Relazione - CAP.2
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2. INDAGINE STORICA Comune di Lucignano - PIANO STRUTTURALE 2004 - Quadro Conoscitivo - Relazione pag. 17 2. INDAGINE STORICA 2.1 IL TERRITORIO DELLA VALDICHIANA E LA SUA STRUTTURAZIONE INSEDIATIVA La Valdichiana occupa, rispetto alla Toscana, una posizione centrale e questo ha determinato un non marginale peso nello sviluppo storico ed economico non solo del centro Italia ma di tutta la penisola. Basta pensare che è da sempre stata attraversata dai principali assi di collegamento tra nord e sud. Geograficamente è caratterizzata da un’ampia pianura posta al centro di una conca valliva coronata intorno da colline, dove si trovano i centri abitati più importanti. Non vi è alcun dubbio che, data la sua conformazione, la Valdichiana sia stata un territorio insediato dall’uomo sin dall’antichità, essa, infatti, oltre che vaste aree pianeggianti, ha al suo interno promontori più o meno elevati che hanno consentito un insediamento abitativo al quale era garantito il sostentamento sia dall’attività di caccia e di pesca, che dalla coltivazione, in quanto la palude, anche nei periodi di maggiore espansione, è arrivata ad occupare solo un dodicesimo dell’intera valle lasciando ai margini ampie zone fertili. La Valdichiana infatti, per molti secoli si è caratterizzata come un’area paludosa generata dalla Chiana, che interessava il fondovalle tra Arezzo e Città della Pieve creando una serie di conche palustri, tra cui nella parte centro meridionale, i laghi di Montepulciano e di Chiusi. La presenza della palude oltre a rappresentare una preziosa fonte di sostentamento favoriva lo scambio di merci e costituiva un’importante via di comunicazione per tutta la valle in quanto molti tratti erano navigabili data la debole pendenza della Chiana verso l’Arno. Tracce di insediamenti umani nel territorio della Valdichiana sono documentati dagli innumerevoli ritrovamenti archeologici che addirittura datano la presenza umana già in epoca preistorica come testimonia il ritrovamento di un cranio di notevole importanza sia per i suoi caratteri ostologici che per l’ubicazione stratigrafica di dove fu rilevato, rinvenuto nell’anno 1863 durante gli scavi per la realizzazione della via ferrata ad Olmo vicino ad Arezzo. Altri ritrovamenti si hanno in prossimità di Foiano della Chiana, di Castiglion Fiorentino in Loc. Brolio dove furono rinvenute, sempre nel 1863 palafitte che l’archeologo G.F. Gamurrini suppose fossero come la base possibile di un tempio etrusco, ed anche a Torrita di Siena, Sinalunga etc Sicuramente già in periodo etrusco e più tardi anche in periodo romano, la Valdichiana ha subito innumerevoli interventi di bonifica, difatti si riconosce ancora, ad ordinamento del territorio la matrice mensoria romana. La presenza etrusca nella valle è testimoniata ancora da città che portano in se tracce molto forti di questa civiltà, come Chiusi e Cortona e da tutte le località che presentano toponimi riconducibili a nomi etruschi oltre che da innumerevoli reperti archeologici rivenuti nel tempo. Tito Livio narrando di Porsenna (lucumone) descrive la città etrusca di Chiusi come fiorente di scienza e di arti e potente di armi sia terrestri che di mare a Comune di Lucignano - PIANO STRUTTURALE 2004 - Quadro Conoscitivo - Relazione pag. 18 testimonianza che vi fu da parte di questa civiltà una resistenza al dominio romano e soprattutto una strutturazione di usi, tradizioni e arti molto forte e raffinata. Il popolo romano, come noto inglobo totalmente la civiltà etrusca basti pensare che i primi re di Roma furono etruschi e di questo popolo ne assimilò le caratteristiche più salienti facendosele proprie. Caratteristica peculiare dei romani è stata sempre quella di onorare il popolo sconfitto permettendogli di partecipazione attivamente al governo del territorio occupato. L’etruria nell’anno 264 a.C. divenne colonia Romana e pur continuando a vivere floridamente e in alcuni casi governata a municipio si inglobò progressivamente nella storia romana. L’asse viario fondamentale della Valdichiana è rappresentato dalla Via Cassia e in merito si hanno varie ricostruzioni del suo tracciato che da Cassio Longino passava per Bolsena, Castel della Pieve fino ad Arezzo e da Arezzo fino a Firenze. A tal proposito riportiamo le note1 2 del Capitolo I, § 3 di “Storia della Valdichiana di G.B. Del Corto: 1 Padre Bernardino Vestrini delle Scuole Pie (Tomo VII dei Saggi di Dissertazioni accademiche della nobile Accademia Etrusca. Roma» 1753). Il padre Vestrini fa una dotta dissertazione sopra un' antica iscrizione trovata nel territorio di Asinalunga, e precisamente in quel punto dell'anticaVia Cassia,che è detto S. Pietro ad Mensulas. Ed esprime l’ opinione che la Cassia da Chiusi. conducesse per S. Pietro ad Mensula fino a Marciano, Cesa, Tegoleto, Arezzo e Firenze. Tra i manoscritti della Biblioteca della Fraternità in Arezzo si legge nel Vol. 27. f. 35 uno –Studio sul tracciato della Via Cassia-, dove si tende a dimostrare che giunta a S.Pietro ad Mensulas, presso Sinalunga, la Secondo gli studi più recenti la Cassia all’altezza di Chiusi si biforcava in due rami entrambi diretti a Firenze, ma con due percorsi diversi. Un primo ramo era diretto in modo rettilineo verso Arezzo, toccava Centoia, Montecchio, Castiglion fiorentino, Pieve di Rigutino, definito anche il tracciato Antonino; il secondo ramo si dirigeva più a Ovest della Chiana passando per Acquaviva da dove per alcuni si collegava ad Alberoro e Arezzo per altri passava per Sinalunga fino ad Arezzo. Nonostante la presenza della palude tra il XII e XIV secolo, si verifica uno sviluppo di poli di aggregazione insediativi su tutta la valle favoriti proprio dalla compresenza di varie attività legate alla sopravvivenza (pesca, caccia, coltivazione) e alla duplice possibilità di spostamento sia terrestre , lungo le strade di crinale, sia per acqua con l’individuazione di numerosi porti e approdi rimasti attivi fino al medioevo. via biforcasse volgendosi con un tratto verso Siena e con l’altro verso Arezzo. 2 Nelle storie di Ricordano Malespini trovasi rammentata una via Romea che probabilmente è la stessa via Cassia, e tuttora presso ad Arezzo, qualche tratto di via, nella vicinanze di Pratantico, è con quel nome appellato. Nella carta di Val di Chiana fatta da Antonio Ricasoli nel 1551………… vedesi indicata presso Torrita una via diretta verso Foiano,colla dizione: Selice via antica la quale andava da Chiusi ad Arezzo, ed è a supporti che sia la stessa via Cassia. Tuttora esiste presso Foiano un tratto di via chiamata via delle Selce, e parimente presso Chiusi avvene un tratto conosciuto tutt' oggi col nome di Via Selice. V’ è peraltro chi pone in dubbio che questo fosse precisamente il tracciato della Via, Cassia, imperocché il Liverani nel suo libro II Ducato di Chiusi ne indicherebbe uno un po' diverso, in base ancora alla Tavola Peintingeriana, antica carta romana cho vedesi pur riprodotta nella Tavola LXl del1' Atlante annesso alla Storia della Toscana di Fr.. Inghirami Una caratteristica molto importante di questi centri è che si trovano tutti lungo la medesima isoipsa e che comunque non scendono mai sotto i 300 m slm La Valdichiana è stata molte volte scenario di battaglie romane, da notare località come Sepoltaglia, Ossaia che si riferiscono proprio a luoghi dove sono stati sepolti uomini dopo tali combattimenti. Da menzionare in modo particolare è la battaglia avvenuta nell’82 a.C. durante seconda guerra civile tra Mario e Silla, periodo nel quale Silla soggiornò a lungo in Valdichiana lasciando una testimonianza importante della sua permanenza dovuta all’erezione di una torre detta Torre Sillana a Lucignano. Nel ‘300 quasi tutti i paesi della Valdichiana godono di autonomie comunali più o meno precarie se viste da un punto di vista militare e politico ma con una rete viaria di crinale già ben definita che li unisce e ne rafforza l’identità. Di rilevante importanza è il dominio che due potenti città Firenze e Siena, esercitano proprio sulla Valdichiana. La Valdichiana infatti rappresenta, data la sua navigabilità e percorrenza, da sempre un collegamento tra nord e sud e soprattutto, grazie alla sua fertilità una forte fonte di sostentamento alimentare. Tra il ‘400 e 500 nella valle si ergevano sulle cime delle dorsali collinose città e paesi, di impianto spesso altomedievale, che avevano raggiunto un notevole sviluppo civile, economico e politico. Ed è proprio la ripartizione tra lo Stato toscano e la Repubblica di Siena che aveva favorito questa floridità nonostante la situazione idraulica versasse ancora in condizioni pessime soprattutto dal punto di vista igienico sanitario. Lo stato Fiorentino comprendeva tutta la Toscana centrale, da Pisa a Livorno fino ad Arezzo, Cortona e Montepulciano inglobando Prato , Pistoia, e S.Gimignano, Colle e Volterra. La Repubblica di Siena si estendeva nella parte meridionale della regione comprendendo Massa Marittima e buona parte della maremma. Firenze già nella seconda metà del XIV sec si presentava città florida e vitale vantava la supremazia della produzione laniera e con l’ulteriore allargamento dei suoi confini verso il mare nel XV sec disponeva di un vasto mercato locale, un porto e una flotta propria. Dall’altra parte la Repubblica di Siena comincia un progressivo regresso economico dovuto alla crisi delle manifatturerie della seta e della lana con una conseguente ruralizzazione dello Stato. La ricchezza del ceto dirigente consisteva essenzialmente in beni immobili e terreni e la merce di scambio era rappresentata prevalentemente da materie prime come grano, bestiame, metalli che venivano esportate verso lo Stato Fiorentino. Questo progressivo declino dello stato senese culmina con la battaglia di Scannagallo e la definitiva supremazia fiorentina sulla Valdichiana. Comune di Lucignano - PIANO STRUTTURALE 2004 - Quadro Conoscitivo - Relazione pag. 19 2.2 LA STORIA DEL TERRITORIO DI LUCIGNANO Lucignano, dato il suo impianto insediativo medievale, risulta un paese di particolare interesse soprattutto, come osservato in “Città murate e sviluppo contemporaneo” (Detti, Di Pietro e Fanelli), per la soluzione urbanistica che, nell’ambito dello schema urbano ellittico e isomorfo, attua una gerarchizzazione nella maglia viaria dell’anello più esterno. Infatti, attraverso la dislocazione delle due Porte spostate rispetto all’asse longitudinale, l’anello viario viene differenziato in due parti di cui una assume la funzione di “collettore anulare, la così definita “via povera”mentre l’altra di asse urbano principale di attraversamento del centro dove si trovano le attività commerciali a piano terra e dove vi sono le residenze signorili. Attualmente il Centro Storico si presenta abbastanza ben conservato sia negli aspetti architettonico-edilizi che urbanistici, questo dovuto in parte ad un attento operare delle varie Amministrazioni che si sono susseguite nel tempo e che hanno saputo fare scelte (attraverso i vari strumenti attuativi e i regolamenti edilizi) tali da conservare e non compromettere l’originario carattere medievale del “borgo”, e dall’altro per la presenza di un vincolo sovraordinato, di competenza della Sovrintendenza di Arezzo, che ha fatto da arbitro alle trasformazioni e garante alla buona riuscita di queste. Infatti, parte del territorio di Lucignano e precisamente il Centro Storico e porzione di territorio collinare, risulta dal 1961 vincolato in base alla ex L. 1497 del 1939 oggi D.lvo. 490 del 1999. Territorialmente Lucignano, paese della provincia di Arezzo, ha una posizione dominante sulla Valdichiana, da dove risulta visibile quasi da ogni parte, in quanto è situato sulla sommità di un colle facente parte dell’estremo lembo sud della dorsale dei monti di Palazzuolo a 401 m. s.l.m., delimitata a sud-ovest dal torrente Vertere, a est dal fiume Esse e a sud dal torrente Foenna. A livello geografico giuridico si colloca al confine tra la Valdichiana aretina e quella senese tanto che questa sua posizione, dominante sulla valle e quindi strategica, ha condizionato e favorito nei vari periodi la floridezza economica fino allo sviluppo commerciale di due paesi limitrofi, Foiano della Chiana e Monte San Savino, che ha decretato la rapida decadenza che tuttavia ha avuto il merito di conservare quasi intatto un intero borgo medievale di eccezionale valore ambientale. Palazzo Comunale e la Collegiata (anch’essa orientata nord-sud) rappresentano i due fuochi sia geometrici che storico-politici. Gli anelli concentrici, disposti secondo le isoipse del promontorio, sono collegati tra loro da percorsi trasversali in forte pendenza a volte risolti con gradinate. Peculiarità del tessuto urbanistico di Lucignano è la sua continuità di struttura che comunque non preclude al suo interno una diversificazione delle funzioni e neppure la compresenza di tipologie edilizie che vanno dal palazzo signorile alla semplicissima schiera della classe subalterna. Quindi una compiutezza e continuità fatta di diversificazioni anche importanti che comunque raggiungono all’interno del centro medievale una organicità che ne fa di Lucignano un esempio unico. Il particolare il centro storico si articola in fasce distinte per funzioni infatti la parte più esterna è destinata prevalentemente alla residenza, mentre in quella più interna sorgono gli edifici specialistici. Il centro storico di Lucignano L’impianto urbanistico del Centro Storico è di tipo concentrico con percorso a spirale e assume una forma ellittica con asse maggiore sulla direttrice nord-sud dove il L’insediamento è rimasto intatto nei suoi elementi più caratterizzanti e nel suo arredo urbano anche se al suo interno si sono verificati degli episodi urbanisticamente errati come ad esempio la demolizione delle mura e di parte dell’edificato in fianco alla porta S.Giovanni per consentire un più agevole accesso carrabile al paese e la destinazione a cinema della Rocca o Cassero. All’esterno del centro storico subito oltre la via di circonvallazione Lucignano Comune di Lucignano - PIANO STRUTTURALE 2004 - Quadro Conoscitivo - Relazione pag. 20 preserva una fascia di area non edificata che si interrompe solo in prossimità di porta S. Giovanni in direzione Foiano ma che si giustifica come insediamento a borgo lungo il percorso principale. Tale insediamento non presenta la compattezza e al continuità dell’impianto entro le mura anzi man mano che si procede verso il Convento dei Cappuccini diventa sempre più puntiforme. Questo è forse determinato, come ricorda Guidoni e Marino, dal ruolo svolto da Lucignano come luogo aperto alle influenze culturali senesi, cortonesi, aretine, perugine e fiorentine circa il concetto di “città perfetta“ medievale. Infatti, tra il ‘200 e ‘500 gli interventi che si sono susseguiti hanno avuto come obiettivo la “….volontà di rendere esplicito un aspetto della inesauribile tematicità della città.” Scarsa attenzione è stata posta sul promontorio posto a nord-ovest del Centro Storico dove sorge la Fortezza Medicea, che per altitudine si colloca intorno ai 390 m slm di poco più bassa della sommità dl colle dove sorge il paese. Ben altro è possibile dire del paese che si è sviluppato oltre la mura di fortificazione. Nella collina prospiciente il centro storico, poco più sotto della Fortezza, da circa gli anni 70 in poi è stata permessa la realizzazione di fabbricati unifamiliari di tipo residenziale che hanno compromesso in parte la valenza paesaggistica dell’impianto della Fortezza, in più dato la tipologia adottata e il livello di finitura nella loro realizzazione si presentano in ampio contrasto con lo scenario edilizio di valore che Lucignano possiede nel suo territorio. Lucignano, come del resto anche gli altri centri della Valdichiana, non ha avuto una vicenda storica particolare, le regole gerarchiche d’impianto applicate ai centri limitrofi si ritrovano anche qui cosi come le singole componenti urbane sono molto simili. Tuttavia questo centro possiede, più degli altri, un’unità di disegno e di immagine molto particolare e interessante riscontrabile nella unitarietà della sua figura spaziale. Per cominciare la trattazione è importante premettere il sistema viario principale di Lucignano che è costituito essenzialmente da percorsi di penetrazione, attraversamento e distribuzione. I principali assi di attraversamento che fungono anche da assi di penetrazione sono rappresentati dalla S.P. dei Procacci che dal confine con Monte S.Savino attraversa, in direzione nord sud, il territorio comunale fino al confine con Sinalunga ; la S.P. Siena_Cortona che attraversa il territorio comunale nella direzione est ovest; la S.P. del Calcione che da S. Maria in direzione ovest arriva fino al confine con Monte S.Savino; ed infine la S.P. della Misericordia che dalla Pieve vecchia arriva fino al confine con Marciano della Chiana. Lungo queste direttrici si verificano gli insediamenti della Pieve Vecchia, antico nucleo del quale si hanno notizie che risalgono ancora a prima della nascita di Lucignano così come lo conosciamo e S.Maria. La Croce si sviluppa lungo un percorso di penetrazione del territorio comunale che si ricollega con il comune di Sinalunga così come loc. Pochini che si connette tra le S.P. della Misericordia e dei Procacci. La Pieve Vecchia, la Croce, e S. Maria sono i nuclei insediativi più consistenti dove i primi insediamenti si sono verificati spontaneamente secondo quelle che erano le suddivisioni poderali del mondo agricolo passato. Oggi rappresentano località dove l’attività edilizia contemporanea ha contribuito a far crescere e spogliarli in parte del sapore agreste originario. preesistenti bensì si collocano o al massimo rendimento sul lotto o in posizione baricentrica per ricreare la corte recintata con al centro il palazzo. La finitura e la scelta dei materiali non sempre è coerente con la tradizione costruttiva locale anche se è esistono fabbricati di pregevole fattura. La parte di paese cresciuto in direzione sud rispetto al centro storico denominato Capoluogo, ha rispetto a quanto citato sopra caratteristiche e origini alquanto diverse. Si individuano in questo ambito la zona di Fontelari posta a suo_ovest, la zona di FonteBecci posta a Sud, la zona del Lavatoio ad sud_est ed infine a est la zona di via Rigatini. Queste realtà, a parte alcune preesistenze sono il frutto della pianificazione del territorio attraverso gli strumenti urbanistici. L’edificato all’interno di tali zone ha caratteristiche pressoché identiche sia per tipologia che per destinazione ma che comunque non riesce ad identificarsi in una strutturazione unitaria come invece il centro storico rappresenta. La struttura urbanistica è costituita da assi viari di distribuzione, spesso sottodimensionati rispetto alle esigenze, e da un edilizia prevalentemente di tipo puntiforme mono_bi_familiare. Gli edifici non presentano allineamenti rispetto al percorso ne rispetto ad edifici Stabilire esattamente le origini di Lucignano non è alquanto semplice è certo che i primi insediamenti abitativi, dato i ritrovamenti archeologici, dovrebbero risalire anteriormente al periodo di dominio romano, infatti si ha testimonianza che la zona fosse densamente abitata già da popolazioni etrusche. Documenti che assicurano l’esistenza di un insediamento nel luogo ove ora sorge Lucignano con il nome di CASTRUM GRIFFONIS NUNC LUSIGNANI e di una Pieve situata sul percorso della Cassia tra Sinalunga e Marciano, l’attuale Pieve Vecchia, si hanno solo dal XI sec. 2.2.1 LE ORIGINI DI LUCIGNANO: IPOTESI DI FORMAZIONE DELL’IMPIANTO URBANISTICO DEL CENTRO STORICO Il nome Lucignano è di derivazione romana da Lucinius o forse Licinius, aggettivato in Licinianus. Si ipotizza che il castrum romano da cui prende origine il paese sia stato fondato da Lucio Silla nel I sec. A.C. a tale data risalirebbe la Torre Sillana di pianta triangolare dove si poteva leggere “L.Corn. L.F.Sullae Dictatori Felici. Comune di Lucignano - PIANO STRUTTURALE 2004 - Quadro Conoscitivo - Relazione pag. 21 Commilitonibus. Ob. Licinianum muro duct o turribus munitur decur. Indicto nomine Lucinianensis P.Servil et Ap. Claud.Cos.” Questa torre fu abbattuta da un fulmine nel 1556 che ne incendiò la polveriera. facile effettuare l’allineamento a vista con il crinale di Poschini e con il colle dove si trova la Fortezza Medicea. L’asse direttore del recinto, che va a finir contro il Palazzo Comunale, ha direzione sudovest. Vi sono varie ipotesi sulla formazione del tessuto edilizio e dell’impianto urbanistico del centro storico di Lucignano che vedono come matrice generatrice il CASTRUM romano . - seconda fase Nello studio effettuato sul territorio della Valdichiana da G. Cataldi e E. Lavagnino in “ Ipotesi di formazione territoriale della Valdichiana. Un piano di 25 secoli” in “Cortona Struttura e Storia” sono individuate le fasi di formazione urbana del centro storico di Lucignano. - prima fase I due autori suddividono tale formazione in quattro fasi ipotizzando come l’apparato urbano sia cresciuto e si sia modificato fino al medioevo, periodo nel quale si ha, in definitiva ormai la compiutezza dell’organismo insediativo urbano così come è arrivato a noi. La prima fase di formazione avviene alla sommità del colle dove si ipotizza che sia stato tracciato un recinto generatore quadrato di dimensione di 300 piedi. Questo è identificabile con il castrum sillano del quale non rimane quasi nulla se non “…i due allineamenti stradali interni (la rettificazione di via S.Giuliano con via della Misericordia e parallela simmetrica nordoccidentale non menzionata in catasto).” Il tracciamento del recinto sembra sia stato effettuato dal punto più alto del colle, coincidente con il centro del cortile attiguo a S.Francesco, dal quale era più Nella seconda fase si ha un consolidamento insediativo dell’abitato coincidente con l’impianto di un secondo recinto più grande del primo (350 piedi) e con asse ruotato di circa novanta gradi, molto probabilmente più aderente alla conformazione orografica del colle.La struttura precedente tende ad adeguarsi al nuovo orientamento e a generare uno schema biasciale dove l’edilizia si dispone lungo il lato meglio esposto (sud-ovest) e nella sommità si dispongono il complesso degli edifici pubblici affacciati sul foro. secondo percorso di circonvallazione che presenta sull’asse trasversale un flesso generato dalla convergenza spontanea dei percorsi di scarto in corrispondenza delle porte dell’antico recinto. Il maggior peso edilizio si sviluppa lungo il percorso tra le due porte principali nel versante sud-orientale, mentre sul versante opposto una terza porta, riaperta di recente, controllava l’accesso dalla scorciatoia per M.S.Savino. La chiusura del porta è sicuramente dovuto a cause difensive e queste molto probabilmente hanno condizionato la mancata apertura di una porta sulla Rocca trecentesca. Nella terza fase si ha la definizione del percorso anulare minore interno all’attuale giro di via Matteotti-RomaRosini che sta a testimoniare la crescita, opposta e simmetrica, rispetto all’asse principale del primo recinto tanto da far ipotizzare una forma poligonale allungata dell’insediamento. - quarta fase - terza fase La quarta fase comincia con il periodo medievale dove gli sviluppi del tessuto edilizio tendono a fissare il nucleo entro il profilo ovoidale delle mura che recingono l’anello edilizio costituitosi intorno il Dagli studi di Guidoni e Marino in “Territorio e città della Valdichiana” si evince che l’origine del nome Lucignano sia da attribuire al console Licinio e che la matrice generatrice sia il Castrum romano. Data la sua posizione sulla trasversale Siena Arezzo, il Castrum doveva avere un importanza strategica sul territorio tanto che Guidoni e Marino suppongono che la forma di questo doveva essere molto simile a quella tuttora leggibile in alcuni centri limitrofi e coevi come Foiano e Comune di Lucignano - PIANO STRUTTURALE 2004 - Quadro Conoscitivo - Relazione pag. 22 M.S.Savino, ovvero ovoidale di circa 80x120 metri. Oggi di questa forma ne rimangono scarsissime tracce e si può solo supporre che questo impianto “matrice” fosse coinciso con il luogo ove ora sorge l’attuale collegiata. Il passaggio dall’impianto da castrum romano a borgo dovrebbe essere avvenuto già agli inizi del 1200 periodo nel quale si verificò un incremento della popolazione testimoniato dalla realizzazione della Chiesa di S. Francesco. Questo aumento demografico continuò per tutta la metà del XIII sec. e soprattutto dopo l’inizio del dominio senese con la battaglia di CAMPALDINO (1289); a questo periodo risale la costruzione del Palazzo Comunale al cui spigolo, di fronte a S. Francesco, doveva esserci una porta di accesso al circuito ovoidale. sommità del colle lungo i percorsi di mezzacosta. Tale spostamento verso il basso fu incrementato anche dalla presa del Castello ad opera del fiero Arcivescovo Tarlati di Arezzo che nel 1325 conquistò e in parte distrusse Lucignano. La struttura urbanistica di Lucignano, cosi come si presenta attualmente si può datare alla prima metà del secolo XIII quando ormai la divisione netta tra il mondo borghese e quello contadino risultava definita. Infatti lungo Via Roma “via povera” vi abitavano artigiani e commercianti ovvero persone non appartenenti alla nobiltà, mentre tra l’attuale corso delle monache e il settore di percorso anulare individuato con via Roma, dove la profondità dei corpi fabbrica si fa più stretta e corta, vi risiedeva la popolazione più povera. Non passò molto tempo che gli aretini, guidati dal Guido Tarlati vescovo di Arezzo, riconquistarono il castello che come testimonia un illustre storico di quei tempi, Giovanni Villani, era di importanza strategica per la città di Arezzo. Tale conquista è documentata nel pannello della tomba del vescovo Tarlati posta nel Duomo di Arezzo dove è raffigurata la presa di Lucignano del 1325, dalla quale si può osservare una torre con due edifici pubblici racchiusi in un tratto di mura ad andamento curvilineo che unisce le due parti di accesso al castello. Questo sta a dimostrare che la struttura a borgo era già in parte delineata. Lucignano, dato che Monte San Savino era gia stato occupato, per evitare l’oppressione di Perugia si consegnarono liberamete a Firenze. Per accordi intercorsi tra Firenze e Perugina le comunità di Lucignano, Monte San Savino, Foiano e Anghiari passarono sotto il dominio perugino. Fu questo il periodo nel quale la comunità di Lucignano acquisì il GRIFO nel suo stemma. 2.2.2 LA POSIZIONE STRATEGICA DI LUCIGNANO SULLA VALDICHIANA. Dalla meta’ del senese - sintesi dello sviluppo: a) castrum ovoidale b)primo borgo a doppia curvatura c) porte principali della cinta trecentesca 1) nucleo fortificato secondario Da questo momento in poi, come già accennato, si ha un incremento insediativo disposto a borghi anulari concentrici che discendono dalla XIII sec. al dominio La storia di Lucignano fino alla prima metà del XIII secolo risulta poco nota, si suppone che in questo periodo il paese si sia retto liberamente subendo in parte il dominio religioso e civile di Arezzo. Dopo la battaglia di Campaldino (1283) persa dagli aretini per mano dell’esercito fiorentino alleato a Siena, Lucignano pur conservando una propria autonomia legislativa passo sotto il dominio senese. La collocazione strategica di Lucignano ne farà spesso preda quando di un dominio quando dell’altro per alcuni secoli. Difatti nel corso del XVI sec. sarà conteso tra Siena, Firenze, Arezzo e Perugina. Nel 1336 i fiorentini si allearono con Perugia per la conquista di Arezzo. Comune di Lucignano - PIANO STRUTTURALE 2004 - Quadro Conoscitivo - Relazione pag. 23 L’accordo con Perugia prevedeva che dopo circa otto anni questi possedimenti fossero riconsegnati ad Arezzo, durante questo periodo però Firenze cadde sotto l’assedio del Duca di Atene ed Arezzo insieme ad altre comunità limitrofe come anche Lucignano ne approfittò per riconoscerlo come nuovo patrone giurandogli fedeltà. Dopo la cacciata del Duca di Atene da Firenze Lucidano tornò ad essere un libero comune per circa 10 anni fino al 1353. Dal 1353 al 1370 passò al dominio fiorentino poi si consegnò definitivamente al dominio di Siena. È a questo periodo che risalgono le opere del completamento dell’impianto difensivo della città che vanno dal 1374 al 1384. Nel 1384 Arezzo e il suo contado furono venduti a Firenze dalle milizie straniere e due anni dopo Siena e Perugia rivendicarono la loro supremazia su Lucignano tanto che fu emesso a Bologna il 26-10-1386 in lodo nel quale si manteneva Lucignano sotto la giurisdizione fiorentina dietro il pagamento di 8000 fiorini d’oro a Siena. Siena riuscì a riappropriarsi di Lucignano per mano di Gian Galeazzo Visconti Duca di Milano nel 1390 fino alla sconfitta della Battaglia di Scannagallo che avverrà nel 1554 con la pace firmata tra Siena e Firenze il 6 aprile del 1404. Il dominio senese durerà quindi dal 1390 al 1554 ed è in questo periodo che si verificano il completamento della struttura difensiva fondata su una struttura urbana consolidata che riproduce, seppur in miniatura, la tripartizione delle mura della città di Siena. Infatti la città, dal punto di vista militare, è suddivisa territorialmente in terzi dovuti ai bracci principali della Y formata dalle colline su cui si imposta Siena (PEPPER; ADAMS 1936;32). Le torri, rappresentano i vertici di una piramide ideale che ha come asse verticale la torre campanaria del Comune (Guidoni e Marino). La nuova espansione lungo i borghi, che ha generato la forma ellittica caratterizzante l’impianto urbanistico di Lucignano, fu sicuramente dovuta agli interventi che si verificarono nel sec. XIV. Inoltre vennero costruiti, intorno al circuito ovoidale oggi non più esistente, due borghi fiancheggiati a destra e a sinistra da abitazioni formanti un anello continuo. È di questo periodo infatti il completamento dell’impianto difensivo della città attraverso la realizzazione della Rocca o Cassero (1390-1392), attorno alla quale si organizzò un complesso circuito difensivo, e il rafforzamento delle mura con la realizzazione delle tre porte dotate di torre (Porta S.giusto Porta S. Giovanni e Porta Murata). La struttura urbana di Lucignano può dirsi compiuto alla fine del XIV sec con l’intervento con il completamento dell’anello stradale. All’inizio del XV secolo si verificano anche le prime ristrutturazioni e i primi accorpamenti con relativa trasformazione del tessuto medievale lungo Via Matteotti ad opera della nobiltà senese. Infatti i palazzotti rinascimentali presenti risalgono proprio a questo periodo ed alcuni sono addossati alle mura trecentesche a testimonianza del periodo di pace sotto il dominio senese. Nel tessuto edilizio medievale, intorno alla fine del 300 si ha l’inserimento dell’Ospedale di S. Anna. L’impianto dei due borghi ha una caratteristica spaziale e funzionale assai originale infatti il borgo che va da Porta S.Giusto a Porta S.Giovanni, definito nell’800 la “via ricca”, ha una dimensione maggiore ed è meglio esposto dell’altro che va da Porta S.Giovanni fino a quasi tutta l’attuale via Roma definito invece“via povera”. La Rocca tipologicamente infatti lungo Via Matteotti, “via ricca”, troviamo edifici appartenuti alla nobiltà, che costituiscono interessanti esempi di architettura medievale e rinascimentale senese, mentre via Roma è caratterizzata da un’architettura popolare fatta di edifici minuti di sapore squisitamente medievale ma comunque da sempre integrata perfettamente nella storia urbana di Lucignano. La tipologia edilizia di base prevalente lungo Via Roma è molto più modesta infatti gli edifici si presentano con un piano seminterrato e uno o due piani fuori terra, le finestre di piccole dimensioni e ampie porte d’ingresso. Il tipo portante è la casa a pseudoschiera in due varianti dimensionali: una con passo attorno ai 4,5 mt, l’atra con passo maggiorato, attorno aii 6 7 metri; per entrambe le varianti la profondità è pari a quella di due cellule con scala inteposta disposta parallelamente al fronte. Gli edifici in margine alle mura, si arricchiscono di area di pertinenza ottenuta per privatizzazione del pomerio. La qualità architettonica di tali insediamenti sta a dimostrare la floridità del periodo che stava attraversando Lucignano. Nella seconda metà del XV sec. incombendo la minaccia fiorentina, molti castelli della Valdichiana e tra i quali Lucignano ripresero i lavori di fortificazione. A livello edilizio i due borghi si distinguono sia stilisticamente che Comune di Lucignano - PIANO STRUTTURALE 2004 - Quadro Conoscitivo - Relazione pag. 24 La modernizzazione delle mura era necessaria anche perché erano cambiate le armi di guerra e con l’avvento dell’artiglieria si richiedeva una ristrutturazione di fondo del metodo difensivo. I nuovi criteri di assedio prevedevano l’abbattimento delle mura da lontano mirando alle torri più alte che cadevano e producevano danni agli assediati di conseguenza tutte le torri furono cimate mentre quelle nuove vennero costruite alla stessa altezze delle cortine murarie. Vennero rinforzate in spessore le mura e costruiti i torrioni in foggia rotonda perchè attutivano in parte la palla sparata, demoliti i merli ede effettuate delle bucature strombate per meglio utilizzare le armi. Altra importante innovazione furono la camiciatura di rinforzo esterno con murature a scarpata che raddoppiavano alla base le opere fortificate. Intono alla metà del 500 anche a Lucignano, piazzaforte dello stato senese, si rese necessaria una seconda serie di impegnativi provvedimenti riguardanti la creazione di un moderno fronte bastionato. Il nuovo modello di fortificazione del paese si avvalse dell’invenzione dei bastioni di terra pentagonali che furono costruiti nei punti salienti del circuito murario. A questi veniva affidata prevalentemente la salvaguardia delle cortine murarie, facile bersaglio per l’assediante, a mezzo delle cannoniere, ampie feritoie aperte sui loro fianchi. La costruzione della fortezza di Lucignano, sulla collina fuori dall’abitato, fu iniziata dai senesi nel 1553 e il progetto ripreso e sviluppato dai fiorentini dopo la battaglia di Scanangallo. 2.2.3 LA BATTAGLIA DI SCANNAGALLO E IL DOMINIO FIORENTINO DEI MEDICI La Toscana di quegli anni pur essendo teatro "secondario" del duello europeo tra gli Asburgo dell’imperatore Carlo V, e gli Orleans di Francia non ne rimase illesa. Siena stava vivendo la sua estrema, disperata ma anche eroica, stagione di libertà spalleggiata dalle cavalleresche truppe francesi occupando l’estema piazzaforte della Valdichiana : Lucignano, contesa più volte dai fiorentini. La battaglia di Montemurlo segnò una tappa della contesa europea tra Asburgo e rè di Francia, della lotta politica e militare in Toscana la posta della quale era l'egemonia medicea o la libertà di Siena, della guerra civile a Firenze o di quel che occultamente ne rimaneva e delle contese familiari. Ma la battaglia decisiva avvenne a Scannagallo dove il condottiero delle truppe mediceo- imperiali Gian Giacomo de' Medici di Marignano si trovò dinanzi i franco-senesi guidati da Piero Strozzi. Scannagallo decise la fine della libertà dei senesi e l'avvio effettivo di una politica d'egemonia quale la Firenze repubblicana non aveva mai raggiunto e che il conferimento della corona granducale, di lì ad alcuni lustri, avrebbe legittimato. La battaglia di Scannagallo è senza dubbio episodio saliente e tra i conclusivi della "guerra di Siena": varrà la pena di aggiungere che, nel Secolo di Ferro che verrà, quello tra la fine del Cinque e la prima meta del Seicento (il secolo delle guerre religiose in Francia, delle guerre civili in Inghilterra, degli scontri contro i Turchi, della guerra dei trentenni (in tutta l’Europa) le armi toscane taceranno e la religione godrà un periodo di pace che se non la metterà al riparo da pestilenze e carestie, le consentirà di affrontarle da posizioni meno drammatiche. La battaglia di Scannagallo Si riporta di seguito alcuni stralci brano tratto da “La fortuna di Cosimo I La battaglia di Scannagallo” PAN Congressi & Immagine, Arezzo 1992 al cap.3 “La campagna per la conquista di Siena” di Marco Giuliani: “la giornata del 2 Agosto 1554 (”cap 3 pg59) Alle 10 del mattino, con il sole alto sulla Val di Chiana, l'esercito di Pietro Strozzi stava ritirandosi di collina in collina: in testa ormai verso Foiano, erano carriaggi con artiglieria e salmerie; all'avanguardia sventolavano le bandiere di soldati italiani e senesi, seguiti dai francesi; venivano poi le formazioni schierate a battaglia dei tedeschi e quella dei Grigioni , la cavalleria accompagnava la fanteria sul lato sinistro di questa, avanzando nella pianura tra le colline e il corso della Chiana, in terreno adatto per la manovra della cavalleria. Alla stessa ora, fatti levare i fanti, il Marignano dette ordine di battere l'allarme sui tamburi a tutte le compagnie e, per primi, mando avanti Lorenzo de Figueroa con 2000 archibugieri spagnoli incaricati di infastidire la retroguardia dei franco-senesi, marciando con il grosso in attesa che la cavalleria tornasse dall'abbeverata sulla Chiana. I Fìorentino-imperiali marciarono per circa un'ora seguendo i franco-senesi, dietro gli archibugeri venivano altri spagnoli agli ordini di Francisco de Haro, dietro la battaglia di fanti Tedeschi; la retroguardia era composta dai fanti italiani comandati dal conte di Popoli, circa 4.000 toscani, napoletani, e i 3.000 inesperti Romani di Camillo Colonna, chiùdevano la marcia 3 sagri. Alla luce piena del giorno apparve chiaro che la manovra di sganciamento di Piero Strozzi non era riuscita, il suo esercito si trovava in un situazione critica che lo costringeva ad accettare battaglia, decise pertanto di fermare i suoi sul Poggio delle Donne, vicino alla Villa del Pozzo, e ordinare le truppe in formazione di combattimento sulle colline circostanti, schierando le fanterie in buona posizione rialzala oltre il fosso di Scannagallo. Da destra a sinistra stava Comune di Lucignano - PIANO STRUTTURALE 2004 - Quadro Conoscitivo - Relazione pag. 25 schierata la cavalleria Franco-senese, circa un migliaio di cavalli, comandati dal giovane Lodovico Pio conte della Mirandola, portabandiera e capitano della cavalleria, e da Lodovico Borgonovo detto Righetto del Campana, alfiere maggiore, posti sulla destra delle fanterie, in posizione leggermente rialzala. Sul pendio oltre il fosso di Scannagallo stavano, armi al piede, Greog Reckenrot, luogotenente generale dei tedeschi e Johann Torech, colonnello di 3.000 lanzichenecchi schierati contro gli spagnoli di Francisco De Haro. Dietro i lanzi era la formazione dei 3.000 fanti dei Grigioni; al loro fianco, al centro dello schieramento, stavano i 1.500 fanti guasconi comandati da Valleron, e altri 1.500 francesi del barone di Forquevaux. Sul lato sinistro 5.000 fanti italiani sotto il comando di Paolo Orsini, il conte di Caiazzo e dei due fratelli Bentivoglio. Lo schieramento era forte, solidi quadrati di picchieri con sui fianchi archibugeri e fanti armati di rotella e spada. Anche il Marignano fece fermare i suoi e schierò le sue truppe in ordine di battaglia. Sull'ala sinistra, al margine delle colline dove il letto della Chiana si allargava nella pianura, erano schierati i 600 uomini della cavalleria leggera sotto il comando del conte Sforza di Santafiora, luogotenente del Marignano, insieme ad altri 600 cavalleggeri del conte di Nuvolara, capitano della cavalleria leggera imperiale; Marcantonio Colonna guidava invece lo squadrone di 300 uomini d'arme, uomini protetti da armatura completa armati di lancia: la cavalleria pesante. Il Marignano dispose le fanterie in formazione di battaglia sulla linea AnascianoPoggio al Vento, un po' arretrate sulla sponda sinistra del fosso di Scannagallo: la fanteria spagnola di Francisco de Haro, circa 2.000 uomini, veterani di Sicilia e di Napoli tenevano il fianco sinistro, insieme ai soldati spagnoli e le reclute corse di don Lorenzo Juarez. de Figueroa. La formazione di centro, a una distanza di 60 passi dagli spagnoli di Figueroa e de Haro, era costituita dalla battaglia di 4.000 lanzi tedeschi comandati dal colonnello Niccolo Mandruzzo, colonnello imperiale. Sul lato destro dello schieramento, comandato dal conte i Popoli, stavano 4.000 fanti toscani, seguiti alle loro spalle da altri 2.000 fanti di Juan Manrique, in terza fila i 3.000 romani di Camillo Colonna. Come riserva, che trova le fanterie italiane, era una compagnia di 200 soldati spagnoli reduci dalle guerrre d'Ungheria e una compagnia di archibugieri a cavallo napoletani. La poca artiglieria schierata dal Marignano fu piazzata in batteria dietro le fanterie, più in alto di queste sulla collina e leggermente spostata verso il lato sinistro dello schieramento mediceoiinperiale: in tutto due mezzi cannoni e due sagri, pronti a scaricare i loro proiettili sulla massa dei fanti nemici. Verso le undici del mattino il Marchese di Marignano decise di saggiare la resistenza della cavalleria nemica: la cavalleria leggera mediceoimperiale posta nella pianura cominciò a muovere al trotto, passò il tosso di Scannagallo e caricò decisamente al galoppo le squadre di cavalleria franco-senesi, subito seguite dal trotto della massa dei 300 uomini d'arme di Marcantonio Colonna; la cavalleria franco-senese fu travolta da questa ondata di cavalleria pesante, le squadre si aprirono sotto l'urto massiccio degli uomini d'arme e Righello del Campana, portabandiera della cavalleria franco-senese, volse il cavallo verso Foiano; i cavalieri francesi, vedendo fuggire la loro insegna principale, scompigliarono le righe e furono presto travolti dalla cavalleria mediceo imperiale che, probabilmente, noli si aspettava una tuga così improvvisa e disordinata dell'avversario per le vigne e i campi della pianura il successo imprevisto della cavalleria fu salutato da una salva delle batterie fiorentino-imperiali poste sulle alture alle spalle delle battaglie di fanteria, le prime palle caddero in mezzo alle fanterie francosenesi mentre la cavalleria vittoriosa si lanciava all'inseguimento dei cavalieri francesi che galoppavano verso Foiano. Piero Strozzi considerò preoccupato la piega negativa presa dalla battaglia: alla prima mossa del nemico aveva già perso tutta la cavalleria sull'ala destra, cosa che fece pensare seriamente al tradimento di Righetto del Campana; decise pertanto di riprendere in mano l'iniziativa, forzando la manovra e attaccando decisamente su tutto il fronte con le sue battaglie di fanteria. Verso mezzogiorno del 2 agosto le fanterie tedesche sull'ala destra di Piero Strozzi cominciarono a scendere dalle colline lungo le piagge che portavano al fosso di Scannagallo, oltre il quale, immobili e assorti, gli spagnoli al comando di Francisco de Haro pregavano con fervore la Vergine e tutti i San ti verso cui ogni soldato era personalmente devoto. La discesa dalla collina di quella massa urlante di fanteria, le picche puntale contro i petti di ferro degli spagnoli, morioni e cabacetes al sole, fu travolgente: il fosso quasi asciutto di Scannagallo fu passato di corsa dai 3.000 lanzi che iniziarono a risalire correndo la cinquantina di metri oltre la ponda che li separava dal muro della fanteria spagnola. La polvere levata dallo scalpiccio degli uomini si confuse a quella delle armi da fuoco che scaricarono finchè fu possibile contro i tedeschi guidati da Johann Torech e Greog Reckenrol, quindi si venne all'urto e la mischia si fece feroce. Gli spagnoli delle prime file furono scavalcali e travolti in un urlio feroce di voci che gridavano in lingua casigliana e tedesca azzuffandosi e massacrandosi sul fianco della collina. A questo punto, dal fianco destro degli spagnoli cosi duramente attaccati, entro in combattimento il centro dello schieramento medieco-imperiale: la battaglia di 4.000 lanzi tedeschi comandali da Niccolò Mandruzzo, questi caricarono a loro volta contro i tedeschi al soldo di Siena che ingaggiarono una mischia violenta a colpid i picca In mezzo al tumulto l’artiglieria imperiale continuava imperterrita a sparare sulle fanterie nemiche e questo fuoco di artiglieria continuo di artiglieria bene indirizzato contro il centro dello schieramento franco-senese riuscì in parte a scompigliare le file dei soldati svizzeri dei Grigioni che, come tuttala linea di Pietro Strozzi stava scendendo nel vallone, passando qua e là il greto riarso del fosso di Scannagallo. Comune di Lucignano - PIANO STRUTTURALE 2004 - Quadro Conoscitivo - Relazione pag. 26 Lo slancio iniziale dell’attacco franco-senese stava venendo meno, colpi di artiglieria continuavano a piovere tra le file avanzanti al passo, sulla destra la mischia eragià fitta e la confusione era grande. Quando i capitani mediceo impieriali videro che il fosso era stato passato dalle prime sette/otto file dei Franco-senesi poterono discernere in viso le prime file di fanti che marciavano al passo veloce, le picche serrate tra i pugni gli sguardi fissi verso di loro e le bocche aperte a gridare urla di guerra e improperi; allora dalle file della fanteria mediceo imperiale si levo il grido di guerra: "Duca! Duca! Palle! Palle!" Il Marignano aveva dato l'ordine di attacco generale alle sue fanterie e queste cominciarono a scendere il declivio, marciando al passo, quasi correndo incontro al nemico che si faceva sempre più vicino, nel frastuono sordo e crescente di scalpiccii , tintinnio di armi, urto di legni e di metalli sempre più accellerato; gli uomini gridavano, per incitare i compagni, per terrorizzare il nemico, per darsi coraggio a se stessi, per stordire infine la mente in quella corsa contro le picche acuminale, le spade, il fuoco e il fumo degli schioppi. I fanti dei Grigioni che già erano stati martirizzati dall’artiglieria del Marigliano cominciarono a sbandare; l’urto dei picchieri fiorentini e l’assalto a rotella e spade fatte dai fanti mercenari napoletani di Manrique cominciò a produrre il panico tra le file dei Franco-senesi. A un certo punto, con strepito grandissimo, dal lato della Chiana apparvero caricando dalla polvere i 300 uomini d’arme di Marcantonio Colonna , dopo aver inseguito per un po’ la cavalleria franco-senese di Righetto del Campana, erano tornati indietro per caricare alle spalle e di fianco i fanti dello Strozzi, ormai discesi completatamene nel vallone e seriamente impegnati a difendersi dalle artiglierie avversarie. braccia dai suoi fidi L’ordine di battaglia dello schieramento Franco-senese era rotto: la cavalleria leggera Franco-senese ormai lontana della mischia, era inseguita da quella mediceo-imperiale , e grazie alla fuga si era salvata quasi al completo riparando dopo una corsa di svariati chilometri fino a Montalcino I lanzi di Reckenrot e Torech erano stati presi di fianco dai tedeschi del Mandruzzo, i fanti svizzeri dei Grigioni schierati inizialmente dietro a Torech erano di facile preda della cavalleria pesante allineata al loro fianco destro e venivano sbandati presi dal panico; restavano i francesi e guasconi di Valleron e Florquevaulzx i soli a reggere l'urto del grosso delle fanterie mediceoimperiali. Intrappolati sul greto del Fosso di Scannagallo si batterono da prodi contro un nemico sempre maggiore e ormai soverchiante, le insegne cadevano una ad una, i francesi si rinserrarono in gruppi intorno ai loro capitani che levavano in pugno le bandiere, bersagliati dal tiro della moscetteria. la fuga dopo la carica degli uomini d'arme resiste Nel polverone sollevato dal movimento convulso di migliaia ili uomini non era più possibile fare manovre o comprendere ordini: lo stesso Piero Strozzi aveva perso il cavallo e combatteva a piedi, dopo esser stato ferito tré volle da colpi di arma da fuoco, dovette cedere il comando a Clemente della Cervara, e fu portato via a lontano dal campo di loro era caduta la speranza di liberare Siena dall’assedio mediceo-imperiale.” La battaglia era durata un paio d'ore, dalle Importante è stato per Lucignano il passaggio sotto l’egemonia fiorentina dei Medici (1554), periodo nel quale si verificarono importanti interventi urbani nell’ambito del generale riassetto difensivo del Ducato come la costruzione della nuova Fortezza, mai completata, attribuita al Sangallo posta nella direzione ovest verso Siena in posizione dominante della quale rimangono oggi due bastioni con ai vertici due antichi mulini a vento circolari e le mura fortificate ad ovest a raccordo con i bastioni. battaglia. 11 del mattino fino all'una, l'inseguimento invece durò fino al tramonto, chi non si era salvato con in gruppi isolati, Clemente della Cervara cadde al suo posto di comando colpito da 18 ferite e a notte, 4.000 uomini giacevano morti sul campo mentre altri 4.000 lamentavano le ferite o erano stati fatti prigionieri dai fiorentino-imperiali. 500 Grigioni , 400 francesi e 800 Tedeschi furono catturati insieme a Georg Reckenrol, Paolo Orsini, il conte Chiazzo, un fratello di Cornelio Bentivoglio , Clemente della Cervera che morirà per le gravi ferite riportate. Gli uomini di Cosimo dei Medici raccolsero più di cento bandiere nemiche nel Vallone di Scannagallo comprese le verdi bandiere , oramai lacerate, con sopra scritto il nome della libertà fiorentina. I soldati di COSIMO dei Medici lamentavano perdite irrisorie rispetto al numero dei caduti di Piero Strozzi solo tre ufficiali caduti e un massimo di 200 morti, caduti nella prima mischia tra lanzi e ,spagnoli sull'ala destra della la Chiana. La battaglia di Marciano era vinta, il nome del fosso dove erano caduti combattendo i soldati francesi, chiamati dai contadini della zona Scannagallo, fu subito interpretato dai fiorentini quale nome profetico e con feroce sarcasmo accostato alla strage consumata da poche ore, così che la battaglia della Valdichiana divenne per i fiorentini combattenti per le file di Cosimo dei Medici la giornata di Scannagallo. In quel giorno i Galli erano stati scannati davvero e con Sotto Cosimo I , alla fine del 500, le mura trecentesche vengono ristrutturato e viene completato l’assetto difensivo del Centro Storico con la costruzione della Collegiata su disegno di Orazio Porta e delle Logge di Andrea Pozzo. La collegiata si colloca in un punto nodale di sviluppo dell’aggregato urbano e precisamente nel luogo generatore dell’organismo urbanistico ovoidale di Lucignano, nel luogo ove si presume sia stato eretta la Torre Sillana poi in seguito il Castello Medievale e la Chiesa di S.Angelo. La Collegiata è, come del resto Lucignano, un episodio compiuto con un perfetto inserimento nel tessuto preesistente nonostante il suo volume rigidamente geometrico. Le Logge invece vennero realizzate per qualificare uno spazio urbano destinato alle relazioni commerciali e sociali nel pieno spirito dell’urbanistica medicea. Comune di Lucignano - PIANO STRUTTURALE 2004 - Quadro Conoscitivo - Relazione pag. 27 Si è venuto così a creare un centro scenografico di particolare raffinatezza sul quale si affacciano la Collegiata, di fronte alla quale verrà realizzato nel ‘700 il sacrato con la scalinata che rilegge in chiave figurativa l’andamento della struttura urbana, la Loggia e la Rocca oggi purtroppo trasformata in cinema. Durante i secoli XVI e XVII si ha il fiorire di molte architetture religiose come la Chiesa della Misericordia (1582) la Chiesa della Madonna della Quercia (1568) attribuita dapprima a San Gallo poi al Vasari, e la Chiesa dei Padri Cappuccini (1580). 2.2.4 LEOPOLDO DI LORENA E LA BONIFICA Fondamentale per l’economia sia del centro urbano che e soprattutto per i territori agricoli sarà il periodo di Leopolo di Lorena che nel XVIII sec. ordinò la bonifica del della Valdichiana. La Valdichiana, essendo un area depressa che collega, nella direttrice nord-sud i bacini del fiume Tevere e del fiume Arno, ed avendo una pendenza di lieve entità è stata sia tributaria del Tevere che dell’Arno che di entrambi contemporaneamente. Nel tempo la Valdichiana ha rappresentato un serio ostacolo ai collegamenti tra il Mar Tirreno e Mar Adriatico ma anche nella direttrice nordsud e quindi per consentire uno sviluppo economico ma anche la conquista del territorio peninsulare è stata necessaria la sua bonifica fin dai tempi più antichi. La Valdichiana, prima ancora della bonifica Leopoldina, è stata oggetto di interventi di ingegneria idraulica tuttora riconoscibili nel territorio infatti le matrici mensorie del piano di bonifica sono inequivocabilmente romane anche se rimane un dubbio circa interventi di bonifica che possono essere stati effettuati prima del periodo romano ovvero dagli Etruschi. Quello che fa pensare che molto probabilmente delle opere idrauliche erano già state effettuate nel territorio è che ad un certo punto tre città di origine umbra e precisamente Arezzo, Cortona e Perugia diventano città Etrusche, come fanno notare Lavagnino e Cataldi in “Cortona Struttura e Storia” . La definitiva bonifica avviene per volere di Leopoldo di Lorena Granduca di Toscana ad opera del Sovrintendente Fossombroni aiutato dal lucignanese Ing.F.Capei. Infatti durante questi anni si verificano profonde trasformazioni del territorio agricolo dovute proprio all’aumento del terreno fertile e alla realizzazione di comunicazione come la via dei Procacci, che collega la Valdichiana al Valdarno e la via Cassia che collega Arezzo e Siena. Queste nuove vie di comunicazione e soprattutto l’aumento dei terreni fertili porta ad un arricchimento dei proprietari terrieri. Tale situazione si ripercuote anche all’interno delle mura dove si verificano numerosi interventi di ristrutturazione edilizia di carattere sia privato che pubblico. Risale infatti a questo periodo la trasformazione della Rocca in Teatro e viene anche sistemata la Piazza del Mercato di fronte a Porta S.Giusto come area di passeggio pubblico. Gli interventi sugli edifici privati riguardano alcuni palazzi e in particolare P.zo Griffoli, P.zo Spannocchi, P.zo Angeli e P.zo Arrighi. Alla fine dell’800 la famiglia Capei esegue un intervento consistente all’interno delle mura accorpando alcune unità edilizie trasformandole in un unico fronte e la creazione di un parco privato che si estendeva anche oltre Via di Circonvallazione. Di seguito gli interventi riguardano intasamenti di vicoli con ampliamento del tessuto esistente che però non hanno compromesso il principale sistema viario ellittico. L’influenza della Rivoluzione Industriale, che in questa zona comincia a farsi sentire intorno alla prima metà dell’800, porta alla modificazione delle esigenze abitative della popolazione dovute appunto al nuovo modo di vivere e lavorare e anche da una diversa disponibilità economica. Lucignano in quel tempo registra un notevole aumento della popolazione e crescenti attività produttive come manifatturiere, fornaci, lavorazione di pietra locale, tintorie ed istituisce un mercato settimanale e una fiera annuale. Da menzionare l’istituzione di un conservatorio per l’avviamento delle ragazze (1860), per merito di Francesca Griffali nobildonna, all’interno del monastero di S. Francesco, è proprio in occasione della trasformazione in Conservatorio che il portico del chiostro viene in parte tamponato per ricavarne altre aule per le allieve. Con il crescente aumento della popolazione e lo sviluppo del commercio cresce sempre più la necessità di abitazioni legate al mondo urbano tanto che lungo le direttrici di Foiano e di Siena si hanno i nuovi insediamenti fuori dalle mura che a differenza di altri centri limitrofi non si verificano in forma concentrica intorno alle mura ma solo lungo il percorso. Ormai il Centro Storico risulta consolidato e definito tanto che nemmeno con la realizzazione della rete ferroviaria Arezzo Sinalunga, terminata nel 1930 si verificano delle trasformazioni consistenti. Comune di Lucignano - PIANO STRUTTURALE 2004 - Quadro Conoscitivo - Relazione pag. 28 2.3 I BENI STORICOARCHITETTONICI DI PREGIO Gli edifici storici più importanti di Lucignano si trovano all’interno dell’impianto a forma ellittica del centro storico, fatta eccezione per episodi che si trovano in altrettante posizioni strategiche rispetto al nucleo centrale storico, che sono: la Fortezza, posta ina un’area strategica dominante a cavallo tra il territorio senese e quello aretino, poco lontano dalle mura del paese; e il Castello del Calcione, all’interno del territorio boscoso del comune, anche questo in posizione dominante sul territorio usato come avamposto militare. Gli altri due episodi di carattere religioso sono il Santuario della Madonna delle Querce posta vicino al cimitero comunale di Lucignano e il Convento dei Frati Cappuccini posto lungo la provinciale della Misericordia ad 1 Km da porta San Giovanni. 1 Palazzo Comunale 2 Chiesa e convento di S.Francesco 3 Chiesa della SS.Annunziata, detta della Misericordia 4 Chiesa di S.Giuseppe 5 Chiesa della Collegiata 6 Loggiato 7 Rocca e Teatro Rosini 8 Palazzo Arrighi Griffali o Capei 9 Porta S.Angelo 10 Porta San Giusto 11 Porta San Giovanni 12 Porta Murata 13 Torre delle Monache Comune di Lucignano - PIANO STRUTTURALE 2004 - Quadro Conoscitivo - Relazione pag. 29 2.3.1 PALAZZO COMUNALE Il Palazzo Pubblico sorge a contatto con il complesso di San Francesco, nel centro geometrico e ideale di Lucignano. La Facciata principale si pare sulla Piazza del tribunale ed è collegata alle vie principali ellissoidali da un asse trasversale ( in antico Costa delle monache e Costa del Tribunale) che si protende sugli opposti versanti. Non sono disponibili notizie certe e documentate sull’epoca di costruzione e sulle successive modifiche del Palazzo Pubblico, o Pretorio, attualmente sede del Municipio. Probabilmente il Palazzo fu costruito alla fine del ‘200 e rifatto nel secolo successivo, forse dai Fiorentini dopo il 1353. L’edificio presenta un piano seminterrato, un tempo adibito a prigione ( come dimostrano scritti e graffiti presenti sui muri) presumibilmente relativa al tribunale che si teneva in questo palazzo. Il pittore milanese Luigi Ademollo, attivo a Monte S.Savino tra il 1812 e il 1827, nello stesso periodo affrescò alcune sale del palazzo con temi neoclassici. la costruzione è stata restaurata con molte integrazioni all’inizio del ‘900. Il Palazzo Comunale Il corpo principale dell’edificio è impostato su una pianta trapezoidale con murature perimetrali molto spesse in pietra con parti in mattoni. Il semplice volume che ne risulta, è coperto a capanna secondo l’asse longitudinale parallelo alla facciata. I livelli principali sono due, ai quali si aggiunge il seminterrato. Il fronte sulla piazza, oltre a numerosi stemmi e lapidi coon i simboli dei vari podestà e vicari seccedutisi nel tempo,m presenta un portale in pietra a tutto sesto, che funge da ingresso principale. Piazza del Tribunale Più in alto si trovano quattro aperture, tra le quali una finestra con arco in latraterizi e una porta-finestra che si apre in un balcone con robuste mensole in pietra a volute. Dalle falde del tetto emerge un possente campanile a vela con la campana pubblica, per molti secoli priciplae mezzo di comunicazione dell’autorità civile, coincidente con il baricentro della cittadina. Dal portone principale si accede ad una sala di ingresso con pavimento in cotto e soffitto a grandi travature lignee che mostra alle pareti stemmi, lapidi ed un cinquecentesco affresco di scuola vasariana. Salla parete di fondo si trova la scala che conduce ai piani superiori e, nell’angolo opposto, l’accesso al museo, articolato in un corridoio con volta a botte e tre sale, tra cui la “ Sala della Cancelleria”. questa è coperta da due volte a corciera affiancate, completamente affrescate con figure e personaggi tratti dalla tradizione biblica e classica. Nel piano superiore si trovano alcune sale con volta a padiglione, come detto, affrescate nei primi anni dell’Ottocento a temi neoclassici. Il Museo Comunale La prima inaugurazione del Museo comunale di Lucignano risale al 1924, in una sala dell’ex convento di S. francesco, ma fin dal 1895 l’amministrazione aveva avvertito il problema di una collocazione e sistemazione delle opere più preziose conservate nella chiesa di S. Francesco: il famoso reliquiario trecentesco, in forma d’albero ed un secondo reliquiario trecentesco, successivamente rubato e mai recuperato. La sede attuale fu inaugurata il 2 maggio 1984, al pianterreno del palazzo comunale, nei locali un tempo adibiti a prigione e luogo in cui si amministrava la giustizia. Proprio la sala del Tribunale, in cui è ospitato l’Albero, è interamente affrescata, secondo la tradizione umanistica di omaggio agli eroi antichi da utilizzare come esempio per i moderni, che ritroviamo sulle paretri di sale dei palazzi pubblici italiani, come a Siena, Firenze e Padova. Tra le opere di maggior pregio conservate: Il famoso Reliquiario detto Albero d’Oreo di Lucignano, iniziato da Ugolino di Vieri nel 1350 e terminato dall’orafo senese Gabriello d’Antonio nel 1470; Crocefissione, ignoto pittore d’ambito umbro ( sec. XIII), diverse opere di scuola senese: Madonna con Bambino in Trono ( sec. XIV), con donatrice, un San Bernardino ( 1448), di Pietro di Giovanni D’Ambrogio, specialista nelle raffigurazioni del santo, Trittico di Bartolo di Fredi (1330-1410) raffigurante Madonna col Bambino e Santi, Madonna col Bambino ( sec. XV),. frammento di una composizione più ampia, ( ridotta a forma centinata con soppressione delle figure ai lati della Madonna), attribuita alla bottega di Luca Signorelli ed un San Francesco, forse unica parte supertstite dell’armadio commisionato a Luca Signorelli dalla Confraternita di santa Maria nel 1482 per contenere il Reliquiario ad Albero. Bartolo di Fredi - 1330 ca/1410 “ Madonna con Bambino e due Santi” Comune di Lucignano - PIANO STRUTTURALE 2004 - Quadro Conoscitivo - Relazione pag. 30 2.3.2 CHIESA DI S. FRANCESCO La chiesa fa parte di un vasto complesso probabilmente in antico situato tra il “ castrum” ovoidale ed il nucleo fortificato secondario ( Castellaccia). Tra gli edifici aggregati troviamo l’oratorio del Corpus Domini a sud est ( attiguo alla chiesa di San Francesco) , l’isolata Torre delle Monache a nord, oltre le absidi poligonali di S. Francesco a nordd-est, il monastero di San Francesco ( collegato al palazzo Comunale tramite un chiostro centrale), la chiesa del Crocefisso, con la facciata rivolta a nordovest, l’ex monastero di Santa Margherita ed il Palazzo Pretorio con la facciata rivolta a sud-estr di Piazza del tribunale. Durante la seconda metà del ‘200, nella Toscana meridionale, l’ordine mendicante francescano, passò da una prima fase spiccatamente itinerante ad una più stabile, che vide la costruzione di chiese e conventi all’interno dei centri fortificati. Le chiese francescane di Cortona e di Lucignano sono tra i primi e più significativi esempi di tale fenomeno. La vostruzione fu probabilmente iniziata nekl 1248 e risulta terminata nel 1289, dato che nella chiesa di San Francesco, in tale data, venne confermato l’atto di sottomissione dei Lucignanesi alla Repubblica Senese. La Chiesa, di grande semplicità e bellezza, ha una facciata con paramento policromo di travertino e arenaria. L'imponenza della stessa, con portale sempre in travertino a forte strombatura sormontato da lunetta semicircolare e cuspide appuntita sempre di accento senese, è coronata da un ampio occhio in arenaria e si affaccia su una leggiadra piazzetta. di restauro che ci hanno restituito affreschi trecenteschi di Bartolo di Fredi e di Taddeo di Bartolo. Sul lato interno della facciaia è posto un organo monumentale e racchiuso in una massiccia cassa intagliata e dorata con l'otto piedi in facciata, opera di mi anonimo costruttore toscano della prima mela del 500. Sul lato destro della navata, parzialmente coperti da altari in pietra serena, vi sono affreschi con scene della vita di S. Francesco ed il Trionfo della Morte (sec. XIV e XV). L'evidente intenzione allegorica e l'uso di una tecnica pittorica efficace quanto matura ci parlano di una capacita creativa straordinaria raggiunta dagli artisti che vi hanno lavoralo. Sempre sul lato destro, sull'ultimo altare, dentro una nicchia, si trova una originale statua lignea trecentesca della Vergine con Bambino, policroma. Interni della chiesa Interni della chiesa Planimetria dell’intero complesso La facciata principale L'interno a una navata, con ampio transetto e copertura a capriate in legno, è reso particolarmente suggestivo dai lavori rapporto con il carattere più tipico di quest'arte che a Siena toccherà nel '400 livelli immortali. Il quadro raffigura una splendida Madonna con il Bambino e, canone classico della pittura dell'epoca, i Santi Pietro,Giovanni Battista, Caterina di Alessandria e Michele Arcangelo che regge il castello lucignanese, di cui e da sempre protettore. Sul lato sinistro del transetto si trova un mirabile affresco attribuito a Taddeo di Bartolo (XIV° e XV" sec.) con storie di Santi e Madonna in trono. Sull'altare maggiore ( 1665), è possibile ammirare il polittico di Luca di Tommé, esempio di una pittura senese che non ha ancora raggiuuto la purezza stilistica dei maggiori esponenti di quella scuola, pur avendo già elementi inconfondibili nell'uso del colore e nel sagace e raffinalo Proprio lungo il percorso delle navate, corre il manieristico chiostro, oggi in gran parte tamponato, con caratteristica cisterna centrale e contornato da corpi di fabbrica facenti parte dell'antico convento. Esso nasconde, coperte da intonaci, decorazioni e scritte che sembrerebbero affrescare - a prima vista la teoria dei corridoi di cui lo stesso si compone. Comune di Lucignano - PIANO STRUTTURALE 2004 - Quadro Conoscitivo - Relazione pag. 31 2.3.3 LA COLLEGIATA DI S. MICHELE ARCANGELO Sotto Cosimo I, alla fine del ‘500, le mura trecentesche vengono ristrutturate e viene completato l’assetto difensivo del Centro Storico con la costruzione della Collegiata su disegno di Orazio Porta. La chiesa sorge nell’area alta centrale con la facciata raccordata tramite una monumentale scalinata ellissoidale alla rampa ( in antico Costa di sant’ Angelo) che conduce alle sottostanti via Rosini e Piazza delle Logge; la parete sinistra, rivolta a nordovest, è attestata sulla Piazza del Tribunale. L’imponente costruzione, con alto tiburio e campanile, contribuisce in maniera determinante a delineare il profilo della cittadina. su disegno di Orazio Porta pittore e architetto di Monte S. Savino. Il 1° Ottobre 1638 fu innalzata al grado di Collegiata per Bolla di Urbano VIII, col preventivo consenso e beneplacito di Ferdinando II granduca di Toscana. Attualmente la pianta è a croce latina con 10 altari in pietra serena, recanti quadri assai interessanti (del XVI XVII sec) e un un magnifico crocifisso ligneo. Il soffitto avrebbe dovuto essere a travature, ma poi fu abbandonato questo primo progetto per la costruzione a volta che riuscì male per la poca solidità delle muraglie. Il 13 aprile 1652 l'architetto fiorentino Silvani chiamato a Lucignano dal magistrato dei Signore Nove, fece fortificare e ingrossare le muraglie con gli arconi sotto i quali sono le cappelle e con gli arconi che reggono la volta. Successivamente furono costruite le cappelle una a sinistra e una a destra del Presbiterio. La prima fu cominciata il 30 maggio del 1627 dal maestro Matteo di Ippolito Bracci, la seconda alla destra del Presbiterio fu cominciata il 13 Dicembre 1635 su disegno di Cantagallina dedicata a S.Carlo. La pianta della collegiata La nuova chiesa dedicata a S. Michele Arcangelo fu cominciata il 5 Maggio 1594 La Collegiata La collegiata si colloca in un punto nodale di sviluppo dell’aggregato urbano e precisamente nel luogo generatore dell’organismo urbanistico ovoidale di Lucignano, nel luogo ove si presume sia stato eretta la Torre Sillana poi in seguito il Castello Medievale e la Chiesa di S.Angelo. dello stesso materiale. che nell'angolo di sinistra sono raccordati tramite elementi curvilinei al caratteristico vicolo delle Monache. La Collegiata è, come del resto Lucignano, un episodio compiuto con un perfetto inserimento nel tessuto preesistente nonostante il suo volume rigidamente geometrico. 2.3.4 LE LOGGE (PIAZZA DEI CADUTI) Le Logge vennero realizzate per qualificare uno spazio urbano destinato alle relazioni commerciali e sociali nel pieno spirito dell’urbanistica medicea. Si è venuto così a creare un centro scenografico di particolare raffinatezza sul quale si affacciano la Collegiata, di fronte alla quale verrà realizzato nel ‘700 il sacrato con la scalinata che rilegge in chiave figurativa l’andamento della struttura urbana, la Loggia e la Rocca oggi purtroppo trasformata in cinema. Il loggiato fu costruito dopo il 1558. nel contesto dei lavori commissionati da Cosimo I a seguito della vittoria di Scannagallo (1554). La sistemazione cinquecentesca dello Logge completa la piazza nella quale "sono presenti simboli delle tré autorità cittadine: religiosa, civile e militare". L’ultimo intervento di restauro sul loggiato è stato effettuato nel 1997. Le logge, in arenaria grigia, risultano introdotte alla base da quattro scalini Le logge viste dall’omonima piazza L’impianto planimetrico è di forma rettangolare suddivisa in cinque campate coperte con volta a vela sostenute sul lato della piazza da cinque pilastri quadrati due dei quali incassati nei muri di spalla sormontati da semplici capitelli. Sopra le Logge la terrazza praticabile presenta un parapetto su tré lati e una pavimentazione in pietra. Comune di Lucignano - PIANO STRUTTURALE 2004 - Quadro Conoscitivo - Relazione pag. 32 2.3.5 LA ROCCA E IL TEATRO ROSINI La realizzazione della Rocca, risale al periodo di dominazione senese e precisamente alla fine del XIV sec. e fu costruita per mano di Bartolo Batoli che, come riportato in un libro di rendimenti di conto conservato all’Arch. Dipl. Senese, ricevette 6825 fiorini. Nei secoli la Rocca ha mantenuto quasi intatto il suo aspetto originario se non fosse che sulla scarpa del torrino è stata praticata l’apertura per accedere al teatro e che la corte interna del cassero è stato intasato dalla scala. Lucignano, ma gia dal 1782 risulta allivellata al privato G. Moracci e nel 1829 i suio eredi ne vengono in pieno possesso. Il comune mantenne la stanza a piano terra usato come granaio. È sotto la proprietà dei Moracci che la rocca subisce la trasformazione d’uso infatti all’interno venne costruito un piccolo teatro di legno gestito dalla locale Accademia dei raccolti. La pianta tornò ad essere rettangolare, al posto dei palchi venne realizzata la galleria, la volta incannicciata fu sostituita da un solaio ligneo. Nel 1984 il teatro è stato chiuso perchè non a norma e nel 1987 è stato acquistato dal Comune. I complesso architettonico è posto a cavallo delle mura della cittadina, con il lato esterno rivolto ad ovest, verso la vallata senese, mentre quello interno fa parte della quinta architettonica che delinea Piazza delle Logge; difatti si presenta come un torrino quadrangolare a scarpa, concluso in alto con arcatelle a sesto acuto sorrette da mensole in pietra lobata. La muratura è in pietra a filaretto e la pianta a forma pressoché rettangolare. ha un soffitto ligneo con grandi travi ed infine l’ultimo piano è coperto con una volta a crociera con archi a sesto acuto. La scala continua fino alla terrazza soprastante munita di parapetto impostate su arcatelle a sesto acuto appoggiate su mensolette triangolari lobate. Il teatro è organizzato nella parte rivolta verso l’interno del paese parallelamente alle mura castellane. Presenta due accessi per la platea e per la galleria da via Rosini ha due accessi all’esterno. Dal primo livello si accede alla galleria ed a una sala detta “dell’Accademia”. Scorcio della Rocca Come riporta l’Arch. Meacci in “Itinerario d’architettura nella Valdichiana”, di questo primitivo teatro, probabilmente inserito in una sala rettangolare, non è rimasto nulla. Nel 1856 l’Acccademia decise di ampliarlo e di costruirne uno in muratura su progetto dell’Ing. Picconi. Il nuovo teatro dedicato al professore universitario Giovanni Rosini, fu inagurato nel 1861. Si trattava di un teatro all’italiana con pianta a U, 43 palchi suddivisi in tre ordini e un ampio palcoscenico. La Rocca e il Teatro Rosini Nel 1650 il Granducato di Toscana cedeva la Rocca alla comunità di Subì all’interno un’importante modifica durante la ristrutturazione del 1954 per opera dell’Arch. Bartolini e Ing.Bani. Sezione della Rocca con il teatro Verso la valle, dal lato opposto del torrino si trova l’imponente mastio di base quadrata; la Rocca. La torre è costituita da quattro sale sovrapposte collegate da scale in legno; i primi due vani sono coperti con volta a botte e pavimenti in cotto mentre la terza Comune di Lucignano - PIANO STRUTTURALE 2004 - Quadro Conoscitivo - Relazione pag. 33 2.3.6 PALAZZO GRIFFOLI O CAPEI ARRIGHI (probabilmente secolo). aggiunto in questo Il palazzo si affaccia lungo l'antica "Via Ricca" oggi via Matteotti, addossato alle mura castellane nella parte sudest dell'abitato. A sinistra questo si salda un palazzetto con paramento murario in laterizi, arricchito da interessanti particolari architettonici. Sono numerose le costruzioni collocate lungo ampio percorso urbano nelle quali hanno avuto dimora nei secoli le più importanti famiglie del luogo. Questi edifici hanno progressivamente occupato gli spazi periferici addossandosi alla cerchia muraria due-trecentesca, con prospetti 'rappresentativi' lungo la "Via Ricca" e fronti decisamente posteriori nella parte rivolta alle mura castellane. L'edificio in questione, forse risalente alla fine del '200, quando fu costruito il borgo esterno al primitivo castrum, e successivamente modificato a più riprese, è appartenuto alla famiglia Arrighi Griffoli ed in seguito alla famiglia Capei. In epoca più recente ha mutato la funzione di residenza nobiliare ospitando successivamente la Casa del Fascio, l’Ufficio Postale e, nei giorni nostri, la Casa di Riposo Comunale. II palazzo è il risultato della fusione di unità edilizie preesistenti, i cui moduli di base, con diverso orientamento determinano una facciata concava ricondotta ad unità da una fascia in gronda, dalla regolarizzazione delle aperture e dal portale d'ingresso sormontato da un balcone muraria e si apre con un’ampia terrazza circostante. Gli interni sono distribuiti su tre piani fuori terra dove si trovano vari saloni con volte affrescati. Una menzione particolare spetta i seminterrati, un tempo adibiti a cantina e oliviera, nei quali sono stati ritrovati vani e cunicoli scavati nella roccia che permettevano di uscire al di fuori delle mura castellane. Veduta del Palazzo in via Giacomo Matteotti II modulo meridionale di questo fronte ha mantenuto il tipico stile dell’architettura senese medievale a paramento lapideo a ricorsi policromi, in arenaria grigia e travertino come la vicina Chiesa di S. Francesco (della seconda metà del ‘200). Al piano terra sono visibili ampie arcate tamponate e nel prospetto laterale, che si affaccia su un antico vicolo, oggi privato si notano un interessante portale ad arco ogivale e aperture a tutto sesto, che denunciano uno schema distributivo interno in seguito radicalmente mutato. Il retro del palazzo arriva ad inglobare la cinta Comune di Lucignano - PIANO STRUTTURALE 2004 - Quadro Conoscitivo - Relazione pag. 34 2.3.7 LA FORTEZZA MEDICEA L'opera, compiuta solo nel lato rivolto a Siena, è collocata fuori dell'abitato sopra un'altura, a nordovest del centro storico, separata da quest'ultimo da una scoscesa sella. La costruzione della fortezza fu commissionata da Cosimo I nel 1558, poco tempo dopo la vittoria di Scannagallo ( 3 agosto 1554) sui Senesi. Lucignano diventa l’avamposto fiorentino più importante della Valdichina, di qui l’incarico di fortificare la città. Il duca Cosimo inviò a Lucignano come suo commissario Giulio Ricasoli che giunse il 15 Agosto. Egli osservò immediatamente che sarebbe stata necessaria un’ ingente spesa per recuperare la fortezza. Nonostante si prospettassero molti interventi, la soddisfazione dei fiorentini era grande perché il paese di Lucignano era già efficacemente difeso da cinque baluardi di terra e, completando anche l’esecuzione del forte della collina, si poteva fare del luogo una città - fortezza, sul modello di quanto accadeva anche in altre città del dominio. Il 26 settembre 1554 giungevano a Lucignano Bernardo Puccini, ingegnere militare allievo di Giovan Battista Belluzzi e il capitano Concetto Vico. Cosimo aveva incaricato l’ingegnere fiorentino di seguire il cantiere delle fortificazioni e gli aveva affiancato il Vinco che conosceva bene il paese, per esservi stato a lungo durante l’occupazione fiorentina del 1553, e aveva collaborato, assieme al Belluzzi, alla progettazione delle nuove difese del castello. Una volta arrivato, il Puccini si preoccupò immediatamente di attivare il cantiere. Per il circuito bastionato di lucignano non occorrevano grandi interventi da parte fiorentina poiché il progetto era stato correttamente eseguito e condotto a termine dai senesi, pertanto gli sforzi pere completare la difesa del castello si concentrano, da questo momento, sulla costruzione del forte di terra nella collina prospicente il paese. Per questa il Puccini disegnò subito due nuove soluzioni che mostrò a Cosimo al suo ritorno a Firenze e che modificavano forse un progetto, redatto precedentemente a tavolino, proprio sulla base delle indicazioni e dei rilievi del Belluzzi.Il 5 Ottobre, Bernardo Puccini faceva ritorno a Lucignano con le nuove disposizioni per il cantiere. Già dai primi interventi , che occuparono tutta la stagione autunnale, si capisce che il progetto del Puccini prevedeva, oltre all’ampliamento del forte fatto dai senesi, la costruzione di un collegamento tra questo e le mura del paese tramite due cortine di terra. Il terraglio che il Puccini aveva trovato sul piccolo Poggio fronteggiante il castello, servì come supporto sul quale sviluppare un progetto più articolato e complessi visto che, dopo pochi mesi di lavoro, si parlava per la prima volta anche di baluardi. Ma il Puccini non aveva tenutoi conto di alcuni imprevisti. Infatti, i manovali e le bestie assoldati al cantiere furono chiamati per trasportare l’artiglieria fiorentina che passava nella Valdichiana ed era diretta all’assedio di Siena. I lavori,, quindi subirono un rallentamento. Con le difficoltà date dalla guerra, dalla miseria del luogo e dalla stagione invernale, era necessario contenere al massimo le spese. per questo si rinunciò alla manodopera specializzata e i lavori procederono solo con gli uomini e contadini di lucignano obbligati a prestare la loro opera quasi gratuitamente. Con la riconquista senese di alcuni paesi vicini, si accrebbe il timore di un possibile attacco volto a riprendere il possesso di Lucignano. I continui movimenti delle truppe nemiche preoccupavano notevolmente sia il Puccini che il Ricasoli, responsabili della difesa del paese. Era opportuno decidere sul da farsi, e in particolare, se guastare il forte, evitando di consegnarlo in nemici, oppure se continuarne la costruzione. Ma la decisione definitiva fu presa solo dopo aver consultato anche Mario sforza, conte di Santa Fiora, che ad Arezzo sovrintendeva alla difesa della Valdichiana. Il conte ordinò di mettere un gran numero di soldati alla guardia del forte e di condurlo a fine al più presto confermandone ancora una volta l’importanza. Il 4 aprile, Mario Sforza era a Lucignanoi per valutare di persona la situazione. La pianta del forte era ormai delineata e presentava complessivamente quattro baluardi denominati con le lettere F, G, H, I. Ma si trattava di una fortificazione di terra, quindi a carattere provvisorio, che presentava già i primi problemi aggravatisi durante la stagione invernale. Pianta delle fortificazioni di Lucignano con l’indicazione della fortezza medicea costruita su progetto di Bernardo Puccini ( 1554-1558) Legenda: A,B,C,D,E, bastioni di terra realizzati dai senesi ( 1552 - 1554); F,G,H,I, firte quadrangolare, forbice in muratura; D-I, EF, cortine dentate di terra che univano il forte sulla collina alle mura castellane; G, bastione nord-ovest ( baluardo del Calcione); H, bastione sud-ovest ( baluardo della Purità) Il collegamento del forte alle mura del paese, attraverso due cortine dentate di terra, non era ancora concluso e vi si voleva costruire “ qualche gabbione acciò bisognando ce ne possiamo servire in cambio dè parapetti”. Il Puccini fece uso dei gabbioni, nelle fortificazioni di Lucignano, perché questi permettevano una posa in opera semplificata e acceleravano notevolmente il cantiere. Comune di Lucignano - PIANO STRUTTURALE 2004 - Quadro Conoscitivo - Relazione pag. 35 Erano, più precisamente, degli elementi mobili di forma cilindrica fatti di giunti che, riempiti di terra o di pietrame e messi uno accanto all’altro, formavano le gabbionate nella parte terminale del terraglio, o meglio, il riparo dietro il quale stavano i soldati a guardia delle cortine. Fortezza Medicea Non esiste una documentazione che attesti il procedere dei lavori di Lucignano, durante il periodo compreso fra aprile e giugno 1555, ma si può dire con esattezza che , nonostante i rallentamenti, furono ridotte le dimensioni originali del forte. Cosimo concentrò infatti gli sforzi militari nell’ assedio di Siena, che fu costretta alla resa per fame il 17 aprile 1555, sottomettendosi all’imperatore CarloV. Il nuovo progetto della fortezza Bisogna arrivare ai primi di luglio del 1555 per trovare nuove notizie sulla fortificazione di Lucignano; Bernardo Puccini era stato in paese in compagnia di Giovanni Camerini, anch’egli ingegnere militare al servizio di Cosimo I. Insieme avevano studiato un nuovo progetto che in particolare prevedeva di “ cominciare a murare” il forte di terra ormai concluso. Nel frattempo le truppe franco-senesi ritirate a Montalcino, tentavano in ogni modo l’assedio e la riconquista di alcune piazzeforti della Valdichiana. Il 30 luglio attaccarono anche Lucignano, arrivando ad appoggiare le scale alle mura, ma furono respinti dalla guarnigione fiorentina a guardia del castello. A settembre il Puccini e il Vinco, ricevuto finalmente l’ordine del Duca fiorentino, fecero nuovamente tirare le corde e mettere le mire al cantiere e si apprestavano a realizzare la muratura del forte. Il nuovo progetto, previsto e fatto realizzare dal Puccini, riprendeva la proposta di Mario Sforza, che per primo aveva consigliato la realizzazione di una ritirata per contenere le dimensioni che giudicava troppo estese ma, con la costruzione della muratura, egli intendeva soprattutto attribuire un nuovo significato all’intera opera trasformando il forte di terra di Lucignano in una fortificazione permanente. Le fortificazioni di terra infatti si facevano quando necessitava procedere celermente, con notevole risparmio di denaro, alla fortificazione di un sito e non avevano un’importanza formale ma erano strettamente funzionali alle esigenze belliche, anche perché non resistevano alle intemperie e si distruggevano entro pochi anni. Vi furono però nuovi rallentamenti dovuti soprattutto elle continue assenze dell’ingegnere fiorentino che, a partire dall’ inverno 1555 - ’56, non potè più seguire da vicino il cantiere di Lucignano a causa del nuovo incarico di commissario della Valdichiana conferitogli dal Duca Il 31 maggio ’56 giungeva a Firenze la notizia della esplosione della rocca adibita a deposito delle polveri, sul punto più elevato della collina di Lucignano, colpita da una folgore durante un violento temporale. Lo scoppio della rocca rendeva estremamente vulnerabile la difesa di Lucignano poiché con la perdita di questa era venuto a mancare l’elemento centrale attorno al quale si era articolata tutta la fortificazione. Rimanevano, infatti, la rocchetta o cassero, vicino alla porta San Giusto, e il forte ancora di terra , che da soli non assicuravano la protezione del paese. La notizia della avventura esplosione arrivò anche a Sartiano, dove risiedeva il Puccini che si recò a Lucignano per decidere il da farsi. Della rocca erano rimaste un cumulo di macerie e, nonostante in un primo periodo si pensasse addirittura di ricostruirla e restaurarla, si decise invece di recuperare le pietre e utilizzarle per dare inizio alla muratura del forte, che doveva diventare così il presidio principale da cui dirigere il contrattacco e difendere non solo la vallata ma anche il paese alle sua spalle. Pianta della fortezza di Lucignano Anonimo sec. XVIII Dopo l’esplosione della rocca, Bernardo Puccini e il capitano Gabrio Serbelloni furono impegnati nella riorganizzazione dell’intero sistema difensivo del paese. Ma il fatto più importante è che il 14 luglio il Puccini, ricevuto finalmente l’ordine del Duca, poteva iniziare la costruzione di una forbice in muratura che, riproducendo esattamente il disegno della cortina e dei due bastione esistenti, rafforzava la parte più debole del forte di terra verso la campagna. L’idea non era nuova, visto che già durante l’inverno più volte aveva proposto tale soluzione che si adattava perfettamente alle esigenze del sito. Nei mesi di luglio-agosto finalmente si dava inizio ai lavori e, nei periodi in cui il Puccini era assente, la responsabilità della conduzione del cantiere era stata affidata al capitano Concetto Vinco, al commissario Giulio dè Medici e al nuovo provveditore della fortezza Giovanni Martini. Nei mesi di ottobre e novembre il cantiere procedeva molto bene e l’ingegnere si era premurato di mandare un disegno al Duca, l’unica raffigurazione rimasta della fortezza di Lucignano. Ai primi di dicembre, i due baluardi della fortezza erano alti 6 bracci, ovvero 3,50 metri circa, e avevano raggiunto il livello dove si dovevano costruire le cannoniere ma si attendeva il ritorno del Puccini che avrebbe deciso il loro esatto posizionamento. Ma già dall’inizio di Lucignano si presentarono altri gravi problemi. Comune di Lucignano - PIANO STRUTTURALE 2004 - Quadro Conoscitivo - Relazione pag. 36 La muraglia, messa in opera, era di cattiva qualità, inoltre l’opera non poteva ancora dirsi sicura e l’ingegnere propose di intraprendere anche la muratura della cortina e dei bastioni di terra, rivolti verso il paese, poiché aveva in mente il disegno di una fortezza quadrangolare in muratura. Il rigido inverno mise in seria difficoltà il procedere dei lavori e fu solo a primavera che questi poterono riprendere con più vigore. Tornato a Lucignano, verso la metà di marzo, chiese nuove finanziamenti per accelerare il cantiere. In questo periodo si parla per la prima volta assegnandogli dei nomi al posto delle lettere di due baluardi che corrispondono a quelli ancora oggi esistenti. Si tratta in particolare del bastione a nord-ovest, detto del Calcione, dal lato della omonima località in direzione della chiesa della madonna delle Querce, e di quello a sud-ovest, o della Purità. Il lavoro alla fabbrica procedette, infatti ai primi di maggio si parla della costruzione del parapetto che correva lungo tutto il perimetro superiore della fortezza e che certamente proteggeva anche la cannoniera. La situazione politica generale evolveva però verso una fine del conflitto. Il 3 luglio 1557 lo stato di Siena era definitivamente concesso in feudo a Cosimo dè Medici. Il 19 luglio 1557, con il definitivo insediamento delle truppe di Cosimo a Siena , si apriva un periodo di relativa tranquillità e governabilità dei domini che preannunciava l’auspicato periodo di pace anche per la Valdichiana. Si decise di tenere ancora aperto il cantiere della fortezza di Lucignano e di terminare le opere rimaste in sospeso. In realtà, da questo momento in poi non esistono notizie che documentino interventi riguardanti la costruzione della forbice in muratura, conclusa probabilmente nell’agosto 1558. Il 27 giugno, furono poste l’arme di Cosimo su una delle porte delle mura di Lucignano, forse proprio la porta San Giusto dove in precedenza erano stati intrapresi dei lavori per assicurarne la difesa, a conferma del consolidamento del potere della casa Medici e pochi mesi dopo, l’11 novembre 1558, per esplicito volere del Duca, fu ordinata l’interruzione di tutti i lavori di muratura alla fortezza. L'opera, solo parzialmente realizzata, fu probabilmente costruita non solo allo scopo di difendere il territorio dagli attacchi esterni, ma anche di controllare eventuali tentativi di ribellione dei Lucignanesi. L'attribuzione a Giuliano da Sangallo risulta molto problematica, poiché l'architetto morì nel 1516, molti anni prima della suddetta battaglia che fu all'origine della conquista fiorentina e di numerosi lavori nell'aretino e a Lucignano. Per altri versi l'edificio militare è sicuramente simile al vicino modello di Arezzo e alla fortezza quadrilatera con bastioni, di Sansepolcro, entrambe del Sangallo. Il Repetti nel 1833 scriveva: "I bastioni che restano nel luogo dei due mulini a vento sono gli avanzi di quell'opera di difesa non mai compiuta" La costruzione e attualmente di proprietà privata. L'opera consiste in due bastioni angolari quadrilateri "a freccia" uniti da un muro rettilineo a scarpa di circa 60 metri. Sulle punte dei bastioni emergono due torrette cilindriche. L'opera è costituita da una muratura in pietra con rincalzi in mattoni; risulta parzialmente coperta da vegetazione e deteriorata in alcune parti. Interno Fortezze Medicee Nell'area interna è stata costruita, nel secondo dopoguerra, una torretta a pianta quadrata in pietra, con terminazione a sporgere in mattoni e copertura a padiglione, che ospita impianti tecnologici dell’acquedotto. Nella parte interna sono visibili ampie arcate a tutto sesto di rinforzo alle murature.Dopo la fuga da Lucigano della guarnigione Comune di Lucignano - PIANO STRUTTURALE 2004 - Quadro Conoscitivo - Relazione pag. 37 2.3.8 IL SANTUARIO DI S. MARIA DELLE QUERCE Lucignanesi dopo l’autorizzazione richiesta nel 1564 a Cosimo I. La chiesa, situata a nordest rispetto al centro storico, si raggiunge tramite la strada comunale del Cimitero, oltrepassando la Fortezza Medicea e il cimitero stesso. Il colle dove sorge l'edificio è caratterizzato da oliveti, vigneti e macchie boschive; qui su apre inoltre un ampio panorama sul versante senese della vallata. Un' immagine venerata della Madonna, affrescata nel 1417 dal pittere Feliciano Batone. presso una grossa quercia situata in un luogo fu motivo della costruzione della stessa Chiesa. La chiesa, nella forma pervenuta ai nostri giorni, e stata attribuita prima ad Anionie da Sangallo il Giovane, poi a Baldassarre Peruzzi ed infine vi è stata riconosciuta (U Procacci) la mano di Giorgio Vasari (1511-1574). La conferma è venuta da una annotazione del nipote Marcantonio Vasari. il quale nelle sue "Ricordande". relative al 1568, attribuisce al maestro il disegno architettonico di S. Maria Nuova a Cortona e della "Madonna di Lucignano". La chiesa fu affidata ai padri Servi di maria fina dal 1575, quando non era ancora ultimata, ma fu consacrata solo nel 1617. A seguito della soppressione Leopoldina del 1783, che sciolse l’ordine custode della chiesa, i cospicui beni del santuario passarono all’Accademia Ecclesistica di Arezzo e la chiesa divenne parrocchia. Nel 1975, anche a seguito di una fulmine abbattutosi sull’edificio, la soprintendenza aretina ha compiuto dei lavori di restauro protrattisi per alcuni anni. Il Santuario di S.Maria delle Querce La notizia che nell'agosto del 1467 un senese inseguito dai suoi nemici fermatosi a pregare presso questa Pietà riamase salvo fece infatti diffondere il culto dell’immagine della Madonna della Quercia. L'originaria cappellina in legno costruita a protezione dell'insegna (consacrata nel 1467) fu sostituita da una prima chiesetta in muratura, a sua volta "accresciuta" dai La facciata della chiesa è rivolta a nordest e presenta un portale, scolpito da Ippolito Bracci nel 1651, sopra al quale si trovano uno stemma dipinto ed un rosone strambato. l’impianto a croce latina mostra tre navate, con tre arcate per lato, sorrette da colonne in pietra. Le coperture a falde risultano sorrette nelle navatae laterali da volte a crociera e nella navata centrale, più alta, da una volta a botte. Questa è interrotta all’incrocio con il transetto da una cupola sormontata da un tiburio a base circolare. quest’ultimo mostra una copertura a padiglione circolare, dalla quale emerge una manieristica lanterna. Sul fianco destro della chiesa è collocato un altro portale con timpano, risalente al ‘500, racchiuso ai lati da quattro contrafforti con paraste in arenaria. All’interno una sorta di iconostasi segna la separazione fra il transetto e la parte absidale. quest’ultima è conculsa dal monumentale altare maggiore in pietra con incastonata la venerata immagine della quattrocentesca Pietà. Qui sono custoditi anche dipinti risalenti ai secoli XVI-XVII di Matteo Roselli ( 1578-1650) e Orazio Porta ( 1540 c. - 1615 c. ) e una scultura policroma del ‘600. Tutti gli altari sono della fine del ‘500 e presentano richhe decorazioni in pietra e stucco. 2.3.9 IL CALCIONE CASTELLO insediativo di antica formazione conferiscono all'arca in questione un eccezionale valore paesistico e ambientale. Nel luogo ebbero potere e giurisdizione fin dal secolo XI i monaci dell'Ordine di S.Eugenio di Siena. Nella prima meta del XIV secolo la potente famiglia Tolomei acquistò le teire del Calcione ed eresse una residenza signorile "a guisa di castello baronale", che nel 1381 Diego Tolomei cedette alla Repubblica fiorentina, tré anni prima che Lucignano venisse sottomessa allo stesso dominio. Nel 1483 i beni del Calcione furono acquistati da Luigi di Messer Agnolo Lotteringhi della Stufa e successivamente il Granduca Ferdinando II de' Medici, con diploma dell'I 1 giugno 1632, elevò a contea il possedimento e confermò i della Stufa investendo col titolo di marchese Pandolfo Lotteringhi. DEL La tenuta di Calcione è ubicata all'estremità meridionale della dorsale di Palazzuolo – Poggio alla Querce - Poggio Calcione Vecchio, che discrimina i bacini idrici dei Torrenti Esse e Foenna. Il Castello del Calcione Planimetria dell’area del castello La straordinaria integrazione tra i caratteri morfologici del territorio e il sistema Il corpo principale del complesso del Calcione e un'imponente costruzione di impianto planimetrico rettangolare die racchiude una doppia corte: il fronte principale, rivolto a sudovest, ècostituito da un massiccio alzato a tre piani, fortemente allungato in senso orizzontale ma serrato con prepotenza da due Comune di Lucignano - PIANO STRUTTURALE 2004 - Quadro Conoscitivo - Relazione pag. 38 torrioni circolari che rivelano la originaria funzione difensiva dell'architettura. Le forme austere del costruito sono attenuate dalla sobria sistemazione degli spazi verdi a corredo della residenza: un ampio giardino formale. di semplice disegno geometrico, con larghi vialetti, siepi basse e fontane, funge efficacemente da filtro tra l'abitazione e l'avvolgente natura circostante. 2.3.10 CHIESA DELLA SS. ANNUNZIATA, DETTA DELLA MISERICORDIA Situata nelle vicinanze del complesso degli edifici simbolo delle autorità civili e religiose, lungo via della Misericordia, costituiva l’oratorio della compagnia dela SS. Annunziata, detta anche dei Battenti Neri, dal colore delle cappe dei confratelli, i cui capitoli furono approvati nell’agosto del 1563. La chiesa ha una pianta rettangolare, a navata unica, con presbiterio rialzato. lateralmente sono collocate due cappelle in pitra serena e quattro colonne. Al suo interno si trova un pregevole altare maggiore ( 1583) in legno intagliato e dipinti di scuola toscana della fine del XVIsec. Tral le opere di particolare pregio vi sono due statue di terracotta invetriata di scuola robbiana. Attualmente è sede della confraternita della misericordia, al suo interno sono conservati alcuni oggetti testimonianza dell’attività svolta da questa confraternita negli anni. 2.3.11 CHIESA DI SAN GIUSEPPE 2.3.12 MURA E PORTE La chiesa è posta all’incrocio tra via San Giuseppe e le omonime scalinate che collegano via Matteotti ( antica via Ricca) con il complesso di San Francesco e Piazza del Tribunale. Nel luogo dell’attuale chiesa era sutuata in precedenza una semplice cappella quattrocentesca, con la facciata rivolta al Palazzo Pretorio, la quale custodiva un fonte battesiamale voluto da papa Pio II nel 1470 e trasferito, nel 1672, nella Collegaiata. La chiesa da quel momento detta comunemente “ Battesimo Vecchio “ fu ceduta ( 1677) dal Capitolo della Collegiata alla comunità di Lucignano, che a sua volta la consegnò in uso all’Arte dei Legnaioli nel 1699, allo scopo di restaurarla e dedicarla a San Giuseppe, loro protettore. L’edificio ritornò di proprietà del capitolo, che nel 1725, lo cedette nuovamente alle associazioni artigiane di Lucignano e dintorni, le quali ampliarono e restaurarono la chiesa spostando l’ingresso da via San Giuseppe sulla gradonata. La chiesa fu reintitolata definitivamente a San Giuseppe nel 1730 ed i lavori, terminati nel 1741. fecero assumere all’edificio l’aspetto che conservava tutt’oggi. Il circuito ellissoidale delle mura recinge la sommità di un colle, caratterizzato da oliveti a terrazzamenti, che emerge ai limiti sudest della valdichiana aretina in prossimità dei confini tra le province di Arezzo e Siena. Nella cronaca senese di Neri di Donato, relativa al 1371, risulta che “Le mura di Lucignano di Val di Chiana le fero il Comune di Siena, che non vi era mura, e fu operaio Andrea di Ghino Saracini e scontarongli i denari nelle tasse dei comuni d'intorno”; infatti nel 1370 i Lucignanesi avevano deciso di sottomettersi al patrocinio della vicina Repubblica Senese per ottenerne protezione. Ma la sistemazione del 1371 rispetta, almeno in parte, una struttura urbana consolidata tra la seconda metà del '200 ed i primi anni del '300. A dimostrazione di questo, nel cenotafio del vescovo aretino Guido Tarlati situato nel Duomo di Arezzo (risalente al 1330) in un pannello scolpito ad altorilievo, il paese di Lucignano è sintetizzato con una torre tra due edifici pubblici, racchiusi tra due porte collegate da un tratto di muro curvilineo. Dopo un breve periodo, a partire dal 1384, in cui la cittadina fu sottomessa alla Signoria di Firenze, i Lucignanesi nel 1390 si posero nuovamente sotto la giurisdizione di Siena e nell'accordo fra le parti fu stabilito, tra l'altro, di costruire la rocca che in pochi anni andò a completare il sistema difensivo urbano. In un'altra convenzione, risalente al 1440, è riportato che i Lucignanesi, per lo stato di indigenza in cui si trovavano a quell'epoca, ottennero di impiegare una La chiesa di San Giuseppe La piccola chiesa ha un impianto approssimativamente rettangolare, con un presbiterio irregolare, leggermentepronunciato all’esterno. La copertura a capanna poggia su tre volte a botte trasversali. la facciata, di gusto neoclassico, è intonacata, con paraste, cornici e portale ( con timpano) in laterizi. Nel timpano della facciata si apre una finestra con arco ribassato. All’interno si trovano alcuni dipinti del sec. XVII. Comune di Lucignano - PIANO STRUTTURALE 2004 - Quadro Conoscitivo - Relazione pag. 39 parte delle tasse dovute ai Senesi per restaurare le mura e le porte cittadine. I resti delle torri circolari, più o meno cospicui, visibili all'esterno del circuito murario, risalgono invece alla seconda metà del '400, costruiti a seguito dell'introduzione delle artiglierie. Secondo Guidoni-Marino il disegno delle mura e la collocazione delle porte rispondono ad una “ struttura ideale” nella quale ogni elemento concorre a formare “ un'unica immagine della cittadina rispondente ad ogni esigenza comunitaria.” La campana pubblica, posta sul Palazzo Pretorio, funge da baricentro rispetto alle porte, che risultano inscritte in un cerchio con diametro di 290 metri, analogamente a Monte San Savino, Forano ed altri centri della Valdichiana Senese. tutto sesto in pietra è affiancato da due simmetriche nicchie. La porta aveva in origine una copertura, poi franata, della quale restano poche tracce. L’ interruzione delle mura a sinistra di Porta S. Giovanni consente l'accesso alla piazzetta Ser Vanni, dalla quale si dipartono in concorso ellissoidale e via Valigiaia. La porta San Giusto, rivolta verso Siena, ha una pianta rettangolare, è saldata per tre lati nelle abitazioni, da una delle quali si può accedere alla terrazza di copertura, e risulta costituita da una muratura mista in pietra e mattoni. Il portale esterno, a tutto sesto, presenta un bugnato in arenaria grigia e reca sul fronte tracce di uno stemma mediceo (probabilmente risalente ai lavori promossi da Cosimo I nel 1568). distaccatasi nel 1965. La copertura è sorretta all'interno da una volta a botte intonacata e sono ancora visibili i cardini dell'antica porta. ristabilirne l'antica funzione. Questa costruzione, a pianta approssimativamente rettangolare, presenta una muratura in pietra con rifiniture in mattoni e una copertura a capanna. Il portale esterno, a tutto sesto, è sormontato da una prima finestra, sulla quale è impostata una nicchia, e più in alto è aperta una seconda finestra. Porta San Giusto Porta San Giovanni Le porte cittadine sono Porta San Giovanni (est), Porta San Giusto (sudovest) e Porta Murata nordovest). La Porta San Giovanni, detta anche del Filaio, presenta una pianta irregolare a cinque lati: è costituita da una muratura in pietra con rincalzi in mattoni e mostra residue tracce di intonaco. Il portale a Procedendo all'esterno di Porta S. Giovanni in senso orario lungo via di Circonvallazione ( anticamente detta in questo tratto Via delle Mura Ricche), si giunge, dopo alcuni metri ai resti ben conservati di una torre circolare. Questa, attualmente utilizzata a scopi residenziali, è costituita da una muratura in pietra con un breve basamento a scarpa e mostra alcune aperture disposte in maniera irregolare. Porta Murata Procedendo lungo il percorso di ponente, oltrepassati i giardini pubblici ottocenteschi e la Rocca, si giunge, dopo un tratto in pendenza, un tempo chiamato via delle Mura Povere, a Porta Murata, così detta perché chiusa probabilmente nel '500: attualmente è oggetto di interventi volti a Comune di Lucignano - PIANO STRUTTURALE 2004 - Quadro Conoscitivo - Relazione pag. 40 2.4 I BENI STORICOARCHITETTONICI ED EDILIZIA MINORI 2.4.1 LE ANTICHE CHIESE DI LUCIGNANO (a cura di Valerio Spadini, tratto dai Quaderni Lucignanesi, vol.1/2/3) Il tentativo di ricostruire il tessuto insediativo del passato sul territorio di Lucignano passa, sicuramente, attraverso l'indagine sulla presenza di chiese e comunità ecclesiastiche nelle cui vicinanze si trovavano abitati o antichi borghi che individuavano percorsi secolari. Di queste chiese, talora piccoli edifici di campagna, oggi non più esistenti (talvolta rimane il solo toponimo), si è cercato di ricostruire le vicende storiche e di darne, se possibile, una precisa collocazione sul territorio. L'esame del copioso materiale d'archivio ha evidenziato la presenza di numerose chiese o enti ecclesiastici oggi non più esistenti" in paese: S. Angelo vecchio S. Biagio Oratorio della S. Croce Oratorio di S. Rocco Oratorio del Corpus Domini fuori del paese: S. Felice a Sibiano S. Agata al Borgaccio S. Bartolomeo S. Fabiano e Sebastiano S Giorgio de Cerreto o Cerretello S. Liborio a Campoforte S. Lorenzo a Poschini S.Maria del Piano o/e di Crespignano S. Martino di Fabbriche S. Savino S. Smeraldo Abbazia di Castello Tra tutte le chiese elencare la più antica e la più importante, per numerosi secoli, è stata la Pieve di S. Felice, madre di tutte le altre chiese del territorio di Lucignano. Di questa tenteremo di ricostruire le vicende storiche, non prima, però, di aver dato un breve cenno sull'importanza delle pievi nel passato. L’organizzazione ecclesiastica antica era incentrata, nell’ Italia centro settentrionale, nel "sistema a pievi". Ogni pieve era a capo di una circoscrizione territoriale e ad essa spettavano importanti l'unzioni religiose, quali l'amministrazione del battesimo, il diritto di sepoltura e la riscossione delle decime e costituivano, inoltre, i centri sociali, politici e amministrativi del territorio di propria pertinenza. Come nuclei religiosi, ad esse erano sottoposte un certo numero di chiese, spesso semplici oratori di campagna legati talvolta a borghi scarsamente popolati, ed erano normalmente localizzate al di fuori dei centri abitati. Era essenziale, infatti, la centralità della loro posizione nell'ambito di un territorio o della popolazione che gravitava in una certa regione affinché tutti vi si potessero recare senza difficoltà. Era, quindi, importante che fossero ben raggiungibili e ubicate lungo quei percorsi che collegavano i centri urbani di maggior rilevanza e lungo i quali si trovavano anche altre pievi. A tale scopo, si riportano, sinteticamente, alcune opinioni degli studiosi che si sono occupati della viabilità del nostro territorio, rimandando coloro che fossero interessati ad un'informazione più puntuale alle opere elencate in nota. La Valdichiana era solcata in senso longitudinale da una tra le più importanti strade romane: la Cassia Vetus. In seguito, una sua diramazione, la Cassia Adrianea, che prendeva origine dai confini del territorio di Chiusi, acquistò presto un peso e un rilievo sempre maggiore. Lopes Regna riteneva che la Cassia Adrianea, così chiamata perché ratta costruire dall'imperatore Adriano nel 123 d. C., dopo Bettolio percorresse la valle dell'Esse fino alla pieve di S. Felice e ancora lungo l'Esse per Monte S. Savmo, S. Pancrazio ecc. Tale itinerario fu sostanzialmente condiviso da altri Autori, quali D. Sterpos e A. Tracchi. Da tali considerazioni si allontana Maroni per il quale un ramo della Cassia, e non la Cassia Adrianea, da Foiano, lungo il crinale arrivava fino a Marciano alla Pieve di S. Pietro e quindi a quella di S. Savino lasciando isolata la Pieve di S. Felice Infine Baco parlando della Cassia Adrianea indica quale strada traversa romana dopo Capannole il percorso Badia a Ruoti, Palazzuolo, Calciane, Montepulciano. Interessante è anche l'analisi territoriale effettuata da Cataldi e Lavagnino che pone Lucignano sull'intersezione di una percorrenza longitudinale, probabilmente un diverticolo mediano della Cassia per Firenze, e una trasversale, quella Comune di Lucignano - PIANO STRUTTURALE 2004 - Quadro Conoscitivo - Relazione pag. 41 proveniente dal ponte di Asciano, sull'Ombrone, per Castiglion Fiorentino o Cortona. E’ suggestivo pensare che all'incrocio tra queste due strade, la prima proveniente da Roma per Firenze, la seconda diretta dagli antichi centri costieri etruschi verso i nuclei urbani più importanti della valle, come Cortona e Castiglion Fiorentino, fosse eretta la primitiva chiesa battesimale di S. Felice, m prossimità dell'abitato di Sibiano'". La Pieve di S. Felice L'antica Pieve di S. Felice a Sibiano, oggi S.Biagio alla Pieve Vecchia di Lucignano, della quale non è rimasto, almeno in apparenza, alcuna traccia, è sicuramente il più antico luogo di culto cristiano del territorio. Sorse in un'area dove furono presenti insediamenti etrusco-romani e, come già detto, lungo uno degli antichi percorsi che in quei tempi solcavano la Valdichiana. Per queste strade giunsero in Toscana i primi evangelizzatori e anche S. Felice, scacciato da Roma nel 357 d. C., giunse a Sibiano, antico vico situato ai piedi del colle di Lucignano dove, insieme al Beato Celestino, convertì la popolazione alla fede cristiana. Questa prima notizia, per quanto indicativa, fa luce sulla reale antichità della Pieve. Un ulteriore indizio sulla vetustà di questa chiesa battesimale può derivare dalla sua ubicazione. Le pievi paleocristiane, infatti, edificate non più tardi della metà del primo millennio, erano solitamente collocate ai piedi dei colli. Nell'epoca feudale la scarsa sicurezza della vita nei piani, specialmente in Valdichiana, divenuta una gran palude ammorbata dalla malaria, costrinse la popolazione a rifugiarsi sulle colline e sui monti. Così, con i fedeli, si spostarono anche le chiese. Un altro fatto di notevole interesse fu la scoperta, fatta nel 1900, a poca distanza dalla Pieve, di un sarcofago marmoreo posto dentro una colletta sepolcrale. Tale reperto, databile intorno alla metà del IV secolo, conservava ai lati delle rappresentazioni di tipo agreste. Da una parte vi era raffigurata la raccolta delle mele e dall'altra la battitura del grano mediante i cavalli.. Questo ritrovamento costituirebbe, a detta degli studiosi, il più antico reperto cristiano di tutta la Diocesi d'Arezzo, anche se, come dice il Gamurrini, queste rappresentazioni si ripetono nei sarcofagi cristiani, ma non ci danno il pieno diritto di credere questo cristiano.. certamente paleocristiana e sorse in un'area d'insediamenti etrusco-romani. Lo stesso autore, nel suo ultimo volume sulle Pievi della Diocesi aretina, conferma il passaggio della Cassia Adrianea nel territorio della Pieve di S. Felice. Benché non vi sia certezza, è da ritenere che nel IV secolo si venne a creare la prima comunità cristiana nel nostro territorio, il che ci fa ipotizzare l'esistenza di un'antichissima chiesa battesimale della quale purtroppo non potremo mai avere notizie. L'esame del sottosuolo, auspicato anche da Tafi potrebbe rivelare tracce di fondamentale importanza per la ricostruzione storico - architettonica della Pieve di S. Felice e delle sue vicende. Riguardo al santo titolare mentre alcuni studiosi suppongono che si tratti di S. Felice di Nola, altri, come Maroni, ad esempio, pensano che si tratti di S. Felice martire di Falerii. La tradizione orale e le notizie del Nardini e del Dini ritengono che si tratti di S. Felice II Papa, o meglio antipapa, che scacciato da Roma alla metà del IV secolo, epoca che riporta puntualmente al sarcofago rinvenuto nei pressi della Pieve, fu il primo evangelizzatore dei popoli della Toscana. Notizie Storiche Pieve Vecchia - Chiesa e antica Torre Tafi ritiene che debba trattarsi di una chiesa molto antica: Quella di S. Felice a Lucignano in vocabolo "Pieve Vecchia", di cui non rimangono tracce visibili (ma non è stato eseguito alcun esame archeologico della chiesa attuale), e Le prime notizie certe che abbiamo sulla Pieve di S. Felice in Sibiano, sono del 1016,e si riferiscono alla donazione di un pezzo di terra situata nei pressi di Nasciano, territorio che in quei tempi era compreso nel piviere di S.Felice. Numerosi altri documenti, datati tra il XI e il XII secolo forniscono interessanti informazioni sul territorio che costituiva il piviere di S. Felice e che si estendeva ben aldilà degli attuali confini comunali. Vengono registrate come pertinenti a tale piviere le località di Nasciano, S. Quirico a le Rose, Paterno, la Selce, Felciaio, tutte situate lungo il crinale che unisce Foiano con gli abitati di Pozzo e Marciano e che oggi fanno parte del comune di Foiano. Si ricorda inoltre che verso la fine del XV secolo la comunità di Lucignano possedeva ancora delle terre aldilà del torrente Esse. Sin dall'inizio del XII secolo non si ritrova più nessuna citazione della Pieve di S. Felice a Sibiano, e compare, sempre più frequentemente, il toponimo Lucignano, peraltro presente anche in precedenza. Le cause della perdita d'importanza della Pieve di S. Felice sono, sicuramente, dovute a due ragioni fondamentali. La prima, d'ordine generale, è connessa con il fenomeno che si verificò a partire dall'anno mille e che è definito incastellamento. La crescente importanza che gli abitati e i castelli, situati nell'alto dei colli, andavano acquistando fecero si che anche le Pievi si spostassero dal piano verso il colle. Tale fenomeno è ben documentato anche per i centri vicini a Lucignano come Monte San Savino, Foiano, Castiglion Fiorentino, Marciano, Sinalunga ecc., dove le vecchie pievi, situate nel piano, ad una certa distanza dal centro abitato, vennero abbandonate a favore delle nuove, erette all'interno del castello. La seconda è da imputarsi all' impaludamento che, sin dal mille, cominciò ad interessare tutta la Valdichiana e, in maniera affatto marginale o trascurabile, anche il corso dei torrenti Esse e Leprone che divenuti, larghi e profondi, impedirono le Comune di Lucignano - PIANO STRUTTURALE 2004 - Quadro Conoscitivo - Relazione pag. 42 comunicazioni che, fin dall'antichità, erano facile collegamento per tutta la valle e avevano consentito alle genti” al di là dal Fiume” di recarsi alla Pieve di S, Felice. L'abitato di Sibiano subì quindi un veloce declino subito dopo il mille anche se la Pieve rimase sede del fonte battesimale, almeno ufficialmente, fino al XV secolo. ancora alla visita fatta al tempo del vescovo Acciaioli nel 1468. I lavori furono concessi al muratore Carlo di Orazione, come sovrintendente ai lavori fu nominato Pietro Bruni, il quale fece trasportare una campana e le due porticine della sagrestia dalla vecchia chiesa di S. Biagio alla nuova. Descrizione della Chiesa La prioria di San Biagio Il 28 luglio 1783, con decreto vescovile, fu soppressa la prioria di S. Biagio che era dentro Lucignano e fu in seguito trasferita, con il medesimo titolo, alla Pieve Vecchia ripartendo nel modo seguente il territorio: case Abitanti S. Michele Arcangelo 458 1698 S. Biagio alla Pieve 104 650 S. Maria della Querce 76 413 2761 Totale al 1789 634 La chiesa di S. Biagio era posta in Lucignano, ed ancora oggi è rimasto come suo ricordo, la costa omonima. Non abbiamo notizie certe sulla sua fondazione, ma è presumibile che si tratti di una chiesa tarda, costruirà sicuramente intorno o dopo il mille. In seguito alla soppressione di questa chiesa, la Cappella dei SS. Fabiano e Sebastiano venne trasportata alla Pieve, mentre quella del Carmine fu sistemata nell'oratorio della SS. Nunziata. Fino al 1788 le funzioni religiose erano celebrare in quest'ultimo oratorio, perché anticamente era compreso nella cura di S. Biagio. Le prime notizie che abbiamo si devono La chiesa attuale è ciò che rimane dell'antica pieve romanica in seguito al restauro della fine del XVI11 secolo. Unico elemento di sicura datazione è la torre campanaria, del XII secolo piuttosto semplice, a sezione quadrata, che rappresenta uno dei pochi esempi di questo genere riferibili il romanico e andrebbe quindi rigorosamente conservata. Il paramento è costituito da filaretti di piccoli conci di pietra calcarea locale e si distingue nettamente da quello delle navate. La parte superiore del campanile è stata rimaneggiata alla fine del settecento, nel 1830 quando vi furono sistemate due nuove campane. Un attento osservatore potrà individuare, all'interno dell'edificio, alcune tracce dell'antica chiesa, anche se scarsamente visibili e inadeguate per poter delineare la vicenda stonco-architettonica dell’ edificio. Tali particolarità, ancor oggi evidenti, sono costituite dalla asimmetria delle pareti che ricalcano le strutture più antiche, come si può desumere anche dai disegni dell' ingegnere Bernardino della Porta dei nel 1783 progettò la nuova canonica e allegò una ampia relazione sul restauro della vecchia chiesa. Sempre dall'interno si possono osservare, specialmente con la luce radente, le arcate della navata di destra e i pilastri che le dividevano. Intatti, la chiesa romanica era a tre navate, suddivisa forse in quattro campate, a pianta quadrata, ma non sappiamo se vi fossero delle absidi. L'impianto di forma quadrata, o comunque a scarso sviluppo longitudinale, è diffuso anche in altre chiese aretine anteriori al periodo del romanico maturo. Anche i pilastri, che hanno una sezione rettangolare, mostrano una certa analogia con quelli di alcune chiese costruite intorno al mille. Il paramento originario si conserva, forse, nella sola parete della navata destra ed è composto da una muratura piuttosto primitiva a corsi subparalleli di bozze di alberese. La parete posteriore della chiesa, visibile all'esterno, è anch’e ssa costituita da corsi paralleli o subparalleli di conci rettangolari, abbastanza ben squadrati, diversi da quelli della parete destra e del campanile. Facciata e campanile della chiesa di S.Biagio Proseguendo il viaggio nel territorio del comune alla riscoperta, degli antichi edifici religiosi oggi non più esistenti, prenderemo in esame le chiese situate lungo uno dei tragitti che ancor oggi circonda la collina di Lucignano: quello che, partendo da Santa Maria lungo la Via delle Chiese, attraversa l'abitato della Croce, e per la località detta Santo Smeraldo, dove era situata l'omonima chiesa, prosegue verso la Pieve di S. Felice. Continuando poi lungo il crinale di Poschini, a poca distanza dalla Pieve Vecchia, in località Cerretello, si trovava la chiesa di S. Giorgio, Quindi le chiese di S. Lorenzo a Poschini, S. Martino di Fabbriche e infine S. Agata al Borgaccio. Queste chiesene erano disposte intorno alla collina di Lucignano m modo da coprire completamente il percorso in una Comune di Lucignano - PIANO STRUTTURALE 2004 - Quadro Conoscitivo - Relazione pag. 43 sorta di itinerario circolare, quasi che ci tosse stato un progetto pianificatore o organizzativo alla base. In generale erano costruite all'incrocio con i percorsi che si irradiavano dal castello di Lucignano e si dirigevano verso gli altri centri della valle(Marciano, Foiano ecc.), La presenza di chiese in luoghi oggi scarsamente abitati o lungo percorsi assai attualmente poco frequentati evidenzia, innanzi tutto, quanto diversa fosse la viabilità antica nel nostro territorio e, forse, l'importanza di strade oggi divenute secondane. Si trattava, in genere, di piccole chiesette, che, nella maggior parte dei casi, sono scomparse prima della seconda metà del secolo XVI, periodo che segna un generale rinnovamento del culto e degli edifici. Per questo motivo le notizie che riguardano le vicende di questi oratori sono molto scarse ed in genere limitate solo a brevi citazioni nelle varie visite pastorali effettuate nel corso del XVI secolo, documenti dai quali sono state ricavate quasi tutte le notizie riportate di seguito. Prospetto della nuova chiesa di S. Biagio e della canonica eseguito dall’ingegnere granducale Bernardino della Porta S. Maria di Crespignano, S. Maria del Mercatale e S. Maria del Piano Il primo riferimento alla chiesa di S. Maria è del 1274/75.. Doveva trattarsi, indubbiamente,di una chisa antichissima, come in genere lo sono tutte quelle dedicate a Maria.Nei periodi successivi troviamo riportati con lo stesso titolo tre diversi enti, chiese o oratori: S. Maria del Piano S. Maria di Crespignano e Santa Maria del Mercatale. Per comprendere i rapporti che legano queste chiese occorre fare una breve analisi delle vicende che le hanno caratterizzate. Nel caso di S. Maria del Mercatale, viene in aiuto il toponimo. Il Mercatale, luogo in cui si svolgevano i mercati, era situato fuori della porta S. Giusto, dove oggi vi sono i giardini pubblici e dove si sono tenute Fiere e mercati di animali fino al primo dopoguerra. La chiesa era ubicata nella parte bassa, chiamata dai lucignanesi "la Pinetina" . Nel 1468, al tempo della visita del vescovo Lorenzo degli Acciaiuoli, la chiesa viene citata semplicemente come S. Maria fuori della porta di Castiflione. Apprendiamo, inoltre, da altri documenti conservati sempre nell’archivio della curia vescovile di Arczzo, che in Lucignano esistevano due chiese: quella di Santa Maria di Crespignano dove era situata la cappella di S.Giacomo e Cristoforo e la chiesa di S.Maria del Piano dove era situata la cappella di S. Giovanni. Dal titolo di quest'ultima chiesa prese nome, in seguito l’ abitato circostante, denominazione che conserva ancor oggi la trazione omonima. Il resoconto di una visita pastorale successiva, quella del vescovo Minerbetti del 30 novembre 1549, riporta che la chiesa di S. Maria di Crespignano, che al momento coincideva con quella di S. Maria del Mercatale, è identificata con quella situata nei pressi della porta S. Giusto, ma il resoconto della visita pastorale del 1573 precisa che esisteva a Lucignano S. Maria di Crespignano distante mezzo miglio circa dal paese e quindi non poteva trattarsi della chiesa fuori della porta di S. Giusto ma ci si doveva riferire alla chiesa di S. Maria del Piano. Da quanto detto possiamo desumere quindi che vi erano due diversi edifici religiosi con lo stesso titolo. Il primo, S. Maria del Piano, posto nella frazione di S. Maria e il secondo, S Mercatale fuori della Porta S. Giusto ed una cura intitolata a S. Maria di Crespignano, che aveva sede ora nell' una ora nell'altra chiesa. Circa 30 anni più tardi dalla distruzione della chiesa di S. Maria del Mercatale, avvenuta poco prima della guerra di Siena, ma quasi sicuramente per le vicende ad essa collegate, venne eseguita la visita apostolica del 1583, dalla quale si evince che, una volta distrutta la chiesa di Santa Maria del Mercatale, nel 1552, all'epoca degli scontri tra senesi e fiorentini, questa non venne ricostruita e che nel 1583 il visitatore apostolico ordinò al rettore della chiesa di distruggere la chiesa di S. Maria del Crespignano (che in quel momento coincideva con S. Maria del Piano) e di riedificare, con lo stesso materiale della porta S. Giusto, la chiesa nuova di S. Maria del Mercatale. In seguito, la cura d'anime non avrà sede definitiva. All'inizio del XVII secolo la troviamo nella chiesa detta del Battesimo Vecchio. Dalla visita pastorale del vescovo Salviati 1657, apprendiamo che in quel tempo, la chiesa S. Maria di Crespignano era distrutta. E' molto probabile che essa non fosse più ricostruita. L'ultima notizia è del 1700 ed era ancora annessa alla Collegiata, ma non sappiamo quando fu soppressa. Invece, l'ultima notizia che abbiamo della chiesa di S. Maria del Piano ci viene fornita dalla visita pastorale del vescovo Marcacci, nel 1783. S. Smeraldo A circa un miglio dalla Pieve di S. Felice sorgeva la chiesa di S. Smeraldo, sicuramente una tra le più antiche del nostro territorio, ma della quale ignoriamo il periodo esatto di fondazione. Una delle prime citazioni è riportata nel libro dei censi delle chiese soggette all'abbazia di Farneta del 1238. Dalle visite pastorali del secolo XVI risulta che la chiesa aveva un beneficio di circa 100 staia di grano e, nel 1583, il visitatore apostolico ordinò, secondo una prassi consueta, di rifare il pavimento e di Imbiancare le pareti. Nel 1638, quando Urbano VIII elevò la chiesa di S. Michele Arcangelo alla dignità di Collegiata le rendite di questa chiesa, insieme a quelle di S. Maria, S. Martino, S. Felice, ecc. furono incorporate in quelle della Collegiata per il sostentamento dei numerosi canonici. Dal catasto lorenese del 1823 è possibile ricavare alcune significative e preziose informazioni sulla forma, sull'orienta mento e sulla struttura dell'edificio. Comune di Lucignano - PIANO STRUTTURALE 2004 - Quadro Conoscitivo - Relazione pag. 44 La chiesa era caratterizzata da una pianta rettangolare, con una sola abside, disposta verso est, come in genere lo erano quelle delle chiese molto antiche. Della millenaria chiesa di S. Smeraldo oggi non rimane più niente. I resti, non più visibili, giacciono nascosti sotto la strada delle Corti. Rimane solo il toponimo e la fonte detta “beratoio di S. Smeraldo”. S. Lorenzo a Poschini La prima citazione del toponimo Pochini si ha nell'XI secolo. Durante la visita pastorale del 1468 non venne effettuata la visita per l'assenza del rettore Marzio Bernardi di Arezzo. Nessun altra notizia è stata ritrovata sulla chiesa di S. Lorenzo, nè conosciamo il luogo della sua ubicazione. E' probabile che la chiesa rosse situata all'incrocio tra la strade che corre sul crinale dei Pochini e quella che scendendo da Lucignano si dirige in direzione di Marciano. In questo luogo vi è una maestà, recentemente restaurata, che potrebbe essere indicativa del luogo ove sorgeva la chiesa. S. Agata al Borraccio La chiesa di S. Agata, pur non essendo citata in nessun decimarlo, era certamente molto antica. La titolarità di un edificio religioso è una delle indicazioni che consente di risalire, con maggior precisione, alla paternità e, quindi, all'antichità di una chiesa. Sapendo perciò che prima i Goti e poi i Longobardi dedicarono un gran numero di chiese a S. Agata, possiamo sostenere che la chiesa del Borgaccio fu costruita probabilmente tra il V e l'VIII secolo. Di questa santa troviamo due buone raffigurazioni: una nella chiesa di S. Francesco e l'altra nella lunetta della sala capitolare, oggi Museo Civico, di Lucignano. Sappiamo, inoltre, dagli statuti, che per tutto il medioevo essa fu considerata una dei santi protettori della nostra comunità. Il toponimo Borgaccio, denuncia la presenza di un abitato antico, che si trovava lungo uno dei percorsi che si inoltravano tra le valli dei torrenti Vescina e Scerpella, toccando località interessate da antiche comunità religiose. Inoltre, da Campoforte, attraversando il erritorio di Vitiano si raggiunge ancor del 1592 si legge che non si è visitata la oggi il podere Cappannelle, che si trova lungo il tracciato per la Maremmana, cioè lungo uno di quei tragitti che venivano percorsi dalle greggi che ogni anno dall'Appennino seguivano il lungo cammino fino alla cosca tirrenica. Attualmente il gruppo di case dove sicuramente si trovava questa chiesa, a poca distanza dalla Fonte dei Pizzi e dal torrente Vescina, viene detto Santa Gata. La visita pastorale del vescovo Acciaioli del 1468 evidenzia la precarietà dell'edificio. Nella visita pastorale di Mons. Usimbardi del 1592 si legge che non si è visitata la chiesa di S.Agata per essere disfatta più tempo fa. I rudere erano però ancora presenti nel 1720. Attualmente non sono riconoscibili resti o rovine che possano rilevare con sicurezza l’ubicazione precisa di questa chiesa. S.Martino di Fabbriche S.Giorgio al Cerretello La chiesa di S. Martino è citata per la prima volta nella decima del 1302. Sebbene si ritenesse che il culto del santo francese, vescovo di Tours, fosse stato introdotto dai Franchi di Carlo Magno e quindi intorno al secolo VIII-IX vi e chi ritiene che sia giunto in Italia ancora prima, probabilmente prima dell' invasione longobarda. Si tratta comunque di una chiesa molto antica. Le prime notizie le possiamo ricavare dalla visita pastorale del 1468. Scarse le notizie recuperate. Sappiamo che nel 1543 tu annessa al convento che i Serviti avevano a Lucignano e in seguito le rendite della chiesa di S. Martino e quelle del nuovo convento della Madonna della Querce quando i Servi di Maria ne presero possesso. Nel 1583 la chiesa era completamente in rovina. Si ignora l'esatta ubicazione della chiesa dedicata a S. Martino e non è rimasto neppure il toponimo che, come al solito, sarebbe stato indicativo per conoscere il luogo della sua costruzione. Rimane, tuttavia, nella zona di Fabbriche, il toponimo "Podere della Madonna" nei pressi del quale vi è una cappella campestre, che potrebbe indicare la posizione nella quale sorse l'antica chiesa di S. Martino. Nella stessa zona, all'interno della Villa di Fabbriche, i Griffoli fecero erigere una chiesetta, nella quale trovarono sepoltura tutti i membri della famiglia a partire dalla fine del '700, epoca di costruzione della cappella dedicata a S. Giuseppe, che però non ha nulla a che vedere con l'antica chiesa. Di questa chiesa il Repetti riporta quanto segue: Cerretello di Lucignano in Val di Chiana. Vico, dove fu una chiesa ( S.Giorgio di Cerreto) filiale della distrutta pieve di Ficareto, stata annessa già da molti secoli alla parrocchia di S. Biagio alla Pievevecchia sotto Lucignano nella comunità ecc. Non è stata effettuata alcuna ricerca in proposito Comune di Lucignano - PIANO STRUTTURALE 2004 - Quadro Conoscitivo - Relazione pag. 45 LOCALIZZAZIONE DELLE CHIESE E DEGLI ORATORI 1 Santa Maria del Piano 2 Oratorio della Croce 3 San Smeraldo 4 Pieve di San Felice 5 San Biagio al Cerretello 6 San Lorenzo ai Poschini 7 San Martino di Fabbriche 8 San Agata al Borgaccio Comune di Lucignano - PIANO STRUTTURALE 2004 - Quadro Conoscitivo - Relazione pag. 46 2.4.2 TABERNACOLI E MAESTA’ (a cura di Franca Acquisti e Antonietta Vivolo, tratto dai Quaderni Lucignanesi vol.1) Nell'anno scolastico 1992/93, le classi II A e II C della Scuola media "G. Rigatini" di Lucignano hanno effettuato una ricerca sul rema "Tabernacoli e Maestà nel territorio di Lucignano". La ricerca è scaturita dalla curiosità suscitata in alunni e docenti dalla presenza di numerose Maestà e tabernacoli situati lungo le strade o sulle facciate delle case ed anche dalla testimonianza di numerosi toponimi con riferimenti religiosi, quali: Maestà rotta. Maestà dei Mori. Podere della Madonna, Santo Pietro ecc. E nato, così, il desiderio di avviare una ricerca per ottenere informazioni sul loro significato storico e culturale. Pertanto è stato effettuato effettuare un censimento, il più capillare possibile di maestà, cippi, tabernacoli, elementi murali, esistenti nel territorio, con l'intento di sottoporli all'opinione pubblica, m modo da sottrarli all'incuria e spesso alla distruzione com'è accaduto e sta ancora accadendo in questi ultimi anni. Metodologia L'indagine è stata un'esperienza a classi aperte, condotta in due classi, di seconda, assai eterogenee e di diverso indirizzo. Con l'aiuto d'alcuni dizionari sono stati, innanzi tutto, chiariti i termini di maestà, cippo, cappella, tabernacolo, edicola, in modo da poter classificare le testimonianze raccolte. Maestà = Nell'iconografia cristiana, immagine della Trinità, del Cristo e della Vergine intorno vista di fronte oppure piccola cappella o edicola contenente un'immagine sacra eretta lungo una strada (nel nostro dialetto vengono chiamate anche Madonnini). Cippo = tronco di colonna o di pilastro eretto a scopo celebrativo. Tabernacolo = edicola, cappella, nella quale si conservano immagini di santi. Edicola = dimora sacra, piccola costruzione, indipendente o annessa ad un edificio maggiore che contiene una statua o un'immagine sacra. Nicchia = cavità praticata nello spessore di un muro, di forma cilindrica ad asse verticale, con funzione decorativa. Cappella = piccola chiesa, sia isolata, sia adiacente, sia incorporata in altro edificio sacro; tabernacolo, con immagine sacra, eretto per lo più a scopo votivo e commemorativo. Il termine di maestà, legata alla presenza d'una immagine sacra, è stato spesso esteso, nella cultura popolare, al manufatto che contiene l'immagine sacra, indipendentemente dalle sue caratteristiche architettoniche. Per le difficoltà nel classificare in maniera univoca gli elementi rilevati, nel corso della ricerca, sono state raggruppate in edicole, tabernacoli (o nicchie) e cappelle, ritenendo la denominazione maestà come generica e attribuibile a tutti i manufatti in genere. Con il termine edicola ci si riferisce a quello che nella tradizione popolare s'identifica col nome di madonnino, cioè un manufatto in pietra o mattoni, isolato, posto al limitare della strada. Con tabernacolo ad un elemento murale, inserito nella facciata delle case, che ricorda la forma del tabernacolo dell'altare. Con cappella, invece, ad una piccola costruzione simile ad una chiesa, aperta, con uno spazio interno ben definito, spesso con la presenza di un piccolo altare. Nella prima fase del lavoro gruppi di alunni hanno indagato nel raggio di circa 1500 m dalla loro abitazione, fotografando elementi significativi ed effettuando interviste circa la data di costruzione, le caratteristiche, la presenza nella stessa zona di precedenti luoghi di culto. Ciò ha permesso di evidenziare le zone più interessanti ai fini della ricerca e dì effettuare alcune uscire di gruppo nella zona del Rosario, Villino, Maestà dei Mori e Campoforte, Paganoro. Una volta avuto a disposizione il materiale, il lavoro si è svolto in classe, con la scelta delle foto migliori, il confronto delle vane interviste e la compilazione di una scheda di rilevazione per ciascun elemento, e la sua collocazione nella carta topografica del territorio. Sono stati censiti in tutto 70 esemplari di cui 17 nel centro storico e 53 nelle campagne, fra quelli in buono stato, quelli restaurati e quelli semi abbandonati. Dopo averli suddivisi per itinerari geografici e stradali, è emerso che, per ciò che concerne il centro storico, la zona più rappresentativa è costituita da Via Roma, anticamente detta Borgo Povero, mentre altre testimonianze sono presenti nei vicoli adiacenti la Collegiata, Via Matteotti, già detto Borgo Ricco, ne risulta, invece, del rutto priva. Ciò ha indotto ad una prima considerazione; il culto dell'immagine posta sulla facciata delle case trovava più proseliti tra i poveri in cui i bisogni quotidiani stimolavano un rapporto più immediato e vicino al sacro. Nelle campagne la presenza di maestà è quasi omogenea, tranne un numero minore nella zona della Croce con la presenza di soli sette elementi tuttavia tra questi è da annoverare uno dei più significativi situato in località Fornace. Sotto l'aspetto artistico e stilistico, queste edicole e anche i tabernacoli sulle case risultano piuttosto semplici e poveri e ciò ci riporta alla considerazione di un culto legato ai ceti inferiori della popolazione. Nelle campagne si evidenzia anche la presenza di 4 cappelle situate in località Rosario, Crocifisso, Ancano, Matressa. Cappella del Rosario Sono presenti inoltre 13 edicole situate agli incroci di alcune strade, oggi secondarie, ma nel passato importanti vie di comunicazioni. Un esempio in questo senso è la fonte di Campoforte, con relativa Comune di Lucignano - PIANO STRUTTURALE 2004 - Quadro Conoscitivo - Relazione pag. 47 maestà, lavatoio, abbeveratoio, pergola con panche in pietra per la sosta del viandante. E’ stata rilevata la presenza di un unico cippo, in pietra recante una maiolica della Madonna di Pompei, posto in località Santa Maria, poco prima del confine con la provincia di Siena. Nel centro storico hanno un certo valore artistico il tabernacolo di Via Roma, al n. 8, un dipinto su tela raffigurante la Madonna addolorata, databile tra la fine del XVII e l'inizio del XVIII secolo, la nicchia affrescata, che raffigura S. Michele Arcangelo, posta sulla tacciata della canonica in Via S.Giuseppe, al n. 1, ed il tabernacolo situato in Via del Mattatoio interamente ricostruito, dopo l'ampliamento della strada, e recante un dipinto su legno risalente al 1769 come porta scritto la lapide ivi apposta. Nelle campagne, oltre a quelle già citate sono degne di considerazione: la maestà dei Poschini, costruita su un antico pozzo, probabilmente nei pressi dell'antica chiesa di S. Lorenzo, di cui rimane solo il ricordo tramandato per varie generazioni; la Madonna dell’ Ancano situata in località omonima, che da il nome anche al retrostante podere, detto appunto Podere della Madonna; la chiesa del Rosario (località omonima) luogo di culto fino ad alcuni decenni fa ed attualmente in stato di totale abbandono. Significativo un elemento murale in travertino situato in località Borgonuovo ed eseguito a mano nel 1947 da uno scalpellino di Serre di Rapolano, ed in ultimo l'unico tabernacolo posto all'interno dell'abitazione, m quella che era la cucina, situato in località Certicone. Cappella situata nel podere della Madonna Il tabernacolo più recente rilevato nel corso della ricerca è stato costruito nel 1993 in località Certicone 116/A dal Signor Gino Accanisti, che ha voluto così proseguire quest' antica tradizione. Prevalgono raffigurazioni dell’ “Immacolata Concezione” o immagini della Madonna con Bambino. Seguono solo tre della Madonna del Conforto, due raffigurazioni della Madonna delle Vertighe, due della Madonna di Pompei , un unico esemplare della Madonna di Loreto e uno della Madonna delle Sette Spade. Sono state rilevate solo due immagini di santi: un S. Antonio da Padova in località Campoleone, 54 e un san Michele Arcangelo in località Borgonovo e un Sacro Cuore di Gesù al n°24 di vicolo del Pellegrino. Da rimarcare, però, che spesso l'immagine sacra è scomparsa: talvolta per incuria, spesso per alimentare una forma di collezionismo oggi assai in voga, ma piuttosto discutibile. I materiali con cui sono state realizzate le immagini sacre sono diversi. Si tratta nella maggioranza dei casi di formelle in maiolica di varie dimensioni e forma, ma esistono elementi tridimensionali (statuette) realizzati in terracotta, gesso ed anche plastica. Non mancano, tuttavia, materiali disparati e più pregiati che evidenziano una diversa condizione della famiglia che ha Fatto dono dell'immagine (olio su tela raffigurante la Madonna delle Sette Spade, al n 8 di Via Roma, ad esempio) o legati ad eventi particolari come il tabernacolo che contiene una tavola su cui è raffigurata la Madonna con Bambino realizzato m occasione della visita del 1769 del granduca Pietro Leopoldo a Lucignano. Edicola contenete una maiolica raffigurante la Madonna del Conforto, in località Poschini Elenco: Centro storico x Via Roma n. 8: dipinto su tela raffigurante la Modana Addolorata ( Madonna delle 7 spade) risalente alla fine del 1600 o agli inizi del 1700, in buono stato di conservazione x Via Roma n. 40: vuoto x Via Roma n. 45: terracotta raffigurante la Madonna del Conforto. x Porta Murata: vuoto x Via Roma n. 105: vuoto x Via Roma n. 123: statuetta in plastica dell’ Immacolata Concezione. x Costa S. Biagio n. 3: vuoto. x Piazza ser Vanni: statua in gesso della Madonna con Bambino, risalente probabilmente al XVIII secolo, in buono stato di conservazione. x Costa del Valigia: affresco molto deteriorato. x Interno Convento di S. Francesco (Scuola Media): maiolica raffigurante la Madonna del Conforto. x Via della Misericordia n. 2: mattonella ricordo con immagine della Madonna di Loreto. x Gradinate di S. Giuseppe n.6: vuoto. x Via S. Giuseppe n. 1: affresco raffigurante San Michele Arcangelo, risalente probabilmente al 700, recentemente restaurato. x Vicolo del Pellegrino n. 27: Comune di Lucignano - PIANO STRUTTURALE 2004 - Quadro Conoscitivo - Relazione pag. 48 statuetta in gesso dell'Immacolata. x Vicolo del Pellegrino n. 24/26; maiolica del Sacro Cuore di Gesù. x Costa della Collegiata n.10: terracotta della Madonna di Loreto risalente al 1930. x Via Circonvallazione n. 21: vuoto. Campagna x Mattatoio, di fronte al n.2, tavola recentemente restaurata, risalente al 1769. x Via della Concia n. 6: vuoto. x Cappuccini (muro esterno del Convento): tabernacoli, oggi vuoti. x Loc. Montalgallo: Madonna Immacolata. x Loc. Pieve Vecchia, 1 : vuoto x Loc. Pieve Vecchia, 2: edicola posta all'incrocio con la strada di Marciano, contiene un affresco corrotto dal tempo, quasi certamente raffigurante la Madonna del Conforto o delle Vertighe. x Loc. Pieve Vecchia 4: piccola edicola posta all'interno del giardino di una abitazione contenente una statuetta in gesso della Madonna Immacolata x Loc. Pieve Vecchia, 5: edicola posta all'interno del giardino dell'abitazione, contenente una statua in gesso dell'Immacolata x Loc. Pieve Vecchia, 6: edicola risalente al XVII secolo, in pietra, contenente una statua in gesso della Madonna Immacolata. x Loc. Scerpella: vuoto. x Loc. Scerpella: vuoto x Loc. Casone Scerpella: vuoto x Via della Misericordia: edicola situata all'interno del giardino dell'abitazione, contenente una statuetta in gesso della Madonna Immacolata. x Loc. Pochini n. 61: maiolica applicata sul muro dell'abitazione raffigurante la Madonna di Pompei. x Loc. Poschini: edicola restaurata di recente, eretta, probabilmente, nella zona in cui sorgeva nei secoli scorsi un'antica chiesa di San Lorenzo a Poschini di cui si sono perse le tracce, contiene un'immagine della Madonna del Conforto. x Loc. Ancano: cappellina restaurata nel 1993, costruita sulla strada adiacente il podere della Madonna. x Loc. S. Pietro III: edicola di costruzione abbastanza recente, con terracotta raffigurante la Madonna in trono. x Loc. Paganoro: edicola d'antica costruzione con terracotta recente Loc. Matressa: piccola cappella, costruita dopo la II guerra mondiale da un devoto in segno di ringraziamento per lo scampato pencolo, oggi molto deteriorata. x Loc. Marcona: vuoto. x Loc. La Cava: vuoto. x Via Mazzini: costruito nel 1963 m una colonna del cancello d'ingresso all'abitazione, contiene una maiolica raffigurante la Madonna delle Vertighe. x Loc. Crocifisso: cappella con x x x x x x x x x x x x x x x x x immagine del Crocifisso. Loc. le Cadute: statuetta in gesso dell'Immacolata. Loc. la Querce: vuoto. Loc. Calcione: edicola con quattro nicchie, contenenti bassorilievi su gesso molto deteriorati. Loc. Farneta: cippo con maiolica raffigurante la Madonna di Pompei. Loc. Campoleone n. 53: vuoto. Loc. Campoleone n. 54: tabernacolo contenente statuetta in terracotta di S. Antonio da Padova. Loc. Campoleone n. 55: vuoto. Loc. Campoleone: vuoto. S. Maria n. 3: tabernacolo, ornato di colonnette e sormontata da una croce, contenente statuetta in gesso dell'Immacolata. S. Maria n. 20: tabernacolo con statuetta m gesso dell'Immacolata. S.Maria: tabernacolo con terracotta dell'Immacolata. S. Maria; vuoto. S. Maria: vuoto. La Greppa: tabernacolo con statuetta in gesso dell'Immacolata. Loc. Maestà dei Mori: edicola in buono stato di conservazione con bassorilievo della Madonna con bambino. Loc. Borgonuovo: bassorilievo in travertino (o marmo?), applicato sul muro esterno dell'abitazione, risalente al 1947 eseguito da uno scarpellino di Serre di Rapolano, il sig.Sartini, raffigurante S. Michele Arcangelo. Via Senese: tabernacolo con x x x x x x x x x x x statuetta in gesso dell'Immacolata. Loc. S. Rocco: vuoto. Loc. Fonte Lari: tabernacolo m pietra con statuetta dell' Immacolata. Loc. Rosario: cappella del "Rosario". Loc. Rosario n. l45: vuoto. Loc. Fisco: edicola risalente al 1818 con bassorilievo in terracotta con l'iscrizione: REFUGIUM PECCATORUM.. Loc. Croce n. 2: vuoto Loc. Croce n. 58: bassorilievo in maiolica raffigurante Madonna con bambino,posto nell'ingresso esterno dell'abitazione. Loc. Poschini: tabernacolo con bassorilievo in maiolica raffigurante Madonna con bambino. Via Selva: edicola in mattoni in discreto stato di conservazione, contenente un bassorilievo m gesso raffigurante Madonna con Bambino. Loc. Capecchio n. 137: tabernacolo in legno dipinto a mano, risalente al 1920. Certicone n. 116/A: piccola edicola costruita nel 1993 dal signor Cino Acquisti nel muretto di cinta dell'orto di sua proprietà. Comune di Lucignano - PIANO STRUTTURALE 2004 - Quadro Conoscitivo - Relazione pag. 49 2.4.3 IL PATRIMONIO EDILIZIO RURALE Gli strumenti fondamentali per la conoscenza dello sviluppo insediativo di un territorio sono lo studio e la riscoperta degli aggregati storici legati al mondo agricolo e ai vari modi di vivere un periodo dove l’agricoltura rappresenta il sostentamento primario sia della classe agiata che di quella più povera. Nel mondo agricolo storicizzato si riconoscono ancora i caratteri degli artefici di quel periodo molto vicino a noi in ordine di tempo e altrettanto distante in ordine di usi e stile di vita. Si individuano, nel territorio agricolo di Lucignano, come del resto in tutta la Toscana, le ville signorili, le fattorie, le coloniche isolate e gli aggregati rurali dotati di un’articolazioni dettata sia da esigenze legate alla conduzione del fondo sia da quelle strettamente rapportate alla crescita dei nuclei familiari. Il patrimonio edilizio rurale della Toscana rappresenta, dato il lungo arco di tempo formativo e di sviluppo ( Medio Evo fino allo scoppio del secondo conflitto mondiale) e data la sua natura principalmente diacronica, un importante testimonianza di un processo di civilizzazione di altissima qualità, dove la preesistenza veniva assunta come natura storica e la rimodellazione dello spazio si attuava sostituendo, alle antiche, qualità nuove e soprattutto per i processi organici caratterizzati da prevalenti processi di continuità nella produzione delle forme fisiche del costruito. La Regione Toscana in merito ha attuato una politica volta alla tutela e conservazione del patrimonio edilizio rurale attraverso un panorama legislativo già a cominciare dalla fine degli anni settanta. territorio secondo la logica del massimo rendimento dei coltivi preferendo l’orientamento più consono alla lavorazione ( facciata principale e aia esposte a sud garantiscono massima luce e calore anche nei mesi invernali). La L.R. 10 del 1979 obbligava i comuni a redigere “Elenchi” di edifici da tutelare e di particolare valore ambientale e culturale. Purtroppo il risultato, quando c’è stato, non ha soddisfatto le aspettative, in quanto alcune valutazioni sono state espresse in modo arbitrario anziché oggettivo. -tipo di aggregazione degli edifici componenti; in particolare il rapporto di adduzione al lotto, e il tipo di sviluppo di accrescimento dell’edificio residenziale. Difatti di possono verificare essenzialmente tre casi: Il patrimonio edilizio di Lucignano è stato schedato e classificato di valore e rilevante valore in base ad un censimento effettuato sul territorio comunale dalla Provincia di Arezzo nei primi anni 80.Di questi edifici schedati, alcuni, dopo circa 20 anni, si sono conservati nelle valenze, altri, dovuto ad interventi poco attenti e non curanti dell’oggetto edilizio di valore, hanno perso quasi totalmente le caratteristiche e le peculiarità che ne facevano oggetti edilizi da tutelare. Le caratteristiche fondamentali che fanno un aggregato legittimato di tutela sono determinate essenzialmente dal suo grado di conservazione non tanto strutturale quanto di interconnessione con l’intorno sia esso costruito che non.Per valutare il grado di conservazione di questa interconnessione con l’intorno è necessario analizzare fondamentalmente le seguenti indicazioni: -localizzazione; l’aggregato può in sostanza trovarsi in tre diverse sistemazioni di sito, pianura, collina ondulata, collina pronunciata e di conseguenza inserirsi sul l’edificio può risultare compiuto al momento della sua realizzazione;si possono verificare degli ampliamenti organici di intenzione unitaria;oppure si possono verificare ampliamenti con relativa autonomia costruttiva e architettonica rispetto all’edificio principale. -organismo architettonico dell’edificio principale; esposizione della facciata principale rivolta a sud mentre la parte a nord spesso cieca e con finestre piccole; rapporto dell’edificio alla conformazione altimetrica del sito dal luogo, in genere, a soluzioni edili e distributive specifiche che costituiscono varianti sincroniche del tipo edilizio più diffuso in assenza di condizionamenti topografici. Le situazioni tipiche più generali di adeguamento al terreno sono due: edificio lungo una isoipsa e la pendenza risulta perpendicolare al fronte più sviluppato, oppure quando si pone in lunghezza rispetto alla linea di massima pendenza; tipologia dell’organismo che può essere monocellulare, semplice, doppio, triplo. L’ampliamento può avvenire lateralmente o tergalmente o raddoppio in profondità. -meccanismo di distribuzione; ovvero il suo rapporto con l’esterno attraverso gli accessi e all’interno le relazioni spaziali tra i vani dell’abitazione ( scala, portici, logge, corridoi, cucina). -rapporto tra rustico ed abitazione; rappresenta una delle discriminanti significative nella costituzione dei tipi e quindi ella costruzione tipologica; e cio non tanto in termini quantitativi e funzionali, quanto, in termini architettonici. Le varianti di questo rapporto si individuano nella abitazione sovrapposta al rustico, abitazione giustapposta al rustico, abitazione separata dal rustico. -localizzazione del forno; può trovarsi all’interno dell’abitazione o in un manufatto specifico e autonomo. Il forno rappresenta uno dei segni più significativi della autonomia della vita contadina soprattutto di quella mezzadrile. La proprietà coltivatrice spesso è sprovvista di forno individuale ed è più integrata al villaggio o ai piccoli aggregati attraverso forme comunitarie es forni di vicinato. -parti costruttive discriminanti (tetto, porticologgia, capanne separate); sono rappresentate: dalla conformazione del tetto che si può presentare a due falde con due possibili conformazioni con fronte rettangolare e con fronte dipanato e a 4 falde o a padiglione (tipico di edifici sincronici unitari a volume bloccato); Comune di Lucignano - PIANO STRUTTURALE 2004 - Quadro Conoscitivo - Relazione pag. 50 dal sistema portico/loggia che rappresenta un indicatore significativo del processo tipologico e della fase matura di costituzione sette-ottocentesca della casa colonica; ambedue da un tipo elementare che, pur non essendo più riscontrabile nel territorio preso in esame, è ipotizzabile come matrice comune. dall’annesso separato legato alle attività lavorative con funzione specifica non legata alla residenza Casa Torre Signorile -caratteristiche costruttive per quanto riguarda i materiali costruttivi le caratteristiche sono legate principalmente alla facile reperibilità delle materie prime, di conseguenza variabili di zona in zona (pietra arenaria grigia, pietra calcarea , mattone etc), mentre le caratteristiche costruttive sono legate all’intento di creare comunque opere solide e soprattutto durature nel tempo realizzate secondo una tradizione legata alle esigenze vitali e tramandata da generazione a generazione . Il processo tipologico dell’edificio rurale Ci sembra appropriato in questa sede evidenziare quello che è stato ipotizzato come processo tipologico della dimora rurale della valdichiana facendo riferimento, in particolare, agli episodi di edilizia ruarale presenti nel territorio lucignanese. I processi individuati partono da due tipi di matrice, casa monocellulare su due piani e casa a torre di origine urbana, che si diversificano più per la destinazione (contadina/signorile) e per le modalità architettoniche che per la strutturazione dello spazio costruito, derivando Nei secoli XIII e XIV si verifica un forte interesse della borghesia urbana più ricca verso la campagna. Ne deriva un fenomeno, particolarmente diffuso nelle aree periurbane dei centri maggiori, di acquisizione delle terre e costruzione di case a torre che ripetono i motivi decorativi e la struttura abitativa delle case torre cittadine. La grave crisi della metà del sec. XIV porterà all'abbandono di questi edifici ed alla loro successiva utilizzazione come vere e proprie case coloniche. A-Casa Torre Signorile Struttura monocellulare su tre o più piani, con piano terra utilizzato come rimessa e/o stalla per i cavalli con copertura a volta a botte da cui, con una scala interna spesso ad unica rampa, si raggiunge il primo piano ad uso di cucina-salone (piano nobile). Da questo vano si raggiunge con una ulteriore scala il secondo piano ad uso di una o più camere. II terzo piano, infine, raggiunto da un'altra rampa scale di solito in legno, e spesso caratterizzato dall'uso specifico di piccionaia. B - Sviluppo in corpo semplice con torre d'angolo. B1- Alla torre signorile viene affiancata una cellula su due piani con rustico al piano terra e camera al primo piano. L'edificio diventa un corpo semplice e gli incrementi successivi portano ad un edificio in linea con torre d'angolo. B2 - L'aggiunta di una cellula su due piani tergalmente alla torre porta all'espulsione della scala interna (che permane dal secondo al terzo piano), mentre la nuova scala può impostarsi parallelamente od ortogonalmente alla nuova facciata principale. B3 - Comportamento diverso si verifica quando la cellula giustapposta lateralmente assume la funzione distributrice ed è sul fronte di quest' ultima che si affianca la scala esterna. C - La successione degli incrementi porta ad un complesso articolato dove permane la torre signorile come elemento caratterizzante la casa colonica, mentre la casualità delle successive aggregazioni non consente di stabilire comportamenti ricorrenti. rialzamento fino al terzo piano, a volte con piccionaia sottotetto, di alcune monocellule su due piani. Chiameremo questo elemento Casa Torre Colonica. La casa torre colonica genera un processo tipologico molto simile a quello della torre signorile, dalla quale differisce fondamentalmente per la funzione e per la mancanza di quegli elementi architettonici di derivazione urbana. A – Il rialzamento della monocellula su due piani fino al terzo piano comporta spesso la modifica della copertura: dal fronte timpanato si passa al fronte rettangolare. Il vano del primo piano si specializza come cucina, mentre il nuovo vano al secondo piano come camera, ed è raggiungibile tramite una scala interna. L’uso del piano terra come rustico agricolo determina la posizione esterna della scala. Un’esempio di questa tipologia, nel comune di Lucignano, è il Colombaio. E’ necessario a questo punto sottolineare che non sempre la case torre signorili risultano edificate isolatamente nella campagna periurbana, bensì spesso si affiancano ad edifici preesistenti di solito monocellule su due piani. Casa torre colonica Le aperture gerarchizzate sono qualificate da mostre in pietra che ripetono i motivi decorativi affermatisi nel centro urbano. La comparsa della torre signorile nella campagne periurbane. per una sorta di processo imitativo, ha comportato il IlColombaio Comune di Lucignano - PIANO STRUTTURALE 2004 - Quadro Conoscitivo - Relazione pag. 51 B - Dalla torre colonica al corpo semplice. Numerosi a Lucignano gli esempi di questa particolare tipologia: B1 - La giustapposizione di una nuova cellula su due piani lateralmente alla torre colonica deriva, nella maggior parte dei casi. dalla sopraelevazione di un rustico esistente. La nuova cellula ha il piano terra adibito a rustico, mentre il primo piano abitativo e una nuova camera. - Le Fabbriche , lungo la strada comunale dell’Ancano, in prossimità del complesso, villa - fattoria “ Le Fabbriche”; B2 - Quando la nuova cellula viene giustapposta tergalmente alla torre colonica questa può avere il fronte timpanato. B3- La torre colonica può avere degli incrementi che la rendono centrale all'edifico, mantenendo così la sua funzione distributrice. B4 Il meccanismo distributore verticale esterno, che raggiun-ge il primo piano abitativo, e giustapposto alla nuova cellula laterale che assume il ruolo di cucina distributrice. C- Passaggio al corpo doppio C1 - II corpo doppio e raggiunto con la giustapposizione al fronte principale di un nuovo corpo di fabbrica contenente il sistema portico-loggia-scala con profondità minore del corpo preesistente. la torre resta complanare alla facciata tergale. In alcuni casi uno degli incrementi laterali è composto da due cellule in profondità pari alla profondità della cellula originaria più l'ampio pianerottolo di accesso alla cucina. - L’Ancano, presso la strada comunale omonima, prossima alla linea ferroviaria Arezzo-Sinalunga; -Poschini a nord-est di Lucignano, esempio di edilizia rurale spontanea da non confondere con un altro edificio sempre localizzato a Poschini che è invece riconducibile ad un’altra tipologia trattata di seguito. - Sotto Savinanza , posta lungo la strada consorziale di Savinanza, poco distante dal Fosso Scervella, sulla mezza costa che sale a Lucignano da nord-est. - Le Cinque Vie poco distante dalla strada comunale delle Chiese, a sud di Lucignano. - Casa Rossa, lungo la strada vicinale della Casa Rossa a sud di Lucignano. C12 - II tamponamento del sistema portico-loggia-scale e l'espulsione del meccanismo distributore verticale parallelamente al fronte principale caratterizzano le ultime fasi di crescita più recenti. Di questa tipologia, la Balorda, posta lungo la strada consorziale di Farnetella o Poggiarelli, a sud-ovest di Lucignano. La Balorda Il Meleto D - Passaggio al corpo triplo. L'unico esempio riscontrato è caratterizzato dalla torre colonica complanare alla facciata principale per la giustapposizione tergale di una monocellula di profondità maggiore che in un secondo tempo, probabilmente concomitante alle aggiunte laterali, viene suddivisa in due vani. La torre colonica è in ogni caso un elemento di difficile individuazione. Come già detto una casa torre colonica deriva da una monocellula su due piani, e questa può elevarsi al terzo piano come torre isolata oppure come cellula già affiancata e inglobata da nuovi corpi di fabbrica. Di questa tipologia il Meleto, complesso architettonico di notevoli dimensioni articolato nella tipologia e posto in una situazione di notevole pregio lungo la strada Belvedere nel crinale che divide le vallecole del fosso Scervella e del Borro la Mandria. Monocellula su due piani Da questa parte il processo tipologico fondamentale, la monocellula si presenta indifferentemente con scala interna o esterna ed in particolari condizioni dovute alla morfologia del terreno, specialmente nelle zone di alta collina e di montagna, viene a mancare il meccanismo distributore verticale sostituito dalla pendenza del terreno. Monocellula su due piani di pendio. A - Monocellula su due piani con rustico al piano terra e vano cucina-camcra al primo piano. La distribuzione verticale è risolta dalla pendenza del terreno: l'accesso al rustico al piano terra e a valle, mentre quello al vano cucinacamera è a monte. Nel territorio lucignanese si evidenzia S.Agata di Sotto lungo la strada vicinale di S.Agata poco distante dalla strada provinciale Procacci. B - La giustapposizione di una o più cellule a valle determina lo spostamento Comune di Lucignano - PIANO STRUTTURALE 2004 - Quadro Conoscitivo - Relazione pag. 52 dell'accesso principale sul fronte laterale. In alcuni casi l'ingresso è marcato da un ampio pianerottolo coperto, raggiungibile per una breve rampa scale, quest'ultima non è da considerarsi un vero e proprio meccanismo distributore verticale. La linea di gronda è sfalsata a seguire l'andamento del terreno determinando una conformazione a canocchiale, In presenza di una forte pendenza del terreno l'ultima cellula a valle raggiunge anche i quattro, cinque piani e le aperture sono gerarchizzate ad accentuare lo slancio verticale. Tipico esempio si riscontra nella casa colonica Rigo Salcio poco distante dalla strada comunale di Monte Quarata, tra quest’ultima ed il Fosso Scervella a nord di Lucignano. L'accesso e raggiungibile in questo caso tramite una vera e propria scala esterna che arriva ad un ampio pianerottolo che può essere scoperto o coperto. C Passaggio a corpo semplice con sviluppo parallelo alla curva di livello. C1 - Quando lo sviluppo laterale consiste nell'incremento di una sola cellula o è comunque di dimensioni ridotte il fronte principale permane timpanato con conseguente rialzamento del colmo e realizzazione di un nuovo vano sottotetto, a volte un soppalco, ad uso di deposito per la conservazione .di prodotti agricolo - alimentari.. C 2 - La giustapposizione laterale di più cellule determina la ristrutturazione della copertura che, pur restando a due falde, rende rettangolare il fronte principale, in questo tipo le camere poste in linea con la cucina, che resta elemento distributore principale, divengono anch'esse distributrici dei vani successivi (camere di passo). D - Passaggio a corpo doppio con sviluppo a valle. Rigo Salcio B2 - In presenza di una giustapposizione di nuove cellule sia a valle che a monte si assiste allo spostamento dell'accesso, originariamente a monte, sul fronte laterale della cellula più antica che si specializza come cucina ed in più svolge la funzione di distribuzione degli altri vani. Dal corpo semplice parallelo alla curva di livello tramite un raddoppio in profondità verso valle si giunge al corpo doppio. Il fronte principale resta a monte e può mantenersi timpanato come diventare rettangolare. La particolare conformazione del terreno e la spontaneità del tipo portano a numerose varianti, ognuna caratterizzata da comportamenti diversi. Monocellula su due piani con scala interna. A - Monocellula su due piani con scala interna che dal rustico a piano terra porta ai primo piano con vano cucina-camera. La copertura è a capanna ed il fronte è timpanato. B - Passaggio al corpo semplice con scala interna. B1 - La giustapposizione di cellule laterali rende centrale la cellula originaria che si specializza come cucina, mentre i nuovi vani sono delle camere. La scala dal rustico centrale raggiunge la cucina avente funzione distributrice degli altri vani. Il fronte principale diventa rettangolare. B2 - Quando il meccanismo distributore verticale è il vano proprio il pianerottolo di arrivo assume la funzione distributrice dei due vani ad esso adiacenti. Il fronte principale o rettangolare e la porta ad arco a tutto sesto, di accesso al vano scala, in posizione centrale è il primo timido tentativo di una ricerca di simmetria. C - Passaggio al corpo doppio con scala interna. La scala interna è sempre in vano proprio. Questo tipo è una soluzione molto tarda ( XIX sec ) diffusa principalmente nelle zone di pianura e caratterizzata dalla geometrica scansione delle aperture frontali che a volte raggiunge una disposizione simmetrica con asse centrale marcato dall'accesso ad arco alla scala e soprastante occhio. Il tetto è a padiglione. Un esempio particolare ed emblematico è Campiglie nei pressi della strada del Calcione, al confine tra il territorio comunale di Lucignano e quello di Monte S.Savino, dove la soluzione della scala interna in vano proprio è determinata dall'inglobamento di una originaria scala esterna posta lateralmente al fronte principale. Attraverso quest' esempio ci piace sottolineare come il risultato finale sia raggiunto attraverso una molteplicità, apparentemente episodica e casuale, di aggiunte diacroniche. Le Campiglie Un’altro esempio sempre nel territorio lucignanese è costituito dalla casa colonica il Paradiso lungo la strada vicinale di Fontestrighi immediatamente a sud del “Il Villino”. Monocellula su due piani con scala esterna. A - La monocellula su due piani con scala esterna ha il fronte principale timpanato, ed il meccanismo distributore verticale è quasi sempre parallelo alla facciata frontale con il pianerottolo di Comune di Lucignano - PIANO STRUTTURALE 2004 - Quadro Conoscitivo - Relazione pag. 53 arrivo solitamente più ampio della rampa scale. L'accesso al rustico al piano terra è spesso risolto da un'apertura alla base delle scale, altrimenti da un ampio portico ad arco posto al di sotto del pianerottolo e che dà accesso anche al forno ed agli stalletti del sottoscala. B - Passaggio al corpo semplice con scala esterna scoperta. B1 - Viene aggiunta una cellula su due piani lateralmente, spesso si tratta della sopraelevazione di un rustico preesistente. La cucina si specializza nella sua funzione e diventa distributrice del nuovo vano camera. Il fronte, conseguentemente alla ristrutturazione dovuta all'incremento, diventa rettangolare anche se permangono alcuni esempi di corpi semplici con scala esterna e fronte timpanato. L'aggiunta di nuove cellule poste lateralmente finiscono per determinare sempre un fronte rettangolare e la cellula originaria in posizione centrale mantiene la funzione di cucina distributrice. Di questa tipologia Spertali, inserito in un contesto ambientale di notevole valore sulla sinistra della strada comunale del Calcione all’inizio del Borro della Spinaia. B2 – Già nel corpo semplice si ritrova il pianerottolo di arrivo del meccanismo distributore verticale coperto tramite il prolungamento della falda del tetto. C – Passaggio al corpo doppio C1 - La giustapposizione tergale di un nuovo corpo di fabbrica su due piani o la sopraelevazione di un rustico, sempre tergale, rendono l'edificio un corpo doppio con tetto di solito a capanna, la cucina, in posizione centrale, si può sviluppare in profondità su due cellule, mantenendo la funzione distributrice. Caratteristica la casa colonica la Vescina sulla destra del Fosso Vescina, da cui prende il nome, nelle vicinanze dell’A1. C2 - Il pianerottolo del meccanismo distributore verticale viene coperto; quest'operazione può essere sincronica al raddoppio in profondità. C3 - II corpo doppio e raggiunto con la giustapposizione frontale di un corpo di Fabbrica contenente il sistema porticologgia-scala, con la rampa scala scoperta o parzialmente coperta. Questo corpo di Fabbrica si sviluppa per l'intero fronte prolungando spesso la loggia, quasi sempre parzialmente tamponata successivamente. La molteplicità delle forme architettoniche di questo elemento (loggia) ed il rapporto con il portico sottostante sono dovuti alla cronologia dell'intervento (sincronico-diacronico) alla intenzionalità o spontaneità del costruttore ed alla prassi costruttiva dovuta ai materiali ulilizzati presenti e meglio reperibili nella zona. C4 - La giustapposizione laterale di un corpo di fabbrica di profondità pari alla cellula originaria più il pianerottolo il meccanismo distributore verticale, composto di una o due cellule e la copertura del pianerottolo porta ad un nuovo corpo doppio con fronte principale parzialmente uniforme. Esempio caratteristico è il Rosario lungo la strada vicinale di Fontestrighi. D- Passaggio al corpo triplo II corpo triplo può essere raggiunto con la giustapposizione ad un corpo doppio con scala esterna di un sistema porticologgia- scala al fronte principale. E’ la conformazione di questo complesso elemento che determina delle varianti. La cucina è distributrice e la torre colombaria, spesso presente. può avere diverse posizioni. D1 - Quando il sistema portico-loggia è giustapposto ad un fronte principale con scala esterna parallela che viene mantenuta come meccanismo distributore verticale il portico ha un fornice laterale che permette l’immediato accesso alla rampa scale. Di questa tipologia si riportano tre esempi : - La casa colonica Pochini, lungo la strada consorziale omonima, notevole esempio di architettura rurale. comunale di Monte S.Savino, nelle vicinanze dell’omonimo nucleo. S. Savino Un fenomeno caratterizzante la produzione di edilizia abitativa rurale della pianura bonificata è la casa binata., già presente al 1736, come testimonia la carta disegnata in quest’anno e conservata all’Archivio comunale di Foiano della Chiana, e composta da due distinte unità abitative. Si riscontrano dei tipi di casa binata nel comune di Cortona e di Foiano, ma non ci sono esempi nel territorio di Lucignano. Poschini - Il Villino lungo la strada vicinale del paradiso, a sud di Lucignano, altro notevole esempio della seconda metà del sec. XVIII in conseguenza al riassetto fondiario ed alle bonifiche operate dal Granducato di Toscana. - S. Savino poco distante dalla strada La tipologia presente nel comune di Cortona si sviluppa planivolumetricamente in profondità, lungo un asse perpendicolare alla facciata. I sistemi distributori verticali sono in posizione laterale con accesso frontale ed arrivano ad un pianerottolo, più ampio della rampa scale, caratterizzato da una copertura timpanata e dalla grande apertura ad arco. Dal pianerottolo si accede alla cucina arretrata rispetto al fronte, distributrice Comune di Lucignano - PIANO STRUTTURALE 2004 - Quadro Conoscitivo - Relazione pag. 54 dei vani con affaccio frontale e d’angolo e del corridoio che a sua volta distribuisce le camere poste lungo l’asse di sviluppo in profondità. Un altro tipo di casa binata, riscontrabile nel comune di Foiano, si sviluppa contrariamente al precedente, lungo il fronte principale, allungato e caratterizzato da due sistemo porticologgia-scala ad esso giustapposti. Questi si svolgono con una scala scoperta con accesso laterale che giunge alla loggia con sottostente portico con portale in laterizio. Dalla loggia si accede alla cucina distributrice dei vani tergali e laterali e della torre colombaria complanare alla facciata laterale. La casa della bonifica Casa colonica codificata alla fine del sec. XVIII dagli architetti dello Scrittoio che mantiene gli elementi architettonici già affermatisi nell'edilizia rurale. Queste case sono fortemente specializzate e talmente compiute nella loro struttura planivolumetrica da rendere difficile una loro successiva ristrutturazione se non a discapito dell'organicità funzionale e formale. La facciata principale è caratterizzata dal portico e loggia soprastante, la scala è interna e partendo dal portico raggiunge la loggia, la copertura è a padiglione con torre colombaria centrale. Si tratta di un corpo triplo con tre cellule frontali, la cucina al primo piano e centrale su due cellule in profondità distribuendo cosi il rimanente dei vani e la stessa torre colombaria. Varianti sincroniche di questo tipo sono legate più agli aspetti formali degli elementi architettonici presenti nel fronte principale che all'impianto planivolumetrico (sempre tendente ad un cubo), ed alla distribuzione interna incentrala sul sistema portico-loggia e sulla cucina. Esistono numerose varianti diacroniche che in particolare si diversificano per la posizione della scala, per l'impianto più rettangolare che quadrato e per l'assenza della torre colombaria. Quando la scala raggiunge direttamente la cucina si ritrova la loggia tamponata che così diventa un vero e proprio vano abitabile. Dalla compresenza di questi due comportamenti si deduce che proprio l'esigenza di un nuovo vano ed il decadimento di quelle attività artigiane legale alla conduzione del podere, che trovavano proprio nella loggia lo spazio ideale per il loro espletamento, abbia determinato lo spostamento della scala verso l'interno, per raggiungere direttamente la cucina. Altri elementi intercorrono in modo meno lineare nella trasformazione del tipo concluso di cui abbiamo parlato e che resta la fase di maggiore organicità raggiunta. Questi elementi sono individuabili sia negli aspetti formali come il marcapiano e marcadavanzale ed ancora le lesenature verticali che negli aspetti funzionali come il portico, la loggia e la torre colombaria. Il fenomeno successivo infatti si articola più sulla scala centrale, non più laterale, raggiunta da un androne e non più un portico; e dal prospetto marcato unicamente dall'accesso all'androne per l'assenza della torre colombaria e della loggia. Tutta la produzione ottocentesca risente comunque dell'esperienza della seconda metà del sec. XVIII. Si ritrovano case coloniche coli portici, logge, marcapiano e marcadavanzale, e senza torre colombaria; oppure case coloniche con torre colombaria senza portico e senza loggia; e neppure, a volte, marcapiano e marcadavanzale; e cosi via. In concomitanza a questo ed anche in tempi più recenti sono state modificate ed in alcuni casi stravolte quelle caratteristiche peculiari delle case coloniche del periodo della bonifica. La loggia tamponata, la scala espulsa e giustapposta al fronte principale con il conseguente tamponamento del portico, la giustapposizione laterale, a volte frontale, di corpi di fabbrica che ne hanno compromesso la simmetria. Anche l'abbandono (evidente conseguenza del decadimento economico dell'attività agricola), che ha coinvolto gran parte della produzione edilizia nelle zone agricole, ha portato a guasti a volte irreparabili. Come esempio conclusivo non può non essere riportato il Casone, sulla sinistra della strada provinciale Procacci al confine nord del comune di Lucignano, con Monte S.Savino. Il Casone Comune di Lucignano - PIANO STRUTTURALE 2004 - Quadro Conoscitivo - Relazione pag. 55 Le ville di Campagna All’interno del territorio agricolo, oltre gli aggregati rurali dediti principalmente alla residenza dei mezzadri si trovano le Ville padronali, a volte isolate, spesse volte inserite nel complesso produttivo. Tra le più importanti da citare è senza dubbio Villa Fabbriche posta nella zona nord pianeggiante di Lucignano quasi al confine con il comune di Monte San Savino. Questa si trova inserite all’interno del processo produttivo, difatti di fianco si riconosce la fattoria e le case coloniche che ospitavano le famiglie dei mezzadri. La Villa è già presente al Catasto Lorenese ed il suo uso è pressoché invariato nel tempo fino a non meno di qualche anno fa quando è stata in parte trasformata in attività ricettiva. La Villa ha un corpo triplo a 3 piani, androne passante da fronte a fronte, scala centrale. La compartimentazione dei catasti testimonia un ampliamento nel tempo dei volumi mentre il portico con terrazzo frontale è diacronico. All’interno del complesso troviamo la cappella di famiglia con lapidi funerarie di cui una datata 1804. Si trovano anche due corpi annessi staccati si presume uno, quello limito al giardino disegnato, usato come serra, l’altro per rimessa, oggi ristrutturato come spogliatoio per la piscina inserita di recente. La Fattoria di Villa Fabbriche si colloca rispetto alla villa, limitrofa al giardino e non come si rileva spesso dalla parte opposta di un lungo asse viario. Il retro della Fattoria, forgiato di un orologio collocato sulla sommità della copertura a quattro falde, ha facciata molto sobria e semplice ed è rivolto verso il giardino della Villa, mentre sulla facciata principale, rivolta verso una semicorte, presenta al piano residenziale, nella campata centrale, una loggia costituita da una trifora a tuttosesto, mentre la porta di accesso si trova posta sulla campata laterale. Anch’essa è identificabile al catasto lorenese e presenta una data 1791 su uno scalino esterno. Sul fianco laterale, in aderenza si trova giardino d’inverno utilizzato per la rimessa delle piante in vaso. A creare la semicorte troviamo un rustico separato, utilizzato come magazzino che ha subito nel tempo un raddoppio orizzontale secondo il lato più lungo e presenta una copertura a 4 falde. Dato che si pone lungo uno dei percorsi si accesso alla Villa, questo, sul fianco laterale presenta un paramento murario che a livello del piano primo presenta due aperture, oggi tamponate, di forma semicircolare e che nasconde la falda a padiglione del tetto trasformando o comunque camuffando la funzione prettamente agricola dell’oggetto edilizio. Sempre di fianco all’area di pertinenza di Villa Fabbriche si posiziona una casa colonica di forgia lorenese, con corpo triplo a due piani, dove il sistema porticologgia è entrato a far parte dello spazio coperto e la scala si pone esterna , mentre la cucina rappresenta l’elemento distributivo. La Villa Casalta si trova lungo la strada comunale omonima e precisamente nella parte a sud del territorio lucignanese. Anche questa, seppur di impianto più piccolo, si presenta in un’articolato rapporto con la produzione agricola. La villa, oggi ristrutturata e difficile da raggiungere, è presente al Catasto Lorenese e nel tempo a subito alcune aggiunte volumetriche. Attualemte è intonacata, la copertura a 4 falde, è stata ristrutturata recentemente. All’interno dell’aggrEgato è riconoscibile una cappella privata e un fabbricato residenziale agricolo. Altro episodio, anche se molto più semplice e povero , lo troviamo il Loc. La Croce di Lucignano, lungo la strada vicinale della Croce. La villa di pianta in origine pressoché quadrata, oggi presenta degli ampliamenti laterali comunque più bassi rispetto al corpo fabbrica originario, si articola su tre piani fuori terra. originariamente doveva essere intonacata oggi risulta a faccia vista e alcune delle finestre di facciata, pur riconoscendosi, sono state tamponate. Sul prospetto principale presenta delle lesene in mattone che scandiscono la facciata in 3 campate, la centrale più ampia, le laterali più strette. sulla campata centrale si impostano tre finestre corniciate in mattoni e orizzontalmente contrassegante da marcadavanzali sempre di mattone. Anche gli angolari delle facciata presentano una certa ricercatezza nella dispozione del mattone tanto da formare una doppia parasta accoppiata che comunque viene interrotta dal marcadavanzale. La copertura a 4 falde inclinate, è presente un rustico posto staccato dalla villa di scarso valore. La casa della bonifica Una sezione di questo paragrafo è obbligatorio dedicarla alla casa della bonifica e come si afferma nel territorio della Valdichiana.. Il territorio agricolo e architettura rurale della Val di Chiana rappresentano, in Toscana, uno dei punti di massima artificialità, della produzione di forme e di assetti: di più profonda discontinuità. rispetto ai tempi lunghi di evoluzione e assestamento dei territori e delle forme tradizionali dell'architettura rurale in essi elaborati, derivante da un processo di costruzione deliberato, preordinato e attuato in tempi che possono essere considerati "brevi". Cosicché la Valdichiana emerge dal quadro regionale, per il suo carattere di "invenzione storica" e di "prodotto culturale", carattere che costituisce, in definitiva, la sua irriducibile identità. Va da se che con queste affermazioni ci riferiamo al sistema territoriale del fondovalle bonificato, e cioè a un territorio del tutto "speciale" sia per i fattori legati alla proprietà e all'accorpamento (proprietà granducale prima Medicea poi Lorenese), alla formazione (la bonifica appunto) e alla gestione di tipo unitario e accentrato. Mentre per la restante parte del territorio collinare e alto collinare, la Val di Chiana appare del tutto "normale", cioè omogenea, e solidale nelle forme, al territorio aretino tradizionale: fatta eccezione, in parte, per i fenomeni, in essa più consistenti, di irraggiamento e diffusione, anche all'interno delle aree tradizionali, di modalità architettoniche Comune di Lucignano - PIANO STRUTTURALE 2004 - Quadro Conoscitivo - Relazione pag. 56 sperimentate e diffuse estensivamente nelle aree bonificale. Da qui anche l'opportunità di ripercorrere sinteticamente i vari contributi che sulla casa della Valdichiana sono stati prodotti lungo un processo critico che partendo dalla nozione di tipo si e articolato verso un sempre maggiore riconoscimento del momento progettuale specialistico (la tal casa firmata dal tale architetto) fino forse a perdere la nozione di parentela con tipi analoghi, a perdere di vista i rapporti con la tradizione locale e la percezione di una diffusa cultura progettuale incentrala sulla produzione di case a sviluppo istantaneo e definitivo (la casa a blocco unitario con tetto a padiglione con o senza portici, logge e torre colombaria), e quindi bloccalo, dalla configurazione architettonica, rispetto a possibili accrescimenti. In definitiva per la comprensione della casa della Val di Chiana ha maggiore efficacia conoscitiva la nozione di tipiche non quella di modello. Infatti se è vero che in alcuni casi, ci troviamo di fronte alla diffusione territoriale di un modello (progetto che sì ripete identico a se stesso). E’ altrettanto vero che l'insieme delle case della bonifica, per quanto in parte singolarmente firmate. rimandano più compiutamente alla nozione di tipo cioè a idea di casa soggiacente a distinte formulazioni architettoniche, accomunate da un analogo processo di aggregazione delle parti in gioco ed a una analoga intenzionalità di costituire una forma compiuta e definita. Ma, al di là dell’efficacia conoscitiva delle nozioni di tipo e di modello non è discutibile il fatto che questo insieme di case è il prodotto unitario di una cultura architettonica di origine urbana diffusa in un primo tempo da Ingegneri e Architetti dello Scrittoio legata al grande movimento riformatore illuminista e fisiocratico del 700, e che i prodotti di questa cultura costituiscono la fase ultima di un processo che inizia con le forme aperte alla crescita della tradizione locale con l’apparente linearità del rapporto forma/funzione, con la leggibilità diretta e univoca della funzione proprie dell’architettura spontanea, e che si conclude come sistema di regole specialistiche del potere granducale. Risale al 1938 il riconoscimento della specificità della “Casa della Bonifica”, della Valdichiana. I caratteri dominanti sono la pianta pressoché quadrata, il tetto a padiglione ed elemento di spicco la torre colombaia. Questo tipo che si ritrova in tutto il territorio della Valdichiana soprattutto nelle costruzioni più importanti. Elemento caratteristico e ricorrente di questa tipologie è il sistema portico frontale con sovrapposizione di loggia. ovvero la scala viene inglobata all’interno delle mura che delimitano il fabbricato. Questa sistema costruttivo si riscontra successivamente anche negli edifici di edilizia di base che nel processo di trasformazione nel tempo hanno spesso raddoppiando il corpo di fabbrica e aggiunto un profèrlo spesso molto simile al sistema portico loggia delle case della bonifica. Non è però da sottovalutare l’influenza che il periodo Rinascimentale ha giocato sul territorio toscano e in alcune regioni italiane dove la caratteristica squisitamente urbana del loggiato si ritrova applicata nel mondo rurale sopratutto negli edifici più specialistici. Si deve a un breve saggio di Guido Morozzi, scritto nel 1942 un importante passo avanti nel riconoscimento delle matrici colte dell'architettura rurale del Valdarno e della Val di Chiana; individuate sia nel ruolo progettuale diretto di architetti e ingegneri delle R.R. Possessioni, come Bernardino della Porta e Giuseppe Salvetti. attivi nel periodo 1738/90 del dominio Lorenese , sia nel perpetuarsi di modalità architettoniche della fine del '500 fino ai primi del secolo. In particolare vengono individuati tre edifici prototipo alla base del processo formativo del complesso di edifici colonici valdarnesi "ispirati alla perfetta simmetria e giusta proporzione": il palazzo vicariale di S. Giovanni Valdarno, la villa delle Falle di Gherardo Silvani 1599 e la villa Anselmi Medici di Mandri presso Reggello (1666); e da questi derivano, fondamentalmente, le tre principali varianti tipologiche delle facciate: 1. portico e loggia contigui su tutto il fronte 2. portico e loggia continui ma limitati da due torrette angolari 3. portico e loggia centrali con sodi laterali. Sulla linea interpretativa del Morozzi si muove anche il saggio di Lorenzo Gori Montanelli che privilegia il ruolo del Buontalenti nel processo di formazione ed elaborazione dell’architettura rurale della Toscana e riconoscendo l’invenzione dell’impianto volumetrico tutto giocato sul rapporto di orizzontalità del corpo della casa e la verticalità della torre colombaia. Guido Ferrara inoltre riconosce che tra XVI" e XVII" secolo si va formando una coscienza architettonica nuova, che produce le abitazioni non più pezzo per pezzo, ma in un unico blocco, con un ordine e uno studio preliminare molto preciso. Sono i secoli in cui si costruiscono le prime case con i loggiati e la torre colombaria: si imprime all'architettura colonica una simbologia che diverrà caratteristica e caratterizzante anche nei secoli successivi tant’è che lo stesso Leopoldo diverrà il committente di case coloniche delle case dei suoi poderi. Questo contribuisce ad abbandonare l’edificio a crescita illimitata, ed ad avvalorare sempre più l’edificio compiuto ordinato da regole composite chiare e definite. Lo studio della formazione ed evoluzione nel tempo della casa rurale ed in particolare di quella della bonifica ha nel tempo seguito due filoni diversi, uno propriamente geografico e architettonico, l’altro storico architettonico. Entrambi i filoni hanno portato dei risultati ma sono apparsi comunque limitati. Il primo, quello geografico architettonico -, pur negli indubbi vantaggi della divisione di insieme realizzata, talvolta, con illuminazioni preziose sui processi formativi di lunga durata, pecca spesso di eccessi di generalizzazione e cioè di mancanza di approfondimenti areali e di periodizzazioni significative. Al contrario il secondo, - Quello più propriamente storico -, affidandosi prevalentemente alle fonti documentarie e quindi alla loro inevitabile parzialità e casualità, finisce per illuminare in profondità soltanto fenomeni circoscritti, ovvero troppo circoscritti, e comunque tali da non Comune di Lucignano - PIANO STRUTTURALE 2004 - Quadro Conoscitivo - Relazione pag. 57 consentire una compiuta investigazione, anche per un periodo determinato dalla complessità del processo di articolazione tipologica di una data area. Occorre - come ha affermato Caniggia -, diffidare di un tipo di rilevamento a tappeto, di tipo asettico; è invece più importante avere ipotesi di partenza sufficientemente chiare su quello che occorre cercare, pronti comunque a scorgere le tracce e le spie delle cose che ancora ci sono ignote. Da qui sorge la necessità di integrare la ricerca storica e la ricerca architettonica secondo approcci territoriali coordinati attraverso i quali costruire un quadro d’insieme della stratificazione storica dei fatti edilizi, ai quali riferire la molteplicità spesso necessariamente episodica, della documentazione archivistica. Ma al di là delle metodologie di indagine di conoscenza e classificazione del patrimonio edilizio sviluppatosi dopo la bonifica della Valdichiana è importante sottolineare come la società contadina e quella aristocratica ad un certo punto si pongono di fronte al concetto di residenza, lavoro e produzione e il ruolo che assume l’edificio che contiene e in parte contribuisce a questo processo di vita. La casa della bonifica è intesa come “realizzazione su grande scala di un disegno politco-culturale di cui l’architettura è parte integrante. La casa come blocco chiuso e definito in un podere misurato e chiuso anch’esso commisurato alla dimensione della forza lavoro, quindi il rapporto definitivo tra residenza, mano d’opera e produzione presuppongono l’idea di unità aziendale dove costi e ricavi devono in qualche modo rapportarsi. Il pensiero ordinatore è quello illuminista e la rigorosità e simmetria rinascimentale della forma calza perfettamente con la rappresentazione dell’ordine finale della razionalità del progetto. Comune di Lucignano - PIANO STRUTTURALE 2004 - Quadro Conoscitivo - Relazione pag. 58 2.5 L’ALBERO D’ORO DI LUCIGNANO ( Reliquario a foggia d'albero detto albero d’oro lucignano 1350 - 1471) Alto m. 2.60, in rame dorato, argento e smalti, presenta sei rami per parte con piccole foglie, terminanti con castoni con all'interno, da una parte miniature su pergamena, dall'altra smalli traslucidi; la cornice e decorata con ramoscelli di corallo rosso. "Fra un ramo e l'altro, sei piccoli rami di corallo uguale rosso. L’albero termina con una croce, sormontala a sua volta da un uccello nidificante, intento a beccarsi il petto, L'intero impianto posa su di una base a forma di tempictto gotico. Sul piedistallo presenta la scritta dedicatoria. Il reliquiario di Lucignano fu iniziato dunque nel 1350. Questa data ha fatto supporre, vista alta qualità dell'oggetto, che fosse opera di Ugolino di Vieri. In realtà, la severità delle linee architettoniche del tempietto gotico nel basamento dell'albero appare assai lontana dallo stile di Ugolino. Per alcuni critici e stirici d’arte, questo capolavoro sarebbe da porsi nell'orbita della minialuristica senese del XVII sec. Altri ancora, l’ attribuiscono più genericamente come di opera di oreficeria toscana, ovvero aretina, in cui si avverte la presenza dell'influsso senese, pur sempre raffrenato da una sorta di più pensosa meditazione, proveniente da un incontro non casuale con l'altra esperienza di arte orala allora assai rilevante, la Fiorentina appunto. Ci dovremmo in definitiva trovare di fronte ad una Felicissima sintesi di arte senese e fiorenlina, caratteristica questa di molta arte aretina. L'albero fu terminato nel l47l da Gabriello d'Antonio e poi conservato in un armadio decorato da l.uca Signorelli, al quale fu commissionalo a l.ucca il 16 ollobie 14S2. Sventuratamente questo armadio e andato distrutto ed oggi non se ne possiede nessuna traccia tranne, forse, la lunetta con «S. Francesco clic riceve le stimmate» di cui si e già parlato. Il reliquario ha subito varie vicissitudini; nel 1914 fu infatti rubato e smontato completamente dai ladri. Fortunatamente abbandonalo e ritrovalo in un campo, venne restaurato dall' allora R. Opificio delle Pietre Dure di Firenze. Di particolare interesse, l'esame delle splendide miniature dipinte. Al termine dei bracci o rami, l'orafo trecentesco previde infatti delle patene con figure di apostoli e di santi in poliboli, sbalzati e in origine sicuramente smaltati. Ma posteriormente, almeno tre profeti a mezzo busto con cartigli, di misura più grande, vennero sostituiti. Le tre figure rammentano lo slile di Piero della Francesca. Per taluni storici dell'arte, questi «proleti» si aggiungono al non folto elenco di opere di artisti die immediatamente gravitano, intorno al 1470, sulla pittura del grande pittore di Sansepolcro. Tra di essi, presumibilmente lo slesso Luca Signorelli, ancora nel 1474 (Città di Castello) strettamente aderente a Piero e il fioorentino Bartolomeo della Gatta, oralo di formazione, nel 1470 monaco ad Arezzo e certamente pierfrancescano. Ad una analisi più attenta, quantunque anch'essa confutabile, queste miniature sembrano appartenere invece ad un miniatore della cerchia di Francesco d'Antonio del Chierico. Il reliquario costituisce peraltro il vero trionfo dell'allegoria. Esso esprime invero l’esaltazione della Chiesa, la quale, attraverso il sacrificio dei santi (rappresentati dalle miniature, mentre il loro sangue è legittimato dall' uso del corallo rosso) e di Gesù Cristo morto sulla croce, riesce a perpetuae il suo alto magistero.Il tempietto gotico è dunque l'emblema di un potere certo, terreno, della Chiesa Cattolica, facilmente ravvisabile. Lo stesso uccello nidificante sopra citato altro non è che il pellicano, animale che secondo il mito classico si beccava il cuore per rigenerarsi in continuazione. Nel periodo di massimo sviluppo della miniatura prolomedievale, la Chiesa stessa veniva rappresentata sotto forma di pellicano. Questa originalissima opera di oreficeria ha sempre colpito l'immaginaz.ione popolare, secondo la quale le promesse di matrimonio si facevano proprio ai piedi dell'albero. L’Albero d’Oro di Lucignano Comune di Lucignano - PIANO STRUTTURALE 2004 - Quadro Conoscitivo - Relazione pag. 59 2.6 I PERSONAGGI STORICI DI LUCIGNANO 2.6.1. FEDERIGO CAPEI (1777-1486) Funzionario toscano fra rivoluzione e restaurazione ( a cura di Samuele Fanelli, tratto da I Quaderni Lucignanesi, vol.1) La figura di Federigo Capei si inserisce pienamente nella .stona della cultura di fine '700 e inizio '800. Nato da una famiglia nobile e benestante egli seppe uscire dai limiti di una vita terrazzana attraversando i grandi fermenti politici e culturali del suo tempo, ed impegnandosi in attività diplomatiche e amministrative, soprattutto m favore della Toscana, meno in vero dei suoi governanti. Ne è testimonianza la sua partecipazione all'attività amministrativa fin dal 1804 con Maria Luisa di Borbone, per passare poi al servizio del governo francese, prima a Parma poi a Parigi, facendo ritorno a Firenze alla caduta di Napoleone poipersi al servizio dei Lorena, legittimi sovrani del granducato. Federigo Capei nacque il 25 ottobre 1777 a Lucignano. Dopo i primi anni trascorsi nel borgo nano - de! quale la famiglia Capei era una delle più illustri sia dal punto di vista economico che da quello sociale, Federigo, sin dal 1789, scompare dal registro anagrafico di censimento che veniva compilato ciascun anno nei riguardi d'ogni famiglia. In effetti, da quell’ anno, egli fu accettato, in qualità di convittore, presso il collegio Cicognini di Prato. Uscirà dal collegio due anni dopo, per continuare i suoi studi a Roma, presso il collegio Bandinelli. Rimase qualche anno a Roma per far poi ritorno in Toscana. Poche ed incerte sono le notizie su questi ultimi anni e solo dal necrologio, possiamo ricostruire fatti e avvenimenti circa questi suoi impegni formativi prima che assumesse incarichi pubblici. D'altra parte occorre sottolineare che, alla fine del '700, una serie d'avvenimenti, traversie politiche e mutamenti di regimi cagionarono probabilmente la distruzione di documenti e archivi. Mentre la famiglia Capei continuava a risiedere in Lucignano, Federigo, già dal 1800, si era trasferito a Firenze. Il Capei rimarrà a Firenze per circa 20 anni. Si trasferirà poi ad Arezzo, intorno al 1820, quando la sua attività di soprintendente dell'amministrazione economico - idraulica della Val di Chiana, lo obbligherà a frequentare spesso l'ufficio centrale, che aveva sede proprio ad Arezzo. L’attività pubblica inizia per il Capei nel 1804 quando Maria Luisa, regina reggente, lo nomina aiuto cassiere del Regio Uffizio del Bigello. L’impiego del Capei durerà soltanto pochi mesi fino a quando la regina reggente lo affianca in qualità d'aiuto alla Soprintendenza Generale delle Acque in Val di Chiana, ad Andrea Muti. L'incarico gli verrà riconfermato, , pur nelle alterne vicende di quegli anni m cui cambiarono più volte i governi, e Fino al 1827 allorché verrà nominato direttore dell'Amministrazione EconomicoIdraulica della Val di Chiana. Nel periodo della dominazione francese la Toscana fu suddivisa in tre dipartimenti: Arno, Ombrone e Mediterraneo, amministrati secondo leggi e ordinanze emanate da Parigi. In quel periodo molti furono i toscani, eminenti per lignaggio e capacità, che vennero chiamati a Parigi per apprendere d'amministrazione e gestione del governo. Fra questi: Vittorio Fossombroni, il cav. Ippolito Venturi, Giuseppe Griffoli e lo stesso Federigo Capei, che fu nominato Auditore al Consiglio di Stato. Fu in tale vesce che ottenne, in breve tempo, la piena fiducia di Napoleone, il quale, nel volgere di pochi anni, lo nominò Auditore al Corpo Dirigente di Ponti e Strade con l'incarico di ispezionare i Dipartimenti oltre le Alpi, compresa la Corsica per poi andare su incarico del doverne Imperiale anche in missione a Vienna. Nel 1810 divenne amministratore a Parma dei beni della Corona per il dipartimento del Taro e, sempre nello stesso anno, fu nominato commissario, per conto del governo francese, presso il regno di Napoli. Mentre era a Napoli gli fu comunicato d'essere stato prescelto quale presidente del Magistrato del Po. L'impegno profuso, nel curare gli interessi dell'amministrazione francese, fu ricompensato l'anno seguente con l'assegnazione di un'onorificenza creata da Napoleone nel 1811 per celebrare l'annessione dell'Olanda alla Francia. Così il 28 marzo 1812, con decreto imperiale, il Capei fu nominato cavaliere dell'ordine imperiale della Reumon. Capei rimase a Parma fino al 1814, anno in cui, a seguito dell'abdicazione di Napoleone, si ebbe, di fatto, la fine Comune di Lucignano - PIANO STRUTTURALE 2004 - Quadro Conoscitivo - Relazione pag. 60 dell'impero. Dei territori che erano Stati sotto il dominio diretto o indiretto della Francia, la Toscana venne assegnata agli Asburgo - Lorena così come il ducato di Parma, Piacenza e Guastalla che passò dai Borboni all'imperatrice Maria Luisa, moglie di Napoleone e Figlia di Francesco, imperatore d'Austria. In attesa della nuova duchessa venne nominato, a Parma, un consiglio di reggenza. A rappresentarlo arrivarono due commissari imperiali: il conte Strassoldo e il conte Marescalchi. Il Capei, che dal 1810 era amministratore a Parma dei beni della corona, si recò, quasi certamente, a Vienna per offrire alla sua nuova sovrana i propri servigi. Vi ritornò munito di una lettera della sovrana stessa che lo autorizzava a rappresentarlo Appena rientrato in Toscana, il Capei venne nominato direttore della Magona a Pistoia. La caduta di Napoleone ed il congresso di Vienna portarono ad una nuova definizione dei confini d'Europa. II granducato di Toscana ritornò nelle mani dei Lorena e precisamente in quelle di Ferdinando III, secondogenito della casa d'Austria. Alla Toscana furono annessi i territori del principato di Piombino, dell'isola d'Elba e del ducato di Lucca. Il Capei, nominato commissario civile dell'imperiale e reale altezza Ferdinando III, fu delegato a prendere possesso del principato di Piombino sicché nel 1815, nel momento in cui il governatore civile e militare austriaco della città lasciava il principato Capei lanciò un appello agli abitanti perché tenessero ben a mente che l'annessione alla Toscana avrebbe portato l'abolizione di vincoli doganali, un sistema uniforme di leggi liberali sempre applaudite dagli stranieri, la promessa di incoraggiare e sostenere con tutti i mezzi gli utili stabilimenti che in qualunque tempo fossero stati creati. La medesima sorte del principato di Piombino l'ebbe l'isola d'Elba, da sempre considerata, dalle grandi potenze, una pedina di scambio molto importante. Il Capei fu sicuramente abile nel gestire questo passaggio di sovranità tanto che ottenne l'apprezzamento del granduca, che lo reputava funzionario fedele ed amministratore capace per la casa Lorena. Nel 1816 tale apprezzamento diverrà concretezza con l'attribuzione della carica d'aiuto amministratore economico e amministratore idraulico della Val di Chiana, a sostegno dell'opera che da alcuni anni, andava portando avanti il Fossombroni. Iniziava così un periodo particolarmente fecondo nell'attività amministrativa del Capei che durerà fino al 1833. Contemporaneamente a questa carica gli furono attribuiti altri incarichi e oneri quali il risanamento del pantano di Monte San Savino, del piano del Busso presso Asinalunga, il riassetto dell'Arno Chiana e Chiassa nell'Agro aretino, il concordato idraulico con lo stato pontificio del 1820. A rappresentare il governo toscano oltre al Capei vi era Alessandro Manetti. In tale concordato furono stabilite ulteriori opere di bonifica del piano della Biffa e delle Bozze Chiusine nei territori di città della Pieve e di Chiusi., lavori per la deviazione delle acque del lago Trasimeno e per la strada d'Urbania e Orvieto. Dopo il congresso di Vienna, al ritorno in Toscana dei Lorena, Ferdinando III nominò Fossombroni alla guida del governo e del ministero degli esteri, e pensò di dare una sistemazione idraulica alla Val di Chiana. Vi era, dunque, la necessità di creare un'amministrazione che sovrintendesse i beni idraulici ed economici di quella zona e fosse capace di esprimere, nel suo ambito, un presidente in grado di dirigerla. Era opportuno che il Presidente risiedesse nella provincia medesima dove sono situate le fattorie. Per rendere operativa tale proposta il granduca istituì un'amministrazione per le dodici Fattorie della Val di Chiana che assumeva competenze sia di carattere amministrativo sia di carattere idraulico. La sede dell'amministrazione fu posta in Arezzo, sovrintendente generale fu nominato Fossombroni, direttore Gamurrini ed aiuto del sovrintendente Federigo Capei. Da quel momento, numerose e dettagliate furono le notizie su quelle dodici Fattorie poiché Capei, avvertì la necessità di rendere partecipe d'avvenimenti e procedure l'amministrazione dello stato in cui si trovavano le regie possessioni, evidenziando, altresì, i gravi danni che derivavano sia da una cattiva utilizzazione del personale sia da uno sfruttamento non adeguato dei vari terreni delle fattorie. Lapide di Federigo Capei posta sulla facciata dell’omonimo palazzo Fu avviato, da parte del Capei, un progetto di riordino del quale informava con continuità il Fossombroni ed indirettamente, quindi, il sovrano. Per gli anni che vanno dal 1816 al 1820 esistono molti documenti che si riferiscono al progetto generale di riordino, che era teso, soprattutto, a migliorare la situazione economica della zona ed a riorganizzare i ruoli degli occupati delle fattorie. Nella sua relazione, il Capei prendeva in esame il numero delle famiglie, dei lavoratori, la situazione economica relativa alle coltivazioni, al bestiame ed ai fiorentini allevamenti dei bachi da seta. Riordinando poi il quadro delle entrate e delle uscite generali si potevano offrire previsioni sulle possibili strategie economie da adottare. Venivano definiti anche i nuovi profili dei vari dipendenti, fissato i compiti del direttore, degli ispettori, dei computisti e degli ingegneri. Era certamente un cambiamento notevole rispetto ad una tradizione sostanzialmente orale, cioè a quella che Comune di Lucignano - PIANO STRUTTURALE 2004 - Quadro Conoscitivo - Relazione pag. 61 sino allora aveva determinato i rapporti tra amministrazione e contadini. Il Capei, elaborando in maniera minuziosa la scritta e definendo i nuovi ruoli dei dipendenti, contribuiva, in modo rilevante, a regolamentare una materia delicata che fino a quel momento si era basata .sulla consuetudine e su patti orali che potevano dare spazio a soprusi di vario genere. La scritta colonica dettava le condizioni generali del patto mezzadrile sotto forma di 29 articoli che regolavano tutte le materie del rapporto colonico. La scritta, proposta dal Capei, tu approvata dal sovrano. Questo patto doveva essere sottoscritto dal colono e dal fattore al momento dell'entrata nel podere. Lo scopo era quello di elencare, in modo preciso, i compiti e gli obblighi che il contadino aveva nei confronti dell'amministrazione, la quale, a sua volta, controllava, e in modo meticoloso tutto l'operato, definendo anche il numero di animali che il lavoratore e la sua famiglia potevano tenere. Nella sua relazione il Capei aveva ben individuato, nella coltura dei terreni, nella scelta della, qualità delle sementi, nella fedele raccolta e conservazione dei prodotti e nella morigerata condotta degli agricoltori, le peculiarità che avrebbero giovato alla prosperità dell'amministrazione. Secondo l'indagine del Capei, all'interno delle fattorie, erano sicuramente gli agenti le figure più rilevanti, anche se, sovente, erano inadeguati al compito affidato loro, ed incapaci nel lavoro. Gli agenti, sovente chiamati dai contadini "padroni", avevano mostrato un certo astio nei confronti della nuova amministrazione sentendosi lesi dalle misure di vigilanza sopra i loro ordinamenti. Per risolvere la questione il Capei ricordava, nella sua relazione, di aver proposto, corsi d'iscrizione per gli agenti, approvati poi dal sovrano l'anno seguente. Gli agenti dovevano ben sapere come comportarsi: in ogni situazione. Molti erano i divieti che un agente doveva osservare nelle esplicazioni delle proprie funzioni. Erano proibiti i debiti d'ogni genere, erano obbligati a registrare tutti gli acquisti e le vendite di bestiame della fattoria. Veniva istituito il cosiddetto quadernuccio dei mercati che serviva ad appuntare le spese per il bestiame e quelle per i lavoratori e nel quale si annotavano anche le remunerazioni per i lavoratori.. Vi era anche il quaderno dei pasti in cui i vari impiegati della corona registravano le volte e le occasioni in cui veniva somministrato loro il pasto. Annotavano anche, in un conto separato, le elemosine giornaliere che si elargivano in ciascuna fattoria. Gli agenti dovevano avere, nei confronti della corona, un atteggiamento di correttezza, onestà e fedeltà. Tutti i favoritismi erano vietati così come doni o presenti. I controlli erano continui e minuziosi, ed era obbligatorio inviare ogni mese un rapporto generale. Negli allegati venivano stabiliti anche le provvisioni annue per ciascun impiegato oltre le provviste di biancheria, mobilia, orto, colombaia, lume, fuoco assegnati ad agenti, impiegati ed inservienti delle fattorie stesse. Di fronte alla minuziosità nell'appuntare le spese, il Capei non mancava di sottolineare i possibili rischi di un'economia severa che, alla fine, poteva essere solo apparente vista la necessità di avere inservienti onesti e fidati. Occorreva dunque stabilire delle indennità che potessero essere utili all'amministrazione ma anche alla buona morale. Per poter gestire i grandi terreni delle fattorie granducali, il Capei individuava la necessità di più figure per ognuna delle quali egli specificava una serie di istruzioni che si intendevano al loro profilo, alle loro funzioni, ai loro rapporti con i superiori e con l'amministrazione. A capo di questa struttura v'era un direttore, al quale vennero assegnati ampi compiti che interessavano direttamente l'andamento delle bonifiche, mentre le competenze idrauliche vennero affidate ad ingegneri, l'amministrazione assegnata a computisti e il settore economicosociale concesso ad ispettori. In questo ambito il direttore doveva rispondere del suo operare sia alla pubblica amministrazione che allo stesso Capei, pur avendo, comunque, un ruolo autonomo sì da poter operare, contattare, concedere, sospendere, licenziare a proprio piacimento. Egli sovrintendeva il lavoro di tutto il personale gestendo un bilancio e lo stato di previsione, creando anche un fondo per far frante in casi imprevisti e fortuiti dell'annata. Per quanto concerneva l'ambito sociale egli aveva la facoltà di dividere le famiglie coloniche, troppo numerose, trasferendo i contadini da un podere e da una latteria all'altra. Emerge quindi una figura egemone che, da una parte, aveva rapporti continui con l'amministrazione, ottenendo da quest'ultima anche consulenze per le questioni legali, e, dall'altra, aveva un ruolo autonomo potendo decidere sull'andamento generale delle grandi fattorie. Nella gestione delle fattorie il direttore era coadiuvato da figure intermedie, ognuna delle quali aveva dei compiti specifici. Gli ingegneri, ad esempio, avevano il compito di vigilare gli argini dei fiumi e dei torrenti, di impedire le inondazioni e di fare tutte le disposizioni opportune a prevenire i pencoli. Dovevano anche vigilare sulle strade, sui lavori delle fabbriche, sulle colmate, argini, fossi, scoli, ponti e su tutti gli altri lavori ad eccezione delle coltivazioni, ed avevano l'obbligo di essere sempre presenti e l'onere d'essere direttamente responsabili dei lavori fatti eseguire. Nell'amministrazione erano i computisti le figure intermedie. Essi avevano il compito di tenere mensilmente in giorno i libri spogli dei saldi della rispettiva annata colla scrittura del mese precedente tenuta dagli agenti. Mese dopo mese, i computisti dovevano, poi, riportare nei quaderni dei saldi tutte le partite di scrittura - che si trovavano segnate nel duplicato di scrittura - entrare ed uscire in contanti, entrate ed uscite in grasce, Comune di Lucignano - PIANO STRUTTURALE 2004 - Quadro Conoscitivo - Relazione pag. 62 legnami e lavori alle fornaci. A fine anno il lavoro diventava per loro oneroso poiché dovevano anche essere rivisti gli inventari riguardanti i mobili, la biancheria, gli utensili, gli attrezzi. A fine anno venivano, anche, fatte le stime del bestiame. L'andamento complessivo delle fattorie, in base alla scritta colonica, era affidato, nell'articolato ordinamento del Capei, all'ispettore, il cui ufficio era subordinato solo al direttore. L'ispettore doveva dare tutte le disposizioni necessarie per assicurare l’ andamento economico della fattoria. Doveva, due volte all'anno, fare eseguire, in ciascun podere, la verifica delle sementi. L'ispettore doveva scegliere, sulla base della qualità dei vari terreni, le colture più adatte, rispettando la tipicità dei vari luoghi. In particolare grano e granturco, fagioli e patate facevano parte integrante del vitto delle famiglie e quindi dovevano essere poste in coltivazione obbligatoriamente. Altrettanto tipica era la coltivazione della vite. La vigilanza, esercitata dagli ispettori sui vari agenti, doveva essere puntuale ed attenta affinché non fosse venduta alcuna partirà d'uva senza espressa approvazione superiore. L'ispettore doveva vigilare anche sulle stalle, perché esse fossero tenute sempre provviste del bestiame necessario. La vigilanza interessava anche le famiglie dei contadini, sulle quali gli ispettori erano chiamati a raccogliere informazioni in merito ai possibili debiti contratti nel corso dell'annata. Le condizioni che regolavano il rapporto dell'amministrazione delle .fattorie con contadini vennero quindi proposte dal Capei ed approvate con sovra-no rescritto del 7 aprile 1817. Il patto colonico era firmato congiuntamente dal colono e dal fattore e sanciva una serie d'obblighi ai quali il colono non poteva venire meno, pena il suo immediato licenziamento. Questi doveri investivano sia la vita personale sia quella lavorativa del contadino. Un contadino non poteva prendere moglie senza l'approvazione scritta dell'amministrazione e doveva impegnarsi perché in famiglia si usasse un vestiario semplice ed economico, utilizzando lana e filati del proprio podere. Il licenziamento era previsto per casi di furto, per inosservanza delle norme previste dalla scritta colonica, per ingiurie, per la vendita abusiva di piante o alberi, per debiti superiori a mille lire ed anche per la frequentazione di luoghi di sperpero e vizio. Il contratto di mezzadria, costituito da 29 articoli, era accompagnato e integrato da una serie di circolari. Al fine di poter vigilare direttamente sugli agenti, dei quali il Capei non approvava certo le iniziative autonome e l'atteggiamento da padroni delle fattorie, fu reso obbligatori l'uso di veri e propri quaderni ufficiali per le vendite, controfirmati dall'ispettore, per evitare così arbitri in merito alle entrate ed alle uscite. Gli agenti, anzi, furono ritenuti direttamente responsabili d'atteggiamenti illegittimi nei confronti dei contadini se non rispettavano le regole imposte dall'amministrazione stessa. Un discorso a parte merita, rispetto alla coltura tradizionale, quell' innovativa dei bachi da seta. Per incrementare tale coltura nei terreni della bonifica furono messe a dimora, lungo le strade ed al delimitare dei campi, piante di moro, le cui foglie erano l'alimento essenziale per i bachi. A riguardo, il Capei elaborò tutta una serie d'istruzioni, in cui si specificavano le modalità più appropriate per una cova che volesse dare un buon rendimento economico. Il processo della cova era lungo e doveva essere sorvegliato accuratamente dagli agenti sin da quando iniziava la vegetazione dei mori. Nella circolare del Capei vi erano indicazioni precise: dalla raccolta delle foglie alla loro asciugatura, in caso di piogge. Il Capei ordinava agli operai di portare nei campi una vanga per non star il far niente quando le piante erano umide e non potevano essere toccate. Dopo la raccolta dei bozzoli, si passava alla scelta delle cove per l'anno successivo selezionando il seme per assicurare il miglioramento della qualità. Di fatto l'amministrazione centrale delle fattorie granducali sovrintendeva un territorio così ampio che era praticamente impossibile una vigilanza stretta e diretta sull'operato di tutti talché diversi erano i casi di abuso di potere. Furono dunque diramate, per ottenere cognizione la più approssimativa, istruzioni dettagliate per la compilazione dello stato mensile della cassa e delle grasce, riferita a ciascuna raccolta. Gli agenti erano anche obbligati a riferire, settimanalmente alla direzione, le vendite effettuate, sempre attenendosi al modello che veniva loro fornito. Particolarmente accurata e regolamentata era la concessione del vitto ai vari lavoratori e la paga dispensata ai fabbri, legnaioli e altri manifattori. Ad ulteriore conferma delle funzioni amministrative che egli assolveva in nome del granduca vi è la notifica del 10 novembre 1821 nella quale venivano a precisarsi, in 17 articoli, le modalità con cui si doveva procedere, in Val di Chiana, all'alienazione o contratto con canone, in contante o in vendita libera, degli stabili appartenenti all'imperiale e reale corona. La definizione delle modalità di vendita o godimento delle varie proprietà era precisa, quasi puntigliosa, ma altrettanto necessaria visti gli enormi interessi, anche in conflitto tra loro, che entravano in gioco, mano a mano che si procedeva nelle bonifiche della valle. Nel novembre 1827 Leopoldo II incaricò il Fossombroni d'occuparsi della bonifica della Maremma. La Maremma costituiva un territorio assai vasto che comprendeva non solo l'area litoranea ma anche le zone interne e collinari. Di tatto andava da Castiglioncello fino al confine con lo Stato Pontificio. Nei primi secoli a.c. era un territorio salubre e privo quasi di paludi, al tramonto dell’ impero romano, così come Comune di Lucignano - PIANO STRUTTURALE 2004 - Quadro Conoscitivo - Relazione pag. 63 era avvenuto per la Val di Chiana, il crescente sconquasso idrico porrò ad una rapida deterioramento della regione. Non appena giunti, i Lorena mostrarono subito una forte sensibilità nei confronti del problema della bonifica ed iniziarono a risanare il territorio favorendo così il riassetto idrogeologico, combattendo la malaria e garantendo migliori condizioni di vita. Il frazionamento dei terreni fu essenziale per avviare la bonifica, e per creare un ceto di medi e piccoli proprietari che avrebbe potuto migliorare enormemente le potenzialità produttive di questa parte del granducato. Fu Leopoldo II che, emanando un motuproprio il avviò la bonifica della pianura grossetana affidando l'amministrazione ad una commissione idraulico-economica composta da un direttore alla bonifica, da un ministro economo e da un architetto idraulico. Erano, di competenza del direttore, tutte le misure che riguardavano l'esecuzione della bonifica. Egli aveva, altresì, il compito di sottoporre all'approvazione i progetti di lavoro firmati dall'architetto e destinati a dare esecuzione alle varie parti del piano di bonifica. Era suo compito, insieme all'architetto, scegliere i caporali conduttori dei lavori, stabilendo il loro salario giornaliero. La commissione idraulico-economica aveva, di fatto, non solo l'incarico di prosciugare il lago di Castiglione ma anche tutti gli altri oggetti che avessero relazione con la bonifica della provincia. Grazie al motuproprio e alle costanti attenzioni che il granduca riservava a quella che egli definiva la sua figlia malata, i tempi di progettazione furono rapidi se, in breve, furono nominati i responsabili della commissione di bonifica: Federigo Capei direttore, Giacomo Grandoni ministro economo, Alessandro Manetti architetto idraulico. La commissione era alla diretta dipendenza del sovrano tramite la segreteria alle finanze. I lavori furono particolarmente alacri fra il 1828 ed il 1848, periodo in cui si provvide alla progettazione ed esecuzione delle infrastrutture necessarie per approntare i cinque bacini di colmata. I ritmi di lavoro furono febbrili, seguiti da vicino dallo stesso granduca, scese direttamente in Maremma nel dicembre 1828. Rientrato a Firenze, egli scriveva note e disposizioni al Capei. Questi si recò, in quei giorni, in Maremma per una ricognizione generale e non mancò di esternare il proprio timore per l'imponenza della cosa. Se razionalmente la bonificazione risultava tecnicamente possibile, non erano da sottovalutare le difficoltà. Nonostante le difficoltà, il Capei mise subito in atto un piano teso ad accogliere i numerosi operai che dovevano attendere al lavoro, e si preoccupò d'informare costantemente il sovrano sul procedere del lavori: sia riguardo le indagini sul territorio, sia le possibili deviazioni, così come era già avvenuto ad Orbetello, sia riguardo le difese da adottare per evitare le inondazioni. Preziose si rivelavano le conoscenze che egli aveva maturato nella bonifica della Val di Chiana sicché, così come era già avvenuto per quella valle, egli predispose un intervento globale, teso prima a rendere asciutti e fertili i territori poi a dare alla popolazione, sino a quel momento duramente provata dalle febbri, un'economia non più da sopravvivenza ma ricca e prospera. Questo progetto d'intervento poteva essere considerato una vera e propria bonifica integrale. I Lorena volevano, in affetti, che il risanamento delle terre rosse da stimolo per nuove attività, anche per popolare i luoghi che venivano strappati alla palude. Senza insediamenti abitativi stabili era impensabile immaginare che la bonifica avesse successo. Nel giornale che si premurava di tenere, il Capei paragonava sovente la situazione della Val di Chiana con quella della Maremma, confrontando le arginature di riparo nell'uno e nell'altro ambiente. Per evitare ciò che era accaduto in Val di Chiana, egli sottolineava l'esigenza, una volta avviata a bonifica, di evitare i funesti effetti dell'incuria e dell'abbandono. Il granduca accettava i consigli del Capei, ma rimetteva la decisione finale, prima di dar inizio ai lavori, al vecchio Fossombroni. Il Capei fece presente quanto poco efficiente fosse stata l'amministrazione precedente, quantunque potesse avvalersi della professionalità di tre ingegneri edili e di un ispettore. I lavori, in realtà. erano avanzati stentatamente in un paese che ha tanti urgenti bisogni nonostante la miope opposizione di molti proprietari terrieri. I terreni salmastrosi, ad esempio, sarebbero potuti tornare produttivi dopo essere stati per molto tempo in riposo e non tormentati dal bestiame. Tre le ragioni fondamentali per quelle condizioni dei terreni: 1) una lavorazione troppo profonda sicché si riportava in superfìcie il terreno salmastroso rimasto fino ad allora coperto dalla buona terra. 2 )il lavorare nell'estate le terre quando non sono state abbastanza spente dalle acque come pure il lavorare nell'autunno i terreni troppo bagnati 3) il ristagnamento delle acque e il calpestio degli animali sopra tali ristagni e acquitrini. Alla fine di quel 1828 lo scambio di missive tra la segreteria delle Finanze e il Capei si fa particolarmente intenso, anche perché si susseguono le ispezioni nei terreni della bonifica. Oltre ad interessarsi della situazione delle acque, il Capei si preoccupa anche delle condizioni degli uomini impegnati nel lavoro di bonifica. In quel periodo, centinaia e centinaia di operai arrivavano quotidianamente da tutto il granducato ed in particolare dall'alta Val di Chiana. Non tutti certo idonei a quel lavoro, anche se il Capei aveva, sovente, rimarcato che, in Maremma, occorrevano vanghe e noli penne. Quella vera e propria inondazione di lavoranti resero, di fatto, sempre più precaria la situazione per mancanza di alloggi e di ricoveri. Diverse sono le stime in merito agli uomini giunti in Maremma, ma sembra che raggiungessero quasi le 4000 unità. Durante le frequenti ispezioni che il Capei compiva insieme all'ingegner Manetti vennero messi in evidenzia alcuni interventi prioritari Comune di Lucignano - PIANO STRUTTURALE 2004 - Quadro Conoscitivo - Relazione pag. 64 perchè si potesse giungere, nel volgere di circa otto anni, alla totale bonifica. In primo luogo si doveva favorire la più sollecita e regolare collazione-, quindi occorreva difendere dagli interramenti il canale maestro della palude, infine bisognava assicurare uno scolo ai terreni sani e bonificati. In aggiunta era necessario impedire la effrazione delle acque e circoscrivere le inondazioni sì da giungere ad un progressivo prosciugamento di talune parti della palude. Il compito si presentava comunque immane tanto che sia il Capei che il Manetti si resero conto che il loro incarico poteva riguardare solo l'avvio di un progetto e che la bonifica avrebbe modificato, nel tempo, l'equilibrio complessivo dell'area. Era necessario, dunque, pianificare la spesa in maniera oculata ed intelligente immaginando i cambiamenti che si sarebbero succeduti e le loro ripercussioni sul territorio e sull'economia. Si trattava di operare in modo da fronteggiare gli inconvenienti e gli sconvolgimenti inevitabili, di programmare gli investimenti, tenendo presente quegli aspetti incerti e variabili che si sarebbero presentati. Con la bonifica si pensò di costruire alcune strade di comunicazione che, a quel momento, erano del tutto inesistenti, Lo stesso granduca non mancava di evidenziare, nelle sue frequenti visite, la difficoltà nelle comunicazioni, l'area malsana, le condizioni di vita forzatamente disgraziata. Il Capei s'interessò molto alle condizioni degli operai tanto che si attivò perché fossero costruite case in grado di accogliere i lavoratori che affluivano da territori lontani. Di fronte alle richieste del Capei, la segreteria delle finanze rispose positivamente autorizzando la costruzione d'alloggi, pur non mancando di sottolineare la necessità di operare controlli accurati sulle spese. I lavori in Maremma apparivano talmente vasti e di spesa così ingente che il granduca ritenne opportuno e logico valutare, volta per volta, l'opportunità delle spese. Il numero dei braccianti continuava ad aumentare sicché si dovette costruire nuovi alloggi ma anche sorvegliare, in modo attento, i braccianti che, sovente, diventavano violenti soprattutto quando rimanevano forzatamente in ozio nelle giornate di tempo brutto. Grazie all'abbondanza di manodopera si potè, e senza grossi problemi, approntare tutte quelle opere necessarie per migliorare la viabilità. Il lavoro, tra il 1828 e il 1831, continuò in maniera febbrile anche se furono poste solo le basi per la futura bonifica, che avrà termine, definitivamente, un secolo dopo. Di fatto, dopo il 1831, il Capei si defilò progressivamente dall'impegno assunto, forse perchè avvertiva i pressanti malumori espressi dalla segreteria, riguardo la sua carica di direttore dell'amministrazione economico-idraulica della Val di Chiana. II 29 marzo 1833 l'ufficio dei sindaci del bilancio di previsione per l'anno 1833 della Val di Chiana approvava un'avvertenza con la quale s'invitava il direttore Capei a prestare attenzione sull'eccessiva spesa di amministrazione. Da quel momento, seppure in maniera ufficiosa, il Capei sarà estromesso da carica di direttore dell’Ufficio della Bonifica, da direttore dell’Amministrazione Economico Idraulico in Val di Chiana e da direttore dell’ufficio della bonifica della Maremma. E’ l’inizio della parabola discendente di una carriera molto brillante, iniziata già sotto l’impero napoleonico. Da ricordare soprattutto le onorificenze concessegli dal granduca Leopoldo II per la capacità dimostrata nell'amministrazione del processo di bonifica delle terre della Val di Chiana, il cavalierato dell'Ordine del Merito sotto il titolo di San Giuseppe e il cavalierato dell'Ordine di Santo Stefano, Papa e Martire Negli anni venti i rapporti dei Capei con le fami- glie nobili aretine furono assai intense grazie, anche, al matrimonio di sua figlia primogenita con il fratello di Carlo Dini. La partecipazione del Capei alla vita aretina divenne sempre più frequente tanto che egli entrò a far parte di una società costituita tra i più noti e nobili esponenti cittadini: quali Giovanni Paoli, Giuseppe Albergotti, Carlo Dini e Francesco Falciai. Lo scopo della società, assai ambizioso, era quello di ostruire un nuovo teatro per la città. Esso doveva essere grandioso, elegante ed anche di prim'ordine. Il 20 settembre 1828 fu concessa alla loro società una porzione d'orto del soppresso convento di Badia, il cosiddetto orto dell'Abate, per edificarvi il nuovo teatro. Capei era particolarmente considerato grazie alle esperienze di teatro che egli aveva potuto fare a Parigi, nei primi anni dell’ 800. Una stima sincera, da parte della città e del suo ceto nobiliare, che si esternò allorché il Capei subì l'umiliazione della sospensione dagli incarichi. Egli venne nominato, infatti, proprio nel 1833, anno di inaugurazione del nuovo teatro Petrarca, presidente dell’ Accademia del teatro e fu presidente fino alla sua morte avvenuta il 27 giugno 1846. Alla fine del 1832 i diari e le note che, quasi quotidianamente, il Capei inviava al granduca si ridussero sebbne egli, insieme al Manetti, rimanesse in carica per quel che concerneva i problemi idraulici. Quantunque non vi fossero prove circa le possibili truffe nei confronti dell'amministrazione della Val di Chiana, circolavano però voci e indiscrezioni sulla scarsa rettitudine della gestione. Furono probabilmente queste indiscrezioni che spinsero Giovanni Baldasserom", nominato in quell' anno capo dell'Ufficio dei Sindaci, ad iniziare un'indagine per accertarsi che la conduzione complessiva dell'amministrazione della Val di Chiana fosse stata davvero regolare. Dopo un' iniziale incertezza, lo stesso granduca si mostrò favorevole al proseguimento dell'inchiesta. Da una prima indagine risultò che non tutte le terre erano redditizie per l'amministrazione. Comune di Lucignano - PIANO STRUTTURALE 2004 - Quadro Conoscitivo - Relazione pag. 65 Il sovrano sollecitava ulteriori indagini e, con una lettera all'Ufficio Revisione e Sindacati, obbligava i predetti Capei e Francioli a stare rispettivamente in Firenze e Arezzo. Contemporaneamente imponeva a Giovanni Bellini di trasferirsi in Arezzo per assumere l'incarico, sia pure in via provvisoria, di direttore dell'amministrazione economico-idraulica della Val di Chiana. Sostanzialmente gli addebiti a carico del Capei, definito reo principale, e del Francioli, complice, erano duplici. Palazzo Capei ( in via Matteotti in Lucignano) Alcune figuravano assegnate a mezzadri immaginari e coltivate da contadini: o gratuitamente o per miserabile mercede, mentre il raccolto veniva ad essere preso dal direttore dell'amministrazione che ne disponeva a piacere. Furono anche trovati stati di raccolte alterati e falsificati. Per il capo dell'Uffizio dei Sindaci non si poteva parlare d'irregolarità poiché l'arbitraria infrazione di ogni regola era l'abituale andamento dell’ amministrazione. Sebbene si fosse soltanto all'indagine, il sovrano ritenne opportuno sollevare sia il Capei che il Francioli dall'esercizio delle loro funzioni. Da una parte le molte e molte infrazioni delle discipline e dei regolamenti amministrativi, d'altra parte il novero delle imputazioni delittuose che la straordinaria revisione ha posto in essere a carico degli amministratori. Si rilevava in particolare che, sotto la guida del Capei, l'amministrazione della Val di Chiana aveva operato, organicamente e sistematicamente, con metodi pregiudizievoli all'interesse della proprietà regia. Veniva criticata la gestione amministrativa che, in maniera improvvida, aveva concesso ad una massa di creditori un fruttifero del 5% ed aveva gestito in modo pessimo il rapporto con i debitori. Nella relazione venivano comparate le entrale lorde e le spese totali fra l'antica e la nuova amministrazione rilevando come, mentre nella vecchia le spese ammontavano al 25% delle rendite lorde, nella nuova erano giunte al 46,45% L'amministrazione precedente risultava più efficiente anche per quanto concerneva i miglioramenti del suolo e delle fabbriche. Sostanzialmente la commissione indicava tre specie di delitti: 1) la sottrazione sistematica della metà del raccolto effettuato in alcune terre. 2) Le sottrazioni che riguardavano la parte dominicale dei raccolti. 3) Le alterazioni e simulazioni nelle scritture e nelle note originali delle semente dei regi possessi. Nel rapporto viene riportata interamente anche la difesa del Capei che si basava su una tesi ed una ipotesi. Nella tesi si sosteneva la verità e la regolarità delle mezzerie controverse, asserendo che queste erano controllate dai fattori e non da lui, e che il suo intervento aveva quale unico fine quello di operare una più equa distribuzione dei prodotti, della parte colonica, tra i diversi impiegati dell'amministrazione. Ipotizzava, quindi, che, pur ammettendo che quelle mezzerie fossero illecite ed irregolari, che egli aveva agito in buona fede e con nessun agio nell'uso dei suddetti prodotti, allontanando tal modo il sospetto di aver tratto, in qualche modo, profitto. Riguardo le presunte colpe, il Capei ribadiva che, con le risorse acquisite dagli utili delle coloniche, egli aveva offerto aiuto agli impiegati delle fattorie, oberati da una famiglia numerosa e da interessi da pagare, che aveva fatto impartire ai figli di costoro un'educazione per allontanarli dall'ozio, aveva rimediato a piccole distrazioni o errori, aveva concesso mance ai giovani figli degli impiegati impegnandoli nella vigilanza e nell'interesse delle rispettive fattorie, aveva soccorso, con denari e generi di prima necessità, alcuni coloni. Occorreva allora dimostrare che le rendite sottratte fossero state utilizzate per spese che sarebbero state utili all'amministrazione. Al termine dell'indagine, la commissione rimarcò due aspetti fondamentali: 1) che la gestione del Capei era stata improvvida, negligente e prodiga; 2) che era stata fraudolenta e criminosa. Per certificare ciò erano state avviate numerose ispezioni. La commissione era stata invitata ad esaminare tutte le operazioni che erano addebitate al Capei ed al Francioli, il carattere di tali operazioni in ordine alle leggi ed ai regolamenti, il grado di prova che le carte potevano offrire e le conseguenze che potevano derivare in termini giudiziari. Il processo fu lungo e assai penoso per il Capei, ormai stanco e amareggiato soprattutto perché, mentre riteneva di aver danneggiato e sacrificato i propri interessi a favore dell'amministrazione e quindi della casa Lorena, era accusato di malversazione da parte d'eminenti personalità. L'indagine continuò per un anno e solo con la relazione del 10 gennaio 1836 si pose fine all'inchiesta. Furono valutati attentamente tutti gli addebiti ed accrediti contro e a favore del Capei. Guadagni vi erano stati, è vero, ma di tali guadagni si conservavano solo ricevute indicative in merito alle cifre erogate. Era scontata una tendenza all'arbitrio e all'abuso di potere, anche se bisognava tener presente anche le spese sostenute per l'educare i figli degli impiegati della regia Comune di Lucignano - PIANO STRUTTURALE 2004 - Quadro Conoscitivo - Relazione pag. 66 amministrazione, per sussidiare e, in un certo modo, pensionare persone non più in attività di servizio, per elargire altresì gratificazioni ordinarie a tutti gli impiegati. Tali operazioni non potevano, dunque, essere considerate delittuose, ma piuttosto sventate. Le indagini eseguite sui raccolti e sui salari risultarono poco attendibili in quanto la difesa aveva avuto tempo e modo per prepararsi adeguatamente. Di fatto, quindi, nonostante la lunga inchiesta, non era stato possibile ottenere risposte certe e precise in merito alle questioni poste. La commissione suggeriva allora, a conclusione della propria relazione, che se era ben possibile avviare un procedimento giudiziario — che implicava il coinvolgimento di molti imputati e testimoni sollevando così un gran polverone, d'altra parte era ben possibile tenere sospeso il giudizio pur considerando che certe operazioni illecite erano state compiute. Il giudizio della commissione, pur lasciando al governo il compito di prendere le decisioni più opportune, era quello di considerare il Capei imputato principale e l'ispettore Francioli suo complice. Il direttore Capei, infatti, che aveva esteso le mansioni su un gran numero di persone e s'era affaccendato con cifre più elevate rispetto al passato, aveva violato il proprio mandato e di ciò doveva essere incolpato. Una volta consegnata la relazione alla segreteria delle finanze, essa fu esaminata con attenzione e in modo approfondito. Dal gennaio al 1 aprile, data della destituzione del Capei, il sovrano ebbe modo di ponderare bene il caso chiedendo, ai vari collaboratori, un parere complessivo sull'accaduto. Interessante appare il giudizio espresso dal Fossombroni che, pur non mancando di far presente che v'erano state delle irregolarità, taceva notare che, spesso, vi sono reclami contro gli amministratori altomati da persone interessate a screditare gli amministratori medesimi. Egli sottolineava anche che più volte Capei era stato strumento utile al governo in molte straordinarie ingerenze. La regolarità dei lavori di coltura e bonificazione della Val di Chiana dimostrava, poi, che Capei, una volta corretto dai difetti che gli erano stati contestati, poteva ancora essere un amministratore utile anche perché la sua destituzione sarebbe stata preceduta da misure analoghe a quelle di un delinquente, cosa che lui non meritava. Il sovrano tenne ben presente certamente il parere del Fossombroni, quindi, pur in presenza di irregolarità commesse, reputò opportuno chiudere il caso con un ammenda. Considerò invece inaccettabile un altro consiglio del Fossombroni: quello di utilizzare successivamente il Capei per altri incarichi. Per i servigi resi all'amministrazione tu assegnata al Capei l'annuale somma di scudi 1000 da aggiungere alla pensione di cui già godeva, ma gli fu tolta, come anche al Francioli, ogni commissione già affidatagli. A quel punto si trattava di comunicare agli interessati la risoluzione. Fu incaricata la persona meno adatta, colui che aveva sostituito il Capei: Giovanni Bellini. Era una procedura insolita che, in realtà, nascondeva l'imbarazzo dell'amministrazione per aver sollevato un gran polverone su fatti e circostanze suffragate solo da .supposizioni e dicerie. L'affare Capei non riuscì però ad intaccare l'immagine di un uomo onesto. Dalla lettura complessiva delle carte processuali non emerge un resoconto chiaro. Sicuramente l'amministrazione della Val di Chiana era divenuta. con il tempo, molto costosa e alcuni uomini dell'amministrazione cercarono, con quegli eccessi, di colpire il Fossombroni, che, nonostante fosse ormai vecchio, era ancora molto potente. Vi furono delle irregolarità e certo, ma vi fu una vera e propria responsabilità collettiva e che il Capei fu solo un capro espiatorio. La posizione dell'amministrazione fu sempre molto equivoca, e ciò procurò delusioni e dolore al Capei, già amareggiato per essere stato colpito nella sua onorabilità a causa del lungo periodo che intercorse tra la momentanea destituzione e il giudizio finale. A testimonianza della volontà dell' amministrazione nel voler far dimenticare quanto accaduto, v'è l'attestazione di un foglio sparso, datato 6 aprile 1842, nel quale si dichiara l'intenzione di sospendere tutti gli atti giudiziari contro il Capei. Era forse il riconoscimento tardivo dell'innocenza del Capei, o forse l'ultimo atto per lasciare intendere che vi erano stati errori collettivi nell'amministrazione. Comune di Lucignano - PIANO STRUTTURALE 2004 - Quadro Conoscitivo - Relazione pag. 67 2.6.2. L’EREDITA’ DI PIETRO DI SPAGNA ( a cura di Francesca Rosini, tratto da I Quaderni Lucignanesi, vol..2-3) Il 28 Settembre 1609 Pietro di Stefano Stefani detto la Spagna dettò il suo testamento alla presenza de del notaio pubblico fiorentino Ser Antonio Franceschini; il documento costituisce una pagina importante della storia lucignanese perchè segna l'inizio dell'Opera Pia Eredità Spagna Stefani, in altre parole di un Fondo destinato alla dote di fanciulle povere. Simili fondi erano comuni anche in altre città, come Firenze o Siena, ma costituiva una novità nell'ambiente lucignanese. Nonostante l'importanza del suo lascito e la durata che ebbe nei secoli successivi, scarse sono le notizie che riguardano la vita di Pietro Spagna; in un documento è registrato l'atto di matrimonio con la seconda moglie: In un altro atto è poi registrata la sua presenza come testimone ad un matrimonio. Per quanto riguarda però la sua professione non si hanno notizie certe, a meno di non considerare come fonte il Del Corto, secondo cui un cale Pietro Spagna lavoro come medico alla corrte del sultano di Costantinopoli; anche il Repetti riporta la medesima notizia, ma confonde il nome dello Spagna (Pietro) con quello del padre e lo chiama Stefano. E’ più che probabile comunque che i due autori abbiano confuso la figura dello Spagna con quella del nipote omonimo. La morte dello Stefani avvenne il 21 Febbraio 1623 e la maggior parte dei suoi beni fu lasciata, secondo il famoso testamento, a Bastiano di Antonio Stefani, probabilmente l’unico nipote maschio, e ai suoi discendenti in infinito, come si legge dalle Memorie del Comune Lucignanese. Inoltre la moglie Santa Tornaini era lasciata usufruttuaria fino alla morte, avvenuta il 28 Febbraio 1636. La parte più importante del testamento Stefani riguarda naturalmente la somma da destinarsi alla dote di dodici fanciulle che ne erano sprovviste e che doveva essere sborsata ogni anno tramite estrazioni cittadine che sarebbero cominciate dopo la morte di Donna Santa. L'estrazione avveniva secondo queste norme: oltre alla borsa con i nomi delle fanciulle candidate alla dote, era preparata un'altra borsa in cui erano inseriti dodici togli numerati e altri bianchi fino ad arrivare al numero delle fanciulle in gara.. Si estraeva prima il nome,poi il foglio: se era bianco la fanciulla non riceveva la dote, in caso contrario era nel novero delle fortunate. Le candidate per essere tali dovevano però rispettare alcuni requisiti: dovevano essere in buone condizioni di salute, non dovevano essere minori di 12 anni e chiaramente non dovevano possedere una dote paterna o materna. Qualora non si fosse raggiunto il numero di dodici, la dote delle prescelte sarebbe stata aumentata in misura proporzionale alle mancanti, e lo stesso sarebbe avvenuto se una o più delle fanciulle si fossero sposate in chiesa fosse vissuta in modo disonesto, non fosse andata in processione il giorno di San Pietro o fosse morta. Lo Spagna si preoccupò anche di indicare nella sua eredità dove e come conservare il denaro. Inoltre, nel caso in cui fosse mancata la parte legittima maschile degli eredi, l’intera eredità sarebbe stata usata per la dote delle fanciulle, che da sette scudi sarebbe passata a dieci, fino ad un massimo di venti. La prima estrazione avvenne il 26 Giugno 1636, dopo la morte di Donna Santa, come aveva disposto lo Stefani. La donazione dello Spagna ebbe lunga durata nel tempo; è del 1902 lo Statuto Organico dell'Opera Pia Eredità Spagna Stefani, approvato in data 27 Febbraio, firmato da re Vittorio Emanuele III e controfirmato da Giolitti. Esso si compone di ventidue articoli, divisi in cinque capitoli, il primo dei quali riguarda l'origine e lo scopo dell'Opera Pia, il secondo l'amministrazione, il terzo le modalità di pagamento, il quarto le spese di culto e il quinto gli impiegati. Particolarmente importante è il capitolo riguardante l'amministrazione; da esso si desume che dopo l'estinzione del ramo maschile della famiglia Stefani, l’ amministrazione del denaro destinato alle doti fosse, secondo il volere dello Spagna, affidato alla Comunità lucignanese, ma in seguito fu creata un'organizzazione proprio a tale scopo. Lo statuto è anche particolarmente importante per notare i cambiamenti che la donazione aveva subito nel tempo, ma anche le permanenze. Molte sono le analogie con il regolamento esposto nelle Memorie del Comune, come ad esempio la richiesta che le ragazze siano di buona reputazione, o che debbano andare in processione alla chiesa dei Cappuccini per S. Pietro, ma evidenti risultano anche le differenze: se nel 1636 bastava avere 12 anni per concorrere all’estrazione, nel 1903 ne servivano almeno quindici fino ad un massimo di trentacinque; inoltre la fanciulle del 1600 non dovevano presentare una lista di certificati per partecipare,m bastava la presenza e una buona fama; naturalmente anche le monete variano: se nel XVII sec. si parla di sette scudi, nel XX di 58,80 lire. Il convento dei Cappuccini in una foto di inizio secolo. Non si conosce l’esatta durata dell’Opera Pia ma probabilmente si estese fino agli anni ’20-’30 del XX sec. Pietro Spagna Stefani deve essere anche ricordato come fondatore del Convento dei Cappuccini: fu lui a comprare nel 1590 circa il terreno fabbricativo nelle Strada di S.Giovanni da ser Domenico Griffali, accollandosi l’intera spesa. Nel testamento lo Stefani si ricordò dei frati e l’usanza di beneficiare il convento si mantenne a lungo. La stessa processione , che le fanciulle dotate dovevano fare nel giorno di S.Pietro alla chiesa dei Cappuccini, era un ultimo segno di rispetto verso il convento da parte di Pietro Spagna. Comune di Lucignano - PIANO STRUTTURALE 2004 - Quadro Conoscitivo - Relazione pag. 68 2.6.3. PIETRO CAPEI Un insigne storico - giurista del XIX secolo ( a cura di Luca Turchetti, tratto da I Quaderni Lucignanesi, vol.4) Pietro Capei e tra le personalità ingiustamente dimenticate troppo in fretta. Storico-giurisra insigne dell’800 Pietro Capei intrattenne stretti rapporti con valenti studiosi del suo tempo: soprattutto con Friedrich Karl von Savigny e Cino Capponi. Certamente per il suo carattere schivo, o forse anche per una sua connaturata imperizia nel proporsi al mondo accademico e al vasto pubblico, il Capei non è noto e celebrato come studioso. Unicamente gli studiosi più attenti di materie storico - giuridiche lo hanno in considerazione e credito. Pietro Capei, terzogenito di Giovanni Ottaviano Capei e di Francesca Alberti di Monterchi, nasce a Lucignano il 29 Ottobre del 1796. Poche le notizie riguardanti i primi anni della sua infanzia nella terra natia. Pur anche nei scambi di corrispondenza con altri studiosi egli accenna di rado a questo periodo: non perché fossero anni infelici bensì perchè, a suo giudizio, privi del tutto di interesse. Fu invece un periodo educativo importantissimo nella formazione culturale del giovane Capei che dimostrò un attaccamento profondo alla terra che gli aveva darò i natali, se spesso, durante la sua vita, egli andava affermando che avrebbe voluto terminare i suoi giorni proprio a lucignano: segno evidente di ricordi piacevoli e di un legame con la propria terra che mai gli era venuto meno. La famiglia Capei si mostrò molto attenta alla formazione culturale dei propri figli e si premurò di iscrivere sia Pietro che suo fratello Gasparo, futuro avvocato e più giovane di Pietro, al seminano di Arezzo, dove, sotto la guida dei Sac. Sierano Dragoni e Pietro Guadagnoli, terminarono brillantemente il primo corso di studi E' importante porre l'accento su un altro evento che probabilmente influenzò non poco il futuro di Pietro: le nuove idee e concetti dottrinali portati dalla dominazione napoleonica che a quel tempo si estendeva in Toscana e in altre parti dell'Italia. Notevole allora l’ impulso per ogni forma di attività civile in una visione e in un disegno dal grande respiro che doveva portare, negli intendimenti di Napoleone, ad un progressivo appiattimento delle differenze culturali e civili tra le varie regioni dell'impero pur a decremento delle trazioni e le usanze locali, delle culture spicciole, delle erudizioni e scienze tipiche di luoghi e personalità differenti. Il giovane Pietro avvertì profondamente questo attentato nei confronti delle proprie radici e tradizioni culturali. Ciò porrebbe giustificare, in qualche modo, le successive di posizioni politiche e ideologiche da parte dello stesso Capei . Benché l'azione per una cultura livellatrice operata dai francesi non incontrasse il favore da parte della famiglia Capei, Ottavio, il padre di Pietro, decise tuttavia di inviare i figli Pietro e Gasparo, nel 1813, alla scuola Normale di Pisa, creata dagli stessi francesi in sostituzione delle Università di Siena e Pisa, che erano state soppresse. La Normale, sotto la eccellente direzione di Ranieri Gerbi, formò una schiera di allievi che, in .seguito avrebbero raggiunto fama e prestigio. Basti rammentare Cosimo Ridolfi Giuliano Frullani, Carlo Passerini, Luigi Serristori ed, ovviamente, i due Capei. La scuola Normale di Pisa, istituirà sul modello della Scuola Superiore Normale di Parigi, ebbe però vita breve se venne soppressa nel 1814 da Leopoldo III quando l'impero napoleonico si dissolse e i territori ad esso assoggettato vennero riconsegnati alle famiglie nobiliari che li avevano governate prima dell’ascesa di Napoleone. Vennero ripristinate allora le università. A Pisa nacquero le tre facoltà: legge, medicina e filosofia. I due Capei, grazie, si iscrissero alla facoltà di legge. Conseguita la laurea, e con la già discreta fama di studioso esemplare, Pietro, nel 1818, si trasferì a Roma e vi rimase due anni Dopo il soggiorno romano ed una breve parentesi .i Napoli, il Capei si trasferisce ,i Firenze ove si dedicò, e in modo pressoché esclusivo, alla ricerca scientifica che gli era, caratterialmente e culturalmente, più congeniale della professione legale, benché .si allocasse nello studio del Cav. Avv. Panieri Lamporecchi. A Firenze il Capei ebbe felici incontri con diverse personalità di spicco della cultura locale che influenzarono notevolmente la sua vita di studioso. Particolare rilievo ebbe l’incontro con il mercante ginevrino Vieusseux, il quale, fin dal 1820, aveva aperto un Gabinetto scientifico letterario di notevole importanza. Non è dato conoscere quando e in quali circostanze avvenne questo incontro, certo è che, in breve tempo, il Capei divenne uno dei più assidui e dotti frequentatori del Gabinetto Vieusseux. Tra le tante attività il gabinetto Vieusseux editava anche un periodico: l’Antologia, nel quale trovavano spazio articoli, di carattere giuridico e letterario, dei collaboratori e frequentatori del gabinetto. Proprio attraverso le pagine della "Antologia" il Capei potè finalmente rendere noto la propria competenza e passione per la ricerca storico - giuridica. Negli anni compresi tra il 1823 ed il 1832, pubblicò infatti ben 25 lavori, tutti di notevole fattura, a conferma della serietà con cui collaborava al periodico e del suo impegno nei confronti del progetto di Vieusseux. L' "Antologia" non era, vero, LUÌ periodico a carattere divulgativo ma bensì una rivista formativa se, nelle intenzioni del suo ideatore, essa doveva, attraverso saggi e studi pubblicati, plasmare le menti ad ideali liberali. Due gli scritti del Capei che contribuirono a farlo conoscere anche oltr'alpe (specie in Germania) come attento professore universitario e fine ricercatore. Agli inizi del 1833 l 'Antologia' veniva soppressa a causa di un mutato assetto politico in Toscana. Il Capei, già da alcuni anni, non viveva più a Firenze pur continuando a collaborare con il periodico Fiorentino. Era tornato a vivere a Lucignano senza Comune di Lucignano - PIANO STRUTTURALE 2004 - Quadro Conoscitivo - Relazione pag. 69 mai tralasciare,però, i suoi studi di diritto romano. Proprio in quel periodo gli giunse, quasi inaspettata, la nomina di una cattedra presso l'Università di Siena. Il Capei accolse la notizia con perplessità in quanto avrebbe dovuto sostituire l’avvocato Celso Marzocchi, destituito a a causa di alcune sue idee manifestate durante una lezione. Il Marzocchi era sostenitore della scuola positivista e il Capei temeva che gli studenti non avrebbero gradito un cambiamento radicale dato che lui era fervido seguace delle; idee della scuola storica del Savigny. Accettato l'incarico universitario, il Capei profuse nell'insegnamento grande impegno tant’ è che presto fu estremamenre soddisfatto del lavoro e dell’ attenzione che gli alunni prestavano alle sue lezioni. Il suo modo nuovo di tener lezione e di insegnare venne giudicato con favore anche dallo stesso Savigny. Ed è un fatto assai rilevante se si tiene conto che lo stesso Savigny, dopo un viaggio m Italia nel 1825, ebbe a criticare profondamente le nostre università. Durante la sua permanenza a Siena il Capei partecipò anche alle attività dell'Accademia dei Georgofìli, della quale era stato nominato membro fin dal 1830, contraddistinguendosi, come d'abitudine, per la sua erudizione e passione nella ricerca. Nel 1839 venne nominato professore presso l'Università di Pisa, e lunghi anni. Un soggiorno pisano che risultò al Capei quanto mai disagevole per forti agitazioni politiche di quel periodo e per un ambiente universitario ben diverso da quello senese senz'altro più piccolo e anche meno prestigioso. La precaria condizione in cui si trova ad insegnare non impedì al Capei di dedicarsi con entusiasmo alla propria attività di ricercatore impegnato su più fronti. In quel periodo il Capei dedicò grande attenzione e studi ad un argomneto che gli stava particolarmente a cuore: la dominazione longobarda in Italia e partecipò operosamente al dibattito in corso e che riguardava "la condizione dei cittadini romani durante la dominazione longobarda”. Dapprima il Capei, evitò di esprimere una opinione al riguardo quantunque avesse già preso posizione ai tempi dell' “Antologia” con un suo scritto su Federigo Sclopis attinente proprio la dominazione longobarda in Italia. Successivamente però, spronato dal Capponi, prese una netta posizione a riguardo e dedicò un intero anno a un suo studio intitolato appunto “ Discorso sulla dominazione dei Longobardi”. E’ questa, senza dubbio, l’opera più importante del Capei, in cui egli mise a frutto la sua competenza ed erudizione di storico e giurista. Il mondo accademico, tuttavia, accolse l’opera con grande freddezza se alcuno degli studiosi che si occupava dell’argomento si degnò di esprimere un parere sulle tesi del Capei. Fu probabilmente a causa di questa sdegnosa accoglienza che il Capei ritenne lecito ed opportuno non impegnarsi più in opere di simile portata e di tale vasta organicità. A ciò si aggiunse; anche una precaria condizione di salute: una debilitante forma di faringite che lo costrinse, nel settembre del 1845, ad abbandonare definitivamente l’insegnamento, con grande rammarico. Molte cose intanto stavano cambiando. L’anno seguente la pubblicazione del “ Discorso sui Longobardi” avvenne l’elezione al soglio pontificio di Pio XI: era il 1846. L’evento venne salutato come un avvenimento assai caratterizzato politicamente. In Toscana intanto, circondata com’era molto sentito il desiderio di un rinnovamento profondo sicchè lo stesso Granduca fu costretto ad agire e fare concessioni liberali. In quell’ anno il Capei venne chiamato a Pisa a far parte della consulta, ed ebbe inizio così il suo transitorio impegno nella vita politica. Nel 1847 entrò a far parte della Commissione che avrebbe dovuto compilare un nuovo codice civile che riflettesse le esigenze dei tempi nuovi venendo incontro alle attese del popolo toscano. Nel 1848 al Capei, insieme a Cino Capponi, al Lami, al l.anducci ed al Galeotti viene affidato l'incarico di presentare al Granduca il progetto di riforma della stampa e della Consulta di Stato. Si cercò allora di delineare, senza però ottenere successo, una costituzione che avesse come tratto programmatico una consultazione su base municipale e provinciale a fronte di uno statuto disegnatore sul modello francese o inglese. meriti e della considerazione acquisita, venne chiamato a ricoprire la carica di vice Presidente della Camera Senatoriale. Con la fuga del Granduca ( 1849) l’attività politica del Capei ha termine. Rimane operativo il suo impegno nel consiglio di Stato. Dal ’49 al ’59 il Capei, ormai lontano dalla vita politica, si dedica agli scavi archeologici dei quali compilava anche attente redazioni pur continuando a frequentare gli amici di sempre: il Capponi ed il Viesseux. Quando nel’ 59 la Toscana venne annessa allo Stato piemontese, il Capei accolse il mutato assetto politico con una certa indifferenza e scetticismo in un isolamento voluto che divenne sempre più marcato. Nel 1863 venne a mancare l’amico Viesseux sicchè il rapporto con il Capponi che, il 12 Agosto 1868, Pietro Capei morì stroncato dal male che lo affliggeva da tempo. Promulgato lo Statuto la Toscana ebbe, come il Regno di Napoli, un governo parlamentare ed il Capei, in virtù dei Comune di Lucignano - PIANO STRUTTURALE 2004 - Quadro Conoscitivo - Relazione pag. 70 2.7 CARTOGRAFIA STORICA Viabilità e stratificazione Comune di Lucignano - PIANO STRUTTURALE 2004 - Quadro Conoscitivo - Relazione pag. 71 2.8 STORIA URBANISTICA 2.8.1 STORIA URBANISTICA DAL 1969 AL 1999 Le14 Varianti al PdF del 1969 II Comune di Lucignano è dotato di un Programma di Fabbricazione riguardante l'intero territorio comunale. La prima stesura di tale Programma di Fabbricazione fu adottata con D.C.C, n. 83 del07.08.1968 e n. 36 del 18.04.1969, e approvata con Decreto del Provveditorato Regionale 00.PP. della Toscana n. 22046 del 20.09.1971. Successivamente il P.d.F. è stato sottoposto a 14 varianti vere e proprie più a circa 40 piccole varianti di carattere particolare o marginale. Di tali 14 varianti la n. 1, n. 2-3, n. 5, n. 12, n. 13 e n. 14 avevano realmente un carattere di variante generale o di revisione del Piano; le altre avevano carattere [imitato a una sola zona o a una sola frazione. La Variante n. 1 al P.d.F., avente come detto carattere generale, fu adottata con D.C.C. n. 116 e 117 del 14.01.1973 e approvata con D.G.R. n. 4139 del 19.04.1974. La Variante n. 2 al P.d.F., avente anch'essa carattere generale, fu adottata con D.C.C, n. 39 del 18.04.1975 e n. 11 del 23.01.1976; venne poi riadottata con modifiche con D.C.C, n. 61 del 21.05.1976 e denominata Variante n. 3; il tutto fu approvato con D.G.R .n.1433 del 23.02.1977. Per quanto riguarda il Centro storico e gli immediati dintorni vennero istituite varie zone B di completamento nella zona delle Fortezze (dove prima erano del tutto assenti), lungo Via Fonte Lari e Via S. Rocco, nella zona di Via Licio Nencetti, e inoltre nella zona Via della Repubblica -Via Rigutini. Per quanto riguarda le aree più lontane dal Centro storico, da segnalare, ancora, solo due poli di sviluppo edilizio nella zona di Via Bonastro, dove viene individuato il PEEP, e lungo Via dei Procacci, con un'appendice in direziono della località II Gorgo; per il resto, solo limitate aree di completamento. La Variante n. 4 al P.d.F. fu adottata con D.C.C, n. 53 del 13.05.1977 e approvata con D.G.R. n. 2028 del 03.03.1978. La Variante n. 5 al P.d.F., avente carattere generale, fu adottata con D.C.C, n. 44 del 21.04.1980 e approvata con D.G.R. n. 4489 del 16,04.1981; in essa si assiste a un notevole aumento delle zone B in tutte le aree sopra indicate attorno al Centro storico; in particolare nella zona di Via Nencetti e in quella di Via della Repubblica il terreno veniva destinato a verde privato vincolato, come la maggiore parte dei terreni liberi posti lungo il lato sud-est delle mura, mentre quelli posti a nord restavano agricoli e quelli posti a est e nord-est erano classificati come verde pubblico attrezzato. I lotti già interessati da costruzioni venivano classificati in zona di completamento. Nel resto del Capoluogo, si consolidano i due poli di espansione già individuati nella zona PEEP, lungo Via Procacci e in località II Gorgo, mentre aumentano pure le zone di completamento disposte a corona intorno al Centro storico; nasce inoltre un nuovo polo di espansione, di dimensioni non indifferenti, nella zona di Via Rigutini, in parte dentro, in parte fuori del vincolo paesaggistico. Si hanno poi una serie di varianti riguardanti una o più zone oppure una sola frazione, comunque con carattere limitato: la n. 6 adottata con D.C.C, n. 34 del 12.03.1982 e approvata con D.G.R. n. 11426 del 25.10.1982, la n. 7 adottata con D.C.C, n. 82 del 28.05.1982 e approvata con D.G.R. n. 11427 del 25.10.1982, la n. 8 adottata con D.C.C, n. 188 del 19.11.1982 e approvata con D.G.R. n. 4800 del 19.11.1982, la n. 9 adottata conD.C.C, n. 226 del 29.12.1985 e approvata con D.G.R. n. 11480 del 07.11.1983,la n.10 riguardante solo il Cimitero del Capoluogo, la n. 11 (relativa al Centro storico del Capoluogo e tuttora vigente salvo gli aggiornamenti apportati nel 2002 a seguito della entrata in vigore della L.R. 52/99) adottata con D.C.C, n. 136 del 15.07.1983 e approvata con D.G.R. n.9361 del 17.09.1984. La Variante n. 12, adottata con D.C.C, n. 28 del 15.02.1985 e approvata con D.G.R. n.1847 del 23.02.1987, ha di nuovo carattere generale. Nel Capoluogo, attorno al Centro storico la situazione si modifica di poco; si riscontrano alcune riduzioni oppure compensazioni di zone B nella zona di Via Nencetti, e alcune riduzioni di zone B nella zona delle Fortezze. Notevoli sono invece i cambiamenti a sud del Centro storico, alla base del colle di Lucignano, fra le due direttrici e di Via Senese, dove cominciano a nascere varie piccole zone di espansione mentre si allargano anche le zone B. Comune di Lucignano - PIANO STRUTTURALE 2004 - Quadro Conoscitivo - Relazione pag. 72 Anche la Variante n. 13 al P.d.F., adottata con D.C.C, n. 81 del 31.03.1989 e approvata con D.G.R. n. 7460del03.09.1990, ha carattere generale. Peri! Centro storico e dintorni non vi sono modifiche apprezzabili, solo modeste riperimetrazioni delle zone già esistenti; alla base del colle, invece, e soprattutto nella zona più bassa di Via Rigutino continuano ad aumentare le zone C. La Variante n. 14 al P.d.F., adottata con D.C.C, n. 85 del 22.12.1994 e approvata con D.G.R. n. 41 del 18.01.1999, costituisce il Piano attuale, salvo le varianti denominate "S.U.G." ovvero "Strumento Urbanistico Generale" adottate successivamente e generalmente di ambito limitato o puntuale. Per quanto riguarda il Centro storico e dintorni si assiste a una sostanziale conferma della situazione precedente, con alcuni aumenti di aree B nella zona delle Fortezze e nella zona di Via della Repubblica; nelle zone più lontane dal Centro, invece, continuano ad espandersi le zone C, in particolare nella zona Via Senese -Via Fonte Becci. Tra le varianti parziali di cui sopra, trascurando quelle che prevedevano semplici riperimetrazioni di aree edificabili o di comparti di lottizzazione oppure modifiche a strade ed aree pubbliche, è importante citare la n. 13 del 2001 che istituisce in loc. Malta una nuova zona attrezzata destinata a ricovero per cani, la n. 22 del 2001 che prevede la formazione di un campeggio per tende e roulottes in loc. Campoleone, la n. 23 del 2001 che, sulla base della schedatura eseguita a suo tempo dalla Provincia, individua gli immobili di particolare valore culturale ed ambientale esistenti nelle zone agricole e già vincolati dal P.d.F., la n. 30 del 2002 che revisiona la normativa per il Centro storico in adeguamento alla L.R. 52/99 e in attesa della nuova normativa in corso di elaborazione. Per quanto riguarda lo stato di attuazione del Piano, nelle tavole allegate vengono individuate le zone edificabili di completamento e di espansione comprese nel P.d.F-, suddivise in tré gradi di attuazione: completamente utilizzate, in corso di utilizzazione, non utilizzate. Comune di Lucignano - PIANO STRUTTURALE 2004 - Quadro Conoscitivo - Relazione pag. 73 2.8.1.1 SCHEDATURA DELLE VARIANTI AL PDF DEL 1969 VARIANTE n° 1 OGGETTO DELLA VARIANTE: Riorganizzazione, all'interno del territorio comunale, delle Zone Industriali e Artigianali LOCALIZZAZIONE: Loc. Pieve Vecchia e Loc. La Croce DESCRIZIONE DELLA VARIANTE: Sistemazione organica delle aree destinate ad insediamenti produttivi con sostituzione di cinque aree con due concentramenti specifici quello della Pieve Vecchia e de La Croce Loc. Pieve L’area interessata è la fascia compresa tra la Vecchia provinciale Foiano-Lucignano e l’Autostrada del Sole, con la previsione di una viabilità interna di distribuzione dei lotti e la dotazione di binario autonomo come scalo merci della linea Ferroviaria ArezzoSinalunga. La nuova destinazione sostituisce una precedente previsione di zona per “complessi operativi attività agricola”. Loc. La Croce Ridimensionamento delle previsioni del PDF risultate eccessive con la finalità di riqualificare e ricucire una situazione attuale caratterizzata da interventi isolati. Sono privilegiate le aree libere a monte della Provinciale Sinalunga-Lucignano così da non intasare la visibilità verso il Centro Storico di Lucignano e la dorsale collinare SinalungaFarnetella. TAVOLE VARIATE DEL PDF TAV.02 del P.d.F. in scala 1:10.000 TAV.04 del P.d.F. in scala 1:5000 ARTICOLI VARIATI DEL R.E. Comma 5 e 6 dell’Art.109 DESCRIZIONE DELLA VARIANTE: DESCRIZIONE DELLA VARIANTE: NOTE ADOZIONE APPROVAZIONE D.C.C. n. 116 e 117 del 14.01.1973 D.P.R n. 4139 del 19.04.1974 VARIANTE n° 2 OGGETTO DELLA VARIANTE: -Revisione del Piano tendente ad un ridimensionamento, riducendo le eccessive previsioni in conformità dei nuovi criteri di uso corretto del suolo ed in relazione anche dei piani di edilizia economica popolare; -Revisione del rapporto tra le aree di espansione e spazi pubblici aumentando questi ultimi rispetto ai minimi del D.M. 2.4.1968, anche in considerazione delle nuove indicazioni generali; -Revisione della cartografia con sviluppi in scala 1:2.000 che oltre a presentare maggior chiarezza di lettura, favoriscono una migliore gestione del piano. Capoluogo -Individuazione di Zone A di particolare interesse storico che, oltre al nucleo centrale interessano il Convento dei Cappuccini, S.Rocco, La Fortezza, ecc -Alleggerimento complessivo delle zone di espansione comprese tra il centro storico e la provinciale, nonché l’eliminazione dell’ampia Zona C a confine con il Convento dei Cappuccini e la trasformazione in verde pubblico di quella a fianco della fortezza. -Alleggerimento delle aree di saturazione in particolare in direzione La Croce dove mancano le caratteristiche di Zona B. Loc. Pieve -Ridimensionamento di un’ampia zona di Vecchia espansione che passa da 4 ha a 1 ha. -eliminazione di una previsione viaria che presentava un brutto raccordo con la provinciale Siena-Cortona. Loc. La Croce -Riduzione delle aree di espansione da 6,8 ha a 1,5 ha. -Individuazione di aree boschive che in precedenza erano state classificate come Zone C. S.Maria Riduzione della zona di espansione passando da 38.000 mq a 4.000 mq Zone Artigianali e Industriali Viabilità -Il Pianello di tipo D1 in parte saturata -Il Corniolo da edificare. -Apposizione di fasce di rispetto dove queste erano mancanti -Previsione di una strada di fondovalle che, riducendo alcune strade consorziali e comunali esistenti, passa esternamente al Capoluogo e raccorda la frazione della Croce con la zona industriale della Pieve Vecchia. TAVOLE VARIATE DEL PDF TAV.02; TAV.03; TAV.04; TAV. 05 ARTICOLI VARIATI DEL R.E. Art.109 e 109 bis modificato ai sensi della deliberazione del C.C. n. 61 del 21.05.76 ADOZIONE D.C.C n. 39 del 18.04.1975, n. 11 del 23.01.1976, n. 61 del 21.05.1976 D.G.R. n. 1433 del 23.02.1977 insieme alla Variante n.3 Interessa l’intero territorio comunale e si presenta come Variante Generale LOCALIZZAZIONE: APPROVAZIONE Comune di Lucignano - PIANO STRUTTURALE 2004 - Quadro Conoscitivo - Relazione pag. 74 VARIANTE n°3 VARIANTE n°5 OGGETTO DELLA VARIANTE: Consentire la realizzazione di un frantoio per la molitura delle olive OGGETTO DELLA VARIANTE: LOCALIZZAZIONE: Loc. S.Agata di sotto e S.Pietro terzo LOCALIZZAZIONE: DESCRIZIONE DELLA VARIANTE: Delimitazione della "zona d'intervento" e stesura di una particolare normativa di Piano DESCRIZIONE DELLA VARIANTE: TAVOLE VARIATE DEL PDF TAV.02 scala 1:10.000TAV.06 scala 1:2.000 aggiuntiva al P.d.F ................ VARIAZIONE DELLE N.T.A. Introduzione di una nuova sottozona agricola E4 con denominazione "Zona per insediamenti Operativi" Interessa l’intero territorio comunale e si presenta come Variante Generale -Aggiornamento della cartografia con l'utilizzo del rilievo aerofotogrammetrico del Capoluogo fatto in occasione del P.E.E.P. -Rettifica delle previsioni risultate non realistiche o irrealizzabili. -Verifica delle previsioni riguardanti gli insediamenti produttivi. -Maggior chiarezza delle N.T.A. Capoluogo Aumento notevole di Zone B attorno al centro storico. Classificazione come zona di completamento dei lotti interessati da costruzioni. Classificazione di terreni nella Zona Nencetti e in quella di Via della Repubblica e quelli liberi posti a sud-est delle mura. come verde privato vincolato. Classificazione in terreni agricoli quelli posti a nord delle mura. Classificazione a verde pubblico attrezzato dei terreni posti ad est e nord-est delle mura. Nella Zona Rigatini ( in parte vincolata paesisticamente) viene individuato un nuovo polo di espansione N.T.A. Le zone A2 vicine al centro storico vengono modificate in B2, mentre le zone A1 diventano zone A. La zone B vengono suddivise in B1 e B2 e sulle B1 si ha una riduzione dell’altezza. Per le zone C la volumetria viene definita comparto per comparto. Per le zone E viene recepita la L.R.10, mentre per le E4 è stata mantenuta l’apposita variante (Variante n. 3). Sono state precisate le zone F e le zone soggette a vincolo speciale. ARTICOLI VARIATI DEL R.E. NOTE ADOZIONE APPROVAZIONE D.C.C.n.61 del 21.05.1976 D.G.R. n.1433 del 23.02.1977 assieme alla Variante 2 VARIANTE n°4 FINALITA’ DELLA VARIANTE: Ampliamento di un fabbricato industriale in Zona Agricola LOCALIZZAZIONE: Lungo la strada comunale delle sentenze la Pieve Vecchia DESCRIZIONE DELLA VARIANTE: -Necessaria per consentire l’ampliamento e l’ammodernamento di un impianto produttivo per la lavorazione di marmo e travertino non consentito in quanto decaduto l’ampliamento UNA TANTUM del 50% del volume esistente per industrie in Zone Agricole L.R. 16 TAVOLE VARIATE DEL PDF TAV.02 scala 1:10.000TAV.03 1:2.000 ................ TAVOLE VARIATE DEL PDF TAV.03 TAV.04 TAV.05 TAV.06 ........ VARIAZIONE DELLE N.T.A. Riviste integralmente contenenti i dati sopra riportati ARTICOLI VARIATI DEL R.E. NOTE ARTICOLI VARIATI DEL R.E. ADOZIONE APPROVAZIONE D.C.C. n.53 del 13.05.1977 D.G.R. n. 2028 del 03.03.1978 NOTE ADOZIONE APPROVAZIONE D.C.C. n. 44 del 21.04.1980 D.G.R. n. 4489 dek 16.04.1981 Comune di Lucignano - PIANO STRUTTURALE 2004 - Quadro Conoscitivo - Relazione pag. 75 VARIANTE n°6 DESCRIZIONE DELLA VARIANTE: L’area individuata per la realizzazione di un edificio postale di dimensioni standard di circa mq 205 è ubicata in una zona baricentrica rispetto ai nuovi sviluppi abitativi, al Centro Storico e al nuovo insediamento P.E.E.P e attraverso l’attuale sistema viario è facilmente raggiungibile da tutto il territorio comunale. TAV. 01Simbologia TAV.03 1:2.000................ OGGETTO DELLA VARIANTE: Estensione della previsione di vincolo speciale e adeguamento delle N.T.A per le zone A2 LOCALIZZAZIONE: Loc. Capoluogo TAVOLE VARIATE DEL PDF DESCRIZIONE DELLA VARIANTE: Conseguente ad alcuni stralci e prescrizioni fatti dalla Regione Toscana nel P.d.F. di Lucignano. ARTICOLI VARIATI DEL R.E. TAVOLE VARIATE DEL PDF TAV.03 .................... NOTE ADOZIONE APPROVAZIONE ARTICOLI VARIATI DEL R.E. D.C.C. n.188 del 19.11.1982 D.G.R. n. 4800 del 05.05.1983 NOTE ADOZIONE APPROVAZIONE D.C.C. n. 34 del 12.03.1982 D.G.R. n. 11426 del 21.10.1982 VARIANTE n°9 OGGETTO DELLA VARIANTE: Riclassificazione di un area agricola occupata da un opificio in zona D e individuata la sottozona D3 LOCALIZZAZIONE: Loc. Padule DESCRIZIONE DELLA VARIANTE: La variante va a riclassificare un area agricola, posta nelle vicinanze di aree industriali esistenti, occupata da uno stabilimento produttivo (lavorazioni di marmi e graniti) in area produttiva individuando una nuova sottozona denominata D3 Viene modificata l'altezza massima della sottozona B1 che passa da ml. 8 a ml. 9 in quanto permetteva la creazione di mansarda con soluzioni tipologiche estranee alle caratteristiche di zona. TAVOLE VARIATE DEL PDF TAV.02 1: 10.000 TAV.03 1:2.000TAV. 01 Simbologia............ ARTICOLI VARIATI DEL R.E. Art. 109 punto 5 “sottozona D3” TAVOLE VARIATE DEL PDF ........................ NOTE ARTICOLI VARIATI DEL R.E. Art.109 e 109 bis Testo della sottozona "B1" ADOZIONE APPROVAZIONE VARIANTE n°7 OGGETTO DELLA VARIANTE: Modifica delle Norme Tecniche di Attuazione LOCALIZZAZIONE: DESCRIZIONE DELLA VARIANTE: D.C.C. n.226 del 29.12.1982 D.G.R. n. 11480 del 07.11.1983 NOTE ADOZIONE APPROVAZIONE D.C.C. n.82 del 28.05.1982 D.G.R. n. 11427 del 25.10.1982 VARIANTE n°10 OGGETTO DELLA VARIANTE: Individuazione di un area per l'ampliamto del cimitero del Capoluogo LOCALIZZAZIONE: Capoluogo VARIANTE n°8 OGGETTO DELLA VARIANTE: Individuazioene di un area per la realizzazione di un edificio postale DESCRIZIONE DELLA VARIANTE: LOCALIZZAZIONE: Lungo la Provinciale Siena Cortona TAVOLE VARIATE DEL PDF ............ Comune di Lucignano - PIANO STRUTTURALE 2004 - Quadro Conoscitivo - Relazione pag. 76 ARTICOLI VARIATI DEL R.E. TAVOLE VARIATE DEL PDF TAV. 01 TAV.02 TAV.03 TAV.04 TAV.05 NOTE ARTICOLI VARIATI DEL R.E. -Suddivisione della zona B in 5 sottozone articolate secondo i caratteri dei diversi ambiti territoriali considerati, tipologia, funzione degli edifici e degli insediamenti. B1, B2, B3, B4, B5. -Suddivisione della zona C in 3 sottozone C1 C2 C3 ADOZIONE APPROVAZIONE D.C.C. n.xxx del xx.xx.xx Chiedere a Rosini D.G.R. n. xxx del xx.xx.xxxx Chiedere a Rosini NOTE VARIANTE n°11 ADOZIONE APPROVAZIONE OGGETTO DELLA VARIANTE: Programmazione urbanistica del centro storico LOCALIZZAZIONE: Centro Storico DESCRIZIONE DELLA VARIANTE: La Variante, tuttora vigente, norma gli interventi ammissibili all’interno del Centro Storico e sull’edificato storicizzato sparso all’interno del territorio agricolo del Comune di Lucignano OGGETTO DELLA VARIANTE: ............ LOCALIZZAZIONE: TAVOLE VARIATE DEL PDF D.C.C. n.28 del 15.02.85 D.G.R. n. 1847 del 23.02.1987 VARIANTE n°13 Interessa l’intero territorio comunale e si presenta come Variante Generale ARTICOLI VARIATI DEL R.E. In modo particolare interessa tutto il comparto produttivo e alcune aree a prevalenza residenziale poste in Loc. Capoluogo. NOTE Zona Gorgo ADOZIONE APPROVAZIONE D.C.C. n. 136 del 15.07.1983 D.G.R. n. 9361 del 17.09.1984 VARIANTE n°12 DESCRIZIONE DELLA VARIANTE: OGGETTO DELLA VARIANTE: Interessa l’intero territorio comunale e si presenta come Variante Generale LOCALIZZAZIONE: DESCRIZIONE DELLA VARIANTE: Ricontrollo e sistemazione di tutto il comparto abitativo del territorio comunale sia sotto l’aspetto qualitativo e quantitativo che sotto quello localizzativo. -Ridimensionamento complessivo delle quantità residenziali previste dal P.d.F. vigente (in particolare le zone C) -Nuova articolazione delle zone B al fine di attivare i processi di recupero e ridefinizione del costruito per ambiti omogenei sia dal punto di vita tipologico che uranistico. -Ridefinizione delle zone C mediante individuazione e ricollocazione di nuove aree rispondenti ai criteri di compatibilità ambientale, riqualificazione dei tessuti periferici e limitazione della potenzialità edificatoria per renderle più aderenti alle effettive capacità imprenditoriali. -Introduzione di nuova normativa per le zone B e C -Mantenimento del ruolo del Capoluogo come elemento do sintesi e di equilibrio del contesto territoriale comunale. NTA TAVOLE VARIATE DEL PDF -Modifica della maglia viaria per garantire un maggior ordine al tessuto periferico attraverso la riprosizione dell’isolato, la formazione della maglia viaria coerente con l’orditura del territorio e la riconnessione dei percorsi al fine di chiarirne i rapporti gerarchici. -Ricompattamento del l’ambito edificatorio anche attraverso un incremento volumetrico lieve. -Collegamento dei vari percorsi d’impianto ortogonale alla provinciale Siena Cortona attraverso una strada di mezzacosta che nel proseguimento di Via Fontemanna riconnette tutta l’area in oggetto con la parte posta a sud del centro storico. Modifica delle Norme Tecniche d’Attuazione per le zone C e modesti aggiustamenti nelle zone B TAV.02 TAV.03 TAV.04 TAV.05 TAV.06 ARTICOLI VARIATI DEL R.E. NOTE ADOZIONE APPROVAZIONE D.C.C. n.81 del 31.03.89 D.G.R. n. 7460 del 03.09.1990 Comune di Lucignano - PIANO STRUTTURALE 2004 - Quadro Conoscitivo - Relazione pag. 77