STUMBLING IS NOT FALLING
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STUMBLING IS NOT FALLING
STUMBLING IS NOT FALLING “Education is our passport to the future, for tomorrow belongs to the people who prepare for it today” MALCOLM X Correva l’anno 1965 quando una sanguinosa faida tra neri, verosimilmente fomentata dall’FBI, portò alla morte del “nostro splendido principe nero”, secondo la definizione che ne diede Ossie Davis, una tra le figure-simbolo nella lotta per i diritti civili, nel suo elogio funebre. Data l’importanza del suo insegnamento, di assoluta e sorprendente attualità, che esorta ogni uomo snaturalizzato e oppresso da qualsiasi forma di sfruttamento o violenza a esplorare se stesso con occhi nuovi, riscoprendo così la propria unicità e la piena coscienza di ciò che è o vuole diventare, molti registi e attori hanno deciso di cimentarsi nell’ardua e quasi impossibile impresa di farlo rivivere sullo schermo, in modo da richiamare l’attenzione del pubblico sulla sua figura, investita di per sé di un particolare potere carismatico, concetto introdotto dal filosofo Max Weber nell’ambito delle scienze storico-sociali come “potenza rivoluzionaria creatrice della storia”, e sul suo messaggio, a circa trent’anni dalla tragica e precoce scomparsa. Fra questi una star del calibro di Denzel Washington, protagonista incredibilmente rassomigliante al leader afro-americano in Malcolm X di Spike Lee del 1992, una tra le sue pellicole più riuscite e stupefacenti, tanto da spingere Roger Ebert, primo critico cinematografico ad essersi guadagnato una stella sulla “Walk of Fame” di Hollywood nel 2005, a scrivere: ”Vedendo questo film ho potuto comprendere con maggior chiarezza quanto potere abbiamo nel cambiare le nostre vite, e come non sia vero che il destino ci abbia già dato tutte le carte da giocare”. Malcolm X (a sinistra) e Denzel Washington in Malcolm X di Spike Lee Questa dichiarazione si adatta perfettamente al personaggio che ho scelto di esaminare e all’esempio che inconsapevolmente ha rappresentato un po’ in tutti gli ambiti socio-culturali (dalla scrittura, alla poesia e persino al rap), permettendoci, inoltre, di analizzare le linee di impostazione del suo pensiero e il percorso di profonda evoluzione intellettuale che lo vide protagonista, attraverso la sua biografia, venata dei caratteri tipici dei romanzi di formazione in genere, e l’impianto iconografico del film. Malcolm X nacque Malcolm Little il 19 maggio 1925 a Omaha, nel Nebraska, settimo di dieci figli, da Earl Little, predicatore battista e ardente sostenitore delle dottrine politiche di Marcus Garvey, leader nazionalista nero, teorico convinto del ritorno degli ex-schiavi in Africa, e Louise Norton, immigrata di Grenada, a quel tempo colonia britannica. Per noi, abituati a considerare negativamente le società antiche, in quanto basate sullo sfruttamento del lavoro schiavile, è sorprendente, per non dire quasi incredibile, constatare, attraverso autori come Seneca (Lettere a Lucilio 47), quanto in alcuni contesti storici il trattamento a loro riservato fosse di gran lunga più umano rispetto al “civile” Novecento americano. A causa di questo spiccato attivismo, anche il padre di Malcolm, suo totale riflesso all’interno del film, trovò la morte in circostanze assai oscure, dietro le quali, molto probabilmente, si cela l’ombra del KuKlux-Klan e che richiamano alla mente la vicenda autobiografica di Giovanni Pascoli, vittima del medesimo trauma, al quale dedica due tra le sue più celebri liriche: X agosto e La cavalla storna. La persistente mancanza di reddito e la malattia insanabile che aveva colpito la madre, rimasta disoccupata in seguito al triste panorama della crisi del '29, portarono, in breve tempo, al totale disfacimento della famiglia di Malcolm, che venne affidato ad una coppia di amici del Michigan. Qui fu espulso dalla scuola per “comportamento anti-sociale e cattiva condotta in aula”, venne poi spedito nella casa correzionale di Lansing, dove si distinse come brillante studente, nonostante le sue speranze di studio venissero continuamente frustrate dai frequenti episodi di discriminazione operati da compagni e insegnanti, secondo i quali era a dir poco “inconcepibile” che un negro ambisse alla carriera di avvocato. Successivamente si stabilì a Boston insieme alla sorella maggiore, dove compì i primi passi nel mondo del lavoro come lustrascarpe e usciere in treni e ristoranti, ma ben presto il suo nome divenne noto nell’ambiente dell’illegalità, in un crescendo di traffici di droga, prostituzione, scommesse clandestine, estorsione e rapina, che gli costarono l’arresto e una condanna, all’età di appena vent’anni, spropositata se si considera la natura dei reati che gli vennero imputati, da un giudice principalmente deciso a ribadire con risolutezza il limite della tolleranza a livello razziale. Denzel-Malcolm negli anni che precedono la conversione all'Islam Proprio durante la reclusione, si compì la sua totale metamorfosi. Per mezzo del fratello Reginald, infatti, Malcolm entrò in contatto con la Nation of Islam, ovvero N.O.I., setta islamica militante guidata da Elijah Muhammad, la quale auspicava alla creazione di una nazione nera separata all’interno degli Stati Uniti e denunciava il razzismo della religione cristiana, predicata dai cosiddetti “diavoli bianchi con gli occhi azzurri”, plasmati da un maligno scienziato di nome Yacub, attribuendo loro la responsabilità di tutte le sciagure di cui, nel corso degli anni, era stata vittima l'intera umanità. Uscito dal carcere redento, Malcolm, pur essendo analfabeta, si diede sempre più avidamente allo studio da autodidatta, fino a munirsi di un bagaglio culturale assai vasto, e, una volta nominato “assistente pastore” del tempio numero uno di Detroit, fu attivissimo nel reclutare nuovi proseliti, giungendo quasi all’apice dell’organizzazione, e nel tenere discorsi di straordinario rigore, venati di spontaneità oratoria. Fu in questo periodo che ricevette solennemente il cognome “X”, emblema del rifiuto del cognome da schiavo e del forte tentativo di riconquista di una memoria calpestata, negata, trovando anche il tempo di scrivere, in collaborazione con il giornalista statunitense Alex Haley, la sua Autobiografia, in cui sono contenuti i pilastri sui quali si basava la filosofia di Malcolm: orgoglio e nazionalismo nero, e panafricanismo. Tuttavia, nel 1964, Malcolm, sostenuto affettuosamente dalla coraggiosa moglie Betty, decise di interrompere i suoi rapporti con la Nazione Islamica per dar vita ad un nuovo movimento chiamato Muslim Mosque, (due anni prima, infatti, era venuto a conoscenza del fatto che il leader dell’organizzazione avesse avuto figli da relazioni illegittime con due sue segretarie e che fossero in corso le cause tramite cui queste ultime ne richiedevano il riconoscimento), compiendo un pellegrinaggio alla Città Santa della Mecca, esperienza di forte e sincero rinnovamento che lo cambiò profondamente dal punto di vista ideologico e sociale, e abbracciando l'Islam sunnita, guidato dal desiderio di svolgere attività politica e di proclamare alle Nazioni Unite la violazione della Carta dei Diritti dell’uomo, al fine di guadagnarsi l’appoggio dei paesi afro-asiatici sottrattisi al giogo colonialista. Diventò El-Hajj Malik El-Shabazz, contrapponendosi, sebbene i filoni di resistenza a cui appartenevano corressero in parallelo, all'altro grande leader afroamericano assassinato a 39 anni, Martin Luther King. Martin Luther King (a sinistra) con Malcolm X King, sulle orme di uno dei più grandi pensatori del Novecento, il Mahatma Gandhi, preferì concentrarsi su un’azione diretta nonviolenta per ottenere un mutamento radicale nella politica sociale, e “iniziò a parlare per se stesso”, individuando nel cammino spirituale della verità - la verità accecante che i suoi occhi avevano avuto il privilegio di vedere, per la prima volta, in prigione - l’unica strada possibile in questo mondo, per porre fine ai disastri ai quali, inequivocabilmente, conduce il razzismo. Ormai però la sua sorte era segnata, il suo percorso lo aveva portato troppo lontano dall’”ortodossia” della setta. Malcolm, emancipatosi dalle dottrine fanatiche propugnate dall’Organizzazione, in una sempre più chiara rilettura del pensiero di Karl Marx, aveva finalmente compreso che gli orrori della schiavitù e della segregazione razziale, non dipendevano dalla tanto incriminata "perfidia bianca”, non erano gratuiti né infondati ma, anzi, necessari alla difesa dei rapporti di proprietà con ogni mezzo necessario, poiché soltanto rendendo il ricordo della schiavitù fulcro della propria meditazione, si giunge prontamente alla critica della proprietà, dell’essere stati “dominio” di qualcuno, fattore da cui tutta l'esperienza afro-americana fu influenzata. Il 21 febbraio 1965, nella Audubon Ballroom di Harlem, dove stava per tenere un comizio, almeno tre sicari lo uccisero con sedici colpi d'arma da fuoco sparati dalle prime file della platea, davanti agli occhi impotenti della moglie incinta e delle loro quattro bambine. Ai funerali parteciparono oltre 1.500.000 persone; il suo corpo venne sepolto nel Cimitero di Ferncliff, ad Hartsdale, New York. Dell'assassinio furono accusati tre membri della Nation of Islam, tutti condannati per omicidio nel marzo del 1966, nonostante, ancora oggi, non sia stata fatta chiarezza sui reali mandanti del delitto. Le pallottole che lo uccisero, sì, posero fine alla sua esistenza terrena e ad un'entusiasmante ricerca, ma non alla leggenda di cui era ormai un simbolo vivente: la scia delle sue parole è inarrestabile e ci chiama , ogni giorno, ad un coraggio e una fiducia tali da rispolverare le motivazioni, di cui spesso non siamo consapevoli, per scoprirci orgogliosi e felici di ciò che siamo e di cosa facciamo, in qualità di esseri umani speciali e irripetibili, mai passivi spettatori della nostra vita, ma veri e propri artefici del nostro destino.