Primo capitolo del libro

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Primo capitolo del libro
Una vita in gioco. Trasfigurazioni
riconciliarsi con il proprio passato. È solo allora, infatti, che diviene possibile trasfigurarlo…
2. L’Alchimista
Ai giovani che venivano da lui per la prima volta,
Rabbi Bunam era solito raccontare la storia di Rabbi Eisik,
figlio di Rabbi Jekel di Cracovia.
Dopo anni e anni di dura miseria,
che però non avevano scosso la sua fiducia in Dio,
questi ricevette in sogno l’ordine di andare a Praga
per cercare un tesoro sotto il ponte che conduce al palazzo reale.
Quando il sogno si ripetè per la terza volta,
Eisik si mise in cammino e raggiunse a piedi Praga.
Ma il ponte era sorvegliato giorno e notte dalle sentinelle
ed egli non ebbe il coraggio di scavare nel luogo indicato.
Tuttavia tornava al ponte tutte le mattine, girandovi attorno fino a sera.
Alla fine, il capitano delle guardie, che aveva notato il suo andirivieni,
gli si avvicinò e gli chiese amichevolmente
se avesse perso qualcosa o se aspettasse qualcuno.
Eisik gli raccontò il sogno che lo aveva spinto fin lì dal suo lontano paese.
Il capitano scoppiò a ridere:
“E tu, poveraccio, per dar retta a un sogno sei venuto fin qui a piedi?
Ah, ah, ah! Stai fresco a fidarti dei sogni!
Allora anch’io avrei dovuto mettermi in cammino per obbedire a un sogno
e andare fino a Cracovia, in casa di un ebreo, un certo Eisik, figlio di Jekel,
per cercare un tesoro sotto una stufa! Eisik, figlio di Jekel, ma scherzi?
Mi vedo proprio a entrare e mettere a soqquadro tutte le case in una città
in cui metà degli ebrei si chiamano Eisik e l’altra metà Jekel!”
E rise nuovamente.
Eisik lo salutò, tornò a casa sua e dissotterrò il tesoro
con il quale costruì la sinagoga intitolata “Scuola di Reb Eisik, figlio di Reb Jekel”.
(dai Racconti dei Chassidim).
Questo è il canovaccio della storia raccontata ne L’Alchimista. Proprio il fatto
che tale romanzo riscriva, per così dire, una antica storia chassidica, depone a
favore della sua parentela al genere archetipico. D’altra parte, lo stesso Coehlo
ricorda, nella Prefazione, come il suo sia “un libro simbolico”, espressione
dell’inconscio collettivo o, per usare il termine caro all’autore brasiliano,
dell’Anima del Mondo. L’enorme successo a livello mondiale che questo
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modesto libro è riuscito ad ottenere è un’ulteriore prova della sua appartenenza al genere archetipico. La profondissima verità che quivi viene espressa
e narrata sembrerebbe essere qualcosa che trascende le differenze tra culture
e civiltà perché appartiene a tutti, ad ogni uomo e donna di ogni latitudine e di
ogni tempo. È qualcosa di universale. In questa semplice storiella chassidica
come anche nel più articolato romanzo di Coehlo che la riscrive ampliandola,
Massimo vi ha trovato custodito il senso profondo del suo cammino sotto il
sole alla ricerca dell’amore. L’Alchimista ha avuto un posto importante nella
sua personale esperienza di vita e costituisce, per così dire, una prima trasfigurazione, attraverso la quale ha potuto rileggere i suoi primi quarant’anni…
I maestri chassidim dicevano:
Un giorno in cui riceveva degli ospiti eruditi, Rabbi Mendel di Kozk li stupì
chiedendo loro a bruciapelo: “Dove abita Dio?”. Quelli risero di lui: “Ma che
vi prende? Il mondo non è forse pieno della sua gloria?”. Ma il Rabbi diede
lui stesso la risposta alla domanda: “Dio abita dove lo si lascia entrare”.8
Ciò che conta, in ultima analisi, è molto semplice: si tratta di lasciar entrare Dio nella nostra concreta esperienza di vita. Ed è possibile lasciar entrare
Dio semplicemente rimanendo là dove ci si trova, e dove ci si trova realmente, dove si vive, e dove si vive una vita autentica. Non è necessaria alcuna dote straordinaria o alcuna fortuna o condizione di vita speciale: tutti
possiamo, là dove siamo, vivere autenticamente e quivi incontrare e fare
esperienza di quel tesoro che tra tutti è il più importante: incontrare Dio. E
quando avremo incontrato Dio, ecco che allora l’amore diviene realmente
possibile ed è una benedizione! Ma, talvolta, per rendersene conto, è necessario intraprendere un lungo viaggio, fare tante esperienze e incontri, soffrire molto, fino a trovarsi ad un passo dall’abisso della disperazione e della
follia. In fondo, sembra dirci questa storia, non abbiamo bisogno di nulla…
se non di raccogliere quel tesoro che è da sempre qui, accanto a noi, dove
quotidianamente viviamo, lavoriamo, soffriamo e gioiamo. Il Regno di Dio
è qui, in mezzo a noi! Perché non ce ne accorgiamo?
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M. Buber, I racconti dei Chassidim, Garzanti, Milano, 1979.
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Il romanzo racconta la storia di Santiago, un giovane pastore Andaluso,
che aveva lasciato la famiglia e il seminario in cui aveva studiato perché amava viaggiare:
Fino a sedici anni era stato in seminario. I suoi genitori, infatti, volevano che
divenisse prete e costituisse motivo di orgoglio per una modesta famiglia
contadina che lavorava solo per sfamarsi e dissetarsi, come le pecore. Aveva studiato latino, spagnolo e teologia. Ma, fin da bambino, sognava di conoscere il mondo, e questo era ben più importante che conoscere Dio o i
peccati degli uomini. Un pomeriggio, in visita alla famiglia, aveva trovato il
coraggio di annunciare al padre la propria intenzione di non fare il prete.
Perché voleva viaggiare.9
Il padre non disse nulla, diede quel che poteva al suo figliolo e lo benedisse. La vita da pastore piaceva molto a Santiago, anche perché gli dava
modo di incontrare e conoscere tante persone. Un sogno ricorrente stuzzicava la curiosità di Santiago che decise di chiedere aiuto a una zingara, nota
per la sua capacità di interpretare i sogni.
Ho sognato di trovarmi in un pascolo con le mie pecore, ed ecco che compariva un bambino che cominciava a giocare con gli animali […]. Per un
po’ il bambino continuava a giocare con le pecore e poi, all’improvviso, mi
prendeva per la mano e mi conduceva fino alle Piramidi d’Egitto […]. Il
bambino mi diceva: “Se verrai fin qui, troverai un tesoro nascosto”. E quando stava per mostrarmi il luogo esatto, mi sono svegliato.
L’interpretazione che la zingara gli offrì fu banalmente semplice ma anche, insieme, tremendamente impegnativa: “Il sogno dice che devi andare
fino alle Piramidi d’Egitto e lì troverai un tesoro!”. Un po’ irritato per una
tale risposta, Santiago chiese: “E come arriverò fino in Egitto?” – “Io mi limito a interpretare i sogni. Non conosco il modo in cui trasformarli in realtà”, rispose la vecchia zingara. Perplesso da una simile risposta, Santiago si
immerse nella lettura – era il suo passatempo preferito – mentre veniva
raggiunto da uno strano vecchio, il re di Salem. Questi lo pose di fronte a
una verità ancora una volta semplice, ma alquanto impegnativa: “Dammi
un decimo delle tue pecore, e io ti insegnerò come raggiungere il tesoro na!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
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Le citazioni seguenti sono tratte da P. Coehlo, L’Alchimista, cit.
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scosto”. Una richiesta assurda, pensò Santiago: ma quale tesoro? E poi le
mie pecore sono ciò a cui più tengo! Ho pagato tanto per poterle avere ed è
grazie a loro che posso fare ciò che ho scelto e cioè viaggiare! Ma quello
strano personaggio sapeva scrutarlo nel profondo e scrisse per terra la storia
di Santiago fino a quel momento.
Perché mai un re parla con un pastore? – domandò il ragazzo pieno di vergogna e di stupore – Per varie ragioni. Ma diciamo che la più importante è
che tu sei stato capace di realizzare la tua Leggenda Personale […]. Realizzare la propria Leggenda Personale è il solo dovere degli uomini. Tutto è
una sola cosa. E quando tu desideri qualcosa, tutto l’Universo cospira affinché tu realizzi il tuo desiderio.
Non fu facile decidere cosa fare, ma alla fine Santiago accolse l’invito
della zingara e del vecchio re: vendette le pecore e partì per l’Africa.
Santiago era, evidentemente, un ragazzo un po’ particolare, già per il
fatto di essere entrato in seminario con l’intenzione di fare il prete. È vero
che questo fu più un desiderio dei suoi genitori che una sua specifica scelta,
ma resta il fatto che compì comunque una scelta piuttosto controcorrente.
In questa decisione ritroviamo il desiderio dello stesso padre di fare il prete,
cioè di individuarsi e guadagnare una identità personale senza accontentarsi
di un ruolo collettivo. In effetti, il padre nella storia è una persona molto
positiva: quando Santiago gli comunica di voler uscire dal seminario per fare
il pastore perché ama viaggiare, il padre non lo ostacola, ma anzi lo benedice e gli dà quello che può affinché il figlio possa realizzare il suo sogno.
Molto spesso capita, infatti, che siano proprio i figli a realizzare i sogni dei
genitori, a dare concretezza a quelle potenzialità già inscritte nella vita dei
loro genitori.
La diversità e originalità di Santiago emerge dunque nella sua decisione
di viaggiare. È qui che Santiago prende le distanze dal sogno di suo padre
per seguire il proprio sogno: è un grande passo in avanti! Ho avuto anch’io
un padre di questo tipo. Amava la montagna e aveva una grande fede ed è
stato per me naturale dare corpo alle passioni di mio padre: sono diventato
istruttore di alpinismo e di sci alpinismo e poi sono entrato in seminario,
deciso a diventare prete. Nella mia vita c’è stato un alto grado di impegno,
inevitabile conseguenza per essere cresciuto con un padre molto rigoroso,
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soprattutto con se stesso. Ma c’è stata sempre anche una certa dose di crisi,
che mi ha aiutato a differenziarmi, poco alla volta, rispetto al modello paterno. Finito il liceo decisi che non avrei continuato l’attività di artigiano di
mio padre e mi iscrissi a filosofia: quanta distanza tra le due alternative!
L’una molto concreta e manuale – la falegnameria – l’altra molto astratta e
mentale – la facoltà di filosofia e la scelta dell’indirizzo in filosofia teoretica.
Ma la crisi divenne ancora più evidente quando decisi di lasciare il seminario, pochi mesi prima dell’ordinazione. Sapevo di deludere mio padre, come
pure tutti coloro che avevano creduto nella mia vocazione. Credevo pure di
deludere Dio stesso, che mi aveva chiamato. D’altra parte, quando si decide
di entrare in seminario si è sostenuti da tutti, e tutti ripetono che è senz’altro
la volontà di Dio, ma quando e qualora si dovesse decidere di uscire, non
c’è più nessuno che dica che anche quella può essere volontà di Dio e ti
fanno sentire come un apostata, uno che rigetta i doni di Dio. Furono proprio
queste scelte che mi condussero a conquistare una mia identità e a comprendere il senso di quella che Coehlo chiama “Leggenda Personale”.
Bisogna volere costruirsi da soli la propria strada, sperimentando, e concedendosi anche la possibilità di sbagliare e di commettere degli errori.
Quando le persone divengono parte della nostra vita, leggiamo nel romanzo,
cominciano anche a volerla modificare. Se non ci comportiamo come loro si
aspettano, si irritano. Sembra che tutti abbiano l’idea esatta di come dobbiamo
vivere la nostra vita. E non sanno mai come devono vivere la loro.
La risposta a quella che è o sarà la nostra strada, non la troviamo già codificata in un libro oppure imitando pedissequamente – scimmiottando, diceva Jung – la via già percorsa da altri, per quanto grande possa essere il
modello a cui ci riferiamo. Ciascuno deve costruirsi la sua strada, e la vera
imitazione di un qualsivoglia modello consiste nel decidere di vivere la
propria vita con la stessa autenticità e verità con cui costui ha vissuto la sua.
Pretendere dunque di trovare in un qualche guru o in un libro la risposta alla
nostra Leggenda Personale vuol dire essere fuori strada. Così dice a Santiago
che stava, appunto, cercando in un libro la risposta al suo dilemma, il grande
re di Salem:
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È un libro che parla di qualcosa di cui parlano quasi tutti i libri. Dell’incapacità della gente di scegliere il proprio destino. E conclude facendo in modo
che tutti credano alla menzogna più grande del mondo.
E qual è la menzogna più grande del mondo? – chiede Santiago. “È questa:
che a un certo momento della nostra esistenza, perdiamo il controllo della
nostra vita, che comincia così a essere regolata dal destino”. Come scrisse
Rilke al giovane amico poeta:
Si sono già dovuti ripensare rovesciando tanti concetti di movimento, si imparerà anche a poco a poco a riconoscere che quello che noi chiamiamo destino esce dagli uomini, non entra in essi da fuori.10
Vi è dunque un appello all’individuazione rivolto a ciascuno, una Leggenda Personale che chiede di essere realizzata in prima persona, che fa
sentire la sua voce in diversi modi e ripetutamente a ciascuno di noi, a partire dall’adolescenza. Molti sono coloro che non prestano ascolto a questa
voce o credono che sia impossibile realizzarla. Questo è quanto perlopiù
accade sotto il sole. Si preferisce scegliere una professione sicura, sposarsi
e mettere su famiglia e sono buone cose, socialmente condivise. In questo
modo ci si inserisce anonimamente nel flusso naturale della vita e della
conservazione della specie e nel flusso culturale della società, che mira a
perpetuare se stessa e le sue regole. Eppure, esistono individui che non riescono, non possono, non vogliono adattarsi a questa normalità. Essi hanno
dei sogni, ricorrenti e persistenti, e fanno talvolta strani incontri che impediscono loro di fermarsi. Questi sogni parlano di un tesoro lontano e nascosto
e di un viaggio che è necessario intraprendere per poterlo trovare. La verità di
questi sogni è molto semplice, banale: non servono interpretazioni sofisticate;
essi dicono esattamente quello che dicono, e cioè che un tesoro esiste ma che
per poterlo trovare occorre essere disposti a fare un lungo viaggio…
Quando Santiago giunse in Africa, venne subito ingannato e derubato di
tutto il suo denaro da un giovane delinquente del posto. Il viaggio si stava
prospettando più lungo del previsto e così è stato. Dapprima fu un Mercante
di Cristalli ad aiutarlo, e poi un erudito inglese alla cui carovana si aggregò.
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R.M. Rilke, Lettere a un giovane poeta, Mondadori, Milano, 1994, p. 83.
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Quando giunsero all’oasi di El-Faiyum, Santiago incontrò quella che subito
capì essere la donna della sua vita:
“Come ti chiami?” – le domandò. “Mi chiamo Fatima” – rispose la giovane
[…]. “È il nome della figlia del Profeta” […]. Poi riempì la brocca e se ne
andò. E il ragazzo rimase per lungo tempo seduto accanto al pozzo […]. Il
giorno seguente tornò al pozzo ad aspettare Fatima […]. “Sono qui per dirti
una cosa molto semplice”, le disse il ragazzo. “Voglio che tu sia mia moglie.
Ti amo”.
Tra i due si creò subito, fin dal primo istante, una magica intesa:
Tutti i giorni il ragazzo si recava al pozzo per aspettare Fatima. Le raccontò
del tempo in cui faceva il pastore, del re, del negozio di cristalli […]. “Il secondo giorno che ci siamo incontrati – disse Fatima – mi hai dichiarato il
tuo amore. Poi mi hai insegnato tante cose belle, come il Linguaggio e l’Anima del Mondo. A poco a poco, tutto questo mi ha fatto diventare parte di te
[…]. Era da lungo tempo che ti aspettavo qui, presso questo pozzo. Non riesco a rammentare il mio passato, la Tradizione, il modo in cui gli uomini si
aspettano che si comportino le donne del deserto. Fin da bambina sognavo
che il deserto mi avrebbe portato il più grande regalo della mia vita. Finalmente questo regalo è arrivato, e sei tu”.
Eppure Santiago continuava ad essere triste: sapeva che doveva ripartire
per trovare il tesoro, per seguire la sua Leggenda Personale, ma non tollerava il fatto di dover lasciare Fatima: “non riusciva a concepire l’amore
senza il sentimento di possesso”; l’amore esige la vicinanza della persona
amata! Evidentemente aveva ancora tante cose da imparare… e fu così che
venne trovato dall’Alchimista.
Quando uscii dal seminario, avevo ormai ventotto anni, mi pareva che
una parte importante della mia vita fosse ormai irrimediabilmente perduta.
Vedevo i vecchi compagni di liceo e di università quasi tutti accoppiati, alcuni già sposati e con figli. I miei fratelli, sebbene più giovani, erano anch’essi già felicemente sposati. E a me pareva di avere ormai perso il treno
e che fosse troppo tardi. Avevo avuto diverse ragazze, ma le avevo lasciate
per entrare in seminario ed esse si erano ormai già nuovamente fidanzate
con altri. Sono stati anni molto difficili, e di grande solitudine. Il desiderio
di ritornare indietro e cancellare quella triste esperienza è stato forte. Ci sono
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voluti anni e tanto dolore per accettare il fatto che anche quel tempo faceva
parte del mio viaggio, anzi era proprio l’inizio del mio vero viaggio. Può
accadere, infatti, che proprio quando non sappiamo più cosa fare siamo di
fronte al nostro vero lavoro ed è quando non sappiamo più che via seguire
che abbiamo cominciato il nostro vero viaggio.
Nel romanzo Santiago si ferma un anno intero nella bottega del Mercante
di Cristalli. Nella vita, solitamente, questo anno può anche allungarsi notevolmente, ed è un periodo molto importante e fecondo. È il tempo dell’umiltà e del silenzio in cui facciamo esperienza della nostra impotenza e del
limite che ci costituisce. Non basta volere una cosa, anche con tutte le proprie forze, per riuscire magicamente a realizzarla. Volere non è potere, e accettare questa profonda verità dell’esistenza, una verità che ridimensiona
drasticamente quel senso di onnipotenza infantile che tutti abbiamo inscritto
nel nostro più profondo intimo, può spesso richiedere diversi anni di fatica.
Sono generalmente anni di silenzio e di nascondimento in cui, apparentemente solo alle prese con lavori umili e molto concreti, che assorbono tutte
le energie, dentro di noi avviene un continuo lavorìo, che ci fa tuttavia crescere e maturare.
L’anno presso il Mercante di Cristalli è stato per Santiago molto importante. Egli si è fermato e ha accettato quell’umile lavoro solamente per riguadagnare i soldi e poter tornare nella sua terra, alla sua vita di prima. Accetta
perché, in fondo, ha rinunciato al suo sogno. Sono anni, sovente, oscuri, di
grande fatica, in cui si ha l’impressione di aver fallito su tutti i piani e in cui
non si sa più neppure bene cosa si vuole veramente: da un lato si vorrebbe
ritornare alla vita di prima, ma, dall’altro lato, si sa che per certi aspetti non
è più possibile. E allora si tira avanti, giorno dopo giorno. Eppure sono anni
fondamentali, perché ridimensionano la pretesa infantile che basta avere dei
sogni per riuscire anche a realizzarli, magicamente. Ma non è così; spesso
la vita ha in sé una dimensione di tragicità che bisogna imparare ad accettare, e comunque ci vuole tanto esercizio, costanza e pazienza se si vuole che
qualcosa accada. Il Mercante di Cristalli è l’uomo che ha un sogno, ma che
ha paura a realizzarlo.
Anche l’incontro con l’Inglese rappresenta un momento importante nell’evoluzione di Santiago: finalmente, il giovane incontra qualcuno come lui,
fatto della sua stessa pasta, anch’egli prigioniero di un sogno che intende
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realizzare, costi quel che costi. Tra i due nasce una profonda sintonia, che si
rafforza durante tutto il viaggio nel deserto. La strada seguita dai due, però,
è molto diversa: l’inglese ha scelto la via dello studio e dell’erudizione, della ricerca intellettuale; Santiago la via più semplice dell’ascolto del vento e
del silenzio del deserto… È importante incontrare sul proprio percorso dei
compagni di viaggio con i quali si riesca a percepire subito una sorta di affinità elettiva. A lungo andare, infatti, neppure la più grande determinazione
può essere sufficiente se non si ha la possibilità di condividere qualcosa
della propria anima con una persona che riesca a comprendere e, soprattutto, se non si incontra qualcuno che, con le sue scelte e la sua stessa vita,
confermi a noi che le nostre scelte e la nostra vita non sono un insieme di
pazzie o di fantasie pericolose, ma qualcosa di concreto e sensato, che possiede una sua legittimità. Santiago nell’incontro con l’Inglese comprende
che non è solo, che le sue scelte non sono uniche e che è in buona compagnia. Ma Santiago possiede anche qualche punto in più rispetto all’Inglese,
e l’Alchimista, più avanti, lo coglierà. Le eterne verità dell’esistenza, il senso
profondo della vita, non sono realtà che si possono guadagnare solamente
attraverso l’intelligenza e lo studio. Non esiste una scuola che possa insegnare efficacemente queste cose. Una tale sapienza la si guadagna solo vivendo, seguendo con tutte le proprie forze la propria via, non disdegnando
la sofferenza, il dolore e la solitudine che, inevitabilmente, accompagneranno
questo percorso. E, soprattutto, queste verità arriveranno a noi più come un
dono che come una conquista, al momento opportuno. Per questo motivo,
l’atteggiamento più ricettivo e passivo – più femminile – di Santiago sembra essere più idoneo e adatto rispetto all’atteggiamento attivo e maschile
dell’Inglese. Furono proprio amicizie di questo tipo – poche ma profonde –
che sostennero i miei anni di solitudine, di spaesamento e di ricerca dopo
l’uscita dal seminario. Un amico monaco, un compagno di università, un prete
dalla lunga barba… Grazie a loro mi sentivo meno solo e silenziosamente
incoraggiato a proseguire nel mio cammino. Un cammino che, a un certo
punto, mi portò a incontrare la mia Fatima…
Ricordo che fui letteralmente folgorato da quell’incontro: ecco la donna
della mia vita! Dopo solo una manciata di giorni che ci frequentavamo avevamo insieme già deciso di sposarci; ci sarebbe voluto solo il tempo materiale per organizzare la cerimonia e gli inviti. E così, dopo soli sei mesi dal
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nostro primo incontro, ci sposammo. Sul nostro libretto delle nozze ricopiammo la pagina de L’Alchimista che raccontava dell’incontro tra Santiago
e Fatima. Era una pagina meravigliosa ed entrambi la facemmo nostra, senza
alcuna esitazione:
In quel momento fu come se il tempo si fermasse, e l’Anima del Mondo sorgesse con tutta la sua forza davanti al ragazzo. Quando guardò gli occhi di lei,
un paio di occhi neri, le labbra indecise tra un sorriso e il silenzio, egli comprese la parte più importante e più saggia del Linguaggio che parlava il
mondo e che chiunque, sulla terra, era in grado di capire con il proprio cuore.
E si chiamava Amore, una cosa più antica degli uomini e perfino del deserto, che tuttavia risorgeva sempre con la stessa forza dovunque due sguardi si
incrociassero come si incrociarono quei due davanti a un pozzo. Le labbra
della giovane, infine, decisero di accennare un sorriso: era un segnale, il segnale che il ragazzo aveva atteso per tanto tempo nel corso della vita, che
aveva ricercato nelle pecore e nei libri, nei cristalli e nel silenzio del deserto.
Ed era lì, il linguaggio puro del mondo, senza alcuna spiegazione, perché
l’universo non aveva bisogno di spiegazioni per proseguire il proprio cammino nello spazio senza fine. Tutto ciò che il ragazzo capiva in quel momento
era che si trovava di fronte alla donna della sua vita e anche lei, senza alcun
bisogno di parole, doveva esserne consapevole. Ne era certa più di quanto lo
fosse di ogni altra cosa al mondo, anche se i genitori, e i genitori dei genitori, le avevano sempre detto che, prima di sposarsi, bisognava frequentarsi,
fidanzarsi, conoscersi, e avere del denaro. Ma, forse, chi lo affermava non
aveva mai conosciuto il linguaggio universale: perché, una volta che vi si
penetra, è facile capire come nel mondo esista sempre qualcuno che attende
qualcun altro, che ci si trovi in un deserto o in una grande città. E quando
questi due esseri si incontrano, e i loro sguardi si incrociano, tutto il passato
e tutto il futuro non hanno più alcuna importanza. Esistono solo quel momento e quella straordinaria certezza che tutte le cose sotto il sole sono state
scritte dalla stessa Mano: la Mano che risveglia l’Amore e che ha creato
un’anima gemella per chiunque lavori, si riposi e cerchi i propri tesori sotto
il sole. Perché, se tutto ciò non esistesse, non avrebbero più alcun senso i
sogni dell’umanità.
C’era, ovviamente – ma lo posso dire solo ora – molta ingenuità e incoscienza in quel gesto che ci portò ad agire in un tempo incredibilmente breve
quanto i nostri cuori sentivano con estrema chiarezza e potenza. In sostanza,
ci eravamo sposati sulla scia di un potente innamoramento e delle proiezioni
che ne conseguivano. Non ho alcun rimpianto per quella decisione avventata, ma genuina e pura, espressione di due cuori innocenti. Ma, ovviamente,
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quella magica luna di miele non poteva durare e così avvenne: dopo soli
quattro anni l’incantesimo si ruppe e io e mia moglie fummo costretti a una
dolorosissima separazione. Posso dire, ora, che il nostro matrimonio è stato
una faccenda di cuore, senza la mediazione della testa e della pancia. In fondo, non ci conoscevamo affatto, e i rispettivi progetti di vita emersero poi
essere totalmente diversi. Ma stregati dalla fascinazione dell’innamoramento e
dalla potenza di quelle proiezioni per cui ci siamo immediatamente riconosciuti – senza accorgerci che, in realtà, non era, per buona parte, che l’incontro con parti di noi stessi proiettate sull’altro – non avevamo né occhi né
orecchie per vedere e ascoltare i segnali della pancia e i suggerimenti del
buon senso. D’altra parte, è così che perlopiù avviene sotto il sole; a volte le
cose vanno bene e i due scoprono, anche, di volersi amare oltre e al di là delle proiezioni e di potersi amare perché compatibili l’uno con l’altra. A volte
succede che così non è o non può essere, per una sorta di strutturale incompatibilità o diversità di orientamenti esistenziali. E così accade di fare la dolorosissima esperienza di rendersi conto che la persona che abbiamo davanti
non è affatto la persona che credevamo di aver sposato, ma una persona
completamente diversa. In questi casi non c’è altra strada che la separazione
e la lacerante esperienza di un dolore straziante.
Nel romanzo, Santiago si vede costretto a lasciare Fatima per completare la ricerca del suo tesoro, per non abdicare al proprio sogno. In fondo, è
quanto accade anche a Parsifal, che deve lasciare la sua sposa per ritrovare
il Graal. Nel romanzo, come nel mito, Santiago e Parsifal, una volta guadagnato il loro tesoro, possono fare felicemente ritorno dalla loro sposa per
consumare il loro matrimonio. Questo è quanto accade anche in numerose
fiabe: e i due vissero insieme felici e contenti per il resto dei loro lunghissimi anni. Ma nella vita reale non sempre avviene così. L’ingenuità in cui
scivolai dopo la dolorosa rottura del mio matrimonio, fu quello di credere,
letteralmente, alla verità di questi testi e trascorsi anni interi ad aspettare
quello che era impossibile: una riconciliazione con la mia sposa. Questo è il
problema di tutti i testi archetipici, siano essi miti o fiabe, testi religiosi o
romanzi, leggende o film: non dovrebbero mai essere interpretati troppo alla lettera! La loro verità è nel simbolo, non nella lettera. La lettera uccide,
mentre lo Spirito è vita. Questa ovvia distinzione, che ben comprendevo a
livello astratto, impiegai una infinità di tempo ad assimilarla esistenzial-
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mente, e intanto trascorsi anni di solitudine e sofferenza, anche se rischiarati
da una speranza che non voleva morire. Neppure l’Alchimista riuscì a distogliermi da quel sogno…
Nell’oasi di El-Faiyum, per quanto si sforzassero, né l’Inglese né Santiago
riuscivano a trovare il famoso Alchimista. Fu quest’ultimo che, un giorno, improvvisamente, trovò Santiago:
All’improvviso udì uno scoppio e, sotto l’impatto di un vento che non conosceva, fu scagliato improvvisamente per terra. Il luogo in cui si trovava si
riempì di polvere, fin quasi a nascondere la luna. Davanti a lui, un enorme
cavallo bianco s’impennò, emettendo un nitrito terrorizzante […]. Sul cavallo c’era un cavaliere tutto vestito di nero, con un falco sulla spalla sinistra.
Portava un turbante e un velo che gli copriva tutto il viso tranne gli occhi.
Santiago rimase affascinato dallo strano personaggio, specie quando, un
giorno, mise la mano in una tana di serpenti e afferrò per la coda il velenosissimo cobra e lo pose in un cerchio che aveva tracciato nel terreno, rassicurando il ragazzo che da lì il serpente non sarebbe uscito. Grazie alla guida
dell’Alchimista, Santiago trovò il coraggio di lasciare Fatima e di proseguire
la sua ricerca…
Il Maestro lo guidò in silenzio: “Pensavo che mi avresti insegnato ciò
che sai” […]. “C’è un solo modo per imparare – rispose l’Alchimista – Ed è
attraverso l’azione”; lo aiutò a immergersi nel deserto, e, soprattutto, ad ascoltare il proprio cuore: “Ascolta il tuo cuore. Esso conosce tutte le cose, perché è originato dall’Anima del Mondo, e un giorno vi farà ritorno”. In questo
lungo apprendistato, Santiago riuscì a crescere molto: “Mentre camminava
nel deserto, il ragazzo continuò ad ascoltare il proprio cuore. Cominciò a riconoscerne i trabocchetti e i trucchi, e cominciò ad accettarlo così com’era”;
imparò a non temere la sofferenza: “Il mio cuore ha paura di soffrire” – disse il ragazzo all’Alchimista […].
Digli che la paura di soffrire è assai peggiore della stessa sofferenza. E che nessun cuore ha mai provato sofferenza quando ha inseguito i propri sogni, perché
ogni momento di ricerca è un momento di incontro con Dio e con l’Eternità.
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Ben presto Santiago fu in grado di proseguire da solo: sarebbe stato il suo
cuore, ora, a mostrargli la via verso il tesoro. L’Alchimista, prima di prendere
congedo, gli diede un ultimo avvertimento:
Prima di realizzare un sogno, l’Anima del Mondo decide sempre di provare
tutto quanto si è appreso durante il cammino. E lo fa non perché sia cattiva,
ma perché noi possiamo conquistare, insieme al nostro sogno, anche gli insegnamenti che abbiamo appreso durante il nostro cammino verso di lui. È
il momento in cui la maggior parte degli uomini desiste. E noi, nel linguaggio
del deserto, lo definiamo con l’espressione “morire di sete quando le palme
compaiono già all’orizzonte”.
In effetti, si rammentò Santiago, l’ora più buia era sempre quella che precedeva il sorgere del sole…
Santiago giunse, finalmente, alle Piramidi. Seguendo i segnali, si mise a
scavare alla ricerca del tesoro, finché venne sorpreso da un gruppo di banditi
che lo picchiarono, convinti che nascondesse dell’oro. Disperato, Santiago
raccontò allora la verità: era lì a cercare un tesoro, perché questo gli aveva
detto ripetutamente un sogno. Il capo della banda si mise a ridere:
“Tu non morirai. Vivrai e imparerai che l’uomo non può essere tanto stupido.
Lì, nel punto in cui ti trovi, anch’io ho fatto un sogno che si è ripetuto, ormai sono due anni. Ho sognato che avrei dovuto attraversare le campagne
della Spagna, cercare una Chiesa diroccata dove solitamente i pastori dormono insieme alle loro pecore: lì c’era un sicomoro che cresceva dentro la
sacrestia e, se avessi scavato alla radice dell’albero, avrei trovato un tesoro
nascosto. Ma io non sono tanto stupido da attraversare un deserto solo perché
ho fatto un sogno che si è ripetuto”.
Santiago, improvvisamente, comprese: aveva trovato il suo tesoro.
È interessante anzitutto notare come sia stato Santiago ad essere trovato
dall’Alchimista. Bisogna essere pronti a ricevere la sua visita, che non è
una conquista, ma un dono. In riferimento all’Inglese e alla sua ricerca, l’Alchimista dice: “Lui deve trovare altre cose prima di trovare me. Ma è sulla
strada giusta. Ha cominciato a guardare il deserto”. In sostanza, non sarà con
la nostra parte maschile, razionale, attiva, che troveremo l’Alchimista, ma
predisponendoci ad accogliere, a ricevere, risvegliando la nostra parte più
femminile e ricettiva.
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Prima trasfigurazione
Ma chi è l’Alchimista? Possiamo dire che è colui che ha realizzato la
sua Leggenda Personale, colui che ha guadagnato un suo equilibrio, che si è
individuato e ha celebrato le nozze mistiche tra gli opposti che lo costituiscono. Egli conosce il linguaggio degli animali: un falco dimora sulla sua
spalla e non teme i serpenti velenosi: afferra il cobra e lo rinchiude dentro un
cerchio, chetandolo. Dietro queste immagini è facile vedere il felice guadagno della sapienza degli istinti più profondi. L’impatto con un tale potere e
un tale sapere non può che essere folgorante e incisivo. Ricordo che quando
iniziai il mio percorso di analisi personale, venni letteralmente folgorato dal
potere di quella donna che sapeva parlare con i mostri dell’anima e che non
li temeva. Tecnicamente, si trattò dell’instaurarsi di un salutare transfert,
che era necessario affinché riprendessi in mano il mio cammino evolutivo,
e l’impressione di quell’incontro fu folgorante e straordinaria.
Il primo ostacolo che Santiago deve superare è la tentazione di fermarsi
nell’oasi, rinunciando a seguire il proprio sogno fino in fondo, scambiando
una felice tappa per la meta del viaggio. Molto bello è il dialogo tra i due:
“Ti guiderò attraverso il deserto” – disse l’Alchimista. “Voglio stabilirmi
nell’oasi” – rispose il ragazzo – “Ho già incontrato Fatima. E lei, per me,
vale più del tesoro”. “Fatima è una donna del deserto – proseguì l’Alchimista
– Sa bene che gli uomini devono partire, per avere la possibilità di ritornare.
Lei ha già trovato il suo tesoro: sei tu. Adesso attende che tu possa trovare
ciò che cerchi”. “E se decidessi di stabilirmi qui?”. “Allora […] ti sposerai
con Fatima e vivrete felici il primo anno […]. Il secondo anno ti rammenterai che esiste un tesoro. I segnali cominceranno a parlartene incessantemente,
ma tu tenterai di ignorarli […]. Il terzo anno i segnali continueranno a parlarti
del tuo tesoro e della tua Leggenda Personale. Notte dopo notte tu veglierai,
camminando per l’oasi, e Fatima sarà una donna triste, perché avrà fatto sì
che tu interrompessi il tuo cammino […]. Lunghe notti vagherai sulle sabbie
del deserto e fra le palme, pensando che forse avresti potuto proseguire, riporre più fiducia nel tuo amore per Fatima. Perché ciò che ti ha trattenuto
nell’oasi è stata la tua paura di non tornarvi mai più […]. Il quarto anno i
segnali ti abbandoneranno, perché tu non avrai voluto ascoltarli […]. Allora
sarai un ricco commerciante, con molti cammelli e molte mercanzie. Ma passerai il resto dei tuoi giorni vagando fra le palme e il deserto, ben sapendo di
non aver realizzato la tua Leggenda Personale e che, ormai, è troppo tardi.
Senza avere capito che l’amore non impedisce mai a un uomo di seguire la
propria Leggenda Personale. Se questo accade, è soltanto perché non si trattava di vero amore, di quell’Amore che parla il Linguaggio del Mondo”.
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Una vita in gioco. Trasfigurazioni
Posso tranquillamente e serenamente riconoscere che questo è stato, più
o meno, quanto anche la mia analista continuava a ripetermi…
Alla scuola dell’Alchimista imparai molte cose. Lentamente, si aprirono
in me nuove vie di comprensione del mondo e della vita. Come mi mostravano efficacemente i sogni, un serpente con un enorme occhio nella bocca
spalancata, veniva a donarmi un terzo occhio, l’occhio dell’anima, capace
di vedere ciò che i due occhi del corpo non potevano vedere. Altri serpenti,
in una vasca colma d’acqua, giocavano con me, entrando e uscendo dalle
orecchie e dal naso… ora ero in grado di sentire cose che prima non udivo… ora i serpenti mi erano amici e non li temevo più… Non era la mia analista a insegnarmi ciò che sapeva; essa, semplicemente, mi aiutava ad ascoltare il mio cuore, a comprenderne il linguaggio. Mi aiutò a non temere la
sofferenza e mi accompagnò nel fare quella che potrei definire la più importante esperienza della mia vita: è nel profondo del nostro cuore che abita
Dio, ed è attraverso la sapienza degli istinti che la voce di Dio si fa sentire…
Compresi e sentii come la ricerca di Dio e la ricerca della mia verità e umanità fossero, in realtà, la stessa identica cosa. E lo compresi non perché lei,
la mia analista, me lo disse, ma perché fu il mio cuore a metterlo inequivocabilmente dinanzi. Feci anche l’esperienza che quando ci è data la grazia
di trovarci in questa profonda sintonia e comunione con il tutto, con ciò che
Coehlo chiama l’Anima del Mondo, allora anche i miracoli divengono possibili, perché le opposizioni entrano in una tensione generativa e creativa e
ciò che è Due diviene Uno.
Ovviamente, non fu facile né tantomeno immediato discernere tra ciò che
proveniva dal mio cuore, dal maestro interiore, e ciò che proveniva dall’analista. A causa del transfert, mi ero abituato ad appoggiarmi a lei e a confrontarmi mentalmente con lei prima di fare alcunché. Lei era il mio maestro, il
mio mentore. Lei era l’Alchimista. All’inizio non poteva che essere così, ma
avrebbe potuto tramutarsi in una dipendenza controproducente, se quella relazione non avesse trovato una via per risolversi. All’inizio pensavo che la fine
dell’analisi avrebbe preso forma spontaneamente, a suo tempo; in un certo
senso, aspettavo che fosse lei a decretare la mia guarigione, magari anche
benedicendo il mio percorso successivo. Questo era quanto leggevo anche
nel romanzo: Santiago e l’Alchimista si separarono da buoni amici; così pure
perlopiù succedeva in tante fiabe: era il mentore, il maestro, che, alla fine,
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99
Prima trasfigurazione
se ne andava, e questo succedeva quando, finalmente, il discepolo era cresciuto a sufficienza. Una rassicurante benedizione stava a siglare questo
momento importante e delicato. Ma ancora una volta dovetti comprendere
che, nella vita reale, le cose non sono perlopiù così facili e lineari. In effetti,
non potevo pretendere che fosse lei a riconoscere la mia adultità, perché,
appunto, questo non sarebbe stato un gesto adulto ma ancora infantile: il bisogno e la pretesa di avere ancora un padre che benedica il cammino del
proprio figlio. Compresi presto che dovevo essere io a porre fine a quella
fondamentale relazione e questo fu il mio primo atto veramente adulto: stavo
iniziando a camminare con le mie gambe, a fidarmi del mio maestro interiore, senza più appoggiarmi ad una maestra esteriore, in carne ed ossa. Rinunciai, ancora una volta, a pretendere una benedizione e me ne andai per
la mia strada.
Sotto tanti punti di vista, fu un gesto ancora prematuro. Interpretando,
ancora una volta, in senso letterale il romanzo – che così termina: “Fatima,
sto arrivando!” – trascorsi diversi anni ad aspettare il ritorno di mia moglie.
Mi ero convinto che, prima o poi, si sarebbe risvegliata, e avrebbe fatto ritorno. E mi avrebbe trovato pronto ad accoglierla. Ma, sotto altri punti di vista,
quel gesto fu provvidenziale. Da quel momento, ritrovandomi solo, iniziai
ad ascoltarmi e trovai dentro di me una grande energia e una grande ricchezza. Iniziai a scrivere e ad amare la vita come mai prima d’allora ero
riuscito a fare. L’intuizione divenne la mia guida e feci ripetutamente l’esperienza di trovare la cosa o la persona giusta al momento giusto.
Dopo diversi anni, finalmente, compresi che il ritorno di mia moglie sarebbe stato impossibile e che attenderlo ulteriormente mi avrebbe condotto
alla follia. Questa faticosissima rinuncia, un vero e proprio sacrificio, mi aprì
nuovamente all’amore. Ero finalmente pronto ad amare davvero. Ora avevo
scelto di amare. Avevo compreso, con il cuore e non solo con la testa, che proprio l’amore è insieme la via e la meta ed è il frutto maturo della ricerca di sé.
E fu così che, alla fine del mio lungo viaggio, mi ritrovai ancora al punto di partenza, a cercare “una Chiesa diroccata dove solitamente i pastori
dormono insieme alle loro pecore”: qui c’è un sicomoro che cresce dentro
la sacrestia. Ma ora so che, scavando proprio lì, alla radice dell’albero, troverò il tesoro…
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