Relazione - CAP.2

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Relazione - CAP.2
2. INDAGINE
STORICA
Comune di Lucignano - PIANO STRUTTURALE 2004 - Quadro Conoscitivo - Relazione pag. 17
2. INDAGINE STORICA
2.1 IL TERRITORIO DELLA
VALDICHIANA E LA SUA
STRUTTURAZIONE
INSEDIATIVA
La Valdichiana occupa, rispetto alla
Toscana, una posizione centrale e questo
ha determinato un non marginale peso
nello sviluppo storico ed economico non
solo del centro Italia ma di tutta la
penisola. Basta pensare che è da sempre
stata attraversata dai principali assi di
collegamento tra nord e sud.
Geograficamente è caratterizzata da
un’ampia pianura posta al centro di una
conca valliva coronata intorno da colline,
dove si trovano i centri abitati più
importanti.
Non vi è alcun dubbio che, data la sua
conformazione, la Valdichiana sia stata
un territorio insediato dall’uomo sin
dall’antichità, essa, infatti, oltre che vaste
aree pianeggianti, ha al suo interno
promontori più o meno elevati che
hanno consentito un insediamento
abitativo al quale era garantito il
sostentamento sia dall’attività di caccia e
di pesca, che dalla coltivazione, in quanto
la palude, anche nei periodi di maggiore
espansione, è arrivata ad occupare solo
un dodicesimo dell’intera valle lasciando
ai margini ampie zone fertili.
La Valdichiana infatti, per molti secoli si
è caratterizzata come un’area paludosa
generata dalla Chiana, che interessava il
fondovalle tra Arezzo e Città della Pieve
creando una serie di conche palustri, tra
cui nella parte centro meridionale, i laghi
di Montepulciano e di Chiusi.
La presenza della palude oltre a
rappresentare una preziosa fonte di
sostentamento favoriva lo scambio di
merci e costituiva un’importante via di
comunicazione per tutta la valle in quanto
molti tratti erano navigabili data la debole
pendenza della Chiana verso l’Arno.
Tracce di insediamenti umani nel
territorio
della
Valdichiana
sono
documentati
dagli
innumerevoli
ritrovamenti archeologici che addirittura
datano la presenza umana già in epoca
preistorica
come
testimonia
il
ritrovamento di un cranio di notevole
importanza sia per i suoi caratteri
ostologici
che
per
l’ubicazione
stratigrafica di dove fu rilevato, rinvenuto
nell’anno 1863 durante gli scavi per la
realizzazione della via ferrata ad Olmo
vicino ad Arezzo.
Altri ritrovamenti si hanno in prossimità
di Foiano della Chiana, di Castiglion
Fiorentino in Loc. Brolio dove furono
rinvenute, sempre nel 1863 palafitte che
l’archeologo G.F. Gamurrini suppose
fossero come la base possibile di un
tempio etrusco, ed anche a Torrita di
Siena, Sinalunga etc
Sicuramente già in periodo etrusco e più
tardi anche in periodo romano, la
Valdichiana ha subito innumerevoli
interventi di bonifica, difatti si riconosce
ancora, ad ordinamento del territorio la
matrice mensoria romana.
La presenza etrusca nella valle è
testimoniata ancora da città che portano
in se tracce molto forti di questa civiltà,
come Chiusi e Cortona e da tutte le
località che presentano toponimi
riconducibili a nomi etruschi oltre che da
innumerevoli reperti archeologici rivenuti
nel tempo.
Tito Livio narrando di Porsenna
(lucumone) descrive la città etrusca di
Chiusi come fiorente di scienza e di arti e
potente di armi sia terrestri che di mare a
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testimonianza che vi fu da parte di questa
civiltà una resistenza al dominio romano
e soprattutto una strutturazione di usi,
tradizioni e arti molto forte e raffinata.
Il popolo romano, come noto inglobo
totalmente la civiltà etrusca basti pensare
che i primi re di Roma furono etruschi e
di questo popolo ne assimilò le
caratteristiche più salienti facendosele
proprie.
Caratteristica peculiare dei
romani è stata sempre quella di onorare il
popolo sconfitto permettendogli di
partecipazione attivamente al governo del
territorio occupato.
L’etruria nell’anno 264 a.C. divenne
colonia Romana e pur continuando a
vivere floridamente e in alcuni casi
governata a municipio si inglobò
progressivamente nella storia romana.
L’asse
viario
fondamentale
della
Valdichiana è rappresentato dalla Via
Cassia e in merito si hanno varie
ricostruzioni del suo tracciato che da
Cassio Longino passava per Bolsena,
Castel della Pieve fino ad Arezzo e da
Arezzo fino a Firenze.
A tal proposito riportiamo le note1 2 del
Capitolo I, § 3 di “Storia della
Valdichiana di G.B. Del Corto:
1
Padre Bernardino Vestrini delle Scuole Pie (Tomo VII
dei Saggi di Dissertazioni accademiche della nobile
Accademia Etrusca. Roma» 1753). Il padre Vestrini fa
una dotta dissertazione sopra un' antica iscrizione
trovata nel territorio di Asinalunga, e precisamente in
quel punto dell'anticaVia Cassia,che è detto S. Pietro ad
Mensulas. Ed esprime l’ opinione che la Cassia da
Chiusi. conducesse per S. Pietro ad Mensula fino a
Marciano, Cesa, Tegoleto, Arezzo e Firenze.
Tra i manoscritti della Biblioteca della Fraternità in
Arezzo si legge nel Vol. 27. f. 35 uno –Studio sul
tracciato della Via Cassia-, dove si tende a dimostrare
che giunta a S.Pietro ad Mensulas, presso Sinalunga, la
Secondo gli studi più recenti la Cassia
all’altezza di Chiusi si biforcava in due
rami entrambi diretti a Firenze, ma con
due percorsi diversi. Un primo ramo era
diretto in modo rettilineo verso Arezzo,
toccava Centoia, Montecchio, Castiglion
fiorentino, Pieve di Rigutino, definito
anche il tracciato Antonino; il secondo
ramo si dirigeva più a Ovest della Chiana
passando per Acquaviva da dove per
alcuni si collegava ad Alberoro e Arezzo
per altri passava per Sinalunga fino ad
Arezzo.
Nonostante la presenza della palude tra il
XII e XIV secolo, si verifica uno
sviluppo di poli di aggregazione
insediativi su tutta la valle favoriti proprio
dalla compresenza di varie attività legate
alla sopravvivenza (pesca, caccia,
coltivazione) e alla duplice possibilità di
spostamento sia terrestre , lungo le strade
di crinale, sia per acqua con
l’individuazione di numerosi porti e
approdi rimasti attivi fino al medioevo.
via biforcasse volgendosi con un tratto verso Siena e
con l’altro verso Arezzo.
2
Nelle storie di Ricordano Malespini trovasi
rammentata una via Romea che probabilmente è la
stessa via Cassia, e tuttora presso ad Arezzo, qualche
tratto di via, nella vicinanze di Pratantico, è con quel
nome appellato. Nella carta di Val di Chiana fatta da
Antonio Ricasoli nel 1551………… vedesi indicata
presso Torrita una via diretta verso Foiano,colla dizione:
Selice via antica la quale andava da Chiusi ad Arezzo,
ed è a supporti che sia la stessa via Cassia. Tuttora esiste
presso Foiano un tratto di via chiamata via delle Selce, e
parimente presso Chiusi avvene un tratto conosciuto
tutt' oggi col nome di Via Selice. V’ è peraltro chi pone
in dubbio che questo fosse precisamente il tracciato
della Via, Cassia, imperocché il Liverani nel suo libro II
Ducato di Chiusi ne indicherebbe uno un po' diverso, in
base ancora alla Tavola Peintingeriana, antica
carta romana cho vedesi pur riprodotta nella Tavola LXl
del1' Atlante annesso alla Storia della Toscana di Fr..
Inghirami
Una caratteristica molto importante di
questi centri è che si trovano tutti lungo
la medesima isoipsa e che comunque non
scendono mai sotto i 300 m slm
La Valdichiana è stata molte volte
scenario di battaglie romane, da notare
località come Sepoltaglia, Ossaia che si
riferiscono proprio a luoghi dove sono
stati
sepolti
uomini
dopo
tali
combattimenti.
Da menzionare in modo particolare è la
battaglia avvenuta nell’82 a.C. durante
seconda guerra civile tra Mario e Silla,
periodo nel quale Silla soggiornò a lungo
in
Valdichiana
lasciando
una
testimonianza importante della sua
permanenza dovuta all’erezione di una
torre detta Torre Sillana a Lucignano.
Nel ‘300 quasi tutti i paesi della
Valdichiana godono di autonomie
comunali più o meno precarie se viste da
un punto di vista militare e politico ma
con una rete viaria di crinale già ben
definita che li unisce e ne rafforza
l’identità.
Di rilevante importanza è il dominio che
due potenti città Firenze e Siena,
esercitano proprio sulla Valdichiana. La
Valdichiana infatti rappresenta, data la
sua navigabilità e percorrenza, da sempre
un collegamento tra nord e sud e
soprattutto, grazie alla sua fertilità una
forte fonte di sostentamento alimentare.
Tra il ‘400 e 500 nella valle si ergevano
sulle cime delle dorsali collinose città e
paesi, di impianto spesso altomedievale,
che avevano raggiunto un notevole
sviluppo civile, economico e politico.
Ed è proprio la ripartizione tra lo Stato
toscano e la Repubblica di Siena che
aveva favorito questa floridità nonostante
la situazione idraulica versasse ancora in
condizioni pessime soprattutto dal punto
di vista igienico sanitario.
Lo stato Fiorentino comprendeva tutta la
Toscana centrale, da Pisa a Livorno fino
ad Arezzo, Cortona e Montepulciano
inglobando
Prato
,
Pistoia,
e
S.Gimignano, Colle e Volterra. La
Repubblica di Siena si estendeva nella
parte
meridionale
della
regione
comprendendo Massa Marittima e buona
parte della maremma.
Firenze già nella seconda metà del XIV
sec si presentava città florida e vitale
vantava la supremazia della produzione
laniera e con l’ulteriore allargamento dei
suoi confini verso il mare nel XV sec
disponeva di un vasto mercato locale, un
porto e una flotta propria.
Dall’altra parte la Repubblica di Siena
comincia un progressivo regresso
economico dovuto alla crisi delle
manifatturerie della seta e della lana con
una conseguente ruralizzazione dello
Stato. La ricchezza del ceto dirigente
consisteva essenzialmente in beni
immobili e terreni e la merce di scambio
era rappresentata prevalentemente da
materie prime come grano, bestiame,
metalli che venivano esportate verso lo
Stato Fiorentino.
Questo progressivo declino dello stato
senese culmina con la battaglia di
Scannagallo e la definitiva supremazia
fiorentina sulla Valdichiana.
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2.2 LA STORIA DEL
TERRITORIO DI
LUCIGNANO
Lucignano, dato il suo impianto
insediativo medievale, risulta un paese di
particolare interesse soprattutto, come
osservato in “Città murate e sviluppo
contemporaneo” (Detti, Di Pietro e
Fanelli), per la soluzione urbanistica che,
nell’ambito dello schema urbano ellittico
e isomorfo, attua una gerarchizzazione
nella maglia viaria dell’anello più esterno.
Infatti, attraverso la dislocazione delle
due Porte spostate rispetto all’asse
longitudinale, l’anello viario viene
differenziato in due parti di cui una
assume la funzione di “collettore anulare,
la così definita “via povera”mentre l’altra
di
asse
urbano
principale
di
attraversamento del centro dove si
trovano le attività commerciali a piano
terra e dove vi sono le residenze signorili.
Attualmente il Centro Storico si presenta
abbastanza ben conservato sia negli
aspetti
architettonico-edilizi
che
urbanistici, questo dovuto in parte ad un
attento
operare
delle
varie
Amministrazioni che si sono susseguite
nel tempo e che hanno saputo fare scelte
(attraverso i vari strumenti attuativi e i
regolamenti edilizi) tali da conservare e
non compromettere l’originario carattere
medievale del “borgo”, e dall’altro per la
presenza di un vincolo sovraordinato, di
competenza della Sovrintendenza di
Arezzo, che ha fatto da arbitro alle
trasformazioni e garante alla buona
riuscita di queste. Infatti, parte del
territorio di Lucignano e precisamente il
Centro Storico e porzione di territorio
collinare, risulta dal 1961 vincolato in
base alla ex L. 1497 del 1939 oggi D.lvo.
490 del 1999.
Territorialmente Lucignano, paese della
provincia di Arezzo, ha una posizione
dominante sulla Valdichiana, da dove
risulta visibile quasi da ogni parte, in
quanto è situato sulla sommità di un colle
facente parte dell’estremo lembo sud
della dorsale dei monti di Palazzuolo a
401 m. s.l.m., delimitata a sud-ovest dal
torrente Vertere, a est dal fiume Esse e a
sud dal torrente Foenna.
A livello geografico giuridico si colloca al
confine tra la Valdichiana aretina e quella
senese tanto che questa sua posizione,
dominante sulla valle e quindi strategica,
ha condizionato e favorito nei vari
periodi la floridezza economica fino allo
sviluppo commerciale di due paesi
limitrofi, Foiano della Chiana e Monte
San Savino, che ha decretato la rapida
decadenza che tuttavia ha avuto il merito
di conservare quasi intatto un intero
borgo medievale di eccezionale valore
ambientale.
Palazzo Comunale e la Collegiata
(anch’essa
orientata
nord-sud)
rappresentano i due fuochi sia geometrici
che storico-politici.
Gli anelli concentrici, disposti secondo le
isoipse del promontorio, sono collegati
tra loro da percorsi trasversali in forte
pendenza a volte risolti con gradinate.
Peculiarità del tessuto urbanistico di
Lucignano è la sua continuità di struttura
che comunque non preclude al suo
interno una diversificazione delle
funzioni e neppure la compresenza di
tipologie edilizie che vanno dal palazzo
signorile alla semplicissima schiera della
classe
subalterna.
Quindi
una
compiutezza e continuità fatta di
diversificazioni anche importanti che
comunque raggiungono all’interno del
centro medievale una organicità che ne fa
di Lucignano un esempio unico.
Il particolare il centro storico si articola in
fasce distinte per funzioni infatti la parte
più esterna è destinata prevalentemente
alla residenza, mentre in quella più
interna sorgono gli edifici specialistici.
Il centro storico di Lucignano
L’impianto urbanistico del Centro Storico
è di tipo concentrico con percorso a spirale
e assume una forma ellittica con asse
maggiore sulla direttrice nord-sud dove il
L’insediamento è rimasto intatto nei suoi
elementi più caratterizzanti e nel suo
arredo urbano anche se al suo interno si
sono
verificati
degli
episodi
urbanisticamente errati come ad esempio
la demolizione delle mura e di parte
dell’edificato in fianco alla porta
S.Giovanni per consentire un più agevole
accesso carrabile al paese e la
destinazione a cinema della Rocca o
Cassero.
All’esterno del centro storico subito oltre
la via di circonvallazione Lucignano
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preserva una fascia di area non edificata
che si interrompe solo in prossimità di
porta S. Giovanni in direzione Foiano ma
che si giustifica come insediamento a
borgo lungo il percorso principale.
Tale insediamento non presenta la
compattezza e al continuità dell’impianto
entro le mura anzi man mano che si
procede verso il Convento dei
Cappuccini
diventa
sempre
più
puntiforme.
Questo è forse determinato, come ricorda
Guidoni e Marino, dal ruolo svolto da
Lucignano come luogo aperto alle
influenze culturali senesi, cortonesi,
aretine, perugine e fiorentine circa il
concetto di “città perfetta“ medievale.
Infatti, tra il ‘200 e ‘500 gli interventi che
si sono susseguiti hanno avuto come
obiettivo la “….volontà di rendere
esplicito un aspetto della inesauribile
tematicità della città.”
Scarsa attenzione è stata posta sul
promontorio posto a nord-ovest del
Centro Storico dove sorge la Fortezza
Medicea, che per altitudine si colloca
intorno ai 390 m slm di poco più bassa
della sommità dl colle dove sorge il paese.
Ben altro è possibile dire del paese che si
è sviluppato oltre la mura di
fortificazione.
Nella collina prospiciente il centro
storico, poco più sotto della Fortezza, da
circa gli anni 70 in poi è stata permessa la
realizzazione di fabbricati unifamiliari di
tipo
residenziale
che
hanno
compromesso in parte la valenza
paesaggistica dell’impianto della Fortezza,
in più dato la tipologia adottata e il livello
di finitura nella loro realizzazione si
presentano in ampio contrasto con lo
scenario edilizio di valore che Lucignano
possiede nel suo territorio.
Lucignano, come del resto anche gli altri
centri della Valdichiana, non ha avuto
una vicenda storica particolare, le regole
gerarchiche d’impianto applicate ai centri
limitrofi si ritrovano anche qui cosi come
le singole componenti urbane sono molto
simili. Tuttavia questo centro possiede,
più degli altri, un’unità di disegno e di
immagine molto particolare e interessante
riscontrabile nella unitarietà della sua
figura spaziale.
Per cominciare la trattazione è
importante premettere il sistema viario
principale di Lucignano che è costituito
essenzialmente
da
percorsi
di
penetrazione,
attraversamento
e
distribuzione.
I principali assi di attraversamento che
fungono anche da assi di penetrazione
sono rappresentati dalla S.P. dei Procacci
che dal confine con Monte S.Savino
attraversa, in direzione nord sud, il
territorio comunale fino al confine con
Sinalunga ; la S.P. Siena_Cortona che
attraversa il territorio comunale nella
direzione est ovest; la S.P. del Calcione
che da S. Maria in direzione ovest arriva
fino al confine con Monte S.Savino; ed
infine la S.P. della Misericordia che dalla
Pieve vecchia arriva fino al confine con
Marciano della Chiana.
Lungo queste direttrici si verificano gli
insediamenti della Pieve Vecchia, antico
nucleo del quale si hanno notizie che
risalgono ancora a prima della nascita di
Lucignano così come lo conosciamo e
S.Maria.
La Croce si sviluppa lungo un percorso di
penetrazione del territorio comunale che
si ricollega con il comune di Sinalunga
così come loc. Pochini che si connette tra
le S.P. della Misericordia e dei Procacci.
La Pieve Vecchia, la Croce, e S. Maria
sono i nuclei insediativi più consistenti
dove i primi insediamenti si sono
verificati spontaneamente secondo quelle
che erano le suddivisioni poderali del
mondo
agricolo
passato.
Oggi
rappresentano località dove l’attività
edilizia contemporanea ha contribuito a
far crescere e spogliarli in parte del
sapore agreste originario.
preesistenti bensì si collocano o al
massimo rendimento sul lotto o in
posizione baricentrica per ricreare la
corte recintata con al centro il palazzo.
La finitura e la scelta dei materiali non
sempre è coerente con la tradizione
costruttiva locale anche se è esistono
fabbricati di pregevole fattura.
La parte di paese cresciuto in direzione
sud rispetto al centro storico denominato
Capoluogo, ha rispetto a quanto citato
sopra caratteristiche e origini alquanto
diverse.
Si individuano in questo ambito la zona
di Fontelari posta a suo_ovest, la zona di
FonteBecci posta a Sud, la zona del
Lavatoio ad sud_est ed infine a est la
zona di via Rigatini.
Queste realtà, a parte alcune preesistenze
sono il frutto della pianificazione del
territorio attraverso gli strumenti
urbanistici.
L’edificato all’interno di tali zone ha
caratteristiche pressoché identiche sia per
tipologia che per destinazione ma che
comunque non riesce ad identificarsi in
una strutturazione unitaria come invece il
centro storico rappresenta.
La struttura urbanistica è costituita da assi
viari
di
distribuzione,
spesso
sottodimensionati rispetto alle esigenze, e
da un edilizia prevalentemente di tipo
puntiforme mono_bi_familiare. Gli
edifici non presentano allineamenti
rispetto al percorso ne rispetto ad edifici
Stabilire esattamente le origini di
Lucignano non è alquanto semplice è
certo che i primi insediamenti abitativi,
dato
i
ritrovamenti
archeologici,
dovrebbero risalire anteriormente al
periodo di dominio romano, infatti si ha
testimonianza che la zona fosse
densamente abitata già da popolazioni
etrusche.
Documenti che assicurano l’esistenza di
un insediamento nel luogo ove ora sorge
Lucignano con il nome di CASTRUM
GRIFFONIS NUNC LUSIGNANI e di
una Pieve situata sul percorso della Cassia
tra Sinalunga e Marciano, l’attuale Pieve
Vecchia, si hanno solo dal XI sec.
2.2.1 LE ORIGINI DI
LUCIGNANO: IPOTESI DI
FORMAZIONE DELL’IMPIANTO
URBANISTICO DEL CENTRO
STORICO
Il nome Lucignano è di derivazione
romana da Lucinius o forse Licinius,
aggettivato in Licinianus.
Si ipotizza che il castrum romano da cui
prende origine il paese sia stato fondato
da Lucio Silla nel I sec. A.C. a tale data
risalirebbe la Torre Sillana di pianta
triangolare dove si poteva leggere
“L.Corn. L.F.Sullae Dictatori Felici.
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Commilitonibus. Ob. Licinianum muro
duct o turribus munitur decur. Indicto
nomine Lucinianensis P.Servil et Ap.
Claud.Cos.”
Questa torre fu abbattuta da un fulmine
nel 1556 che ne incendiò la polveriera.
facile effettuare l’allineamento a vista con
il crinale di Poschini e con il colle dove si
trova la Fortezza Medicea. L’asse
direttore del recinto, che va a finir contro
il Palazzo Comunale, ha direzione sudovest.
Vi sono varie ipotesi sulla formazione del
tessuto
edilizio
e
dell’impianto
urbanistico del centro storico di
Lucignano che vedono come matrice
generatrice il CASTRUM romano .
- seconda fase
Nello studio effettuato sul territorio della
Valdichiana da G. Cataldi e E. Lavagnino
in “ Ipotesi di formazione territoriale
della Valdichiana. Un piano di 25 secoli”
in “Cortona Struttura e Storia” sono
individuate le fasi di formazione urbana
del centro storico di Lucignano.
- prima fase
I due autori suddividono tale formazione
in quattro fasi ipotizzando come
l’apparato urbano sia cresciuto e si sia
modificato fino al medioevo, periodo nel
quale si ha, in definitiva ormai la
compiutezza dell’organismo insediativo
urbano così come è arrivato a noi.
La prima fase di formazione avviene alla
sommità del colle dove si ipotizza che sia
stato tracciato un recinto generatore
quadrato di dimensione di 300 piedi.
Questo è identificabile con il castrum
sillano del quale non rimane quasi nulla
se non “…i due allineamenti stradali interni
(la rettificazione di via S.Giuliano con via della
Misericordia e parallela simmetrica nordoccidentale non menzionata in catasto).”
Il tracciamento del recinto sembra sia
stato effettuato dal punto più alto del
colle, coincidente con il centro del cortile
attiguo a S.Francesco, dal quale era più
Nella seconda fase si ha un consolidamento
insediativo dell’abitato coincidente con
l’impianto di un secondo recinto più
grande del primo (350 piedi) e con asse
ruotato di circa novanta gradi, molto
probabilmente
più
aderente
alla
conformazione orografica del colle.La
struttura precedente tende ad adeguarsi al
nuovo orientamento e a generare uno
schema biasciale dove l’edilizia si dispone
lungo il lato meglio esposto (sud-ovest) e
nella sommità si dispongono il complesso
degli edifici pubblici affacciati sul foro.
secondo percorso di circonvallazione che
presenta sull’asse trasversale un flesso
generato dalla convergenza spontanea dei
percorsi di scarto in corrispondenza delle
porte dell’antico recinto.
Il maggior peso edilizio si sviluppa lungo
il percorso tra le due porte principali nel
versante sud-orientale, mentre sul
versante opposto una terza porta, riaperta
di recente, controllava l’accesso dalla
scorciatoia per M.S.Savino. La chiusura
del porta è sicuramente dovuto a cause
difensive e queste molto probabilmente
hanno condizionato la mancata apertura
di una porta sulla Rocca trecentesca.
Nella terza fase si ha la definizione del
percorso anulare minore interno
all’attuale giro di via Matteotti-RomaRosini che sta a testimoniare la crescita,
opposta e simmetrica, rispetto all’asse
principale del primo recinto tanto da far
ipotizzare una forma poligonale allungata
dell’insediamento.
- quarta fase
- terza fase
La quarta fase comincia con il periodo
medievale dove gli sviluppi del tessuto
edilizio tendono a fissare il nucleo entro il
profilo ovoidale delle mura che recingono
l’anello edilizio costituitosi intorno il
Dagli studi di Guidoni e Marino in
“Territorio e città della Valdichiana” si
evince che l’origine del nome Lucignano
sia da attribuire al console Licinio e che la
matrice generatrice sia il
Castrum
romano.
Data la sua posizione sulla trasversale
Siena Arezzo, il Castrum doveva avere un
importanza strategica sul territorio tanto
che Guidoni e Marino suppongono che la
forma di questo doveva essere molto
simile a quella tuttora leggibile in alcuni
centri limitrofi e coevi come Foiano e
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M.S.Savino, ovvero ovoidale di circa
80x120 metri.
Oggi di questa forma ne rimangono
scarsissime tracce e si può solo supporre
che questo impianto “matrice” fosse
coinciso con il luogo ove ora sorge
l’attuale collegiata.
Il passaggio dall’impianto da castrum
romano a borgo dovrebbe essere avvenuto
già agli inizi del 1200 periodo nel quale si
verificò un incremento della popolazione
testimoniato dalla realizzazione della
Chiesa di S. Francesco.
Questo aumento demografico continuò
per tutta la metà del XIII sec. e
soprattutto dopo l’inizio del dominio
senese
con
la
battaglia
di
CAMPALDINO (1289); a questo
periodo risale la costruzione del Palazzo
Comunale al cui spigolo, di fronte a S.
Francesco, doveva esserci una porta di
accesso al circuito ovoidale.
sommità del colle lungo i percorsi di
mezzacosta.
Tale spostamento verso il basso fu
incrementato anche dalla presa del
Castello ad opera del fiero Arcivescovo
Tarlati di Arezzo che nel 1325 conquistò
e in parte distrusse Lucignano.
La struttura urbanistica di Lucignano,
cosi come si presenta attualmente si può
datare alla prima metà del secolo XIII
quando ormai la divisione netta tra il
mondo borghese e quello contadino
risultava definita.
Infatti lungo Via Roma “via povera” vi
abitavano artigiani e commercianti
ovvero persone non appartenenti alla
nobiltà, mentre tra l’attuale corso delle
monache e il settore di percorso anulare
individuato con via Roma, dove la
profondità dei corpi fabbrica si fa più
stretta e corta, vi risiedeva la popolazione
più povera.
Non passò molto tempo che gli aretini,
guidati dal Guido Tarlati vescovo di
Arezzo, riconquistarono il castello che
come testimonia un illustre storico di
quei tempi, Giovanni Villani, era di
importanza strategica per la città di
Arezzo.
Tale conquista
è documentata nel
pannello della tomba del vescovo Tarlati
posta nel Duomo di Arezzo dove è
raffigurata la presa di Lucignano del
1325, dalla quale si può osservare una
torre con due edifici pubblici racchiusi in
un tratto di mura ad andamento
curvilineo che unisce le due parti di
accesso al castello. Questo sta a
dimostrare che la struttura a borgo era già
in parte delineata.
Lucignano, dato che Monte San Savino
era gia stato occupato, per evitare
l’oppressione di Perugia si consegnarono
liberamete a Firenze.
Per accordi intercorsi tra Firenze e
Perugina le comunità di Lucignano,
Monte San Savino, Foiano e Anghiari
passarono sotto il dominio perugino. Fu
questo il periodo nel quale la comunità di
Lucignano acquisì il GRIFO nel suo
stemma.
2.2.2 LA POSIZIONE
STRATEGICA DI LUCIGNANO
SULLA VALDICHIANA.
Dalla meta’ del
senese
- sintesi dello sviluppo:
a) castrum ovoidale
b)primo borgo a doppia curvatura
c) porte principali della cinta trecentesca
1) nucleo fortificato secondario
Da questo momento in poi, come già
accennato, si ha un incremento
insediativo disposto a borghi anulari
concentrici che discendono dalla
XIII
sec. al dominio
La storia di Lucignano fino alla prima
metà del XIII secolo risulta poco nota, si
suppone che in questo periodo il paese si
sia retto liberamente subendo in parte il
dominio religioso e civile di Arezzo.
Dopo la battaglia di Campaldino (1283)
persa dagli aretini per mano dell’esercito
fiorentino alleato a Siena, Lucignano pur
conservando una propria autonomia
legislativa passo sotto il dominio senese.
La collocazione strategica di Lucignano
ne farà spesso preda quando di un
dominio quando dell’altro per alcuni
secoli. Difatti nel corso del XVI sec. sarà
conteso tra Siena, Firenze, Arezzo e
Perugina.
Nel 1336 i fiorentini si allearono con
Perugia per la conquista di Arezzo.
Comune di Lucignano - PIANO STRUTTURALE 2004 - Quadro Conoscitivo - Relazione pag. 23
L’accordo con Perugia prevedeva che
dopo circa otto anni questi possedimenti
fossero riconsegnati ad Arezzo, durante
questo periodo però Firenze cadde sotto
l’assedio del Duca di Atene ed Arezzo
insieme ad altre comunità limitrofe come
anche Lucignano ne approfittò per
riconoscerlo come nuovo patrone
giurandogli fedeltà.
Dopo la cacciata del Duca di Atene da
Firenze Lucidano tornò ad essere un
libero comune per circa 10 anni fino al
1353. Dal 1353 al 1370 passò al dominio
fiorentino
poi
si
consegnò
definitivamente al dominio di Siena. È a
questo periodo che risalgono le opere del
completamento dell’impianto difensivo
della città che vanno dal 1374 al 1384.
Nel 1384 Arezzo e il suo contado furono
venduti a Firenze dalle milizie straniere e
due anni dopo Siena e Perugia
rivendicarono la loro supremazia su
Lucignano tanto che fu emesso a
Bologna il 26-10-1386 in lodo nel quale si
manteneva
Lucignano
sotto
la
giurisdizione
fiorentina
dietro
il
pagamento di 8000 fiorini d’oro a Siena.
Siena riuscì a riappropriarsi di Lucignano
per mano di Gian Galeazzo Visconti
Duca di Milano nel 1390 fino alla
sconfitta della Battaglia di Scannagallo
che avverrà nel 1554 con la pace firmata
tra Siena e Firenze il 6 aprile del 1404.
Il dominio senese durerà quindi dal 1390
al 1554 ed è in questo periodo che si
verificano il completamento della
struttura difensiva fondata su una
struttura
urbana
consolidata
che
riproduce, seppur in miniatura, la
tripartizione delle mura della città di
Siena. Infatti la città, dal punto di vista
militare, è suddivisa territorialmente in
terzi dovuti ai bracci principali della Y
formata dalle colline su cui si imposta
Siena (PEPPER; ADAMS 1936;32).
Le torri, rappresentano i vertici di una
piramide ideale che ha come asse
verticale la torre campanaria del Comune
(Guidoni e Marino).
La nuova espansione lungo i borghi, che
ha
generato
la
forma
ellittica
caratterizzante l’impianto urbanistico di
Lucignano, fu sicuramente dovuta agli
interventi che si verificarono nel sec.
XIV.
Inoltre vennero costruiti, intorno al
circuito ovoidale oggi non più esistente,
due borghi fiancheggiati a destra e a
sinistra da abitazioni formanti un anello
continuo.
È di questo periodo infatti il
completamento dell’impianto difensivo
della città attraverso la realizzazione della
Rocca o Cassero (1390-1392), attorno alla
quale si organizzò un complesso circuito
difensivo, e il rafforzamento delle mura
con la realizzazione delle tre porte dotate
di torre (Porta S.giusto Porta S. Giovanni
e Porta Murata).
La struttura urbana di Lucignano può
dirsi compiuto alla fine del XIV sec con
l’intervento con il completamento
dell’anello stradale.
All’inizio del XV secolo si verificano
anche le prime ristrutturazioni e i primi
accorpamenti con relativa trasformazione
del tessuto medievale lungo Via Matteotti
ad opera della nobiltà senese.
Infatti i palazzotti rinascimentali presenti
risalgono proprio a questo periodo ed
alcuni sono addossati alle mura
trecentesche a testimonianza del periodo
di pace sotto il dominio senese.
Nel tessuto edilizio medievale, intorno
alla fine del 300 si ha l’inserimento
dell’Ospedale di S. Anna.
L’impianto dei due borghi ha una
caratteristica spaziale e funzionale assai
originale infatti il borgo che va da Porta
S.Giusto a Porta S.Giovanni, definito
nell’800 la “via ricca”, ha una dimensione
maggiore ed è meglio esposto dell’altro
che va da Porta S.Giovanni fino a quasi
tutta l’attuale via Roma definito
invece“via povera”.
La Rocca
tipologicamente infatti lungo Via
Matteotti, “via ricca”, troviamo edifici
appartenuti alla nobiltà, che costituiscono
interessanti esempi di architettura
medievale e rinascimentale senese,
mentre via Roma è caratterizzata da
un’architettura popolare fatta di edifici
minuti di sapore squisitamente medievale
ma comunque da sempre integrata
perfettamente nella storia urbana di
Lucignano.
La tipologia edilizia di base prevalente
lungo Via Roma è molto più modesta
infatti gli edifici si presentano con un
piano seminterrato e uno o due piani
fuori terra, le finestre di piccole
dimensioni e ampie porte d’ingresso.
Il tipo portante è la casa a pseudoschiera
in due varianti dimensionali: una con
passo attorno ai 4,5 mt, l’atra con passo
maggiorato, attorno aii 6 7 metri; per
entrambe le varianti la profondità è pari a
quella di due cellule con scala inteposta
disposta parallelamente al fronte. Gli
edifici in margine alle mura, si
arricchiscono di area di pertinenza
ottenuta per privatizzazione del pomerio.
La qualità architettonica di tali
insediamenti sta a dimostrare la floridità
del periodo che stava attraversando
Lucignano.
Nella seconda metà del XV sec.
incombendo la minaccia fiorentina, molti
castelli della Valdichiana e tra i quali
Lucignano
ripresero i lavori di
fortificazione.
A livello edilizio i due borghi si
distinguono sia stilisticamente che
Comune di Lucignano - PIANO STRUTTURALE 2004 - Quadro Conoscitivo - Relazione pag. 24
La modernizzazione delle mura era
necessaria anche perché erano cambiate
le armi di guerra e con l’avvento
dell’artiglieria
si
richiedeva
una
ristrutturazione di fondo del metodo
difensivo.
I nuovi criteri di assedio prevedevano
l’abbattimento delle mura da lontano
mirando alle torri più alte che cadevano e
producevano danni agli assediati di
conseguenza tutte le torri furono cimate
mentre quelle nuove vennero costruite
alla stessa altezze delle cortine murarie.
Vennero rinforzate in spessore le mura e
costruiti i torrioni in foggia rotonda
perchè attutivano in parte la palla sparata,
demoliti i merli ede effettuate delle
bucature strombate per meglio utilizzare
le armi. Altra importante innovazione
furono la camiciatura di rinforzo esterno
con
murature
a
scarpata
che
raddoppiavano alla base le opere
fortificate.
Intono alla metà del 500 anche a
Lucignano, piazzaforte dello stato senese,
si rese necessaria una seconda serie di
impegnativi provvedimenti riguardanti la
creazione di un moderno fronte
bastionato.
Il nuovo modello di fortificazione del
paese si avvalse dell’invenzione dei
bastioni di terra pentagonali che furono
costruiti nei punti salienti del circuito
murario.
A questi veniva affidata prevalentemente
la salvaguardia delle cortine murarie,
facile bersaglio per l’assediante, a mezzo
delle cannoniere, ampie feritoie aperte sui
loro fianchi.
La costruzione della fortezza di
Lucignano, sulla collina fuori dall’abitato,
fu iniziata dai senesi nel 1553 e il progetto
ripreso e sviluppato dai fiorentini dopo la
battaglia di Scanangallo.
2.2.3 LA
BATTAGLIA
DI
SCANNAGALLO E IL DOMINIO
FIORENTINO DEI MEDICI
La Toscana di quegli anni pur essendo
teatro "secondario" del duello europeo
tra gli Asburgo dell’imperatore Carlo V, e
gli Orleans di Francia non ne rimase
illesa.
Siena stava vivendo la sua estrema,
disperata ma anche eroica, stagione di
libertà spalleggiata dalle cavalleresche
truppe francesi occupando l’estema
piazzaforte della Valdichiana : Lucignano,
contesa più volte dai fiorentini.
La battaglia di Montemurlo segnò una
tappa della contesa europea tra Asburgo e
rè di Francia, della lotta politica e militare
in Toscana la posta della quale era
l'egemonia medicea o la libertà di Siena,
della guerra civile a Firenze o di quel che
occultamente ne rimaneva e delle contese
familiari.
Ma la battaglia decisiva avvenne a
Scannagallo dove il condottiero delle
truppe mediceo- imperiali Gian Giacomo
de' Medici di Marignano si trovò dinanzi i
franco-senesi guidati da Piero Strozzi.
Scannagallo decise la fine della libertà dei
senesi e l'avvio effettivo di una politica
d'egemonia quale la Firenze repubblicana
non aveva mai raggiunto e che il
conferimento della corona granducale, di
lì ad alcuni lustri, avrebbe legittimato.
La battaglia di Scannagallo è senza
dubbio episodio saliente e tra i conclusivi
della "guerra di Siena": varrà la pena di
aggiungere che, nel Secolo di Ferro che
verrà, quello tra la fine del Cinque e la
prima meta del Seicento (il secolo delle
guerre religiose in Francia, delle guerre
civili in Inghilterra, degli scontri contro i
Turchi, della guerra dei trentenni (in tutta
l’Europa) le armi toscane taceranno e la
religione godrà un periodo di pace che se
non la metterà al riparo da pestilenze e
carestie, le consentirà di affrontarle da
posizioni meno drammatiche.
La battaglia di Scannagallo
Si riporta di seguito alcuni stralci brano
tratto da “La fortuna di Cosimo I La
battaglia di Scannagallo” PAN Congressi
& Immagine, Arezzo 1992 al cap.3 “La
campagna per la conquista di Siena” di
Marco Giuliani:
“la giornata del 2 Agosto 1554
(”cap 3 pg59)
Alle 10 del mattino, con il sole alto sulla Val
di Chiana, l'esercito di Pietro Strozzi stava
ritirandosi di collina in collina: in testa ormai
verso Foiano, erano carriaggi con artiglieria e
salmerie; all'avanguardia sventolavano le
bandiere di soldati italiani e senesi, seguiti dai
francesi; venivano poi le formazioni schierate a
battaglia dei tedeschi e quella dei Grigioni , la
cavalleria accompagnava la fanteria sul lato
sinistro di questa, avanzando nella pianura tra
le colline e il corso della Chiana, in terreno
adatto per la manovra della cavalleria.
Alla stessa ora, fatti levare i fanti, il Marignano
dette ordine di battere l'allarme sui tamburi a
tutte le compagnie e, per primi, mando avanti Lorenzo de Figueroa con 2000
archibugieri spagnoli incaricati di infastidire la
retroguardia dei franco-senesi, marciando con il
grosso in attesa che la cavalleria tornasse
dall'abbeverata sulla Chiana.
I Fìorentino-imperiali marciarono per circa
un'ora seguendo i franco-senesi, dietro gli
archibugeri venivano altri spagnoli agli ordini di
Francisco de Haro, dietro la battaglia di fanti
Tedeschi; la retroguardia era composta dai fanti
italiani comandati dal conte di Popoli, circa
4.000 toscani, napoletani, e i 3.000 inesperti
Romani di Camillo Colonna, chiùdevano la
marcia 3 sagri.
Alla luce piena del giorno apparve chiaro che la
manovra di sganciamento di Piero Strozzi non
era riuscita, il suo esercito si trovava in un
situazione critica che lo costringeva ad accettare
battaglia, decise pertanto di fermare i suoi sul
Poggio delle Donne, vicino alla Villa del Pozzo,
e ordinare le truppe in formazione di
combattimento sulle colline circostanti, schierando
le fanterie in buona posizione rialzala oltre il
fosso di Scannagallo. Da destra a sinistra stava
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schierata la cavalleria Franco-senese, circa un
migliaio di cavalli, comandati dal giovane
Lodovico Pio conte della Mirandola, portabandiera e capitano della cavalleria, e da
Lodovico Borgonovo detto Righetto del
Campana, alfiere maggiore, posti sulla destra
delle fanterie, in posizione leggermente rialzala.
Sul pendio oltre il fosso di Scannagallo stavano,
armi al piede, Greog Reckenrot, luogotenente
generale dei tedeschi e Johann Torech, colonnello
di 3.000 lanzichenecchi schierati contro gli
spagnoli di Francisco De Haro. Dietro i lanzi
era la formazione dei 3.000 fanti dei Grigioni;
al loro fianco, al centro dello schieramento,
stavano i 1.500 fanti guasconi comandati da
Valleron, e altri 1.500 francesi del barone di
Forquevaux.
Sul lato sinistro 5.000 fanti italiani sotto il
comando di Paolo Orsini, il conte di Caiazzo e
dei due fratelli Bentivoglio. Lo schieramento era
forte, solidi quadrati di picchieri con sui fianchi
archibugeri e fanti armati di rotella e spada.
Anche il Marignano fece fermare i suoi e
schierò le sue truppe in ordine di battaglia.
Sull'ala sinistra, al margine delle colline dove il
letto della Chiana si allargava nella pianura,
erano schierati i 600 uomini della cavalleria
leggera sotto il comando del conte Sforza di
Santafiora, luogotenente del Marignano, insieme
ad altri 600 cavalleggeri del conte di Nuvolara,
capitano della cavalleria leggera imperiale;
Marcantonio Colonna guidava invece lo
squadrone di 300 uomini d'arme, uomini
protetti da armatura completa armati di lancia:
la cavalleria pesante.
Il Marignano dispose le fanterie in
formazione di battaglia sulla linea AnascianoPoggio al Vento, un po' arretrate sulla sponda
sinistra del fosso di Scannagallo: la fanteria
spagnola di Francisco de Haro, circa 2.000
uomini, veterani di Sicilia e di Napoli tenevano
il fianco sinistro, insieme ai soldati spagnoli e le
reclute corse di don Lorenzo Juarez. de Figueroa.
La formazione di centro, a una distanza di
60 passi dagli spagnoli di Figueroa e de Haro,
era costituita dalla battaglia di 4.000 lanzi
tedeschi comandati dal colonnello Niccolo
Mandruzzo, colonnello imperiale. Sul lato destro
dello schieramento, comandato dal conte i
Popoli, stavano 4.000 fanti toscani, seguiti alle
loro spalle da altri 2.000 fanti di Juan
Manrique, in terza fila i 3.000 romani di
Camillo Colonna. Come riserva, che trova le
fanterie italiane, era una compagnia di 200
soldati spagnoli reduci dalle guerrre d'Ungheria
e una compagnia di archibugieri a cavallo
napoletani.
La poca artiglieria schierata dal Marignano
fu piazzata in batteria dietro le fanterie, più in
alto di queste sulla collina e leggermente spostata
verso il lato sinistro dello schieramento mediceoiinperiale: in tutto due mezzi cannoni e due
sagri, pronti a scaricare i loro proiettili sulla
massa dei fanti nemici.
Verso le undici del mattino il Marchese di
Marignano decise di saggiare la resistenza della
cavalleria nemica: la cavalleria leggera mediceoimperiale posta nella pianura cominciò a muovere
al trotto, passò il tosso di Scannagallo e caricò
decisamente al galoppo le squadre di cavalleria
franco-senesi, subito seguite dal trotto della massa
dei 300 uomini d'arme di Marcantonio
Colonna; la cavalleria franco-senese fu travolta
da questa ondata di cavalleria pesante, le
squadre si aprirono sotto l'urto massiccio degli
uomini d'arme e Righello del Campana,
portabandiera della cavalleria franco-senese, volse
il cavallo verso Foiano; i cavalieri francesi,
vedendo fuggire la loro insegna principale,
scompigliarono le righe e furono presto travolti
dalla cavalleria mediceo imperiale che,
probabilmente, noli si aspettava una tuga così
improvvisa e disordinata dell'avversario per le
vigne e i campi della pianura il successo
imprevisto della cavalleria fu salutato da una
salva delle batterie fiorentino-imperiali poste sulle
alture alle spalle delle battaglie di fanteria, le
prime palle caddero in mezzo alle fanterie francosenesi mentre la cavalleria vittoriosa si lanciava
all'inseguimento dei cavalieri francesi che
galoppavano verso Foiano.
Piero Strozzi considerò preoccupato la piega
negativa presa dalla battaglia: alla prima mossa
del nemico aveva già perso tutta la cavalleria
sull'ala destra, cosa che fece pensare seriamente al
tradimento di Righetto del Campana; decise
pertanto di riprendere in mano l'iniziativa,
forzando la manovra e attaccando decisamente su
tutto il fronte con le sue battaglie di fanteria.
Verso mezzogiorno del 2 agosto le fanterie
tedesche sull'ala destra di Piero Strozzi
cominciarono a scendere dalle colline lungo le
piagge che portavano al fosso di Scannagallo,
oltre il quale, immobili e assorti, gli spagnoli al
comando di Francisco de Haro pregavano con
fervore la Vergine e tutti i San ti verso cui ogni
soldato era personalmente devoto. La discesa
dalla collina di quella massa urlante di fanteria,
le picche puntale contro i petti di ferro degli
spagnoli, morioni e cabacetes al sole, fu
travolgente: il fosso quasi asciutto di Scannagallo
fu passato di corsa dai 3.000 lanzi che
iniziarono a risalire correndo la cinquantina di
metri oltre la ponda che li separava dal muro
della fanteria spagnola. La polvere levata dallo
scalpiccio degli uomini si confuse a quella delle
armi da fuoco che scaricarono finchè fu possibile
contro i tedeschi guidati da Johann Torech e
Greog Reckenrol, quindi si venne all'urto e la
mischia si fece feroce.
Gli spagnoli delle prime file furono scavalcali e
travolti in un urlio feroce di voci che gridavano
in lingua casigliana e tedesca azzuffandosi e
massacrandosi sul fianco della collina.
A questo punto, dal fianco destro degli spagnoli
cosi duramente attaccati, entro in combattimento
il centro dello schieramento medieco-imperiale: la
battaglia di 4.000 lanzi tedeschi comandali da
Niccolò Mandruzzo, questi caricarono a loro
volta contro i tedeschi al soldo di Siena che
ingaggiarono una mischia violenta a colpid i
picca
In mezzo al tumulto l’artiglieria imperiale
continuava imperterrita a sparare sulle fanterie
nemiche e questo fuoco di artiglieria continuo di
artiglieria bene indirizzato contro il centro dello
schieramento franco-senese riuscì in parte a
scompigliare le file dei soldati svizzeri dei
Grigioni che, come tuttala linea di Pietro
Strozzi stava scendendo nel vallone, passando
qua e là il greto riarso del fosso di Scannagallo.
Comune di Lucignano - PIANO STRUTTURALE 2004 - Quadro Conoscitivo - Relazione pag. 26
Lo slancio iniziale dell’attacco franco-senese
stava venendo meno, colpi di artiglieria
continuavano a piovere tra le file avanzanti al
passo, sulla destra la mischia eragià fitta e la
confusione era grande.
Quando i capitani mediceo impieriali videro che
il fosso era stato passato dalle prime sette/otto
file dei Franco-senesi poterono discernere in viso
le prime file di fanti che marciavano al passo
veloce, le picche serrate tra i pugni gli sguardi fissi
verso di loro e le bocche aperte a gridare urla di
guerra e improperi; allora dalle file della fanteria
mediceo imperiale si levo il grido di guerra:
"Duca! Duca! Palle! Palle!"
Il Marignano aveva dato l'ordine di attacco
generale alle sue fanterie e queste cominciarono
a scendere il declivio, marciando al passo, quasi
correndo incontro al nemico che si faceva sempre
più vicino, nel frastuono sordo e crescente di
scalpiccii , tintinnio di armi, urto di legni e di
metalli sempre più accellerato; gli uomini
gridavano, per incitare i compagni, per
terrorizzare il nemico, per darsi coraggio a se
stessi, per stordire infine la mente in quella corsa
contro le picche acuminale, le spade, il fuoco e il
fumo degli schioppi. I fanti dei Grigioni che già
erano stati martirizzati dall’artiglieria del
Marigliano cominciarono a sbandare; l’urto dei
picchieri fiorentini e l’assalto a rotella e spade
fatte dai fanti mercenari napoletani di Manrique
cominciò a produrre il panico tra le file dei
Franco-senesi.
A un certo punto, con strepito grandissimo, dal
lato della Chiana apparvero caricando dalla
polvere i 300 uomini d’arme di Marcantonio
Colonna , dopo aver inseguito per un po’ la
cavalleria franco-senese di Righetto del
Campana, erano tornati indietro per caricare alle
spalle e di fianco i fanti dello Strozzi, ormai
discesi completatamene nel vallone e seriamente
impegnati a difendersi
dalle artiglierie
avversarie.
braccia dai suoi fidi
L’ordine di
battaglia dello schieramento
Franco-senese era rotto: la cavalleria leggera
Franco-senese ormai lontana della mischia, era
inseguita da quella mediceo-imperiale , e grazie
alla fuga si era salvata quasi al completo
riparando dopo una corsa di svariati chilometri
fino a Montalcino
I lanzi di Reckenrot e Torech erano stati presi
di fianco dai tedeschi del Mandruzzo, i fanti
svizzeri dei Grigioni schierati inizialmente dietro
a Torech erano di facile preda della cavalleria
pesante allineata al loro fianco destro e venivano
sbandati presi dal panico; restavano i francesi e
guasconi di Valleron e Florquevaulzx i soli a
reggere l'urto del grosso delle fanterie mediceoimperiali. Intrappolati sul greto del Fosso di
Scannagallo si batterono da prodi contro un
nemico sempre maggiore e ormai soverchiante, le
insegne cadevano una ad una, i francesi si
rinserrarono in gruppi intorno ai loro capitani
che levavano in pugno le bandiere, bersagliati dal
tiro della moscetteria.
la fuga dopo la carica degli uomini d'arme resiste
Nel polverone sollevato dal movimento convulso
di migliaia ili uomini non era più possibile fare
manovre o comprendere ordini: lo stesso Piero
Strozzi aveva perso il cavallo e combatteva a
piedi, dopo esser stato ferito tré volle da colpi di
arma da fuoco, dovette cedere il comando a
Clemente della Cervara, e fu portato via a
lontano dal campo di
loro era caduta la speranza di liberare Siena
dall’assedio mediceo-imperiale.”
La battaglia era durata un paio d'ore, dalle
Importante è stato per Lucignano il
passaggio sotto l’egemonia fiorentina dei
Medici (1554), periodo nel quale si
verificarono importanti interventi urbani
nell’ambito del generale riassetto
difensivo del Ducato come la costruzione
della nuova Fortezza, mai completata,
attribuita al Sangallo posta nella direzione
ovest verso Siena in posizione dominante
della quale rimangono oggi due bastioni
con ai vertici due antichi mulini a vento
circolari e le mura fortificate ad ovest a
raccordo con i bastioni.
battaglia.
11 del mattino fino all'una, l'inseguimento invece
durò fino al tramonto, chi non si era salvato con
in gruppi isolati, Clemente della Cervara cadde
al suo posto di comando colpito da 18 ferite e a
notte, 4.000 uomini giacevano morti sul campo
mentre altri 4.000 lamentavano le ferite o erano
stati fatti prigionieri dai fiorentino-imperiali.
500 Grigioni , 400 francesi e 800 Tedeschi
furono catturati insieme a Georg Reckenrol,
Paolo Orsini, il conte Chiazzo, un fratello di
Cornelio Bentivoglio , Clemente della Cervera
che morirà per le gravi ferite riportate. Gli
uomini di Cosimo dei Medici raccolsero più di
cento bandiere nemiche nel Vallone di
Scannagallo comprese le verdi bandiere , oramai
lacerate, con sopra scritto il nome della libertà
fiorentina. I soldati di COSIMO dei Medici
lamentavano perdite irrisorie rispetto al numero
dei caduti di Piero Strozzi solo tre ufficiali
caduti e un massimo di 200 morti, caduti nella
prima mischia tra lanzi e ,spagnoli sull'ala
destra della la Chiana.
La battaglia di Marciano era vinta, il nome
del fosso dove erano caduti combattendo i soldati
francesi, chiamati dai contadini della zona
Scannagallo, fu subito interpretato dai fiorentini
quale nome profetico e con feroce sarcasmo
accostato alla strage consumata da poche ore, così
che la battaglia della Valdichiana divenne per i
fiorentini combattenti per le file di Cosimo dei
Medici la giornata di Scannagallo. In quel
giorno i Galli erano stati scannati davvero e con
Sotto Cosimo I , alla fine del 500, le mura
trecentesche vengono ristrutturato e
viene completato l’assetto difensivo del
Centro Storico con la costruzione della
Collegiata su disegno di Orazio Porta e
delle Logge di Andrea Pozzo.
La collegiata si colloca in un punto
nodale di sviluppo dell’aggregato urbano
e precisamente nel luogo generatore
dell’organismo urbanistico ovoidale di
Lucignano, nel luogo ove si presume sia
stato eretta la Torre Sillana poi in seguito
il Castello Medievale e la Chiesa di
S.Angelo.
La Collegiata è, come del resto
Lucignano, un episodio compiuto con un
perfetto
inserimento
nel
tessuto
preesistente nonostante il suo volume
rigidamente geometrico.
Le Logge invece vennero realizzate per
qualificare uno spazio urbano destinato
alle relazioni commerciali e sociali nel
pieno spirito dell’urbanistica medicea.
Comune di Lucignano - PIANO STRUTTURALE 2004 - Quadro Conoscitivo - Relazione pag. 27
Si è venuto così a creare un centro
scenografico di particolare raffinatezza
sul quale si affacciano la Collegiata, di
fronte alla quale verrà realizzato nel ‘700
il sacrato con la scalinata che rilegge in
chiave figurativa l’andamento della
struttura urbana, la Loggia e la Rocca
oggi purtroppo trasformata in cinema.
Durante i secoli XVI e XVII si ha il
fiorire di molte architetture religiose
come la Chiesa della Misericordia (1582) la
Chiesa della Madonna della Quercia (1568)
attribuita dapprima a San Gallo poi al
Vasari, e la Chiesa dei Padri Cappuccini
(1580).
2.2.4 LEOPOLDO DI LORENA E
LA BONIFICA
Fondamentale per l’economia sia del
centro urbano che e soprattutto per i
territori agricoli sarà il periodo di
Leopolo di Lorena che nel XVIII sec.
ordinò la bonifica del della Valdichiana.
La Valdichiana, essendo un area depressa
che collega, nella direttrice nord-sud i
bacini del fiume Tevere e del fiume Arno,
ed avendo una pendenza di lieve entità è
stata sia tributaria del Tevere che
dell’Arno
che
di
entrambi
contemporaneamente.
Nel
tempo
la
Valdichiana
ha
rappresentato un serio ostacolo ai
collegamenti tra il Mar Tirreno e Mar
Adriatico ma anche nella direttrice nordsud e quindi per consentire uno sviluppo
economico ma anche la conquista del
territorio peninsulare è stata necessaria la
sua bonifica fin dai tempi più antichi.
La Valdichiana, prima ancora della
bonifica Leopoldina, è stata oggetto di
interventi di ingegneria idraulica tuttora
riconoscibili nel territorio infatti le
matrici mensorie del piano di bonifica
sono inequivocabilmente romane anche
se rimane un dubbio circa interventi di
bonifica che possono essere stati
effettuati prima del periodo romano
ovvero dagli Etruschi.
Quello che fa pensare che molto
probabilmente delle opere idrauliche
erano già state effettuate nel territorio è
che ad un certo punto tre città di origine
umbra e precisamente Arezzo, Cortona e
Perugia diventano città Etrusche, come
fanno notare Lavagnino e Cataldi in
“Cortona Struttura e Storia” .
La definitiva bonifica avviene per volere
di Leopoldo di Lorena Granduca di
Toscana ad opera del Sovrintendente
Fossombroni aiutato dal lucignanese
Ing.F.Capei.
Infatti durante questi anni si verificano
profonde trasformazioni del territorio
agricolo dovute proprio all’aumento del
terreno fertile e alla realizzazione di
comunicazione come la via dei Procacci,
che collega la Valdichiana al Valdarno e la
via Cassia che collega Arezzo e Siena.
Queste nuove vie di comunicazione e
soprattutto l’aumento dei terreni fertili
porta ad un arricchimento dei proprietari
terrieri. Tale situazione si ripercuote
anche all’interno delle mura dove si
verificano numerosi interventi di
ristrutturazione edilizia di carattere sia
privato che pubblico.
Risale infatti a questo periodo la
trasformazione della Rocca in Teatro e
viene anche sistemata la Piazza del
Mercato di fronte a Porta S.Giusto come
area di passeggio pubblico.
Gli interventi sugli edifici privati
riguardano alcuni palazzi e in particolare
P.zo Griffoli, P.zo Spannocchi, P.zo
Angeli e P.zo Arrighi.
Alla fine dell’800 la famiglia Capei esegue
un intervento consistente all’interno delle
mura accorpando alcune unità edilizie
trasformandole in un unico fronte e la
creazione di un parco privato che si
estendeva
anche
oltre
Via
di
Circonvallazione.
Di seguito gli interventi riguardano
intasamenti di vicoli con ampliamento del
tessuto esistente che però non hanno
compromesso il principale sistema viario
ellittico.
L’influenza della Rivoluzione Industriale,
che in questa zona comincia a farsi
sentire intorno alla prima metà dell’800,
porta alla modificazione delle esigenze
abitative della popolazione dovute
appunto al nuovo modo di vivere e
lavorare e anche da una diversa
disponibilità economica.
Lucignano in quel tempo registra un
notevole aumento della popolazione e
crescenti attività produttive come
manifatturiere, fornaci, lavorazione di
pietra locale, tintorie ed istituisce un
mercato settimanale e una fiera annuale.
Da menzionare l’istituzione di un
conservatorio per l’avviamento delle ragazze
(1860), per merito di Francesca Griffali
nobildonna, all’interno del monastero di
S. Francesco, è proprio in occasione della
trasformazione in Conservatorio che il
portico del chiostro viene in parte
tamponato per ricavarne altre aule per le
allieve.
Con il crescente aumento della
popolazione e lo sviluppo del commercio
cresce sempre più la necessità di
abitazioni legate al mondo urbano tanto
che lungo le direttrici di Foiano e di Siena
si hanno i nuovi insediamenti fuori dalle
mura che a differenza di altri centri
limitrofi non si verificano in forma
concentrica intorno alle mura ma solo
lungo il percorso.
Ormai il Centro Storico risulta
consolidato e definito tanto che
nemmeno con la realizzazione della rete
ferroviaria Arezzo Sinalunga, terminata
nel 1930 si verificano delle trasformazioni
consistenti.
Comune di Lucignano - PIANO STRUTTURALE 2004 - Quadro Conoscitivo - Relazione pag. 28
2.3
I
BENI
STORICOARCHITETTONICI
DI
PREGIO
Gli edifici storici più importanti di
Lucignano
si
trovano
all’interno
dell’impianto a forma ellittica del centro
storico, fatta eccezione per episodi che si
trovano
in
altrettante
posizioni
strategiche rispetto al nucleo centrale
storico, che sono:
la Fortezza, posta ina un’area strategica
dominante a cavallo tra il territorio senese
e quello aretino, poco lontano dalle mura
del paese; e il Castello del Calcione,
all’interno del territorio boscoso del
comune, anche questo in posizione
dominante sul territorio usato come
avamposto militare.
Gli altri due episodi di carattere religioso
sono il Santuario della Madonna delle
Querce posta vicino al cimitero comunale
di Lucignano e il Convento dei Frati
Cappuccini posto lungo la provinciale
della Misericordia ad 1 Km da porta San
Giovanni.
1 Palazzo Comunale
2 Chiesa e convento di S.Francesco
3 Chiesa della SS.Annunziata, detta della Misericordia
4 Chiesa di S.Giuseppe
5 Chiesa della Collegiata
6 Loggiato
7 Rocca e Teatro Rosini
8 Palazzo Arrighi Griffali o Capei
9 Porta S.Angelo
10 Porta San Giusto
11 Porta San Giovanni
12 Porta Murata
13 Torre delle Monache
Comune di Lucignano - PIANO STRUTTURALE 2004 - Quadro Conoscitivo - Relazione pag. 29
2.3.1 PALAZZO COMUNALE
Il Palazzo Pubblico sorge a contatto con
il complesso di San Francesco, nel centro
geometrico e ideale di Lucignano.
La Facciata principale si pare sulla Piazza
del tribunale ed è collegata alle vie
principali ellissoidali da un asse
trasversale ( in antico Costa delle
monache e Costa del Tribunale) che si
protende sugli opposti versanti.
Non sono disponibili notizie certe e
documentate sull’epoca di costruzione e
sulle successive modifiche del Palazzo
Pubblico, o Pretorio, attualmente sede
del Municipio.
Probabilmente il Palazzo fu costruito alla
fine del ‘200 e rifatto nel secolo
successivo, forse dai Fiorentini dopo il
1353.
L’edificio presenta un piano seminterrato,
un tempo adibito a prigione ( come
dimostrano scritti e graffiti presenti sui
muri) presumibilmente relativa al
tribunale che si teneva in questo palazzo.
Il pittore milanese Luigi Ademollo, attivo
a Monte S.Savino tra il 1812 e il 1827,
nello stesso periodo affrescò alcune sale
del palazzo con temi neoclassici.
la costruzione è stata restaurata con
molte integrazioni all’inizio del ‘900.
Il Palazzo Comunale
Il corpo principale dell’edificio è
impostato su una pianta trapezoidale con
murature perimetrali molto spesse in
pietra con parti in mattoni. Il semplice
volume che ne risulta, è coperto a
capanna secondo l’asse longitudinale
parallelo alla facciata. I livelli principali
sono due, ai quali si aggiunge il
seminterrato. Il fronte sulla piazza, oltre a
numerosi stemmi e lapidi coon i simboli
dei vari podestà e vicari seccedutisi nel
tempo,m presenta un portale in pietra a
tutto sesto, che funge da ingresso
principale.
Piazza del Tribunale
Più in alto si trovano quattro aperture, tra
le quali una finestra con arco in latraterizi
e una porta-finestra che si apre in un
balcone con robuste mensole in pietra a
volute.
Dalle falde del tetto emerge un possente
campanile a vela con la campana
pubblica, per molti secoli priciplae mezzo
di comunicazione dell’autorità civile,
coincidente con il baricentro della
cittadina.
Dal portone principale si accede ad una
sala di ingresso con pavimento in cotto e
soffitto a grandi travature lignee che
mostra alle pareti stemmi, lapidi ed un
cinquecentesco affresco di scuola
vasariana. Salla parete di fondo si trova la
scala che conduce ai piani superiori e,
nell’angolo opposto, l’accesso al museo,
articolato in un corridoio con volta a
botte e tre sale, tra cui la “ Sala della
Cancelleria”. questa è coperta da due
volte a corciera affiancate, completamente
affrescate con figure e personaggi tratti
dalla tradizione biblica e classica.
Nel piano superiore si trovano alcune sale
con volta a padiglione, come detto,
affrescate nei primi anni dell’Ottocento a
temi neoclassici.
Il Museo Comunale
La prima inaugurazione del Museo
comunale di Lucignano risale al 1924, in
una sala dell’ex convento di S. francesco,
ma fin dal 1895 l’amministrazione aveva
avvertito il problema di una collocazione
e sistemazione delle opere più preziose
conservate nella chiesa di S. Francesco: il
famoso reliquiario trecentesco, in forma
d’albero ed un secondo reliquiario
trecentesco, successivamente rubato e
mai recuperato.
La sede attuale fu inaugurata il 2 maggio
1984, al pianterreno del palazzo
comunale, nei locali un tempo adibiti a
prigione e luogo in cui si amministrava la
giustizia.
Proprio la sala del Tribunale, in cui è
ospitato
l’Albero,
è
interamente
affrescata,
secondo
la
tradizione
umanistica di omaggio agli eroi antichi da
utilizzare come esempio per i moderni,
che ritroviamo sulle paretri di sale dei
palazzi pubblici italiani, come a Siena,
Firenze e Padova.
Tra le opere di maggior pregio
conservate:
Il famoso Reliquiario detto Albero
d’Oreo di Lucignano, iniziato da Ugolino
di Vieri nel 1350 e terminato dall’orafo
senese Gabriello d’Antonio nel 1470;
Crocefissione, ignoto pittore d’ambito
umbro ( sec. XIII), diverse opere di
scuola senese: Madonna con Bambino in
Trono ( sec. XIV), con donatrice, un San
Bernardino ( 1448), di Pietro di Giovanni
D’Ambrogio,
specialista
nelle
raffigurazioni del santo, Trittico di
Bartolo di Fredi (1330-1410) raffigurante
Madonna col Bambino e Santi, Madonna
col Bambino ( sec. XV),. frammento di
una composizione più ampia, ( ridotta a
forma centinata con soppressione delle
figure ai lati della Madonna), attribuita alla
bottega di Luca Signorelli ed un San
Francesco, forse unica parte supertstite
dell’armadio commisionato a Luca
Signorelli dalla Confraternita di santa
Maria nel 1482 per contenere il
Reliquiario ad Albero.
Bartolo di Fredi - 1330 ca/1410
“ Madonna con Bambino e due Santi”
Comune di Lucignano - PIANO STRUTTURALE 2004 - Quadro Conoscitivo - Relazione pag. 30
2.3.2 CHIESA DI S. FRANCESCO
La chiesa fa parte di un vasto complesso
probabilmente in antico situato tra il “
castrum” ovoidale ed il nucleo fortificato
secondario ( Castellaccia).
Tra gli edifici aggregati troviamo
l’oratorio del Corpus Domini a sud est
( attiguo alla chiesa di San Francesco) ,
l’isolata Torre delle Monache a nord,
oltre le absidi poligonali di S. Francesco a
nordd-est, il monastero di San Francesco
( collegato al palazzo Comunale tramite
un chiostro centrale), la chiesa del
Crocefisso, con la facciata rivolta a
nordovest, l’ex monastero di Santa
Margherita ed il Palazzo Pretorio con la
facciata rivolta a sud-estr di Piazza del
tribunale.
Durante la seconda metà del ‘200, nella
Toscana meridionale, l’ordine mendicante
francescano, passò da una prima fase
spiccatamente itinerante ad una più
stabile, che vide la costruzione di chiese e
conventi all’interno dei centri fortificati.
Le chiese francescane di Cortona e di
Lucignano sono tra i primi e più
significativi esempi di tale fenomeno. La
vostruzione fu probabilmente iniziata
nekl 1248 e risulta terminata nel 1289,
dato che nella chiesa di San Francesco, in
tale data, venne confermato l’atto di
sottomissione dei Lucignanesi alla
Repubblica Senese.
La Chiesa, di grande semplicità e bellezza,
ha una facciata con paramento policromo
di travertino e arenaria. L'imponenza
della stessa, con portale sempre in
travertino
a
forte
strombatura
sormontato da lunetta semicircolare e
cuspide appuntita sempre di accento
senese, è coronata da un ampio occhio in
arenaria e si affaccia su una leggiadra
piazzetta.
di restauro che ci hanno restituito
affreschi trecenteschi di Bartolo di Fredi e
di Taddeo di Bartolo.
Sul lato interno della facciaia è posto un
organo monumentale e racchiuso in una
massiccia cassa intagliata e dorata con
l'otto piedi in facciata, opera di mi
anonimo costruttore toscano della prima
mela del 500. Sul lato destro della navata,
parzialmente coperti da altari in pietra
serena, vi sono affreschi con scene della
vita di S. Francesco ed il Trionfo della
Morte (sec. XIV e XV). L'evidente
intenzione allegorica e l'uso di una tecnica
pittorica efficace quanto matura ci
parlano di una capacita creativa
straordinaria raggiunta dagli artisti che vi
hanno lavoralo.
Sempre sul lato destro, sull'ultimo altare,
dentro una nicchia, si trova una originale
statua lignea trecentesca della Vergine con
Bambino, policroma.
Interni della chiesa
Interni della chiesa
Planimetria dell’intero complesso
La facciata principale
L'interno a una navata, con ampio
transetto e copertura a capriate in legno, è
reso particolarmente suggestivo dai lavori
rapporto con il carattere più tipico di
quest'arte che a Siena toccherà nel '400
livelli immortali. Il quadro raffigura una
splendida Madonna con il Bambino e,
canone classico della pittura dell'epoca, i
Santi Pietro,Giovanni Battista, Caterina di
Alessandria e Michele Arcangelo che
regge il castello lucignanese, di cui e da
sempre protettore. Sul lato sinistro del
transetto si trova un mirabile affresco
attribuito a Taddeo di Bartolo (XIV° e
XV" sec.) con storie di Santi e Madonna
in trono.
Sull'altare maggiore ( 1665), è possibile
ammirare il polittico di Luca di Tommé,
esempio di una pittura senese che non ha
ancora raggiuuto la purezza stilistica dei
maggiori esponenti di quella scuola, pur
avendo già elementi inconfondibili
nell'uso del colore e nel sagace e raffinalo
Proprio lungo il percorso delle navate,
corre il manieristico chiostro, oggi in gran
parte tamponato, con caratteristica
cisterna centrale e contornato da corpi di
fabbrica
facenti
parte
dell'antico
convento. Esso nasconde, coperte da
intonaci, decorazioni e scritte che
sembrerebbero affrescare - a prima vista la teoria dei corridoi di cui lo stesso si
compone.
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2.3.3 LA COLLEGIATA DI
S. MICHELE ARCANGELO
Sotto Cosimo I, alla fine del ‘500, le mura
trecentesche vengono ristrutturate e viene
completato l’assetto difensivo del Centro
Storico con la costruzione della Collegiata
su disegno di Orazio Porta.
La chiesa sorge nell’area alta centrale con
la facciata raccordata tramite una
monumentale scalinata ellissoidale alla
rampa ( in antico Costa di sant’ Angelo)
che conduce alle sottostanti via Rosini e
Piazza delle Logge; la parete sinistra,
rivolta a nordovest, è attestata sulla
Piazza del Tribunale.
L’imponente costruzione, con alto tiburio
e campanile, contribuisce in maniera
determinante a delineare il profilo della
cittadina.
su disegno di Orazio Porta pittore e
architetto di Monte S. Savino. Il 1°
Ottobre 1638 fu innalzata al grado di
Collegiata per Bolla di Urbano VIII, col
preventivo consenso e beneplacito di
Ferdinando II granduca di Toscana.
Attualmente la pianta è a croce latina con
10 altari in pietra serena, recanti quadri
assai interessanti (del XVI XVII sec) e un
un magnifico crocifisso ligneo.
Il soffitto avrebbe dovuto essere a
travature, ma poi fu abbandonato questo
primo progetto per la costruzione a volta
che riuscì male per la poca solidità delle
muraglie. Il 13 aprile 1652 l'architetto
fiorentino Silvani chiamato a Lucignano
dal magistrato dei Signore Nove, fece
fortificare e ingrossare le muraglie con gli
arconi sotto i quali sono le cappelle e con
gli arconi che reggono la volta.
Successivamente furono costruite le
cappelle una a sinistra e una a destra del
Presbiterio. La prima fu cominciata il 30
maggio del 1627 dal maestro Matteo di
Ippolito Bracci, la seconda alla destra del
Presbiterio fu cominciata il 13 Dicembre
1635 su disegno di Cantagallina dedicata
a S.Carlo.
La pianta della collegiata
La nuova chiesa dedicata a S. Michele
Arcangelo fu cominciata il 5 Maggio 1594
La Collegiata
La collegiata si colloca in un punto nodale
di sviluppo dell’aggregato urbano e
precisamente nel luogo generatore
dell’organismo urbanistico ovoidale di
Lucignano, nel luogo ove si presume sia
stato eretta la Torre Sillana poi in seguito
il Castello Medievale e la Chiesa di
S.Angelo.
dello stesso materiale. che nell'angolo di
sinistra sono raccordati tramite elementi
curvilinei al caratteristico vicolo delle
Monache.
La Collegiata è, come del resto
Lucignano, un episodio compiuto con un
perfetto
inserimento
nel
tessuto
preesistente nonostante il suo volume
rigidamente geometrico.
2.3.4 LE LOGGE (PIAZZA DEI
CADUTI)
Le Logge vennero realizzate per
qualificare uno spazio urbano destinato
alle relazioni commerciali e sociali nel
pieno spirito dell’urbanistica medicea.
Si è venuto così a creare un centro
scenografico di particolare raffinatezza sul
quale si affacciano la Collegiata, di fronte
alla quale verrà realizzato nel ‘700 il
sacrato con la scalinata che rilegge in
chiave figurativa l’andamento della
struttura urbana, la Loggia e la Rocca oggi
purtroppo trasformata in cinema.
Il loggiato fu costruito dopo il 1558. nel
contesto dei lavori commissionati da
Cosimo I a seguito della vittoria di
Scannagallo (1554). La sistemazione
cinquecentesca dello Logge completa la
piazza nella quale "sono presenti simboli
delle tré autorità cittadine: religiosa, civile
e militare".
L’ultimo intervento di restauro sul
loggiato è stato effettuato nel 1997.
Le logge, in arenaria grigia, risultano
introdotte alla base da quattro scalini
Le logge viste dall’omonima piazza
L’impianto planimetrico è di forma
rettangolare suddivisa in cinque campate
coperte con volta a vela sostenute sul lato
della piazza da cinque pilastri quadrati
due dei quali incassati nei muri di spalla
sormontati da semplici capitelli.
Sopra le Logge la terrazza praticabile
presenta un parapetto su tré lati e una
pavimentazione in pietra.
Comune di Lucignano - PIANO STRUTTURALE 2004 - Quadro Conoscitivo - Relazione pag. 32
2.3.5 LA ROCCA E IL TEATRO
ROSINI
La realizzazione della Rocca, risale al
periodo di dominazione senese e
precisamente alla fine del XIV sec. e fu
costruita per mano di Bartolo Batoli che,
come riportato in un libro di rendimenti
di conto conservato all’Arch. Dipl.
Senese, ricevette 6825 fiorini.
Nei secoli la Rocca ha mantenuto quasi
intatto il suo aspetto originario se non
fosse che sulla scarpa del torrino è stata
praticata l’apertura per accedere al teatro
e che la corte interna del cassero è stato
intasato dalla scala.
Lucignano, ma gia dal 1782 risulta
allivellata al privato G. Moracci e nel
1829 i suio eredi ne vengono in pieno
possesso.
Il comune mantenne la stanza a piano
terra usato come granaio.
È sotto la proprietà dei Moracci che la
rocca subisce la trasformazione d’uso
infatti all’interno venne costruito un
piccolo teatro di legno gestito dalla locale
Accademia dei raccolti.
La pianta tornò ad essere rettangolare, al
posto dei palchi venne realizzata la
galleria, la volta incannicciata fu sostituita
da un solaio ligneo.
Nel 1984 il teatro è stato chiuso perchè
non a norma e nel 1987 è stato acquistato
dal Comune.
I complesso architettonico è posto a
cavallo delle mura della cittadina, con il
lato esterno rivolto ad ovest, verso la
vallata senese, mentre quello interno fa
parte della quinta architettonica che
delinea Piazza delle Logge; difatti si
presenta come un torrino quadrangolare a
scarpa, concluso in alto con arcatelle a
sesto acuto sorrette da mensole in pietra
lobata. La muratura è in pietra a filaretto e
la pianta a forma pressoché rettangolare.
ha un soffitto ligneo con grandi travi ed
infine l’ultimo piano è coperto con una
volta a crociera con archi a sesto acuto.
La scala continua fino alla terrazza
soprastante
munita
di
parapetto
impostate su arcatelle a sesto acuto
appoggiate su mensolette triangolari
lobate.
Il teatro è organizzato nella parte rivolta
verso l’interno del paese parallelamente
alle mura castellane. Presenta due accessi
per la platea e per la galleria da via Rosini
ha due accessi all’esterno. Dal primo
livello si accede alla galleria ed a una sala
detta “dell’Accademia”.
Scorcio della Rocca
Come riporta l’Arch. Meacci in
“Itinerario
d’architettura
nella
Valdichiana”, di questo primitivo teatro,
probabilmente inserito in una sala
rettangolare, non è rimasto nulla. Nel
1856 l’Acccademia decise di ampliarlo e
di costruirne uno in muratura su progetto
dell’Ing. Picconi.
Il nuovo teatro dedicato al professore
universitario Giovanni Rosini, fu
inagurato nel 1861. Si trattava di un
teatro all’italiana con pianta a U, 43 palchi
suddivisi in tre ordini e un ampio
palcoscenico.
La Rocca e il Teatro Rosini
Nel 1650 il Granducato di Toscana
cedeva la Rocca alla comunità di
Subì all’interno un’importante modifica
durante la ristrutturazione del 1954 per
opera dell’Arch. Bartolini e Ing.Bani.
Sezione della Rocca con il teatro
Verso la valle, dal lato opposto del
torrino si trova l’imponente mastio di
base quadrata; la Rocca.
La torre è costituita da quattro sale
sovrapposte collegate da scale in legno; i
primi due vani sono coperti con volta a
botte e pavimenti in cotto mentre la terza
Comune di Lucignano - PIANO STRUTTURALE 2004 - Quadro Conoscitivo - Relazione pag. 33
2.3.6
PALAZZO
GRIFFOLI O CAPEI
ARRIGHI
(probabilmente
secolo).
aggiunto
in
questo
Il palazzo si affaccia lungo l'antica "Via
Ricca" oggi via Matteotti, addossato alle
mura castellane nella parte sudest
dell'abitato. A sinistra questo si salda un
palazzetto con paramento murario in
laterizi, arricchito da interessanti
particolari architettonici.
Sono numerose le costruzioni collocate
lungo ampio percorso urbano nelle quali
hanno avuto dimora nei secoli le più
importanti famiglie del luogo. Questi
edifici hanno progressivamente occupato
gli spazi periferici addossandosi alla
cerchia muraria due-trecentesca, con
prospetti 'rappresentativi' lungo la "Via
Ricca" e fronti decisamente posteriori
nella parte rivolta alle mura castellane.
L'edificio in questione, forse risalente alla
fine del '200, quando fu costruito il borgo
esterno al primitivo castrum, e
successivamente modificato a più riprese,
è appartenuto alla famiglia Arrighi
Griffoli ed in seguito alla famiglia Capei.
In epoca più recente ha mutato la
funzione di residenza nobiliare ospitando
successivamente la Casa del Fascio,
l’Ufficio Postale e, nei giorni nostri, la
Casa di Riposo Comunale.
II palazzo è il risultato della fusione di
unità edilizie preesistenti, i cui moduli di
base,
con
diverso
orientamento
determinano una facciata concava
ricondotta ad unità da una fascia in
gronda, dalla regolarizzazione delle
aperture e dal portale d'ingresso
sormontato
da
un
balcone
muraria e si apre con un’ampia terrazza
circostante.
Gli interni sono distribuiti su tre piani
fuori terra dove si trovano vari saloni
con volte affrescati.
Una menzione particolare spetta i
seminterrati, un tempo adibiti a cantina e
oliviera, nei quali sono stati ritrovati vani
e cunicoli scavati nella roccia che
permettevano di uscire al di fuori delle
mura castellane.
Veduta del Palazzo in via Giacomo Matteotti
II modulo meridionale di questo fronte
ha
mantenuto
il
tipico
stile
dell’architettura senese medievale a
paramento lapideo a ricorsi policromi,
in arenaria grigia e travertino come la
vicina Chiesa di S. Francesco (della
seconda metà del ‘200).
Al piano terra sono visibili ampie arcate
tamponate e nel prospetto laterale, che
si affaccia su un antico vicolo, oggi
privato si notano un interessante
portale ad arco ogivale e aperture a
tutto sesto, che denunciano uno
schema distributivo interno in seguito
radicalmente mutato. Il retro del
palazzo arriva ad inglobare la cinta
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2.3.7 LA FORTEZZA MEDICEA
L'opera, compiuta solo nel lato rivolto a
Siena, è collocata fuori dell'abitato sopra
un'altura, a nordovest del centro storico,
separata da quest'ultimo da una scoscesa
sella.
La costruzione della fortezza fu
commissionata da Cosimo I nel 1558,
poco tempo dopo la vittoria di
Scannagallo ( 3 agosto 1554) sui Senesi.
Lucignano
diventa
l’avamposto
fiorentino
più
importante
della
Valdichina, di qui l’incarico di fortificare
la città.
Il duca Cosimo inviò a Lucignano come
suo commissario Giulio Ricasoli che
giunse il 15 Agosto. Egli osservò
immediatamente che sarebbe stata
necessaria un’ ingente spesa per
recuperare la fortezza.
Nonostante si prospettassero molti
interventi, la soddisfazione dei fiorentini
era grande perché il paese di Lucignano
era già efficacemente difeso da cinque
baluardi di terra e, completando anche
l’esecuzione del forte della collina, si
poteva fare del luogo una città - fortezza,
sul modello di quanto accadeva anche in
altre città del dominio.
Il 26 settembre 1554 giungevano a
Lucignano Bernardo Puccini, ingegnere
militare allievo di Giovan Battista
Belluzzi e il capitano Concetto Vico.
Cosimo aveva incaricato l’ingegnere
fiorentino di seguire il cantiere delle
fortificazioni e gli aveva affiancato il
Vinco che conosceva bene il paese, per
esservi
stato
a
lungo
durante
l’occupazione fiorentina del 1553, e aveva
collaborato, assieme al Belluzzi, alla
progettazione delle nuove difese del
castello.
Una volta arrivato, il Puccini si
preoccupò immediatamente di attivare il
cantiere.
Per il circuito bastionato di lucignano
non occorrevano grandi interventi da
parte fiorentina poiché il progetto era
stato correttamente eseguito e condotto a
termine dai senesi, pertanto gli sforzi pere
completare la difesa del castello si
concentrano, da questo momento, sulla
costruzione del forte di terra nella collina
prospicente il paese. Per questa il Puccini
disegnò subito due nuove soluzioni che
mostrò a Cosimo al suo ritorno a Firenze
e che modificavano forse un progetto,
redatto precedentemente a tavolino,
proprio sulla base delle indicazioni e dei
rilievi del Belluzzi.Il 5 Ottobre, Bernardo
Puccini faceva ritorno a Lucignano con le
nuove disposizioni per il cantiere.
Già dai primi interventi , che occuparono
tutta la stagione autunnale, si capisce che
il progetto del Puccini prevedeva, oltre
all’ampliamento del forte fatto dai senesi,
la costruzione di un collegamento tra
questo e le mura del paese tramite due
cortine di terra.
Il terraglio che il Puccini aveva trovato
sul piccolo Poggio fronteggiante il
castello, servì come supporto sul quale
sviluppare un progetto più articolato e
complessi visto che, dopo pochi mesi di
lavoro, si parlava per la prima volta anche
di baluardi.
Ma il Puccini non aveva tenutoi conto di
alcuni imprevisti. Infatti, i manovali e le
bestie assoldati al cantiere furono
chiamati per trasportare l’artiglieria
fiorentina che passava nella Valdichiana
ed era diretta all’assedio di Siena.
I
lavori,,
quindi
subirono
un
rallentamento. Con le difficoltà date dalla
guerra, dalla miseria del luogo e dalla
stagione invernale, era necessario
contenere al massimo le spese. per questo
si rinunciò alla manodopera specializzata
e i lavori procederono solo con gli uomini
e contadini di lucignano obbligati a
prestare la loro opera quasi gratuitamente.
Con la riconquista senese di alcuni paesi
vicini, si accrebbe il timore di un possibile
attacco volto a riprendere il possesso di
Lucignano. I continui movimenti delle
truppe
nemiche
preoccupavano
notevolmente sia il Puccini che il Ricasoli,
responsabili della difesa del paese.
Era opportuno decidere sul da farsi, e in
particolare, se guastare il forte, evitando
di consegnarlo in nemici, oppure se
continuarne la costruzione. Ma la
decisione definitiva fu presa solo dopo
aver consultato anche Mario sforza, conte
di Santa Fiora, che ad Arezzo
sovrintendeva
alla
difesa
della
Valdichiana.
Il conte ordinò di mettere un gran
numero di soldati alla guardia del forte e
di condurlo a fine al più presto
confermandone ancora una volta
l’importanza. Il 4 aprile, Mario Sforza era
a Lucignanoi per valutare di persona la
situazione.
La pianta del forte era ormai delineata e
presentava complessivamente quattro
baluardi denominati con le lettere F, G,
H, I.
Ma si trattava di una fortificazione di
terra, quindi a carattere provvisorio, che
presentava già i primi problemi
aggravatisi durante la stagione invernale.
Pianta delle fortificazioni di Lucignano con
l’indicazione della fortezza medicea costruita su
progetto di Bernardo Puccini ( 1554-1558)
Legenda: A,B,C,D,E, bastioni di terra
realizzati dai senesi ( 1552 - 1554); F,G,H,I,
firte quadrangolare, forbice in muratura; D-I, EF, cortine dentate di terra che univano il forte
sulla collina alle mura castellane; G, bastione
nord-ovest
( baluardo del Calcione); H, bastione sud-ovest (
baluardo della Purità)
Il collegamento del forte alle mura del
paese, attraverso due cortine dentate di
terra, non era ancora concluso e vi si
voleva costruire “ qualche gabbione acciò
bisognando ce ne possiamo servire in
cambio dè parapetti”. Il Puccini fece uso
dei gabbioni, nelle fortificazioni di
Lucignano, perché questi permettevano
una posa in opera semplificata e
acceleravano notevolmente il cantiere.
Comune di Lucignano - PIANO STRUTTURALE 2004 - Quadro Conoscitivo - Relazione pag. 35
Erano, più precisamente, degli elementi
mobili di forma cilindrica fatti di giunti
che, riempiti di terra o di pietrame e
messi uno accanto all’altro, formavano le
gabbionate nella parte terminale del
terraglio, o meglio, il riparo dietro il quale
stavano i soldati a guardia delle cortine.
Fortezza Medicea
Non esiste una documentazione che
attesti il procedere dei lavori di
Lucignano, durante il periodo compreso
fra aprile e giugno 1555, ma si può dire
con esattezza che , nonostante i
rallentamenti,
furono
ridotte
le
dimensioni originali del forte. Cosimo
concentrò infatti gli sforzi militari nell’
assedio di Siena, che fu costretta alla resa
per fame il 17 aprile 1555,
sottomettendosi all’imperatore CarloV.
Il nuovo progetto della fortezza
Bisogna arrivare ai primi di luglio del
1555 per trovare nuove notizie sulla
fortificazione di Lucignano; Bernardo
Puccini era stato in paese in compagnia di
Giovanni Camerini, anch’egli ingegnere
militare al servizio di Cosimo I. Insieme
avevano studiato un nuovo progetto che
in particolare prevedeva di “ cominciare a
murare” il forte di terra ormai concluso.
Nel frattempo le truppe franco-senesi
ritirate a Montalcino, tentavano in ogni
modo l’assedio e la riconquista di alcune
piazzeforti della Valdichiana.
Il 30 luglio attaccarono anche Lucignano,
arrivando ad appoggiare le scale alle
mura, ma furono respinti dalla
guarnigione fiorentina a guardia del
castello.
A settembre il Puccini e il Vinco, ricevuto
finalmente l’ordine del Duca fiorentino,
fecero nuovamente tirare le corde e
mettere le mire al cantiere e si
apprestavano a realizzare la muratura del
forte. Il nuovo progetto, previsto e fatto
realizzare dal Puccini, riprendeva la
proposta di Mario Sforza, che per primo
aveva consigliato la realizzazione di una
ritirata per contenere le dimensioni che
giudicava troppo estese ma, con la
costruzione della muratura, egli intendeva
soprattutto
attribuire
un
nuovo
significato all’intera opera trasformando il
forte di terra di Lucignano in una
fortificazione permanente.
Le fortificazioni di terra infatti si
facevano quando necessitava procedere
celermente, con notevole risparmio di
denaro, alla fortificazione di un sito e non
avevano un’importanza formale ma erano
strettamente funzionali alle esigenze
belliche, anche perché non resistevano
alle intemperie e si distruggevano entro
pochi anni. Vi furono però nuovi
rallentamenti dovuti soprattutto elle
continue
assenze
dell’ingegnere
fiorentino che, a partire dall’ inverno
1555 - ’56, non potè più seguire da vicino
il cantiere di Lucignano a causa del nuovo
incarico di commissario della Valdichiana
conferitogli dal Duca Il 31 maggio ’56
giungeva a Firenze la notizia della
esplosione della rocca adibita a deposito
delle polveri, sul punto più elevato della
collina di Lucignano, colpita da una
folgore durante un violento temporale.
Lo scoppio della rocca rendeva
estremamente vulnerabile la difesa di
Lucignano poiché con la perdita di questa
era venuto a mancare l’elemento centrale
attorno al quale si era articolata tutta la
fortificazione. Rimanevano, infatti, la
rocchetta o cassero, vicino alla porta San
Giusto, e il forte ancora di terra , che da
soli non assicuravano la protezione del
paese.
La notizia della avventura esplosione
arrivò anche a Sartiano, dove risiedeva il
Puccini che si recò a Lucignano per
decidere il da farsi.
Della rocca erano rimaste un cumulo di
macerie e, nonostante in un primo
periodo si pensasse addirittura di
ricostruirla e restaurarla, si decise invece
di recuperare le pietre e utilizzarle per
dare inizio alla muratura del forte, che
doveva diventare così il presidio
principale da cui dirigere il contrattacco e
difendere non solo la vallata ma anche il
paese alle sua spalle.
Pianta della fortezza di Lucignano
Anonimo sec. XVIII
Dopo l’esplosione della rocca, Bernardo
Puccini e il capitano Gabrio Serbelloni
furono impegnati nella riorganizzazione
dell’intero sistema difensivo del paese. Ma
il fatto più importante è che il 14 luglio il
Puccini, ricevuto finalmente l’ordine del
Duca, poteva iniziare la costruzione di
una
forbice
in
muratura
che,
riproducendo esattamente il disegno della
cortina e dei due bastione esistenti,
rafforzava la parte più debole del forte di
terra verso la campagna. L’idea non era
nuova, visto che già durante l’inverno più
volte aveva proposto tale soluzione che si
adattava perfettamente alle esigenze del
sito.
Nei mesi di luglio-agosto finalmente si
dava inizio ai lavori e, nei periodi in cui il
Puccini era assente, la responsabilità della
conduzione del cantiere era stata affidata
al capitano Concetto Vinco, al
commissario Giulio dè Medici e al nuovo
provveditore della fortezza Giovanni
Martini.
Nei mesi di ottobre e novembre il
cantiere procedeva molto bene e
l’ingegnere si era premurato di mandare
un disegno al Duca, l’unica raffigurazione
rimasta della fortezza di Lucignano.
Ai primi di dicembre, i due baluardi della
fortezza erano alti 6 bracci, ovvero 3,50
metri circa, e avevano raggiunto il livello
dove si dovevano costruire le cannoniere
ma si attendeva il ritorno del Puccini che
avrebbe
deciso
il
loro
esatto
posizionamento.
Ma già dall’inizio di Lucignano si
presentarono altri gravi problemi.
Comune di Lucignano - PIANO STRUTTURALE 2004 - Quadro Conoscitivo - Relazione pag. 36
La muraglia, messa in opera, era di cattiva
qualità, inoltre l’opera non poteva ancora
dirsi sicura e l’ingegnere propose di
intraprendere anche la muratura della
cortina e dei bastioni di terra, rivolti verso
il paese, poiché aveva in mente il disegno
di una fortezza quadrangolare in
muratura.
Il rigido inverno mise in seria difficoltà il
procedere dei lavori e fu solo a primavera
che questi poterono riprendere con più
vigore.
Tornato a Lucignano, verso la metà di
marzo, chiese nuove finanziamenti per
accelerare il cantiere.
In questo periodo si parla per la prima
volta assegnandogli dei nomi al posto
delle lettere di due baluardi che
corrispondono a quelli ancora oggi
esistenti. Si tratta in particolare del
bastione a nord-ovest, detto del Calcione,
dal lato della omonima località in
direzione della chiesa della madonna delle
Querce, e di quello a sud-ovest, o della
Purità.
Il lavoro alla fabbrica procedette, infatti ai
primi di maggio si parla della costruzione
del parapetto che correva lungo tutto il
perimetro superiore della fortezza e che
certamente
proteggeva
anche
la
cannoniera.
La situazione politica generale evolveva
però verso una fine del conflitto. Il 3
luglio 1557 lo stato di Siena era
definitivamente concesso in feudo a
Cosimo dè Medici.
Il 19 luglio 1557, con il definitivo
insediamento delle truppe di Cosimo a
Siena , si apriva un periodo di relativa
tranquillità e governabilità dei domini che
preannunciava l’auspicato periodo di pace
anche per la Valdichiana. Si decise di
tenere ancora aperto il cantiere della
fortezza di Lucignano e di terminare le
opere rimaste in sospeso.
In realtà, da questo momento in poi non
esistono notizie che documentino
interventi riguardanti la costruzione della
forbice in
muratura, conclusa
probabilmente nell’agosto 1558.
Il 27 giugno, furono poste l’arme di
Cosimo su una delle porte delle mura di
Lucignano, forse proprio la porta San
Giusto dove in precedenza erano stati
intrapresi dei lavori per assicurarne la
difesa, a conferma del consolidamento
del potere della casa Medici e pochi mesi
dopo, l’11 novembre 1558, per esplicito
volere
del
Duca,
fu
ordinata
l’interruzione di tutti i lavori di muratura
alla fortezza.
L'opera, solo parzialmente realizzata, fu
probabilmente costruita non solo allo
scopo di difendere il territorio dagli
attacchi esterni, ma anche di controllare
eventuali tentativi di ribellione dei
Lucignanesi.
L'attribuzione a Giuliano da Sangallo
risulta molto problematica, poiché
l'architetto morì nel 1516, molti anni
prima della suddetta battaglia che fu
all'origine della conquista fiorentina e di
numerosi lavori nell'aretino e a
Lucignano. Per altri versi l'edificio
militare è sicuramente simile al vicino
modello di Arezzo e alla fortezza
quadrilatera con bastioni, di Sansepolcro,
entrambe del Sangallo.
Il Repetti nel 1833 scriveva: "I bastioni
che restano nel luogo dei due mulini a
vento sono gli avanzi di quell'opera di
difesa non mai compiuta"
La costruzione e attualmente di proprietà
privata.
L'opera consiste in due bastioni angolari
quadrilateri "a freccia" uniti da un muro
rettilineo a scarpa di circa 60 metri. Sulle
punte dei bastioni emergono due torrette
cilindriche. L'opera è costituita da una
muratura in pietra con rincalzi in mattoni;
risulta
parzialmente
coperta
da
vegetazione e deteriorata in alcune parti.
Interno Fortezze Medicee
Nell'area interna è stata costruita, nel
secondo dopoguerra, una torretta a pianta
quadrata in pietra, con terminazione a
sporgere in mattoni e copertura a
padiglione, che ospita impianti tecnologici
dell’acquedotto.
Nella parte interna sono visibili ampie
arcate a tutto sesto di rinforzo alle
murature.Dopo la fuga da Lucigano della
guarnigione
Comune di Lucignano - PIANO STRUTTURALE 2004 - Quadro Conoscitivo - Relazione pag. 37
2.3.8 IL SANTUARIO DI S. MARIA
DELLE QUERCE
Lucignanesi
dopo
l’autorizzazione
richiesta nel 1564 a Cosimo I.
La chiesa, situata a nordest rispetto al
centro storico, si raggiunge tramite la
strada comunale del
Cimitero,
oltrepassando la Fortezza Medicea e il
cimitero stesso.
Il colle dove sorge l'edificio è
caratterizzato da oliveti, vigneti e macchie
boschive; qui su apre inoltre un ampio
panorama sul versante senese
della
vallata.
Un' immagine venerata della Madonna,
affrescata nel 1417 dal pittere Feliciano
Batone. presso una grossa quercia situata
in un luogo fu motivo della costruzione
della stessa Chiesa.
La chiesa, nella forma pervenuta ai nostri
giorni, e stata attribuita prima ad Anionie
da Sangallo il Giovane, poi a Baldassarre
Peruzzi ed infine vi è stata riconosciuta
(U Procacci) la mano di Giorgio Vasari
(1511-1574). La conferma è venuta da
una annotazione del nipote Marcantonio
Vasari. il quale nelle sue "Ricordande".
relative al 1568, attribuisce al maestro il
disegno architettonico di S. Maria Nuova
a Cortona e della "Madonna di
Lucignano".
La chiesa fu affidata ai padri Servi di
maria fina dal 1575, quando non era
ancora ultimata, ma fu consacrata solo
nel 1617. A seguito della soppressione
Leopoldina del 1783, che sciolse l’ordine
custode della chiesa, i cospicui beni del
santuario
passarono
all’Accademia
Ecclesistica di Arezzo e la chiesa divenne
parrocchia. Nel 1975, anche a seguito di
una fulmine abbattutosi sull’edificio, la
soprintendenza aretina ha compiuto dei
lavori di restauro protrattisi per alcuni
anni.
Il Santuario di S.Maria delle Querce
La notizia che nell'agosto del 1467 un
senese
inseguito dai suoi nemici
fermatosi a pregare presso questa Pietà
riamase salvo fece infatti diffondere il
culto dell’immagine della Madonna della
Quercia.
L'originaria cappellina in legno costruita a
protezione dell'insegna (consacrata nel
1467) fu sostituita da una prima chiesetta
in muratura, a sua volta "accresciuta" dai
La facciata della chiesa è rivolta a nordest
e presenta un portale, scolpito da Ippolito
Bracci nel 1651, sopra al quale si trovano
uno stemma dipinto ed un rosone
strambato.
l’impianto a croce latina mostra tre
navate, con tre arcate per lato, sorrette da
colonne in pietra. Le coperture a falde
risultano sorrette nelle navatae laterali da
volte a crociera e nella navata centrale,
più alta, da una volta a botte.
Questa è interrotta all’incrocio con il
transetto da una cupola sormontata da un
tiburio a base circolare. quest’ultimo
mostra una copertura a padiglione
circolare, dalla quale emerge una
manieristica lanterna.
Sul fianco destro della chiesa è collocato
un altro portale con timpano, risalente al
‘500, racchiuso ai lati da quattro
contrafforti con paraste in arenaria.
All’interno una sorta di iconostasi segna
la separazione fra il transetto e la parte
absidale. quest’ultima è conculsa dal
monumentale altare maggiore in pietra
con incastonata la venerata immagine
della quattrocentesca Pietà. Qui sono
custoditi anche dipinti risalenti ai secoli
XVI-XVII di Matteo Roselli ( 1578-1650)
e Orazio Porta ( 1540 c. - 1615 c. ) e una
scultura policroma del ‘600. Tutti gli altari
sono della fine del ‘500 e presentano
richhe decorazioni in pietra e stucco.
2.3.9
IL
CALCIONE
CASTELLO
insediativo
di
antica
formazione
conferiscono all'arca in questione un
eccezionale
valore
paesistico
e
ambientale.
Nel luogo ebbero potere e giurisdizione
fin dal secolo XI i monaci dell'Ordine di
S.Eugenio di Siena. Nella prima meta del
XIV secolo la potente famiglia Tolomei
acquistò le teire del Calcione ed eresse
una residenza signorile "a guisa di castello
baronale", che nel 1381 Diego Tolomei
cedette alla Repubblica fiorentina, tré anni
prima che Lucignano venisse sottomessa
allo stesso dominio. Nel 1483 i beni del
Calcione furono acquistati da Luigi di
Messer Agnolo Lotteringhi della Stufa e
successivamente il Granduca Ferdinando
II de' Medici, con diploma dell'I 1 giugno
1632, elevò a contea il possedimento e
confermò i della Stufa investendo col
titolo di marchese Pandolfo Lotteringhi.
DEL
La tenuta di Calcione è ubicata
all'estremità meridionale della dorsale di
Palazzuolo – Poggio alla Querce - Poggio
Calcione Vecchio, che discrimina i bacini
idrici dei Torrenti Esse e Foenna.
Il Castello del Calcione
Planimetria dell’area del castello
La straordinaria integrazione tra i caratteri
morfologici del territorio e il sistema
Il corpo principale del complesso del
Calcione e un'imponente costruzione di
impianto planimetrico rettangolare die
racchiude una doppia corte: il fronte
principale, rivolto a sudovest, ècostituito
da un massiccio alzato a tre piani,
fortemente allungato in senso orizzontale
ma serrato con prepotenza da due
Comune di Lucignano - PIANO STRUTTURALE 2004 - Quadro Conoscitivo - Relazione pag. 38
torrioni circolari che rivelano la originaria
funzione difensiva dell'architettura.
Le forme austere del costruito sono
attenuate dalla sobria sistemazione degli
spazi verdi a corredo della residenza: un
ampio giardino formale. di semplice
disegno geometrico, con larghi vialetti,
siepi
basse
e
fontane,
funge
efficacemente da filtro tra l'abitazione e
l'avvolgente natura circostante.
2.3.10
CHIESA
DELLA
SS.
ANNUNZIATA, DETTA DELLA
MISERICORDIA
Situata nelle vicinanze del complesso
degli edifici simbolo delle autorità civili e
religiose, lungo via della Misericordia,
costituiva l’oratorio della compagnia dela
SS. Annunziata, detta anche dei Battenti
Neri, dal colore delle cappe dei
confratelli, i cui capitoli furono approvati
nell’agosto del 1563.
La chiesa ha una pianta rettangolare, a
navata unica, con presbiterio rialzato.
lateralmente sono collocate due cappelle
in pitra serena e quattro colonne.
Al suo interno si trova un pregevole
altare maggiore ( 1583) in legno intagliato
e dipinti di scuola toscana della fine del
XVIsec. Tral le opere di particolare
pregio vi sono due statue di terracotta
invetriata di scuola robbiana.
Attualmente è sede della confraternita
della misericordia, al suo interno sono
conservati alcuni oggetti testimonianza
dell’attività svolta da questa confraternita
negli anni.
2.3.11 CHIESA DI SAN GIUSEPPE
2.3.12 MURA E PORTE
La chiesa è posta all’incrocio tra via San
Giuseppe e le omonime scalinate che
collegano via Matteotti ( antica via Ricca)
con il complesso di San Francesco e
Piazza del Tribunale.
Nel luogo dell’attuale chiesa era sutuata
in precedenza una semplice cappella
quattrocentesca, con la facciata rivolta al
Palazzo Pretorio, la quale custodiva un
fonte battesiamale voluto da papa Pio II
nel 1470 e trasferito, nel 1672, nella
Collegaiata. La chiesa da quel momento
detta comunemente “ Battesimo Vecchio
“ fu ceduta ( 1677) dal Capitolo della
Collegiata alla comunità di Lucignano,
che a sua volta la consegnò in uso all’Arte
dei Legnaioli nel 1699, allo scopo di
restaurarla e dedicarla a San Giuseppe,
loro protettore. L’edificio ritornò di
proprietà del capitolo, che nel 1725, lo
cedette nuovamente alle associazioni
artigiane di Lucignano e dintorni, le quali
ampliarono e restaurarono la chiesa
spostando l’ingresso da via San Giuseppe
sulla gradonata.
La chiesa fu reintitolata definitivamente a
San Giuseppe nel 1730 ed i lavori,
terminati nel 1741. fecero assumere
all’edificio l’aspetto che conservava
tutt’oggi.
Il circuito ellissoidale delle mura recinge
la sommità di un colle, caratterizzato da
oliveti a terrazzamenti, che emerge ai
limiti sudest della valdichiana aretina in
prossimità dei confini tra le province di
Arezzo e Siena.
Nella cronaca senese di Neri di Donato,
relativa al 1371, risulta che “Le mura di
Lucignano di Val di Chiana le fero il
Comune di Siena, che non vi
era mura, e fu operaio Andrea di Ghino
Saracini e scontarongli i denari nelle tasse
dei comuni d'intorno”; infatti nel 1370 i
Lucignanesi
avevano
deciso
di
sottomettersi al patrocinio della vicina
Repubblica Senese per ottenerne
protezione.
Ma la sistemazione del 1371 rispetta,
almeno in parte, una struttura urbana
consolidata tra la seconda metà del '200
ed i primi anni del '300.
A dimostrazione di questo, nel cenotafio
del vescovo aretino Guido Tarlati situato
nel Duomo di Arezzo (risalente al 1330)
in un pannello scolpito ad altorilievo, il
paese di Lucignano è sintetizzato con una
torre tra due edifici pubblici, racchiusi
tra due porte collegate da un tratto di
muro curvilineo.
Dopo un breve periodo, a partire dal
1384, in cui la cittadina fu sottomessa alla
Signoria di Firenze, i Lucignanesi nel
1390 si posero nuovamente sotto la
giurisdizione di Siena e nell'accordo
fra le parti fu stabilito, tra l'altro, di
costruire la rocca che in pochi anni andò
a completare il sistema difensivo urbano.
In un'altra convenzione, risalente al 1440,
è riportato che i Lucignanesi, per lo stato
di indigenza in cui si trovavano a
quell'epoca, ottennero di impiegare una
La chiesa di San Giuseppe
La piccola chiesa ha un impianto
approssimativamente rettangolare, con un
presbiterio
irregolare,
leggermentepronunciato all’esterno. La
copertura a capanna poggia su tre volte a
botte trasversali. la facciata, di gusto
neoclassico, è intonacata, con paraste,
cornici e portale ( con timpano) in laterizi.
Nel timpano della facciata si apre una
finestra con arco ribassato. All’interno si
trovano alcuni dipinti del sec. XVII.
Comune di Lucignano - PIANO STRUTTURALE 2004 - Quadro Conoscitivo - Relazione pag. 39
parte delle tasse dovute ai Senesi
per restaurare le mura e le porte cittadine.
I resti delle torri circolari, più o meno
cospicui, visibili all'esterno del circuito
murario, risalgono invece alla seconda
metà del '400, costruiti a seguito
dell'introduzione delle artiglierie.
Secondo Guidoni-Marino il disegno delle
mura e la collocazione delle porte
rispondono ad una “ struttura ideale”
nella quale ogni elemento concorre a formare “ un'unica immagine
della cittadina rispondente ad ogni
esigenza comunitaria.”
La campana pubblica, posta sul Palazzo
Pretorio, funge da baricentro rispetto alle
porte, che risultano inscritte in un cerchio
con diametro di 290 metri, analogamente
a Monte San Savino, Forano ed altri
centri della Valdichiana Senese.
tutto sesto in pietra è affiancato da due simmetriche nicchie. La porta
aveva in origine una copertura, poi
franata, della quale restano poche tracce.
L’ interruzione delle mura a sinistra di
Porta S. Giovanni consente l'accesso alla
piazzetta Ser Vanni, dalla quale si
dipartono in concorso ellissoidale e via
Valigiaia.
La porta San Giusto, rivolta verso Siena,
ha una pianta rettangolare, è saldata per
tre lati nelle abitazioni, da una delle quali
si può accedere alla terrazza di copertura,
e risulta costituita da una muratura mista
in pietra e mattoni.
Il portale esterno, a tutto sesto, presenta
un bugnato in arenaria grigia e reca sul
fronte
tracce
di
uno
stemma
mediceo (probabilmente risalente ai lavori
promossi da Cosimo I nel 1568).
distaccatasi nel 1965. La copertura è
sorretta
all'interno
da
una
volta a botte intonacata e sono ancora
visibili i cardini dell'antica porta.
ristabilirne l'antica funzione. Questa
costruzione, a pianta approssimativamente rettangolare, presenta una muratura in
pietra con rifiniture in mattoni e una
copertura a capanna. Il portale esterno, a
tutto sesto, è sormontato da una prima finestra, sulla quale è impostata una
nicchia, e più in alto è aperta una seconda
finestra.
Porta San Giusto
Porta San Giovanni
Le porte cittadine sono Porta San
Giovanni (est), Porta San Giusto
(sudovest) e Porta Murata nordovest). La
Porta San Giovanni, detta anche
del Filaio, presenta una pianta irregolare a
cinque lati: è costituita da una muratura in
pietra con rincalzi in mattoni e mostra
residue tracce di intonaco. Il portale a
Procedendo all'esterno di Porta S.
Giovanni in senso orario lungo via di
Circonvallazione ( anticamente detta in
questo tratto Via delle Mura Ricche), si
giunge, dopo alcuni metri ai resti ben
conservati di una torre circolare.
Questa, attualmente utilizzata a scopi
residenziali, è costituita da una muratura
in pietra con un breve basamento a
scarpa e mostra alcune aperture disposte
in maniera irregolare.
Porta Murata
Procedendo lungo il percorso di ponente,
oltrepassati
i
giardini
pubblici
ottocenteschi e la Rocca, si giunge, dopo
un tratto in pendenza, un tempo
chiamato via delle Mura Povere, a Porta
Murata, così detta perché chiusa
probabilmente nel '500: attualmente è
oggetto
di
interventi
volti
a
Comune di Lucignano - PIANO STRUTTURALE 2004 - Quadro Conoscitivo - Relazione pag. 40
2.4
I
BENI
STORICOARCHITETTONICI
ED
EDILIZIA MINORI
2.4.1 LE ANTICHE CHIESE DI
LUCIGNANO
(a cura di Valerio Spadini, tratto dai Quaderni
Lucignanesi, vol.1/2/3)
Il tentativo di ricostruire il tessuto
insediativo del passato sul territorio di
Lucignano passa, sicuramente, attraverso
l'indagine sulla presenza di chiese e
comunità
ecclesiastiche
nelle
cui
vicinanze si trovavano abitati o antichi
borghi che individuavano percorsi
secolari.
Di queste chiese, talora piccoli edifici di
campagna, oggi non più esistenti (talvolta
rimane il solo toponimo), si è cercato di
ricostruire le vicende storiche e di darne,
se possibile, una precisa collocazione sul
territorio.
L'esame del copioso materiale d'archivio
ha evidenziato la presenza di numerose
chiese o enti ecclesiastici oggi non più
esistenti"
in paese:
S. Angelo vecchio
S. Biagio
Oratorio della S. Croce
Oratorio di S. Rocco
Oratorio del Corpus Domini
fuori del paese:
S. Felice a Sibiano
S. Agata al Borgaccio
S. Bartolomeo
S. Fabiano e Sebastiano
S Giorgio de Cerreto o Cerretello
S. Liborio a Campoforte
S. Lorenzo a Poschini
S.Maria del Piano o/e di Crespignano
S. Martino di Fabbriche
S. Savino
S. Smeraldo
Abbazia di Castello
Tra tutte le chiese elencare la più antica e
la più importante, per numerosi secoli, è
stata la Pieve di S. Felice, madre di tutte le
altre chiese del territorio di Lucignano. Di
questa tenteremo di ricostruire le vicende
storiche, non prima, però, di aver dato un
breve cenno sull'importanza delle pievi
nel passato.
L’organizzazione ecclesiastica antica era
incentrata, nell’ Italia centro settentrionale, nel "sistema a pievi". Ogni pieve era
a capo di una circoscrizione territoriale e
ad essa spettavano importanti l'unzioni
religiose, quali l'amministrazione del
battesimo, il diritto di sepoltura e la
riscossione delle decime e costituivano,
inoltre, i centri sociali, politici e
amministrativi del territorio di propria
pertinenza.
Come nuclei religiosi, ad esse erano
sottoposte un certo numero di chiese,
spesso semplici oratori di campagna
legati talvolta a borghi scarsamente
popolati,
ed
erano
normalmente
localizzate al di fuori dei centri abitati.
Era essenziale, infatti, la centralità della
loro posizione nell'ambito di un territorio
o della popolazione che gravitava in una
certa regione affinché tutti vi si potessero
recare senza difficoltà.
Era, quindi, importante che fossero ben
raggiungibili e ubicate lungo quei percorsi
che collegavano i centri urbani di maggior
rilevanza e lungo i quali si trovavano
anche altre pievi.
A tale scopo, si riportano, sinteticamente,
alcune opinioni degli studiosi che si sono
occupati della viabilità del nostro
territorio, rimandando coloro che fossero
interessati ad un'informazione più
puntuale alle opere elencate in nota.
La Valdichiana era solcata in senso
longitudinale da una tra le più importanti
strade romane: la Cassia Vetus. In
seguito, una sua diramazione, la Cassia
Adrianea, che prendeva origine dai
confini del territorio di Chiusi, acquistò
presto un peso e un rilievo sempre
maggiore. Lopes Regna riteneva che la
Cassia Adrianea, così chiamata perché
ratta costruire dall'imperatore Adriano nel
123 d. C., dopo Bettolio percorresse la
valle dell'Esse fino alla pieve di S. Felice e
ancora lungo l'Esse per Monte S. Savmo,
S. Pancrazio ecc. Tale itinerario fu
sostanzialmente condiviso da altri Autori,
quali D. Sterpos e A. Tracchi.
Da tali considerazioni si allontana Maroni
per il quale un ramo della Cassia, e non la
Cassia Adrianea, da Foiano, lungo il
crinale arrivava fino a Marciano alla Pieve
di S. Pietro e quindi a quella di S. Savino
lasciando isolata la Pieve di S. Felice
Infine Baco parlando della Cassia
Adrianea indica quale strada traversa
romana dopo Capannole il percorso
Badia a Ruoti, Palazzuolo, Calciane,
Montepulciano.
Interessante è anche l'analisi territoriale
effettuata da Cataldi e Lavagnino che
pone Lucignano sull'intersezione di una
percorrenza longitudinale, probabilmente
un diverticolo mediano della Cassia per
Firenze, e una trasversale, quella
Comune di Lucignano - PIANO STRUTTURALE 2004 - Quadro Conoscitivo - Relazione pag. 41
proveniente dal ponte di Asciano,
sull'Ombrone, per Castiglion Fiorentino
o Cortona.
E’ suggestivo pensare che all'incrocio tra
queste due strade, la prima proveniente
da Roma per Firenze, la seconda diretta
dagli antichi centri costieri etruschi verso
i nuclei urbani più importanti della valle,
come Cortona e Castiglion Fiorentino,
fosse eretta la primitiva chiesa battesimale
di S. Felice, m prossimità dell'abitato di
Sibiano'".
La Pieve di S. Felice
L'antica Pieve di S. Felice a Sibiano, oggi
S.Biagio alla Pieve Vecchia di Lucignano,
della quale non è rimasto, almeno in
apparenza, alcuna traccia, è sicuramente il
più antico luogo di culto cristiano del
territorio. Sorse in un'area dove furono
presenti insediamenti etrusco-romani e,
come già detto, lungo uno degli antichi
percorsi che in quei tempi solcavano la
Valdichiana. Per queste strade giunsero in
Toscana i primi evangelizzatori e anche S.
Felice, scacciato da Roma nel 357 d. C.,
giunse a Sibiano, antico vico situato ai
piedi del colle di Lucignano dove,
insieme al Beato Celestino, convertì la
popolazione alla fede cristiana.
Questa prima notizia, per quanto
indicativa, fa luce sulla reale antichità
della Pieve.
Un ulteriore indizio sulla vetustà di
questa chiesa battesimale può derivare
dalla sua ubicazione. Le pievi
paleocristiane, infatti, edificate non più
tardi della metà del primo millennio,
erano solitamente collocate ai piedi
dei colli. Nell'epoca feudale la scarsa
sicurezza della vita nei piani, specialmente
in Valdichiana, divenuta una gran palude
ammorbata dalla malaria, costrinse la
popolazione a rifugiarsi sulle colline e sui
monti. Così, con i fedeli, si spostarono
anche le chiese.
Un altro fatto di notevole interesse fu la
scoperta, fatta nel 1900, a poca distanza
dalla Pieve, di un sarcofago marmoreo
posto dentro una colletta sepolcrale. Tale
reperto, databile intorno alla metà del IV
secolo, conservava ai lati delle
rappresentazioni di tipo agreste. Da una
parte vi era raffigurata la raccolta delle
mele e dall'altra la battitura del grano
mediante i cavalli.. Questo ritrovamento
costituirebbe, a detta degli studiosi, il più
antico reperto cristiano di tutta la Diocesi
d'Arezzo, anche se, come dice il
Gamurrini, queste rappresentazioni si
ripetono nei sarcofagi cristiani, ma non ci
danno il pieno diritto di credere questo
cristiano..
certamente paleocristiana e sorse in
un'area d'insediamenti etrusco-romani.
Lo stesso autore, nel suo ultimo volume
sulle Pievi della Diocesi aretina, conferma
il passaggio della Cassia Adrianea nel
territorio della Pieve di S. Felice.
Benché non vi sia certezza, è da ritenere
che nel IV secolo si venne a creare la
prima comunità cristiana nel nostro
territorio, il che ci fa ipotizzare l'esistenza
di un'antichissima chiesa battesimale della
quale purtroppo non potremo mai avere
notizie. L'esame del sottosuolo, auspicato
anche da Tafi potrebbe rivelare tracce di
fondamentale
importanza
per
la
ricostruzione storico - architettonica della
Pieve di S. Felice e delle sue vicende.
Riguardo al santo titolare mentre alcuni
studiosi suppongono che si tratti di S.
Felice di Nola, altri, come Maroni, ad
esempio, pensano che si tratti di S. Felice
martire di Falerii.
La tradizione orale e le notizie del Nardini
e del Dini ritengono che si tratti di S.
Felice II Papa, o meglio antipapa, che
scacciato da Roma alla metà del IV
secolo, epoca che riporta puntualmente al
sarcofago rinvenuto nei pressi della Pieve,
fu il primo evangelizzatore dei popoli
della Toscana.
Notizie Storiche
Pieve Vecchia - Chiesa e antica Torre
Tafi ritiene che debba trattarsi di una
chiesa molto antica: Quella di S. Felice a
Lucignano in vocabolo "Pieve Vecchia",
di cui non rimangono tracce visibili (ma
non è stato eseguito alcun esame
archeologico della chiesa attuale), e
Le prime notizie certe che abbiamo sulla
Pieve di S. Felice in Sibiano, sono del
1016,e si riferiscono alla donazione di un
pezzo di terra situata nei pressi di
Nasciano, territorio che in quei tempi era
compreso nel piviere di S.Felice.
Numerosi altri documenti, datati
tra il XI e il XII secolo forniscono
interessanti informazioni sul territorio che
costituiva il piviere di S. Felice e che si
estendeva ben aldilà degli attuali confini
comunali.
Vengono registrate come pertinenti a tale
piviere le località di Nasciano, S. Quirico
a le Rose, Paterno, la Selce, Felciaio, tutte
situate lungo il crinale che unisce Foiano
con gli abitati di Pozzo e Marciano e che
oggi fanno parte del comune di Foiano. Si
ricorda inoltre che verso la fine del XV
secolo la comunità di Lucignano
possedeva ancora delle terre aldilà del
torrente Esse.
Sin dall'inizio del XII secolo non si
ritrova più nessuna citazione della Pieve
di S. Felice a Sibiano, e compare, sempre
più frequentemente, il toponimo
Lucignano, peraltro presente anche in
precedenza.
Le cause della perdita d'importanza della
Pieve di S. Felice sono, sicuramente,
dovute a due ragioni fondamentali. La
prima, d'ordine generale, è connessa con
il fenomeno che si verificò a partire
dall'anno mille e che è definito
incastellamento. La crescente importanza
che gli abitati e i castelli, situati nell'alto
dei colli, andavano acquistando fecero si
che anche le Pievi si spostassero dal piano
verso il colle. Tale fenomeno è ben
documentato anche per i centri vicini a
Lucignano come Monte San Savino,
Foiano, Castiglion Fiorentino, Marciano,
Sinalunga ecc., dove le vecchie pievi,
situate nel piano, ad una certa distanza dal
centro abitato, vennero abbandonate a
favore delle nuove, erette all'interno del
castello. La seconda è da imputarsi all'
impaludamento che, sin dal mille,
cominciò ad interessare tutta la
Valdichiana e, in maniera affatto
marginale o trascurabile, anche il corso
dei torrenti Esse e Leprone che divenuti,
larghi e profondi, impedirono le
Comune di Lucignano - PIANO STRUTTURALE 2004 - Quadro Conoscitivo - Relazione pag. 42
comunicazioni che, fin dall'antichità,
erano facile collegamento per tutta la
valle e avevano consentito alle genti” al di
là dal Fiume” di recarsi alla Pieve di S,
Felice.
L'abitato di Sibiano subì quindi un veloce
declino subito dopo il mille anche se la
Pieve rimase sede del fonte battesimale,
almeno ufficialmente, fino al XV secolo.
ancora alla visita fatta al tempo del
vescovo Acciaioli nel 1468.
I lavori furono concessi al muratore
Carlo di Orazione, come sovrintendente
ai lavori fu nominato Pietro Bruni, il
quale fece trasportare una campana e le
due porticine della sagrestia dalla vecchia
chiesa di S. Biagio alla nuova.
Descrizione della Chiesa
La prioria di San Biagio
Il 28 luglio 1783, con decreto vescovile,
fu soppressa la prioria di S. Biagio che era
dentro Lucignano e fu in seguito
trasferita, con il medesimo titolo, alla
Pieve Vecchia ripartendo nel modo
seguente il territorio:
case Abitanti
S. Michele Arcangelo 458
1698
S. Biagio alla Pieve 104
650
S. Maria della Querce 76
413
2761
Totale al 1789
634
La chiesa di S. Biagio era posta in
Lucignano, ed ancora oggi è rimasto
come suo ricordo, la costa omonima.
Non abbiamo notizie certe sulla sua
fondazione, ma è presumibile che si tratti
di una chiesa tarda, costruirà sicuramente
intorno o dopo il mille.
In seguito alla soppressione di questa
chiesa, la Cappella dei SS. Fabiano e
Sebastiano venne trasportata alla Pieve,
mentre quella del Carmine fu sistemata
nell'oratorio della SS. Nunziata. Fino al
1788 le funzioni religiose erano celebrare
in quest'ultimo oratorio, perché anticamente era compreso nella cura di S.
Biagio.
Le prime notizie che abbiamo si devono
La chiesa attuale è ciò che rimane
dell'antica pieve romanica in seguito al
restauro della fine del XVI11 secolo.
Unico elemento di sicura datazione è la
torre campanaria, del XII secolo
piuttosto semplice, a sezione quadrata,
che rappresenta uno dei pochi esempi di
questo genere riferibili il romanico e
andrebbe
quindi
rigorosamente
conservata.
Il paramento è costituito da filaretti di
piccoli conci di pietra calcarea locale e si
distingue nettamente da quello delle
navate. La parte superiore del campanile
è stata rimaneggiata alla fine del
settecento, nel 1830 quando vi furono
sistemate due nuove campane.
Un attento osservatore potrà individuare,
all'interno dell'edificio, alcune tracce
dell'antica chiesa, anche se scarsamente
visibili e inadeguate per poter delineare la
vicenda
stonco-architettonica
dell’
edificio.
Tali particolarità, ancor oggi evidenti,
sono costituite dalla asimmetria delle
pareti che ricalcano le strutture più
antiche, come si può desumere anche dai
disegni dell' ingegnere Bernardino della
Porta dei nel 1783 progettò la nuova
canonica e allegò una ampia relazione sul
restauro della vecchia chiesa.
Sempre dall'interno si possono osservare,
specialmente con la luce radente, le arcate
della navata di destra e i pilastri che le
dividevano. Intatti, la chiesa romanica era
a tre navate, suddivisa forse in quattro
campate, a pianta quadrata, ma non
sappiamo se vi fossero delle absidi.
L'impianto di forma quadrata, o
comunque a scarso sviluppo longitudinale, è diffuso anche in altre chiese aretine
anteriori al periodo del romanico maturo.
Anche i pilastri, che hanno una sezione
rettangolare, mostrano una certa analogia
con quelli di alcune chiese costruite
intorno al mille. Il paramento originario si
conserva, forse, nella sola parete della
navata destra ed è composto da una
muratura piuttosto primitiva a corsi
subparalleli di bozze di alberese.
La parete posteriore della chiesa, visibile
all'esterno, è anch’e ssa costituita da corsi
paralleli o subparalleli di conci
rettangolari, abbastanza ben squadrati,
diversi da quelli della parete destra e del
campanile.
Facciata e campanile della chiesa di S.Biagio
Proseguendo il viaggio nel territorio del
comune alla riscoperta, degli antichi
edifici religiosi oggi non più esistenti,
prenderemo in esame le chiese situate
lungo uno dei tragitti che ancor oggi
circonda la collina di Lucignano: quello
che, partendo da Santa Maria lungo la Via
delle Chiese, attraversa l'abitato della
Croce, e per la località detta Santo
Smeraldo, dove era situata l'omonima
chiesa, prosegue verso la Pieve di S.
Felice. Continuando poi lungo il crinale di
Poschini, a poca distanza dalla Pieve
Vecchia, in località Cerretello, si trovava
la chiesa di S. Giorgio, Quindi le chiese di
S. Lorenzo a Poschini, S. Martino di
Fabbriche e infine S. Agata al Borgaccio.
Queste chiesene erano disposte intorno
alla collina di Lucignano m modo da
coprire completamente il percorso in una
Comune di Lucignano - PIANO STRUTTURALE 2004 - Quadro Conoscitivo - Relazione pag. 43
sorta di itinerario circolare, quasi che ci
tosse stato un progetto pianificatore o
organizzativo alla base. In generale erano
costruite all'incrocio con i percorsi che si
irradiavano dal castello di Lucignano e si
dirigevano verso gli altri centri della
valle(Marciano, Foiano ecc.), La presenza
di chiese in luoghi oggi scarsamente
abitati o lungo percorsi assai attualmente
poco frequentati evidenzia, innanzi tutto,
quanto diversa fosse la viabilità antica nel
nostro territorio e, forse, l'importanza di
strade oggi divenute secondane. Si
trattava, in genere, di piccole chiesette,
che, nella maggior parte dei casi, sono
scomparse prima della seconda metà del
secolo XVI, periodo che segna un
generale rinnovamento del culto e degli
edifici. Per questo motivo le notizie che
riguardano le vicende di questi oratori
sono molto scarse ed in genere limitate
solo a brevi citazioni nelle varie visite
pastorali effettuate nel corso del XVI
secolo, documenti dai quali sono state
ricavate quasi tutte le notizie riportate di
seguito.
Prospetto della nuova chiesa di S. Biagio e della
canonica eseguito dall’ingegnere granducale
Bernardino della Porta
S. Maria di Crespignano, S. Maria del
Mercatale e S. Maria del Piano
Il primo riferimento alla chiesa di S.
Maria è del 1274/75.. Doveva trattarsi,
indubbiamente,di una chisa antichissima,
come in genere lo sono tutte quelle
dedicate a Maria.Nei periodi successivi
troviamo riportati con lo stesso titolo tre
diversi enti, chiese o oratori: S. Maria del
Piano S. Maria di Crespignano e Santa
Maria del Mercatale.
Per comprendere i rapporti che legano
queste chiese occorre fare una breve
analisi delle vicende che le hanno
caratterizzate.
Nel caso di S. Maria del Mercatale, viene
in aiuto il toponimo. Il Mercatale, luogo
in cui si svolgevano i mercati, era situato
fuori della porta S. Giusto, dove oggi vi
sono i giardini pubblici e dove si sono
tenute Fiere e mercati di animali fino al
primo dopoguerra. La chiesa era ubicata
nella parte bassa, chiamata dai lucignanesi
"la Pinetina" .
Nel 1468, al tempo della visita del
vescovo Lorenzo degli Acciaiuoli, la
chiesa viene citata semplicemente come
S. Maria fuori della porta di Castiflione.
Apprendiamo, inoltre, da altri documenti
conservati sempre nell’archivio della curia
vescovile di Arczzo, che in Lucignano
esistevano due chiese: quella di Santa
Maria di Crespignano dove era situata la
cappella di S.Giacomo e Cristoforo e la
chiesa di S.Maria del Piano dove era
situata la cappella di S. Giovanni.
Dal titolo di quest'ultima chiesa prese
nome, in seguito l’ abitato circostante,
denominazione che conserva ancor oggi
la trazione omonima.
Il resoconto di una visita pastorale
successiva, quella del vescovo Minerbetti
del 30 novembre 1549, riporta che la
chiesa di S. Maria di Crespignano, che al
momento coincideva con quella di S.
Maria del Mercatale, è identificata con
quella situata nei pressi della porta S.
Giusto, ma il resoconto della visita
pastorale del 1573 precisa che esisteva a
Lucignano S. Maria di Crespignano
distante mezzo miglio circa dal paese e
quindi non poteva trattarsi della chiesa
fuori della porta di S. Giusto ma ci si
doveva riferire alla chiesa di S. Maria del
Piano.
Da quanto detto possiamo desumere
quindi che vi erano due diversi edifici
religiosi con lo stesso titolo. Il primo, S.
Maria del Piano, posto nella frazione di S.
Maria e il secondo, S Mercatale fuori della
Porta S. Giusto ed una cura intitolata a S.
Maria di Crespignano, che aveva sede ora
nell' una ora nell'altra chiesa.
Circa 30 anni più tardi dalla distruzione
della chiesa di S. Maria del Mercatale,
avvenuta poco prima della guerra di
Siena, ma quasi sicuramente per le vicende ad essa collegate, venne eseguita la
visita apostolica del 1583, dalla quale si
evince che, una volta distrutta la chiesa di
Santa Maria del Mercatale, nel 1552,
all'epoca degli scontri tra senesi e
fiorentini, questa non venne ricostruita e
che nel 1583 il visitatore apostolico
ordinò al rettore della chiesa di
distruggere la chiesa di S. Maria del
Crespignano (che in quel momento
coincideva con S. Maria del Piano) e di
riedificare, con lo stesso materiale della
porta S. Giusto, la chiesa nuova di S.
Maria del Mercatale.
In seguito, la cura d'anime non avrà sede
definitiva. All'inizio del XVII secolo la
troviamo nella chiesa detta del Battesimo
Vecchio.
Dalla visita pastorale del vescovo Salviati
1657, apprendiamo che in quel tempo, la
chiesa S. Maria di Crespignano era
distrutta. E' molto probabile che essa non
fosse più ricostruita.
L'ultima notizia è del 1700 ed era ancora
annessa alla Collegiata, ma non sappiamo
quando fu soppressa.
Invece, l'ultima notizia che abbiamo della
chiesa di S. Maria del Piano ci viene
fornita dalla visita pastorale del vescovo
Marcacci, nel 1783.
S. Smeraldo
A circa un miglio dalla Pieve di S. Felice
sorgeva la chiesa di S. Smeraldo, sicuramente una tra le più antiche del nostro
territorio, ma della quale ignoriamo il
periodo esatto di fondazione.
Una delle prime citazioni è riportata nel
libro dei censi delle chiese soggette
all'abbazia di Farneta del 1238.
Dalle visite pastorali del secolo XVI
risulta che la chiesa aveva un beneficio di
circa 100 staia di grano e, nel 1583, il
visitatore apostolico ordinò, secondo una
prassi consueta, di rifare il pavimento e di
Imbiancare le pareti.
Nel 1638, quando Urbano VIII elevò la
chiesa di S. Michele Arcangelo alla dignità
di Collegiata le rendite di questa chiesa,
insieme a quelle di S. Maria, S. Martino, S.
Felice, ecc. furono incorporate in quelle
della Collegiata per il sostentamento dei
numerosi canonici.
Dal catasto lorenese del 1823 è possibile
ricavare alcune significative e preziose
informazioni sulla forma, sull'orienta
mento e sulla struttura dell'edificio.
Comune di Lucignano - PIANO STRUTTURALE 2004 - Quadro Conoscitivo - Relazione pag. 44
La chiesa era caratterizzata da una pianta
rettangolare, con una sola abside,
disposta verso est, come in genere lo
erano quelle delle chiese molto antiche.
Della millenaria chiesa di S. Smeraldo
oggi non rimane più niente.
I resti, non più visibili, giacciono nascosti
sotto la strada delle Corti. Rimane solo il
toponimo e la fonte detta “beratoio di S.
Smeraldo”.
S. Lorenzo a Poschini
La prima citazione del toponimo Pochini
si ha nell'XI secolo.
Durante la visita pastorale del 1468 non
venne effettuata la visita per l'assenza del
rettore Marzio Bernardi di Arezzo.
Nessun altra notizia è stata ritrovata sulla
chiesa di S. Lorenzo, nè conosciamo il
luogo della sua ubicazione. E' probabile
che la chiesa rosse situata all'incrocio tra
la strade che corre sul crinale dei Pochini
e quella che scendendo da Lucignano si
dirige in direzione di Marciano. In questo
luogo vi è una maestà, recentemente
restaurata, che potrebbe essere indicativa
del luogo ove sorgeva la chiesa.
S. Agata al Borraccio
La chiesa di S. Agata, pur non essendo
citata in nessun decimarlo, era certamente
molto antica. La titolarità di un edificio
religioso è una delle indicazioni che consente di risalire, con maggior precisione,
alla paternità e, quindi, all'antichità di
una chiesa. Sapendo perciò che prima i
Goti e poi i Longobardi dedicarono un
gran numero di chiese a S. Agata,
possiamo sostenere che la chiesa del
Borgaccio fu costruita probabilmente tra
il V e l'VIII secolo. Di questa santa
troviamo due buone raffigurazioni: una
nella chiesa di S. Francesco e l'altra nella
lunetta della sala capitolare, oggi Museo
Civico, di Lucignano.
Sappiamo, inoltre, dagli statuti, che per
tutto il medioevo essa fu considerata una
dei santi protettori della nostra comunità.
Il toponimo Borgaccio, denuncia la presenza di un abitato antico, che si trovava
lungo uno dei percorsi che si inoltravano
tra le valli dei torrenti Vescina e Scerpella,
toccando località interessate da antiche
comunità religiose.
Inoltre, da Campoforte, attraversando il
erritorio di Vitiano si raggiunge ancor del
1592 si legge che non si è visitata la oggi
il podere Cappannelle, che si trova lungo
il tracciato per la Maremmana, cioè lungo
uno di quei tragitti che venivano percorsi
dalle
greggi
che
ogni
anno
dall'Appennino seguivano il lungo
cammino fino alla cosca tirrenica.
Attualmente il gruppo di case dove
sicuramente si trovava questa chiesa, a
poca distanza dalla Fonte dei Pizzi e dal
torrente Vescina, viene detto Santa Gata.
La visita pastorale del vescovo Acciaioli
del 1468 evidenzia la precarietà
dell'edificio.
Nella visita pastorale di Mons. Usimbardi
del 1592 si legge che non si è visitata la
chiesa di S.Agata per essere disfatta più
tempo fa. I rudere erano però ancora
presenti nel 1720. Attualmente non sono
riconoscibili resti o rovine che possano
rilevare con sicurezza l’ubicazione precisa
di questa chiesa.
S.Martino di Fabbriche
S.Giorgio al Cerretello
La chiesa di S. Martino è citata per la
prima volta nella decima del 1302.
Sebbene si ritenesse che il culto del santo
francese, vescovo di Tours, fosse stato
introdotto dai Franchi di Carlo Magno e
quindi intorno al secolo VIII-IX vi e chi
ritiene che sia giunto in Italia ancora
prima, probabilmente prima dell'
invasione longobarda. Si tratta comunque
di una chiesa molto antica.
Le prime notizie le possiamo ricavare
dalla visita pastorale del 1468.
Scarse le notizie recuperate.
Sappiamo che nel 1543 tu annessa al
convento che i Serviti avevano a
Lucignano e in seguito le rendite della
chiesa di S. Martino e quelle del nuovo
convento della Madonna della Querce
quando i Servi di Maria ne presero
possesso. Nel 1583 la chiesa era
completamente in rovina.
Si ignora l'esatta ubicazione della chiesa
dedicata a S. Martino e non è rimasto
neppure il toponimo che, come al solito,
sarebbe stato indicativo per conoscere il
luogo
della
sua
costruzione.
Rimane, tuttavia, nella zona di Fabbriche,
il toponimo "Podere della Madonna" nei
pressi del quale vi è una cappella
campestre, che potrebbe indicare la
posizione nella quale sorse l'antica chiesa
di S. Martino.
Nella stessa zona, all'interno della Villa di
Fabbriche, i Griffoli fecero erigere una
chiesetta, nella quale trovarono sepoltura
tutti i membri della famiglia a partire
dalla fine del '700, epoca di costruzione
della cappella dedicata a S. Giuseppe, che
però non ha nulla a che vedere con
l'antica chiesa.
Di questa chiesa il Repetti riporta quanto
segue:
Cerretello di Lucignano in Val di Chiana.
Vico, dove fu una chiesa ( S.Giorgio di
Cerreto) filiale della distrutta pieve di
Ficareto, stata annessa già da molti secoli
alla parrocchia di S. Biagio alla
Pievevecchia sotto Lucignano nella
comunità ecc. Non è stata effettuata
alcuna ricerca in proposito
Comune di Lucignano - PIANO STRUTTURALE 2004 - Quadro Conoscitivo - Relazione pag. 45
LOCALIZZAZIONE DELLE CHIESE E DEGLI ORATORI
1 Santa Maria del Piano
2 Oratorio della Croce
3 San Smeraldo
4 Pieve di San Felice
5 San Biagio al Cerretello
6 San Lorenzo ai Poschini
7 San Martino di Fabbriche
8 San Agata al Borgaccio
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2.4.2 TABERNACOLI E MAESTA’
(a cura di Franca Acquisti e Antonietta
Vivolo, tratto dai Quaderni Lucignanesi vol.1)
Nell'anno scolastico 1992/93, le classi II
A e II C della Scuola media "G. Rigatini"
di Lucignano hanno effettuato una
ricerca sul rema "Tabernacoli e Maestà
nel territorio di Lucignano".
La ricerca è scaturita dalla curiosità
suscitata in alunni e docenti dalla
presenza di numerose Maestà e
tabernacoli situati lungo le strade
o sulle facciate delle case ed anche dalla
testimonianza di numerosi toponimi con
riferimenti religiosi, quali: Maestà rotta.
Maestà dei Mori. Podere della Madonna, Santo
Pietro ecc.
E nato, così, il desiderio di avviare una
ricerca per ottenere informazioni sul loro
significato storico e culturale.
Pertanto è stato effettuato effettuare un
censimento, il più capillare possibile di
maestà, cippi, tabernacoli, elementi
murali, esistenti nel territorio, con
l'intento di sottoporli all'opinione
pubblica, m modo da sottrarli all'incuria e
spesso alla distruzione com'è accaduto e
sta ancora accadendo in questi ultimi
anni.
Metodologia
L'indagine è stata un'esperienza a classi
aperte, condotta in due classi, di seconda,
assai eterogenee e di diverso indirizzo.
Con l'aiuto d'alcuni dizionari sono stati,
innanzi tutto, chiariti i termini di maestà,
cippo, cappella, tabernacolo, edicola, in
modo
da
poter
classificare
le
testimonianze raccolte.
Maestà = Nell'iconografia cristiana,
immagine della Trinità, del Cristo e della
Vergine intorno vista di fronte oppure
piccola cappella o edicola contenente
un'immagine sacra eretta lungo una strada
(nel nostro dialetto vengono chiamate
anche Madonnini).
Cippo = tronco di colonna o di pilastro
eretto a scopo celebrativo.
Tabernacolo = edicola, cappella, nella
quale si conservano immagini di santi.
Edicola = dimora sacra, piccola
costruzione, indipendente o annessa ad
un edificio maggiore che contiene una
statua o un'immagine sacra.
Nicchia = cavità praticata nello spessore
di un muro, di forma cilindrica ad asse
verticale, con funzione decorativa.
Cappella = piccola chiesa, sia isolata, sia
adiacente, sia incorporata in altro edificio
sacro; tabernacolo, con immagine sacra,
eretto per lo più a scopo votivo e
commemorativo.
Il termine di maestà, legata alla presenza
d'una immagine sacra, è stato spesso
esteso, nella cultura popolare, al
manufatto che contiene l'immagine sacra,
indipendentemente dalle sue caratteristiche architettoniche.
Per le difficoltà nel classificare
in
maniera univoca gli elementi rilevati, nel
corso della ricerca, sono state raggruppate
in edicole, tabernacoli (o nicchie) e
cappelle, ritenendo la denominazione
maestà come generica e attribuibile a tutti
i manufatti in genere.
Con il termine edicola ci si riferisce a
quello che nella tradizione popolare
s'identifica col nome di madonnino, cioè un
manufatto in pietra o mattoni, isolato,
posto al limitare della strada. Con
tabernacolo ad un elemento murale,
inserito nella facciata delle case, che
ricorda la forma del tabernacolo
dell'altare. Con cappella, invece, ad una
piccola costruzione simile ad una
chiesa, aperta, con uno spazio interno
ben definito, spesso con la presenza di un
piccolo altare.
Nella prima fase del lavoro gruppi di
alunni hanno indagato nel raggio di circa
1500
m
dalla
loro
abitazione,
fotografando elementi significativi ed
effettuando interviste circa la data di
costruzione, le caratteristiche, la presenza
nella stessa zona di precedenti luoghi di
culto. Ciò ha permesso di evidenziare le
zone più interessanti ai fini della ricerca e
dì effettuare alcune uscire di gruppo nella
zona del Rosario, Villino, Maestà dei
Mori
e
Campoforte,
Paganoro.
Una volta avuto a disposizione il
materiale, il lavoro si è svolto in classe,
con la scelta delle foto migliori, il
confronto delle vane interviste e la
compilazione di una scheda di rilevazione
per ciascun elemento, e la sua
collocazione nella carta topografica del
territorio.
Sono stati censiti in tutto 70 esemplari di
cui 17 nel centro storico e 53 nelle
campagne, fra quelli in buono stato, quelli
restaurati e quelli semi abbandonati.
Dopo averli suddivisi per itinerari
geografici e stradali, è emerso che, per ciò
che concerne il centro storico, la zona più
rappresentativa è costituita da Via Roma,
anticamente detta Borgo Povero, mentre
altre testimonianze sono presenti nei
vicoli adiacenti la Collegiata, Via
Matteotti, già detto Borgo Ricco, ne
risulta, invece, del rutto priva.
Ciò ha indotto ad una prima
considerazione; il culto dell'immagine
posta sulla facciata delle case trovava più
proseliti tra i poveri in cui i bisogni
quotidiani stimolavano un rapporto
più immediato e vicino al sacro.
Nelle campagne la presenza di maestà è
quasi omogenea, tranne un numero
minore nella zona della Croce con la
presenza di soli sette elementi tuttavia tra
questi è da annoverare uno dei più
significativi situato in località Fornace.
Sotto l'aspetto artistico e stilistico, queste
edicole e anche i tabernacoli sulle case
risultano piuttosto semplici e poveri e ciò
ci riporta alla considerazione di un culto
legato ai ceti inferiori della popolazione.
Nelle campagne si evidenzia anche la
presenza di 4 cappelle situate in località
Rosario, Crocifisso, Ancano, Matressa.
Cappella del Rosario
Sono presenti inoltre 13 edicole
situate agli incroci di alcune strade,
oggi secondarie, ma nel passato
importanti vie di comunicazioni.
Un esempio in questo senso è la
fonte di Campoforte, con relativa
Comune di Lucignano - PIANO STRUTTURALE 2004 - Quadro Conoscitivo - Relazione pag. 47
maestà, lavatoio, abbeveratoio, pergola con panche in pietra per la sosta
del viandante.
E’ stata rilevata la presenza di un
unico cippo, in pietra recante una
maiolica della Madonna di Pompei,
posto in località Santa Maria, poco
prima del confine con la provincia di
Siena. Nel centro storico hanno un
certo valore artistico il tabernacolo di
Via Roma, al n. 8, un dipinto su tela
raffigurante la Madonna addolorata,
databile tra la fine del XVII e l'inizio
del XVIII secolo, la nicchia affrescata,
che raffigura S. Michele Arcangelo, posta
sulla tacciata della canonica in Via
S.Giuseppe, al n. 1, ed il tabernacolo
situato in Via del Mattatoio interamente
ricostruito, dopo l'ampliamento della
strada, e recante un dipinto su legno
risalente al 1769 come porta scritto la
lapide ivi apposta.
Nelle campagne, oltre a quelle già citate
sono degne di considerazione: la maestà
dei Poschini, costruita su un antico
pozzo,
probabilmente
nei
pressi
dell'antica chiesa di S. Lorenzo, di cui
rimane solo il ricordo tramandato per
varie generazioni; la Madonna dell’
Ancano situata in località omonima, che
da il nome anche al retrostante podere,
detto appunto Podere della Madonna; la
chiesa del Rosario (località omonima)
luogo di culto fino ad alcuni decenni fa
ed attualmente in stato di totale
abbandono.
Significativo un elemento murale in
travertino situato in località Borgonuovo
ed eseguito a mano nel 1947 da uno
scalpellino di Serre di Rapolano, ed in
ultimo l'unico tabernacolo posto
all'interno dell'abitazione, m quella che
era la cucina, situato in località Certicone.
Cappella situata nel podere della Madonna
Il tabernacolo più recente rilevato nel
corso della ricerca è stato costruito nel
1993 in località Certicone 116/A dal
Signor Gino Accanisti, che ha voluto così
proseguire quest' antica tradizione.
Prevalgono
raffigurazioni
dell’
“Immacolata Concezione” o immagini
della Madonna con Bambino. Seguono
solo tre della Madonna del Conforto, due
raffigurazioni della Madonna delle
Vertighe, due della Madonna di Pompei ,
un unico esemplare della Madonna di
Loreto e uno della Madonna delle Sette
Spade.
Sono state rilevate solo due immagini di
santi: un S. Antonio da Padova in località
Campoleone, 54 e un san Michele
Arcangelo in località Borgonovo e un
Sacro Cuore di Gesù al n°24 di vicolo del
Pellegrino. Da rimarcare, però, che
spesso l'immagine sacra è scomparsa:
talvolta per incuria, spesso per alimentare
una forma di collezionismo oggi assai in
voga, ma piuttosto discutibile.
I materiali con cui sono state realizzate le
immagini sacre sono diversi. Si tratta
nella maggioranza dei casi di formelle in
maiolica di varie dimensioni e forma, ma
esistono
elementi
tridimensionali
(statuette) realizzati in terracotta, gesso ed
anche plastica.
Non mancano, tuttavia, materiali
disparati e più pregiati che evidenziano
una diversa condizione della famiglia che
ha Fatto dono dell'immagine (olio su tela
raffigurante la Madonna delle Sette
Spade, al n 8 di Via Roma, ad esempio) o
legati ad eventi particolari come il
tabernacolo che contiene una tavola su
cui è raffigurata la Madonna con
Bambino realizzato m occasione della
visita del 1769 del granduca Pietro
Leopoldo a Lucignano.
Edicola contenete una maiolica raffigurante la
Madonna del Conforto, in località Poschini
Elenco:
Centro storico
x Via Roma n. 8: dipinto su tela
raffigurante la Modana Addolorata
( Madonna delle 7 spade) risalente
alla fine del 1600 o agli inizi del
1700, in buono stato di
conservazione
x Via Roma n. 40: vuoto
x Via Roma n. 45: terracotta
raffigurante la Madonna del
Conforto.
x Porta Murata: vuoto
x Via Roma n. 105: vuoto
x Via Roma n. 123: statuetta in
plastica
dell’
Immacolata
Concezione.
x Costa S. Biagio n. 3: vuoto.
x Piazza ser Vanni: statua in gesso
della Madonna con Bambino,
risalente probabilmente al XVIII
secolo, in buono stato di
conservazione.
x Costa del Valigia: affresco molto
deteriorato.
x Interno Convento di S. Francesco
(Scuola
Media):
maiolica
raffigurante la Madonna del
Conforto.
x Via della Misericordia n. 2:
mattonella ricordo con immagine
della Madonna di Loreto.
x Gradinate di S. Giuseppe n.6:
vuoto.
x Via S. Giuseppe n. 1: affresco
raffigurante
San
Michele
Arcangelo, risalente probabilmente
al 700, recentemente restaurato.
x Vicolo del Pellegrino n. 27:
Comune di Lucignano - PIANO STRUTTURALE 2004 - Quadro Conoscitivo - Relazione pag. 48
statuetta in gesso dell'Immacolata.
x Vicolo del Pellegrino n. 24/26;
maiolica del Sacro Cuore di Gesù.
x Costa della Collegiata n.10:
terracotta della Madonna di Loreto
risalente al 1930.
x Via Circonvallazione n. 21: vuoto.
Campagna
x Mattatoio, di fronte al n.2, tavola
recentemente restaurata, risalente
al 1769.
x Via della Concia n. 6: vuoto.
x Cappuccini (muro esterno del
Convento): tabernacoli, oggi
vuoti.
x Loc.
Montalgallo:
Madonna
Immacolata.
x Loc. Pieve Vecchia, 1 : vuoto
x Loc. Pieve Vecchia, 2: edicola
posta all'incrocio con la strada di
Marciano, contiene un affresco
corrotto dal tempo, quasi
certamente
raffigurante
la
Madonna del Conforto o delle
Vertighe.
x Loc. Pieve Vecchia 4: piccola
edicola posta all'interno del
giardino di una abitazione
contenente una statuetta in gesso
della Madonna Immacolata
x Loc. Pieve Vecchia, 5: edicola
posta all'interno del giardino
dell'abitazione, contenente una
statua in gesso dell'Immacolata
x Loc. Pieve Vecchia, 6: edicola
risalente al XVII secolo, in pietra,
contenente una statua in gesso
della Madonna Immacolata.
x Loc. Scerpella: vuoto.
x Loc. Scerpella: vuoto
x Loc. Casone Scerpella: vuoto
x Via della Misericordia: edicola
situata all'interno del giardino
dell'abitazione, contenente una
statuetta in gesso della Madonna
Immacolata.
x Loc. Pochini n. 61: maiolica
applicata sul muro dell'abitazione
raffigurante la Madonna di
Pompei.
x Loc. Poschini: edicola restaurata
di recente, eretta, probabilmente,
nella zona in cui sorgeva nei secoli
scorsi un'antica chiesa di San
Lorenzo a Poschini di cui si sono
perse
le
tracce,
contiene
un'immagine della Madonna del
Conforto.
x Loc. Ancano: cappellina restaurata
nel 1993, costruita sulla strada
adiacente
il
podere
della
Madonna.
x Loc. S. Pietro III: edicola di
costruzione abbastanza recente,
con terracotta raffigurante la
Madonna in trono.
x Loc. Paganoro: edicola d'antica
costruzione con terracotta recente
Loc. Matressa: piccola cappella,
costruita dopo la II guerra
mondiale da un devoto in segno
di ringraziamento per lo scampato
pencolo, oggi molto deteriorata.
x Loc. Marcona: vuoto.
x Loc. La Cava: vuoto.
x Via Mazzini: costruito nel 1963 m
una
colonna
del
cancello
d'ingresso all'abitazione, contiene
una maiolica raffigurante la
Madonna delle Vertighe.
x Loc. Crocifisso: cappella con
x
x
x
x
x
x
x
x
x
x
x
x
x
x
x
x
x
immagine del Crocifisso.
Loc. le Cadute: statuetta in gesso
dell'Immacolata.
Loc. la Querce: vuoto.
Loc. Calcione: edicola con quattro
nicchie, contenenti bassorilievi su
gesso molto deteriorati.
Loc. Farneta: cippo con maiolica
raffigurante la Madonna di
Pompei.
Loc. Campoleone n. 53: vuoto.
Loc.
Campoleone
n.
54:
tabernacolo contenente statuetta
in terracotta di S. Antonio da
Padova.
Loc. Campoleone n. 55: vuoto.
Loc. Campoleone: vuoto.
S. Maria n. 3: tabernacolo, ornato
di colonnette e sormontata da una
croce, contenente statuetta in
gesso dell'Immacolata.
S. Maria n. 20: tabernacolo con
statuetta m gesso dell'Immacolata.
S.Maria: tabernacolo con terracotta dell'Immacolata.
S. Maria; vuoto.
S. Maria: vuoto.
La Greppa: tabernacolo con
statuetta in gesso dell'Immacolata.
Loc. Maestà dei Mori: edicola in
buono stato di conservazione con
bassorilievo della Madonna con
bambino.
Loc. Borgonuovo: bassorilievo in
travertino (o marmo?), applicato
sul muro esterno dell'abitazione,
risalente al 1947 eseguito da uno
scarpellino di Serre di Rapolano, il
sig.Sartini, raffigurante S. Michele
Arcangelo.
Via Senese: tabernacolo con
x
x
x
x
x
x
x
x
x
x
x
statuetta in gesso dell'Immacolata.
Loc. S. Rocco: vuoto.
Loc. Fonte Lari: tabernacolo m
pietra
con
statuetta
dell'
Immacolata.
Loc. Rosario: cappella del
"Rosario".
Loc. Rosario n. l45: vuoto.
Loc. Fisco: edicola risalente al
1818 con bassorilievo in terracotta
con l'iscrizione:
REFUGIUM PECCATORUM..
Loc. Croce n. 2: vuoto
Loc. Croce n. 58: bassorilievo in
maiolica raffigurante Madonna con
bambino,posto nell'ingresso
esterno dell'abitazione.
Loc. Poschini: tabernacolo con
bassorilievo
in
maiolica
raffigurante
Madonna
con
bambino.
Via Selva: edicola in mattoni in
discreto stato di conservazione,
contenente un bassorilievo m
gesso raffigurante Madonna con
Bambino.
Loc.
Capecchio
n.
137:
tabernacolo in legno dipinto a
mano, risalente al 1920.
Certicone n. 116/A: piccola
edicola costruita nel 1993 dal
signor Cino Acquisti nel muretto
di cinta dell'orto di sua proprietà.
Comune di Lucignano - PIANO STRUTTURALE 2004 - Quadro Conoscitivo - Relazione pag. 49
2.4.3 IL PATRIMONIO EDILIZIO
RURALE
Gli strumenti fondamentali per la
conoscenza dello sviluppo insediativo di
un territorio sono lo studio e la riscoperta
degli aggregati storici legati al mondo
agricolo e ai vari modi di vivere un
periodo dove l’agricoltura rappresenta il
sostentamento primario sia della classe
agiata che di quella più povera.
Nel mondo agricolo storicizzato si
riconoscono ancora i caratteri degli
artefici di quel periodo molto vicino a noi
in ordine di tempo e altrettanto distante
in ordine di usi e stile di vita.
Si individuano, nel territorio agricolo di
Lucignano, come del resto in tutta la
Toscana, le ville signorili, le fattorie, le
coloniche isolate e gli aggregati rurali
dotati di un’articolazioni dettata sia da
esigenze legate alla conduzione del fondo
sia da quelle strettamente rapportate alla
crescita dei nuclei familiari.
Il patrimonio edilizio rurale della Toscana
rappresenta, dato il lungo arco di tempo
formativo e di sviluppo ( Medio Evo fino
allo scoppio del secondo conflitto
mondiale) e data la sua natura
principalmente diacronica, un importante
testimonianza di un processo di
civilizzazione di altissima qualità, dove la
preesistenza veniva assunta come natura
storica e la rimodellazione dello spazio si
attuava sostituendo, alle antiche, qualità
nuove e soprattutto per i processi
organici caratterizzati da prevalenti
processi di continuità nella produzione
delle forme fisiche del costruito.
La Regione Toscana in merito ha attuato
una politica volta alla tutela e
conservazione del patrimonio edilizio
rurale attraverso un panorama legislativo
già a cominciare dalla fine degli anni
settanta.
territorio secondo la logica del massimo
rendimento dei coltivi preferendo
l’orientamento
più
consono
alla
lavorazione ( facciata principale e aia
esposte a sud garantiscono massima luce
e calore anche nei mesi invernali).
La L.R. 10 del 1979 obbligava i comuni a
redigere “Elenchi” di edifici da tutelare e
di particolare valore ambientale e
culturale. Purtroppo il risultato, quando
c’è stato, non ha soddisfatto le
aspettative, in quanto alcune valutazioni
sono state espresse in modo arbitrario
anziché oggettivo.
-tipo di aggregazione degli edifici componenti; in
particolare il rapporto di adduzione al
lotto, e il tipo di sviluppo di
accrescimento dell’edificio residenziale.
Difatti
di
possono
verificare
essenzialmente tre casi:
Il patrimonio edilizio di Lucignano è
stato schedato e classificato di valore e
rilevante valore in base ad un censimento
effettuato sul territorio comunale dalla
Provincia di Arezzo nei primi anni 80.Di
questi edifici schedati, alcuni, dopo circa
20 anni, si sono conservati nelle valenze,
altri, dovuto ad interventi poco attenti e
non curanti dell’oggetto edilizio di valore,
hanno perso quasi totalmente le
caratteristiche e le peculiarità che ne
facevano oggetti edilizi da tutelare.
Le caratteristiche fondamentali che fanno
un aggregato legittimato di tutela sono
determinate essenzialmente dal suo grado
di conservazione non tanto strutturale
quanto di interconnessione con l’intorno
sia esso costruito che non.Per valutare il
grado di conservazione di questa
interconnessione con l’intorno è
necessario analizzare fondamentalmente
le seguenti indicazioni:
-localizzazione; l’aggregato può in sostanza
trovarsi in tre diverse sistemazioni di sito,
pianura, collina ondulata, collina
pronunciata e di conseguenza inserirsi sul
l’edificio può risultare compiuto al
momento della sua realizzazione;si
possono verificare degli ampliamenti
organici di intenzione unitaria;oppure si
possono verificare ampliamenti con
relativa
autonomia
costruttiva
e
architettonica
rispetto
all’edificio
principale.
-organismo architettonico dell’edificio principale;
esposizione della facciata principale
rivolta a sud mentre la parte a nord
spesso cieca e con finestre piccole;
rapporto dell’edificio alla conformazione
altimetrica del sito dal luogo, in genere, a
soluzioni edili e distributive specifiche
che costituiscono varianti sincroniche del
tipo edilizio più diffuso in assenza di
condizionamenti
topografici.
Le
situazioni tipiche più generali di
adeguamento al terreno sono due:
edificio lungo una isoipsa e la pendenza
risulta perpendicolare al fronte più
sviluppato, oppure quando si pone in
lunghezza rispetto alla linea di massima
pendenza;
tipologia dell’organismo che può essere
monocellulare, semplice, doppio, triplo.
L’ampliamento può avvenire lateralmente
o tergalmente o raddoppio in profondità.
-meccanismo di distribuzione; ovvero il suo
rapporto con l’esterno attraverso gli
accessi e all’interno le relazioni spaziali
tra i vani dell’abitazione ( scala, portici,
logge, corridoi, cucina).
-rapporto tra rustico ed abitazione;
rappresenta una delle discriminanti
significative nella costituzione dei tipi e
quindi ella costruzione tipologica; e cio
non tanto in termini quantitativi e
funzionali,
quanto,
in
termini
architettonici. Le varianti di questo
rapporto si individuano nella abitazione
sovrapposta al rustico, abitazione
giustapposta al rustico, abitazione
separata dal rustico.
-localizzazione del forno; può trovarsi
all’interno dell’abitazione o in un
manufatto specifico e autonomo. Il forno
rappresenta uno dei segni più significativi
della autonomia della vita contadina
soprattutto di quella mezzadrile. La
proprietà coltivatrice spesso è sprovvista
di forno individuale ed è più integrata al
villaggio o ai piccoli aggregati attraverso
forme comunitarie es forni di vicinato.
-parti costruttive discriminanti (tetto, porticologgia,
capanne
separate);
sono
rappresentate:
dalla conformazione del tetto che si può
presentare a due falde con due possibili
conformazioni con fronte rettangolare e
con fronte dipanato e a 4 falde o a
padiglione (tipico di edifici sincronici
unitari a volume bloccato);
Comune di Lucignano - PIANO STRUTTURALE 2004 - Quadro Conoscitivo - Relazione pag. 50
dal sistema portico/loggia che rappresenta
un indicatore significativo del processo
tipologico e della fase matura di
costituzione sette-ottocentesca della casa
colonica;
ambedue da un tipo elementare che, pur
non essendo più riscontrabile nel
territorio preso in esame, è ipotizzabile
come matrice comune.
dall’annesso separato legato alle attività
lavorative con funzione specifica non
legata alla residenza
Casa Torre Signorile
-caratteristiche costruttive per quanto riguarda
i materiali costruttivi le caratteristiche
sono legate principalmente alla facile
reperibilità delle materie prime, di
conseguenza variabili di zona in zona
(pietra arenaria grigia, pietra calcarea ,
mattone etc), mentre le caratteristiche
costruttive sono legate all’intento di
creare comunque opere solide e
soprattutto durature nel tempo realizzate
secondo una tradizione legata alle
esigenze vitali e tramandata da
generazione a generazione .
Il processo tipologico dell’edificio
rurale
Ci sembra appropriato in questa sede
evidenziare quello che è stato ipotizzato
come processo tipologico della dimora
rurale
della
valdichiana
facendo
riferimento, in particolare, agli episodi di
edilizia ruarale presenti nel territorio
lucignanese.
I processi individuati partono da due tipi
di matrice, casa monocellulare su due
piani e casa a torre di origine urbana, che
si diversificano più per la destinazione
(contadina/signorile) e per le modalità
architettoniche che per la strutturazione
dello spazio costruito, derivando
Nei secoli XIII e XIV si verifica un forte
interesse della borghesia urbana più ricca
verso la campagna. Ne deriva un
fenomeno, particolarmente diffuso nelle
aree periurbane dei centri maggiori,
di acquisizione delle terre e costruzione
di case a torre che ripetono i motivi
decorativi e la struttura abitativa delle
case torre cittadine. La grave crisi della
metà del sec. XIV porterà all'abbandono
di questi edifici ed alla loro successiva
utilizzazione come vere e proprie case
coloniche.
A-Casa Torre Signorile
Struttura monocellulare su tre o più
piani, con piano terra utilizzato come
rimessa e/o stalla per i cavalli con
copertura a volta a botte da cui, con una
scala interna spesso ad unica rampa, si
raggiunge il primo piano ad uso di
cucina-salone (piano nobile).
Da questo vano si raggiunge con una
ulteriore
scala
il
secondo
piano ad uso di una o più camere.
II terzo piano, infine, raggiunto da
un'altra rampa scale di solito in legno, e
spesso caratterizzato dall'uso specifico di
piccionaia.
B - Sviluppo in corpo semplice con torre
d'angolo.
B1- Alla torre signorile viene affiancata
una cellula su due piani con rustico al
piano terra e camera al primo piano.
L'edificio diventa un corpo semplice e gli
incrementi successivi portano ad un
edificio in linea con torre d'angolo.
B2 - L'aggiunta di una cellula su due piani
tergalmente alla torre porta all'espulsione
della scala interna (che permane dal
secondo al terzo piano), mentre la nuova
scala può impostarsi parallelamente od
ortogonalmente alla nuova facciata
principale.
B3 - Comportamento diverso si verifica
quando
la
cellula
giustapposta
lateralmente assume la funzione
distributrice ed è sul fronte di quest'
ultima che si affianca la scala esterna.
C - La successione degli incrementi porta
ad un complesso articolato dove
permane la torre signorile come
elemento caratterizzante la casa colonica,
mentre la casualità delle successive
aggregazioni non consente di stabilire
comportamenti ricorrenti.
rialzamento fino al terzo piano, a volte
con piccionaia sottotetto, di alcune
monocellule su due piani.
Chiameremo questo elemento Casa Torre
Colonica. La casa torre colonica genera
un processo tipologico molto simile a
quello della torre signorile, dalla quale
differisce fondamentalmente per la
funzione e per la mancanza di quegli
elementi architettonici di derivazione
urbana.
A – Il rialzamento della monocellula su
due piani fino al terzo piano comporta
spesso la modifica della copertura: dal
fronte timpanato si passa al fronte
rettangolare. Il vano del primo piano si
specializza come cucina, mentre il nuovo
vano al secondo piano come camera, ed è
raggiungibile tramite una scala interna.
L’uso del piano terra come rustico
agricolo
determina
la
posizione
esterna della scala.
Un’esempio di questa tipologia, nel
comune di Lucignano, è il Colombaio.
E’ necessario a questo punto sottolineare
che non sempre la case torre signorili
risultano edificate isolatamente nella
campagna periurbana, bensì spesso si
affiancano ad edifici preesistenti di solito
monocellule su due piani.
Casa torre colonica
Le aperture gerarchizzate sono qualificate
da mostre in pietra che ripetono i motivi
decorativi affermatisi nel centro urbano.
La comparsa della torre signorile nella
campagne periurbane. per una sorta di
processo imitativo, ha comportato il
IlColombaio
Comune di Lucignano - PIANO STRUTTURALE 2004 - Quadro Conoscitivo - Relazione pag. 51
B - Dalla torre colonica al corpo
semplice.
Numerosi a Lucignano gli esempi di
questa particolare tipologia:
B1 - La giustapposizione di una nuova
cellula su due piani lateralmente alla torre
colonica deriva, nella maggior parte dei
casi. dalla sopraelevazione di un rustico
esistente. La nuova cellula ha il
piano terra adibito a rustico, mentre il
primo
piano
abitativo
e
una
nuova camera.
- Le Fabbriche , lungo la strada comunale
dell’Ancano, in prossimità del complesso,
villa - fattoria “ Le Fabbriche”;
B2 - Quando la nuova cellula viene
giustapposta tergalmente alla torre
colonica questa può avere il fronte
timpanato.
B3- La torre colonica può avere degli
incrementi che la rendono centrale
all'edifico, mantenendo così la sua
funzione distributrice.
B4 Il meccanismo distributore verticale
esterno, che raggiun-ge il primo piano
abitativo, e giustapposto alla nuova
cellula laterale che assume il ruolo di
cucina distributrice.
C- Passaggio al corpo doppio
C1 - II corpo doppio e raggiunto con la
giustapposizione al fronte principale di
un nuovo corpo di fabbrica contenente il
sistema
portico-loggia-scala
con
profondità minore del corpo preesistente.
la torre resta complanare alla facciata
tergale.
In alcuni casi uno degli incrementi laterali
è composto da due cellule in profondità
pari alla profondità della cellula originaria
più l'ampio pianerottolo di accesso alla
cucina.
- L’Ancano, presso la strada comunale
omonima, prossima alla linea ferroviaria
Arezzo-Sinalunga;
-Poschini a nord-est di Lucignano,
esempio di edilizia rurale spontanea da
non confondere con un altro edificio
sempre localizzato a Poschini che è
invece riconducibile ad un’altra tipologia
trattata di seguito.
- Sotto Savinanza , posta lungo la strada
consorziale di Savinanza, poco distante
dal Fosso Scervella, sulla mezza costa che
sale a Lucignano da nord-est.
- Le Cinque Vie poco distante dalla
strada comunale delle Chiese, a sud di
Lucignano.
- Casa Rossa, lungo la strada vicinale della
Casa Rossa a sud di Lucignano.
C12 - II tamponamento del sistema
portico-loggia-scale e l'espulsione del
meccanismo
distributore
verticale
parallelamente al fronte principale
caratterizzano le ultime fasi di crescita più
recenti.
Di questa tipologia, la Balorda, posta
lungo la strada consorziale di Farnetella o
Poggiarelli, a sud-ovest di Lucignano.
La Balorda
Il Meleto
D - Passaggio al corpo triplo.
L'unico
esempio
riscontrato
è
caratterizzato dalla torre colonica
complanare alla facciata principale per la
giustapposizione
tergale
di
una
monocellula di profondità maggiore che
in un secondo tempo, probabilmente
concomitante alle aggiunte laterali,
viene suddivisa in due vani.
La torre colonica è in ogni caso un
elemento di difficile individuazione.
Come già detto una casa torre colonica
deriva da una monocellula su due piani, e
questa può elevarsi al terzo piano come
torre isolata oppure come cellula già
affiancata e inglobata da nuovi corpi di
fabbrica.
Di questa tipologia il Meleto, complesso
architettonico di notevoli dimensioni
articolato nella tipologia e posto in una
situazione di notevole pregio lungo la
strada Belvedere nel crinale che divide le
vallecole del fosso Scervella e del Borro la
Mandria.
Monocellula su due piani
Da questa parte il processo tipologico
fondamentale, la monocellula si presenta
indifferentemente con scala interna o
esterna ed in particolari condizioni
dovute alla morfologia del terreno,
specialmente nelle zone di alta collina e di
montagna, viene a mancare il
meccanismo
distributore
verticale
sostituito dalla pendenza del terreno.
Monocellula su due piani di pendio.
A - Monocellula su due piani con rustico
al piano terra e vano cucina-camcra al
primo piano. La distribuzione verticale è
risolta dalla pendenza del terreno:
l'accesso al rustico al piano terra e a
valle, mentre quello al vano cucinacamera è a monte.
Nel territorio lucignanese si evidenzia
S.Agata di Sotto lungo la strada vicinale
di S.Agata poco distante dalla strada
provinciale Procacci.
B - La giustapposizione di una o più
cellule a valle determina lo spostamento
Comune di Lucignano - PIANO STRUTTURALE 2004 - Quadro Conoscitivo - Relazione pag. 52
dell'accesso principale sul fronte laterale.
In alcuni casi l'ingresso è marcato da un
ampio pianerottolo coperto, raggiungibile
per una breve rampa scale, quest'ultima
non è da considerarsi un vero e proprio
meccanismo distributore verticale.
La linea di gronda è sfalsata a seguire
l'andamento del terreno determinando
una conformazione a canocchiale,
In presenza di una forte pendenza del
terreno l'ultima cellula a valle raggiunge
anche i quattro, cinque piani e le aperture
sono gerarchizzate ad accentuare lo
slancio verticale.
Tipico esempio si riscontra nella casa
colonica Rigo Salcio poco distante dalla
strada comunale di Monte Quarata, tra
quest’ultima ed il Fosso Scervella a nord
di Lucignano.
L'accesso e raggiungibile in questo caso
tramite una vera e propria scala esterna
che arriva ad un ampio pianerottolo che
può essere scoperto o coperto.
C Passaggio a corpo semplice con
sviluppo parallelo alla curva di livello.
C1 - Quando lo sviluppo laterale consiste
nell'incremento di una sola cellula o è
comunque di dimensioni ridotte il fronte
principale permane timpanato con
conseguente rialzamento del colmo e
realizzazione di un nuovo vano
sottotetto, a volte un soppalco, ad uso di
deposito per la conservazione .di prodotti
agricolo - alimentari..
C 2 - La giustapposizione laterale di più
cellule determina la ristrutturazione della
copertura che, pur restando a due falde,
rende rettangolare il fronte principale, in
questo tipo le camere poste in linea con
la cucina, che resta elemento distributore
principale,
divengono
anch'esse
distributrici dei vani successivi (camere di
passo).
D - Passaggio a corpo doppio con
sviluppo a valle.
Rigo Salcio
B2 - In presenza di una giustapposizione
di
nuove
cellule
sia
a
valle che a monte si assiste allo
spostamento dell'accesso, originariamente
a monte, sul fronte laterale della cellula
più antica che si specializza come cucina
ed in più svolge la funzione di
distribuzione degli altri vani.
Dal corpo semplice parallelo alla curva di
livello tramite un raddoppio in
profondità verso valle si giunge al corpo
doppio. Il fronte principale resta a monte
e può mantenersi timpanato come
diventare rettangolare.
La particolare conformazione del terreno
e la spontaneità del tipo portano a
numerose varianti, ognuna caratterizzata
da comportamenti diversi.
Monocellula su due piani con scala
interna.
A - Monocellula su due piani con scala
interna che dal rustico a piano terra porta
ai primo piano con vano cucina-camera.
La copertura è a capanna ed il fronte è
timpanato.
B - Passaggio al corpo semplice con scala
interna.
B1 - La giustapposizione di cellule
laterali rende centrale la cellula originaria
che si specializza come cucina, mentre i
nuovi vani sono delle camere.
La scala dal rustico centrale raggiunge la
cucina avente funzione distributrice degli
altri vani. Il fronte principale diventa
rettangolare.
B2 - Quando il meccanismo distributore
verticale è il vano proprio il pianerottolo
di arrivo assume la funzione distributrice
dei due vani ad esso adiacenti. Il fronte
principale o rettangolare e la porta ad
arco a tutto sesto, di accesso al vano
scala, in posizione centrale è il primo
timido tentativo di una ricerca di
simmetria.
C - Passaggio al corpo doppio con scala
interna.
La scala interna è sempre in vano
proprio. Questo tipo è una soluzione
molto tarda ( XIX sec ) diffusa
principalmente nelle zone di pianura e
caratterizzata dalla geometrica scansione
delle aperture frontali che a volte
raggiunge una disposizione simmetrica
con asse centrale marcato dall'accesso ad
arco
alla
scala
e
soprastante
occhio. Il tetto è a padiglione.
Un esempio particolare ed emblematico è
Campiglie nei pressi della strada del
Calcione, al confine tra il territorio
comunale di Lucignano e quello di Monte
S.Savino, dove la soluzione della scala
interna in vano proprio è determinata
dall'inglobamento di una originaria scala
esterna posta lateralmente al fronte
principale.
Attraverso quest' esempio ci piace
sottolineare come il risultato finale sia
raggiunto attraverso una molteplicità,
apparentemente episodica e casuale, di
aggiunte diacroniche.
Le Campiglie
Un’altro esempio sempre nel territorio
lucignanese è costituito dalla casa
colonica il Paradiso lungo la strada
vicinale di Fontestrighi immediatamente a
sud del “Il Villino”.
Monocellula su due piani con scala
esterna.
A - La monocellula su due piani con scala
esterna ha il fronte principale timpanato,
ed il meccanismo distributore verticale è
quasi sempre parallelo alla facciata
frontale con il pianerottolo di
Comune di Lucignano - PIANO STRUTTURALE 2004 - Quadro Conoscitivo - Relazione pag. 53
arrivo solitamente più ampio della rampa
scale. L'accesso al rustico al piano terra è
spesso risolto da un'apertura alla base
delle scale, altrimenti da un ampio portico
ad arco posto al di sotto del
pianerottolo e che dà accesso anche al
forno ed agli stalletti del sottoscala.
B - Passaggio al corpo semplice con scala
esterna scoperta.
B1 - Viene aggiunta una cellula su due
piani lateralmente, spesso si tratta della
sopraelevazione
di
un
rustico
preesistente.
La cucina si specializza nella sua funzione
e diventa distributrice del nuovo vano
camera. Il fronte, conseguentemente alla
ristrutturazione dovuta all'incremento,
diventa
rettangolare
anche
se
permangono alcuni esempi di corpi
semplici
con
scala
esterna
e
fronte timpanato. L'aggiunta di nuove
cellule poste lateralmente finiscono per
determinare
sempre
un
fronte
rettangolare e la cellula originaria in
posizione centrale mantiene la funzione
di cucina distributrice.
Di questa tipologia Spertali, inserito in un
contesto ambientale di notevole valore
sulla sinistra della strada comunale del
Calcione all’inizio del Borro della Spinaia.
B2 – Già nel corpo semplice si ritrova il
pianerottolo di arrivo del meccanismo
distributore verticale coperto tramite il
prolungamento della falda del tetto.
C – Passaggio al corpo doppio
C1 - La giustapposizione tergale di un
nuovo corpo di fabbrica su due piani o la
sopraelevazione di un rustico, sempre
tergale, rendono l'edificio un corpo
doppio con tetto di solito a capanna, la
cucina, in posizione centrale, si può
sviluppare in profondità su due cellule,
mantenendo la funzione distributrice.
Caratteristica la casa colonica la Vescina
sulla destra del Fosso Vescina, da cui
prende il nome, nelle vicinanze dell’A1.
C2 - Il pianerottolo del meccanismo
distributore verticale viene coperto;
quest'operazione può essere sincronica al
raddoppio in profondità.
C3 - II corpo doppio e raggiunto con la
giustapposizione frontale di un corpo di
Fabbrica contenente il sistema porticologgia-scala, con la rampa scala scoperta
o parzialmente coperta.
Questo corpo di Fabbrica si sviluppa per
l'intero fronte prolungando spesso la
loggia, quasi sempre parzialmente
tamponata successivamente.
La
molteplicità
delle
forme
architettoniche di questo elemento
(loggia) ed il rapporto con il portico
sottostante sono dovuti alla cronologia
dell'intervento
(sincronico-diacronico)
alla intenzionalità o spontaneità del
costruttore ed alla prassi costruttiva
dovuta ai materiali ulilizzati presenti e
meglio reperibili nella zona.
C4 - La giustapposizione laterale di un
corpo di fabbrica di profondità pari alla
cellula originaria più il pianerottolo il
meccanismo
distributore
verticale,
composto di una o due cellule e
la copertura del pianerottolo porta ad un
nuovo corpo doppio con fronte
principale parzialmente uniforme.
Esempio caratteristico è il Rosario lungo
la strada vicinale di Fontestrighi.
D- Passaggio al corpo triplo
II corpo triplo può essere raggiunto con
la giustapposizione ad un corpo doppio
con scala esterna di un sistema porticologgia- scala al fronte principale.
E’ la conformazione di questo complesso
elemento che determina delle varianti.
La cucina è distributrice e la torre
colombaria, spesso presente. può avere
diverse posizioni.
D1 - Quando il sistema portico-loggia è
giustapposto ad un fronte principale con
scala esterna parallela che viene
mantenuta
come
meccanismo
distributore verticale il portico ha un
fornice laterale che permette l’immediato
accesso alla rampa scale.
Di questa tipologia si riportano tre
esempi :
- La casa colonica Pochini, lungo la
strada consorziale omonima, notevole
esempio di architettura rurale.
comunale di Monte S.Savino, nelle
vicinanze dell’omonimo nucleo.
S. Savino
Un
fenomeno
caratterizzante
la
produzione di edilizia abitativa rurale
della pianura bonificata è la casa binata.,
già presente al 1736, come testimonia la
carta disegnata in quest’anno e conservata
all’Archivio comunale di Foiano della
Chiana, e composta da due distinte unità
abitative.
Si riscontrano dei tipi di casa binata nel
comune di Cortona e di Foiano, ma non
ci sono esempi nel territorio di
Lucignano.
Poschini
- Il Villino lungo la strada vicinale del
paradiso, a sud di Lucignano, altro
notevole esempio della seconda metà del
sec. XVIII in conseguenza al riassetto
fondiario ed alle bonifiche operate dal
Granducato di Toscana.
- S. Savino poco distante dalla strada
La tipologia presente nel comune di
Cortona si sviluppa planivolumetricamente in profondità, lungo un asse
perpendicolare alla facciata. I sistemi
distributori verticali sono in posizione
laterale con accesso frontale ed arrivano
ad un pianerottolo, più ampio della
rampa scale, caratterizzato da una
copertura timpanata e dalla grande
apertura ad arco.
Dal pianerottolo si accede alla cucina
arretrata rispetto al fronte, distributrice
Comune di Lucignano - PIANO STRUTTURALE 2004 - Quadro Conoscitivo - Relazione pag. 54
dei vani con affaccio frontale e d’angolo e
del corridoio che a sua volta distribuisce
le camere poste lungo l’asse di sviluppo
in profondità.
Un altro tipo di casa binata, riscontrabile
nel comune di Foiano, si sviluppa
contrariamente al precedente, lungo il
fronte
principale,
allungato
e
caratterizzato da due sistemo porticologgia-scala ad esso giustapposti. Questi
si svolgono con una scala scoperta con
accesso laterale che giunge alla loggia con
sottostente portico con portale in
laterizio.
Dalla loggia si accede alla cucina
distributrice dei vani tergali e laterali e
della torre colombaria complanare alla
facciata laterale.
La casa della bonifica
Casa colonica codificata alla fine del sec.
XVIII dagli architetti dello Scrittoio che
mantiene gli elementi architettonici già
affermatisi nell'edilizia rurale.
Queste
case
sono
fortemente
specializzate e talmente compiute nella
loro struttura planivolumetrica da rendere
difficile
una
loro
successiva
ristrutturazione se non a discapito
dell'organicità funzionale e formale.
La facciata principale è caratterizzata dal
portico e loggia soprastante, la scala è
interna e partendo dal portico raggiunge
la loggia, la copertura è a padiglione con
torre
colombaria
centrale.
Si
tratta di un corpo triplo con tre cellule
frontali, la cucina al primo piano e
centrale
su
due
cellule
in
profondità distribuendo cosi il rimanente
dei vani e la stessa torre colombaria.
Varianti sincroniche di questo tipo sono
legate più agli aspetti formali degli
elementi architettonici presenti nel fronte
principale
che
all'impianto
planivolumetrico (sempre tendente ad un
cubo), ed alla distribuzione interna
incentrala sul sistema portico-loggia e
sulla cucina.
Esistono numerose varianti diacroniche
che in particolare si diversificano per la
posizione della scala, per l'impianto più
rettangolare che quadrato e per l'assenza
della torre colombaria.
Quando la scala raggiunge direttamente la
cucina si ritrova la loggia tamponata che
così diventa un vero e proprio vano
abitabile. Dalla compresenza di questi
due comportamenti si deduce che
proprio l'esigenza di un nuovo vano ed il
decadimento di quelle attività artigiane
legale alla conduzione del podere, che
trovavano proprio nella loggia lo spazio
ideale per il loro espletamento,
abbia determinato lo spostamento della
scala verso l'interno, per raggiungere
direttamente la cucina.
Altri elementi intercorrono in modo
meno lineare nella trasformazione del
tipo concluso di cui abbiamo parlato e
che resta la fase di maggiore organicità
raggiunta.
Questi
elementi
sono
individuabili sia negli aspetti formali
come il marcapiano e marcadavanzale ed
ancora le lesenature verticali che negli
aspetti funzionali come il portico, la
loggia e la torre colombaria.
Il fenomeno successivo infatti si articola
più sulla scala centrale, non più laterale,
raggiunta da un androne e non più un
portico; e dal prospetto marcato
unicamente dall'accesso all'androne per
l'assenza della torre colombaria e della
loggia.
Tutta la produzione ottocentesca risente
comunque dell'esperienza della seconda
metà del sec. XVIII. Si ritrovano case
coloniche coli portici, logge, marcapiano
e marcadavanzale, e senza torre
colombaria; oppure case coloniche con
torre colombaria senza portico e senza
loggia; e neppure, a volte, marcapiano e
marcadavanzale; e cosi via.
In concomitanza a questo ed anche in
tempi più recenti sono state modificate
ed in alcuni casi stravolte quelle
caratteristiche peculiari delle case
coloniche del periodo della bonifica.
La loggia tamponata, la scala espulsa e
giustapposta al fronte principale con il
conseguente tamponamento del portico,
la giustapposizione laterale, a volte
frontale, di corpi di fabbrica che ne
hanno compromesso la simmetria. Anche
l'abbandono (evidente conseguenza del
decadimento economico dell'attività
agricola), che ha coinvolto gran parte
della produzione edilizia nelle zone
agricole, ha portato a guasti a volte
irreparabili.
Come esempio conclusivo non può non
essere riportato il Casone, sulla sinistra
della strada provinciale Procacci al
confine nord del comune di Lucignano,
con Monte S.Savino.
Il Casone
Comune di Lucignano - PIANO STRUTTURALE 2004 - Quadro Conoscitivo - Relazione pag. 55
Le ville di Campagna
All’interno del territorio agricolo, oltre gli
aggregati rurali dediti principalmente alla
residenza dei mezzadri si trovano le Ville
padronali, a volte isolate, spesse volte
inserite nel complesso produttivo.
Tra le più importanti da citare è senza
dubbio Villa Fabbriche posta nella zona
nord pianeggiante di Lucignano quasi al
confine con il comune di Monte San
Savino.
Questa si trova inserite all’interno del
processo produttivo, difatti di fianco si
riconosce la fattoria e le case coloniche
che ospitavano le famiglie dei mezzadri.
La Villa è già presente al Catasto
Lorenese ed il suo uso è pressoché
invariato nel tempo fino a non meno di
qualche anno fa quando è stata in parte
trasformata in attività ricettiva.
La Villa ha un corpo triplo a 3 piani,
androne passante da fronte a fronte, scala
centrale. La compartimentazione dei
catasti testimonia un ampliamento nel
tempo dei volumi mentre il portico con
terrazzo frontale è diacronico. All’interno
del complesso troviamo la cappella di
famiglia con lapidi funerarie di cui una
datata 1804.
Si trovano anche due corpi annessi
staccati si presume uno, quello limito al
giardino disegnato, usato come serra,
l’altro per rimessa, oggi ristrutturato
come spogliatoio per la piscina inserita di
recente.
La Fattoria di Villa Fabbriche si colloca
rispetto alla villa, limitrofa al giardino e
non come si rileva spesso dalla parte
opposta di un lungo asse viario.
Il retro della Fattoria, forgiato di un
orologio collocato sulla sommità della
copertura a quattro falde, ha facciata
molto sobria e semplice ed è rivolto verso
il giardino della Villa, mentre sulla
facciata principale, rivolta verso una
semicorte, presenta al piano residenziale,
nella campata centrale, una loggia
costituita da una trifora a tuttosesto,
mentre la porta di accesso si trova posta
sulla campata laterale.
Anch’essa è identificabile al catasto
lorenese e presenta una data 1791 su uno
scalino esterno.
Sul fianco laterale, in aderenza si trova
giardino d’inverno utilizzato per la
rimessa delle piante in vaso.
A creare la semicorte troviamo un rustico
separato, utilizzato come magazzino che
ha subito nel tempo un raddoppio
orizzontale secondo il lato più lungo e
presenta una copertura a 4 falde.
Dato che si pone lungo uno dei percorsi
si accesso alla Villa, questo, sul fianco
laterale presenta un paramento murario
che a livello del piano primo presenta due
aperture, oggi tamponate, di forma
semicircolare e che nasconde la falda a
padiglione del tetto trasformando o
comunque camuffando la funzione
prettamente agricola dell’oggetto edilizio.
Sempre di fianco all’area di pertinenza di
Villa Fabbriche si posiziona una casa
colonica di forgia lorenese, con corpo
triplo a due piani, dove il sistema porticologgia è entrato a far parte dello spazio
coperto e la scala si pone esterna , mentre
la
cucina
rappresenta
l’elemento
distributivo.
La Villa Casalta si trova lungo la strada
comunale omonima e precisamente nella
parte a sud del territorio lucignanese.
Anche questa, seppur di impianto più
piccolo, si presenta in un’articolato
rapporto con la produzione agricola.
La villa, oggi ristrutturata e difficile da
raggiungere, è presente al Catasto
Lorenese e nel tempo a subito alcune
aggiunte volumetriche. Attualemte è
intonacata, la copertura a 4 falde, è stata
ristrutturata recentemente. All’interno
dell’aggrEgato è riconoscibile una
cappella privata e un fabbricato
residenziale agricolo.
Altro episodio, anche se molto più
semplice e povero , lo troviamo il Loc. La
Croce di Lucignano, lungo la strada
vicinale della Croce.
La villa di pianta in origine pressoché
quadrata, oggi presenta degli ampliamenti
laterali comunque più bassi rispetto al
corpo fabbrica originario, si articola su tre
piani fuori terra.
originariamente doveva essere intonacata
oggi risulta a faccia vista e alcune delle
finestre di facciata, pur riconoscendosi,
sono state tamponate. Sul prospetto
principale presenta delle lesene in
mattone che scandiscono la facciata in 3
campate, la centrale più ampia, le laterali
più strette.
sulla campata centrale si impostano tre
finestre corniciate in mattoni e
orizzontalmente
contrassegante
da
marcadavanzali sempre di mattone.
Anche gli angolari delle facciata
presentano una certa ricercatezza nella
dispozione del mattone tanto da formare
una doppia parasta accoppiata che
comunque
viene
interrotta
dal
marcadavanzale.
La copertura a 4 falde inclinate, è
presente un rustico posto staccato dalla
villa di scarso valore.
La casa della bonifica
Una sezione di questo paragrafo è
obbligatorio dedicarla alla casa della
bonifica e come si afferma nel territorio
della Valdichiana..
Il territorio agricolo e architettura
rurale della Val di Chiana rappresentano,
in Toscana, uno dei punti di massima
artificialità, della produzione di forme e di
assetti: di più profonda discontinuità.
rispetto ai tempi lunghi di evoluzione e
assestamento dei territori e delle forme
tradizionali dell'architettura rurale in essi
elaborati, derivante da un processo di
costruzione deliberato, preordinato e
attuato in tempi che possono essere
considerati "brevi".
Cosicché la Valdichiana emerge dal
quadro regionale, per il suo carattere di
"invenzione storica" e di "prodotto
culturale", carattere che costituisce, in
definitiva, la sua irriducibile identità.
Va da se che con queste affermazioni ci
riferiamo al sistema territoriale del
fondovalle bonificato, e cioè a un
territorio del tutto "speciale" sia per i
fattori
legati
alla
proprietà
e
all'accorpamento (proprietà granducale
prima Medicea poi Lorenese), alla
formazione (la bonifica appunto) e alla
gestione di tipo unitario e accentrato.
Mentre per la restante parte del territorio
collinare e alto collinare, la Val di Chiana
appare del tutto "normale", cioè
omogenea, e solidale nelle forme, al
territorio aretino tradizionale: fatta
eccezione, in parte, per i fenomeni, in
essa più consistenti, di irraggiamento e
diffusione, anche all'interno delle aree
tradizionali, di modalità architettoniche
Comune di Lucignano - PIANO STRUTTURALE 2004 - Quadro Conoscitivo - Relazione pag. 56
sperimentate e diffuse estensivamente
nelle aree bonificale.
Da qui anche l'opportunità di
ripercorrere sinteticamente i vari
contributi che sulla casa della Valdichiana
sono stati prodotti lungo un processo
critico che partendo dalla nozione di tipo
si e articolato verso un sempre maggiore
riconoscimento del momento progettuale
specialistico (la tal casa firmata dal tale
architetto) fino forse a
perdere la
nozione di parentela con tipi analoghi, a
perdere di vista i rapporti con la
tradizione locale e la percezione di una
diffusa cultura progettuale incentrala sulla
produzione di case a sviluppo istantaneo
e definitivo (la casa a blocco unitario con
tetto a padiglione con o senza portici,
logge e torre colombaria), e quindi
bloccalo,
dalla
configurazione
architettonica, rispetto a possibili
accrescimenti.
In definitiva per la comprensione della
casa della Val di Chiana ha maggiore
efficacia conoscitiva la nozione di tipiche
non quella di modello. Infatti se è vero
che in alcuni casi, ci troviamo di fronte
alla diffusione territoriale di un modello
(progetto che sì ripete identico a se
stesso). E’ altrettanto vero che l'insieme
delle case della bonifica, per quanto in
parte singolarmente firmate. rimandano
più compiutamente alla nozione di tipo
cioè a idea di casa soggiacente a distinte
formulazioni architettoniche, accomunate
da un analogo processo di aggregazione
delle parti in gioco ed a una analoga
intenzionalità di costituire una forma
compiuta e definita.
Ma, al di là dell’efficacia conoscitiva delle
nozioni di tipo e di modello non è
discutibile il fatto che questo insieme di
case è il prodotto unitario di una cultura
architettonica di origine urbana diffusa in
un primo tempo da Ingegneri e Architetti
dello Scrittoio
legata al grande
movimento riformatore illuminista e
fisiocratico del 700, e che i prodotti di
questa cultura costituiscono la fase ultima
di un processo che inizia con le forme
aperte alla crescita della tradizione locale
con l’apparente linearità del rapporto
forma/funzione, con la leggibilità diretta
e univoca della funzione proprie
dell’architettura spontanea, e che si
conclude come sistema di regole
specialistiche del potere granducale.
Risale al 1938 il riconoscimento della
specificità della “Casa della Bonifica”,
della Valdichiana. I caratteri dominanti
sono la pianta pressoché quadrata, il tetto
a padiglione ed elemento di spicco la
torre colombaia. Questo tipo che si
ritrova in tutto il territorio della
Valdichiana soprattutto nelle costruzioni
più importanti. Elemento caratteristico e
ricorrente di questa tipologie è il sistema
portico frontale con sovrapposizione di
loggia. ovvero la scala viene inglobata
all’interno delle mura che delimitano il
fabbricato.
Questa sistema costruttivo si riscontra
successivamente anche negli edifici di
edilizia di base che nel processo di
trasformazione nel tempo hanno spesso
raddoppiando il corpo di fabbrica e
aggiunto un profèrlo spesso molto simile
al sistema portico loggia delle case della
bonifica.
Non è però da sottovalutare l’influenza
che il periodo Rinascimentale ha giocato
sul territorio toscano e in alcune regioni
italiane
dove
la
caratteristica
squisitamente urbana del loggiato si
ritrova applicata nel mondo rurale
sopratutto negli edifici più specialistici.
Si deve a un breve saggio di Guido
Morozzi, scritto nel 1942 un importante
passo avanti nel
riconoscimento delle matrici colte
dell'architettura rurale del Valdarno e
della Val di Chiana; individuate sia nel
ruolo progettuale diretto di architetti e
ingegneri delle R.R. Possessioni, come
Bernardino della Porta e Giuseppe
Salvetti. attivi nel periodo 1738/90 del
dominio Lorenese , sia nel perpetuarsi di
modalità architettoniche della fine del
'500 fino ai primi del secolo.
In particolare vengono individuati tre
edifici prototipo alla base del processo
formativo del complesso di edifici
colonici valdarnesi "ispirati alla perfetta
simmetria e giusta proporzione": il
palazzo vicariale di S. Giovanni Valdarno,
la villa delle Falle di Gherardo Silvani
1599 e la villa Anselmi Medici di Mandri
presso Reggello (1666); e da questi
derivano, fondamentalmente, le tre
principali varianti tipologiche delle
facciate:
1.
portico e loggia contigui su tutto il
fronte
2.
portico e loggia continui ma
limitati da due torrette angolari
3.
portico e loggia centrali con sodi
laterali.
Sulla linea interpretativa del Morozzi si
muove anche il saggio di Lorenzo Gori
Montanelli che privilegia il ruolo del
Buontalenti nel processo di formazione
ed elaborazione dell’architettura rurale
della
Toscana
e
riconoscendo
l’invenzione dell’impianto volumetrico
tutto giocato sul rapporto di orizzontalità
del corpo della casa e la verticalità della
torre colombaia.
Guido Ferrara inoltre riconosce che tra
XVI" e XVII" secolo si va formando una
coscienza architettonica nuova, che
produce le abitazioni non più pezzo per
pezzo, ma in un unico blocco, con un
ordine e uno studio preliminare molto
preciso.
Sono i secoli in cui si costruiscono le
prime case con i loggiati e la torre
colombaria: si imprime all'architettura
colonica una simbologia che diverrà
caratteristica e caratterizzante anche nei
secoli successivi tant’è che lo stesso
Leopoldo diverrà il committente di case
coloniche delle case dei suoi poderi.
Questo contribuisce ad abbandonare
l’edificio a crescita illimitata, ed ad
avvalorare sempre più l’edificio compiuto
ordinato da regole composite chiare e
definite.
Lo studio della formazione ed evoluzione
nel tempo della casa rurale ed in
particolare di quella della bonifica ha nel
tempo seguito due filoni diversi, uno
propriamente geografico e architettonico,
l’altro storico architettonico. Entrambi i
filoni hanno portato dei risultati ma sono
apparsi comunque limitati.
Il primo, quello geografico architettonico
-, pur negli indubbi vantaggi della
divisione di insieme realizzata, talvolta,
con illuminazioni preziose sui processi
formativi di lunga durata, pecca spesso di
eccessi di generalizzazione e cioè di
mancanza di approfondimenti areali e di
periodizzazioni significative. Al contrario
il secondo, - Quello più propriamente
storico -, affidandosi prevalentemente alle
fonti documentarie e quindi alla loro
inevitabile parzialità e casualità, finisce
per illuminare in profondità soltanto
fenomeni circoscritti, ovvero troppo
circoscritti, e comunque tali da non
Comune di Lucignano - PIANO STRUTTURALE 2004 - Quadro Conoscitivo - Relazione pag. 57
consentire una compiuta investigazione,
anche per un periodo determinato dalla
complessità del processo di articolazione
tipologica di una data area.
Occorre - come ha affermato Caniggia -,
diffidare di un tipo di rilevamento a
tappeto, di tipo asettico; è invece più
importante avere ipotesi di partenza
sufficientemente chiare su quello che
occorre cercare, pronti comunque a
scorgere le tracce e le spie delle cose che
ancora ci sono ignote.
Da qui sorge la necessità di integrare la
ricerca storica e la ricerca architettonica
secondo approcci territoriali coordinati
attraverso i quali costruire un quadro
d’insieme della stratificazione storica dei
fatti edilizi, ai quali riferire la molteplicità
spesso necessariamente episodica, della
documentazione archivistica.
Ma al di là delle metodologie di indagine
di conoscenza e classificazione del
patrimonio edilizio sviluppatosi dopo la
bonifica della Valdichiana è importante
sottolineare come la società contadina e
quella aristocratica ad un certo punto si
pongono di fronte al concetto di
residenza, lavoro e produzione e il ruolo
che assume l’edificio che contiene e in
parte contribuisce a questo processo di
vita.
La casa della bonifica è intesa come
“realizzazione su grande scala di un
disegno
politco-culturale
di
cui
l’architettura è parte integrante.
La casa come blocco chiuso e definito in
un podere misurato e chiuso anch’esso
commisurato alla dimensione della forza
lavoro, quindi il rapporto definitivo tra
residenza, mano d’opera e produzione
presuppongono l’idea di unità aziendale
dove costi e ricavi devono in qualche
modo rapportarsi. Il pensiero ordinatore
è quello illuminista e la rigorosità e
simmetria rinascimentale della forma
calza
perfettamente
con
la
rappresentazione dell’ordine finale della
razionalità del progetto.
Comune di Lucignano - PIANO STRUTTURALE 2004 - Quadro Conoscitivo - Relazione pag. 58
2.5 L’ALBERO D’ORO DI
LUCIGNANO
( Reliquario a foggia d'albero detto albero d’oro
lucignano 1350 - 1471)
Alto m. 2.60, in rame dorato, argento e
smalti, presenta sei rami per parte con
piccole foglie, terminanti con castoni con
all'interno, da una parte miniature su
pergamena, dall'altra smalli traslucidi; la
cornice e decorata con ramoscelli di
corallo rosso. "Fra un ramo e l'altro, sei
piccoli rami di corallo uguale rosso.
L’albero termina con una croce,
sormontala a sua volta da un uccello
nidificante, intento a beccarsi il petto,
L'intero impianto posa su di una base a
forma di tempictto gotico. Sul piedistallo
presenta la scritta dedicatoria.
Il reliquiario di Lucignano fu iniziato
dunque nel 1350. Questa data ha fatto
supporre, vista alta qualità dell'oggetto,
che fosse opera di Ugolino di Vieri. In
realtà,
la
severità
delle
linee
architettoniche del tempietto gotico nel
basamento dell'albero appare assai
lontana dallo stile di Ugolino. Per alcuni
critici e stirici d’arte, questo capolavoro
sarebbe da porsi nell'orbita della
minialuristica senese del XVII sec.
Altri ancora, l’ attribuiscono più
genericamente come di opera di oreficeria
toscana, ovvero aretina, in cui si avverte
la presenza dell'influsso senese, pur
sempre raffrenato da una sorta di più
pensosa meditazione, proveniente da un
incontro non casuale con l'altra
esperienza di arte orala allora assai
rilevante,
la
Fiorentina appunto. Ci dovremmo in
definitiva trovare di fronte ad una
Felicissima sintesi di arte senese e
fiorenlina, caratteristica questa di molta
arte aretina.
L'albero fu terminato nel l47l da
Gabriello d'Antonio e poi conservato in
un armadio decorato da l.uca Signorelli, al
quale fu commissionalo a l.ucca il 16
ollobie 14S2. Sventuratamente questo
armadio e andato distrutto ed oggi non
se ne possiede nessuna traccia tranne,
forse, la lunetta con «S. Francesco clic
riceve le stimmate» di cui si e già parlato.
Il reliquario ha subito varie vicissitudini; nel 1914 fu infatti rubato e smontato
completamente dai ladri. Fortunatamente abbandonalo e ritrovalo in un
campo, venne restaurato dall' allora R.
Opificio delle Pietre Dure di Firenze.
Di particolare interesse, l'esame delle
splendide miniature dipinte. Al termine
dei bracci o rami, l'orafo trecentesco
previde infatti delle patene con figure di
apostoli e di santi in poliboli, sbalzati e in
origine sicuramente smaltati. Ma posteriormente, almeno tre profeti a mezzo
busto con cartigli, di misura più grande, vennero sostituiti.
Le tre figure rammentano lo slile di Piero
della Francesca. Per taluni storici dell'arte,
questi «proleti» si aggiungono al non folto
elenco di opere di artisti die
immediatamente gravitano, intorno al
1470, sulla pittura del grande pittore di
Sansepolcro.
Tra di essi, presumibilmente lo slesso
Luca Signorelli, ancora nel 1474 (Città di
Castello) strettamente aderente a Piero e
il fioorentino Bartolomeo della Gatta,
oralo di formazione, nel 1470 monaco ad
Arezzo e certamente pierfrancescano.
Ad una analisi più attenta, quantunque
anch'essa confutabile, queste miniature
sembrano appartenere invece ad un
miniatore della cerchia di Francesco
d'Antonio del Chierico.
Il reliquario costituisce peraltro il vero
trionfo dell'allegoria. Esso esprime invero
l’esaltazione della Chiesa, la quale,
attraverso il sacrificio dei santi
(rappresentati
dalle
miniature,
mentre il loro sangue è legittimato dall'
uso del corallo rosso) e di Gesù Cristo
morto sulla croce, riesce a perpetuae il
suo alto magistero.Il tempietto gotico
è dunque l'emblema di un potere certo,
terreno, della Chiesa Cattolica, facilmente ravvisabile. Lo stesso uccello
nidificante sopra citato altro non è che il
pellicano, animale che secondo il mito
classico si beccava il cuore per rigenerarsi
in continuazione. Nel periodo di
massimo sviluppo della miniatura
prolomedievale, la Chiesa stessa veniva
rappresentata sotto forma di pellicano.
Questa originalissima opera di oreficeria
ha sempre colpito l'immaginaz.ione
popolare, secondo la quale le promesse di
matrimonio si facevano proprio ai piedi
dell'albero.
L’Albero d’Oro di Lucignano
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2.6 I PERSONAGGI STORICI
DI LUCIGNANO
2.6.1. FEDERIGO CAPEI (1777-1486)
Funzionario toscano fra rivoluzione e
restaurazione
( a cura di Samuele Fanelli, tratto da I
Quaderni Lucignanesi, vol.1)
La figura di Federigo Capei si inserisce
pienamente nella .stona della cultura di
fine '700 e inizio '800.
Nato da una famiglia nobile e benestante
egli seppe uscire dai limiti di una vita
terrazzana attraversando i grandi fermenti
politici e culturali del suo tempo, ed
impegnandosi in attività diplomatiche e
amministrative, soprattutto m favore
della
Toscana,
meno
in
vero
dei suoi governanti.
Ne è testimonianza la sua partecipazione
all'attività amministrativa fin dal 1804 con
Maria Luisa di Borbone, per passare poi
al servizio del governo francese, prima a
Parma poi a Parigi, facendo ritorno a
Firenze alla caduta di Napoleone poipersi al servizio dei Lorena, legittimi
sovrani del granducato.
Federigo Capei nacque il 25 ottobre 1777
a Lucignano. Dopo i primi anni trascorsi
nel borgo nano - de! quale la famiglia
Capei era una delle più illustri sia dal
punto di vista economico che da quello
sociale, Federigo, sin dal 1789, scompare
dal registro anagrafico di censimento che
veniva compilato ciascun anno nei
riguardi d'ogni famiglia.
In effetti, da quell’ anno, egli fu accettato,
in qualità di convittore, presso il collegio
Cicognini di Prato. Uscirà dal collegio
due anni dopo, per continuare i suoi studi
a Roma, presso il collegio Bandinelli.
Rimase qualche anno a Roma per far poi
ritorno in Toscana.
Poche ed incerte sono le notizie su questi
ultimi anni e solo dal necrologio,
possiamo ricostruire fatti e avvenimenti
circa questi suoi impegni formativi prima
che assumesse incarichi pubblici.
D'altra parte occorre sottolineare che, alla
fine del '700, una serie d'avvenimenti,
traversie politiche e mutamenti di regimi
cagionarono probabilmente la distruzione
di documenti e archivi.
Mentre la famiglia Capei continuava a
risiedere in Lucignano, Federigo, già dal
1800, si era trasferito a Firenze.
Il Capei rimarrà a Firenze per circa 20
anni. Si trasferirà poi ad Arezzo, intorno
al 1820, quando la sua attività di
soprintendente
dell'amministrazione
economico - idraulica della Val di Chiana,
lo obbligherà a frequentare spesso
l'ufficio centrale, che aveva sede
proprio ad Arezzo. L’attività pubblica
inizia per il Capei nel 1804 quando Maria
Luisa, regina reggente, lo nomina aiuto
cassiere del Regio Uffizio del Bigello.
L’impiego del Capei durerà soltanto
pochi mesi fino a quando la regina
reggente lo affianca in qualità d'aiuto alla
Soprintendenza Generale delle Acque in
Val di Chiana, ad Andrea Muti.
L'incarico gli verrà riconfermato, , pur
nelle alterne vicende di quegli anni m cui
cambiarono più volte i governi, e Fino al
1827 allorché verrà nominato direttore
dell'Amministrazione
EconomicoIdraulica della Val di Chiana.
Nel periodo della dominazione francese
la Toscana fu suddivisa in tre
dipartimenti:
Arno,
Ombrone
e
Mediterraneo, amministrati secondo leggi
e ordinanze emanate da Parigi.
In quel periodo molti furono i toscani,
eminenti per lignaggio e capacità, che
vennero chiamati a Parigi per apprendere
d'amministrazione e gestione del
governo.
Fra questi: Vittorio Fossombroni, il cav.
Ippolito Venturi, Giuseppe Griffoli e lo
stesso Federigo Capei, che fu nominato
Auditore al Consiglio di Stato.
Fu in tale vesce che ottenne, in breve
tempo, la piena fiducia di Napoleone, il
quale,
nel
volgere
di
pochi
anni, lo nominò Auditore al Corpo
Dirigente di Ponti e Strade con l'incarico
di ispezionare i Dipartimenti oltre le Alpi,
compresa la Corsica per poi andare su
incarico del doverne Imperiale anche in
missione a Vienna.
Nel 1810 divenne amministratore a
Parma dei beni della Corona per il
dipartimento del Taro e, sempre nello
stesso anno, fu nominato commissario,
per conto del governo francese, presso il
regno di Napoli. Mentre era a Napoli gli
fu comunicato d'essere stato prescelto
quale presidente del Magistrato del Po.
L'impegno profuso, nel curare gli
interessi dell'amministrazione francese, fu
ricompensato l'anno seguente con
l'assegnazione
di
un'onorificenza
creata da Napoleone nel 1811 per
celebrare l'annessione dell'Olanda alla
Francia.
Così il 28 marzo 1812, con decreto
imperiale, il Capei fu nominato cavaliere
dell'ordine imperiale della Reumon.
Capei rimase a Parma fino al 1814, anno
in cui, a seguito dell'abdicazione di
Napoleone, si ebbe, di fatto, la fine
Comune di Lucignano - PIANO STRUTTURALE 2004 - Quadro Conoscitivo - Relazione pag. 60
dell'impero. Dei territori che erano
Stati sotto il dominio diretto o indiretto
della Francia, la Toscana venne assegnata
agli Asburgo - Lorena così come il ducato
di Parma, Piacenza e Guastalla che passò
dai Borboni all'imperatrice Maria Luisa,
moglie di Napoleone e Figlia di
Francesco, imperatore d'Austria.
In attesa della nuova duchessa venne
nominato, a Parma, un consiglio di
reggenza. A rappresentarlo arrivarono
due commissari imperiali: il conte
Strassoldo e il conte Marescalchi.
Il Capei, che dal 1810 era amministratore
a Parma dei beni della corona, si recò,
quasi certamente, a Vienna per offrire alla
sua nuova sovrana i propri servigi.
Vi ritornò munito di una lettera della
sovrana stessa che lo autorizzava a
rappresentarlo
Appena rientrato in Toscana, il Capei
venne nominato direttore della Magona a
Pistoia.
La caduta di Napoleone ed il congresso
di Vienna portarono ad una nuova
definizione dei confini d'Europa.
II granducato di Toscana ritornò nelle
mani dei Lorena e precisamente in quelle
di Ferdinando III, secondogenito della
casa d'Austria. Alla Toscana furono
annessi i territori del principato di
Piombino, dell'isola d'Elba e del
ducato di Lucca.
Il Capei, nominato commissario civile
dell'imperiale e reale altezza Ferdinando
III, fu delegato a prendere possesso del
principato di Piombino sicché nel 1815,
nel momento in cui il governatore civile e
militare austriaco della città lasciava il
principato Capei lanciò un appello agli
abitanti perché tenessero ben a mente che
l'annessione alla Toscana avrebbe portato
l'abolizione di vincoli doganali, un
sistema uniforme di leggi liberali sempre
applaudite dagli stranieri, la promessa di
incoraggiare e sostenere con tutti i mezzi
gli utili stabilimenti che in qualunque
tempo fossero stati creati.
La medesima sorte del principato di
Piombino l'ebbe l'isola d'Elba, da sempre
considerata, dalle grandi potenze, una
pedina di scambio molto importante.
Il Capei fu sicuramente abile nel gestire
questo passaggio di sovranità tanto che
ottenne l'apprezzamento del granduca,
che lo reputava funzionario fedele ed
amministratore capace per la casa
Lorena. Nel 1816 tale apprezzamento
diverrà concretezza con l'attribuzione
della carica d'aiuto amministratore
economico e amministratore idraulico
della Val di Chiana, a sostegno dell'opera
che da alcuni anni, andava portando
avanti il Fossombroni.
Iniziava così un periodo particolarmente
fecondo nell'attività amministrativa del
Capei che durerà fino al 1833.
Contemporaneamente a questa carica gli
furono attribuiti altri incarichi e oneri
quali il risanamento del pantano di Monte
San Savino, del piano del Busso presso
Asinalunga, il riassetto dell'Arno Chiana e
Chiassa
nell'Agro
aretino,
il
concordato idraulico con lo stato
pontificio del 1820.
A rappresentare il governo toscano oltre
al Capei vi era Alessandro Manetti.
In tale concordato furono stabilite
ulteriori opere di bonifica del piano della
Biffa e delle Bozze Chiusine nei territori
di città della Pieve e di Chiusi., lavori per
la deviazione delle acque del lago
Trasimeno e per la strada d'Urbania e
Orvieto.
Dopo il congresso di Vienna, al ritorno in
Toscana dei Lorena, Ferdinando III
nominò Fossombroni alla guida del
governo e del ministero degli esteri, e
pensò di dare una sistemazione idraulica
alla Val di Chiana.
Vi era, dunque, la necessità di creare
un'amministrazione che sovrintendesse i
beni idraulici ed economici di quella zona
e fosse capace di esprimere, nel suo
ambito, un presidente in grado di
dirigerla.
Era opportuno che il Presidente
risiedesse nella provincia medesima dove
sono situate le fattorie.
Per rendere operativa tale proposta il
granduca istituì un'amministrazione per
le dodici Fattorie della Val di Chiana che
assumeva competenze sia di carattere
amministrativo sia di carattere idraulico.
La sede dell'amministrazione fu posta in
Arezzo, sovrintendente generale fu
nominato
Fossombroni,
direttore
Gamurrini ed aiuto del sovrintendente
Federigo Capei.
Da quel momento, numerose e
dettagliate furono le notizie su quelle
dodici Fattorie poiché Capei, avvertì la
necessità
di
rendere
partecipe
d'avvenimenti
e
procedure
l'amministrazione dello stato in cui si
trovavano le regie
possessioni,
evidenziando, altresì, i gravi danni che
derivavano sia da una cattiva utilizzazione
del personale sia da uno sfruttamento
non adeguato dei vari terreni delle
fattorie.
Lapide di Federigo Capei posta sulla facciata
dell’omonimo palazzo
Fu avviato, da parte del Capei, un
progetto di riordino del quale
informava con continuità il Fossombroni
ed indirettamente, quindi, il sovrano.
Per gli anni che vanno dal 1816 al 1820
esistono molti documenti che si
riferiscono al progetto generale di
riordino, che era teso, soprattutto, a
migliorare la situazione economica della
zona ed a riorganizzare i ruoli degli
occupati delle fattorie.
Nella sua relazione, il Capei prendeva in
esame il numero delle famiglie, dei
lavoratori, la situazione economica
relativa alle coltivazioni, al bestiame ed ai
fiorentini allevamenti dei bachi da seta.
Riordinando poi il quadro delle entrate e
delle uscite generali si potevano offrire
previsioni sulle possibili strategie
economie da adottare.
Venivano definiti anche i nuovi profili dei
vari dipendenti, fissato i compiti del
direttore, degli ispettori, dei computisti e
degli ingegneri.
Era certamente un cambiamento
notevole rispetto ad una tradizione
sostanzialmente orale, cioè a quella che
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sino allora aveva determinato i rapporti
tra amministrazione e contadini.
Il Capei, elaborando in maniera
minuziosa la scritta e definendo i nuovi
ruoli dei dipendenti, contribuiva, in modo
rilevante, a regolamentare una materia
delicata che fino a quel momento si
era basata .sulla consuetudine e su patti
orali che potevano dare spazio a soprusi
di vario genere.
La scritta colonica dettava le condizioni
generali del patto mezzadrile sotto forma
di 29 articoli che regolavano tutte le
materie
del
rapporto
colonico.
La scritta, proposta dal Capei, tu
approvata dal sovrano.
Questo patto doveva essere sottoscritto
dal colono e dal fattore al momento
dell'entrata nel podere.
Lo scopo era quello di elencare, in modo
preciso, i compiti e gli obblighi che il
contadino
aveva
nei
confronti
dell'amministrazione, la quale, a sua
volta, controllava, e in modo meticoloso
tutto l'operato, definendo anche il
numero di animali che il lavoratore e la
sua famiglia potevano tenere.
Nella sua relazione il Capei aveva ben
individuato, nella coltura dei terreni, nella
scelta della, qualità delle sementi, nella
fedele raccolta e conservazione dei
prodotti e nella morigerata condotta degli
agricoltori, le peculiarità che avrebbero
giovato
alla
prosperità
dell'amministrazione.
Secondo l'indagine del Capei, all'interno
delle fattorie, erano sicuramente gli agenti
le figure più rilevanti, anche se, sovente,
erano inadeguati al compito affidato loro,
ed incapaci nel lavoro.
Gli agenti, sovente chiamati dai contadini
"padroni", avevano mostrato un certo
astio nei confronti della nuova
amministrazione sentendosi lesi dalle
misure di vigilanza sopra i loro
ordinamenti.
Per risolvere la questione il Capei
ricordava, nella sua relazione, di aver
proposto, corsi d'iscrizione per gli agenti,
approvati poi dal sovrano l'anno
seguente. Gli agenti dovevano ben sapere
come comportarsi: in ogni situazione.
Molti erano i divieti che un agente
doveva osservare nelle esplicazioni delle
proprie funzioni.
Erano proibiti i debiti d'ogni genere,
erano obbligati a registrare tutti gli
acquisti e le vendite di bestiame
della fattoria.
Veniva
istituito
il
cosiddetto
quadernuccio dei mercati che serviva ad
appuntare le spese per il bestiame e quelle
per i lavoratori e nel quale si annotavano
anche le remunerazioni per i lavoratori..
Vi era anche il quaderno dei pasti in cui i
vari impiegati della corona registravano le
volte e le occasioni in cui veniva
somministrato loro il pasto.
Annotavano
anche, in un conto
separato, le elemosine giornaliere che si
elargivano in ciascuna fattoria.
Gli agenti dovevano avere, nei confronti
della corona, un atteggiamento di
correttezza, onestà e fedeltà.
Tutti i favoritismi erano vietati così come
doni o presenti.
I controlli erano continui e minuziosi, ed
era obbligatorio inviare ogni mese un
rapporto generale.
Negli allegati venivano stabiliti anche le
provvisioni annue per ciascun impiegato
oltre le provviste di biancheria, mobilia,
orto, colombaia, lume, fuoco assegnati ad
agenti,
impiegati
ed
inservienti
delle fattorie stesse.
Di fronte alla minuziosità nell'appuntare
le spese, il Capei non mancava di
sottolineare i possibili rischi di
un'economia severa che, alla fine, poteva
essere solo apparente vista la necessità di
avere inservienti onesti e fidati.
Occorreva dunque stabilire delle
indennità che potessero essere utili
all'amministrazione ma anche alla buona
morale.
Per poter gestire i grandi terreni delle
fattorie granducali, il Capei individuava la
necessità di più figure per ognuna delle
quali egli specificava una serie di
istruzioni che si intendevano al loro
profilo, alle loro funzioni, ai loro rapporti
con i superiori e con l'amministrazione.
A capo di questa struttura v'era un
direttore, al quale vennero assegnati ampi
compiti che interessavano direttamente
l'andamento delle bonifiche, mentre le
competenze idrauliche vennero affidate
ad ingegneri, l'amministrazione assegnata
a computisti e il settore economicosociale concesso ad ispettori. In questo
ambito il direttore doveva rispondere del
suo
operare
sia
alla
pubblica
amministrazione che allo stesso Capei,
pur avendo, comunque, un ruolo
autonomo sì da poter operare, contattare,
concedere, sospendere, licenziare a
proprio piacimento. Egli sovrintendeva il
lavoro di tutto il personale gestendo un
bilancio e lo stato di previsione, creando
anche un fondo per far frante in casi
imprevisti e fortuiti dell'annata.
Per quanto concerneva l'ambito sociale
egli aveva la facoltà di dividere le famiglie
coloniche, troppo numerose, trasferendo
i contadini da un podere e da una latteria
all'altra.
Emerge quindi una figura egemone che,
da una parte, aveva rapporti continui con
l'amministrazione,
ottenendo
da
quest'ultima anche consulenze per le
questioni legali, e, dall'altra, aveva un
ruolo autonomo potendo decidere
sull'andamento generale delle grandi
fattorie.
Nella gestione delle fattorie il direttore
era coadiuvato da figure intermedie,
ognuna delle quali aveva dei compiti
specifici.
Gli ingegneri, ad esempio, avevano il
compito di vigilare gli argini dei fiumi e
dei torrenti, di impedire le inondazioni e
di fare tutte le disposizioni opportune a
prevenire i pencoli. Dovevano anche
vigilare sulle strade, sui lavori delle
fabbriche, sulle colmate, argini, fossi,
scoli, ponti e su tutti gli altri lavori ad
eccezione delle coltivazioni, ed avevano
l'obbligo di essere sempre presenti e
l'onere d'essere direttamente responsabili
dei lavori fatti eseguire.
Nell'amministrazione erano i computisti
le figure intermedie. Essi avevano il
compito di tenere mensilmente in giorno
i libri spogli dei saldi della rispettiva
annata colla scrittura del mese precedente
tenuta dagli agenti. Mese dopo mese, i
computisti dovevano, poi, riportare nei
quaderni dei saldi tutte le partite di
scrittura - che si trovavano segnate nel
duplicato di scrittura - entrare ed uscire in
contanti, entrate ed uscite in grasce,
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legnami e lavori alle fornaci. A fine anno
il lavoro diventava per loro oneroso
poiché
dovevano
anche
essere
rivisti gli inventari riguardanti i mobili, la
biancheria, gli utensili, gli attrezzi. A fine
anno venivano, anche, fatte le stime del
bestiame.
L'andamento complessivo delle fattorie,
in base alla scritta colonica, era affidato,
nell'articolato ordinamento del Capei,
all'ispettore, il cui ufficio era subordinato
solo al direttore.
L'ispettore doveva dare tutte le
disposizioni necessarie per assicurare l’
andamento economico della fattoria.
Doveva, due volte all'anno, fare eseguire,
in ciascun podere, la verifica delle
sementi. L'ispettore doveva scegliere,
sulla base della qualità dei vari terreni, le
colture più adatte, rispettando la tipicità
dei vari luoghi.
In particolare grano e granturco, fagioli e
patate facevano parte integrante del vitto
delle famiglie e quindi dovevano essere
poste in coltivazione obbligatoriamente.
Altrettanto tipica era la coltivazione della
vite. La vigilanza, esercitata dagli ispettori
sui vari agenti, doveva essere puntuale ed
attenta affinché non fosse venduta alcuna
partirà d'uva senza espressa approvazione
superiore.
L'ispettore doveva vigilare anche sulle
stalle, perché esse fossero tenute sempre
provviste del bestiame necessario.
La vigilanza interessava anche le famiglie
dei contadini, sulle quali gli ispettori
erano chiamati a raccogliere informazioni
in merito ai possibili debiti contratti nel
corso dell'annata.
Le condizioni che regolavano il rapporto
dell'amministrazione delle .fattorie con
contadini vennero quindi proposte dal
Capei ed approvate con sovra-no
rescritto del 7 aprile 1817. Il patto
colonico era firmato congiuntamente dal
colono e dal fattore e sanciva una serie
d'obblighi ai quali il colono non poteva
venire meno, pena il suo immediato
licenziamento.
Questi doveri investivano sia la vita personale sia quella lavorativa del contadino.
Un contadino non poteva prendere
moglie senza l'approvazione scritta
dell'amministrazione e doveva impegnarsi
perché in famiglia si usasse un
vestiario semplice ed economico,
utilizzando lana e filati del proprio
podere.
Il licenziamento era previsto per casi di
furto, per inosservanza delle norme
previste dalla scritta colonica, per ingiurie,
per la vendita abusiva di piante o alberi,
per debiti superiori a mille lire ed anche
per la frequentazione di luoghi di
sperpero e vizio.
Il contratto di mezzadria, costituito da 29
articoli, era accompagnato e integrato da
una serie di circolari.
Al fine di poter vigilare direttamente sugli
agenti, dei quali il Capei non approvava
certo le iniziative autonome e
l'atteggiamento da padroni delle fattorie,
fu reso obbligatori l'uso di veri e propri
quaderni ufficiali per le vendite,
controfirmati dall'ispettore, per evitare
così arbitri in merito alle entrate ed alle
uscite.
Gli agenti, anzi, furono ritenuti
direttamente responsabili d'atteggiamenti
illegittimi nei confronti dei contadini se
non rispettavano le regole imposte
dall'amministrazione stessa.
Un discorso a parte merita, rispetto alla
coltura tradizionale, quell' innovativa dei
bachi da seta.
Per incrementare tale coltura nei terreni
della bonifica furono messe a dimora,
lungo le strade ed al delimitare dei campi,
piante di moro, le cui foglie erano
l'alimento essenziale per i bachi. A
riguardo, il Capei elaborò tutta una serie
d'istruzioni, in cui si specificavano le
modalità più appropriate per una cova
che volesse dare un buon rendimento
economico.
Il processo della cova era lungo e doveva
essere sorvegliato accuratamente dagli
agenti sin da quando iniziava la
vegetazione dei mori.
Nella circolare del Capei vi erano
indicazioni precise: dalla raccolta delle
foglie alla loro asciugatura, in caso di
piogge. Il Capei ordinava agli operai di
portare nei campi una vanga per non star
il far niente quando le piante erano umide
e non potevano essere toccate. Dopo la
raccolta dei bozzoli, si passava alla scelta
delle cove per l'anno successivo
selezionando il seme per assicurare il
miglioramento della qualità.
Di fatto l'amministrazione centrale delle
fattorie granducali sovrintendeva un
territorio così ampio che era praticamente
impossibile una vigilanza stretta e diretta
sull'operato di tutti talché diversi
erano i casi di abuso di potere.
Furono dunque diramate, per ottenere
cognizione la più approssimativa,
istruzioni dettagliate per la compilazione
dello stato mensile della cassa e delle
grasce, riferita a ciascuna raccolta.
Gli agenti erano anche obbligati a riferire,
settimanalmente alla direzione, le vendite
effettuate, sempre attenendosi al modello
che veniva loro fornito.
Particolarmente accurata e regolamentata
era la concessione del vitto ai vari
lavoratori e la paga dispensata ai fabbri,
legnaioli e altri manifattori.
Ad ulteriore conferma delle funzioni
amministrative che egli assolveva in
nome
del
granduca
vi
è
la
notifica del 10 novembre 1821 nella quale
venivano a precisarsi, in 17 articoli, le
modalità con cui si doveva procedere, in
Val di Chiana, all'alienazione o contratto
con canone, in contante o in
vendita libera, degli stabili appartenenti
all'imperiale e reale corona.
La definizione delle modalità di vendita o
godimento delle varie proprietà era
precisa, quasi puntigliosa, ma altrettanto
necessaria
visti
gli
enormi
interessi, anche in conflitto tra loro, che
entravano in gioco, mano a mano che si
procedeva nelle bonifiche della valle.
Nel novembre 1827 Leopoldo II incaricò
il Fossombroni d'occuparsi della bonifica
della Maremma.
La Maremma costituiva un territorio assai
vasto che comprendeva non solo l'area
litoranea ma anche le zone interne e
collinari.
Di
tatto
andava
da
Castiglioncello fino al confine con lo
Stato Pontificio.
Nei primi secoli a.c. era un territorio
salubre e privo quasi di paludi, al
tramonto dell’ impero romano, così come
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era avvenuto per la Val di Chiana, il
crescente sconquasso idrico porrò ad una
rapida deterioramento della regione.
Non appena giunti, i Lorena mostrarono
subito una forte sensibilità nei confronti
del problema della bonifica ed iniziarono
a risanare il territorio favorendo così il
riassetto idrogeologico, combattendo la
malaria e garantendo migliori condizioni
di vita.
Il frazionamento dei terreni fu essenziale
per avviare la bonifica, e per creare un
ceto di medi e piccoli proprietari che
avrebbe potuto migliorare enormemente
le potenzialità produttive di questa
parte del granducato.
Fu Leopoldo II che, emanando un
motuproprio il avviò la bonifica della
pianura
grossetana
affidando
l'amministrazione ad una commissione
idraulico-economica composta da un
direttore alla bonifica, da un ministro
economo e da un architetto idraulico.
Erano, di competenza del direttore, tutte
le misure che riguardavano l'esecuzione
della bonifica. Egli aveva, altresì, il
compito di sottoporre all'approvazione i
progetti di lavoro firmati dall'architetto e
destinati a dare esecuzione alle varie parti
del piano di bonifica.
Era suo compito, insieme all'architetto,
scegliere i caporali conduttori dei lavori,
stabilendo il loro salario giornaliero.
La commissione idraulico-economica
aveva, di fatto, non solo l'incarico di
prosciugare il lago di Castiglione ma
anche tutti gli altri oggetti che avessero
relazione con la bonifica della provincia.
Grazie al motuproprio e alle costanti
attenzioni che il granduca riservava a
quella che egli definiva la sua figlia
malata, i tempi di progettazione furono
rapidi se, in breve, furono nominati i
responsabili della commissione di
bonifica: Federigo Capei direttore,
Giacomo Grandoni ministro economo,
Alessandro Manetti architetto idraulico.
La commissione era alla diretta
dipendenza del sovrano tramite la
segreteria alle finanze.
I lavori furono particolarmente alacri fra
il 1828 ed il 1848, periodo in cui si
provvide alla progettazione ed esecuzione
delle infrastrutture necessarie per
approntare i cinque bacini di colmata.
I ritmi di lavoro furono febbrili, seguiti da
vicino dallo stesso granduca, scese
direttamente in Maremma nel dicembre
1828.
Rientrato a Firenze, egli scriveva note e
disposizioni al Capei.
Questi si recò, in quei giorni, in
Maremma per una ricognizione generale
e non mancò di esternare il proprio
timore per l'imponenza della cosa.
Se razionalmente la bonificazione
risultava tecnicamente possibile, non
erano da sottovalutare le difficoltà.
Nonostante le difficoltà, il Capei mise
subito in atto un piano teso ad accogliere
i numerosi operai che dovevano
attendere al lavoro, e si preoccupò
d'informare costantemente il sovrano sul
procedere del lavori: sia riguardo le
indagini sul territorio, sia le possibili
deviazioni, così come era già avvenuto ad
Orbetello, sia riguardo le difese da
adottare per evitare le inondazioni.
Preziose si rivelavano le conoscenze che
egli aveva maturato nella bonifica della
Val di Chiana sicché, così come era già
avvenuto per quella valle, egli
predispose un intervento globale, teso
prima a rendere asciutti e fertili i territori
poi a dare alla popolazione, sino a quel
momento duramente provata dalle febbri,
un'economia non più da sopravvivenza
ma ricca e prospera. Questo progetto
d'intervento poteva essere considerato
una vera e propria bonifica integrale.
I Lorena volevano, in affetti, che il
risanamento delle terre rosse da stimolo
per nuove attività, anche per popolare i
luoghi che venivano strappati alla palude.
Senza insediamenti abitativi stabili era
impensabile immaginare che la bonifica
avesse successo.
Nel giornale che si premurava di tenere, il
Capei paragonava sovente la situazione
della Val di Chiana con quella della
Maremma, confrontando le arginature di
riparo nell'uno e nell'altro ambiente.
Per evitare ciò che era accaduto in Val
di Chiana, egli sottolineava l'esigenza, una
volta avviata a bonifica, di evitare i
funesti
effetti
dell'incuria
e
dell'abbandono.
Il granduca accettava i consigli del Capei,
ma rimetteva la decisione finale, prima di
dar inizio ai lavori, al vecchio
Fossombroni.
Il Capei fece presente quanto poco
efficiente fosse stata l'amministrazione
precedente, quantunque potesse avvalersi
della professionalità di tre ingegneri edili
e di un ispettore. I lavori, in realtà.
erano avanzati stentatamente in un paese
che ha tanti urgenti bisogni nonostante la
miope opposizione di molti proprietari
terrieri.
I terreni salmastrosi, ad esempio,
sarebbero potuti tornare produttivi dopo
essere stati per molto tempo in riposo e
non tormentati dal bestiame.
Tre le ragioni fondamentali per quelle
condizioni dei terreni:
1) una lavorazione troppo profonda
sicché si riportava in superfìcie il terreno
salmastroso rimasto fino ad allora
coperto dalla buona terra.
2 )il lavorare nell'estate le terre quando
non sono state abbastanza spente dalle
acque come pure il lavorare nell'autunno i
terreni troppo bagnati
3) il ristagnamento delle acque e il
calpestio degli animali sopra tali ristagni e
acquitrini.
Alla fine di quel 1828 lo scambio di
missive tra la segreteria delle Finanze e il
Capei si fa particolarmente intenso, anche
perché si susseguono le ispezioni nei
terreni della bonifica.
Oltre ad interessarsi della situazione delle
acque, il Capei si preoccupa anche delle
condizioni degli uomini impegnati
nel lavoro di bonifica.
In quel periodo, centinaia e centinaia di
operai arrivavano quotidianamente da
tutto il granducato ed in particolare
dall'alta Val di Chiana.
Non tutti certo idonei a quel lavoro,
anche se il Capei aveva, sovente,
rimarcato che, in Maremma, occorrevano
vanghe e noli penne. Quella vera e
propria inondazione di lavoranti resero,
di fatto, sempre più precaria la situazione
per mancanza di alloggi e di ricoveri.
Diverse sono le stime in merito agli
uomini giunti in Maremma, ma sembra
che raggiungessero quasi le 4000 unità.
Durante le frequenti ispezioni che il
Capei compiva insieme all'ingegner
Manetti
vennero
messi
in
evidenzia alcuni interventi prioritari
Comune di Lucignano - PIANO STRUTTURALE 2004 - Quadro Conoscitivo - Relazione pag. 64
perchè si potesse giungere, nel volgere di
circa otto anni, alla totale bonifica.
In primo luogo si doveva favorire la più
sollecita e regolare collazione-, quindi
occorreva difendere dagli interramenti il
canale
maestro
della
palude,
infine bisognava assicurare uno scolo ai
terreni sani e bonificati. In aggiunta era
necessario impedire la effrazione delle
acque e circoscrivere le inondazioni sì da
giungere
ad
un
progressivo
prosciugamento di talune parti della
palude.
Il compito si presentava comunque
immane tanto che sia il Capei che il
Manetti
si
resero
conto
che
il loro incarico poteva riguardare solo
l'avvio di un progetto e che la bonifica
avrebbe
modificato,
nel
tempo,
l'equilibrio complessivo dell'area.
Era necessario, dunque, pianificare la
spesa in maniera oculata ed intelligente
immaginando i cambiamenti che si
sarebbero
succeduti
e
le
loro
ripercussioni
sul
territorio
e
sull'economia.
Si trattava di operare in modo da
fronteggiare gli inconvenienti e gli
sconvolgimenti
inevitabili,
di
programmare gli investimenti, tenendo
presente quegli aspetti incerti e variabili
che si sarebbero presentati.
Con la bonifica si pensò di costruire
alcune strade di comunicazione che, a
quel momento, erano del tutto inesistenti,
Lo stesso granduca non mancava di
evidenziare,
nelle
sue
frequenti
visite, la difficoltà nelle comunicazioni,
l'area malsana, le condizioni di vita
forzatamente disgraziata.
Il Capei s'interessò molto alle condizioni
degli operai tanto che si attivò perché
fossero costruite case in grado di
accogliere i lavoratori che affluivano da
territori lontani.
Di fronte alle richieste del Capei, la
segreteria
delle
finanze
rispose
positivamente
autorizzando
la
costruzione d'alloggi, pur non mancando
di sottolineare la necessità di operare
controlli accurati sulle spese.
I lavori in Maremma apparivano
talmente vasti e di spesa così ingente che
il granduca ritenne opportuno e logico
valutare, volta per volta, l'opportunità
delle spese.
Il numero dei braccianti continuava ad
aumentare sicché si dovette costruire
nuovi alloggi ma anche sorvegliare, in
modo attento, i braccianti che, sovente,
diventavano
violenti
soprattutto
quando rimanevano forzatamente in ozio
nelle giornate di tempo brutto.
Grazie all'abbondanza di manodopera si
potè, e senza grossi problemi, approntare
tutte quelle opere necessarie per
migliorare la viabilità.
Il lavoro, tra il 1828 e il 1831, continuò in
maniera febbrile anche se furono poste
solo le basi per la futura bonifica, che
avrà termine, definitivamente, un secolo
dopo.
Di fatto, dopo il 1831, il Capei si defilò
progressivamente dall'impegno assunto,
forse perchè avvertiva i pressanti
malumori espressi dalla segreteria,
riguardo la sua carica di direttore
dell'amministrazione economico-idraulica
della Val di Chiana.
II 29 marzo 1833 l'ufficio dei sindaci del
bilancio di previsione per l'anno 1833
della Val di Chiana approvava
un'avvertenza con la quale s'invitava il
direttore Capei a prestare attenzione
sull'eccessiva spesa di amministrazione.
Da quel momento, seppure in maniera
ufficiosa, il Capei sarà estromesso da
carica di direttore dell’Ufficio della
Bonifica,
da
direttore
dell’Amministrazione Economico
Idraulico in Val di Chiana e da direttore
dell’ufficio della bonifica della Maremma.
E’ l’inizio della parabola discendente di
una carriera molto brillante, iniziata già
sotto l’impero napoleonico.
Da ricordare soprattutto le onorificenze
concessegli dal granduca Leopoldo II per
la capacità dimostrata nell'amministrazione del processo di bonifica delle
terre della Val di Chiana, il
cavalierato dell'Ordine del Merito sotto il
titolo di San Giuseppe e il cavalierato
dell'Ordine di Santo Stefano, Papa e
Martire
Negli anni venti i rapporti dei Capei con
le fami- glie nobili aretine furono assai
intense grazie, anche, al matrimonio di
sua figlia primogenita con il fratello di
Carlo Dini. La partecipazione del Capei
alla vita aretina divenne sempre più
frequente tanto che egli entrò a far parte
di una società costituita tra i più noti e
nobili esponenti cittadini: quali Giovanni
Paoli, Giuseppe Albergotti, Carlo Dini e
Francesco Falciai.
Lo scopo della società, assai ambizioso,
era quello di ostruire un nuovo teatro per
la città.
Esso doveva essere grandioso, elegante
ed anche di prim'ordine.
Il 20 settembre 1828 fu concessa alla loro
società una porzione d'orto del soppresso
convento di Badia, il cosiddetto orto
dell'Abate, per edificarvi il nuovo teatro.
Capei era particolarmente considerato
grazie alle esperienze di teatro che egli
aveva potuto fare a Parigi, nei primi anni
dell’ 800. Una stima sincera, da parte della
città e del suo ceto nobiliare, che si
esternò
allorché
il
Capei
subì
l'umiliazione della sospensione dagli
incarichi. Egli venne nominato, infatti,
proprio nel 1833, anno di inaugurazione
del nuovo teatro Petrarca, presidente
dell’ Accademia del teatro e fu presidente
fino alla sua morte avvenuta il 27 giugno
1846.
Alla fine del 1832 i diari e le note che,
quasi quotidianamente, il Capei inviava al
granduca si ridussero sebbne egli, insieme
al Manetti, rimanesse in carica per quel
che concerneva i problemi idraulici.
Quantunque non vi fossero prove circa le
possibili
truffe
nei
confronti
dell'amministrazione
della
Val
di Chiana, circolavano però voci e
indiscrezioni sulla scarsa rettitudine della
gestione.
Furono
probabilmente
queste
indiscrezioni che spinsero Giovanni
Baldasserom", nominato in quell' anno
capo dell'Ufficio dei Sindaci, ad iniziare
un'indagine per accertarsi che la
conduzione complessiva dell'amministrazione della Val di Chiana fosse stata
davvero regolare.
Dopo un' iniziale incertezza, lo stesso
granduca si mostrò favorevole al
proseguimento dell'inchiesta.
Da una prima indagine risultò che non
tutte le terre erano redditizie per
l'amministrazione.
Comune di Lucignano - PIANO STRUTTURALE 2004 - Quadro Conoscitivo - Relazione pag. 65
Il sovrano sollecitava ulteriori indagini e,
con una lettera all'Ufficio Revisione e
Sindacati, obbligava i predetti Capei e
Francioli a stare rispettivamente in
Firenze e Arezzo. Contemporaneamente
imponeva a Giovanni Bellini di trasferirsi
in Arezzo per assumere l'incarico, sia
pure in via provvisoria, di direttore
dell'amministrazione economico-idraulica
della Val di Chiana. Sostanzialmente gli
addebiti a carico del Capei, definito reo
principale, e del Francioli, complice,
erano duplici.
Palazzo Capei ( in via Matteotti in Lucignano)
Alcune figuravano assegnate a mezzadri
immaginari e coltivate da contadini: o
gratuitamente o per miserabile mercede,
mentre il raccolto veniva ad essere preso
dal direttore dell'amministrazione che ne
disponeva a piacere.
Furono anche trovati stati di raccolte
alterati e falsificati.
Per il capo dell'Uffizio dei Sindaci non si
poteva parlare d'irregolarità poiché
l'arbitraria infrazione di ogni regola era
l'abituale
andamento
dell’
amministrazione.
Sebbene si fosse soltanto all'indagine, il
sovrano ritenne opportuno sollevare sia il
Capei che il Francioli dall'esercizio delle
loro funzioni.
Da una parte le molte e molte infrazioni
delle discipline e dei regolamenti
amministrativi, d'altra parte il novero
delle imputazioni delittuose che la
straordinaria revisione ha posto in essere
a carico degli amministratori. Si rilevava
in particolare che, sotto la guida del
Capei, l'amministrazione della Val di
Chiana aveva operato, organicamente e
sistematicamente,
con
metodi
pregiudizievoli all'interesse della proprietà
regia. Veniva criticata la gestione
amministrativa
che,
in
maniera
improvvida, aveva concesso ad una massa
di creditori un fruttifero del 5% ed aveva
gestito in modo pessimo il rapporto con i
debitori.
Nella relazione venivano comparate le
entrale lorde e le spese totali fra l'antica e
la nuova amministrazione rilevando
come, mentre nella vecchia le spese
ammontavano al 25% delle rendite lorde,
nella nuova erano giunte al 46,45%
L'amministrazione precedente risultava
più efficiente anche per quanto
concerneva i miglioramenti del suolo e
delle fabbriche.
Sostanzialmente la commissione indicava
tre specie di delitti:
1) la sottrazione sistematica della metà del
raccolto effettuato in alcune terre.
2) Le sottrazioni che riguardavano la
parte dominicale dei raccolti.
3) Le alterazioni e simulazioni nelle
scritture e nelle note originali delle
semente dei regi possessi.
Nel rapporto viene riportata interamente
anche la difesa del Capei che si basava su
una tesi ed una ipotesi.
Nella tesi si sosteneva la verità e la
regolarità delle mezzerie controverse,
asserendo che queste erano controllate
dai fattori e non da lui, e che il suo
intervento aveva quale unico fine quello
di operare una più equa distribuzione dei
prodotti, della parte colonica, tra i diversi
impiegati dell'amministrazione.
Ipotizzava, quindi, che, pur ammettendo
che quelle mezzerie fossero illecite ed
irregolari, che egli aveva agito in buona
fede e con nessun agio nell'uso dei
suddetti prodotti, allontanando tal modo
il sospetto di aver tratto, in qualche
modo, profitto.
Riguardo le presunte colpe, il Capei
ribadiva che, con le risorse acquisite dagli
utili delle coloniche, egli aveva offerto
aiuto agli impiegati delle fattorie,
oberati da una famiglia numerosa e da
interessi da pagare, che aveva fatto
impartire ai figli di costoro un'educazione
per
allontanarli
dall'ozio,
aveva
rimediato a piccole distrazioni o errori,
aveva concesso mance ai giovani figli
degli impiegati impegnandoli nella
vigilanza e nell'interesse delle rispettive
fattorie, aveva soccorso, con denari e
generi di prima necessità, alcuni coloni.
Occorreva allora dimostrare che le
rendite sottratte fossero state utilizzate
per spese che sarebbero state utili
all'amministrazione.
Al termine dell'indagine, la commissione
rimarcò due aspetti fondamentali:
1) che la gestione del Capei era stata
improvvida, negligente e prodiga;
2) che era stata fraudolenta e criminosa.
Per certificare ciò erano state avviate
numerose ispezioni.
La commissione era stata invitata ad
esaminare tutte le operazioni che erano
addebitate al Capei ed al Francioli, il
carattere di tali operazioni in ordine alle
leggi ed ai regolamenti, il grado di
prova che le carte potevano offrire e le
conseguenze che potevano derivare in
termini giudiziari.
Il processo fu lungo e assai penoso per il
Capei, ormai stanco e amareggiato
soprattutto perché, mentre riteneva di
aver danneggiato e sacrificato i propri
interessi a favore dell'amministrazione e
quindi della casa Lorena, era accusato di
malversazione da parte d'eminenti
personalità.
L'indagine continuò per un anno e solo
con la relazione del 10 gennaio 1836 si
pose fine all'inchiesta.
Furono valutati attentamente tutti gli
addebiti ed accrediti contro e a favore del
Capei. Guadagni vi erano stati, è vero, ma
di tali guadagni si conservavano solo
ricevute indicative in merito alle cifre
erogate. Era scontata una tendenza
all'arbitrio e all'abuso di potere, anche se
bisognava tener presente anche le spese
sostenute
per
l'educare
i
figli
degli
impiegati
della
regia
Comune di Lucignano - PIANO STRUTTURALE 2004 - Quadro Conoscitivo - Relazione pag. 66
amministrazione, per sussidiare e, in un
certo modo, pensionare persone
non più in attività di servizio, per elargire
altresì gratificazioni ordinarie a tutti gli
impiegati. Tali operazioni non potevano,
dunque, essere considerate delittuose, ma
piuttosto sventate.
Le indagini eseguite sui raccolti e sui
salari risultarono poco attendibili in
quanto la difesa aveva avuto tempo e
modo per prepararsi adeguatamente. Di
fatto, quindi, nonostante la lunga
inchiesta, non era stato possibile ottenere
risposte certe e precise in merito alle
questioni poste.
La commissione suggeriva allora, a
conclusione della propria relazione, che
se era ben possibile avviare un
procedimento giudiziario — che
implicava il coinvolgimento di molti
imputati e testimoni sollevando così un
gran polverone, d'altra parte era ben
possibile tenere sospeso il giudizio
pur considerando che certe operazioni
illecite erano state compiute. Il giudizio
della commissione, pur lasciando al
governo il compito di prendere le
decisioni più opportune, era quello di
considerare il Capei imputato principale e
l'ispettore Francioli suo complice. Il
direttore Capei, infatti, che aveva esteso
le mansioni su un gran numero di
persone e s'era affaccendato con cifre più
elevate rispetto al passato, aveva violato il
proprio mandato e di ciò doveva essere
incolpato.
Una volta consegnata la relazione alla
segreteria delle finanze, essa fu esaminata
con attenzione e in modo approfondito.
Dal gennaio al 1 aprile, data della
destituzione del Capei, il sovrano ebbe
modo di ponderare bene il caso
chiedendo, ai vari collaboratori, un parere
complessivo sull'accaduto. Interessante
appare il giudizio espresso dal
Fossombroni
che,
pur
non
mancando di far presente che v'erano
state delle irregolarità, taceva notare che,
spesso, vi sono reclami contro gli
amministratori altomati da persone
interessate a screditare gli amministratori
medesimi.
Egli sottolineava anche che più volte
Capei era stato strumento utile al governo
in molte straordinarie ingerenze. La
regolarità dei lavori di coltura e
bonificazione della Val di Chiana
dimostrava, poi, che Capei, una volta
corretto dai difetti che gli erano stati
contestati, poteva ancora essere un
amministratore utile anche perché la sua
destituzione sarebbe stata preceduta da
misure analoghe a quelle di un
delinquente, cosa che lui non meritava.
Il sovrano tenne ben presente certamente
il parere del Fossombroni, quindi, pur in
presenza di irregolarità commesse, reputò
opportuno chiudere il caso con un
ammenda. Considerò invece inaccettabile
un altro consiglio del Fossombroni:
quello di utilizzare successivamente il
Capei per altri incarichi.
Per i servigi resi all'amministrazione tu
assegnata al Capei l'annuale somma di
scudi 1000 da aggiungere alla pensione di
cui già godeva, ma gli fu tolta, come
anche al Francioli, ogni commissione già
affidatagli.
A quel punto si trattava di comunicare
agli interessati la risoluzione.
Fu incaricata la persona meno adatta,
colui che aveva sostituito il Capei:
Giovanni Bellini. Era una procedura
insolita che, in realtà, nascondeva
l'imbarazzo dell'amministrazione per aver
sollevato
un
gran
polverone
su fatti e circostanze suffragate solo da
.supposizioni e dicerie.
L'affare Capei non riuscì però ad
intaccare l'immagine di un uomo onesto.
Dalla lettura complessiva delle carte
processuali non emerge un resoconto
chiaro. Sicuramente l'amministrazione
della Val di Chiana era divenuta. con il
tempo, molto costosa e alcuni uomini
dell'amministrazione cercarono, con
quegli eccessi, di colpire il Fossombroni,
che, nonostante fosse ormai vecchio, era
ancora molto potente.
Vi furono delle irregolarità e certo, ma vi
fu una vera e propria responsabilità
collettiva e che il Capei fu solo un capro
espiatorio.
La posizione dell'amministrazione fu
sempre molto equivoca, e ciò procurò
delusioni e dolore al Capei, già
amareggiato per essere stato colpito
nella sua onorabilità a causa del lungo
periodo che intercorse tra la momentanea
destituzione e il giudizio finale.
A testimonianza della volontà dell'
amministrazione nel voler far dimenticare
quanto accaduto, v'è l'attestazione di un
foglio
sparso,
datato
6
aprile
1842, nel quale si dichiara l'intenzione di
sospendere tutti gli atti giudiziari contro il
Capei.
Era forse il riconoscimento tardivo
dell'innocenza del Capei, o forse l'ultimo
atto per lasciare intendere che vi erano
stati errori collettivi nell'amministrazione.
Comune di Lucignano - PIANO STRUTTURALE 2004 - Quadro Conoscitivo - Relazione pag. 67
2.6.2. L’EREDITA’ DI PIETRO DI
SPAGNA
( a cura di Francesca Rosini, tratto da I
Quaderni Lucignanesi, vol..2-3)
Il 28 Settembre 1609 Pietro di Stefano
Stefani detto la Spagna dettò il suo
testamento alla presenza de del notaio
pubblico fiorentino Ser Antonio
Franceschini; il documento costituisce
una pagina importante della storia
lucignanese perchè segna l'inizio
dell'Opera Pia Eredità Spagna Stefani, in
altre parole di un Fondo destinato alla
dote
di
fanciulle
povere.
Simili fondi erano comuni anche in altre
città, come Firenze o Siena, ma costituiva
una novità nell'ambiente lucignanese.
Nonostante l'importanza del suo lascito e
la durata che ebbe nei secoli successivi,
scarse sono le notizie che riguardano la
vita di Pietro Spagna; in un documento è
registrato l'atto di matrimonio con la
seconda moglie: In un altro atto è poi
registrata la sua presenza come testimone
ad un matrimonio.
Per quanto riguarda però la sua
professione non si hanno notizie certe, a
meno di non considerare come fonte il
Del Corto, secondo cui un cale Pietro
Spagna
lavoro
come
medico
alla corrte del sultano di Costantinopoli;
anche il Repetti riporta la medesima
notizia, ma confonde il nome dello
Spagna (Pietro) con quello del padre e lo
chiama Stefano.
E’ più che probabile comunque che i due
autori abbiano confuso la figura dello
Spagna con quella del nipote omonimo.
La morte dello Stefani avvenne il 21
Febbraio 1623 e la maggior parte dei suoi
beni fu lasciata, secondo il famoso
testamento, a Bastiano di Antonio
Stefani, probabilmente l’unico nipote
maschio, e ai suoi discendenti in infinito,
come si legge dalle Memorie del Comune
Lucignanese.
Inoltre la moglie Santa Tornaini era
lasciata usufruttuaria fino alla morte,
avvenuta il 28 Febbraio 1636.
La parte più importante del testamento
Stefani riguarda naturalmente la somma
da destinarsi alla dote di dodici fanciulle
che ne erano sprovviste e che doveva
essere sborsata ogni anno tramite
estrazioni cittadine che sarebbero
cominciate dopo la morte di Donna
Santa.
L'estrazione avveniva secondo queste
norme: oltre alla borsa con i nomi delle
fanciulle candidate alla dote, era preparata
un'altra borsa in cui erano inseriti dodici
togli numerati e altri bianchi fino ad
arrivare al numero delle fanciulle in gara..
Si estraeva prima il nome,poi il foglio: se
era bianco la fanciulla non riceveva la
dote, in caso contrario era nel novero delle
fortunate.
Le candidate per essere tali dovevano
però rispettare alcuni requisiti: dovevano
essere in buone condizioni di salute, non
dovevano essere minori di 12 anni e
chiaramente non dovevano possedere
una dote paterna o materna.
Qualora non si fosse raggiunto il numero
di dodici, la dote delle prescelte sarebbe
stata aumentata in misura proporzionale
alle mancanti, e lo stesso sarebbe
avvenuto se una o più delle fanciulle si
fossero sposate in chiesa fosse vissuta in
modo disonesto, non fosse andata in
processione il giorno di San Pietro o
fosse morta.
Lo Spagna si preoccupò anche di indicare
nella sua eredità dove e come conservare
il denaro.
Inoltre, nel caso in cui fosse mancata la
parte legittima maschile degli eredi,
l’intera eredità sarebbe stata usata per la
dote delle fanciulle, che da sette scudi
sarebbe passata a dieci, fino ad un
massimo di venti.
La prima estrazione avvenne il 26 Giugno
1636, dopo la morte di Donna Santa,
come aveva disposto lo Stefani.
La donazione dello Spagna ebbe lunga
durata nel tempo; è del 1902 lo Statuto
Organico dell'Opera Pia Eredità Spagna
Stefani, approvato in data 27 Febbraio,
firmato da re Vittorio Emanuele III e
controfirmato da Giolitti.
Esso si compone di ventidue articoli,
divisi in cinque capitoli, il primo dei quali
riguarda l'origine e lo scopo dell'Opera
Pia, il secondo l'amministrazione, il terzo
le modalità di pagamento, il quarto le
spese di culto e il quinto gli impiegati.
Particolarmente importante è il capitolo
riguardante l'amministrazione; da esso si
desume che dopo l'estinzione del ramo
maschile della famiglia Stefani, l’
amministrazione del denaro destinato alle
doti fosse, secondo il volere dello
Spagna,
affidato
alla
Comunità
lucignanese, ma in seguito fu creata
un'organizzazione proprio a tale scopo.
Lo statuto è anche particolarmente
importante per notare i cambiamenti che
la donazione aveva subito nel tempo, ma
anche le permanenze.
Molte sono le analogie con il
regolamento esposto nelle Memorie del
Comune, come ad esempio la richiesta
che le ragazze siano di buona
reputazione, o che debbano andare in
processione alla chiesa dei Cappuccini
per S. Pietro, ma evidenti risultano anche
le differenze: se nel 1636 bastava avere 12
anni per concorrere all’estrazione, nel
1903 ne servivano almeno quindici fino
ad un massimo di trentacinque; inoltre la
fanciulle del 1600 non dovevano
presentare una lista di certificati per
partecipare,m bastava la presenza e una
buona fama; naturalmente anche le
monete variano: se nel XVII sec. si parla
di sette scudi, nel XX di 58,80 lire.
Il convento dei Cappuccini in una foto di inizio
secolo.
Non si conosce l’esatta durata dell’Opera
Pia ma probabilmente si estese fino agli
anni ’20-’30 del XX sec.
Pietro Spagna Stefani deve essere anche
ricordato come fondatore del Convento
dei Cappuccini: fu lui a comprare nel
1590 circa il terreno fabbricativo nelle
Strada di S.Giovanni da ser Domenico
Griffali, accollandosi l’intera spesa.
Nel testamento lo Stefani si ricordò dei
frati e l’usanza di beneficiare il convento
si mantenne a lungo.
La stessa processione , che le fanciulle
dotate dovevano fare nel giorno di
S.Pietro alla chiesa dei Cappuccini, era un
ultimo segno di rispetto verso il convento
da parte di Pietro Spagna.
Comune di Lucignano - PIANO STRUTTURALE 2004 - Quadro Conoscitivo - Relazione pag. 68
2.6.3. PIETRO CAPEI
Un insigne storico - giurista del XIX
secolo
( a cura di Luca Turchetti, tratto da I Quaderni
Lucignanesi, vol.4)
Pietro Capei e tra le personalità
ingiustamente dimenticate troppo in
fretta.
Storico-giurisra insigne dell’800 Pietro
Capei intrattenne stretti rapporti con
valenti studiosi del suo tempo:
soprattutto con Friedrich Karl von
Savigny e Cino Capponi.
Certamente per il suo carattere
schivo, o forse anche per una sua
connaturata imperizia nel proporsi al
mondo accademico e al vasto pubblico, il
Capei non è noto e celebrato come
studioso. Unicamente gli studiosi più
attenti di materie storico - giuridiche lo
hanno in considerazione e credito.
Pietro Capei, terzogenito di Giovanni
Ottaviano Capei e di Francesca Alberti di
Monterchi, nasce a Lucignano il 29
Ottobre del 1796. Poche le notizie
riguardanti i primi anni della sua infanzia
nella terra natia.
Pur anche nei scambi di corrispondenza
con altri studiosi egli accenna di rado a
questo periodo: non perché fossero anni
infelici bensì perchè, a suo giudizio, privi
del tutto di interesse. Fu invece un
periodo educativo importantissimo nella
formazione culturale del giovane Capei
che
dimostrò
un
attaccamento
profondo alla terra che gli aveva darò i
natali, se spesso, durante la sua vita, egli
andava affermando che avrebbe voluto
terminare i suoi giorni proprio a
lucignano: segno evidente di ricordi
piacevoli e di un legame con la propria
terra che mai gli era venuto meno.
La famiglia Capei si mostrò molto attenta
alla formazione culturale dei propri figli e
si premurò di iscrivere sia Pietro che suo
fratello Gasparo, futuro avvocato e più
giovane di Pietro, al seminano di Arezzo,
dove, sotto la guida dei Sac. Sierano
Dragoni
e
Pietro
Guadagnoli,
terminarono brillantemente il primo
corso di studi
E' importante porre l'accento su un altro
evento che probabilmente influenzò non
poco il futuro di Pietro: le nuove idee e
concetti
dottrinali
portati
dalla
dominazione napoleonica che a quel
tempo si estendeva in Toscana e in altre
parti dell'Italia. Notevole allora l’ impulso
per ogni forma di attività civile in una
visione e in un disegno dal grande respiro
che doveva portare, negli intendimenti di
Napoleone,
ad
un
progressivo
appiattimento delle differenze culturali e
civili tra le varie regioni dell'impero pur a
decremento delle trazioni e le usanze
locali, delle culture spicciole, delle
erudizioni e scienze tipiche di luoghi e
personalità differenti.
Il giovane Pietro avvertì profondamente
questo attentato nei confronti delle
proprie radici e tradizioni culturali. Ciò
porrebbe giustificare, in qualche modo, le
successive di posizioni politiche e
ideologiche da parte dello stesso Capei .
Benché l'azione per una cultura
livellatrice operata dai francesi non
incontrasse il favore da parte della
famiglia Capei, Ottavio, il padre di Pietro,
decise
tuttavia
di
inviare
i
figli Pietro e Gasparo, nel 1813, alla
scuola Normale di Pisa, creata dagli stessi
francesi in sostituzione delle Università di
Siena e Pisa, che erano state soppresse.
La Normale, sotto la eccellente direzione
di Ranieri Gerbi, formò una schiera di
allievi che, in .seguito avrebbero
raggiunto fama e prestigio. Basti
rammentare Cosimo Ridolfi Giuliano
Frullani, Carlo Passerini, Luigi Serristori
ed, ovviamente, i due Capei.
La scuola Normale di Pisa, istituirà sul
modello della Scuola Superiore Normale
di Parigi, ebbe però vita breve se venne
soppressa nel 1814 da Leopoldo III
quando l'impero napoleonico si dissolse e
i territori ad esso assoggettato vennero
riconsegnati alle famiglie nobiliari che li
avevano governate prima dell’ascesa di
Napoleone.
Vennero ripristinate allora le università.
A Pisa nacquero le tre facoltà: legge,
medicina e filosofia.
I due Capei, grazie, si iscrissero alla
facoltà di legge.
Conseguita la laurea, e con la già discreta
fama di studioso esemplare, Pietro, nel
1818, si trasferì a Roma e vi rimase due
anni
Dopo il soggiorno romano ed una breve
parentesi .i Napoli, il Capei si trasferisce ,i
Firenze ove si dedicò, e in modo
pressoché
esclusivo,
alla
ricerca
scientifica
che
gli
era,
caratterialmente e culturalmente, più
congeniale della professione legale,
benché .si allocasse nello studio del Cav.
Avv. Panieri Lamporecchi.
A Firenze il Capei ebbe felici incontri con
diverse personalità di spicco della cultura
locale che influenzarono notevolmente la
sua vita di studioso. Particolare rilievo
ebbe l’incontro con il mercante ginevrino
Vieusseux, il quale, fin dal 1820, aveva
aperto un Gabinetto scientifico letterario
di notevole importanza. Non è dato
conoscere quando e in quali circostanze
avvenne questo incontro, certo è che, in
breve tempo, il Capei divenne
uno dei più assidui e dotti frequentatori
del Gabinetto Vieusseux.
Tra le tante attività il gabinetto Vieusseux
editava anche un periodico: l’Antologia,
nel quale trovavano spazio articoli, di
carattere giuridico e letterario, dei
collaboratori
e
frequentatori
del
gabinetto.
Proprio attraverso le pagine della
"Antologia" il Capei potè finalmente
rendere noto la propria competenza e
passione per la ricerca storico - giuridica.
Negli anni compresi tra il 1823 ed il 1832,
pubblicò infatti ben 25 lavori, tutti di
notevole fattura, a conferma della serietà
con cui collaborava al periodico e del suo
impegno nei confronti del progetto di
Vieusseux.
L' "Antologia" non era, vero, LUÌ
periodico a carattere divulgativo ma bensì
una rivista formativa se, nelle intenzioni
del suo ideatore, essa doveva, attraverso
saggi e studi pubblicati, plasmare le menti
ad ideali liberali.
Due gli scritti del Capei che
contribuirono a farlo conoscere anche
oltr'alpe (specie in Germania) come
attento professore universitario e fine
ricercatore.
Agli inizi del 1833 l 'Antologia' veniva
soppressa
a
causa
di
un
mutato assetto politico in Toscana.
Il Capei, già da alcuni anni, non viveva
più a Firenze pur continuando a
collaborare con il periodico Fiorentino.
Era tornato a vivere a Lucignano senza
Comune di Lucignano - PIANO STRUTTURALE 2004 - Quadro Conoscitivo - Relazione pag. 69
mai tralasciare,però, i suoi studi di diritto
romano.
Proprio in quel periodo gli giunse, quasi
inaspettata, la nomina di una cattedra
presso l'Università di Siena.
Il Capei accolse la notizia con perplessità
in quanto avrebbe dovuto sostituire
l’avvocato Celso Marzocchi, destituito a
a causa di alcune sue idee manifestate
durante una lezione.
Il
Marzocchi
era
sostenitore
della scuola positivista e il Capei temeva
che gli studenti non avrebbero gradito un
cambiamento radicale dato che lui era
fervido seguace delle; idee della scuola
storica del Savigny.
Accettato l'incarico universitario, il Capei
profuse
nell'insegnamento
grande
impegno tant’ è che presto fu
estremamenre soddisfatto del lavoro e
dell’ attenzione che gli alunni
prestavano alle sue lezioni.
Il suo modo nuovo di tener lezione e di
insegnare venne giudicato con favore
anche dallo stesso Savigny.
Ed è un fatto assai rilevante se si tiene
conto
che
lo
stesso
Savigny,
dopo un viaggio m Italia nel 1825, ebbe a
criticare profondamente le nostre
università.
Durante la sua permanenza a Siena il
Capei partecipò anche alle attività
dell'Accademia dei Georgofìli, della quale
era stato nominato membro fin dal 1830,
contraddistinguendosi, come d'abitudine,
per la sua erudizione e passione nella
ricerca.
Nel 1839 venne nominato professore
presso l'Università di Pisa, e lunghi anni.
Un soggiorno pisano che risultò al Capei
quanto mai disagevole per forti agitazioni
politiche di quel periodo e per un
ambiente universitario ben diverso da
quello senese senz'altro più piccolo e
anche meno prestigioso.
La precaria condizione in cui si trova ad
insegnare non impedì al Capei di
dedicarsi con entusiasmo alla propria
attività di ricercatore impegnato su più
fronti.
In quel periodo il Capei dedicò grande
attenzione e studi ad un argomneto che
gli stava particolarmente a cuore: la
dominazione longobarda in Italia e
partecipò operosamente al dibattito in
corso e che riguardava "la condizione dei
cittadini romani durante la dominazione
longobarda”.
Dapprima il Capei, evitò di esprimere una
opinione al riguardo quantunque avesse
già preso posizione ai tempi dell'
“Antologia” con un suo scritto su
Federigo Sclopis attinente proprio la
dominazione longobarda in Italia.
Successivamente però, spronato dal
Capponi, prese una netta posizione a
riguardo e dedicò un intero anno a un
suo studio intitolato appunto “ Discorso
sulla dominazione dei Longobardi”.
E’ questa, senza dubbio, l’opera più
importante del Capei, in cui egli mise a
frutto la sua competenza ed erudizione di
storico e giurista. Il mondo accademico,
tuttavia, accolse l’opera con grande
freddezza se alcuno degli studiosi che si
occupava dell’argomento si degnò di
esprimere un parere sulle tesi del Capei.
Fu
probabilmente
a
causa
di
questa sdegnosa accoglienza che il Capei
ritenne lecito ed opportuno non
impegnarsi più in opere di simile portata
e
di
tale
vasta
organicità. A ciò si aggiunse; anche una
precaria condizione di salute: una
debilitante forma di faringite che lo
costrinse, nel settembre del 1845, ad
abbandonare
definitivamente
l’insegnamento, con grande rammarico.
Molte cose intanto stavano cambiando.
L’anno seguente la pubblicazione del “
Discorso sui Longobardi” avvenne
l’elezione al soglio pontificio di Pio XI:
era il 1846.
L’evento venne salutato come un
avvenimento
assai
caratterizzato
politicamente.
In Toscana intanto, circondata com’era
molto sentito il desiderio di un
rinnovamento profondo sicchè lo stesso
Granduca fu costretto ad agire e fare
concessioni liberali.
In quell’ anno il Capei venne chiamato
a Pisa a far parte della consulta, ed ebbe
inizio così il suo transitorio impegno nella
vita politica. Nel 1847 entrò a far parte
della Commissione che avrebbe dovuto
compilare un nuovo codice civile che
riflettesse le esigenze dei tempi nuovi
venendo incontro alle attese del popolo
toscano.
Nel 1848 al Capei, insieme a Cino
Capponi, al Lami, al l.anducci ed al
Galeotti
viene affidato l'incarico di presentare al
Granduca il progetto di riforma della
stampa e della Consulta di Stato.
Si cercò allora di delineare, senza però
ottenere successo, una costituzione che
avesse come tratto programmatico una
consultazione su base municipale e
provinciale a fronte di uno statuto
disegnatore sul modello francese o
inglese.
meriti e della considerazione acquisita,
venne chiamato a ricoprire la carica di
vice Presidente della Camera Senatoriale.
Con la fuga del Granduca ( 1849)
l’attività politica del Capei ha termine.
Rimane operativo il suo impegno nel
consiglio di Stato.
Dal ’49 al ’59 il Capei, ormai lontano
dalla vita politica, si dedica agli scavi
archeologici dei quali compilava anche
attente redazioni pur continuando a
frequentare gli amici di sempre: il
Capponi ed il Viesseux.
Quando nel’ 59 la Toscana venne annessa
allo Stato piemontese, il Capei accolse il
mutato assetto politico con una certa
indifferenza e scetticismo in un
isolamento voluto che divenne sempre
più marcato. Nel 1863 venne a mancare
l’amico Viesseux sicchè il rapporto con il
Capponi che, il 12 Agosto 1868, Pietro
Capei morì stroncato dal male che lo
affliggeva da tempo.
Promulgato lo Statuto la Toscana ebbe,
come il Regno di Napoli, un governo
parlamentare ed il Capei, in virtù dei
Comune di Lucignano - PIANO STRUTTURALE 2004 - Quadro Conoscitivo - Relazione pag. 70
2.7 CARTOGRAFIA STORICA
Viabilità e stratificazione
Comune di Lucignano - PIANO STRUTTURALE 2004 - Quadro Conoscitivo - Relazione pag. 71
2.8 STORIA URBANISTICA
2.8.1 STORIA URBANISTICA DAL
1969 AL 1999
Le14 Varianti al PdF del 1969
II Comune di Lucignano è dotato di un
Programma di Fabbricazione riguardante
l'intero territorio comunale.
La prima stesura di tale Programma di
Fabbricazione fu adottata con D.C.C, n.
83 del07.08.1968 e n. 36 del 18.04.1969, e
approvata
con
Decreto
del
Provveditorato Regionale 00.PP. della
Toscana
n. 22046 del 20.09.1971.
Successivamente il P.d.F. è stato
sottoposto a 14 varianti vere e proprie
più a circa 40 piccole varianti di carattere
particolare o marginale.
Di tali 14 varianti la n. 1, n. 2-3, n. 5, n.
12, n. 13 e n. 14 avevano realmente un
carattere di variante generale o di
revisione del Piano; le altre avevano
carattere [imitato a una sola zona o a una
sola frazione.
La Variante n. 1 al P.d.F., avente come
detto carattere generale, fu adottata con
D.C.C.
n. 116 e 117 del 14.01.1973 e approvata
con D.G.R. n. 4139 del 19.04.1974.
La Variante n. 2 al P.d.F., avente
anch'essa carattere generale, fu adottata
con D.C.C, n. 39 del 18.04.1975 e n. 11
del 23.01.1976; venne poi riadottata con
modifiche con D.C.C, n. 61 del
21.05.1976 e denominata Variante n. 3; il
tutto fu approvato con D.G.R .n.1433 del
23.02.1977.
Per quanto riguarda il Centro storico e gli
immediati dintorni vennero istituite
varie zone B di completamento nella
zona delle Fortezze (dove prima erano
del tutto assenti), lungo Via Fonte Lari e
Via S. Rocco, nella zona di Via Licio
Nencetti, e inoltre nella zona Via della
Repubblica -Via Rigutini.
Per quanto riguarda le aree più lontane
dal Centro storico, da segnalare, ancora,
solo due poli di sviluppo edilizio nella
zona di Via Bonastro, dove viene
individuato il PEEP, e lungo Via dei
Procacci, con un'appendice in direziono
della località II Gorgo; per il resto, solo
limitate aree di completamento.
La Variante n. 4 al P.d.F. fu adottata con
D.C.C, n. 53 del 13.05.1977 e approvata
con
D.G.R. n. 2028 del 03.03.1978.
La Variante n. 5 al P.d.F., avente carattere
generale, fu adottata con D.C.C, n. 44 del
21.04.1980 e approvata con D.G.R. n.
4489 del 16,04.1981; in essa si assiste a un
notevole aumento delle zone B in tutte le
aree sopra indicate attorno al Centro
storico; in particolare nella zona di Via
Nencetti e in quella di Via della
Repubblica il terreno veniva destinato a
verde privato vincolato, come la
maggiore parte dei terreni liberi posti
lungo il lato sud-est delle mura, mentre
quelli posti a nord restavano agricoli e
quelli posti a est e nord-est erano
classificati
come
verde
pubblico
attrezzato.
I lotti già interessati da costruzioni
venivano classificati in zona di
completamento.
Nel
resto
del
Capoluogo, si consolidano i due poli di
espansione già individuati nella zona
PEEP, lungo Via Procacci e in località II
Gorgo, mentre aumentano pure le zone
di completamento disposte a corona
intorno al Centro storico; nasce inoltre
un nuovo polo di espansione, di
dimensioni non indifferenti, nella zona di
Via Rigutini, in parte dentro, in parte
fuori del vincolo paesaggistico.
Si hanno poi una serie di varianti
riguardanti una o più zone oppure una
sola frazione, comunque con carattere
limitato: la n. 6 adottata con D.C.C, n. 34
del 12.03.1982 e approvata con D.G.R. n.
11426 del 25.10.1982, la n. 7 adottata con
D.C.C, n. 82 del 28.05.1982 e approvata
con D.G.R. n. 11427 del 25.10.1982, la n.
8 adottata con D.C.C, n. 188 del
19.11.1982 e approvata con D.G.R. n.
4800 del 19.11.1982, la n. 9 adottata
conD.C.C, n. 226 del 29.12.1985 e
approvata con D.G.R. n. 11480 del
07.11.1983,la n.10 riguardante solo il
Cimitero del Capoluogo, la n. 11 (relativa
al Centro storico del Capoluogo
e tuttora vigente salvo gli aggiornamenti
apportati nel 2002 a seguito della entrata
in vigore della L.R. 52/99) adottata con
D.C.C, n. 136 del 15.07.1983 e approvata
con D.G.R. n.9361 del 17.09.1984.
La Variante n. 12, adottata con D.C.C, n.
28 del 15.02.1985 e approvata con
D.G.R. n.1847 del 23.02.1987, ha di
nuovo carattere generale. Nel Capoluogo,
attorno al Centro storico la situazione si
modifica di poco; si riscontrano alcune
riduzioni oppure compensazioni di zone
B nella zona di Via Nencetti, e alcune
riduzioni di zone B nella zona delle
Fortezze. Notevoli sono invece i
cambiamenti a sud del Centro storico,
alla base del colle di Lucignano, fra le due
direttrici e di Via Senese, dove
cominciano a nascere varie piccole zone
di espansione mentre si allargano anche le
zone B.
Comune di Lucignano - PIANO STRUTTURALE 2004 - Quadro Conoscitivo - Relazione pag. 72
Anche la Variante n. 13 al P.d.F., adottata
con D.C.C, n. 81 del 31.03.1989 e
approvata
con D.G.R. n. 7460del03.09.1990, ha
carattere generale. Peri! Centro storico e
dintorni non vi sono modifiche
apprezzabili,
solo
modeste
riperimetrazioni delle zone già esistenti;
alla base del colle, invece, e soprattutto
nella zona più bassa di Via Rigutino
continuano ad aumentare le zone C.
La Variante n. 14 al P.d.F., adottata con
D.C.C, n. 85 del 22.12.1994 e approvata
con D.G.R. n. 41 del 18.01.1999,
costituisce il Piano attuale, salvo le
varianti denominate "S.U.G." ovvero
"Strumento
Urbanistico
Generale"
adottate
successivamente
e
generalmente di ambito limitato o
puntuale. Per quanto riguarda il Centro
storico e dintorni si assiste a una
sostanziale conferma della situazione
precedente, con alcuni aumenti di aree B
nella zona delle Fortezze e nella zona di
Via della Repubblica; nelle zone più
lontane dal Centro, invece, continuano ad
espandersi le zone C, in particolare nella
zona Via Senese -Via Fonte Becci.
Tra le varianti parziali di cui sopra,
trascurando quelle che prevedevano
semplici
riperimetrazioni
di
aree
edificabili o di comparti di lottizzazione
oppure modifiche a strade ed
aree pubbliche, è importante citare la n.
13 del 2001 che istituisce in loc. Malta
una nuova zona attrezzata destinata a
ricovero per cani, la n. 22 del 2001 che
prevede la formazione di un campeggio
per tende e roulottes in loc. Campoleone,
la n. 23 del 2001 che, sulla base della
schedatura eseguita a suo tempo dalla
Provincia, individua gli immobili di
particolare valore culturale ed ambientale
esistenti nelle zone agricole e già vincolati
dal P.d.F., la n. 30 del 2002 che revisiona
la normativa per il Centro storico in
adeguamento alla L.R. 52/99 e in attesa
della nuova normativa in corso di
elaborazione.
Per quanto riguarda lo stato di attuazione
del Piano, nelle tavole allegate vengono
individuate le zone edificabili di
completamento e di espansione comprese
nel P.d.F-, suddivise in tré gradi di
attuazione: completamente utilizzate, in
corso di utilizzazione, non utilizzate.
Comune di Lucignano - PIANO STRUTTURALE 2004 - Quadro Conoscitivo - Relazione pag. 73
2.8.1.1 SCHEDATURA DELLE VARIANTI
AL PDF DEL 1969
VARIANTE n° 1
OGGETTO DELLA VARIANTE:
Riorganizzazione, all'interno del territorio comunale, delle Zone
Industriali e Artigianali
LOCALIZZAZIONE:
Loc. Pieve Vecchia e Loc. La Croce
DESCRIZIONE DELLA VARIANTE:
Sistemazione organica delle aree destinate ad insediamenti
produttivi con sostituzione di cinque aree con due
concentramenti specifici quello della Pieve Vecchia e de La
Croce
Loc. Pieve
L’area interessata è la fascia compresa tra la
Vecchia
provinciale Foiano-Lucignano e l’Autostrada
del Sole, con la previsione di una viabilità
interna di distribuzione dei lotti e la
dotazione di binario autonomo come scalo
merci della linea Ferroviaria ArezzoSinalunga. La nuova destinazione sostituisce
una precedente previsione di zona per
“complessi operativi attività agricola”.
Loc. La Croce
Ridimensionamento delle previsioni del PDF
risultate eccessive con la finalità di
riqualificare e ricucire una situazione attuale
caratterizzata da interventi isolati.
Sono privilegiate le aree libere a monte della
Provinciale Sinalunga-Lucignano così da non
intasare la visibilità verso il Centro Storico di
Lucignano e la dorsale collinare SinalungaFarnetella.
TAVOLE VARIATE DEL PDF
TAV.02 del P.d.F. in scala 1:10.000
TAV.04 del P.d.F. in scala 1:5000
ARTICOLI VARIATI DEL R.E.
Comma 5 e 6 dell’Art.109
DESCRIZIONE DELLA VARIANTE:
DESCRIZIONE DELLA VARIANTE:
NOTE
ADOZIONE
APPROVAZIONE
D.C.C. n. 116 e 117 del 14.01.1973
D.P.R n. 4139 del 19.04.1974
VARIANTE n° 2
OGGETTO DELLA VARIANTE:
-Revisione del Piano tendente ad un ridimensionamento,
riducendo le eccessive previsioni in conformità dei nuovi criteri
di uso corretto del suolo ed in relazione anche dei piani di edilizia
economica popolare;
-Revisione del rapporto tra le aree di espansione e spazi pubblici
aumentando questi ultimi rispetto ai minimi del D.M. 2.4.1968,
anche in considerazione delle nuove indicazioni generali;
-Revisione della cartografia con sviluppi in scala 1:2.000 che oltre
a presentare maggior chiarezza di lettura, favoriscono una
migliore gestione del piano.
Capoluogo
-Individuazione di Zone A di particolare
interesse storico che, oltre al nucleo centrale
interessano il Convento dei Cappuccini,
S.Rocco, La Fortezza, ecc
-Alleggerimento complessivo delle zone di
espansione comprese tra il centro storico e la
provinciale, nonché l’eliminazione dell’ampia
Zona C a confine con il Convento dei
Cappuccini e la trasformazione in verde
pubblico di quella a fianco della fortezza.
-Alleggerimento delle aree di saturazione in
particolare in direzione La Croce dove
mancano le caratteristiche di Zona B.
Loc. Pieve
-Ridimensionamento di un’ampia zona di
Vecchia
espansione che passa da 4 ha a 1 ha.
-eliminazione di una previsione viaria che
presentava un brutto raccordo con la
provinciale Siena-Cortona.
Loc. La Croce
-Riduzione delle aree di espansione da 6,8 ha
a 1,5 ha.
-Individuazione di aree boschive che in
precedenza erano state classificate come Zone
C.
S.Maria
Riduzione della zona di espansione passando
da 38.000 mq a 4.000 mq
Zone Artigianali
e Industriali
Viabilità
-Il Pianello di tipo D1 in parte saturata
-Il Corniolo da edificare.
-Apposizione di fasce di rispetto dove queste
erano mancanti
-Previsione di una strada di fondovalle che,
riducendo alcune strade consorziali e
comunali esistenti, passa esternamente al
Capoluogo e raccorda la frazione della Croce
con la zona industriale della Pieve Vecchia.
TAVOLE VARIATE DEL PDF
TAV.02; TAV.03; TAV.04; TAV. 05
ARTICOLI VARIATI DEL R.E.
Art.109 e 109 bis modificato ai sensi della deliberazione del C.C.
n. 61 del 21.05.76
ADOZIONE
D.C.C n. 39 del 18.04.1975, n. 11 del 23.01.1976, n. 61 del
21.05.1976
D.G.R. n. 1433 del 23.02.1977 insieme alla Variante n.3
Interessa l’intero territorio comunale e si presenta come Variante
Generale
LOCALIZZAZIONE:
APPROVAZIONE
Comune di Lucignano - PIANO STRUTTURALE 2004 - Quadro Conoscitivo - Relazione pag. 74
VARIANTE n°3
VARIANTE n°5
OGGETTO DELLA VARIANTE:
Consentire la realizzazione di un frantoio per la molitura delle
olive
OGGETTO DELLA VARIANTE:
LOCALIZZAZIONE:
Loc. S.Agata di sotto e S.Pietro terzo
LOCALIZZAZIONE:
DESCRIZIONE DELLA VARIANTE:
Delimitazione della "zona d'intervento" e stesura di una
particolare normativa di Piano
DESCRIZIONE DELLA VARIANTE:
TAVOLE VARIATE DEL PDF
TAV.02 scala 1:10.000TAV.06 scala 1:2.000 aggiuntiva al P.d.F
................
VARIAZIONE DELLE N.T.A.
Introduzione di una nuova sottozona agricola E4 con
denominazione "Zona per insediamenti Operativi"
Interessa l’intero territorio comunale e si presenta come Variante
Generale
-Aggiornamento della cartografia con l'utilizzo del rilievo
aerofotogrammetrico del Capoluogo fatto in occasione del
P.E.E.P.
-Rettifica delle previsioni risultate non realistiche o irrealizzabili.
-Verifica delle previsioni riguardanti gli insediamenti produttivi.
-Maggior chiarezza delle N.T.A.
Capoluogo
Aumento notevole di Zone B attorno al
centro storico.
Classificazione come zona di completamento
dei lotti interessati da costruzioni.
Classificazione di terreni nella Zona Nencetti
e in quella di Via della Repubblica e quelli
liberi posti a sud-est delle mura. come verde
privato vincolato.
Classificazione in terreni agricoli quelli posti a
nord delle mura.
Classificazione a verde pubblico attrezzato dei
terreni posti ad est e nord-est delle mura.
Nella Zona Rigatini ( in parte vincolata
paesisticamente) viene individuato un nuovo
polo di espansione
N.T.A.
Le zone A2 vicine al centro storico vengono
modificate in B2, mentre le zone A1
diventano zone A.
La zone B vengono suddivise in B1 e B2 e
sulle B1 si ha una riduzione dell’altezza.
Per le zone C la volumetria viene definita
comparto per comparto.
Per le zone E viene recepita la L.R.10, mentre
per le E4 è stata mantenuta l’apposita variante
(Variante n. 3).
Sono state precisate le zone F e le zone
soggette a vincolo speciale.
ARTICOLI VARIATI DEL R.E.
NOTE
ADOZIONE
APPROVAZIONE
D.C.C.n.61 del 21.05.1976
D.G.R. n.1433 del 23.02.1977 assieme alla Variante 2
VARIANTE n°4
FINALITA’ DELLA VARIANTE:
Ampliamento di un fabbricato industriale in Zona Agricola
LOCALIZZAZIONE:
Lungo la strada comunale delle sentenze la Pieve Vecchia
DESCRIZIONE DELLA VARIANTE:
-Necessaria per consentire l’ampliamento e l’ammodernamento
di un impianto produttivo per la lavorazione di marmo e
travertino non consentito in quanto decaduto l’ampliamento
UNA TANTUM del 50% del volume esistente per industrie in
Zone Agricole L.R. 16
TAVOLE VARIATE DEL PDF
TAV.02 scala 1:10.000TAV.03 1:2.000 ................
TAVOLE VARIATE DEL PDF
TAV.03 TAV.04 TAV.05 TAV.06 ........
VARIAZIONE DELLE N.T.A.
Riviste integralmente contenenti i dati sopra riportati
ARTICOLI VARIATI DEL R.E.
NOTE
ARTICOLI VARIATI DEL R.E.
ADOZIONE
APPROVAZIONE
D.C.C. n.53 del 13.05.1977
D.G.R. n. 2028 del 03.03.1978
NOTE
ADOZIONE
APPROVAZIONE
D.C.C. n. 44 del 21.04.1980
D.G.R. n. 4489 dek 16.04.1981
Comune di Lucignano - PIANO STRUTTURALE 2004 - Quadro Conoscitivo - Relazione pag. 75
VARIANTE n°6
DESCRIZIONE DELLA VARIANTE:
L’area individuata per la realizzazione di un edificio postale di
dimensioni standard di circa mq 205 è ubicata in una zona
baricentrica rispetto ai nuovi sviluppi abitativi, al Centro Storico
e al nuovo insediamento P.E.E.P e attraverso l’attuale sistema
viario è facilmente raggiungibile da tutto il territorio comunale.
TAV. 01Simbologia TAV.03 1:2.000................
OGGETTO DELLA VARIANTE:
Estensione della previsione di vincolo speciale e adeguamento
delle N.T.A per le zone A2
LOCALIZZAZIONE:
Loc. Capoluogo
TAVOLE VARIATE DEL PDF
DESCRIZIONE DELLA VARIANTE:
Conseguente ad alcuni stralci e prescrizioni fatti dalla Regione
Toscana nel P.d.F. di Lucignano.
ARTICOLI VARIATI DEL R.E.
TAVOLE VARIATE DEL PDF
TAV.03 ....................
NOTE
ADOZIONE
APPROVAZIONE
ARTICOLI VARIATI DEL R.E.
D.C.C. n.188 del 19.11.1982
D.G.R. n. 4800 del 05.05.1983
NOTE
ADOZIONE
APPROVAZIONE
D.C.C. n. 34 del 12.03.1982
D.G.R. n. 11426 del 21.10.1982
VARIANTE n°9
OGGETTO DELLA VARIANTE:
Riclassificazione di un area agricola occupata da un opificio in
zona D e individuata la sottozona D3
LOCALIZZAZIONE:
Loc. Padule
DESCRIZIONE DELLA VARIANTE:
La variante va a riclassificare un area agricola, posta nelle
vicinanze di aree industriali esistenti, occupata da uno
stabilimento produttivo (lavorazioni di marmi e graniti) in area
produttiva individuando una nuova sottozona denominata D3
Viene modificata l'altezza massima della sottozona B1 che passa
da ml. 8 a ml. 9 in quanto permetteva la creazione di mansarda
con soluzioni tipologiche estranee alle caratteristiche di zona.
TAVOLE VARIATE DEL PDF
TAV.02 1: 10.000 TAV.03 1:2.000TAV. 01 Simbologia............
ARTICOLI VARIATI DEL R.E.
Art. 109 punto 5 “sottozona D3”
TAVOLE VARIATE DEL PDF
........................
NOTE
ARTICOLI VARIATI DEL R.E.
Art.109 e 109 bis Testo della sottozona "B1"
ADOZIONE
APPROVAZIONE
VARIANTE n°7
OGGETTO DELLA VARIANTE:
Modifica delle Norme Tecniche di Attuazione
LOCALIZZAZIONE:
DESCRIZIONE DELLA VARIANTE:
D.C.C. n.226 del 29.12.1982
D.G.R. n. 11480 del 07.11.1983
NOTE
ADOZIONE
APPROVAZIONE
D.C.C. n.82 del 28.05.1982
D.G.R. n. 11427 del 25.10.1982
VARIANTE n°10
OGGETTO DELLA VARIANTE:
Individuazione di un area per l'ampliamto del cimitero del
Capoluogo
LOCALIZZAZIONE:
Capoluogo
VARIANTE n°8
OGGETTO DELLA VARIANTE:
Individuazioene di un area per la realizzazione di un edificio
postale
DESCRIZIONE DELLA VARIANTE:
LOCALIZZAZIONE:
Lungo la Provinciale Siena Cortona
TAVOLE VARIATE DEL PDF
............
Comune di Lucignano - PIANO STRUTTURALE 2004 - Quadro Conoscitivo - Relazione pag. 76
ARTICOLI VARIATI DEL R.E.
TAVOLE VARIATE DEL PDF
TAV. 01 TAV.02 TAV.03 TAV.04 TAV.05
NOTE
ARTICOLI VARIATI DEL R.E.
-Suddivisione della zona B in 5 sottozone articolate secondo i
caratteri dei diversi ambiti territoriali considerati, tipologia,
funzione degli edifici e degli insediamenti. B1, B2, B3, B4, B5.
-Suddivisione della zona C in 3 sottozone C1 C2 C3
ADOZIONE
APPROVAZIONE
D.C.C. n.xxx del xx.xx.xx Chiedere a Rosini
D.G.R. n. xxx del xx.xx.xxxx Chiedere a Rosini
NOTE
VARIANTE n°11
ADOZIONE
APPROVAZIONE
OGGETTO DELLA VARIANTE:
Programmazione urbanistica del centro storico
LOCALIZZAZIONE:
Centro Storico
DESCRIZIONE DELLA VARIANTE:
La Variante, tuttora vigente, norma gli interventi ammissibili
all’interno del Centro Storico e sull’edificato storicizzato sparso
all’interno del territorio agricolo del Comune di Lucignano
OGGETTO DELLA VARIANTE:
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LOCALIZZAZIONE:
TAVOLE VARIATE DEL PDF
D.C.C. n.28 del 15.02.85
D.G.R. n. 1847 del 23.02.1987
VARIANTE n°13
Interessa l’intero territorio comunale e si presenta come Variante
Generale
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In modo particolare interessa tutto il comparto produttivo e
alcune aree a prevalenza residenziale poste in Loc. Capoluogo.
NOTE
Zona Gorgo
ADOZIONE
APPROVAZIONE
D.C.C. n. 136 del 15.07.1983
D.G.R. n. 9361 del 17.09.1984
VARIANTE n°12
DESCRIZIONE DELLA VARIANTE:
OGGETTO DELLA VARIANTE:
Interessa l’intero territorio comunale e si presenta come Variante
Generale
LOCALIZZAZIONE:
DESCRIZIONE DELLA VARIANTE:
Ricontrollo e sistemazione di tutto il comparto abitativo del
territorio comunale sia sotto l’aspetto qualitativo e quantitativo
che sotto quello localizzativo.
-Ridimensionamento complessivo delle quantità residenziali
previste dal P.d.F. vigente (in particolare le zone C)
-Nuova articolazione delle zone B al fine di attivare i processi di
recupero e ridefinizione del costruito per ambiti omogenei sia dal
punto di vita tipologico che uranistico.
-Ridefinizione delle zone C mediante individuazione e
ricollocazione di nuove aree rispondenti ai criteri di compatibilità
ambientale, riqualificazione dei tessuti periferici e limitazione
della potenzialità edificatoria per renderle più aderenti alle
effettive capacità imprenditoriali.
-Introduzione di nuova normativa per le zone B e C
-Mantenimento del ruolo del Capoluogo come elemento do
sintesi e di equilibrio del contesto territoriale comunale.
NTA
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-Modifica della maglia viaria per garantire un
maggior ordine al tessuto periferico attraverso la
riprosizione dell’isolato, la formazione della
maglia viaria coerente
con l’orditura del
territorio e la riconnessione dei percorsi al fine
di chiarirne i rapporti gerarchici.
-Ricompattamento del l’ambito edificatorio
anche attraverso un incremento volumetrico
lieve.
-Collegamento dei vari percorsi d’impianto
ortogonale alla provinciale Siena Cortona
attraverso una strada di mezzacosta che nel
proseguimento di Via Fontemanna riconnette
tutta l’area in oggetto con la parte posta a sud
del centro storico.
Modifica delle Norme Tecniche d’Attuazione
per le zone C e modesti aggiustamenti nelle
zone B
TAV.02 TAV.03 TAV.04 TAV.05 TAV.06
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NOTE
ADOZIONE
APPROVAZIONE
D.C.C. n.81 del 31.03.89
D.G.R. n. 7460 del 03.09.1990
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