizioni forzate. Inoltre, sono cresciuti gli attacchi da parte di milizie armate contro esponenti del partito di Governo: il 17 aprile scorso sono stati uccisi quattro politici che si erano radunati in un bar della capitale, mentre la settimana precedente era stato colpito a morte un funzionario. Gli attacchi non sono stati rivendicati, ma fonti governative riprese dall’Afp hanno dichiarato che i responsabili potrebbero essere rifugiati burundesi in Tanzania. Khalifa Haftar, ma è ritenuto avverso ad Haftar, «politicamente abbastanza distante da lui da poter essere accettato da altri gruppi e, quindi, rifiutato da Haftar», come sottolineano gli analisti dell’European Council of Foreign Relations. A Tripoli, come nel resto del Paese in cui le milizie restano un fattore determinante, la situazione appare ancora incerta. Il Governo di Al Sarraj, che manca ancora di completa legittimazione in assenza della fiducia del Parlamento di Tobruk, non avrebbe preso il controllo della sede del ministero della Difesa e Al Barghathi lavorerebbe quindi dalla base navale di Abu Sittah. Al Barghathi, ha scritto il «Libya Herald», è arrivato da Ras Lanuf all’aeroporto di Mitiga dopo colloqui che mercoledì lo avrebbero visto impegnato con Ibrahim Al Jathran, che manterrebbe il comando della forza di polizia responsabile dei terminal petroliferi nella Libia centrale. Al Jathran e i suoi uomini hanno dichiarato di recente il loro sostegno al Governo di Al Sarraj, anche se nei giorni scorsi lo stesso «Libya Herald» aveva scritto di una presunta decisione di Al Jathran di «sostenere l’operazione dell’esercito nazionale libico di Khalifa Haftar» per «liberare Sirte dai jihadisti dell’Is», che qui hanno la loro roccaforte in Libia. Sanguinosi scontri tribali nel Sudan KHARTOUM, 21. Violentissimi scontri tra due clan di una stessa tribù nel sud del Sudan hanno causato questa settimana decine di morti. Secondo l’emittente indipendente Shorouk, almeno 37 persone hanno perso la vita nello scontro tra rami della tribù Hamar, di etnia araba, nello Stato del West Kordofan. Alla base delle tensioni tra le due fazioni ci sarebbe una disputa su furti di bestiame. E la grave crisi economica colpisce anche il confinante Sud Sudan dove dall’inizio dell’anno almeno sessantanovemila persone sono scappate proprio in Sudan a causa della penuria alimentare e ai combattimenti in corso. Lo ha reso noto l’Onu. Il Paese è colpito da una guerra civile che ha provocato decine di migliaia di morti. L’OSSERVATORE ROMANO pagina 4 domenica 22 maggio 2016 Una santa estrema nel rapporto artistico e intellettuale tra Yves Klein e Dino Buzzati «Cessione da parte di Yves Klein a Dino Buzzati della Zona di sensibilità pittorica immateriale Serie n. 1, Zona n. 5» (Parigi, Pont-au-Doble, 26 gennaio 1962, foto Shunk-Kender © Roy Lichtenstein Foundation, per gentile concessione di Philippe Siauve, Yves Klein Archives) Miracoli senza limiti di PATRIZIA DALLA ROSA el racconto di Dino Buzzati Dove fui giovane stregone, del 1939, il giornalista narratore riconosce in Africa, in un incontaminato paesaggio dei primordi, e come tale in grado di ridestare sue indelebili visioni d’infanzia, il luogo in cui, bambino, stava per subire il supplizio di uomini selvaggi, quando alle sue urla accorsero amici lupi a liberarlo. «Oggi potrei emettere tutte le urla immaginabili e non succederebbe niente», si legge nel pezzo africano di Buzzati. Le urla dell’adulto rimarrebbero non solamente inascoltate, ma inudibili, vuote come sono di quella fede, di quella candida adesione, di quell’abbandonica arresa al non visibile che connotano il bambino. L’uomo-bambino, infatti, o il poeta, sanno di essere immersi nel mistero (etimo: «chiudersi, esser chiuso»), e perciò chiudono occhi e bocca intuendo di essere in presenza di qualcosa di più grande. Quando il bambino Buzzati s’inoltrava nel mondo naturale del greto e dei fondali del Piave e le savane dell’infanzia, lo immagino anelare, come un riparo, a qualcosa di permanente, a un pre-esistente eterno di cui sentiva nostalgia, che lui intuiva forse nella percezione di N un’appartenenza a uno stesso mondo minerale: l’attinenza del corpo con l’acqua, ma perfino con le stesse montagne, anch’esse, in fondo, generate da misteriose energie, spinte alla superficie del mondo a nascere con fatica, piegate in corrugamenti che parlano di sforzo di consolidamento e tentativo di permanere. Fisicità, dunque, perché nel mistero si è immersi. E la fede non è in un “al di là”, ma in questo fisico essere immersi nel mistero per tramite di una natura che il sentire aurorale dell’infanzia abbaglia di infinito. L’adultità divora quel sentire primo, e allora si rompe l’alleanza con il pulsare del più vero reale. È di questo che Buzzati ha narrato (con parole e immagini) per tutta la vita. È il tema centrale de Il segreto del bosco vecchio, ma la sua intera opera non cessa di indicarci questa interruzione del linguaggio originario, con il quale il bambino è in sintonia. Benché, adulto, Buzzati non riesca ad avere ancora «quell’animo lì», tuttavia il suo è un non congedo dall’infanzia, che si esprime in termini di permanente apertura al mistero. Poiché la fede nel mistero non solamente lo permea per tutta la vita, ma pure non cessa di esserci indicata con la sua opera, fino alla fine. Sulla pagina letteraria il mondo dell’infanzia è mostrato come irraggiungibile. In quello straordinario racconto che è Il borghese stregato, Buzzati mette in scena come l’adulto paghi duramente la colpa dell’incur- Relazioni possibili È in corso fino all’8 giugno al Palazzo Crepadona di Belluno la mostra di Luigi Manciocco «Relazioni possibili», curata da Angela Madesani. L’esposizione è incentrata sul tema del misticismo sacro, in particolare nel rapporto artistico e intellettuale tra Yves Klein e Dino Buzzati, con particolare riguardo a santa Rita da Cascia e all’influenza di questa figura sull’opera dell’artista francese e dello scrittore bellunese. Pubblichiamo un intervento dal catalogo. sione nell’infanzia con un desiderio che viola la realtà: “stregato” (o stregone), infatti, è il personaggio: non c’è stata fluidità in quell’incursione, che tocca solamente il personaggio, il quale è colpito, e muore, mentre lo scrittore torna incolume, resta al di qua. Intuisco dolore nella pagina letteraria di Buzzati, certo profondissimo (in fondo è dalla dualità Belluno-Milano / infanzia - età adulta che nasce), ma vi si può riconoscere anche ironia, basti pensare a come l’autore si esprime in quel delizioso racconto che è Il lasciapassare, dove sulla pretesa «unidimensionalità» dell’artista il narratore scherza, appunto, con finissima ironia. L’istintuale pittura gli concede maggiore immediatezza. Con il ciclo narrativo pittorico de I miracoli di Val Morel Dino Buzzati torna a riappropriarsi pienamente di un linguaggio che per tutta la vita gli era in qualche modo stato negato: il disegno, la pittura, il fumetto. E lo fa, non a caso — lui che ha sognato tutta la vita di tornare «ragazzo libero» — ritornando, anche fisicamente, ai prati e ai boschi della sua infanzia: luoghi-tempo di svelamento-ascolto. Buzzati disperatamente persegue il sentire di quel bambino che, come ha osservato Andrea Zanzotto, sapeva «che esistono “vite del gran tutto” riflesse in mille raggi nelle mille luci del paesaggio». E il meraviglioso-meravigliante “vecchio Toni della Santa”, custode di un fantomatico santuario in Val Morel nel racconto Spiegazione, non è altro che l’alter ego di Buzzati. Quando dell’età prima i macigni della guerra e del divenire adulto hanno finito con il serrare anzitempo il vedere senza finitezza, Buzzati torna a cercare il vecchio del piccolo santuario, ma non lo trova più. Il commovente grido «dove sei, vecchio Toni della Santa?» corrisponde a: «Dove sei, colui che sentiva?». Yves Klein sì che sentiva. «Meravigliosamente insensibile alla razionalità del nostro mondo», scrive di lui Buzzati. Rimasto bambino, con la fede nell’immenso mistero più vicino a sé che il tangibile, mistero più sentito di ciò che necessita del concreto per essere sentito, mistero fidato come un bene fidato. Non mi stu- fidare al fuoco la ricevuta dell’acquisto di una «zona di sensibilità immateriale» mentre Klein sparge nelle acque del fiume il ricavato della vendita, sotto forma di alcuni foglietti d’oro puro, affinché il corrispettivo materiale tornasse nell’acqua e nel vento. Buzzati ha di certo riconosciuto in questo artista il puro poeta Un’illustrazione da «I miracoli di Val Morel» di Dino Buzzati pisce che santa Rita da Cascia abbia veramente esaudito le sue preghiere, e che ora alle sue opere, come lui chiedeva alla santa, sia realmente tributata l’attenzione e la contemplazione per ciò che è puro, frutto di irripetibile atto creativo. Nella celebre foto che ritrae i due artisti sul Lungosenna, Buzzati ha un sorriso di tenera adesione nell’af- che lo abitava. Così come sa che Yves Klein con la sua pittura e la sua arte immateriale può rendere percepibile anche il non visibile, Buzzati sa che ciò che perdiamo da adulti è la percezione del reale nella sua forza più immensa e più vera, a riprova che, oltre le sue urla inudibili, mai si è inceppato in lui il credere nel mistero. Rita e Costantino Alle frontiere della fede Porta giubilare a Pigalle di MARTIN STEFFENS di GAUTHIER VAILLANT al 1956 la Cappella di Santa Rita conserva una presenza della Chiesa nel quartiere parigino di sexshop e cabaret e attira molte persone, affascinate dalla patrona delle cause disperate. Domenica, in occasione della festa della santa italiana, più di un migliaio di persone sono attese nella cappella che sarà per un fine settimana un “luogo giubilare”, con una porta santa della misericordia e una processione nel quartiere. Solo un albergo dalla facciata sbiadita separa la Cappella di Santa Rita dalla vetrina di un sex-shop, con la sua immancabile insegna gracchiante al neon. Una tra tante altre, a D Patrona delle cause disperate «La Croix» ha pubblicato, nei numeri del 20 e del 21-22 maggio, due articoli sulla popolarissima patrona delle cause disperate che riproponiamo in questa pagina in nostre traduzioni. Pigalle, il quartiere parigino ad alto tasso di zolfo. Di fronte, le pale del Moulin Rouge girano sulla Place Blanche per la felicità dei turisti. A eccezione di una vetrata e del suo nome scritto a lettere nere sul muro di un palazzo anonimo, nulla fa immaginare la presenza di un luogo di culto tra i pub e i cabaret. E neppure che una manciata di cattolici sia lì riunita, in pieno pomeriggio, per adorare il Santissimo Sacramento. Uno di loro, pur abitando nel quartiere, ammette di averci messo anni prima di scoprire l’esistenza della cappella. Dal 1956 santa Rita è una presenza, voluta all’inizio per le prostitute del quartiere, ma i cui frequentatori sono oggi i più svariati. Anche il quartiere è cambiato. «Quando ero bambino, c’era una ragazza ogni venti metri» ricorda padre Pierre-Olivier Picard, cappellano del luogo, i cui nonni vivevano lì. Se la prostituzione e i sexshop non sono scomparsi da Pigalle, moltissimi bar apprezzati dai giovani parigini alla moda e salaci attrazioni per turisti ne hanno cambiato la fisionomia. La Cappella resta comunque attiva nell’accoglienza delle prostitute. Ma non se ne parla molto, per discrezione. «Anche le ragazze del Bois de Boulogne ci conoscono» assicura padre Picard. «Ho persino visto diverse volte dei travestiti», racconta Gabrielle, che fa la volontaria da dodici anni. Ma la Cappella deve la sua popolarità anche a santa Rita, patrona delle cause disperate, che attira una grande varietà di persone, a volte lontane dalla Chiesa. «Ci sono miliardari, artisti, musulmani», elenca padre Picard. Il fascino che santa Rita esercita può sconfinare nella superstizione, anzi nell’esoterismo, aggiunge. «A volte sono i medium a mandarmi le persone» prosegue il cappellano. «Altri vengono per chiedere preghiere di liberazione. Il rischio dell’idolatria è molto reale, siamo alle frontiere della fede». Anche quando vengono per l’adorazione o la messa, i fedeli di santa Rita non entrano né escono mai dalla cappella senza fermarsi prima davanti alla statua vicino alla porta. Si fanno il segno della croce, la toccano e poi accendono ceri sui porta candele già sovraccarichi. Ai suoi piedi una cesta tra- bocca di intenzioni di preghiere scritte su pezzetti di carta. In ginocchio davanti alla statua, una ragazza in lacrime bisbiglia una supplica in spagnolo. Ci sono persone che vengono per chiedere qualcosa, altre che sono già state esaudite. Dire che queste ultime sono convinte del potere della santa è un eufemismo. «Prova, vedrai!», sfida Rita, con un nome adeguato alla circostanza: una hostess di 27 anni, imbattibile sulla vita della santa patrona. Jocelène, 60 anni, viene qui ogni mercoledì dall’Hauts-de-Seine. «Venti anni fa, una collega mi ha consigliato di dire una novena a Santa Rita». È stato allora, assicura, che il suo ex marito si è riavvicinato a lei. «E non era quello che avevo chiesto a santa Rita, perché avevo già trovato un altro “principe azzurro!”». C’è anche Alexandra, guarita da un tumore al seno, o Carla, che veniva picchiata dal marito. Oggi, questa portinaia di 36 anni, giocherellando con il suo rosario, racconta la sua conversione, dopo essere entrata nella cappella «spinta dalla più profonda disperazione». Ora ci viene tutti i giorni a messa. «Non posso più farne a meno». In occasione della festa di santa Rita, la cappella sarà per tutto il fine settimana un luogo giubilare, con una porta santa della misericordia e una processione nelle strade del quartiere. Lo ha deciso il cardinale André Vingt-Trois, arcivescovo di Parigi, su suggerimento di padre Picard. «L’idea non è mia — precisa quest’ultimo — ma di Papa Francesco, che ha detto che le più grandi figure di misericordia sono per lui suor Faustina, padre Pio e santa Rita». La statua di santa Rita nella cappella a lei dedicata nel quartiere parigino di Pigalle Il 21 maggio festeggiamo Costantino. L’idea che questo bel nome nasconde fa fremere gli uni, esultare gli altri. Quanti fremono denunciano nel “costantinismo” l’infelice incontro tra la fede cristiana e il potere politico. L’imperatore Costantino, convertito al cristianesimo, pose anzitutto fine alle persecuzioni e poi, favorendo la Chiesa, aprì l’era della cristianità. Gli altri, nostalgici, deplorano il legame che univa a quel tempo i poteri temporale e spirituale. Ebbene, quando si guarda alla vita di Costantino, la prima cosa che si vede è una persona. O piuttosto due: c’è sua madre Elena, ripudiata dal marito quando divenne imperatore e riabilitata dal figlio. Con lo scettro in mano, Costantino diede grande risalto alla fede ricevuta da sua madre, come sant’Agostino diede a quella di Monica la bellezza della sua penna. A meno che non sia il contrario: non è impossibile che sia stato Costantino a far convertire la madre, come fece san Martino con la sua. Che importa. Costantino è innanzitutto una storia d’amore. E una testimonianza: un convertito, è più forte di lui, fa del tutto per esprimere Gesù là dove è. Se è macellaio, tra il banco e la cella frigorifera; se è gallerista, nell’esporre l’arte cristiana. Se è imperatore, è chiaro, l’effetto della conversione è enorme. Ma si può impedire a Costantino di esercitare il suo mestiere e di farlo nella luce di Cristo? Costantino non è né la vocazione della Chiesa a dominare il mondo né una falsa via che si sarebbe dovuta evitare. Solo la generosità di un Dio che tocca il cuore dei poveri e non dimentica nessuno, anche tra quelli che governano. Nei piani di Dio, non so se c’era la cristianità, ma c’erano Elena e Costantino. E per quanti non comprendono e si disperano per i rapporti tra religione e politica, il 22 festeggiamo santa Rita. domenica 22 maggio 2016 L’OSSERVATORE ROMANO pagina 5 Il Monastero Bianco a Sohag In un padre del deserto contemporaneo La forza della debolezza Da quel primo incontro, sia io che diversi miei fratelli siamo tornati più volte a Deir Abu Makar, per confrontarci con una testimonianza monastica che ci riporta all’essenziale della nostra vocazione, per abbeverarci alle sorgenti del monachesimo cristiano — non si dimentichi che in quei medesimi luoghi i monaci sono presenti ininterrottamente dal IV secolo — e per cercare di leggere insieme ad altri fratelli nella fede «ciò che lo Spirito Santo dice alle chiese». Tutto questo fino al dono inaspettato e immeritato che la bontà del Signore ha voluto farci sul finire dello scorso anno: in settembre la partecipazione di Anba Epiphanius qui a Bose al convegno annuale di spiritualità ortodossa dedicato alla beatitudine dei misericordiosi, il suo vivere, muoversi e parlare in mezzo a noi come un fratello nella fede e un padre nella vita monastica. Poi nel mese di dicembre in Egitto l’evento di grazia che ha superato ogni nostra attesa: Markos, il «Matta el Meskin, un padre del deserto nostro novizio copto, contemporaneo (1919-2016)» è il tema ha ricevuto con la bedel convegno internazionale di nedizione del Patriarca spiritualità che si svolge nel monastero Tawadros l’abito modi Bose il 21 e il 22 maggio. L’incontro, nastico dalle mani di organizzato in collaborazione con il Anba Epiphanius ed è monastero egiziano di San Macario il stato quindi sigillato Grande, intende porre l’accento un autentico gemelsull’eredità umana e spirituale, a dieci laggio spirituale tra i anni dalla scomparsa, di una delle nostri due monasteri. maggiori figure della Chiesa copta Dagli incontri fraortodossa. Pubblichiamo l’intervento terni con i monaci di del priore di Bose che ha aperto il San Macario è sempre convegno. emersa in tutta la sua trasparenza una vita che ha come fondamento il nutrimento San Macario a Wadi el Natrun e di quotidiano della parola di Dio, uniincontrarvi l’autore della traduzione co cibo che sostiene la speranza del francese, abuna Wadid, un ingegne- regno di Dio. «Quando chiesi a re cattolico che, desideroso di ab- Matta el Meskin di insegnarmi a bracciare la vita monastica e non tro- pregare — mi confidò una volta un vandone la possibilità all’interno monaco — l’abba mi disse di dargli della sua chiesa copto-cattolica, ven- la mia Bibbia. Aprì il libro, cercò ne accolto a San Macario nel pieno l’inizio della Lettera agli Efesini, si alrispetto della sua identità confessiozò, levò gli occhi al cielo, lesse ad nale, fino a divenire uno dei monaci più vicini al cuore di Matta el Me- alta voce il primo versetto, tacque, ripeté due volte ogni parola, poi riskin. Pochi mesi fa sono venuto a sape- lesse tutto daccapo. Passò al versetto re che proprio la traduzione in fran- seguente, alzò la voce, supplicò Dio cese di quel testo sull’unità dei cri- di perdonarlo, canticchiò il versetto, stiani era stata all’origine del primo la ripeté a bassa voce, alzò le mani, incontro tra Wadid e abuna Matta el pianse... E fece così fino alla fine del Meskin a Wadi Rayyan... Ma su capitolo. Si era completamente diquesto intenso legame fraterno ascolteremo la voce di fr. Wadid stesso che, pur nell’impossibilità di essere tra noi fisicamente, non ha voluto far mancare il suo contributo ai nostri lavori. A San Macario fervevano i lavori di ricostruzione. Matta el Meskin, dopo aver diretto personalmente il progetto, l’impostazione e l’esecuzione degli interventi principali, viveva ormai in disparte, dedicandosi unicamente alla preghiera e alla paternità spirituale nei confronti dei suoi monaci. A chi, come me, chiedeva di incontrarlo, faceva rispondere che la sua persona non era importante e che solo l’incontro con il Signore restava fondamentale per ogni cristiano e per ogni monaco. Ma la sua parola giungeva attraverso il vissuto dei menticato della mia presenza accansuoi monaci — parabola vivente di to a lui!». cosa significa la sequela cristiana A un giornalista che lo interroganella via monastica — e per me in va sulle origini del proprio cammino particolare grazie ai dialoghi fraterni monastico, abuna Matta el Meskin con fr. Wadid, uomo di pace e di ac- rispondeva: «La mia vita è una procoglienza, capace allora come oggi fonda relazione tra Dio e me. Ho di trasmettere a quanti lo accostano cominciato da solo. Lo scopo è stato l’intensa ricerca della comunione quello di offrire la mia vita al Signonell’amore che arde in lui come ar- re: questo l’ho capito e deciso grazie deva nel suo padre spirituale. a una lettura continua della Bibbia. di ENZO BIANCHI el tardo autunno del 1969, quando l’embrione di questa comunità monastica di Bose contava appena quattro fratelli e una sorella, scoprii un testo di abuna Matta el Meskin tradotto in francese e non ancora pubblicato: L’Unité chrétienne. Rimasi folgorato dalla lucidità profetica di quelle parole e volli tradurle e pubblicarle in Italia su una piccola rivista, Lettere ’70, che raccoglieva le riflessioni spirituali di alcuni cristiani di diverse confessioni stimolati dalla «novella Pentecoste» del concilio Vaticano II. Uscì nel numero di febbraio del 1970 con il titolo Ecumenismo o coalizione? Pochi anni dopo, a metà degli anni Settanta, ebbi la gioia di visitare per la prima volta il monastero di N Matta el Meskin Antico e Nuovo Testamento mi hanno concesso di costruire la mia vita su un fondamento solido. Mi sono chiesto: come potrò donare tutta la mia vita al Signore in questi pochi anni che ho da vivere? Come potrò realizzare nella mia esistenza ciò che hanno vissuto le persone della Bibbia? Ho pensato che la mia vita fosse troppo breve per poter assimilare questo libro. Allora ho tentato, nella preghiera e con molte lacrime, di capire questi uomini dell’Antico Testamento e, poco alla volta, mi sono diventati familiari: mi sono adattato a loro, e ora essi vivono in me e io in loro. Come essi hanno vissuto la loro relazione con Dio, così anch’io oggi. Nei libri dell’Antico Testamento ho sperimentato l’amore di Dio, la sua severità, la sua pedagogia, la sua bontà. Giorno e notte ho letto la Bibbia, affinché diventasse la mia propria carne e il mio sangue. Poi sono passato al Nuovo Testamento, che è stato per me un libro luminoso. Ho capito che il Signore è la luce del giorno, e Cristo la stella della pace. Antico e Nuovo Testamento mi collegano a Dio: la mia vita, il mio pensare, il mio amare non è al- bo quotidiano nella lettura, nello studio, nella contemplazione. Così era solito ripetere abuna Matta: «Quando leggiamo un apoftegma, a noi deve accadere questo: prima lo Spirito ci convince che la loro esperienza è vera, poi dobbiamo lottare per fare nostra questa loro esperienza, perseverando nella lotta fino alla morte, cioè pronti a morire Ardente fautore di un’unità dei cristiani per rimanere fedeli al comandamento che lo non si stancò mai Spirito ci ha dato. di ricercare vie di pace e di comunione Morire per mettere in pratica nello Spirito un comandamento del tro che la Sacra Scrittura. Il resto Signore: questo è il vero martirio. non mi interessa più». Ma colui che è pronto a morire sarà Ma la Scrittura giunge attraverso salvato dal Signore e non morirà, una tradizione ed è per questo che — perché il Signore stesso è morto per accanto a essa — i detti degli abba noi. Se il monaco, prima ancora di del deserto e le opere dei padri della ricevere l’abito, è pronto a rimanere chiesa sono per i monaci di Scete ci- incondizionatamente fedele, fino alla morte, se non ha paura della morte, allora la sua vita monastica sarà spiritualmente riuscita. Ma se teme per il suo corpo, se rifiuta di correre rischi, allora la sua vita monastica sarà molto penosa. Peggio ancora: sarà assai difficile per lui essere trasformato dallo Spirito in un uomo nuovo». È in questa medesima ottica di morte e risurrezione che abuna Matta el Meskin collocava anche il suo sforzo quotidiano di conformarsi alla volontà del Signore che, alla vigilia della passione, aveva pregato il Padre perché i suoi discepoli fossero «una cosa sola». Ardente fautore di un’unità dei cristiani fondata non sulla spinta affettiva o sulla tendenza opportunistica alla coalizione, bensì sulla forza della debolezza — come ben dimostra quel profetico scritto della fine degli anni Sessanta — padre Matta el Meskin non si è mai stancato di ricercare vie di pace e di comunione che trovano la loro origine nel comune sottomettersi alla volontà di Dio. Ancora nella mia ultima visita a San Macario a inizio di questo secolo, sapendo del peggioramento delle condizioni di salute di abuna Matta, chiesi di poterlo vedere. Fr. Wadid tornò da me con il suo consueto volto radioso e mi riferì che il padre mi salutava con affetto e mi invitava ancora una volta all’essenziale: restare saldamente attaccati a Gesù Cristo e alla sua Parola. Diversità e comunione La verità si rivela insieme Pubblichiamo il testo integrale di un articolo del priore di Taizé uscito su «Réforme» del 19 maggio scorso. di FRATEL ALOIS l motivo che portò nel Novecento alla nascita dell’ecumenismo fu quello di evitare una competizione confessionale nella missione. Oggi la prospettiva è diversa: come cristiani, siamo capaci di camminare insieme con le nostre differenze per essere fermento di pace nell’umanità? Per aiutare l’umanità a essere una sola famiglia, possiamo mostrare che l’unità è possibile nel rispetto del pluralismo? All’approssimarsi del quinto centenario della Riforma, credo sia fondamentale approfondire questa riflessione. La diversità delle Chiese è a volte vista come un’opportunità per raggiungere il maggior numero possibile di persone. Senza alcun dubbio, le nuove comunità che sono emerse nella storia o che stanno emergendo oggi rispondono alle aspirazioni di persone che amano sinceramente Cristo. Ma non possiamo dimenticare che, attraverso la sua croce e la sua resurrezione, Cristo ci ha uniti in un solo corpo. Da allora non vi è nulla che possa veramente giustificare le nostre prese di distanza gli uni dagli altri. Un atteggiamento gentile nasconde, a volte male, i giudizi reciproci e il rifiuto di riconciliarsi. I dialoghi ufficiali vanno avanti, ma capita anche che sottigliezze teologiche servano a giustificare le separazioni. Ora, i giovani in particolare — e a Taizé possiamo testimoniarlo — hanno sete di senso e di orientamento. Non possiamo offrire loro ancora a lungo la confusione delle nostre divisioni. I cristiani sono posti di fronte a questa esigenza: la comunione tra tutti coloro che amano Cristo si può stabilire solo se si rispetta l’altrui diversità; ma può offrire un vero orientamento solo se è visibile. Abbiamo bisogno di un nuovo punto di partenza per avanzare verso una simile diversità riconciliata. Troppo spesso il punto di partenza è stato l’analisi delle divisioni. Forse in una fase preliminare questo era necessario. Ma il punto di partenza doveva essere Cristo, che non è diviso. Dietrich Bonhoeffer scrive: «È solo attraverso Gesù Cristo che si è fratelli gli uni degli altri (…) È solo attraverso Cristo che ci apparteniamo gli uni gli altri, ma attraverso Cristo la nostra appartenenza reciproca è reale, integrale e per l’eternità». Prendiamo questo punto di partenza! Cristo risorto riunisce in una sola comunità uomini e donne di ogni orizzonte, I lingua e cultura, e persino nazioni nemiche. È un punto di partenza che obbliga i cristiani a ricercare la loro comunione visibile. Da ciò deriva una proposta: le Chiese non dovrebbero forse osare mettersi sotto uno stesso tetto, o sotto una stessa tenda, ancor prima che sia stato trovato un accordo su tutte le questioni teologiche? Ciò significa innanzitutto che dobbiamo pregare insieme più regolarmente, non solo una volta all’anno o in modo del tutto eccezionale! Accogliamoci più spesso. Le nostre comunità locali, di diverse confessioni, avrebbero tanto da ricevere le une dalle altre. Potremmo anche abituarci a fare più cose possibile insieme e a non fare nulla senza tener conto degli altri? Il recente sinodo della Chiesa protestante unita di Francia a Nancy ha offerto un esempio di questo, tenendo conto della dimensione ecumenica nella revisione della traduzione del Padrenostro. Tra le Chiese ci saranno sempre delle differenze; queste resteranno una sfida e un invito a dialogare in modo franco; così possono essere un arricchimento. Ma non è giunto il momento di dare la priorità all’identità battesimale comune a tutti? In tutte le Chiese a essere messa al primo posto è stata l’identità confessionale. Ci si definisce in primo luogo come protestanti, cattolici od ortodossi. In realtà, è all’identità battesimale che bisognerebbe dare la priorità. Una famiglia abita una casa comune. Se tutti i cristiani formano una famiglia, Di solito ci si definisce in primo luogo come protestanti cattolici od ortodossi Ma è all’identità battesimale che bisognerebbe dare la priorità la cosa più normale non è forse vivere come sotto uno stesso tetto, senza aspettare che tutti i punti di vista siano pienamente armonizzati? «Quanto è buono e quanto è soave che i fratelli vivano insieme!» (Salmi, 133, 1). Fu quando erano riuniti sotto lo stesso tetto della camera alta di Gerusalemme che gli apostoli e Maria, e alcuni altri uomini e donne, ricevettero il dono dello Spirito Santo. E lo Spirito Santo ci unisce sempre. Avremo il coraggio di camminare insieme verso la verità, insieme e non isolatamente? Di fatto la verità si rivela solo nell’incontro d’amore. La storia di Pietro e di Cornelio (Atti degli apostoli, 10-11) lo L’Agnello (Taizé, chiesa della Riconciliazione) dimostra. È l’incontro a svelare una verità che era sconosciuta a entrambi. In Cesarea un angelo dice a Cornelio, centurione romano, di far cercare Pietro, senza sapere per quale fine. Allo stesso tempo, a Giaffa, Pietro ha un strana visione: è invitato a mangiare ogni sorta di animali che un ebreo non ha il diritto di mangiare. Né Pietro né Cornelio capiscono il senso della loro visione. È solo quando Pietro accompagna i messaggeri di Cornelio e si ritrova dal centurione romano che comincia a capire: la sua visione voleva dire che «non si deve dire profano o immondo nessun uomo». È dunque legittimo che vada da quel romano. Allora gli dice quel che sa di Dio e di Gesù. Ed ecco che, tra lo stupore generale, lo Spirito Santo viene donato a Cornelio e ai suoi, come era stato donato a degli ebrei a Pentecoste. Né Pietro né Cornelio conoscevano in anticipo la verità che si sarebbe rivelata. È stato necessario che s’incontrassero attorno a una stessa mensa e sotto lo stesso tetto perché la verità si manifestasse. Ciò è vero anche per noi oggi: è solo insieme che scopriamo la verità, e allora l’incontro ci trasforma. Questa trasformazione può essere dolorosa quando mette a nudo le nostre resistenze, i nostri rifiuti nascosti, i nostri giudizi sugli altri. Ma è soprattutto una festa quando l’esperienza di un’accoglienza incondizionata ci svela la verità del Vangelo, l’amore incondizionato di Dio. Questa verità non può rivelarsi finché ognuno resta dalla propria parte. Ecco una scoperta che potremmo fare insieme in occasione dell’anniversario del 2017. L’OSSERVATORE ROMANO pagina 6 domenica 22 maggio 2016 Il tempio buddista di Borobudur Il patriarca Cirillo sulle relazioni con la Chiesa cattolica Positiva dinamica dal nostro inviato MARCO BELLIZI Al numero 7 di Jalan Katedral, a Jakarta, c’è la cattedrale cattolica di Santa Maria Assunta. Se uscendo dal cortile alberato che costeggia l’edificio si attraversa la strada, e si ha la fortuna di passare indenni tra gli stormi di ciclomotori cavalcati anche da quattro passeggeri alla volta, ci si trova di colpo nella moschea di Istiqlal. I due luoghi di culto sono così vicini che, per un costume ormai consolidato, l’arcivescovo cattolico e l’imam, dopo le celebrazioni, prima di tornare alle loro rispettive dimore attraversano la strada e si fermano per un breve saluto, che si protrae in occasione delle ricorrenze religiose più importanti. Non sembra molto. Eppure, dalla possibilità che questa abitudine duri il più a lungo possibile dipende buona parte del futuro dei rapporti fra islam e cristianesimo e, più in generale, fra islam e mondo occidentale. Perché la frontiera che separa il dialogo dall’odio oggi passa per l’Indonesia ancor più che da Siria, Iraq o Nigeria, e più che da Parigi o Bruxelles. In Indonesia, Paese con circa 258 milioni di abitanti, vive la comunità musulmana più numerosa al mondo. È evidente che la direzione che essa vorrà prendere, da che parte della frontiera deciderà di stare, sarà un elemento decisivo non solo per il futuro del sud-est asiatico. Qui, insomma, si gioca una partita fondamentale. Ed è una partita tutta interna al mondo islamico, non solo tra le due grandi famiglie dei sunniti e degli sciiti ma tra una visione moderna, tollerante e pacifica dell’islam e il flusso carsico dell’odio fondamentalista. L’Indonesia è il Paese della convivenza. Lo è da sempre. Bhinneka Tunggal Ika è il motto della nazione: «Unità nella diversità». Lo ripete ogni indonesiano che parla della patria, quasi come fosse una carta d’identità. E ogni indonesiano lo pratica e lo vive ogni giorno, studiando, passeggiando e pregando l’uno accanto all’altro, cristiani con musulmani, buddisti con induisti. Ma un Paese con 258 milioni di abitanti, di cui l’80 per cento islamici, fa gola a chi cerca soldati. Gli attentati che hanno colpito Jakarta il 14 gennaio scorso, quando la città è stata preda per qualche ora di una serie di esplosioni e sparatorie che hanno provocato la morte di sette persone e il ferimento di altre ventitré, sembra aver segnato la fine dell’età dell’innocenza per questa nazione altrimenti tranquilla, cordiale, accogliente. E hanno messo in allarme Governo, amministrazioni locali e comunità religiose, impegnati da sempre in un dialogo costante e continuo. A essere preoccupati sono in primo luogo i cristiani, soprattutto dopo che gli attentati sono stati rivendicati dal sedicente Stato islamico. Grigorius Sri Nurhartanto, rettore dell’università Atma Jaya di Yogyakarta, in Java centrale, un ateneo fondato da laici cattolici ma aperto a tutti gli studenti, non ha difficoltà ad ammetterlo: «Sono molto preoccupato. Ci sono persone che cercano di inserirsi in luoghi pacifici per creare tensioni. Ma io credo molto nella forza dell’educazione. Qui noi cerchiamo prima di tutto di crescere degli uomini, dandogli dei valori. È l’unica strada possibile». Novian, 20 anni, musulmano, studia all’Atma Jaya e sembra avere idee molto chiare su cosa sia il fondamentalismo islamico e su cosa possa convincere i suoi coetanei ad arruolarsi nelle organizzazioni estremiste: «Sono persone che non hanno niente, non ricevono abbastanza cure dalla famiglia, non hanno strumenti per capire e non interpretano correttamente l’islam. Dicono di rispondere al jihad. Ma per me si può fare jihad anche studiando». Non è il solo a pensarla in questi termini. Il caso dell’Indonesia è unico, soprattutto per la presenza di due enormi organizzazioni islamiche moderate, Nahdlatul Ulama e Muhammadiyah, in passato concorrenti ma ora grosso modo sulle stesse posizioni. Il primo movimento, moderno, convinto assertore dell’importanza della formazione e dell’azione sociale, si è evoluto nel corso del tempo fino a diventare, con i suoi 23.000 collegi e quattro milioni di studenti, il portabandiera dell’Islam Nusantara (l’islam dell’arcipelago), vale a dire un islam nazionale, proprio dell’Indonesia. All’indomani degli attentati di Jakarta, il Nahdlatul Ulama ha orga- Passa anche per l’Indonesia il futuro del dialogo tra le religioni Sulla stessa strada nizzato nel Paese due summit dell’Organizzazione della cooperazione islamica, ai quali hanno partecipato circa cinquecento leader moderati provenienti da settanta nazioni. Tra essi c’era il vicepresidente della Repubblica, Jusuf Kalla, a nome del capo dello Stato Joko Widodo, eletto il 9 luglio 2014 grazie anche all’appoggio dei cattolici, che rappresentano circa il 4 per cento della popolazione. “Jokowi”, come viene chiamato confidenzialmente, è musulmano. Dopo gli attentati ha subito rassicurato non i cristiani ma tutta la popolazione, a dimostrazione del fatto che la minaccia contro i fedeli di una religione, in Indonesia, è una minaccia rivolta a tutti. «Il dialogo con il presidente — conferma padre Augustinus Ulahayanan, segretario esecutivo della Commis- sione per gli affari religiosi ed ecumenici della Conferenza episcopale indonesiana — è costante. E noi cattolici siamo dei consiglieri particolarmente apprezzati per la nostra disponibilità a contribuire al benessere del Paese». Del resto, il rapporto fra religione e nazione in Indonesia assume un’identità che non è quella classica riferibile alla categoria dello Stato confessionale. «Il fatto è — spiega l’arcivescovo di Jakarta, Ignatius Suharyo Hardjoatmodjo — che gli indonesiani si sono confrontati a lungo tra loro sulla possibilità di avere una religione di Stato. Ma poi hanno deciso che dovevano avere una sola lingua e una sola cultura. Ma non una sola religione». Così, la Pancasila, la filosofia assurta in Indonesia a norma costituzionale, ha sancito il diritto di tutti a credere in Dio, oltre al diritto alla giustizia e all’unità. Attualmente sono sei le comunità religiose ufficialmente riconosciute dallo Stato: musulmana, cattolica, protestante, buddista, induista e confuciana. A Borobudur, lo splendido tempio buddista dichiarato dall’Unesco patrimonio dell’umanità, la Pancasila trova le sue radici più antiche. I rilievi scolpiti nei mattoni di roccia vulcanica con i quali è stato realizzato l’edificio narrano storie di compassione e di misericordia, dell’incontro di Siddharta con i poveri e i sofferenti, del sacrificio di sé per nutrire chi ha bisogno, del rispetto verso gli indù. Oggi a visitarlo sono soprattutto frotte di giovani musulmani. Ragazzi in abiti all’occidentale e ragazze gioiose con i capelli coperti dal velo. Molte vengono da Sumatra, dove gli episodi di tensione fra le comunità religiose sembra siano più frequenti. Eppure sono qui, mandate dalle scuole ad apprendere le storie care ai buddisti. Le donne dell’islam: per gli occidentali spesso un abisso di mistero. A Doha, nel ricco e modernissimo Qatar, il museo della cultura islamica è stato progettato (da un architetto francese) a forma di burqa. A Jakarta, invece, dove il reddito procapite viaggia attorno ai 4 dollari, il volto delle donne è sempre scoperto, e sorridente. In Indonesia, fra le tante iniziative di amicizia interreligiosa, c’è anche il “dialogo dei veli”: a Banda Aceh (in Java occidentale) le suore fanno visita alle donne musulmane per confrontarsi sulle questioni che ritengono di poter avere in comune. «L’esperimento ha funzionato — racconta padre Ulahayanan, che ne è stato l’ideatore — e lo ripeteremo sicuramente». Si conta sul fatto che le donne, quando decidono di prendere di petto una situazione, di solito arrivano fino in fondo. Anche in condizioni difficili come quella di Aceh, dove vige la sharia». Nella diocesi di Sanggau, nel Borneo occidentale, i cattolici sono invece il 52 per cento della popolazione e praticamente non esistono tensioni fra le comunità religiose. «La chiave — racconta il vescovo Giulio Mencuccini — è la scuola. Già all’inizio della missione, nel 1950, si sono aperti istituti ai quali tutti potevano accedere. I ragazzi, cristiani, buddisti, musulmani, indù, sono cresciuti insieme. Ci sono giovani islamici che cantano nel coro della chiesa, anche durante le celebrazioni. Vivere insieme e rispettarsi per loro è naturale». Anche al pesandren (scuola islamica) Nurul Umrah, a Yogyakarta, sono abituati a ospitare tutti, cristiani, buddisti, atei. Abdul Muhaimin, che la guida, è un navigato costruttore di ponti: nel 1984 ha fondato il forum Persauduran Umat Beriman, che si occupa di unire l’educazione formale alle attività sociali. A Pasqua lo invitano un po’ tutti a tenere discorsi. «In quei giorni sono più occupato dei preti», ammicca strizzando l’occhio. Quando però si parla di radicalismo islamico il clima si fa più serio. Muhaimin, su questo tema, è in costante contatto con le autorità politiche. È una sorta di sentinella delle tensioni sociali. «Ci sono molti elementi — osserva — alla base del successo della propaganda radicale. Uno di questi è l’inconsistenza della politica nel contrastare ingiustizia e povertà. Poi c’è la mancanza del senso di appartenenza alla nazione in cui si vive. Da parte nostra, noi guide religiose dobbiamo sforzarci di insegnare religione ed etica in modo più umanistico». Muhaimin è un personaggio piuttosto franco, e non risparmia le critiche ai cattolici: «In generale li consideriamo più aperti e tolleranti rispetto agli altri cristiani. Tuttavia ritengo che dovrebbero impegnarsi più costantemente nel dialogo e non solo quando si sentono minacciati». Ciò non gli ha impedito di partecipare alla marcia che si è tenuta il 20 maggio per le strade della città, nel giorno della festa nazionale che precede anche l’anniversario della caduta del dittatore Mohammad Suharto, avvenuta nel 1998. Un appuntamento importante e fortemente simbolico, perché la marcia parte tradizionalmente dal Kraton, il palazzo dove risiede il sultano Hamengkubuwono X, considerato da tutti come il vero guardiano del pluralismo. La realtà indonesiana è varia. Nonostante alcuni casi difficili, in generale — spiega l’arcivescovo di Jakarta — «si può dire che la situazione sia buona, anzi direi che i rapporti con i musulmani sono addirittura eccellenti. Ma devono esserlo ancora di più in futuro». L’allusione è ai problemi che ancora si incontrano per la costruzione di nuove chiese. «Ci dicono: noi l’autorizzazione ve la diamo ma prima dovete farvi dare il benestare dagli abitanti che avete intorno», spiega quasi rassegnato il vescovo di Bandung, Antonius Subianto Bunyamin, segretario generale della Conferenza episcopale indonesiana. Storie difficilmente comprensibili per la cultura giuridica occidentale ma che vanno spiegate anche con i caratteri particolari dell’amministrazione indonesiana, la quale prevede forme di autonomia molto pronunciate. Grazie a questo sistema, l’Indonesia, pur essendo una Repubblica presidenziale, riesce a tenere insieme figure in apparenza antitetiche come quella del governatore e del sultano. Naturalmente ciò non basta per far tacere la comunità cattolica, che legittimamente reclama nuovi luoghi di culto per i fedeli. Per le ultime autorizzazioni richieste si è in attesa, a Bandung, da dieci anni. L’ultimo via libera per la realizzazione di una chiesa è arrivato dopo ventiquattro anni. Ombre che contrastano con una quotidianità fatta di integrazione naturale, di religiosità non ostentata. L’esperienza concreta racconta di libri sulla Pancasila realizzati da cattolici e distribuiti dalle autorità musulmane, di ragazzi islamici che fanno servizio d’ordine durante la processione della croce, di leader musulmani che assistono alla messa crismale, di un rosario con i colori della nazione distribuito ai fedeli per rinsaldare la loro coscienza nazionale oltre che l’attitudine alla misericordia. L’Indonesia può essere un modello per il resto del mondo islamico. L’interesse da parte della comunità internazionale è alto. Monsignor Suhario Hardjoatmodjo racconta di essere stato invitato di recente ad Amman, in Giordania, per un intervento illustrativo sui principi della Pancasila. Doveva parlare tre o quattro minuti ma l’uditorio era così interessato che la regina Rania lo ha invitato a continuare. «Alla fine ho parlato per quindici minuti», ricorda. Si cerca una modalità di convivenza che possa durare nel tempo. La cercano gli occidentali, ma la cercano anche i musulmani. Per questo l’esperienza dell’Indonesia va preservata e incoraggiata. Perché, a volte, per raggiungere l’altro basta avere il coraggio di attraversare una strada. MOSCA, 21. Le relazioni con la Chiesa cattolica hanno assunto una «dinamica positiva» che nasce soprattutto dalla mutua e chiara «comprensione della necessità di unire gli sforzi per difendere i valori cristiani tradizionali e contrastare sfide come la secolarizzazione, la discriminazione contro i cristiani, la crisi delle relazioni familiari che minano le fondamenta della morale personale e nella vita pubblica». È quanto ha sottolineato — riferisce l’agenzia Interfax-Religion — il patriarca ortodosso di Mosca, Cirillo, in occasione delle celebrazioni per il settantesimo anniversario di fondazione del Dipartimento per le relazioni ecclesiastiche esterne del patriarcato. Appuntamento solenne al quale hanno preso parte, giovedì 19, numerosi alti rappresentanti della Chiesa ortodossa insieme a esponenti della vita civile e politica della Federazione ussa. In particolare, Cirillo non ha mancato di ricordare come la collaborazione tra cattolici e ortodossi nella difesa delle popolazioni cristiane perseguitate in tanti angoli del pianeta sia stata una delle questioni centrali affrontate nel corso dell’incontro con Papa Francesco all’Avana del 12 febbraio scorso. «Unendo gli sforzi della testimonianza di Oriente e Occidente di fronte alle forze che stanno cercando di eliminare virtualmente il cristianesimo, saremo in grado di compiere la nostra missione in modo molto più efficace». All’incontro tra Francesco e Cirillo ha fatto riferimento, nel corso del suo intervento anche il metropolita Hilarion, presidente del Dipartimento per le relazioni ecclesiastiche esterne del patriarcato di Mosca. «Non è un caso che questo incontro — ha detto Hilarion — sia stato definito come “storico”». Anche perché «si è svolto in un momento critico della storia moderna, mentre aleggiava la minaccia di una nuova guerra mondiale». In quel frangente, ha ricordato, l’abbattimento, avvenuto poche settimane prima, di un aereo russo in volo sulla Siria avrebbe potuto svolgere lo stesso ruolo catalizzatore delle attività militari che ebbe nel 1914 l’attentato di Sarajevo, che poi sfociò nella tragedia del primo grande conflitto mondiale. E la concentrazione di diverse forze militari ai confini della Siria avrebbe potuto provocare un confronto armato tra queste forze invece che sollecitare un fronte comune nei confronti dell’avanzare dei miliziani del cosiddetto Stato islamico. «E solo Dio sa — ha commentato Hilarion — come sarebbe finita». In questo contesto, ha affermato, «la richiesta di azioni congiunte e coordinate, avviata dal patriarca e dal Papa, non avrebbe potuto essere più tempestiva. Ed è stata ascoltata. Oggi, in tutto il mondo, le persone si stanno rendendo conto che siamo in grado di sconfiggere il terrorismo grazie agli sforzi congiunti». Nel suo intervento Hilarion è poi tornato a sottolineare come quello dell’intensificare i rapporti con le comunità cristiane non ortodosse sia tra i compiti principali, se non il principale, del Dipartimento per le relazioni ecclesiastiche esterne. In questa prospettiva, è ovvio che proprio le relazioni con la Chiesa cattolica assumono un ruolo assai importante. «Il dialogo ufficiale, che continua dal 1979 tra la famiglia delle Chiese ortodosse locali e la Chiesa cattolica romana prende in esame un ampio spettro di questio- ni. Si tratta di consultazioni teologiche di lungo termine». Parallelamente, però, «la cooperazione bilaterale del Patriarcato di Mosca con le varie istituzioni della Chiesa cattolica romana oggi verte principalmente intorno a questioni sociali su cui le nostre posizioni sono vicine». Al riguardo — riferisce il sito in rete del Dipartimento per le relazioni ecclesiastiche esterne — Hilarion ha sottolineato come che gli eventi degli ultimi anni abbiano confermato la necessità di unire gli sforzi di cattolici e ortodossi contro il laicismo liberale, la crisi dei valori familiari, l’erosione delle norme della morale tradizionale. A tutto ciò si aggiunge, ha rimarcato, «il particolare interesse a rafforzare la nostra cooperazione in difesa dei cristiani perseguitati dagli estremisti» in Medio oriente. Incontro fra rappresentanti cristiani, musulmani ed ebrei del Regno Unito Per un progetto comune LONDRA, 21. «Le comunità di fede contribuiscono in modo unico alla crescita della sfera pubblica in questo Paese, e credo che questo sia riconosciuto da tutti»: è quanto ha dichiarato l’arcivescovo di Canterbury e primate della Comunione anglicana, Justin Welby, durante un incontro a Lambeth Palace con leader e rappresentanti delle comunità cristiane, ebraiche e musulmane presenti nel Regno Unito. L’evento ha avuto lo scopo principale di mostrare e affermare l’importanza del lavoro comunitario di base svolto dai gruppi religiosi in Gran Bretagna, in particolare attraverso il programma «Near Neighbours» della Church of England, gestito dalla Church Urban Fund. Nel suo intervento, l’arcivescovo di Canterbury ha ricordato l’obiettivo che accomuna le comunità di fede. «A volte possiamo non essere d’accordo su alcune cose, ma sono molto grato per il fatto che possiamo lavorare insieme e condividere il nostro comune desiderio di prosperità per ogni essere umano in questo Paese». Welby, inoltre, ha ricordato l’importanza di un nuovo progetto appena avviato che consiste in un gemellaggio tra una chiesa e una moschea. «Non si tratta — ha precisato — di culto comune, ma di uno sforzo comune per servire la comunità, e prego Dio per questo coraggioso passo in avanti compiuto dalle comunità cristiane locali e dalla leadership musulmana locale». L’OSSERVATORE ROMANO domenica 22 maggio 2016 pagina 7 Campagna dell’episcopato argentino a favore dell’opera evangelizzatrice Nostra missione BUENOS AIRES, 21. Con il motto La misión es nuestra, la Conferenza episcopale argentina ha presentato ieri, venerdì, la campagna 2016 a sostegno dell’opera evangelizzatrice della Chiesa. Non si tratta di una raccolta specifica per uno scopo specifico — sottolinea il Consiglio episcopale per gli affari economici, promotore dell’iniziativa — ma «ha l’obiettivo di incoraggiare tutti i fedeli a riflettere su ciò che ognuno può apportare nelle rispettive comunità in modo che la Chiesa possa svolgere la sua opera in Argentina». Per il presidente del dicastero, monsignor sogno di accrescere la consapevolezza dell’importanza di fornire le proprie risorse disponibili per le attività di evangelizzazione». E ha precisato che «questa campagna è frutto di un lavoro cominciato negli anni Novanta del secolo scorso quando un gruppo di laici cercò di aiutare la Chiesa a trovare strade nuove in direzione dell’autosostentamento». Intanto sta per concludersi (domani) a Mar del Plata la Settimana sociale 2016 organizzata dalla Commissione per la pastorale sociale della Conferenza episcopale, presieduta dal ve- sociale argentina, ribadisce l’invito alla riflessione sulla realtà nazionale. All’insegna del motto «Vogliamo essere nazione. Dobbiamo caricarci la patria sulle spalle», la Chiesa auspica che i diversi settori invitati all’evento «possano avanzare nel dialogo e nella fratellanza sociale. Dobbiamo imparare — ha sottolineato l’arcivescovo di Buenos Aires, cardinale Mario Aurelio Poli — a pensare insieme. Il magistero di Papa Francesco ci incoraggia in tal senso: dobbiamo accostarci con fiducia al tavolo del dialogo». Di vario genere i principali temi discussi durante la Settimana sociale: dal miglioramento della qualità della vita democratica alla creazione di uno spazio di dialogo e di incontro per avanzare proposte che portino allo sviluppo integrale e al bene comune; dall’approfondimento della formazione e della conoscenza della dottrina sociale della Chiesa alla promozione di un interscambio tra i diversi settori sociali al fine di elaborare un’agenda condivisa delle priorità. Se ognuno dà il meglio di sé Enrique Eguía Seguí, vescovo ausiliare di Buenos Aires, «siamo tutti invitati a mettere al servizio della Chiesa i nostri talenti, il nostro tempo e il nostro sostegno economico. Sia i parrocchiani sia i sacerdoti hanno bi- scovo di Gualeguaychú, monsignor Jorge Eduardo Lozano, e dal vescovo di Mar del Plata, monsignor Antonio Marino. L’incontro, che vede la partecipazione di rappresentanti di tutti i settori della vita politica e Documento delle diocesi di frontiera Minacciati dalla crisi sociale e ambientale BUENOS AIRES, 21. «Il degrado e la minaccia progressiva al nostro pianeta e all’essere umano come parte integrante dell’ecosistema planetario rappresentano una situazione grave e complessa che ci coinvolge tutti»; sfidati e incoraggiati dalla lettera enciclica di Papa Francesco Laudato si’, sulla cura della casa comune, «riaffermiamo che tutto è collegato e che non ci sono due crisi separate, ambientale e sociale, ma un’unica e complessa crisi socio-ambientale»: è quanto sottolinea il documento finale del trentunesimo incontro delle “diocesi di frontiera”, svoltosi nei giorni scorsi a Paso de la Patria, nella provincia argentina di Corrientes. Vescovi, sacerdoti, religiosi e laici di Argentina, Paraguay, Brasile e Uruguay hanno analizzato i problemi pastorali comuni, soffermandosi in particolare su quelli legati all’ambiente, con la guida dell’enciclica Laudato si’. La constatazione dell’assenza di una presa di coscienza collettiva e della preoccupazione per il progressivo degrado del nostro pianeta — riferisce Fides — è stato uno degli elementi sviscerati nel corso dei lavori. L’aumento continuo della popolazione, la sua concentrazione progressiva in grandi centri urbani e lo sviluppo industriale causano, giorno per giorno, sempre più problemi all’ambiente. Nelle province e diocesi interessate ci sono gravi problemi di inquinamento, specialmente nei fiumi, nei laghi e nelle falde sotterranee. Un altro punto importante di riflessione ha riguardato la necessità di avere maggiore informazione per l’azione pastorale sui problemi ambientali della zona, come l’eccessivo sfruttamento dell’Acuífero Guaraní (una delle più grandi riserve idriche sotterranee del Sud America, ubicata fra Argentina e Paraguay), i piani nucleari, i progetti fracking (ovvero di fratturazione idraulica), le miniere metallifere a cielo aperto, le dighe e altri mega progetti di natura ambientale. A conclusione dell’incontro è stata celebrata una messa nella basilica di Itatí, presieduta da monsignor Julio César Bonino Bonino, vescovo di Tacuarembó (Uruguay), durante la quale è stato annunciato che la prossima riunione delle “diocesi di frontiera” si terrà fra un anno nella diocesi brasiliana di Bagé. BUENOS AIRES, 21. «Se voi date il meglio di voi stessi aiutate il mondo a essere diverso»: è questo il tema della colletta, promossa dalla Caritas a favore dei più bisognosi, che si terrà l’11 e il 12 giugno nelle diocesi dell’Argentina. La raccolta annuale della Caritas è un’occasione di solidarietà e un invito a contribuire generosamente a questa importante iniziativa. «In questo anno di misericordia — hanno sottolineato i promotori — rinnoviamo ancora una volta la nostra solidarietà con coloro che hanno bisogno di noi». Caritas Argentina può contare sul sostegno di oltre trentaduemila volontari che operano in più di tremilacinquecento parrocchie, cappelle, uffici e centri di missione, assicurando la loro presenza in situazioni molto difficili e il contatto diretto con i più svantaggiati. Nella colletta dello scorso anno, la Caritas ha raccolto 52.139.540 pesos, destinati a programmi di assistenza immediata e di promozione umana. Non solo, parte del ricavato ha contribuito a realizzare progetti per le microimprese, corsi di formazione professionale e piani di inclusione sociale. Sostegno della Chiesa in Colombia all’intesa tra Governo e Farc Un futuro per i bambini soldato BO GOTÁ, 21. La Chiesa appoggia sempre iniziative che permettano il reinserimento di chi abbandona le armi, soprattutto se si tratta di bambini: è quanto ha dichiarato nei giorni scorsi l’arcivescovo di Bogotá e presidente del Celam (Consiglio episcopale latinoamericano), cardinale Rubén Salazar Gómez, in merito all’accordo tra Governo e Forze armate rivoluzionarie della Colombia (Farc) grazie al quale i minori arruolati nelle fila della guerriglia cesseranno di essere combattenti e saranno coinvolti in programmi di reinserimento sociale. Il porporato ha ricordato che la Chiesa, dal canto suo, «è sempre stata presente in questo cammino di reinserimento di chi aveva partecipato alla guerriglia. Esistono a tal proposito una serie di iniziative, sia del Governo sia della Chiesa, che spesso si completano e si appoggiano l’una con l’altra, per ottenere questo reinserimento, soprattutto se si tratta di minori che nella maggior parte dei casi erano stati reclutati in maniera violenta e per questo hanno necessità di un’attenzione particolare per tutti gli aspetti della loro crescita». Secondo l’accordo (sostenuto dall’Unicef) raggiunto dalle parti, i bambini sotto i 15 anni saranno i primi ad abbandonare la guerriglia. Per quelli che hanno tra i 15 e i 18 anni le modalità saranno decise entro poco tempo. In totale, questo accordo riguarderà diverse centinaia di ragazzi, tra cui tanti bambini-soldato impegnati in questo conflitto che dura da più di mezzo secolo. Negli ultimi diciassette anni, circa seimila bambini hanno abbandonato le fila della lotta armata; di essi il 60 per cento proveniva dalle Farc. Allargando lo sguardo al complesso delle trattative di pace, l’arcivescovo di Bogotá, in un colloquio con l’agenzia Aciprensa, ha ricordato gli anni terribili che hanno caratterizzato la storia del Paese sudamericano: «Abbiamo vissuto per tanti anni una situazione anormale, assurda, senza alcuna spiegazione. Ora — ha concluso Salazar Gómez — c’è la possibilità che la situazione cambi radicalmente» e che la guerriglia abbandoni l’idea di imporre le proprie idee con le armi, «convertendosi in un partito politico che entri nel gioco democratico». Subito dopo l’intesa tra Governo e Farc, su Twitter il presidente della Repubblica, Juan Manuel Santos, ha parlato di un «accordo storico Nei giovani le speranze dei vescovi del Ghana Contro la corruzione ACCRA, 21. Le speranze del Ghana, dove «la corruzione è un cancro endemico che ha raggiunto i vertici del Paese», sono riposte nei giovani: lo crede fortemente il vescovo di Konongo–Mampong, Joseph Osei-Bonsu, presidente della Conferenza episcopale, che parlando agli In Uganda i vescovi puntano sui social media Il Vangelo corre su WhatsApp KAMPALA, 21. «Gesù invitava a gridare il Vangelo sui tetti, oggi si tratta di usare altri mezzi: le antenne radio e i social media per arrivare a tutti»: monsignor Giuseppe Franzelli, vescovo di Lira e responsabile delle comunicazioni sociali della Conferenza episcopale ugandese, usa queste parole per commentare la scelta di puntare sulla conoscenza delle nuove tecnologie applicandole a informazione ed evangelizzazione. «Bisogna credere di più nella necessità di una comunicazione che vada al di là di quel che diciamo dal pulpito. Serve — ha dichiarato al Sir — un uso più coraggioso e più coordinato dei mezzi che abbiamo a disposizione». Proprio a tale esigenza rispondono, da oltre dieci anni, gli incontri organizzati dal consiglio per le comunicazioni sociali. «Quest’anno — ha spiegato il presule — il tema scelto, sia per l’aggiornamento professionale sia per la riflessione pastorale, è stato quello delle nuove tecnologie e del loro uso per l’informazione e l’evangelizzazione. Si impone un cambiamento di mentalità, per essere presenti dove è la gente, soprattutto i giovani. Per questo va data attenzione ai social media. Possono essere un modo per costruire ponti, che è la nostra vocazione». per sottrarre i bambini alla guerra», confermando che saranno restituiti alle loro famiglie prima possibile. «I diritti di questi minori saranno rispettati», ha assicurato a sua volta il capo dei negoziatori delle Farc, Iván Márquez, precisando che seguiranno «programmi sociali ed educativi». I social network e gli altri servizi che possono essere usati anche solo tramite uno smartphone, secondo monsignor Franzelli, sono uno degli ambiti su cui è necessario puntare di più. «Anche con la povertà attuale di mezzi e risorse, milioni di ugandesi possiedono un cellulare: un’applicazione come WhatsApp permette di diffondere il messaggio biblico o, in tempo reale, le parole pronunciate dal Papa. Le nuove tecnologie — ha proseguito — rendono possibile un contatto costante». Sono innanzitutto i numeri a spingere in questa direzione: secondo i dati dell’Unione internazionale delle telecomunicazioni, oltre la metà degli ugandesi possiede un telefonino. Per andare incontro a tale realtà, ai coordinatori diocesani della comunicazione e ai giornalisti dei media cattolici sono state fornite le competenze di base sul web e sulla pubblicazione di contenuti online. «Raggiungere le persone con i nuovi media — ha concluso — è continuare, oggi, la missione e l’evangelizzazione». studenti diplomatisi in una scuola di Mamponteng li ha esortati a «stare lontani» da pratiche illecite e a essere esempio di vita per gli altri. Secondo l’ultimo rapporto dell’Afrobarometro (che rileva la percezione che gli africani hanno del proprio Paese) — citato da Fides — ben l’82 per cento dei ghanesi ritiene che la nazione stia procedendo nella direzione sbagliata per colpa della corruzione. La scuola di Mamponteng è simbolo dello sforzo educativo della Chiesa e l’arcidiocesi di Kumasi ha avviato presso una parrocchia il primo programma di ricerca di giovani talenti cattolici: «I giovani devono unirsi al programma per far crescere i talenti donati loro da Dio al fine di aiutare la crescita sociale ed economica del Paese e delle loro famiglie», ha detto l’arcivescovo Gabriel Justice Yaw Anokye. E sempre i giovani sono stati al centro delle considerazioni dei vescovi, durante l’assemblea plenaria della Conferenza episcopale regionale dell’Africa occidentale. Nell’occasione i presuli li hanno esortati a «non perdere la speranza, ma a credere nella possibilità di realizzare la propria vita e il proprio benessere sul continente africano». L’OSSERVATORE ROMANO pagina 8 domenica 22 maggio 2016 Murale di Elimo Njau raffigurante l’ultima cena La Guida pubblicata dalla Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli Istantanea della Chiesa missionaria di GIANLUCA BICCINI «Una sorta di Atti degli apostoli parte seconda, che vede all’opera discepoli esemplari, pronti a mettersi in gioco, ad entrare dentro le pieghe e le piaghe della storia, a farsi prossimo con popolazioni nuove per suscitare ovunque quella nostalgia di Dio che è il naturale presupposto al dono del battesimo». Il cardinale prefetto Fernando Filoni presenta così la Guida delle Missioni Cattoliche 2015, stampata dalla Tipografia vaticana e realizzata dalla Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli in occasione del cinquantesimo anniversario del decreto conciliare Ad gentes. Giunta all’ottava edizione, la pubblicazione mostra «quasi dal vivo le prove e le fatiche, oltre alle gioie e alle attese» delle 1.111 circoscrizioni ecclesiastiche, tra diocesi, vicariati, prefetture, missio sui iuris, amministrazioni e ordinariati militari, affidate al dicastero missionario, illustrando, con abbondanti dati e informazioni, lo sviluppo e la maturazione delle giovani Chiese di missione nei cinque continenti: 507 in Africa, 478 in Asia, 80 nelle Americhe e 16 in Oceania. Sfogliando il volume con la copertina verde, dietro le cifre rimbalzano immagini-flash nelle quali è possibile individuare i volti di vescovi valorosi, di sacerdoti zelanti, di catechisti infaticabili e di missionari e missionarie eroici. Del resto — scrive il porporato nella presentazione — le quasi 1.800 pagine «trasudano anche sangue. È quello dei martiri di questo tempo di inaudita violenza», segnato da persecuzioni e discriminazioni «che investono Paesi differenti: Egitto, Siria, Pakistan, Nigeria, Mali, Iraq, Iran, Turchia, Libia, Sudan, Arabia Saudita, Yemen, Tunisia, Kenya, Somalia, Niger». «La situazione — commenta il cardinale prefetto — è grave. L’odio verso i cristiani avanza e trova emulazione. Molti luoghi di culto sono oggetto di attacco, oltre a scuole cattoliche e singole abitazioni. In alcune di queste nazioni è reato addirittura possedere e utilizzare la Bibbia». Eppure nel libro non mancano segni di speranza, che vanno dall’annuncio del Vangelo all’importante opera educativa svolta a livello primario, secondario e universitario; dall’immensa rete ospedaliera ai piccoli dispensari; dalle microrealizzazioni in agricoltura alle attività commerciali. Insomma un’istantanea della Chiesa missionaria che oltre a dare risposta alle necessità pastorali, si propone come possibile “granaio” per le numerose richieste provenienti dalla Chiesa universale. Infatti se da un lato diminuiscono i missionari e le missionarie europei, dalle diocesi di recente costituzione e ricche di vocazioni iniziano a partire sacerdoti diocesani, religiosi e fidei donum. Da Brasile e Bolivia giungono in Africa; mentre da Paesi di que- st’ultimo continente vanno in soccorso di Chiese europee e americane scarse di personale; così come fa il clero della Corea e dell’India. E la cooperazione tra le Chiese non avviene soltanto lungo il tradizionale asse nord-sud, ma finisce col prendere direzioni prima impensabili. L’introduzione all’opera illustra il servizio della Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli: dalle competenze affidatele per la nomina dei vescovi, dei rettori dei seminari e le necessità pastorali delle giovani Chiese, a quelle delle Pontificie opere missionarie (PP.O O.MM.) che assicurano i sussidi annuali alle Chiese locali; dall’agenzia Fides, che informa sulla vita del mondo missionario, all’archivio storico, che custodisce e cura la documentazione cartacea del dicastero; dalla Pontificia università Urbaniana, vero e proprio centro di formazione filosofica, teologica e giuridica, ai collegi romani. Tra questi ultimi — che svolgono una funzione educativa degli studenti sacerdoti, religiose, seminaristi e laici — il Pontificio collegio Urbano, i collegi San Pietro, San Paolo e Mater Ecclesiae, il collegio San Giuseppe per l’aggiornamento dei professori degli atenei e dei seminari maggiori, il Centro internazionale di animazione missionaria (Ciam). Scorrendo l’indice generale, si nota che l’opera è articolata in due sezioni principali: la prima presenta i Paesi di missione, con allegate cartine geografiche delle diocesi e alcune informazioni storiche e religiose: la seconda annovera le singole circoscrizioni ecclesiastiche. Insomma, conclude il cardinale Filoni riferendosi all’opera, non solo «un utile strumento di lavoro», ma anche «un’occasione per conoscere il polso della Chiesa missionaria e condividere con essa le consolazioni e i patimenti legati all’annuncio del Vangelo». Il terzo segreto di Fátima Alcuni articoli hanno di recente riportato dichiarazioni attribuite a Ingo Dollinger, secondo cui il cardinale Ratzinger, dopo la pubblicazione del terzo segreto di Fátima, avvenuta nel giugno 2000, gli avrebbe confidato che tale pubblicazione non è stata completa. A tale proposito, Benedetto XVI comunica «di non aver mai parlato col professor Dollinger circa Fátima», afferma chiaramente che le dichiarazioni attribuite allo stesso Dollinger su questo tema «sono pure invenzioni, assolutamente non vere», e ribadisce con nettezza che «la pubblicazione del terzo segreto di Fátima è completa». A Cosenza il cardinale Amato beatifica il parroco Francesco Maria Greco e ne sottolinea la testimonianza sacerdotale Come una calamita Per Francesco Maria Greco essere parroco significava svolgere la sua missione come il buon samaritano, che, scendendo da Gerusalemme a Gerico, «sana l’umanità ferita dal male e dal vizio, per far rinascere la fede assopita o addirittura spenta». È stato il cardinale Angelo Amato, prefetto della Congregazione delle cause dei santi, a sintetizzare con questa immagine l’operato del prete calabrese durante la beatificazione presieduta a nome di Papa Francesco sabato pomeriggio, 21 maggio, nello stadio comunale di Cosenza. Parlando del nuovo beato il porporato ha sottolineato la fecondità della Chiesa in Calabria e, in modo particolare, nell’arcidiocesi cosentina. Tra i testimoni di santità, ha ricordato san Francesco di Paola, sant’Umile da Bisignano, il beato Angelo d’Acri, oltre all’oblato minimo Nicola Saggio da Longobardi, canonizzato da Papa Francesco, il 23 novembre 2014. Senza contare, inoltre, i numerosi servi e serve di Dio e i venerabili di queste terre di antica tradizione cristiana. Facendo notare come per la seconda volta nel giro di pochi anni lo stadio cosentino ospiti una beatificazione — dopo quella di Madre Elena Aiello, avvenuta il 14 settembre 2011 — il cardinale ha accostato l’immagine del campo sportivo a quella di una cattedrale. «La santità come lo sport — ha detto — è una palestra di vita cristiana, fatta di esercizio, di- sciplina e agonismo». Riguardo al nuovo beato, il porporato ha ricordato come egli fosse un uomo di cultura, che aveva posto l’istruzione religiosa a base dell’apostolato. «L’istruzione catechistica — ha raccontato — veniva impartita personalmente da lui ogni giorno e spesso affrontava, col sorriso sulle labbra, i viaggi più faticosi per portare nei paesi più remoti e desolati un raggio di fede, una parola di speranza e un aiuto concreto ai bisognosi». Il suo fervore e il suo esempio smossero gli animi a seguirlo. Per questo egli fondò l’associazione delle figlie del Sacro Cuore, l’oratorio festivo per ragazzi, l’apostolato della preghiera e vari circoli ricreativi. Incentivò anche la pastorale vocazionale, instradando i giovani alla vita sacerdotale e religiosa: «Li teneva vicino a sé e li seguiva, diventando per ognuno di essi amico e fratello incomparabile». Due efficaci strumenti del suo apostolato parrocchiale furono la predicazione e l’amministrazione del sacramen- to della riconciliazione. Le sue parole erano sempre «semplici e chiare: non battevano l’aria, ma toccavano i cuori». Invitava alla preghiera, alla comunione eucaristica, alla confessione frequente. Inoltre «mirava alla formazione e al consolidamento di atteggiamenti di concordia e non di divisione, di rispetto e non di disprezzo, di umiltà e non di superbia». A questo proposito diceva che la superbia, «figlia dell’ignoranza, inietta nei cuori il letale veleno dell’invidia e dell’avarizia». Soprattutto «mediante il suo intenso apostolato nel confessionale», egli «infondeva nei cuori la medicina del perdono e il balsamo della consolazione e della gioia». Il cardinale ha poi ricordato come il capolavoro del suo apostolato sia stato la fondazione delle Piccole operaie dei Sacri cuori, con la collaborazione di Raffaella De Vincenti, che «dovette superare un vero esame di idoneità». Il sacerdote, infatti, in una lettera alla donna delinea i tratti salienti che vuole im- Vetrata di Giovanni Hajnal per l’aula liturgica del santuario di San Francesco di Paola pressi nella figura della direttrice della nuova istituzione: «Deve essere accesa d’amore per i Sacri cuori, deve lavorare, lottare e soffrire unicamente per la loro gloria senza risparmiarsi nulla né ricusare nulla». Lo spirito evangelico del fondatore fece sì che l’istituto si sviluppasse al tal punto che nel 1921 poteva già contare 22 case e 140 consorelle. L’apostolato di Greco e delle sue suore si diffuse in Calabria e nell’Italia meridionale, toccando anche le popolazioni di origine albanese di rito greco bizantino. Il porporato ha inoltre ricordato che per realizzare la sua vocazione egli dovette superare l’avversione del padre, che lo constrastava non per cattiveria d’animo, ma perché lo voleva farmacista come lui. A Napoli frequentò il liceo arcivescovile, poi il seminario maggiore e venne ordinato sacerdote ad Acri il 17 settembre 1881. Concluse i suoi studi con la laurea in teologia. Dopo un breve tirocinio apostolico a Napoli, nel 1888 fu nominato arciprete della parrocchia di San Nicola di Bari in Acri, e vi rimase fino alla morte avvenuta il 31 gennaio 1931. Nella città natale, ha spiegato il cardinale, «il suo portamento ascetico suscitava ammirazione e rispetto. Ma fu soprattutto la totale dedizione al ministero parrocchiale che colpì la cittadinanza». Da notare che i fedeli erano attratti da lui «come da una calamita e subito lo ritennero un santo». Giunto ad Acri, infatti, il giovane sacerdote si diede un programma di autentica ascesi che portò avanti per tutta la vita. In conclusione, il celebrante ha osservato come nelle nostre città i santi siano «una indispensabile riserva non solo di virtù cristiane ma anche di valori umani come la gioia, la concordia, l’amicizia, la fraternità, la misericordia. Essi sono il sale della terra e la luce del mondo». Una vocazione incarnata in maniera esemplare dalla testimonianza del nuovo beato e delle suore Piccole operaie dei Sacri cuori. «La santità, con i fiori e i frutti delle sue virtù — ha concluso — è la primavera di ogni esistenza. Che questo giorno sia l’inizio per tutti noi di una vita rinnovata». Itinerario colombiano L’ordinazione di due vescovi, la visita ad altrettanti vicariati apostolici, gli incontri a Bogotá con i vertici del Consiglio episcopale latinoamericano (Celam) e della Conferenza episcopale, infine l’apertura del dodicesimo congresso nazionale missionario a Bucaramanga: sono i principali appuntamenti nell’agenda del cardinale Fernando Filoni, prefetto della Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli, in occasione del viaggio in Colombia iniziato sabato 21 maggio. Il porporato, che giunge in serata nella capitale e resta nel Paese per una settimana, sarà accolto dal nunzio apostolico Ettore Balestrero. Domenica 22 nella cattedrale primaziale di Bogotá celebrerà la messa per l’ordinazione dei vescovi Raul Alfonso Carrillo Martínez, orginario della diocesi di Zipaquirá, e Jaime Uriel Sanabria Arias, della diocesi di Tunja, chiamati a guidare rispettivamente i vicariati apostolici di Puerto Gaitán e di San Andrés y Providencia. Dopo un pranzo con il cardinale Rubén Salazar Gómez, arcivescovo di Bogotá e presidente del Celam, nel pomeriggio il prefetto di Propaganda fide visiterà le chiese della Vera Cruz, di San Francisco e della Tercera per poi salire al santuario del Monserrate, a 3.100 metri sul livello del mare, da cui si può ammirare tutta la città. Lunedì 23 e martedì 24 sono in programma le visite a due vicariati apostolici: a Guapi, sulla costa pacifica, il porporato farà anche sosta a Cali; e a Puerto Leguízamo, nell’Amazzonia colombiana, dove incontrerà le comunità indigene. Mercoledì 25, tornato a Bogotá, il cardinale Filoni avrà appuntamenti istituzionali di alto livello, il più importante dei quali sarà con il presidente della Repubblica, Juan Manuel Santos, nel palazzo di Nariño, sua residenza ufficiale. Infine da giovedì 26 e sabato 28 l’ultima tappa a Bucaramanga, per dare impulso al congresso nazionale e presiedere, tra l’altro, la messa di invio dei missionari. Nomina episcopale nella Repubblica Ceca La nomina di oggi riguarda la Repubblica Ceca. Pavel Konzbul, ausiliare di Brno Nato il 17 ottobre 1965 a Brno-Juliánov, nel 1983 ha superato gli esami di maturità. Nel 1989 ha ottenuto la laurea in elettrotecnologia alla facoltà di elettrotecnica dell’Università tecnica a Brno. Dopo il servizio militare, dal 1990 ha lavorato nell’Istituto di tecnica presso l’Accademia delle scienze della Repubblica Ceca a Brno e ha insegnato alla facoltà di elettrotecnica presso l’Università tecnica a Brno, dove ha ottenuto il dottorato in teoria del campo elettromagnetico. Nel 1995 è entrato nell’associazione laica di San Domenico dove esercitava l’incarico di vice-superiore della provincia nazionale. Dopo gli studi teologici alla Facoltà di teologia dei Santi Cirillo e Metodio presso l’università di Palacky a Olomouc, il 28 giugno 2003 è stato ordinato sacerdote e incardinato a Brno. Per due anni è stato vicario parrocchiale a Letovice, Boskovice e a Hustopeče u Brna. Dal 2005 al 2013 è stato direttore spirituale del liceo vescovile a Brno. Attualmente è parroco della cattedrale dei Santi Pietro e Paolo a Brno (dal 2013), membro del consiglio presbiterale della diocesi di Brno (dal 2013) e canonico del capitolo reale dei Santi Pietro e Paolo a Brno (dal 2015).