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PSR - MISURA 111.1 SOTTOAZIONE B Federazione Italiana Gruppi Coltivatori Sviluppo Federsviluppo Associazione regionale del Piemonte Programma sviluppo rurale 2007-2013 Informazione nel settore agricolo Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale ❚❚ Nature è una delle più antiche ed importanti riviste scientifiche esistenti, forse in assoluto quella considerata di maggior prestigio nell’ambito della comunità scientifica internazionale – insieme a Science –, pubblicata fin dal 4 novembre 1869. Nel numero di maggio 2013 nature apre l’argomento Ogm citando che per l’Isaa – International Service for the Acquisition of AgriBiotech Applications – non conviene più insistere nell’intento di introdurre varietà vegetali geneticamente modificate a scopo di coltivazione in Europa, essendosi rilevato un obiettivo irraggiungibile perché emerge che alcune vecchie promesse riguardanti gli Ogm non si sarebbero realizzate. Esattamente 30 anni fa – 1983 –, annunciando la possibilità di poter inserire geni nelle piante creando degli Ogm, i ricercatori promettevano di rendere la vita più facile, garantendo con una maggiore produzione e più accessibilità agli alimenti anche alle popolazioni affamate del terzo mondo. Oggi, passati 30 anni, uno speciale di Nature si interroga su come questa tecnologia si sia sviluppata. All’alba di quella che sembrava essere una nuova Rivoluzione Verde in piena regola, l’interesse degli investitori era febbrile. Antesignano degli Ogm fu all’epoca un pomodoro destinato a non marcire una volta maturo: il pomodoro Flavr Savr, sviluppato in California. Nonostante le premesse e l’interesse dell’industria, con un mercato stimato di almeno 500 milioni di dollari per anno, nel 1992 la varietà doveva ancora essere approvata. Solo nel 1994, in seguito ad un lungo percorso presso la Food and Drug Administration, il pomodoro fu commercializzato, ma la Campbell’s, inizialmente paladina del pomodoro, dichiarò che non lo avrebbe mai utilizzato per le proprie passate di verdura. Presto, riconosce Nature, si rivelarono i limiti degli Ogm, in particolare la mancanza di approvazione da parte dei consumatori, che peraltro non furono l’obiettivo preciso delle modifiche che erano indirizzate ad aspetti più agronomici, come la resistenza ad erbicidi o la tolleranza ad avversità. Si preferì rivolgersi agli agricoltori, ma anche questi furono un target mal concepito: come se esistesse una unica agricoltura mondiale, fatta di larghe estensioni di terreno, di sole commodity a basso costo e indifferenziate sul mercato globale. Una semplificazione eccessiva. Ma oltre a quelle che Nature chiama “disinformazione, paure, preoccupazioni” costruite dai media e che in base alla prospettiva adottata, potrebbero essere sanate con uno sforzo di “educazione”, la rivista sembra riconoscere che “dare supporto ai raccolti geneticamente modificati (Gm) è difficile: facile infatti esaltarsi per la buona scienza, indipendente, e le relative promesse; più complicato invece difendere grandi multinazionali affamate di profitti”, inoltre si potrebbe aggiungere multinazionali con un passato incerto, non sempre indirizzate alla tutela della salute pubblica. In ogni caso alcune delle conclusioni di Nature sono trancianti “troppi eventi Gm sono stati dei fallimenti. Il mercato di oggi è dominato da pochi eventi, resistenti agli insetti e tolleranti agli erbicidi. I benefici ambientali sono incerti, e gli attivisti mettono in dubbio an- 1-30 giugno 2013 Pagine informative anno 69 – numero 6 pagina 12 La rivista “Nature” fa il punto sugli Ogm Una delle più importanti e prestigiose pubblicazioni scientifiche ha affrontato questo argomento nel numero del maggio scorso che la sicurezza alimentare”. In realtà, non solo gli attivisti sarebbero critici su aspetti di sicurezza alimentare. In mancanza di un protocollo effettivo e ben fatto, con una solida metodologia di laboratorio alle spalle, troppe cose rimangono non spiegate. In Europa, che pure ha una delle legislazioni più stringenti al mondo anche per quel che riguarda la procedura di valutazione scientifica di precommercializzazione solo da pochissimo è stato reso obbligatoria l’adozione di, peraltro ormai superati, protocolli Ocse – Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico – per la valutazione del rischio. Con cosiddetti feeding trials – somministrazione di mangimi con Ogm a cavie – a 90 giorni. Mentre prima, ognuno era libero di comportarsi come voleva. Le conseguenze sono state almeno due: da una parte, un processo di valutazione che si è sempre positivamente concluso per le industrie che richiedevano approvazione di tratti Gm. Dall’altra però, un contenzioso scientifico elevato, con Efsa che si è trovata nella maggior parte dei casi a chiedere nuovi dati e studi non forniti dalle aziende in prima battuta. I cibi Gm poi sembrano preoccupare ancora di più i consumatori quando riguardano il regno animale. L’approvazione del salmone Gm AquAdvantage, e ormai prossima, dopo 18 anni e 60 milioni di dollari investiti, forse questo pesce potrebbe entrare sul mercato USA, dove peraltro vi sono ancora forti diatribe con i consumatori. L’etichetta e la rintracciabilità dei prodotti Gm infatti in USA non sono ancora garantite per legge. Se alcune catene come Whole Foods si sono impegnate nell’etichettatura trasparente di questo aspetto, in California il referendum su indicazione Gm in etichetta è fallito. Anche perché le multinazionali hanno sborsato oltre 40 milioni di dollari per promuovere una campagna pubblica contro l’etichettatura. Mentre lo stato di Washington si appresta poi a votare la proposta “The People’s Right to Know Genetically Engineered Food Act”nota anche come “Initiative 522”. Miti o realtà? Nature inoltre si interroga anche su ricorrenti aspetti legati alla percezione pubblica degli Ogm. 1. Sono stati all’origine di varietà super-resistenti agli erbicidi, come alcuni dichiarano? 2. Hanno davvero causato un’ondata di suicidi nell’India rurale, come anche Vandana Shiva – attivista e ambientalista indiana che nel 1993 ha ricevuto il cosiddetto Premio Nobel alternativo, cioè il Right Livelihood Award – ha più volte pubblicamente dichiarato? 3. E ancora: i geni Gm si sono diffusi nell’ambiente, in modo incontrollato, come paventato da altri? Domande chiave, che da tempo si affastellano sui giornali in cerca di una risposta. Le verità stando a Nature, sono le seguenti. Gli Ogm hanno davvero contribuito a creare varietà super-resistenti, in ragione dell’uso incontrollato di glifosato e altri erbicidi. Come in tutti i fenomeni biologici di adattamento e selezione – e al pari di quanto accade nel settore farmacologico con la antibiotico resistenza – in diciotto Stati americani l’uso di tali erbicidi ha finito per favorire la selezione di erbe infestanti ora più difficili da debellare e in grado di competere con le colture. Per cui in questi Stati Monsanto oggi raccomanda di diversificare gli erbicidi, proprio per limitare lo sviluppo di infestanti resistenti. Per quanto riguarda ciò che è successo in India se il tasso di suicidi non è aumentato, mantenendosi ad un livello di circa 100 mila all’anno, Nature afferma però che la dinamica retrostante circa la plausibilità rimane: la multinazionale Monsanto infatti sarebbe responsabile di una diminuzione del margine netto delle aziende agricole passate a coltivare il cotone BT, i cui semi costavano cinque volte tanto quelli convenzionali. Insomma, magari i numeri ufficiali non lo rivelano, ma il denaro nelle tasche dei coltivatori è certamente calato, probabilmente a causa anche di un cattivo uso che è stato fatto dei semi stessi. E il Parlamento indiano l’anno scorso avrebbe deciso di fermare il sistema di sperimentazione in campo aperto anche perché rispondeva di più alle priorità dell’industria che ai bisogni degli agricoltori. Circa la terza domanda, ancora non si ha una risposta chiara, anche se Nature afferma che vi sono diverse evidenze che stia accadendo. Ad esempio in Messico, dove gli Ogm non sono approvati per la coltivazione, nel 2000 alcuni agricoltori cercarono di farsi certificare una varietà locale di mais per la coltivazione biologica. Con grossa sorpresa, si accorsero che il proprio mais conteneva espressioni genetiche di resistenza al glifosato. Probabilmente, mais Ogm era stato seminato da alcuni coltivatori messicani e una volta nell’ambiente, aveva causato la diffusione di geni di resistenza. Lo studio cadde sotto il fuoco della Monsanto, che spinse per sconfessarne la pubblicazione. Diversi studi successivi però non furono in grado di contenere le accuse e anzi, nel 2009 uno studio di Elena AlvarezBuylla della Università Autonoma del Messico trovò conferme al fenomeno della diffusione genetica nell’ambiente. Certo, ancora oggi si ritiene che i risultati non siano, come si dice in termini di ricerca, conclusivi. Ma basterebbe la risposta alle prime due domande per avere grosse riserve su un loro uso. ❚❚ Fonte Sicurezza alimentare e produttiva Coldiretti ❚❚ Le pagine informative sono a cura di [email protected]