PUL - Diritto penale II – 2015-16 12.2

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PUL - Diritto penale II – 2015-16 12.2
PUL - Diritto penale II – 2015-16
12.2
- la gestione penalistica dell’evento non voluto: l’evento morte derivante da una violazione non
costituente reato (o costituente reato contravvenzionale): l’omicidio colposo e le relative ipotesi
aggravanti (589 c.p.);
- la condotta umana come conseguenze di una prospettiva mentale finalistica;
- l’iter motivazionale del comportamento umano: schema Px–>C–>X (prospettiva mentale,
condotta, evento: se X consiste in un evento E penalmente rilevante, si avrà un reato doloso, e più
precisamente un reato a dolo intenzionale; se invece X non coincide con E, ma E costituisce
l’effetto non voluto causato dalla condotta C, la quale aveva per fine produrre X, ci troveremo
saremo nell’ambito (date ulteriori condizioni: v. infra), di un reato colposo (ma anche nell’ambito
del dolo eventuale e del dolo diretto);
- l’ambiguità di una costruzione dell’omicidio colposo in base allo stesso schema dell’omicidio
doloso (art. 575 c.p.), nel cui contesto la condotta è prescelta al fine di cagionare l’evento e,
pertanto, fra quelle che possano avere un’idoneità elevata a conseguire tale scopo: laddove invece
nel contesto colposo, e in particolare nel contesto della colpa cosciente, la condotta che cagiona
l’evento non voluto manifesta, di regola, una modesta idoneità ex ante a cagionarlo, non essendo
stata prescelta a tal fine;
- le aporie riscontrabili dal punto di vista della razionalità preventiva (e rispetto al principio di
colpevolezza) nello schema del reato colposo: che interviene sul soggetto più sfortunato fra molti
trasgressori egualmente rimproverabili, cioè sul soggetto la cui condotta sfocia effettivamente nel
prodursi dell’evento lesivo;
- l’esigenza di operare, piuttosto, un intervento anticipato, riferito alla realizzazione delle condotte
pericolose, attraverso sanzioni amministrative o sanzioni penali non detentive (si pensi alle sanzioni
concernenti la violazione delle norme sulla circolazione stradale o delle norme – v. infra – intese
alla prevenzione degli infortuni sul lavoro);
- l’ambivalenza del sistema penale che introduce discipline finalizzate a quest’ultimo obiettivo, ma
nel contempo tende a enfatizzare le pena nel caso della produzione di un evento non voluto, come
nelle ipotesi aggravate dell’omicidio colposo (fino a livelli di pena vicini a quelli propri
dell’omicidio doloso);
- le aggravanti dell’omicidio colposo; in particolare, l’aggravante connessa alla violazione di
norme relative alla circolazione stradale, in rapporto alle «presunzioni» di imputabilità: problemi; la
difficile gestione dell’evento colposo commesso in stato di ubriachezza o sotto l’effetto di
stupefacenti;
Nota molto bene: per il ripasso e l’approfondimento delle nozioni di causalità, condotta
penalmente rilevante, accertamento della colpa specifica e generica, dolo, dolo eventuale e, in
genere, delle nozioni fondamentali di teoria generale del reato si veda il testo degli argomenti
delle lezioni “ pul - diritto penale I ” di questo medesimo anno 2016 o dell’anno precedente; i
medesimi argomenti delle lezioni di diritto penale I restano ovviamente un punto di
riferimento anche per altri collegamenti con la parte generale
18.2
- attività medica e responsabilità penale:
a) la particolare esposizione del medico a un rimprovero di c.d. malpractice, connessa alla
possibilità che dal suo agire possano derivare eventi avversi lesivi dell’incolumità del paziente;
- sia in quanto il medico è soggetto, più di altri professionisti, a commettere errori, data la frequenza
delle decisioni diagnostico-terapeutiche che è chiamato ad assumere e il contesto spesso difficile
(anche dal punto di vista temporale) in cui tali decisioni devono avvenire;
- sia in quanto, nel caso di evento avverso, potrebbe facilmente aprirsi un procedimento civile o
penale a carico del medico, per lesioni e omicidio colposi, pur ove il medesimo abbia agito in modo
del tutto corretto: anche nel caso in cui, tuttavia, il processo si concluda con l’esclusione di qualsiasi
responsabilità, esso avrà egualmente rappresentato per il medico un onere psicologico, economico e
reputazionale (una pena di fatto);
- il rischio, conseguente, della c.d. medicina difensiva, sia attiva (utilizzazione di mezzi diagnostici
o terapeutici inutili o addirittura dannosi, onde minimizzare il rischio di contestazioni o escludere
ogni responsabilità esclusivamente propria), sia, soprattutto, omissiva o astensionistica (rinuncia a
proporre una risorsa terapeutica utile, per il timore che ne possano derivare eventi avversi cui possa
conseguire un contenzioso civile o penale);
- i profili di possibile rilevanza penale, nondimeno, delle stesse scelte di medicina difensiva: in
particolare, ai sensi dell’art. 40, co. 2, c.p., richiedendosi peraltro a tal fine la prova assai
difficoltosa, in quanto riferita al criterio dell’oltre ogni ragionevole dubbio, della causalità
dell'omissione rispetto al prodursi di un danno o della morte);
richiamo alla problematica concernente la c.d. causalità della colpa (evitabilità dell’evento comportamento alternativo lecito) nell’ambito delle condotte attive colpose, ai fini della quale la
giurisprudenza è solita richiedere un livello probatorio meno pregnante di quello riferito al criterio
dell’oltre ragionevole dubbio, sebbene il confine fra condotte omissive e condotte attive colpose è
sovente molto labile (spesso un medesimo discostamento da uno standard comportamentale può
essere descritto sia nei termini di una condotta omissiva, sia nei termini di una condotta attiva
colposa);
la possibile rilevanza di un atteggiamento di medicina difensiva astensionistica, quanto al medico
che svolga un pubblico servizio, anche ai fini di un’omissione di atti d’ufficio (art. 628 c.p.);
b) - l’attività medica svolta in assenza di un adeguato consenso del paziente, ove il consenso sia
necessario (non lo è, per esempio, quando il malato non sia in grado di prestarlo, nel qual caso il
medico agirà secondo lex artis, vale a dire secondo il c.d. principio di beneficialità);
- la medicina come attività non meramente contrattualistica: cenni sugli artt. 583-bis (mutilazione
organi genitali), 579 (omicidio del consenziente) e 580 (istigazione o aiuto al suicidio) c.p.;
- critica dell’orientamento che considerava l’attività medica come intrinsecamente illecita e
scriminata (cioè resa lecita) solo dal consenso: così che l’attività medico-chirurgica non coperta dal
consenso darebbe luogo a una malattia – intesa come mera alterazione anatomica dei tessuti (il
mero taglio chirurgico) – e pertanto, ove il medico fosse consapevole di agire senza consenso, a
lesioni volontarie (art. 582 c.p.): con la conseguenza per cui, ove sfortunatamente ne derivasse la
morte del paziente, si realizzerebbe la fattispecie di omicidio preterintenzionale prevista dall’art.
584 c.p. (a tali conclusioni era giunta una datata sentenza della Cassazione – caso Massimo –, forse
condizionata, tuttavia, dal dubbio sulla conformità, in quel caso, dell’attività svolta dal medico oltre
il consenso alla stessa lex artis);
- simile orientamento è stato confutato da Cass. s.u. 21 gennaio 2009, n. 2447 – caso Giulini (vedi
commento in «pubblicazioni», pagina web docente): essa considera, giustamente, l’attività medica
come in sé lecita ove posta in essere conformemente alla lex artis (cioè in modo appropriato al
contrasto di una data patologia, o in altre parole all’indicazione terapeutica), sebbene richieda, come
molte altre attività in sé lecite, il rispetto di determinate prescrizioni e in particolare, ai nostri fini, il
sussistere del consenso, se necessario; ne deriva che nel caso in cui il medico operi senza o, più
probabilmente, oltre il consenso ma in conformità alla lex artis non produce, di regola, una malattia
– che in tal senso dev’essere intesa non come alterazione anatomica dei tessuti, ma come
alterazione funzionale dell’organismo – e, dunque, non realizza il delitto di lesioni, posto che dà
luogo, di regola, a un miglioramento delle condizioni di salute del paziente; in tal caso il medico
non realizza un’offesa del bene giuridico costituito dall’incolumità personale, bensì esclusivamente
della sua libertà morale: bene, quest’ultimo, tutelato dall’art. 610 c.p. (violenza privata), dnorma
della quale tuttavia, nel nostro caso, non si realizzano, secondo la cit. sentenza delle Sezioni unite,
gli elementi costitutivi (manca un atto di violenza o minaccia e manca, comunque, la distinzione tra
un simile atto e una condotta consequenziale del soggetto passivo); per cui la violazione del
consenso, ove l’atto medico risulti conforme alla lex artis, non dà luogo a responsabilità penale, ma
rileva sul piano della responsabilità civile e della responsabilità deontologico-professionale (una
limitazione, questa, che appare opportuna onde contrastare atteggiamenti di medicina difensiva,
data la facilità con cui possono essere messe in discussione la completezza e, in genere, la validità
del consenso); resta l’interrogativo sul caso in cui, avendo il medico agito senza consenso ma
secondo la lex artis, si sia tuttavia prodotto, sfortunatamente, un evento avverso, caso nel quale in
effetti la condotta del medico, pertanto, risulta causale rispetto al prodursi di una malattia
(alterazione funzionale) e dunque di lesioni (non volontarie): si deve tuttavia concludere che anche
in questo caso il medico non risponde di lesioni, o omicidio, colposi, in quanto ha sì violato una
regola (quella relativa alla necessità del consenso), ma non una regola finalizzata ad evitare
l’evento nel nostro caso rilevante, vale a dire l’evento lesivo dell’incolumità personale (al contrario,
il medico ha tenuto esattamente la condotta che, ex ante, era da ritenersi idonea a salvaguardare tale
incolumità);
- la responsabilità penale del medico secondo l’art. 3, co. 1, d.l. (Balduzzi) n. 158/2012, conv. con
l. n. 159/2012: problemi aperti;
19.2
cenni sulle proposte di riforma della responsabilità medica, a fini di prevenzione della medicina
difensiva;
- la causazione dell’evento non voluto a seguito di una condotta costituente delitto doloso: l’art.
586 c.p. (morte o lesioni come conseguenza di altro delitto) in quanto norma generale, che fa
riferimento all’art. 83 c.p. (aberratio delicti), con l’unica differenza di un aumento della pena
prevista per lesioni o omicidio colposi;
le amplissime eccezioni a tale regola generale, attraverso il delitto di omicidio preterintenzionale
(art. 584 c.p.: si noti che i delitti base di percosse o lesioni rilevano in esso già a livello di tentativo)
e i delitti aggravati dall’evento:
- il superamento, in tali fattispecie, della responsabilità oggettiva (art. 42, co. 3 c.p.) riferita alla
causazione dell’evento non voluto (responsabilità fondata sulla logica del c.d. versari in re illicita) a
seguito del riconoscimento del principio di colpevolezza da parte della Corte costituzionale, che lo
ha desunto, nella sentenza n. 364/1988, dall’art. 27, co. 1, della Costituzione:
con tale sentenza la Corte ha inteso la responsabilità “personale” (cioè tipica degli esseri umani)
come responsabilità “colpevole” e, dunque, come rimproverabilità (tale sentenza, come si ricorderà,
ha sancito l’incostituzionalità dell’art. 5 c.p., in tema di errore sulla norma penale, nella parte in cui
non escludeva la punibilità ove l’errore risultasse inevitabile, violando, in tal modo, il principio di
colpevolezza);
l’esigenza, conseguente, che in tali fattispecie sia constatabile, quantomeno, la colpa rispetto
all’evento non volto, vale a dire la sua «prevedibilità» (posto che l’ulteriore elemento costituito
dalla «evitabilità» della condotta base è difficilmente discutibile, trattandosi di una condotta che
produce un delitto base doloso;
richiamo dei limiti, già considerati, riferibili al concetto di prevedibilità (in particolare, sul rischio
di vere e proprie presunzioni della prevedibilità);
- la necessità, pertanto, di una rilettura giudiziaria, auspicata dalla stessa Corte costituzionale,
delle ipotesi di responsabilità oggettiva presenti nel codice Rocco in base al principio di
colpevolezza, che esige quantomeno la colpa (e dunque la prevedibilità) in rapporto al prodursi
dell’evento;
- richiamo della identica problematica emergente, in parte generale, nelle ipotesi di reato diverso da
quello voluto da taluno dei concorrenti (art. 116 c.p.) e di mutamento del titolo del reato per taluno
dei concorrenti (art. 117 c.p.).
- l’esigenza per cui il principio di colpevolezza non dovrebbe richiedere soltanto il sussistere,
quantomeno, della colpa, onde superare la responsabilità oggettiva, ma altresì che non si risponda
per dolo, quando sussista soltanto la colpa (come invece accade negli artt. 116 e 117);
- in particolare, il superamento, secondo la modalità appena descritta, della responsabilità oggettiva
nei delitti aggravati dall’evento (esemplificazioni con riguardo agli artt. 571, 572, 591, 593 c.p. e
richiamo, rispetto a tali reati, di alcune nozioni di parte generale: reati di pericolo, reato omissivo
proprio, ecc.);
26.2
- l’art. 280 c.p. (attentato per finalità terroristiche o di eversione dell’ordine democratico):
- la sua caratteristica di delitto di attentato; la fattispecie base (attentato all’incolumità o alla vita)
costruita sul tentativo, piuttosto che sulla causazione dell’evento;
il ruolo degli eventi aggravanti (lesioni o morte), e l’esigenza che sia superato, anche in questo
caso, il configurarsi della responsabilità oggettiva;
- i problemi di costituzionalità ex art. 27, co. 1 e co. 3, Cost. delle pene fisse di cui al co. 4;
- la configurazione degli eventi aggravanti nei delitti aggravati dall’evento come circostanze
aggravanti; l’esclusione ai fini dell’art. 280 c.p. (co. 5) – come previsto in anni recenti anche per
altre fattispecie, secondo la tradizionale schizofrenia legislativa in materia penale – del giudizio di
prevalenza o equivalenza con circostanze attenuanti, previsto dall’art. 69 c.p.;
richiami alla riforma estensiva del regime di cui all’art. 69 c.p. avvenuta nel 1974 entro il quadro di
altri provvedimenti che, nell’impossibilità di addivenire a una riforma organica del codice penale,
intesero ampliare, con finalità mitigative, la discrezionalità giudiziaria (reintroduzione delle
attenuanti generiche ex art. 62-bis c.p., abolizione degli aumenti obbligatori di pena in caso di
recidiva ex art. 99 c.p.; estensione del regime del reato continuato ex art. 81 c.p.);
- il dolo specifico e la problematica definizione della finalità di terrorismo ai sensi dell’art. 270sexies c.p.;
- richiami alla riforma del regime di rilevanza, non più oggettivo, delle circostanze aggravanti
(art. 59, co. 2, c.p.);
- gli artt. 582-3 c.p. (lesioni volontarie e lesioni volontarie aggravate): nozione di malattia; lesioni
lievi (e ambito della punibilità a querela), gravi e gravissime;
la rilevanza oggettiva delle circostanze aggravanti prima della riforma dell’art. 59 c.p. nel 1990 e la
esclusione, prima del 1974, dal giudizio di prevalenza o equivalenza tra circostanze aggravanti e
attenuanti (art. 69 c.p.) delle circostanze che prevedessero un ambito edittale indipendente rispetto a
quello del reato base; il significato di conseguenza favorevole per l’imputato, in un tale contesto
anteriore al 1974, della proposta del prof. Antolisei intesa a considerare le lesioni gravi e gravissime
come reati autonomi, così da richiedere il dolo per tutti gli elementi delle relative fattispecie
(evitando una tra le ipotesi più pesanti di responsabilità oggettiva, senza effetti di esclusione,
peraltro, del giudizio di cui all’art. 69 c.p.;
- gli artt. 624, 624-bis e 625 c.p. (reati di furto e aggravanti): gli effetti della trasformazione in reati
autonomi del furto presso il domicilio e del furto con strappo, ricompresi prima del 2001 tra le
ipotesi di furto aggravato: il legislatore ha inteso realizzare una modifica in senso sfavorevole al
soggetto agente (sebbene abbia mantenuto le stesse pene del furto aggravato), in quanto, non
configurando più tali ipotesi delle circostanze aggravanti, esse non potranno più essere
controbilanciate in sede di giudizio di prevalenza o equivalenza da eventuali circostanze attenuanti,
così da tornare a rendere applicabile, in tal caso, la pena prevista per il reato base di furto
(eventualmente addirittura diminuita ove le attenuanti fossero state ritenute prevalenti); dopo
l’intervento di riforma, pertanto, eventuali circostanze attenuanti risultano certamente applicabili,
ma muovendo dalla pena prevista per i reati autonomi di cui all’art. 624-bis c.p. (coincidente con
quella riferibile alle aggravanti);
lo stesso effetto in linea teorica favorevole della riforma – quello per cui gli elementi in discussione,
quando erano circostanze aggravanti, richiedevano la colpa (conoscibilità) ai sensi dell’art. 59, co.
2, c.p., mentre ora, in quanto elementi di un delitto doloso, richiedono il dolo – non ha nel nostro
caso alcuna rilevanza, posto che l’attuare uno strappo o l’agire presso un domicilio altrui si
realizzano sempre, di fatto, con dolo.
4.3
omicidio stradale e lesioni stradali: i nuovi delitti di cui agli artt. 589-bis ss. e 590-bis ss.; le
abrogazioni parziali intervenute negli artt. 589 e 590 c.p. (vedi testi in “materiali didattici”);
l’apoteosi di una visione preventiva fondata sulla intimidazione, che utilizza pene esemplari
immemori delle aporie del reato colposo e tralascia il ruolo della prevenzione primaria;
- introduzione ai delitti contro il patrimonio:
- furto (art. 624 c.p.) e la rapina (art. 629 c.p.) come delitti a dolo specifico: richiamo della nozione
di dolo specifico;
art. 627: la sottrazione di cose comuni (fattispecie ora abrogata, salvo sanzione civile di rilievo
pubblico, ai sensi del d.lgsl. n. 7/2016) e la nozione di altruità;
il rapporto tra furto e appropriazione indebita (art. 646 c.p.): il concetto di possesso, tale da
ricomprendere anche la detenzione autonoma (non coincidenza con il concetto civilistico di
detenzione);
- la rapina (art. 628 c.p.), in quanto caratterizzata da violenza alla persona o minaccia;
- l’estorsione (art. 629 c.p.) come reato di evento (a differenza dei delitti precedenti) e come reato a
concorso necessario, di cui peraltro uno dei concorrenti è vittima; l’esemplificazione del “pizzo”;
- la truffa (art. 640 c.p.) come delitto esso pure di evento a concorso necessario;
la nozione di artifici e raggiri;
la triplice catena causale di eventi che caratterizza il delitto e l'elemento implicito della prestazione
da parte della vittima;
il rischio di un’utilizzazione estensiva, e censurabile, della denuncia per truffa in rapporto alla
causazione, rilevante in sede civile, di un danno ingiusto;
10.3
- usura (art. 644 c.p.):
il bene tutelato e il rapporto con la prevenzione della criminalità organizzata; il divieto di usura
come limite alla autonomia contrattuale;
la riforma del reato attuata con legge n. 108/1996; il passaggio dalla precedente costruzione della
fattispecie come reato di pericolo concreto alla diversa configurazione attuale, intesa a
«compensare» tale evoluzione con il recupero di determinatezza legato alla definizione di una
soglia formale identificativa dell’interesse usurario; la contraddittorietà rispetto a quest’ultimo fine
della seconda parte del terzo comma;
il forte aumento nell’entità della pena rispetto al livello previsto prima della riforma del 1996;
(prosecuzione) la determinazione degli interessi usurari (artt. 644, co. 3 e 4, c.p., e 2, co. 1 e 4, l.
n. 108/1996): considerazioni in rapporto al principio della riserva di legge;
la diversa natura dei due “fondi” antiusura (artt. 14 e 15 l. n. 108/1996; in particolare la funzione
di prevenzione primaria svolta dal fondo per la prevenzione del fenomeno dell’usura previsto
dall’art. 15 e la funzione di aiuto, ma anche promozionale della costituzione da parte della vittima
nel processo di usura svolta dal fondo di cui all’art. 14);
- ricettazione e riciclaggio (artt. 648 e 648-bis ss. c.p.): differenze nella struttura dei due reati e
beni tutelati; in particolare, il riciclaggio come delitto finalizzato a impedire che venga ostacolato il
riconoscimento della provenienza delittuosa di danaro o altri beni e, pertanto, al contrasto del
riutilizzo nel mercato economico dei proventi da reato;
la ricettazione (art. 648 c.p.):
elementi del reato (richiede che si acquisti, riceva od occulti danaro o cose provenienti da delitto),
dolo specifico, sanzioni; le aggravanti e l’ipotesi di particolare tenuità;
l’inadeguatezza del delitto di ricettazione a gestire il problema nuovo del riciclaggio;
- il riciclaggio (art. 648-bis c.p.) come delitto di evento (“in modo da” – e non “al fine di” o
“idoneo a” – “ostacolare”);
le condotte rilevanti;
11.3
- la tutela anticipata di cui al d.lgs. 231/2007: principi;
le norme principali: il ruolo dell’UIF (art. 6); le norme principali: il ruolo dell’UIF (art. 6); i
soggetti obbligati: l’estensione degli obblighi per finalità preventive di rilievo pubblico agli
esercenti attività di natura privata, fra i quali, per attività diverse da quelle del patrocinio legale,
anche l’avvocato, il notaio e altri professionisti (artt. 10 ss.);
i tre nuclei di obblighi: di adeguata verifica della clientela, ma anche del significato economico
dell’operazione richiesta (artt. 15 ss.), di registrazione (artt. 36 ss.), obblighi di segnalazione delle
operazioni sospette (artt. 41 ss.);
sanzioni penali e amministrative (artt. 55 ss.; in part., l’art. 57, co. 4, in merito alla mancata
segnalazione);
norme concernenti le limitazioni all’uso del contante e dei titoli al portatore (art. 49 ss. d.lgs. n.
231/2007);
- il quesito relativo alla configurabilità di ricettazione e riciclaggio a titolo di dolo eventuale, anche
in rapporto a Cass. s.u. 26-11-2009, n. 12433, su dolo eventuale e ricettazione (con riguardo al
rapporto tra il delitto di ricettazione e la contravvenzione di «incauto acquisto» (art. 712 c.p.);
- la nuova fattispecie di autoriciclaggio, introdotta con l. n. 186/2014, (art. 648-ter1 c.p.), che
prevede la punibilità per condotte di riciclaggio, a certe condizioni, anche dell’autore o coautore del
delitto-base di provenienza del danaro ecc.;
la forte problematicità della norma quando al rispetto del principio del c.d. ne bis in idem
sostanziale (v. concorso di reati, concorso apparente);
le motivazioni, di carattere soprattutto processuale, dell’innovazione; riflessione sulla non
accettabilità di un utilizzo del diritto penale sostanziale – sia con riguardo alle incriminazioni che
alle entità delle pene previste – in funzione di esigenze processuali (prescrizione, misure cautelari,
poteri d’indagine, ecc.), cui si dovrebbe provvedere con norme procedurali specifiche);
gli elementi di (incerta) delimitazione dell’autoriciclaggio (art. 648-ter1 c.p. rispetto al riciclaggio
(art. 648-bis c.p.): il co. 1 (condotte rilevanti) e il co. 4 (non punibilità nel caso di mera utilizzazione
o godimento personale) dell’art. 648-ter1 c.p.;
problemi concernenti la norma penale applicabile, oggi, al riciclatore che agisce in accordo, come di
regola accade, con l’autore del reato-base: risponde di riciclaggio o (solo) di concorso in
autoriciclaggio?
problemi concernenti la configurabilità dell’autoriciclaggio con riguardo ai reati tributari;
18.3
la rapina impropria (art. 628, co. 2, c.p.) e la problematica del suo rapporto con il tentativo (ipotesi
della violenza esercitata a seguito di un tentativo di rapina, che come tale non abbia già conseguito
lo spossessamento della vittima: la condivisibile opinione dottrinale che ciò configuri un’ipotesi di
furto + tentate percosse, e non una, più sfavorevole, rapina impropria tentata: in quanto l’ambito
applicativo della fattispecie di rapina presuppone sempre l’avvenuto impossessamento della cosa);
alcune problematiche particolari in tema di truffa: l’attitudine ingannatoria della condotta, la
condotta reticente (omissiva), la natura della prestazione, l’irrilevanza di una prestazione avente
carattere meramente omissivo;
- delitti dei p.u. contro la pubblica amministrazione:
l’abuso d’ufficio (art. 323 c.p.):
gli interventi del legislatore del 1997 finalizzati a realizzare una maggiore determinatezza della
fattispecie, precedentemente costruita (anche con la riforma del 1990) sul dolo specifico di
vantaggio o danno riferito a una generica condotta di abuso (la pericolosità politico-criminale di una
descrizione troppo generica delle condotte penalmente rilevanti); la norma attuale:
- definisce due modalità della condotta (la seconda assorbe il precedente delitto di interesse privato
in atti d’ufficio);
- trasforma il reato in reato di evento, con due eventi fra loro alternativi (vantaggio o danno);
- attraverso l’avverbio intenzionalmente esclude la rilevanza della causazione dell’evento per dolo
eventuale o dolo diretto, richiedendo, pertanto, il sussistere del dolo intenzionale;
- l’assorbimento nell’abuso di ufficio della fattispecie abrogata nel 1990 dell’interesse privato in atti
d’ufficio (art. 324 c.p.);
- concussione e corruzione dopo le riforme del 1990, 2012, 2015 (artt. 317 e 318 ss. c.p.):
la costrizione come elemento tipico della concussione, delitto a concorso necessario nel quale è
punito soltanto il soggetto pubblico;
l’avverbio «indebitamente» e i casi di c.d. antigiuridicità speciale (in rapporto alla disciplina di cui
all’art. 5 c.p.);
la reintroduzione come soggetto attivo, nel 2015, dell’incaricato di pubblico servizio;
- la posizione paritaria del corrotto (pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio, ex art. 320
c.p.) e del corruttore nelle fattispecie di corruzione, che implica una reciprocità degli interessi tra le
parti coinvolte
e la correlata punibilità sia del corrotto che del corruttore (art. 321 c.p.)
- la corruzione per atto contrario ai doveri d’ufficio (corruzione propria, art. 319 c.p.) e la
ridefinizione dell’art. 318 c.p. (corruzione per l’esercizio della funzione, corruzione impropria):
le condotte rilevanti;
l’equiparazione tra ricezione e accettazione della promessa;
l’istigazione alla corruzione ex art. 322 c.p., norma dalla quale si evince (commi 3 e 4) che
l’iniziativa proveniente dal soggetto pubblico non implica, da sola, che sia in gioco una concussione
piuttosto che una corruzione;
8.4
- il problematico inquadramento dell’induzione indebita (art. 319-quater c.p.), che prevede la
punibilità del soggetto privato, sebbene in maniera inferiore rispetto al soggetto che induce (laddove
l’induzione, prima della riforma del 2012, si affiancava alla costrizione dell’ambito della
concussione):
secondo Cass. s.u. 24.10. 2013, n. 12228 (Maldera), riportata tra i “materiali didattici”, ciò che
caratterizzerebbe la concussione sarebbe soprattutto l’elemento della minaccia (nel solco dei casi di
c.d. minaccia mezzo), mentre la induzione rappresenterebbe una forma di pressione meno intensa,
cui il privato avrebbe il dovere di resistere;
la questione relativa all’inquadramento di una condotta ingannatoria da parte del soggetto pubblico,
la quale, prima della riforma del 2012, era considerata ipotesi tipica di induzione;
il problema della equiparazione a sei anni del minimo edittale concernente il soggetto pubblico, con
riguardo sia a concussione, che a corruzione, che a induzione indebita;
(segue) in particolare, il concetto di “disponibilità” estende il “concetto” di possesso: si consideri
che se simile estensione si fosse effettuata per via interpretativa, come per l’appropriazione
indebita, si sarebbe configurata, diversamente da quest’ultimo caso, un’ipotesi di analogia in malam
partem;
l’assorbimento a seguito della riforma del 1990 (che ha estromesso il riferimento al “distrarre”
nell’art. 314 c.p.) della figura del peculato per distrazione nell’abuso d’ufficio, con l’effetto,
peraltro, che appropriazioni di valore minimo finiscono per essere punibili sulla base di uno spazio
edittale ben più severo di quello riferibile a un abuso d’ufficio il quale abbia procurato vantaggi
economici di gran lunga superiori: il che solleva una questione di irragionevolezza per mancanza di
proporzionalità delle conseguenze sanzionatorie per alcune tipologie di peculato; suscita, peraltro,
molte perplessità l’orientamento giurisprudenziale inteso a punire pur sempre per peculato quando
la distrazione, pur non avendo dato luogo a un’appropriazione, abbia rappresentato un radicale
distorcimento nella utilizzazione dei beni disponibili, così che essa non risulti più rispondente a
interessi della P.A. (come se il soggetto agente avesse disposto dei beni, almeno per un momento,
come “cosa propria”): una tale linea interpretativa, infatti finisce per forzare il principio di legalità
(sia sotto il profilo del divieto di analogia, che della riserva di legge, che della determinatezza),
tanto più in rapporto a una scelta legislativa espressa (si sarebbe potuto pensare, piuttosto, a una
questione di legittimità costituzionale, salvo, ovviamente, un nuovo intervento da parte del
legislatore); del resto lo stesso parallelo col fatto che si sia talora configurata un’appropriazione
indebita per distrazione difficilmente potrebbe essere accettato, perché nell’ipotesi della distrazione
da parte del soggetto pubblico un reato applicabile comunque c’è, diversamente da quanto può dirsi,
al di fuori dell’art. 646 c.p., per la distrazione posta in essere dal privato;
- rifiuto atti d'ufficio - omissione (art. 328 c.p.): confronto con la precedente disciplina;
l’ambito delle materie rilevanti ai fini del primo comma e il concetto di rifiuto;
la disciplina di cui al secondo comma, riferita agli ambiti diversi da quelli del primo comma e
fondata sulla messa in mora (30 giorni) del pubblico funzionario; il comportamento necessario da
parte del soggetto pubblico affinché la fattispecie di cui al secondo comma non si realizzi;
l’inadeguatezza della pretesa di risolvere i problemi dell’apparato burocratico pubblico attraverso
una fattispecie penale come quella di cui alla norma in esame;
l’alternatività, al secondo comma, tra pena detentiva e pecuniaria;
- le qualifiche soggettive nei delitti contro la P.A.:
pubblico ufficiale (art. 357, co. 1, c.p.): concetto di “pubblica funzione” (legislativa, giudiziaria,
amministrativa); descrizione sostanziale e non solo formale (come dipendente dalla nomina) della
pubblica funzione amministrativa, ex art. 357, co. 2, c.p.;
incaricato di pubblico servizio (art. 358 c.p.): criterio fondato sulla mancanza dei poteri tipici
della pubblica funzione, ai sensi del secondo comma;
persona esercente un servizio di pubblica necessità (art. 359 c.p.);
- i delitti in materia di violenza sessuale:
la riforma del 1996 e la vecchia collocazione di tali reati tra i delitti contro la moralità pubblica
(artt. 519 ss., abrogati);
- l’impianto di parte speciale (libro II) del codice Rocco e la preminenza accordata alla tutela di
interessi pubblici, nel quadro di un’enfatizzazione del ruolo dello Stato rispetto a quello della
persona;
l’art. 609-bis ss. c.p.; questioni di determinatezza inerenti alla nozione di atti sessuali (con richiami
al principio di legalità) e di accertamento in sede processuale;
gli elementi della condotta e il motivo del riferimento ai requisiti della violenza, minaccia o abuso
di autorità;
l’entità della pena minima edittale e la circostanza attenuante di cui al secondo comma;
15.4
- l’art. 609-ter (violenza sessuale aggravata), come modificato ai sensi del d.l. n. 93/2013, conv.
con mod. in l. n. 119/2013, nonché ai sensi della l. n. 39/2014, in particolare, l’età inferiore ad anni
quattordici della vittima);
- l’art. 609-quater c.p. (atti sessuali con minorenne consenziente); in particolare, l’inadeguatezza
del consenso dell’infraquattordicenne a rendere lecito il compimento di atti sessuali; la rilevanza,
peraltro, del consenso dell’infraquattordicenne ai fini dell’applicabilità dell’art. 609-bis oppure
dell’art. 609-quater; la totale irrilevanza, invece, del consenso del minore di anni dieci (sempre
violenza sessuale aggravata, ai sensi degli artt. 609-bis, co. 3, e 609-ter, co. 2);
le diverse soglie di età (14, 16, 18 anni) rilevanti ai fini dell’art. 609-quater (co. 1, nn. 1 e 2, co. 2);
- l’art. 609-quinquies c.p. (corruzione di minorenni);
- l’art. 609-sexies c.p. (ignoranza dell’età): l’adeguamento della norma al principio di
colpevolezza, attraverso la l. n. 172/2012 e la permanente diversità della disciplina di cui all’art.
609-sexies rispetto alla disciplina generale dell’errore di fatto (che in presenza di errore colposo,
cioè evitabile, prevede la responsabilità per colpa);
- art. 609-octies c.p. (violenza sessuale di gruppo):
il rapporto di tale fattispecie con il concorso di persone:
richiamo delle nozioni fondamentali su tale istituto e, in particolare, sull’esigenza del nesso causale
fra contributo del partecipe e fatto di reato (artt. 110 e 144 c.p.);
considerazioni sulla condotta omissiva nel concorso di persone, sia in rapporto al reato omissivo
improprio, che in rapporto ai reati omissivi propri (come l’art. 593 c.p., concernente l’omissione di
soccorso;
richiamo dei profili di indeterminatezza, in tema di reato omissivo improprio, della formula di cui
all’art. 40, co. 2, c.p.: circa i reati cui è riferibile; circa la sua applicabilità ai soli reati con evento
naturalistico o anche ai reati di condotta; circa la sua applicabilità anche ai casi in cui si tratti di
contrastare direttamente la condotta di un altro individuo; circa la differenza tra obbligo di impedire
e più generici obblighi di agire a significato preventivo; circa le fonti dell’obbligo giuridico;
- introduzione ai reati associativi: problemi, finalità e inquadramento politico-criminale (pur
essendo configurati come forme di tutela anticipata rispetto alla commissione dei delitti-scopo, essi
di fatto consentono di perseguire, come membri di una associazione, anche soggetti dei quali non si
riesce a dimostrare la compartecipazione nei delitti-scopo (peraltro con una duplice penalizzazione
degli associati che risultino in essi coinvolti);
- l’art. 416 c.p. (associazione per delinquere): i problemi di determinatezza della fattispecie e i
criteri giurisprudenziali di definizione del rapporto associativo (imperniati sul concetto di
organizzazione stabile);
20.4 1
- art. 416-bis c.p. (associazione di tipo mafioso) c.p.: requisiti e finalità (queste ultime possono
essere anche finalità in sé lecite, che sono rese antigiuridiche dall’essere perseguite attraverso il
metodo mafioso);
la confisca obbligatoria (art. 416-bis, co. 7, c.p.), in rapporto all’art. 240 c.p.;
- il problema dell’applicabilità dell’art. 110 c.p. (concorso di persone) ai reati associativi e, in
particolare, all’art. 416-bis («concorso esterno»): simile applicabilità – fermo il sussistere del nesso
causale – rimane problematica perché rappresenta una estensione alquanto indeterminata rispetto
all’ambito di operatività del reato associativo, che già rappresenta una estensione particolare, in
senso anticipato rispetto alla commissione dei reati-scopo, dell’ambito del punibile;
la preferibilità della configurazione di fattispecie ad hoc da parte del legislatore;
richiami al ruolo delle condotte atipiche nel concorso di persone e alla rilevanza causale della
partecipazione;
- l’art. 418 c.p. (assistenza agli associati);
28.4
- i reati associavi ricompresi nel titolo I del libro II c.p. (delitti contro la personalità dello Stato):
in particolare l’art. 304 c.p. (cospirazione mediante accordo), in rapporto all’art. 115 c.p.
(richiamo delle ipotesi di «quasi-reato» di cui agli artt. 49 e 115 c.p.)
- gli artt. 305 (cospirazione mediante associazione), 306 (banda armata), 270 (associazioni
sovversive) e 270-bis c.p. (associazioni con finalità di terrorismo);
- le ulteriori fattispecie di assistenza agli associati (oltre all’artt. 418, gli artt. 307 e 270-ter c.p.),
anche in rapporto al tema del concorso esterno;
- gli effetti particolarmente onerosi (specie per i piccoli spacciatori essi stessi tossicodipendenti) del
delitto di associazione finalizzata allo spaccio di sostanze stupefacenti, di cui all’art. 74 t.u.
n. 309/1990: rinvio;
- l’art. 378 c.p.: favoreggiamento personale (requisiti e distinzione rispetto al favoreggiamento
reale di cui all’art. 379 c.p.);
la condotte rilevanti;
la tradizionale configurazione del delitto come reato di condotta;
la necessità che, comunque, un reato sia stato commesso e che la persona favorita sia stata punita;
l’interrogativo sulla configurabilità del favoreggiamento omissivo, che in assenza di uno specifico
obbligo di impedire l’evento dev’essere esclusa (si rammentino le problematiche concernenti l’art.
40 cpv. c.p.: v. supra, lezione del 10 novembre);
29.4
- gli obblighi di denuncia: artt. 361 (pubblico ufficiale), 362 (incaricato di pubblico servizio);
l’obbligo di referto dell’esercente una professione sanitaria e il limite nel caso in cui ciò
esporrebbe a procedimento penale il soggetto assistito (art. 365 c.p.); il limitatissimo obbligo di
denuncia da parte del cittadino ex art. 364 c.p. (delitti contro la personalità dello stato puniti con
l’ergastolo) e 3 d.l. n. 8/1991 (in tema di sequestro di persona a scopo di estorsione);
- gli obblighi di testimonianza ai sensi degli artt. 372, 371-bis e 371-ter c.p. (v. infra circa il
rapporto con il segreto professionale);
- la violazione del segreto professionale sanzionata dall’art. 622 c.p. e la nozione di «giusta
causa» di rivelazione (nei casi previsti dalla legge o nei casi in cui solo attraverso la rivelazione del
segreto, da effettuarsi pur sempre nei termini più limitati possibile, si è in grado di evitare l’offesa
di un bene di maggior rilievo – p. es. la salute o la vita – rispetto ai beni – l’onorabilità e la
riservatezza – tutelati mediante il segreto);
i casi di opponibilità del segreto in rapporto all’obbligo di testimonianza in un processo: art. 200
c.p.p. (ministri del culto, avvocati, medici) e leggi speciali; in particolare, art. 1 legge 119/2001,
concernente gli assistenti sociali iscritti all’albo, e l’art. 120, co. 7, t.u. stup., concernente gli
operatori del SERT e delle comunità socio-riabilitative per tossicodipendenti;
- l’eccezione all’obbligo di denuncia di cui all’art. 362, co. 2, c.p., circa i responsabili delle
comunità terapeutiche socio-riabilitative, a riprova di come l’ordinamento inizi a comprendere
che in certi casi un obbligo generalizzato di instaurazione del processo penale (si ricordi l’art. 112
Cost. in rapporto all’obbligo di esercizio dell’azione penale da parte del pubblico ministero) può
risultare controproducente dal punto di vista preventivo, vanificando altre forme di prevenzione
(come quella attuata, per esempio, attraverso l’opera degli educatori in una comunità di recupero o
terapeutico-riabilitativa, oppure attraverso l’attivazione di forme di mediazione penale in grado di
evitare l’attivazione di un procedimento penale);
- atti persecutori (stalking): artt. 612-bis c.p. e d.l. n. 11/2009, conv. con l. n. 38/2009, anche in
rapporto agli artt. 610 (violenza privata), 612 (minaccia) e 660 (molestia) c.p.;
condotte rilevanti ed elemento soggettivo; questioni relative alla scarsa determinatezza e alla
accertabilità dei requisiti rilevanti, ampiamente costruiti su percezioni soggettive;
la natura di reato abituale;
la perseguibilità a querela;
l'ammonimento ex art. 8 d.l. 11/2009: profili di novità e limiti;
considerazioni critiche di carattere politico-criminale (l’assenza di un’ottica riconciliativa, anche nei
casi in cui non risulti constatabile un pericolo per l’incolumità fisica o per la libertà personale, col
rischio di effetti criminogeni);
- false comunicazioni sociali (falso in bilancio) - artt. 2621 ss. cod. civ.:
premesse storiche: l’evoluzione giurisprudenziale che, negli anni ottanta e novanta, condusse ad
applicare la previsione originaria sulle false comunicazioni sociali, punita con reclusione da uno a
cinque anni e fondata in primo luogo sull’esporre fraudolentemente fatti non rispondenti al vero, per
cui s’era ritenuto che essa richiedesse la prova del danno nei confronti di soci o creditori, anche nei
casi in cui tale danno non sussistesse, cioè anche nei casi di semplice bilancio falso (per esempio
realizzato anche nell’interesse dei soci al fine di predisporre fondi neri utilizzabili a scopo di
corruzione);
6.5
(segue) la riforma del 2002:
- due fattispecie, tali che l’art. 2622 cod. civ. si distingueva dell’art. 2621 cod. civ. per il solo fatto
di richiedere il danno nei confronti della società, dei soci o dei creditori, configurandosi reato di
evento (punibile a querela nell’ipotesi base), piuttosto che come reato di pura condotta;
sul piano dei beni tutelati, l’art. 2622 si configurava in tal senso come orientato alla tutela degli
interessi patrimoniali di soci e creditori, mentre l’art. 2621 come orientato alla tutela dell’interesse
generale alla trasparenza dei bilanci: tuttavia la configurazione dell’art. 2621 come contravvenzione
e l’entità delle pene ivi previste rendevano la penalizzazione del mero falso in bilancio senza prova
del danno sostanzialmente pletorica;
- la previsione per entrambe le fattispecie di requisiti per la punibilità (“alterazione sensibile”,
ritenuta sempre mancante ove si rimanesse al di sotto di tre soglie quantitative definite dal
legislatore: v. artt. 2621, co. 3 e 4, e 2622, co. 7 e 8 [vecchio testo]);
la disciplina vigente:
si è avuta, peraltro, una totale riorganizzazione della materia con legge n. 69/2015:
in particolare, è venuta meno la distinzione in due reati fondata sulla causazione o meno di un
danno per società, soci, o creditori; la causazione di un danno, infatti, non assume rilievo nella
nuova norma-base unitaria, costituente un delitto di condotta perseguibile d’ufficio, rappresentata
dal nuovo art. 2621 cod. civ. (con pene più gravi di quelle previste sia dal precedente art. 2621, sia
dal precedente art. 2622, co. 1, cod. civ.); oggi, dunque, la condotta di falso in bilancio (nelle forme
attiva e omissiva previste dalla norma) è punita di per sé, così che il bene tutelato è da individuarsi
esclusivamente nell’interesse generale alla trasparenza dei bilanci;
il nuovo art. 2622 cod. civ. delinea, invece, una fattispecie autonoma riferita alle medesime
condotte poste in essere nell’ambito di società quotate, ma caratterizzata da sanzioni maggiormente
severe;
- approfondimento circa il ruolo che assumevano rispetto alle vecchie fattispecie (dunque, prima
della l. n. 69/2015), i requisiti inerenti alla punibilità delle due fattispecie di falso in bilancio (v.
supra): la questione del loro inquadramento come elementi del reato oppure come condizioni
oggettive di punibilità (art. 44 c.p.) e gli effetti circa l’elemento soggettivo; richiamo della
problematica relativa alle condizioni oggettive di punibilità: sono qualificabili come tali solo fattori
estrinseci rispetto al reato, cioè tali che dalla loro presenza o assenza non dipenda la lesione del
bene tutelato, così che esse rispondono a mere valutazioni legislative sulla punibilità, per ragioni di
natura politico-criminale); ove invece si trattasse di fattori intrinseci al reato (tali, dunque, che da
essi dipenda la lesione del bene giuridico protetto), gli stessi costituirebbero elementi del reato
medesimo e necessiterebbero, pertanto, di essere coperti, per i delitti, dal dolo, in conformità al
principio di colpevolezza;
in proposito si esemplifica con riguardo al delitto di incesto, in quanto punibile se ne deriva
pubblico scandalo (art. 564 c.p.), e dunque al bene giuridico che debba ritenersi come oggetto, in
tal caso, della tutela penale;
- sono stati introdotti, con la riforma del 2015, l’art. 2621-bis cod. civ., che prevede pene inferiori e
un’ipotesi di perseguibilità a querela, con riguardo a fatti di lieve entità, e l’art. 2621-ter cod. civ.,
con riguardo alla non punibilità per particolare tenuità del fatto, circa la cui valutazione torna ad
assumere rilievo «prevalente» l’entità dell’eventuale danno cagionato (con qualche problema
interpretativo in rapporto al caso di assenza del danno);
resterà comunque da valutarsi, nonostante il venir meno delle soglie (onde non accedere a una
logica di mero pericolo presunto), la reale attitudine offensiva del fatto, la quale parrebbe tuttora da
riferirsi a un inganno suscettibile di comportare una percezione alterata delle condizioni societarie
di livello tale da poter incidere sulle decisioni dei destinatari: così da doversi distinguere tra assenza
dell’offesa, offesa particolarmente tenue e caso di live entità.
12.5
- reati fallimentari: bancarotta;
- la bancarotta fraudolenta (art. 217 l.f.): le fattispecie in generale (patrimoniale, documentale,
preferenziale);
in particolare, la bancarotta patrimoniale prefallimentare (art. 216, co. 1, n. 1, l.f.) e la bancarotta
semplice (art. 217 l.f.): le condotte rilevanti e gli altri elementi delle due fattispecie;
il bene tutelato; la bancarotta come reato di pericolo, che non può considerarsi addirittura presunto,
e l’esigenza che il soggetto agente sia consapevole del pericolo determinato nei confronti dei
creditori;
la classica configurazione della bancarotta come reato di condotta e la critica degli orientamenti
che, in tale contesto, hanno configurano la bancarotta semplice come reato colposo, trascurando che
la violazione di una regola di diligenza può ben essere volontaria e, dunque, dolosa (il che ha
condotto a un’ampia disapplicazione della bancarotta semplice, in favore di quella fraudolenta);
- la natura fraudolenta dell’art. 216 l.f., in rapporto al delitto, pur sempre doloso, di bancarotta
semplice, segnalata dal dolo specifico di cui all’art. 216, co. 1, n. 1, l.f. (l’applicabilità di
quest’ultimo all’intero comma sulla base di una sua applicazione analogica in bonam partem);
- il ruolo della dichiarazione di fallimento, come condizione di punibilità oppure come
elemento del reato;
- l’assunzione da parte della dichiarazione di fallimento del ruolo di evento nel caso in cui essa sia
qualificata come elemento del reato; l’effettiva qualificabilità, in tal caso, della bancarotta semplice
come delitto colposo, ferma tuttavia l’esigenza della volontarietà delle condotte negligenti (per cui
la volontarietà di tali condotte non implica affatto l’applicabilità dell’art. 216 l.f., invece che
dell’art. 217 l.f.);
circa, invece, i riflessi di questa problematica sull’elemento soggettivo si veda supra (sub artt.
2621-2 cod. civ. vecchio testo);
si consideri la non omogeneità delle soluzioni giurisprudenziali in materia e come alcune sentenze
abbiano qualificato la dichiarazione di fallimento come evento sui generis, non necessitante del
dolo (il che, tuttavia, appare insostenibile alla luce dei principi di parte generale);
- la bancarotta impropria (societaria):
- art. 223 l.f.; l’estensione (co. 1) agli amministratori e agli altri soggetti attivi dell’applicabilità
dell’art. 216 l.f. e, in particolare, le due fattispecie speciali di cui al co. 2:
la configurazione, nel primo caso, del dissesto come evento cagionato dalla realizzazione di un
reato societario e il superamento della precedente configurazione della norma come ipotesi di
responsabilità oggettiva; il problema riguardante, nondimeno, l’elemento soggettivo doloso, posto
che ben difficilmente pare potersi configurare, in concreto, il dolo intenzionale;
la configurazione, nel secondo caso, della causazione dolosa del fallimento inteso come evento del
reato e l’interpretazione problematica del riferimento a operazioni dolose;
il rapporto, non del tutto nitido, tra le due fattispecie (un dolo di dissesto sembra comunque
implicare, nella pratica, un dolo di fallimento) e il rischio che l’intervento penalistico finisca per
incentrarsi sul dolo eventuale, con tutte le note problematiche connesse;
- art. 224 l.f.: l’estensione (n. 1) agli amministratori e agli altri soggetti attivi dell’applicabilità
dell’art. 217 l.f. e la fattispecie aggiuntiva (colposa) (n. 2) di causazione del dissesto, quale evento
del reato, per inosservanza degli obblighi che (n. 2);
- le norme penali in materia di stupefacenti (t.u. n. 309/1990):
i comportamenti autolesionistici e l’ordinamento penale: confronto con gli artt. 579 c.p. (omicidio
del consenziente), 580 c.p. (istigazione o aiuto al suicidio) e 642, co. 2, c.p. (c.d. frode in
assicurazioni);
- l’approccio del nostro ordinamento alle condotte concernenti sostanze stupefacenti (condotte che
comportando gravi forme di responsabilità penale) e all’uso personale delle medesime (che
comporta, in linea generale, il realizzarsi di un illecito amministrativo);
l’art. 73, in tema di coltivazione, commercio, vendita, ecc. (spaccio) e gli effetti della sentenza n.
32/2014 della Corte costituzionale che ha dichiarato costituzionalmente illegittimo dall’art. 4-bis
del d.l. n. 272/2005, conv. in l. n. 49/2006 (in quanto con tale legge di conversione si erano
introdotte modifiche relative alla normativa penale sugli stupefacenti, con eliminazione, in
particolare, del doppio ambito edittale relativo alla c.d. droghe pesanti e alle c.d. droghe leggere, in
un decreto legge non pertinente con tale materia in quanto riguardante le olimpiadi invernali di
Torino), rendendo nuovamente vigente l’assetto normativo, sul punto, del 2005: il nuovo assetto
della disciplina come risultante a seguito dell’intervento della Corte costituzionale e del successivo
d.l. n. 36/2014 come conv. con l. n. 79/2014 (che ha ripristinato solo alcune delle norme caducate) è
reperibile nella pagina web-docente tra i “materiali didattici”);
- in particolare, le disposizioni favorevoli di cui ai commi 5, 5-bis (ricompresi nell’incostituzionalità
e reintrodotti con il cit. d.l. n. 36/2014) e 5-ter (inserito con d.l. n. 78/2013, conv. con l. n. 94/2014,
caducato a seguito dell’incostituzionalità che aveva colpito il co. 5 da cui dipende, ma tornato in
vigore una volta reintrodotto il medesimo co. 5) dell’art. 73 t.u. stup.;
- le condotte per le quali rileva l’uso personale (che esclude il reato), e le sanzioni amministrative a
tal fine previste, ai sensi dell’art. 75, t.u. stup.;
i criteri di valutazione dell’uso personale, ai sensi del co. 1-bis dell’art. 75 t.u. stup. (specie con
riguardo alla quantità della sostanza), circa il quale sono tornati a rilevare dal 2006 riferimenti
tabellari, tuttavia non vincolanti per il giudice (come invece era stato previsto con la riforma del
1990, venuta meno a seguito di referendum nel 1993);
le perplessità circa l’assetto delle sanzioni amministrative più gravi di cui all’art. 75-bis t.u. stup.,
con riguardo sia al principio di uguaglianza, sia al rilievo attribuito a condanne pregresse non
definitive come pure ad aspetti indipendenti dal fatto illecito commesso (con un inaccettabile
orientamento a logiche di colpa d’autore);
- gli aspetti problematici dell’estrema severità della disciplina prevista circa l’associazione per fini
di spaccio (art. 74 t.u. stup.), specie con riguardo al tossicodipendente spacciatore, che finisce per
assommare le incriminazioni per l’art. 73 e per l’art. 74 .u. stup.;
i limiti applicativi dell’ipotesi attenuata di cui al co. 6 dell’art. 74 t.u. stup.;
la collaborazione di giustizia di cui agli artt. 73, co. 7, e 74, co. 7, t.u. stup.;
- le norme in favore dell’agente di reato tossicodipendente: artt. 94 (affidamento in prova
speciale) e 90 (sospensione dell’esecuzione della pena) t.u. stup.