Diapositiva 1 - Licei Manzoni

Transcript

Diapositiva 1 - Licei Manzoni
Il presente CD contiene tutti i lavori realizzati dagli alunni
dell’Istituto Superiore Statale “A Manzoni” di Varese che, per
motivi di spazio, non sono stati pubblicati nel volume
“Sentieri” - Salviati - Milano 2011.
Sentieri
Sentieri antichi, selvaggi,
abbandonati dall’uomo
escluso dalla loro armonia,
trovano consolazione in piante e
animali.
Sentieri umanizzati,
curati, ospitali intrecci
di mani, zampe,
ali, radici,
danno viva pace.
Sentieri difficili, arditi,
tortuosi: il viandante
vi cerca la solitudine,
si apre a mete sconfinate,
trova comunanza con la roccia,
si confronta con la scarpata.
Sentieri lineari, semplici,
contadini,
dalle armoniche curve,
paiono polvere chiara tra i
prati
e i campi lavorati,
nastri tra luna e stelle.
Sentieri sonanti
lungo i corsi d’acqua
rinfrescano il passo e il pensiero,
sinuosi tra i sassi
e dolci nel cuore,
da vivere in silenzio.
Sentieri delle vaste montagne,
dove si sperdono, tra i faggi
e nelle pinete, voci e canti
di amici allegri,
di teneri innamorati
o curiosi esploratori.
Su sentieri di ogni sorta,
vita di monti, valli e colline,
s’incrociano storie diverse
di chi ieri, oggi, domani,
animale o uomo,
leggero passa.
Paolo Martignoni
(Classe IICS)
Classi 1BL, 2BL, 2BS, 2CS
Filastrocche e poesie
Aquila reale
Ciccio e la castagna
Coopera col mondo, uomo!
E fu così che gli alberi si vestirono di colori diversi per ogni stagione ....
La leggenda della montagna
La magia della Rocca di Orino
La montagna
Poesia d'ottobre
Valganna, raccontaci una storia !
Ammiro la tua forza,
la tua libertà,
il senso di protezione verso i
figli,
simile all’affetto che anch’io
verso i miei cari sento.
Vorrei i tuoi artigli
per ghermire gli ostacoli,
per portarli via.
I tuoi occhi!
Potrei condividerli con te?
Ti parla una persona
che senza lenti
vede poco alla lavagna,
non coglie al volo i pericoli.
Posso solo darti l’iride,
i miei cerchi di cielo un po’
arricchiti
da altri pigmenti.
Fammi accarezzare
le tue belle penne,
le tue dolci piume:
rapide si muovono nell’aria
come lame di fulmine,
si distendono nel cielo
con lenta infinita dolcezza.
Aquila reale
Se mi porgi
il tuo becco adunco,
mi aggrapperò
per giungere alle cime,
dove potrò ammirare la bellezza
dei tuoi piccoli.
Se avrò dei figli,
li porterò quassù,
dove i problemi di piombo
si volatilizzano.
Fammi volare sul tuo dorso
e sentire il vento
veloce tra i capelli,
il battito del tuo cuore forte,
la tua vita disegnare nel cielo
linee più belle e varie
di qualunque dipinto.
Permettimi di amarti,
aquila reale,
cercherò di rispettarti
con naturalezza,
creatura di Dio.
Paolo Martignoni (Classe II CS)
Ciccio e la castagna
C’era una volta una montagna
e vi abitava una castagna.
La sua casa era un riccio
ed il suo nome era Ciccio.
L’accompagnava in ogni avventura
e la proteggeva se aveva paura.
Un bel giorno arrivò un gigante,
era ghiotto ed anche pesante.
Vide Ciccio in bella mostra
e decise di papparselo … Che faccia tosta!
Ma ingenuamente si punse un dito
e si allontanò tutto impaurito.
Ciccio e la castagna erano sorridenti
e vissero per tutto l’autunno felici e contenti.
Martina Calà, Greta Costa, Arianna Costanzo, Clarissa Zanoncini (Cl. II CS)
Coopera col mondo, uomo!
La pioggia cade
lenta e inesorabile,
acidi logorano le foglie.
Morte della Terra.
Fiumi di male
affliggono le vite:
scarti galleggiano sui fiumi
nati dalle montagne;
alla sorgente puri,
rilasciano un’orrida morte
ad animali e piante innocenti.
La Terra giace ferita
dai proiettili usati per bere,
lacerata da bombe
nel profondo del cuore,
da radiazioni disperse
nella sua natura profonda.
Uomo, perché imparare
il rispetto, tipico
di ogni animale,
nei confronti
della nostra Madre
è per te così lento, faticoso?
Uomo, che pretendi
più di ogni altra creatura
di essere vicino a Dio,
non ti rendi conto
che la roccia
è la fedele compagna
del tuo insensibile cuore?
Cambia,
coopera col mondo, uomo!
Paolo Martignoni (Classe II CS)
E fu così che gli alberi si vestirono di colori diversi
per ogni stagione ...
Animaletti un po' strambi in un bosco
abitavano,
la natura assai apprezzavano.
Gli alberi da calendario funzionavano
e foglie ogni giorno le bestiole ad essi
attaccavano.
Dai boccioli i fiori nascevano come le
speranze, i sogni e i pensieri che tutti
animavano …
Il caldo, però, era ormai alle porte
e ancor più vicina si faceva la sorte.
I buoni propositi si realizzavano
e i fiori in frutti si trasformavano.
Gli animaletti gioiosi giocavano
e i giorni felici dell’estate volavano.
Ecco l'autunno farsi sentire
ed il rosso ed il giallo sulle chiome degli
alberi far comparire.
Alla festa dei colori il bosco si preparava
ed ogni pargoletto un abitino buffo
indossava.
"Presto, presto, arriva l'inverno!"
esclamò un giorno una merla con fare materno.
I fiocchi candidi dal cielo scendevano
e una minaccia erano i rami spezzati che
cadevano.
L'atmosfera natalizia tutto avvolgeva
e la serenità si diffondeva.
Gli animaletti il bosco addobbavano,
luci e palline ovunque brillavano.
Parenti ed amici si congedavano con l'anno
passato
e accoglievano il nuovo arrivato.
Poi tutti, pure gli alberi e i fiori,
riposavano in attesa di nuovi colori.
Quando la primavera arrivava,
la storia ricominciava.
Perciò, se in un bosco entrate,
la magia dei colori ammirate!
Gaia Colombo, Barbara Macchi, Giada Minacapilli, Valentina Patella (Classe I BL)
La leggenda della montagna
C'era un tempo un mondo incantato
dove il divertimento era assicurato.
Vivevan sereni grandi giganti
insieme ad elfi e a draghi volanti;
ma un dì tutto cambiò
e una terribil battaglia incominciò.
Orchi spietati invasero il regno
con affilate armi di legno.
Le gigantesse, in pensier per i mariti,
si affidarono invano a magici riti.
Il dolore e la vecchiaia però arrivarono
e le mogli sconsolate si addormentarono.
Passarono i secoli, ma nulla da fare,
non si volevano più risvegliare;
così, da creature immense e graziose,
divennero imponenti montagne rocciose.
Ancora oggi stanno lì impalate
nella natura sparpagliate.
E poiché ripensan ai tempi felici,
scendon lacrime sulle loro pendici:
son fiumi, laghi, torrenti, cascate
che voi bambini tanto amate.
Ma, al giungere del gelo,
le copre la neve come un soffice velo.
Le coccola, le consola, le scalda,
come una grande coperta calda.
Essa attrae turisti e turiste,
che scendon veloci dalle ripide piste.
Ma le montagne, che senton prurito,
non esitano a muovere un dito,
scrollano un pochino le spalle,
provocando valanghe fin giù nella valle.
Questa è la leggenda della montagna,
che a molti potrà sembrare una lagna.
Dobbiam però tutti quanti capire
che anche le montagne han dovuto soffrire,
perciò amiamo e rispettiamo
questo immenso patrimonio che possediamo.
Orsola Rapazzini, Eleonora Resteghini, Chiara Tapparo, Beatrice Zavattaro (Cl. I BL)
La magia della Rocca di Orino
C’era una volta una principessa,
graziosa figlia di una duchessa.
Nella Rocca di Orino abitava
e da lassù il paesaggio osservava.
Dallo splendido panorama conquistata
non chiedeva altro che restare nella Rocca tanto amata.
Ma, quando un giorno un bel principe incontrò,
la sua vita di colpo cambiò.
Al giovane, persosi dopo un lungo viaggio,
la Rocca apparve come un miraggio.
Bussò al portone del sontuoso maniero
e vi entrò col suo destriero.
Vide la bella principessa
affacciarsi a una finestra perplessa.
Il cuore in gola gli balzò all’improvviso,
quando ne ammirò lo splendido viso.
Lo sguardo tra i due divenne subito fatale
e i loro cuori si unirono in un amore immortale.
Se alla Rocca di Orino andrete,
un grande amore forse troverete.
Martina Calà, Greta Costa, Arianna Costanzo, Giorgia Pizzo, Giorgia Scelsi, Clarissa Zanoncini (Classe II CS)
La montagna
Montagne verdi
montagne innevate
cielo sereno
cielo nuvoloso
cielo stellato
boschi sereni
boschi perfetti
mantelli di foglie
foglie gialle
foglie rosse …
La montagna:
luogo che trasmette emozioni autentiche,
tranquillità e serenità,
luogo dove potersi riposare,
dove scoprire nuove emozioni.
Questa è la montagna!
Celeste Della Ventura (Cl. II CS)
Poesia d’ottobre
Mi sveglio.
Un silenzio surreale
s’impadronisce delicatamente dei miei
sensi.
Mi guardo intorno e i colori ovattati
dell’autunno mi avvolgono
in un turbine di sensazioni dolci e
familiari.
In ogni angolo, in ogni particolare,
dovunque io posi lo sguardo
la bellezza affettuosa della natura che si
prepara al lungo riposo
mi inebria.
I miei occhi, mai sazi, non trovano riposo,
fermandosi e indugiando su ogni dettaglio,
ma poi subito spostandosi,
per non perdersi nemmeno un istante di
quello spettacolo,
ogni anno annunciato, eppure sempre
nuovo e inedito.
Tendo l’orecchio.
L’eco di una danza lontana
arriva fino a me.
Mi alzo, cammino, poi corro…
Dov’è il sentiero?
Devo arrivare,
quelle note mi attirano come una calamita.
Sempre più in fretta, sempre più in fretta…
Mi fermo.
Sono arrivata!
Un sorriso mi nasce spontaneo sul viso:
ballerine aggraziate danzano in aria,
creando eleganti scie vorticose.
Gli abiti gialli e arancioni le vestono tutte,
facendole splendide
per il loro ballo infinito.
Una pace profonda mi riempie il cuore.
Socchiudo gli occhi
e un raggio di sole mi accarezza il viso,
facendo capolino tra i castagni possenti.
Mi sdraio.
Guardando le foglie ancora sui rami,
respiro…
È autunno!
Lucioni Monica (Classe II CS)
Valganna, raccontaci una storia!
Che sia deserto o radura
non c'è cosa più bella della natura.
In silenzio ci parla, ma non la capiamo,
perché troppo spesso non l’ascoltiamo.
Se nel bosco funghi vai a cercare,
tante altre cose puoi trovare.
Guarda là: c'è un nocciolo
sotto cui bruca un capriolo,
che si è perso nella Valganna,
dove in inverno la neve sembra panna.
Qui non solo alberi troverai,
anche briganti incontrare potrai.
È anche luogo di leggende e d'eroi,
ma di San Gemolo parleremo poi.
Dall'alto del monte scrutavano il cielo
con occhio attento
i soldati che dei nemici cercavan
d’evitare il tormento.
Il loro esempio devi seguire,
se vuoi evitare di morire.
Sai perché si dice che la fonte sia rossa?
Poiché di San Gemolo rimangon solo le ossa.
Gemolo e Imerio verso Roma sulla strada
andavano, incuranti dei briganti che
passavano.
Accampati in una radura,
non presagivano la loro imminente sventura.
La morte però era vicina,
era giusto dietro la collina.
I tesori per il Papa non furono salvati
e i due santi moriron assassinati.
Questa filastrocca è stata scritta per
dimostrare che la Valganna ha tante storie
da raccontare:
che sian di briganti, caprioli o santi
possono interessare tutti quanti!
Erica Biotti, Camilla Fiorina, Morgana Fregonese, Francesca Ribolzi (Cl. I BL)
Racconti
Accadde per un sorriso…
Amore al Grand Hôtel
Il cerbiatto irresponsabile
Il lupo e il bosco
Il re della Rocca di Orino
Il sorriso della principessa Celeste
La Badia in pericolo
La leggenda del castagno piangente
La magia della castagna
La nonna racconta… Un’antica fiaba di Brinzio
Love in the woods
Matt, Susan e il mistero della “dama bianca”
Perché le betulle hanno il tronco chiaro
Steve e la ragazza scoiattolo
Topo Lino e l’aglio salvifico
Un tradimento fatale
Accadde per un sorriso …
Il castello di Frascarolo si stagliava imponente contro il cielo terso e i fitti boschi che ricoprivano le alture
circostanti ne accrescevano l’aspetto misterioso.
Era un giorno d’autunno, quando le foglie prendono colore e gli animali si ritirano preparandosi al lungo sonno
che li aspetta. Un uomo dalla folta barba, passo dopo passo, ripensava alle brutte azioni compiute e, tra una
lacrima e un sospiro, finì per ritrovare se stesso in quella maestosa quiete.
Era un piromane e rifletteva sull’incontro appena avvenuto, che aveva mutato la sua esistenza. Gli si
stringeva il cuore al pensiero che avrebbe potuto mandare in fumo il fascino di quei boschi meravigliosi. La
dolce innocenza di un bambino aveva cambiato il suo modo di pensare, rendendolo cosciente della sua
“malattia”, dei propositi malvagi che albergavano nella sua mente. L’aveva incontrato per caso mentre giocava
con un leprotto, un animale che lui considerava sciocco. Colpito dall’allegria che il bambino sprizzava da tutti i
pori, si trovò, quasi senza sapere perché, seduto al suo fianco ad ascoltarne le tenere parole: non erano un
racconto né una filastrocca, ma erano i pensieri che il piccolo formulava durante le giornate passate nel
bosco a giocare e ad aiutare il nonno oppure semplicemente cercando di allontanarsi dal chiasso della città
per addentrarsi in un mondo da scoprire. Il bambino raccontava degli alberi e della loro anima, delle
sofferenze che ognuno di essi sopportava senza potersi ribellare, dei segreti e delle particolarità di ogni
animale, delle lunghe passeggiate con il suo cane in mezzo ai prati, ma anche di giornate spiacevoli e di
esperienze che avrebbe voluto non si ripetessero. Narrava pure di sbadataggini commesse, che gli avevano
lasciato un segno sul corpo o una ferita permanente nell’animo: non ci si poteva distrarre nel bosco!
Prima che il piromane potesse trattenerlo, se ne andò correndo in cerca di qualcosa di nuovo.
Si fece notte. Passò un giorno e altri ancora.
L’uomo, pur essendo cambiato, era tormentato dai rimorsi. Avrebbe voluto ascoltare ancora dal bambino
quelle parole che costituivano un’autentica medicina per la sua anima. Lo cercò, ma senza successo. Era molto
forte il dispiacere di non trovarlo.
Trascorse quasi un mese.
Un giorno, dopo una violenta tempesta, un uomo dalla folta barba fu ritrovato morto.
Era stato sorpreso da una frana ai piedi di un pendio scosceso, nel mezzo del bosco silenzioso.
Non aveva addosso oggetti personali, solo un meraviglioso sorriso da bambino gli illuminava il volto.
Angelica Rizzo e Annamaria Callegarin (Cl. IBL)
Amore al Grand Hôtel
Si dice che l'apparenza inganna e, in effetti, la storia che vi racconteremo lo dimostra perfettamente.
Se guardate un boschetto, magari su un'altura, che sembra elevarsi verso il cielo, appare come una realtà
lontana e distaccata da noi, quando invece ciò che vi accade è simile a quello che succede in città! Ci
spieghiamo meglio: gli alberi, per esempio, crescendo sperano un giorno di acchiappare una stella da porre sul
loro ramo più alto a dimostrazione del fatto che si sono realizzati; allo stesso modo anche alcuni uomini
vogliono dominarne altri ed emergere come modelli da imitare. Pure gli animali vivono dinamiche analoghe.
Un giorno accadde che una puzzola, esclusa da tutti per il suo odore, decise di liberarsi dalla discriminazione
a cui era sottoposta fuggendo nel bosco, che erroneamente riteneva un mondo isolato dove il giudizio altrui
non era una priorità.
Giunta sul monte San Francesco, rivolse lo sguardo verso l'alto e alla sua vista si presentò uno splendido e
imponente edificio bianco, il Grand Hôtel Campo dei Fiori in stile liberty, nei decenni precedenti luogo di
villeggiatura per ricchi signori. Ora, però, essendo abbandonato, era diventato il tranquillo rifugio di un
riccio, anche lui bollato da tutti a causa dei suoi aculei e per questo ritenuto un essere spigoloso, freddo e
asociale.
La curiosità spinse la puzzola a dirigersi verso quella costruzione e la sua indole piuttosto passiva fu
stimolata da quel nuovo scopo per cui mettersi in gioco. La voglia di scoprire la portò in un batter d'occhio
alle porte di quella magnifica residenza, che le sembrò subito un luogo accogliente.
Bussò, ma non rispose nessuno; si voltò e intravide dietro la tenda di una finestra due occhietti timidi, ma
allo stesso tempo indagatori. Si avvicinò al vetro e non vide più nulla. Stava pensando di essere vittima di
un'allucinazione quando la porta cigolò e uno spiraglio si aprì: un misterioso animaletto, che altri non era che
un riccio, guardò negli occhi la puzzola, il cui sguardo fu in grado di suscitare un'emozione tale da convincere
quel "gomitolo di spilli" ad accoglierla nella sua dimora.
Il riccio era un tipo molto riservato, ma il fascino della puzzola fece progressivamente emergere il meglio di
lui; gli fu spontaneo vedere in lei una principessa e trattarla come una regina. Il Grand Hôtel divenne per loro
una reggia in cui passare insieme il resto della vita.
È un vizio frequente giudicare qualcuno al primo impatto. Le qualità individuali emergono, però, solo laddove
vi sia chi è in grado di scoprire il mondo sorprendente che ognuno di noi custodisce gelosamente.
Francesca Ghitturi, Barbara Macchi, ChiaraTapparo (Classe I BL)
Da “la Prealpina”– 2 Ottobre 2010
Induno Olona - “Si ferisce al muso, torna sul Monarco il Bambi spaventato
Mattinata movimentata in via Tabacchi: il capriolo, inseguito dalla polizia locale che voleva scongiurare un incidente, si è messo in salvo tra gli applausi
della gente”
Penserete che basti leggere l’articolo, ma noi conosciamo i retroscena delle vicende del cerbiatto
perché abbiamo intercettato una significativa corrispondenza.
irresponsabile,
Cara mammina, mi manchi tanto! Quando tornerai dal tuo viaggio?
Qui sul Monarco con il papà tutto a posto, ma ti devo raccontare assolutamente ciò che è accaduto l’altro giorno! Incredibile!
Ho sempre saputo che mio cugino Bambi fosse svampito, ma mai avrei pensato che si potesse ritrovare nel bel mezzo del
traffico di Induno Olona. Il nonno, ovviamente, si è molto arrabbiato con lui e ancor di più con gli zii, che, a suo parere, non se
ne sono presi abbastanza cura. Però, poverini, tu sai bene quante raccomandazioni gli fanno!
Devono pur sempre andare a lavorare e Bambi dovrebbe imparare ad essere più responsabile.
Tu cosa pensi dell’accaduto?
Io sono senza parole!
Il tuo Felix
P.S. Ti voglio bene, torna presto!
Figlio mio,
cerca di capire tuo cugino. È normale che a quella tenera età si abbia voglia di scoprire il mondo al di là del bosco.
Certo, sarebbe stato bene se Bambi avesse chiesto al saggio nonno di accompagnarlo, ma gli errori aiutano a crescere e anche
tu, grazie a tuo cugino, hai capito ciò che è giusto e ciò che, invece, è sbagliato.
Ricordi quando ti raccontavo la storia del “volpacchiotto sciocchino” che, desideroso di vivere nuove esperienze, un giorno si
allontanò troppo da casa ed arrivò in un piccolo paese? Frastornato dai rumori, si ritrovò nel giardino di una casa. Ricordi come
andò a finire? Per fortuna i bambini che abitavano là lo riportarono nel bosco e così si riunì alla sua famiglia. Da quel giorno non
si allontanò più, se non accompagnato
dai genitori. Aveva imparato la lezione!
Bambi avrà sicuramente rischiato di essere investito da un’auto, ma ho sentito tuo zio, che mi ha raccontato della bontà degli
uomini nei suoi confronti. Sai, ammetto che il comportamento degli umani mi ha sorpreso positivamente: mai avrei pensato che
potessero essere capaci di un gesto così benevolo. Sono davvero contenta di tutto ciò.
Cerbiattino mio, ti consiglio di non essere così impulsivo nei tuoi commenti; ne parleremo tranquillamente al mio ritorno!
Ti voglio bene.
La tua cara mamma
P.S. Tornerò nel fine settimana e finalmente ti rivedrò!
Francesca Cattaneo e Sara Nagero (Cl. I BL)
Il lupo e il bosco
Un giorno un giovane lupo decise di andare in un bosco con l’unico scopo di creare confusione e di sconvolgere
la vita delle tranquille creature che vi abitavano.
Arrivato a destinazione, iniziò a rompere rami, a danneggiare cortecce e ad uccidere gli animaletti che gli
capitavano sotto tiro. Andò avanti così per tre o quattro ore, finché arrivò un violento temporale che lo
terrorizzò.
Spaventato a morte dai fulmini, disse al Bosco: “O Bosco, t’imploro, dammi riparo tra i tuoi alberi!”
Un magnifico castagno si offrì di proteggere il vile lupo, ma dopo qualche minuto fu abbattuto da un fulmine,
salvando però la vita all’animale.
Poco dopo il temporale cessò. Il lupo allora si rivolse di nuovo al Bosco chiedendogli: “Perché hai rinunciato al
tuo castagno più bello per proteggere me, che non ho fatto altro che disturbare la tua quiete?”
Il Bosco, colmo di saggezza, gli rispose: “L’ho fatto perché ritenevo che fosse giusto agire così. Ora vai e
rifletti sulle azioni che hai compiuto nella tua vita, cercando di capire cos’è lecito fare e comportandoti di
conseguenza.”
Il giovane lupo se ne andò ringraziando per i consigli ricevuti e ne fece tesoro.
Dopo qualche anno morì colpito da un cacciatore nell’atto di proteggere un cucciolo del suo branco.
Il Bosco rimase molto colpito da questo gesto e, per offrire un tributo al lupo, fece in modo che, chi passava
per il punto in cui era morto, sentisse il suo ululato riecheggiare nella quiete della foresta. Bisogna sapere,
infatti, che l’ululato di un lupo è ciò che distingue ogni esemplare dagli altri della stessa specie, racchiudendo
in sé tutte le emozioni provate nella vita.
Questa favola è stata scritta per far capire che le cattive azioni non portano mai a niente, mentre quelle
buone sono ciò che ci contraddistingue e ciò per cui saremo ricordati.
Stefano Calzavara (Cl. I BL)
Il re della Rocca di Orino
Era una notte stellata di marzo e il professor Salvatore Furia, presidente della Cittadella delle Scienze della Natura che sorge sulla cima del Campo dei Fiori, si era
recato con i suoi volontari presso la Rocca di Orino per osservare la volta celeste con i suoi magnifici telescopi. Il meteo prevedeva una notte stupenda, fresca, ideale
per ammirare le stelle. Inaspettatamente, però, il cielo si coprì, si alzò un vento gelido e scoppiò un violento temporale. Alquanto stupito e dispiaciuto, visto il continuo
diluvio, il professor Furia con i suoi assistenti stava cercando di evitare che i telescopi si rovinassero, quando si udì un tuono fortissimo e si chiuse con incredibile
velocità il portone d’ingresso del maniero. Contemporaneamente si sentì un urlo agghiacciante: “Buuuuuuu!!!!!”.
Il professore e i suoi volontari caddero a terra per lo spavento. Capirono che avevano a che fare con dei fantasmi e la loro angoscia aumentò quando notarono che un
altro spettro aveva mozzato la testa a quello che li aveva terrorizzati inizialmente. Il secondo spirito apparso era scheletrico, nero, con gli occhi rossi, i capelli lunghi di
ugual colore e il vestito tutto sporco di sangue. Era uno dei moltissimi spettri del castello, molto meno famosi del celebre fantasma di Ada. Prese la corona azzurra, che
era caduta dalla testa del primo spirito, se la mise sul capo, poi disse: “Ora sono il nuovo re dei fantasmi del castello!”
“Irra, dannato verme! - gridò un altro spettro dotato di un’armatura e di una grossa spada - Hai ucciso mio padre per prendergli il trono!”
“Le tue parole non contano” ribatté Irra, brandendo la Spada della Purezza, la spada azzurra dell’ex re della Rocca.
Il professor Furia, vista la situazione, prese un’ascia che casualmente trovò per terra e si lanciò anche lui contro l’usurpatore.
Un coro apocalittico di spettri risuonò per tutto il maniero. Irra ghignò, poi parò con la sola Spada della Purezza i numerosi fendenti di entrambi i nemici e, infine, la
alzò al cielo: essa emise un bagliore azzurro, che catapultò fuori dal castello tutti i presenti, disintegrando le loro armi.
Il figlio del re stava per rientrare nella Rocca, ma Salvatore Furia gli si parò davanti gridando: “Aspetta! Senza armi adeguate non possiamo farcela. Attendi fino al mio
ritorno, poi entreremo in azione. Il tuo nome?”
“Kunil. Ti aspetterò!”
“Tornerò appena possibile!” disse il professore prima di sparire nella tempesta con i suoi volontari.
La sera seguente Salvatore Furia, che non si tirava mai indietro di fronte a un impegno preso e che aveva coraggio da vendere, arrivò al maniero con un cavallo bianco,
ma questo fu mangiato da un drago blu a tre teste, mentre un’aquila con gli artigli cercò di ghermire lo scienziato.
“Fermi! - ordinò Kunil - Idioti! Che fate?”
Poi, rivolgendosi al professore: “Ti presento il mio drago blu, Drelin, e la mia aquila, Dark Star. Grazie per aver mantenuto la promessa!”
Salvatore Furia aveva portato con sé delle armi potenti e particolari, che si era procurate in una fornitissima armeria.
Drelin e Dark Star, ad un cenno di Kunil, irruppero nel castello. Irra prese la Spada della Purezza e saltò sulla groppa di un drago a sette teste rosso e nero.
“Ti taglierò la testa come hai fatto con mio padre!” gridò il figlio del re adirato. “Se lo imprigionassimo e basta ?” propose il professore.
“Sarò io a decapitarti e lo farò anche con lei, professor Furia dei miei stivali! Iahaha!” ghignò Irra, poi il suo drago emise fiamme da tutte le teste.
L’aquila e Drelin le evitarono, anzi quest’ultimo riuscì a mordere un collo del drago nemico.
“Attento professore!” gridò Kunil.
Furia saltò, ruotando su se stesso, mentre parava i colpi della Spada impugnata da Irra con la sua nuovissima ascia.
L’usurpatore vibrò altri tre fendenti, ma senza colpirlo. La Spada Azzurra allora si allungò come un serpente verso Furia, ma inutilmente.
“Sappi, Salvatore dei miei stivali, che per avermi ostacolato non solo ti decapiterò, ma prima distruggerò il Campo dei Fiori sotto i tuoi occhi! Al posto della Cittadella
delle Scienze della Natura farò sorgere la Cittadella della Tortura degli Animali e all’ingresso di essa appenderò la tua testa assieme a quella di Kunil e di suo padre!”
disse rabbioso Irra.
La Spada della Purezza deviò quelle lanciate da Drelin e da Dark Star, poi si conficcò nella spalla di Kunil, che, però, pensando al padre, trovò la forza di assestare un
doppio fendente, disarmando il nemico. Fu Salvatore Furia a impossessarsi della Spada della Purezza e a lanciarla a Kunil, che ferì Irra al collo. Avrebbe voluto
decapitarlo, ma Furia glielo impedì.
Lo spettro allora lo ammonì: “ Professore, le sono grato per l’aiuto, ma, se non mi lascerà compiere la mia vendetta, mi vedrò costretto a toglierla di mezzo!”
“Aspetta – replicò Salvatore Furia – se non lo uccidi, anche i fantasmi suoi amici ti accetteranno come re, perché sei il vincitore; se, invece, lo decapiti, faranno la stessa
cosa con te!”
“E va bene! Spettri, – disse Kunil porgendo la corona al professore – sarà Salvatore Furia il re! Lo merita molto più di me e deciderà cosa fare di Irra.”
“Grazie, ma mi basta essere il presidente della Cittadella e non sono uno spirito!” ribatté lo scienziato quasi divertito.
Da allora il professore poté fare con i suoi assistenti in assoluta quiete delle splendide osservazioni notturne alla Rocca di Orino, in quanto, anche se aveva rifiutato di
diventarlo, per i fantasmi del maniero era proprio lui il re!
Carlo Federigi e Paolo Martignoni (Classe II CS)
Il sorriso della principessa Celeste
C’era una volta un bellissimo castello, che sorgeva isolato in un folto bosco, proprio come la Rocca di Orino. La
caratteristica principale di questo maniero era quella di essere luminoso e colorato.
Vi abitava una famiglia felice, composta dalla regina Bella, dal re Neck e dalla principessina Celeste.
In questo luogo sembrava esserci qualcosa di magico e, in effetti, era così, ma lo scopriremo solo alla fine della
storia.
Una sera iniziò a scendere soffice la neve, che rese più favolosi quel magnifico bosco e il castello.
La famiglia, appena si accorse che nevicava, spense le candele e si mise a guardare l’incanto che si stava creando
fuori dalla finestra.
A tarda sera i genitori misero Celeste a letto e, per farla addormentare, Bella le raccontò una storia, il cui titolo era
“La sconfitta del mostro delle nevi”. Parlava di una principessa che era stata rapita da uno strano essere, che
compariva solo quando iniziava a nevicare.
La mamma fece appena in tempo a narrare l’inizio della fiaba, che Celeste si era già addormentata. Andò anche lei a
riposare, però nel cuore della notte si svegliò di soprassalto: il suo istinto materno le diceva che stava accadendo
qualcosa di negativo.
Accese un lume: i bei colori della stanza erano scomparsi. Si diresse verso la camera di Celeste, ma lei non c’era!
Notò che la finestra era aperta, si affacciò e vide, grazie al chiarore della neve, un essere, forse un animale, che
scappava con in braccio la bambina. Capì allora che la storia che stava raccontando alla figlia si era avverata.
Chiamò subito Neck, che si pose alla guida dei suoi soldati per inseguire il mostro.
Arrivarono in una grotta, entrarono e videro la principessina intrappolata in una campana di vetro. Il padre la liberò
immediatamente, ma dietro di lui spuntò l’orrenda creatura, allora iniziò a gridare per richiamare le sue truppe.
Queste si scagliarono contro il nemico in una lotta all’ultimo sangue, che le vide vittoriose.
Il re e Celeste fecero così ritorno al castello, dove Bella poté finalmente riabbracciarli.
A questo punto la regina si svegliò di colpo: in verità, bambini, aveva sognato tutto, forse perché proprio in questo
modo continuava la storia che aveva iniziato a raccontare alla figlia.
Per sicurezza accese una candela per vedere se era tutto a posto, ma non notò alcun cambiamento.
Ora provate a indovinare qual era la caratteristica speciale di questo luogo.
Se ricordate, all’inizio il castello era splendente e colorato, ma, quando fu rapita Celeste, diventò tutto buio e
oscuro.
Se non avete ancora capito, vi spiegherò io la magia: erano la presenza di Celeste e, soprattutto, il suo sorriso a far
risplendere tutto il castello!
Celeste Della Ventura (Classe II CS)
La Badia in pericolo
Sembrava una giornata qualsiasi: le nebbie dalle vallate si alzavano verso le montagne intorno a Varese, ma il sole tenace andava facendosi strada, rivelando i colori
accesi dei boschi autunnali.
Un urlo agghiacciante si propagò improvviso, turbando animali e persone.
“Iahaha! Finalmente sono riuscito a costruire il mio macchinario in cima al Campo dei Fiori! Iahaha! Devo solo utilizzarlo: con un laser spazzerò via la Badia di Ganna! Non
c’è più spazio per un edificio vecchio e ammuffito: siamo nel 3050 e non devono esistere costruzioni antiche se non destinate ad ospitare nuove tecnologie !” disse
sghignazzante lo scienziato Arnold.
Lenya, una diciassettenne snella dai lunghi capelli neri lisci e dagli occhi verdi scuri, lo sentì e corse ad avvisare Neal, il suo ragazzo, che come lei abitava a Ganna e
aveva particolarmente a cuore quello splendido monumento.
“Amore, uno scienziato pazzo vuole distruggere la Badia con un laser super tecnologico. Dobbiamo anticiparlo, corriamo al Campo dei Fiori!”
“Ok! Passeremo attraverso il bosco” rispose il giovane.
Erano da poco in marcia quando quello che sembrava un missile viola li mancò di poco. Si trattava in verità di un grifone, un mostro volante obbligato ad eseguire gli
ordini impartiti dal diabolico scienziato che l’aveva munito di collare elettronico. Il grifone si gettò in picchiata contro di loro una seconda volta, ma i due trovarono tra
le foglie del fitto bosco una rete gigantesca che un nutrito gruppo di ragni aveva costruito e abbandonato. La utilizzarono per catturarlo. L’animale, però, agitandosi si
liberò dalla fragile prigione. Lenya e Neal allora scapparono, ma scivolarono accidentalmente nel Margorabbia. Qui la ragazza notò un luccichio che si spostava vicino a
lei, cercò di raggiungerlo e afferrò tra le acque qualcosa di solido. Sollevando l’oggetto, intuì che era la Spada del Sangue Versato, la mitica spada di San Gemolo, della
quale aveva sempre sentito parlare. I due giovani la osservarono attentamente, meditando sul da farsi.
Il sole era ormai alto nel cielo divenuto limpido, quando all’improvviso il mostro alato li attaccò di nuovo.
Neal con un gran balzo atterrò sulla groppa del grifone, Lenya si scansò e lanciò la spada all’amato, che con un preciso fendente spezzò il collare elettronico, liberando
l’animale dalla tortura che il perfido Arnold gli infliggeva da tempo.
“Grazie, ragazzi! - tuonò il grifone battendo le grandi ali - Vi aiuterò portandovi sulla cima del Campo dei Fiori.” Lenya e Neal saltarono in groppa all’animale che spiccò il
volo.
“Incontreremo Arnold ?” - chiese la giovane aggrappata al collo del grifone.
“Tranquilla!” - la rincuorò Neal - Sul nostro Griffi* non corriamo alcun pericolo, sempre che tu non lo soffochi abbracciandolo.”
Lenya allentò la presa: “Oh! Scusami, Griffi! – sussurrò – Avevo paura di cadere.”
Purtroppo in pochi minuti si alzò di nuovo una nebbia fitta, che fece perdere a Griffi l’orientamento. Si sentirono di colpo smarriti. Fu allora che una fiammata lacerò il
grigiore che li circondava e si udì un ghigno orribile: “Iahahahaha!”
I due ragazzi intuirono che si trattava della voce di Arnold, che, protetto da una maschera nera, cavalcava un terribile dragone. Era tornato alla carica e con passaggi
fulminei tentava di catturarli.
Neal allora, con prontezza di riflessi, sguainò la Spada del Sangue Versato. Nel frattempo il dragone morse Griffi all’ala destra, ma quest’ultimo, resistendo al dolore, lo
azzannò al collo; il sangue uscì a fiotti e l’orribile creatura si abbatté al suolo. Arnold lo abbandonò e con impressionante destrezza saltò su Griffi, tentando di
disarcionare Lenya. Neal, vedendo in pericolo di morte la sua amata, vibrò un potente colpo di spada che colpì lo scienziato, facendolo precipitare sul sistema laser che
aveva costruito.
Nonostante la terribile caduta, Arnold si rialzò e, costatando che il marchingegno era ancora miracolosamente funzionante, lo puntò verso la Badia. Man mano che il
laser acquistava potenza, le
sue risate diaboliche riecheggiavano nella vallata impaurendone gli abitanti.
Griffi, però, si gettò in picchiata e con due zampate deviò il laser, salvando il prezioso complesso.
Fu allora che Arnold rimase vittima della sua terribile macchina, in quanto, cercando di riprendere il controllo della situazione, provocò un’esplosione che distrusse tutto
il laboratorio che aveva impiantato.
Tutti gli animali delle zone circostanti, in particolare quelli del Campo dei Fiori, esultarono: l’esplosione non aveva creato molti danni all’ambiente e nessuno di loro era
morto.
I ragazzi, contenti per aver battuto il male, volarono in groppa a Griffi sulle sponde del Margorabbia e restituirono al fiume la mitica spada, che scomparve tra i flutti.
Nei mesi seguenti la natura prese il sopravvento e ricoprì i resti di ciò che lo scienziato arrogante aveva costruito.
Tempo dopo alcuni archeologi, scavando in quell’area in uno strato più profondo del terreno, riportarono alla luce uno splendido Osservatorio Astronomico, che fu
rimesso in funzione proprio per dimostrare che la scienza, se utilizzata per nobili scopi, può dare un contributo importante allo sviluppo e alla pace tra i popoli.
*Soprannome dato al grifone
Carlo Federigi e Paolo Martignoni
(Classe II CS)
La leggenda del castagno piangente
La leggenda racconta di un albero, il cui tronco sembrava avere una forma inquietante. Tutto ebbe inizio un giorno
nella foresta...
C'era un ragazzo, Sam, che spesso vagava da solo per i boschi di Frascarolo. Non era molto educato perché
deturpava l’ambiente: passava i pomeriggi a rovinare le grandi fronde degli alberi, buttava rifiuti nell'erba e nelle
acque limpide del torrente.
Un giorno Sam superò ogni limite: aveva intenzione di bruciare la foresta.
Lo sciocco ragazzo prese dalla tasca della sua giacca sgualcita una confezione di fiammiferi appena acquistata in una
piccola bottega. Ne estrasse uno, lo sfregò ripetutamente con forza sulla parte laterale della scatola per accendere
una piccola scintilla.
Sam, orgoglioso più che mai, osservò la fiamma meditando sul suo piano crudele, ma improvvisamente il fiammifero si
spense. Quando il fuoco misteriosamente si affievolì per la seconda volta, una voce possente, autoritaria, con una
punta di severità lo riprese dicendo:
“La natura tu non rispetti,
allora ne subirai gli effetti.
Con forza e rabbia ti colpirò,
se il bosco pulito non vedrò! "
Voltandosi, si trovò di fronte un mago dalla lunga barba e dai vestiti lisi. Il ragazzo non fu per niente spaventato o
sorpreso, al contrario, ridendo, gli rispose in malo modo: “Vecchio, chi sei tu per parlarmi così? Io faccio quello che
voglio e non saranno certo le tue parole a fermarmi!"
Il mago allora, stizzito, lo mise in guardia ribadendo: "Tu, che uccidi l'ambiente, ti pentirai di quello che hai fatto!"
Detto questo, pronunciò la formula:
"Simsala bim, bobidi bu,
da umano a pianta diventerai tu!"
E così avvenne: le gambe del giovane si trasformarono in radici che affondarono nel terreno, il busto e la testa in un
grande tronco e, infine, le braccia in una folta chioma. Era diventato un castagno e i frutti che produceva erano
avvolti da spine dure come il suo cuore di pietra.
Si dice che da quel giorno ogni sera, quando il vento accarezzava le foglie degli alberi, si sentivano i suoi flebili
lamenti diffondersi nel bosco.
Federica Annoni, Giulia Dominioni, Denys Guante, Debora Illini, Giulia Pedersoli, Silvia Pieroni o Vignoli
(Classe II BS)
La magia della castagna
Michele era un ragazzo molto vivace ed amava parecchio scherzare. Proprio questa sua caratteristica, però, lo rendeva
antipatico a tanti. Vi chiederete: ma cosa c'è di male nello scherzare un po'? Beh niente, si direbbe, solo che Michele spesso
era esagerato e i suoi scherzi talvolta erano pesanti. Proprio per questo aveva pochi amici.
Un giorno, però, accadde qualcosa che lo cambiò radicalmente.
Era in gita con la sua classe lungo un sentiero della Valganna. La giornata era davvero bella: la nebbiolina autunnale del mattino
si era alzata ed il cielo d’un azzurro intenso invitava a proseguire il cammino. Michele, attratto dalle bellezze naturali, era
interessato all’escursione.
Lo splendido lago di Ganna si faceva sempre più piccolo alla vista mentre affrontavano un tratto di ripida salita. Proprio lì,
purtroppo, una sua compagna inciampò e cadde, ferendosi a un ginocchio. Nello stesso momento Michele sentì una strana voce
che diceva: “Ragazzino, vieni a rispondere ad un quesito!”
Michele non riusciva a capire chi fosse a parlare ed in fondo era preoccupato per la sua compagna, quindi non prestò
inizialmente attenzione a quella voce. Ma quel richiamo non si fermava, continuava insistentemente! Esasperato iniziò a
ricercarne l’origine.
Dopo alcuni minuti trovò dietro un albero una castagna che continuava a muoversi e capì che era proprio lei a parlare. Questa
gli disse: “Ce ne hai messo di tempo per arrivare, figliolo!”
Michele ribatté seccato: “Volevo prima soccorrere la mia compagna, ma tu continuavi a chiamarmi ed io non riuscivo a
concentrarmi per trovare una soluzione per aiutarla!”
La castagna replicò con fare misterioso: “Se risponderai a un indovinello, ti aiuterò io a guarire la tua amica.”
Il ragazzo accettò immediatamente. L'indovinello era il seguente: “È nato prima l'uovo o è nata prima la gallina?”
Michele non sapeva cosa rispondere: la castagna con quel quesito l'aveva messo in difficoltà!
Dopo un minuto questa esclamò: “Tempo scaduto!”
Michele, dispiaciuto, la pregò di aiutarlo lo stesso. Lei allora, sorridendo, gli disse: “Tranquillo, ragazzo! È da anni che cerco di
trovare una soluzione a questo enigma, per cui lo propongo a tutti quelli che mi capitano a tiro, ma nessuno mi ha mai dato una
risposta convincente. Perciò, anche se non l’hai risolto, ti dirò comunque come aiutare la tua compagna.”
Michele ascoltò le istruzioni della castagna e le mise scrupolosamente in atto. Esse erano semplici: doveva raccogliere delle
erbe speciali che si trovavano vicino all'albero dove aveva conosciuto la sua nuova amica, trovare una foglia molto grande e
usarla come contenitore per versarvi l'acqua del ruscello che scorreva nei paraggi, aggiungendovi poi le erbe raccolte e
triturate con un sasso. Il tutto andava delicatamente applicato sulla ferita.
Quando Michele tornò dai suoi compagni e spiegò loro cosa doveva fare, tutti furono un po' titubanti, temendo che quello
fosse uno dei suoi soliti scherzi. Gli insegnanti, però, notarono un nuovo bagliore negli occhi del ragazzo e proprio per questo
che lo lasciarono fare. Michele stese con molta cura l'impasto sulla ferita e, come per magia, essa scomparve, senza lasciare
neanche un graffio sulla pelle. Tutti erano stupefatti. Gli insegnanti furono fieri di Michele e lui, notando il nuovo modo in cui
era trattato, ringraziò prima di tutto la sua nuova amica castagna, quindi decise di comportarsi sempre in modo responsabile,
senza più fare alcun tipo di scherzo.
Daniel Alzati, Fabio Ferrarini, Vanessa Galati Rando, Giulia Mazzitelli (Classe II CS)
La nonna racconta…
Un’antica fiaba di Brinzio
Tanto tempo fa in cima all’attuale valico Valicci sopra Brinzio vi era un castello in cui viveva un potente conte.
Il maniero incuteva timore agli abitanti del paese, così come il padrone di casa, che aveva una cattiva fama e trascorreva gran
parte del suo tempo da solo nella sua tenebrosa abitazione.
A Brinzio in una modesta casetta abitava una graziosa fanciulla di nome Aurora, della quale il conte si era invaghito, avendola
scorta dall’alto di una torre del suo castello aggirarsi per il bosco in cerca di castagne. In paese viveva pure un bel giovane,
forte e intelligente, di nome Filippo. I due erano fidanzati ormai da un paio di anni e stavano per sposarsi.
Purtroppo accadde che la ragazza un giorno fu rapita misteriosamente. Come al solito stava percorrendo una stradina stretta
e isolata per raggiungere la casa di alcuni parenti, quando si sentì afferrare alle spalle; con un fazzoletto le fu subito tappata
la bocca, in modo da impedirle di gridare aiuto.
La giovane svenne. L’ignoto rapitore ripartì in sella al suo cavallo, portandola con sé.
Filippo, disperato, si mise a cercarla da tutte le parti, anche nel vasto bosco.
Aurora si risvegliò in una stanza piccola e umida. Poiché, guardando da una finestra a grate, capì di essere su un’altura,
immaginò di trovarsi nel temuto castello del conte di Brinzio. Poco dopo sentì un rumore di passi forti e decisi che si
avvicinavano: la porta si aprì e apparve il conte in persona. Era un uomo di media statura, piuttosto robusto, vestito di nero,
con i capelli e gli occhi scuri; portava un poco rassicurante coltello alla cinta dei pantaloni. Egli lasciò sul pavimento un vassoio
con del cibo.
La giovane terrorizzata disse precipitosamente:
“Chi è lei? Per quale motivo mi ha rapita? Non le ho fatto niente... La prego, mi lasci andare! La supplico...”
L’uomo rispose:
“Io sono il conte di Brinzio! Non hai nulla da temere, perciò non ti agitare! Qui con me starai bene, non voglio farti del male!
Non ti mancherà niente e avrai tutto il mio amore a patto che tu diventi mia sposa.”
Aurora non sapeva proprio che cosa rispondere ad una simile richiesta, così si affidò al suo istinto e disse:
“Mi dispiace, signor conte, ma io sono innamorata del mio Filippo e presto ci sposeremo, perciò la prego di lasciarmi andare.”
Il conte, che evidentemente non era a conoscenza di questo legame sentimentale, rimase attonito e la lasciò per il momento
sola.
Nel frattempo Filippo con il suo cavallo Fulmine si era ulteriormente addentrato nel bosco alla ricerca della fanciulla.
Dopo alcune ore si fermò a riposare vicino ad un torrente, così che l’animale poté dissetarsi.
Era autunno e il giovane notò intorno a sé i meravigliosi colori delle mille foglie per terra; un tiepido sole, che riscaldava tutto,
lo rasserenò temporaneamente. Poiché era molto stanco, si addormentò sul prato vicino al torrente.
Al suo risveglio si sentì pronto per riprendere la ricerca, quando vide un piccolo riccio dal musetto simpatico, il quale gli disse:
“Buongiorno, caro giovanotto! Ti senti meglio dopo un riposino, eh? Immagino che tu stia cercando una fanciulla. È così?”
Filippo stupito rispose:
“ Come ti chiami? E come fai a sapere perché mi trovo qui? Sì, effettivamente sono alla ricerca della mia Aurora.”
Il riccio replicò:
“Il mio nome è Gigi e mi farebbe molto piacere poterti aiutare a trovare la tua amata, indicandoti la via da seguire. Io stesso ho visto un
uomo dirigersi velocemente a cavallo verso il castello tenendo fra le braccia una ragazza.”
Filippo, intuito quanto era accaduto, ringraziò l’animaletto e partì di gran carriera alla volta del maniero. Si stava ormai facendo buio,
quando ad un tratto il giovane sentì una vocina sottile che diceva:
“ Ehi! Guardami, sono quassù!”
Il ragazzo soggiunse:
“Sì, ti vedo! Ma perché mi stai chiamando?”
L’interlocutore ribatté: “Io sono Luke, lo scoiattolo più sveglio del bosco. Volevo avvisarti che qui vicino vive l’orso Reginaldo, quindi sarà
meglio che ti sbrighi a trovare un rifugio sicuro prima che lui ti porti nel suo.”
Filippo lo ringraziò, ma decise comunque di proseguire, poiché ogni minuto che passava poteva essere prezioso.
Aurora intanto aveva dovuto obbedire all’ordine del conte di indossare un vestito elegante e di farsi bella per cenare con lui. Nel
frattempo aveva, però, escogitato un piano per farlo ubriacare. L’aveva, infatti, invitato a fare un gioco che consisteva nel rispondere ad
alcune domande sulla vita di lei. Se indovinava, non c’era alcuna penalità; in caso contrario avrebbe dovuto bere tre bicchieri di vino. Il
conte commise vari errori anche a causa del tipo di quesiti argutamente posti dalla ragazza e, dopo aver perso la lucidità, cadde
addormentato.
Aurora tentò di fuggire, ma il padrone di casa aveva messo dei cani feroci a guardia di tutte le vie d’uscita dal maniero, per cui era
impossibile allontanarsi.
Intanto era scesa la notte e Filippo, senza saperlo, si era avvicinato proprio alla caverna dell’orso Reginaldo, il quale, sentendo l’odore del
giovane, lo raggiunse e lo trascinò dentro. Fulmine per lo spavento scappò via.
L’orso in verità non era cattivo, ma soffriva di solitudine; per questo voleva che il ragazzo stesse con lui, che accendesse un fuoco e che
chiacchierassero insieme.
Filippo gli spiegò che l’avrebbe fatto volentieri, se non avesse dovuto salvare al più presto Aurora e gli raccontò quanto era accaduto.
Allora Reginaldo esclamò: “Devi sapere che in questa grotta c’è un passaggio che porta alle segrete del castello!”
Filippo disse: “Davvero?! Ti prego, indicamelo! Non vedo l’ora di riabbracciare la mia ragazza!” L’orso lo accompagnò fino ai sotterranei del
maniero e rimase a sua disposizione per qualsiasi evenienza.
Il giovane si affrettò a salire su per le scale per cercare Aurora. Quando la ragazza lo vide, subito gli corse incontro piangendo lacrime di
gioia, lo baciò e lo strinse forte a sé. Gigi e Luke, giunti nel frattempo sul posto per ricondurre dal padrone Fulmine, provvidero a distrarre
i cani da guardia, lanciando loro delle ghiande verso il prato opposto al portone principale. I due innamorati riuscirono così a scappare.
Aurora e Filippo, visto il pericolo corso, affrettarono le nozze e pochi giorni dopo si sposarono.
Per quanto riguarda il conte, pare che sia morto per il dispiacere di avere troppo amato e di non essere stato corrisposto.
Ancora oggi nei boschi intorno a Brinzio vivono i piccoli discendenti del riccio Gigi e dello scoiattolo Luke, ma non si mostrano facilmente
agli uomini, pur tenendoli sempre d’occhio in caso avessero bisogno d’aiuto.
I nonni del paese raccontano molto spesso questa storia ai loro nipotini e, quando li portano a fare una passeggiata al valico Valicci,
mostrano loro una vecchia cascina, dicendo che lì un tempo sorgeva il castello del conte di Brinzio.
Giorgia Pizzo e Claudia Zarpellon (Cl. II CS)
Love in the woods
Nel 1890 nacque a Milano una bellissima bambina di nome Alai. Se il nome vi pare strano, sappiate che la nonna materna di questa graziosa bimba era di origine spagnola
e che questo termine significa “Gioia” in tale lingua. Nello stesso anno vide la luce anche Rodolfo da genitori di origine italiana. Abitava in un albergo del Sacro Monte, di
proprietà della sua famiglia. Gli piaceva molto scendere al grazioso paesino di Velate e passeggiare per i boschi, dove un giorno casualmente incontrò Alai.
Noi conosciamo la loro storia grazie ai diari che scrissero. Ne riportiamo qui le pagine più belle, che ci hanno fatto emozionare.
Alai, spensierata e amante dell’avventura, decise di passare l’estate dei suoi vent’anni a casa dei nonni, a Velate.
[Alai]
20 luglio 1910
Dopo una settimana in questo straordinario borgo ieri pomeriggio ho deciso di esplorare un sentiero che sembrava sparire nel bosco. Avevo appena iniziato la passeggiata
ed ero sovrappensiero, intenta ad osservare la bellissima natura che mi circondava, quando mi sono scontrata con qualcuno e sono caduta a terra.
“Ma è possibile che lei non guardi dove mette i piedi ?” ho esclamato.
“Mi perdoni, ero distratto” ha risposto un giovane, mentre mi tendeva la mano per aiutarmi a rialzarmi.
L’ho presa e, una volta in piedi, sono rimasta incantata dal suo bel sorriso.
“G.. g..grazie” ho mormorato estasiata.
Il ragazzo allora mi ha domandato: “Qual è il suo nome?”
“Alai, e il suo ?”
“Rodolfo” mi ha risposto in fretta, mentre qualcuno lo chiamava da lontano con insistenza.
Per tutto il tragitto fino a casa non ho fatto altro che pensare a quegli occhi verdi come uno smeraldo, i più brillanti che avessi mai visto, e a quegli splendidi capelli neri.
[Rodolfo]
20 luglio 1910
“Ma proprio adesso dovevi chiamarmi, Ambrogio!” ho detto ieri pomeriggio al mio amico.
Ambrogio voleva mostrarmi un cavallo che i suoi avevano appena acquistato e invitarmi a montarlo con lui, ma gli ho spiegato che non era possibile perché alla sera dovevo
recarmi a casa di alcuni conoscenti dei miei genitori per la cena.
Vedendomi un po’ pensieroso, mi ha poi domandato: “Ma si può sapere che cosa c’era di così importante nel bosco?”
Con fare misterioso ho risposto: “Un angelo.”
“Ma stai delirando? Sicuro di star bene? Mi prendi in giro, vero?”
Io ho ribadito: “No, per niente! Ho incontrato una bella ragazza con i capelli castani mossi e lunghi, gli occhi color nocciola, il naso piccolo e le labbra rosee."
“Allora era proprio un angelo! - ha commentato il mio amico - Per la passeggiata a cavallo faremo domani …”
[Alai]
20 luglio 1910 (continuazione)
Appena entrata in casa, sono corsa a cercare Maria, la domestica più giovane che lavora per i miei nonni e della quale sono diventata amica, e le ho raccontato del mio
incontro:
“È bello, alto, con dei meravigliosi occhi verdi e dei folti capelli neri, un principe!”
“Oooh, magari è bello come il ragazzo che devi incontrare stasera.”
“Stasera? Pensavo che venissero a cena solo dei vecchi amici del nonno.”
“Esatto, ma non sono state invitate delle persone qualunque, bensì il proprietario di un albergo del Sacro Monte con la sua famiglia. Tuo nonno è stato come un padre per
lui. Ha un figlio che fa battere il cuore a tutte le ragazze del paese; dovrai essere bellissima!”
[….]
Era tutto pronto, mancavano solo gli ospiti; io ero davvero impaziente. Ed ecco che ho sentito bussare alla porta. Maria è andata ad aprire: sulla soglia ho visto un
signore e una signora sui quarantacinque anni, vestiti elegantemente e dietro di loro un bellissimo giovane. Non era, però, un ragazzo qualsiasi: quegli occhi, quel sorriso e
quella splendida voce… SÌ, ERA PROPRIO LUI, IL GIOVANE DEL BOSCO!
I nostri sguardi si sono incrociati e per un attimo ho colto lo stupore e la felicità nei suoi occhi.
Il momento magico è stato interrotto dalle parole di mio nonno che faceva le presentazioni di rito.
[Rodolfo]
20 luglio 1910 (continuazione)
Ed eccola lì, Alai, sulle scale, bella come una rosa appena sbocciata con il suo sorriso dolce dipinto sulle labbra. Mi sembrava di conoscerla da sempre, anche se l’avevo
incontrata solo poche ore prima. L’avevo chiamata “il mio angelo” e, mai come in questo caso, tale definizione mi pareva azzeccata.
La cena è trascorsa allegra, tra sorrisi e risate, poi, purtroppo, è venuta l’ora di andare.
Cercherò in tutti i modi di rivederla.
[Alai]
22 luglio 1910
Era tardi, dovevo tornare a casa, dovevo abbandonare quel posto meraviglioso. Provo sempre una sensazione di tristezza quando devo uscire dal bosco.. Ma dov’era il sentiero?
Dov’era l’uscita? La notte stava calando inesorabilmente; mi sono resa conto di essermi persa e la paura mi ha assalita. La paura è infida, sale piano piano, formando un nodo in gola,
non riesci a reagire, sai di doverlo fare, ma non ne sei capace. In quel momento mi sentivo così. Dovevo gridare, se volevo che qualcuno mi aiutasse. Ho trovato la forza e l’ho fatto.
Ad un tratto un rumore di passi … Era Rodolfo, il mio salvatore, che, gironzolando intorno alla casa dei miei nonni nella speranza di incontrarmi, aveva scoperto da Maria che ero
ancora nel bosco.
Ero salva nelle braccia del mio “principe”!
[Rodolfo]
22 luglio 1910
Ho deciso di rendere palesi i miei sentimenti. Col cuore a mille e un mazzo di fiori di campo mi sono diretto verso la casa dei nonni di Alai. Che disdetta! Maria mi ha detto che era
ancora a passeggiare nel bosco, ma era già tardi e non era prudente che una ragazza se ne andasse in giro da sola …
Ho deciso, perciò, di cercarla. Le ombre della sera stavano già calando, ma io non avevo paura… Ambrogio sostiene che io conosco come le mie tasche tutti i sentieri del bosco.
Ad un tratto ho sentito un urlo: era lei! L’ho raggiunta quasi subito: era smarrita e tremante. Ci trovavamo nella zona del monte San Francesco, per cui ho ritenuto opportuno
portarla nel mio albergo. Riconoscente, mi ha abbracciato. Io ero al settimo cielo!
Poiché era molto preoccupata per il fatto che i nonni fossero in pensiero, appena si è ripresa un po’, mi ha chiesto di accompagnarla da loro.
Davanti a casa, mi stava per dire qualcosa, ma non l’ho lasciata parlare e le ho sussurrato: “Sai, adoro passare del tempo con te. Sei la cosa migliore che mi sia capitata. Sei il mio
angelo!”
Ho appoggiato le mie labbra sulle sue in un lungo e dolcissimo bacio. L’ho vista avvampare, ma non ho detto niente. Ho avuto una paura tremenda che non provasse i miei stessi
sentimenti, perciò me ne sono andato di corsa.
[Alai]
22 luglio 1910 (continuazione)
“Mio angelo”, così mi ha chiamata… Che meraviglioso bacio! Non sono riuscita a pronunciare neppure una parola, volevo dirgli che per me era stata un’emozione enorme, ma ero
troppo confusa. Così lui se n’é andato: chissà cos’avrà pensato… Sono entrata in casa e mi sono abbandonata al calore dei miei nonni. Avevo bisogno di riflettere …
27 luglio 1910
Questa mattina mi sono svegliata confusa come non mai … Non mi diverte più niente, neanche passeggiare nei boschi . Mi sono pentita di ciò che ho fatto o, meglio, non ho fatto
quella sera con Rodolfo.
Sono venuta a sapere che tutte le ragazze e i ragazzi dei dintorni sono invitati a un ballo che avrà luogo all’hotel del mio “principe” il giorno di ferragosto. Non vorrei andarci, ho
paura di essere delusa, ma mia nonna, che ha un grande potere persuasivo, mi sta convincendo. Ho provato un suo bellissimo vestito: con quello indosso mi sento Giulietta, un’amante
infelice.
[Rodolfo]
10 agosto 1910
Sono giorni che mi tormento: ho il dubbio che in fondo per lei sono solo un amico, forse semplicemente un conoscente. Fra alcuni giorni ci sarà il ballo, non ho voglia di andarci, ma
sono il padrone di casa e non posso esimermi dal parteciparvi.
Sono stato dal sarto per l’ultima prova del vestito.
“Ecco il vostro nuovissimo abito: sono sicuro che indossandolo farete conquiste …” mi ha detto quel buon uomo, ma non ne sono per niente certo.
16 agosto 1910
Era sera, il grande salone era tutto addobbato. Le luci un po’ soffuse creavano un’atmosfera magica, l’orchestra era pronta a suonare. I primi invitati giunti all’albergo si
aggiravano per la stanza salutandomi. Chissà se sarebbe venuta anche lei … Eccola lì: l’avrei riconosciuta fra mille. AVEVO DECISO: NON POTEVO RINUNCIARE!
[Alai]
16 agosto 1910
Appena ho visto da lontano l’hotel, ho provato l’impulso di girarmi e correre via, ma non volevo deludere mia nonna, così, prendendo il coraggio a due mani, sono entrata. Sono stata
subito coinvolta dalla bellissima musica e ho danzato con vari cavalieri, ma non ero felice. Finalmente LUI si è avvicinato a me, ha posato una mano sulla mia spalla e, senza dirmi
nulla, mi ha trascinata in un romantico valzer. Pian piano ci siamo spostati verso una finestra e, quasi senza accorgermene, mi sono ritrovata su una terrazza. Le montagne
s’intravedevano nell’oscurità illuminata da una miriade di stelle e dalla luna: non avevo mai visto un cielo notturno così bello. LUI mi si è avvicinato sempre di più, poi mi ha baciata. È
stato dolcissimo … Gli ho sussurrato: “Rodolfo” e allora LUI ha iniziato a parlare quasi balbettando: “Forse tu non provi quello che sento io, ma non potevo lasciarti senza un altro
bacio. Scu…”
L’ho fermato e stavolta sono stata io a baciarlo. Che serata fantastica! Passerò con LUI i giorni che rimangono di questa meravigliosa estate.
[Rodolfo]
16 agosto 1910 (continuazione)
Che momento magico! Mi amava, mi amava! Non ci potevo credere …
Questa è l’estate migliore di tutte!
E’ passato del tempo e sono successe tante cose, ma una non è cambiata: l’amore di questi giovani. Il loro matrimonio venne celebrato l’anno seguente e, come accade in tutte le
fiabe che si rispettano, THE LIVED HAPPILY EVER AFTER.
Annamaria Callegarin e Sara Nagero (Cl. I BL)
Matt, Susan e il mistero della “dama bianca”
I
Una sera Matt si svegliò dopo una lunga dormita che gli aveva permesso di scacciare temporaneamente i pensieri che lo opprimevano. La sua stanza era immersa nel profumo che
riusciva a darle solo Isabella, la compagna di suo padre, la quale si prendeva cura di lui dall’età di sei anni come se fosse suo figlio. Sua madre, infatti, era morta quando era ancora
molto piccolo e lui era rimasto solo con il padre Thomas, un giovane inventore.
La tappezzeria della camera era scura, quasi tetra, sicuramente non molto adatta ad un ragazzo di sedici anni. Grazie alla debole luce della lampada, posta a fianco del letto, si
potevano intravedere i mobili: il grande armadio di mogano, inutile secondo Matt, il divanetto troppo vecchio per potervisi sedere comodamente e, infine, la scrivania disordinata
sulla quale erano posti grandi e sgualciti volumi scolastici e, sotto mille cartacce, la busta dell’invito che aveva ricevuto a scuola per una festa al castello di Frascarolo.
Dal fondo della scala si sentì la voce di Isabella: “Matt…? Matt, sei sveglio? – disse, mentre era indaffarata nel preparare la cena – È quasi pronto!”
Il ragazzo si alzò dal letto e, ancora mezzo addormentato, scese lentamente le scale.
Si sentivano delle voci provenire dal piano sottostante: era il televisore che trasmetteva il programma preferito dal padre, intitolato “Terra nascosta: i segreti più strani della
natura”. Matt si decise a seguire il documentario perché Thomas lo lasciasse uscire con i suoi amici nei giorni successivi.
“Hai dormito tanto, eh? - gli disse sorridendo il padre -Ti sei perso quasi tutto il programma!”
“Che peccato, papà! Mi dispiace tantissimo! Me lo racconterai …” rispose fingendosi interessato.
Isabella aveva preparato una cena squisita: arrosto con patate, il piatto che Matt adorava.
Come aveva previsto, quella sera ottenne il permesso di andare alla festa di Frascarolo.
Il giorno dopo Matt andò a scuola con la poca voglia di sempre ed i suoi soliti problemi, fra i quali quello di non avere ancora una ragazza, e salutò i suoi amici Nick e Jason.
“Ciao Matt! Come stai?” disse Nick.
“Sembri un po’ giù di morale” osservò Jason.
“Ciao, ragazzi! Sto bene, grazie, state tranquilli!” rispose Matt con un sorriso piuttosto forzato.
“Allora vieni alla festa? Ricordati che bisogna mascherarsi, quindi preparati bene!”
“Raga… Ho il permesso di mio padre, ma non so come andarci…”
“Stai tranquillo, ti passiamo a prendere noi! Devi solo procurarti un abito medioevale! Pensiamo noi al resto!”
“Ok, va bene! Adesso andiamo in classe, altrimenti ci becchiamo una bella nota!”
Dopo un’interminabile mattinata di lezione Matt tornò a casa e pensò a come procurarsi il vestito, ma non combinò nulla a causa di un mal di testa improvviso che lo costrinse ad
andare a letto molto presto.
Il giorno successivo si recò in un negozio specializzato e comprò un bellissimo completo signorile, di velluto grigio, che ben si adattava ai suoi occhi di un azzurro cielo e ai suoi
capelli leggermente lunghi e neri.
Arrivò il giorno della festa.
Nonostante l’ora tarda, Matt era ancora sdraiato sul letto; la chiamata di Nick lo indusse, però, a sbrigarsi.
“Dimmi, bello” esclamò Matt rispondendo al cellulare.
“Ti veniamo a prendere alle nove. Fatti trovare pronto perché non abbiamo tempo da perdere!”
“Va bene. A dopo…” e chiuse il telefono.
Si vestì e aspettò gli amici. Quando arrivarono, salì in macchina e partirono tutti per Frascarolo.
La serata era piovosa, ma nulla avrebbe ostacolato la festa…
II
A pochi isolati dalla casa di Matt, in una modesta villetta, abitava Susan.
La sua camera era grande e spaziosa: vi erano un lettone sommerso da mille cuscini, un imponente armadio a muro e una colorata scrivania sulla quale erano disposti ordinatamente
i libri scolastici e campeggiava l’invito alla festa di Frascarolo.
Era la prima alla quale Susan avrebbe partecipato e, per questo, doveva essere indimenticabile … Doveva essere PERFETTA!
Si guardò allo specchio: era una bella ragazza dai lunghi capelli castani e dai grandi occhi verdi.
Voleva riprovare il vestito comprato proprio per quell’occasione pochi giorni prima con Rachel, la sua migliore amica, ma la fotografia appesa all’angolo dello specchio attirò la sua
attenzione: le ritraeva da piccole in una bella giornata di sole trascorsa al mare. Rachel era la sua migliore amica, con la quale non aveva segreti. Era stata proprio lei a parlarle
della festa e a procurarle l’invito.
Ricordava benissimo quando la sua amica l’aveva chiamata nel bel mezzo della notte, cosa che era solita fare, dicendole che dovevano assolutamente partecipare al raduno di
Frascarolo perché ci sarebbero stati quasi tutti gli studenti della scuola e sarebbe stata un’ottima occasione per fare nuove conoscenze.
Il giorno dopo erano già in cerca dell’abito adatto all’evento; dovevano assomigliare il più possibile a due principesse! Rachel aveva trovato immediatamente un vestito celeste che
faceva risaltare i suoi occhi nocciola, mentre Susan ne aveva provati moltissimi e, solo quando aveva ormai perso tutte le speranze, ne aveva individuato uno rosa antico con un
coprispalle nero: era molto semplice, ma davvero speciale, adattissimo per quella serata.
Ad un tratto la voce della madre che la chiamava la riportò alla vita reale e la sottrasse ai suoi pensieri; era tardi e doveva andare a dormire.
Verso l’una di notte, nel bel mezzo di un sogno in cui lei e la sua amica si recavano alla festa su una bellissima carrozza trainata da due cavalli bianchi, il cellulare squillò. Susan si
svegliò all’istante e capì subito che era Rachel: era l’unica che poteva chiamarla a quell’ora!
“Pronto, Susy” disse Rachel.
“Ehm… Ciao, Rachi! Ti sembra l’ora di chiamare?” rispose cercando di trattenere le risate.
“Volevo solo ricordarti di stare tranquilla per domani sera. Sarà una festa magica!”
Rachel interruppe la comunicazione ancor prima che Susan potesse risponderle. Senza saperlo aveva detto una cosa assolutamente vera: quella sarebbe stata una delle serate più
importanti nella vita di Susan.
Il momento tanto atteso arrivò.
Susan si specchiava continuamente, sperando di avere un bell’aspetto. Ad un tratto il campanello suonò: era Rachel che passava a prenderla. Scese le scale, salutò in tutta fretta e
uscì. Corse verso la macchina, vi entrò, sorrise all’amica, cercando di calmarsi, anche se l’emozione aveva preso il sopravvento. E subito partirono.
III
Il portone del castello era aperto: numerosi gruppi d’invitati erano in procinto di varcarlo. Il ballo in maschera stava per cominciare. Il giardino intorno era buio, quasi circondato
da un alone di mistero, ad eccezione del viale principale pieno di luci e decorazioni, che conduceva a una scalinata ricoperta da un tappeto rosso. Al termine di quest’ultima c’era un
uomo vestito da giullare che controllava le persone che arrivavano, facendole entrare in una stanza un po’ spoglia in cui si appoggiavano giacche e cappotti.
La sala da ballo, illuminata da maestosi lampadari, era imponente. A sinistra c’erano delle grandi vetrate che davano su un terrazzo dove si poteva riposare e rifocillarsi. Sul lato
opposto, sopra un palco rialzato, si trovava il dj.
Le ragazze indossavano lunghi vestiti, sfarzosi, da dame medioevali e il loro volto era coperto da bellissime maschere. I ragazzi, alla stregua di nobili signori, portavano completi
pomposi e insoliti cappelli.
Susan era emozionatissima … Quando lei e Rachel entrarono nel locale, la musica le avvolse, per cui si gettarono immediatamente nelle danze.
Matt era già lì da un po’, seduto in un angolo, e giocherellava con il suo cellulare. La sua attenzione fu subito catturata da Susan. La trovava molto carina e affascinante. Rimase lì a
fissarla per un po’, finché non arrivarono Nick e Jason.
“Dai, vieni a ballare. Non vedi quante belle ragazze?” gli urlò Nick, poiché la musica era alta.
Matt scosse la testa, ma il suo amico lo trascinò in pista. Ballava con poco entusiasmo. Il suo sguardo era sempre rivolto alla bellissima ragazza che indossava il vestito rosa antico.
A un certo punto il dj fermò le danze e disse: “Bene! Cambiamo musica: per essere maggiormente in tema, metterò una tipica danza medioevale. Dovete imparare i pochi movimenti
che vi mostrerò. Ma ora tocca a voi, cavalieri: scegliete le vostre dame senza esitazione. E che le danze abbiano inizio!”
Era il momento … Matt poteva invitare la ragazza che l’aveva colpito, anzi doveva. L’occasione andava colta al volo. Prese coraggio, si avviò lentamente verso Susan e le chiese se
voleva ballare. Lei si voltò, lo fissò con i suoi bellissimi occhi verdi, sorrise lusingata e accettò.
Dopo aver imparato i pochi passi necessari, iniziarono a ballare.
Susan non si era mai divertita così tanto e Matt la affascinava. Le piacevano il suo viso e il suo umorismo, insomma le piaceva tutto di lui! Fu proprio un momento magico. Per un
attimo ai due ragazzi sembrò di essere soli nella sala. Pareva un sogno, ma, come ogni sogno che si rispetti, tutto finì. Matt fu trascinato via da Jason mentre cercava di opporsi
gridando di lasciarlo andare, ma la musica assordante impedì che si udissero le sue parole.
Nel frattempo un altro ragazzo chiese a Susan di ballare e lei, per non sembrare scortese, accettò.
Jason indicò a Matt una giovane alta, molto slanciata, dai capelli biondi, che lo salutava con un sorrisino.
Nick ridendo disse: “Guarda che amici hai... Ti abbiamo procurato un’amica.”
“In realtà l’avevo già trovata, ma ormai…” rispose seccato, guardando con invidia il giovane che era con Susan.
“Scusami, amico. Allora la bionda me la piglio io!” continuò Jason appoggiandogli una mano sulla spalla per consolarlo.
“Fai pure!” aggiunse Matt indifferente e si avviò scoraggiato verso il terrazzo.
Andò a sedersi su una panchina e volse il suo sguardo al cielo. Si perse nel fissare l’infinito manto scuro costellato di numerosissime stelle simili a diamanti, mentre ripensava alla
serata e, soprattutto, a lei. Ogni cosa la ricordava, specialmente una stella che brillava di più tra tutte le altre. Immerso nei suoi pensieri, non si accorse che una figura femminile
si stava avvicinando a lui. Gli si sedette accanto e iniziò anche lei a guardare il cielo stellato.
“Sono bellissime” disse Susan.
Lui si voltò a guardarla, sorpreso, ma profondamente felice. Era lei!
Le sorrise, si alzò in piedi e, calandosi nel ruolo di un cavaliere, le disse: “Sì, avete ragione! Ma posso anche affermare, mia cara dama, che siete altrettanto bella, anzi voi siete più
bella di tutte le stelle del cielo!”
Susan rise divertita da quell’interpretazione improvvisata.
Matt aggiunse: “Dico sul serio: sei bellissima!”
Si guardarono molto intensamente negli occhi: erano talmente vicini che i loro volti si sfioravano.
Susan, imbarazzata, si alzò repentinamente, aspettò che il rossore sulle guance sparisse e gli sussurrò all’orecchio: “Andiamo a fare un giro per questo enorme castello,
mio affascinante cavaliere?”
Lui annuì, la prese per mano e la condusse verso una porta sulla quale notarono la scritta: “VIETATO L’ACCESSO”. Con un po’ di esitazione, spinti dalla curiosità,
l’aprirono.
Matt, notando l’insicurezza di Susan, cercò di mostrarsi il più coraggioso possibile. Appena varcata la soglia, la porta dietro di loro si chiuse di scatto e, dopo qualche
secondo, che ai due parve interminabile, una luce fioca illuminò un lungo corridoio.
Ai loro occhi apparve magnifico: sulle pareti ritratti di bellissimi cavalieri e stupefacenti dame facevano bella mostra di sé e ogni tanto s’intravedevano nell’ombra delle
armature.
Appena mossero i primi passi, però, tutto diventò terrificante: la luce rifletteva ombre inquietanti, i dipinti sembravano animati e si sentiva un brusio di sottofondo.
Susan scattò verso la porta, cercando di uscire da quell’incubo. Purtroppo non si aprì.
“Aiuto! E adesso che facciamo?! La porta è chiusa!” incominciò a strillare.
“Eh… Non lo so! Intanto non agitiamoci. Proseguiamo e sicuramente troveremo un’altra uscita!” la rassicurò Matt.
Cominciarono a correre, senza sapere dove stessero andando. In effetti la parte del maniero in cui si erano intrufolati non era altro che un insieme di corridoi collegati
tra di loro da grandi stanze, quasi un labirinto.
Si fermarono in una camera perché non avevano più fiato. Susan l’ammirò: era maestosa. Al centro, sopra un gran tappeto, si vedeva un letto a baldacchino con un
delizioso copriletto di seta rosa; di fronte vi era un enorme specchio e, appoggiato all’altra parete, un bellissimo comò con tanti piccoli cassetti. Susan notò che uno di
essi era parzialmente aperto. Conteneva piccoli oggetti e il ritratto di un’affascinante giovane con un elegante abito bianco. Improvvisamente si sentì un rumore.
“Cos’è stato?! Hai sentito anche tu quel rumore?” chiese Matt.
“Sì… Ma pensavo fossi tu!” rispose Susan terrorizzata.
“A me sembrava un’armatura che cadeva, però può essere che mi sbagli…”
“Ho paura. Spero che sia solo frutto della nostra immaginazione!” sussurrò Susan.
“Non ti preoccupare! - la rassicurò nuovamente Matt - Adesso proseguiamo e sono certo che fra poco troveremo l’uscita!”
Di lì a poco arrivarono ad un’altra porta, fecero per aprirla, ma inutilmente. Si girarono per tornare indietro, ma si bloccarono all’istante: una figura vestita di bianco era
apparsa in fondo al corridoio.
I due ragazzi si guardarono stupiti.
“E questa da dove arriva?! Non c’era nessuno nel corridoio prima!” balbettò Matt.
Susan, invece, non riuscì a proferire parola un po’ per lo spavento, un po’ per la bellezza della giovane donna apparsa, che sembrava avere solo qualche anno in più di loro,
ma uno sguardo maturo e dolente.
“Buonasera, ragazzi! - incominciò a dire la splendida dama - Cosa fate qui? Non mi sembra un posto adatto a voi!”
Si avvicinò quindi con passo delicato e stranamente silenzioso.
“Non avete letto la scritta sulla porta? – continuò – È impossibile che non l’abbiate vista.”
Susan, superato lo sconcerto iniziale, disse: “Ci scusi, volevamo solo un po’ di pace. Di là la musica è troppo alta. Non riuscivamo a parlare normalmente.”
“ Per questa volta siete perdonati! – rispose - E adesso tornate alla vostra festa. Non vorrete perdervi la parte migliore …”
Si girò e s’incamminò velocemente per il corridoio.
Matt la rincorse e riuscì a fermarla prima che sparisse.
”Ci scusi, un’ultima cosa. È da un po’ che vaghiamo per questi corridoi, senza trovare l’uscita. Ci siamo persi! Potrebbe gentilmente indicarci come ritornare nel salone
della festa?”
Ci pensò un attimo, poi rispose: “È meglio che mi seguiate!”
Senza dire altro, si avviò e i due ragazzi la seguirono. Arrivati in un punto dove il corridoio si divideva, la dama disse: ”Eccoci! Svoltate a destra e troverete la porta
d’uscita. Vado, ho già perso troppo tempo.”
La dama misteriosa girò verso sinistra e si allontanò. In quell’istante, però, Susan vide per terra, nel punto dove si era fermata la giovane, un fazzolettino bianco. Capì
subito che apparteneva alla dama, lo raccolse e cercò di raggiungerla, ma, quando svoltò l’angolo, nel lunghissimo corridoio non vi era traccia di lei.
“È davvero strano che sia sparita così in fretta! - osservò Matt - Adesso però ci conviene fare quanto ci ha indicato. Seguirla non mi pare la cosa più opportuna:
potrebbe arrabbiarsi e, inoltre, ci perderemmo i fuochi d’artificio! Torneremo domani con calma a riportarle il fazzoletto.”
“Mi sembra una buona idea!” esclamò Susan e uscirono tenendosi per mano.
Dopo il magnifico spettacolo pirotecnico si salutarono e si diedero appuntamento per il giorno successivo nei pressi del castello, dato che, essendo domenica, non
dovevano andare a scuola.
L‘indomani Susan si svegliò di buon’ora, tutta felice, perché avrebbe incontrato Matt. Dopo un’abbondante colazione corse a prendere il pullman che l’avrebbe portata al
luogo dell’incontro.
Matt, anche lui entusiasta per la giornata che gli si prospettava davanti, si alzò molto prima del solito con grande meraviglia del padre, mangiò qualcosa e corse subito in
camera a prepararsi. Uscì in fretta e raggiunse Frascarolo.
I due si salutarono timidamente e s’incamminarono verso il portone del maniero. Gli scoiattoli, che si divertivano a saltare da un ramo all’altro degli alberi, sembravano
osservarli.
Arrivati all’ingresso del castello, bussarono prima leggermente e poi, vedendo che non apriva nessuno, con forza. Alla fine, quando ormai avevano perso ogni speranza, si
affacciò una persona che non si aspettavano di vedere: un uomo sulla cinquantina, d’altezza media, con i capelli brizzolati, la barba incolta, con ancora addosso il pigiama.
I ragazzi, dopo averlo squadrato da capo a piedi ed essersi chiesti perché un tipo così trasandato abitasse in un castello tanto lussuoso, gli chiesero se sapesse dove
potevano trovare la dama dal vestito bianco. L’uomo, dopo averli osservati a sua volta, rispose:
“Ragazzi, qui non vive nessuna dama. E comunque, chi siete voi?”
“Non siamo dei poco di buono, signore! Dobbiamo solo restituirle il suo fazzoletto e ringraziarla per averci aiutati ieri sera.”
Così dicendo, Susan mostrò all’uomo il fazzoletto che la sera prima aveva trovato per terra.
Essendosi accorto che i due non mentivano, li invitò ad entrare e decise di raccontare loro la storia di Clarissa, la “dama bianca”.
IV
Clarissa era una giovane di diciotto anni, dai lunghi capelli biondi e dagli occhi di un azzurro intenso. Viveva a Frascarolo insieme con la madre Caterina, troppo impegnata
a pensare a se stessa per prendersi cura della figlia, e con il padre Giulio, un uomo ben più vecchio della moglie, severo e troppo superficiale per comprendere i desideri
della ragazza.
Una sera buia e tempestosa arrivò al maniero un giovane che chiedeva asilo. Era alto, bruno, dal portamento elegante. Fu subito fatto entrare e gli fu data una stanza.
Mentre attraversava il salone delle feste, i suoi occhi incontrarono quelli di Clarissa, che arrossì e abbassò la testa velocemente.
Quella notte la fanciulla non riuscì a dormire: le tornavano alla mente lo sguardo di quel bel forestiero e la sua naturale eleganza. La mattina seguente si recò, prima del
solito, nella grande sala da pranzo per la colazione. Vi trovò la madre, il padre e il misterioso ospite che non le toglieva gli occhi di dosso. Il padrone di casa gli chiese
che cosa facesse da quelle parti. Il ragazzo spiegò: “Mi chiamo Stefano, vengo da Ganna e sono figlio di un abile falegname che ha aiutato il mio paese nei momenti in cui
c’era più bisogno, costruendo qualsiasi cosa potesse essere utile. Dopo la tremenda alluvione dei giorni scorsi, poiché sono caduti moltissimi alberi, ho deciso di recarmi a
Varese per chiedere ad un mio cugino di dare una mano nella nostra bottega. L’improvvisa tempesta di ieri sera mi ha colto alla sprovvista, ma ripartirò al più presto.”
Quest’ultima frase risuonò nella testa di Clarissa come una scossa: sentì lo stomaco rigirarsi e il cuore arrivarle alla gola. Stefano non poteva ripartire subito!
I due giovani sembravano parlarsi con gli occhi. Il padre di lei, però, si accorse di questo scambio di sguardi e, dato che aveva già in mente dei possibili fidanzati per la
figlia, la condusse con una scusa nella sua stanza, chiudendo la porta a chiave e proibendole di vedere l’ospite.
Clarissa era disperata, distrutta. Le lacrime le scorrevano abbondanti sul viso e lei era incapace di fermarle.
Per fortuna entrò nella sua camera la balia per portarle il vassoio con il pranzo e le riferì che il ragazzo l’avrebbe aspettata a mezzanotte sotto la grande quercia del
giardino. Quelle parole furono come una boccata di ossigeno per Clarissa, che si sentì immediatamente meglio.
Quando scoccò l’ora fatidica, con la complicità della fedele balia uscì silenziosamente dalla sua stanza e, attraversando i lunghi corridoi, arrivò al grande portone
d’ingresso. Lo aprì, sentì una brezza fresca sul viso e raggiunse velocemente la grande quercia. Notò subito Stefano: la luce della luna gli dava un aspetto magico e
intrigante. Gli corse incontro e l’abbracciò calorosamente. Quando si divisero, Stefano si accorse che Clarissa aveva le guance bagnate dalle lacrime, allora le prese le
mani dicendole: “Tornerò, non so quando, ma ti prometto che ci sposeremo!” Detto questo, la baciò dolcemente e si allontanò. Il cuore della ragazza era in subbuglio:
quello era il suo primo bacio e, purtroppo, anche l’ultimo.
Passarono circa due anni. Clarissa cresceva e la sua bellezza diventava sempre più irresistibile.
Un giorno il padre le presentò un uomo ricco, sulla quarantina, dicendole che sarebbe diventato suo marito.
Clarissa, presa dal panico, scappò in camera sua piangendo e chiuse la porta con rabbia. Più tardi entrò nella stanza sua madre con aria infuriata, la strattonò e le urlò:
“Sei un’ingrata, una ragazza che pensa solo a se stessa! Devi sposare quell’uomo! È ricco e, grazie al tuo matrimonio, la nostra famiglia diventerà ancor più famosa. Tu non
puoi rovinare tutto per un tuo capriccio. Stefano non ti ama, non ti vuole! Si è già dimenticato di te e tu devi fare lo stesso. È un povero artigiano, che te ne fai di uno
così?!”
E se ne andò subito, senza darle la possibilità di replicare.
Quelle parole tormentavano Clarissa e le rimbombavano nella testa. Non voleva crederci, anche se incominciava a pensare che ci fosse del vero nelle affermazioni della
madre: era da troppo tempo che non aveva notizie di lui. Forse non l’amava più, forse si era innamorato di un’altra ragazza, forse quella notte le aveva mentito … Troppi
pensieri si affollavano nella sua testa: i suoi genitori non s’interessavano di lei e non le volevano bene e il suo unico amore l’aveva presa in giro. Era distrutta!
Improvvisamente aprì la finestra della sua stanza che dava su un balconcino, salì sulla ringhiera e si lasciò cadere nel vuoto, piangendo e urlando dentro di sé: “L’amore
non esiste!”
Il funerale di Clarissa fu celebrato nella chiesetta del castello. Vi parteciparono solamente i familiari più stretti, in quanto si voleva tenere il più possibile segreta la
vicenda, che venne fatta passare come una disgrazia. La balia fu l’unica che pianse per la sua morte.
Finito il racconto, l’uomo, che altri non era che un pronipote della balia, tacque pensieroso.
V
Susan, che era rimasta molto colpita dalla triste storia che aveva appena ascoltato, chiese: “E Stefano? Che ne è stato di lui?”
L’uomo si avvicinò a un mobile, aprì un cassetto e ne trasse una vecchia lettera stropicciata, poi la porse alla ragazza dicendole: “Questa lettera, che la mia bisnonna ha
conservato gelosamente, arrivò troppo tardi. Leggi e capirai …”
Le parole erano piuttosto sbiadite, ma si distinguevano chiaramente i termini “morte”, “certificato”, “Stefano”, “polmonite”.
“Ma certo! – pensò Susan - Stefano non aveva abbandonato Clarissa, anzi, probabilmente, era morto pensando a lei. Se la dama l’avesse saputo, le cose sarebbero
andate diversamente ...”
Era ormai chiaro che la sera precedente lei e Matt avevano incontrato non una persona in carne ed ossa, ma un fantasma. I due ragazzi espressero, comunque, il
desiderio di salire al piano superiore per rivedere ancora una volta gli appartamenti della dama e riportarvi il fazzoletto. L’uomo acconsentì e li accompagnò.
Arrivati nella camera di Clarissa, improvvisamente sembrò loro di percepire uno spostamento d’aria: si voltarono e la videro ritta sull’uscio. Era sempre bellissima, ma
con gli occhi lucidi. Subito con estrema concitazione si rivolse a Susan dicendo: “L’amore non esiste! Lui ti tradirà quando meno te lo aspetti … Viene, t’illude e poi, sai
cosa fa?! Sparirà e ti farà soffrire tanto!”
Matt e, in particolare, il pronipote della balia, che non aveva mai visto in vita sua il fantasma della giovane, rimasero impietriti, mentre Susan ebbe la prontezza di
rivelarle l’esistenza della lettera ed il suo contenuto.
Ora Clarissa capiva ogni cosa e il suo cuore, prima pieno di tristezza e di rabbia, fu pervaso dall’amore. Una luce meravigliosa la illuminò: era finalmente pronta per la
pace eterna.
Felice esclamò: “Lo vedo. Vedo il mio amato … È lì che mi aspetta. Mia cara, non saprò mai come ringraziarti.”
All’improvviso comparve anche Stefano, le diede la mano e, mentre andavano via, la dama pronunciò queste ultime parole: ”Non dubitate mai della forza dell’amore
perché è così grande che sconfigge anche la morte. Non dimenticatelo mai!” e la sua voce svanì piano piano come la sua immagine e quella del suo compagno.
I due ragazzi lasciarono il castello ancora sconvolti per tutto quello che era successo, ma anche contenti per il lieto fine della vicenda e per il fatto che ognuno di loro
aveva trovato una persona su cui contare.
VI
In verità le cose non andarono esattamente così … Questo è il finale che ogni lettore desidererebbe, ma, in realtà, Matt e Susan non incontrarono più la “dama bianca”
dopo la sera del ballo a Frascarolo. Rimane però il fatto che s’innamorarono perdutamente e che si augurarono che anche Clarissa potesse trovare un giorno la serenità
perduta.
Federica Annoni, Giulia Dominioni, Denys Guante, Debora Illini, Giulia Pedersoli, Silvia Pieroni o Vignoli (Classe II BS)
Perché le betulle hanno il tronco chiaro
C’era una volta in un bosco una piccola betulla. Dovete sapere che, ai tempi dei tempi, il tronco di quest’albero era marrone come la maggior
parte di quelli delle altre piante. La povera betulla si sentiva enormemente a disagio perché era più magrolina della quercia, del pino, del
faggio e del castagno, che si divertivano a prenderla in giro solo perché loro erano belli, grossi e robusti. Vicino a loro provava un senso
d’inferiorità grandissima, ma, per evitare di essere derisa ancora di più, faceva di tutto per non
piangere.
Una notte d’autunno un vento fortissimo si abbatté sul bosco: tutti gli animaletti cercarono riparo nei luoghi più sicuri, mentre i poveri
alberi furono costretti a rimanere nelle loro postazioni e a fissare per bene le radici nel terreno per non essere sradicati. Anche la fragile
betulla tenne duro più che poté. Finalmente il vento cessò, si mise a piovere e gli abitanti del bosco, sfiniti, caddero in un sonno
profondo.
La mattina seguente, svegliandosi, rimasero afflitti nel vedere in che condizioni era ridotta la foresta. A una volpe, in cerca di qualcosa da
mettere sotto i denti, capitò però un fatto singolare: restò a bocca aperta davanti ad un albero ancora addormentato, guardandolo come
se fosse una cosa mai vista prima. In effetti la forma le ricordava un preciso tipo di pianta, ma era praticamente impossibile che fosse
proprio quella che pensava a causa del colore del tronco. Sempre più dubbiosa, decise di domandarglielo appena l’albero si fosse svegliato.
Improvvisamente quest’ultimo aprì gli occhi e, vedendosi davanti la volpe che lo fissava insistentemente, si mise ad urlare: “Cosa
succede?”
L’animale gli disse chiaro e tondo che voleva sapere che tipo di pianta era.
“Che cosa sono? Ma che stai dicendo? Sono una betulla! Non ne hai mai vista una prima d’ora?” “Certo che ne ho viste di betulle!” ribatté la
volpe “Solo che tu non lo sembri affatto!”
A quelle parole l’albero si specchiò nella pozzanghera che si era formata al suo fianco: il suo tronco era diventato quasi tutto bianco!
“Maaah… cosa mi è successo?!” disse scoppiando in lacrime.
Un gufo, che la notte prima aveva osservato tutto, svegliato dai lamenti della betulla spiegò cos’era accaduto: “Durante la tempesta di
stanotte la tua corteccia se l’è portata via il vento!” E se ne tornò nel suo nido a riposare.
Queste parole, lungi dal consolare la betulla, ne accentuarono la disperazione, tanto che la volpe, pur non avendo un cuore tenero, provò
pena e decise di rimanere lì a confortarla. Le disse che così era diventata l’albero più particolare del bosco e che nessuno l’avrebbe mai
scambiata per qualche altra pianta. Tali considerazioni fecero piacere alla betulla, anche se non le condivideva in pieno.
In quel mentre anche altri animali, che stavano passando nei paraggi, notarono la sua diversità, senza però valutarla negativamente;
ritennero anzi che, spiccando fra gli altri alberi, fosse un punto di riferimento ideale per ritrovarsi e attribuire a ciascuno un compito
specifico per riportare ordine nel bosco dopo i danni causati dalla tempesta.
Tutti gli abitanti della foresta si riunirono sotto la bianca betulla, che in quel momento si sentì importantissima. Le ritornarono in mente le
parole che la volpe le aveva detto e capì che aveva ragione. Gli altri alberi, alla luce di quanto stava accadendo, smisero di prenderla in giro.
Da quel giorno tutte le betulle nascono con la corteccia bianca e, quando d’autunno perdono le foglie, lo fanno in ricordo delle lacrime che
quel gracile alberello aveva versato.
Clementina Pintabona (Classe I BL)
STEVE E LA RAGAZZA SCOIATTOLO
C’era una volta un ragazzo orfano di padre e di madre che aveva pochi denari, ma sapeva svolgere bene il lavoro di falegname tramandatogli da suo
padre. Un giorno trovò una cascina disabitata al limite di una maestosa foresta. Non ci viveva nessuno, perché si diceva che i boschi appartenessero a
delle piccole creature chiamate omini verdi, personaggi molto misteriosi, protettori della natura e pronti a punire chiunque non la rispettasse. Steve,
però, non dava peso a queste dicerie e, contento, si mise a sistemare la cascina e a lavorare sodo. Trascorsero molti giorni finalmente sereni per il
giovane, che aveva trovato un posto che sembrava averlo accolto a braccia aperte con la dolce melodia delle foglie variopinte del bosco autunnale. Ogni
giorno i raggi del sole filtravano attraverso il fogliame, illuminandogli la giornata; la foresta gli forniva cibo, acqua e legname; le stelle illuminavano le
notti più buie e il richiamo degli uccelli notturni gli teneva compagnia nelle sere solitarie.
Una notte scoppiò una forte tempesta, che sembrò squarciare il cielo e scuotere la terra. Steve, non riuscendo a prendere sonno, pensò ai dolci suoni
del bosco che gli infondevano tranquillità. All’improvviso un grido di aiuto lo riscosse. Senza pensarci due volte, prese la sua ascia fornita di una lama
così affilata che ci si rifletteva la splendente e tremante luce dei lampi e s’incamminò verso la direzione da cui proveniva la voce, finché nella foresta
buia, tra un bagliore e l’altro, scorse una sagoma schiacciata da un’enorme quercia. Subito si mise al lavoro con la sua ascia; dando colpi fortissimi, riuscì
a togliere un grande ramo e si accorse che la strana figura era nientemeno che un omino verde, che se ne stava lì immobile, ferito dal grande albero.
Steve, che era un ragazzo di buon cuore, decise di aiutarlo, ma, sapendo che gli abitanti del villaggio non avrebbero gradito la presenza della bizzarra
creatura, se lo caricò sulle spalle e s’incamminò verso il cuore della foresta, dove nessuno osava addentrarsi, deciso a riportarlo dalla sua gente. Dopo
tanto vagare finalmente arrivò a una radura popolata dagli omini verdi. Sollevato, appoggiò delicatamente a terra il suo nuovo amico e si voltò per
tornare indietro, ma una voce lo fermò dicendo: “Steve, noi ti osserviamo da molto tempo: sei rispettoso della natura e questa notte hai dato prova di
coraggio e altruismo, quindi io, che sono il re di questo popolo, ti voglio ricompensare. Dimmi cosa desideri e io ti accontenterò.”
Il giovane, dopo averci pensato un attimo, rispose: “Vorrei una sposa che condividesse con me l’amore per questa stupenda e immensa foresta!”
Steve, infatti, si sentiva solo in quella grande casa circondata solo da alberi e radure. L’omino verde gli diede uno splendido anello dorato e gli disse:
“Prendi quest’anello d’oro e infilalo nella zampetta sinistra della prima scoiattolina che incontrerai. All’arrivo della stagione degli amori avrai la sposa
perfetta, una donna scoiattolo, che ti svelerà tutti i segreti del bosco. Ora vai e non voltarti indietro!”
Il ragazzo tornò a casa e nel letto ripensò alle parole del re, finché il sonno non lo colse. Il giorno dopo s’inoltrò nella foresta alla ricerca di una
scoiattolina e la trovò. Se ne stava in equilibrio su un ramo di una bellissima quercia, aveva il manto rossiccio e una stupenda coda sfumata di marrone
scuro; le infilò subito il piccolo cerchio dorato nella zampetta, poi tornò alle sue solite occupazioni.
Passarono i giorni e finalmente il freddo inverno lasciò il posto alla ridente primavera. Dopo una faticosa mattinata di lavoro Steve, come era solito
fare, si recò al torrente che scorreva vicino alla sua casa per bere un sorso della sua fresca acqua e lì scorse una snella e graziosa fanciulla dai lunghi e
folti capelli castani. La ragazza si alzò di scatto e lo guardò con occhi vigili e irrequieti, come avrebbe fatto un animale del bosco: portava un bracciale
d’oro, simile a un grande anello. Il giovane si ricordò allora della promessa fattagli dall’omino verde. Prese la piccola mano della fanciulla, la guardò con
dolcezza e la portò a casa sua, sapendo già di amarla. Lei non si ribellò e gli disse: “Che bella casa! Non ne avevo mai vista una prima d’ora!”
Steve continuava a guardarla, perché non voleva lasciarsi scappare nessun dettaglio del suo splendido corpo e dei suoi vellutati movimenti. Lei
incuriosita gli chiese: “C’è qualcosa che non va?”
Il ragazzo le rispose con voce soave e dolce: “No, tranquilla, è solo che sei davvero bella!”
La fanciulla, a cui nessuno prima d’allora aveva mai detto nulla di simile, lo ringraziò per la sua gentilezza.
Steve le raccontò del suo incontro con gli omini verdi, del perché lei portasse quel bracciale e le disse che l’amava già davvero molto. Diana, così si
chiamava la ragazza, nei giorni seguenti gli svelò tutti i segreti del bosco: dove trovare il miele più dolce e le more più saporite, quali alberi tagliare per
fabbricare oggetti di legno raffinati e solidi e, ovviamente, dove gli scoiattoli nascondevano le nocciole.
Da quel momento Steve ebbe una vita piena di prosperità grazie al generoso bosco e ricca di amore per la sua sposina. Questa diede alla luce dei
bellissimi bambini, che con le loro risa riempirono la foresta di allegria.
Il giovane tornò dagli omini verdi per ringraziarli della splendida vita che gli avevano donato; anche loro gli furono grati per la gioia che con la sua
famiglia aveva portato nel bosco.
Elisa Aliverti, Giada Pedroni, Alessandra Pelozzi, Leonardo Tosi (Classe II CS)
Topo Lino e l’aglio salvifico
Tanto tempo fa, quando ancora gli uomini non esistevano, gli animali abitavano indisturbati i fitti boschi di Velate.
Un giorno un cervo e il suo amico leprotto furono attratti da un rigoglioso cespuglio che cresceva nei pressi di una piccola cavità naturale: era
caratterizzato da minuscole, ma appariscenti bacche di colore rosso fuoco. I due decisero di assaggiare quelli che sembravano essere invitanti frutti e,
poiché erano deliziosi, continuarono a gustarli fino a quando non furono sazi. Dopo un po’ di tempo, però, iniziarono ad assumere un aspetto alquanto
strano: il loro manto si scurì sempre di più e i loro canini si allungarono verso il mento. Si erano trasformati in vampiri! Affamati e attratti dal sapore
del sangue dei loro parenti e amici, cominciarono a morderli con una violenza inaudita. Nessuno riusciva a liberarsi dalle loro grinfie; tutti pian piano,
come contagiati da un male oscuro, diventavano simili a loro.
Il topo Lino, fuggendo disperato, si rifugiò in lacrime proprio all’interno di quella cavità. Improvvisamente sentì degli strani rumori provenienti dal
terreno e, appoggiandosi alla parete, vide aprirsi davanti ai suoi occhi un mondo sotterraneo. Notò dei folletti, che gli chiesero il motivo per il quale
stesse piangendo; Lino raccontò loro l’accaduto. Essi allora decisero di trovare una soluzione per aiutarlo e a tale scopo consultarono il “Libro dei Filtri
Magici”, in cui trovarono la ricetta utile per annientare i vampiri: un antidoto a base d’aglio orsino. A quel tempo, infatti, nessuno era a conoscenza delle
proprietà di tale pianta. Dio l’aveva creata per sconfiggere gli assetati di sangue, che portavano rovina e scompiglio ovunque mettessero piede. La
situazione era resa più grave dal fatto che lasciavano tracce di sangue, che non era come quello degli altri animali, ma freddo, se non gelido. Dovunque
ne cadeva anche una minuscola goccia, tutto si congelava in un batter d’occhio.
I folletti, per maggior sicurezza, ritennero opportuno consultare il Grande Troll, esperto dei misteri della natura. Egli si dimostrò fin da subito molto
disponibile nei confronti dell’innocuo topo, che desiderava solamente tornare a casa, ma nella sua casetta di una volta, non in un gelido bosco in cui non si
udiva più il canto degli uccelli, non si avvertiva più il profumo delle cortecce bagnate dalla pioggia, non si sentiva più il martellare dei picchi… Il Grande
Troll si affrettò a mostrare com’era possibile utilizzare l’aglio come arma contro quelle orribili creature dai denti aguzzi. Spiegò che i vampiri per
mordere piegano il busto in modo tale da protendere il petto verso il corpo della povera vittima, ma proprio quel movimento può risultare loro fatale: se
una foglia di aglio orsino viene a contatto con il cuore del mostro, essa sprigiona una tale luce da disintegrarlo.
Immediatamente Lino, dopo aver ringraziato calorosamente quei nuovi amici, corse in aiuto del suo “mondo” con le fatali foglie ben strette in una
zampina.
Uno stormo di corvi neri come la pece si alzò in volo e tutto era coperto da una nebbia fittissima, tale da poterla tagliare con un coltello. Il cielo si
faceva sempre più scuro e nuvole di un grigiastro a dir poco inquietante avanzavano minacciose... Erano arrivati, erano loro: i vampiri! Si diressero verso
di lui con tre grandi mantelli neri. Quello al centro era probabilmente il più piccolino, a cui era stato cavato un occhio: forse gliel’aveva divorato il
fratello maggiore! Il mostro che stava alla sua destra possedeva dei denti da far paura, che gli arrivavano fino allo stomaco ed erano sporchi di sangue
putrefatto. Chissà quanto ne aveva nel suo cuore! Ce n’era poi un terzo, del quale però non si vedeva il volto. Indossava un cappuccio cucito con delle
toppe e teneva la testa bassa come se, da un momento all’altro, dovesse trasformarsi in una creatura ancora più ripugnante. L’eroico topo era dinanzi a
loro, completamente immobile. Il terrore l’aveva quasi paralizzato, ma ben presto sentì risuonare nella mente i consigli del Grande Troll. Si nascose di
nuovo nella cavità e, una volta sicuro di essere seguito dai tre, fece finta di essere morto. I vampiri non volevano certo rinunciare a quel banchetto
prelibato offerto loro su un piatto d’argento, ma, appena si avvicinarono, Lino conficcò velocemente una delle foglie nel petto del vampiro senza volto.
Questo cadde a terra come se una freccia l’avesse trafitto e il suo corpo divenne polvere; accadde così anche agli altri due mostri, a tutti gli altri
vampiri e alla pianta dalle bacche malefiche.
Magicamente nel cielo le nuvole lasciarono spazio a uno splendido sole, che in breve sciolse le lastre gelate che imprigionavano gli animali del bosco non
ancora contagiati. Il topo, seguendo un altro consiglio che gli aveva dato il Grande Troll, raccolse la polvere del corpo dei tre vampiri e la sparse su ogni
abitante; tutti pian piano ripresero vita ed elogiarono il suo grande coraggio. La pace tornò a regnare sovrana. Si udì di nuovo, al posto del gracchiare
dei corvi, il melodioso canto degli uccelli.
Anche ai giorni nostri l’aglio orsino cresce in abbondanza nei dintorni di Velate, lungo il torrente Vellone.
Gaia Colombo, Giada Minacapilli, Valentina Patella, Clementina Pintabona, Giorgia Prevosti e Margherita Zucchi (Cl. I BL)
Un tradimento fatale
Correvano gli anni dello splendore romano, epoca di meraviglie, di arte, ma anche di guerre, corruzione e
tradimenti. Benché a Roma molti non si curassero della minaccia incombente, i barbari premevano ai confini
del territorio imperiale, nel quale intendevano espandersi.
Ai piedi del Sacro Monte, dove oggi sorge il borgo di Velate, crescevano boschi rigogliosi, intervallati da
verdi radure. Ogni sera, al tramonto, come per magia il paesaggio si tingeva di un colore capace di riscaldare
anche i cuori più freddi. Tutto era perfetto, come fatato, ma i barbari erano vicini. L'unica speranza di
salvezza erano le torrette di avvistamento che sorgevano in cima al monte San Francesco e sulle alture
vicine. Sarebbe stato un sistema di difesa infallibile, se la sentinella della prima torre non avesse tradito i
compagni. Costei, spaventata dall'idea di una morte precoce, accettò in una malinconica notte di ottobre la
proposta fattagli dal comandante dell'esercito barbaro: "Ascolta, soldato: ti propongo un patto difficile da
rifiutare anche per i più forti di cuore. Se accetti di non segnalare il nostro arrivo, avrai salva la vita,
altrimenti assaggerai la mia spada!"
A causa dell'illusione di un solo uomo di vivere più a lungo (fu poi ucciso senza pietà), l'intera zona venne
conquistata dai nemici.
Ogni uomo è artefice del proprio destino, ma non dovrebbe mai compromettere quello altrui.
Erica Biotti, Camilla Fiorina e Francesca Ribolzi (Classe I BL)
Schede scientifiche
Il frassino
Il pungitopo
La melissa
La primula
L’abete rosso
L’acetosella
L’aglio orsino
L’elleboro
L’ontano
Il frassino
Nome comune: Frassino
Specie: Fraxinus excelsior L.
Famiglia: Oleaceae
Ordine: Scrophulariales
Descrizione: è un albero alto dai 15 ai 40 m, con chioma allungata, globosa, a forma di
cupola. La fitta chioma ha dato il nome all’albero, dal greco "frasso" (chiudo, assiepo). Il
tronco è dritto e slanciato spesso fino alla cima. La corteccia, che è grigio-verdastra, liscia
con qualche solco sottile nelle piante giovani, diventa sempre più rugosa e fessurata con
l’età. Alcuni rami sono rivolti verso l’alto, altri sono ricadenti. Essi sono piuttosto radi e
conferiscono alla chioma una forma arrotondata. Nei rami giovani, lisci e privi di peluria, vi
sono grosse gemme nere e opache. Il frassino raggiunge l’età riproduttiva a circa 25 anni,
cresce abbastanza rapidamente, ad eccezione dei primi anni, e può superare i 150 anni di
vita.
Foglie: sono caduche, imparipennate, ossia composte da 3–7 paia di foglioline lanceolate e
da una fogliolina apicale, di colore verde chiaro, con margine seghettato, pelose sulla pagina
inferiore. In autunno assumono una colorazione giallo-bruna.
Fiori: sono unisessuali, portati da differenti esemplari o ermafroditi. I fiori maschili sono
formati da due stami con antere porporine. I fiori femminili sono di un colore sfumato dal
porpora al verde; si tratta di fiori poco appariscenti, privi di calice e corolla, riuniti in brevi
infiorescenze a racemo sui rami dell’anno precedente. Sbocciano tra marzo e aprile e
precedono la comparsa delle foglie.
Frutti: i frutti sono delle samare ovali-oblunghe peduncolate, con un unico seme e un’ala
lanceolata lunga da 2 a 5cm; sono riuniti in gruppi e restano appesi ai rami per tutto
l’inverno. Sono di colore verde in primavera e giallo-marrone in autunno.
Foglie e frutti di frassino
Frutti di frassino
Origine: l'albero è originario dell’Europa e dell’Asia.
IL PUNGITOPO
Il pungitopo (nome scientifico Ruscus aculeatus) è un arbusto spinoso che raramente supera il metro di altezza. Allo stato
spontaneo è diffuso nelle regioni mediterranee, solitamente nei boschi di leccio. Le vere foglie sono poco appariscenti, ma alla
loro ascella spuntano “cladodi” (false foglie) rigidi e carnosi, che assomigliano a foglie e ne svolgono la funzione; misurano da 1
a 4 cm di lunghezza e terminano con una punta spinosa. Il pungitopo è una pianta sempreverde, rustica e perenne. I fiori,
piccoli e poco visibili, sono di colore giallo chiaro; producono piccole bacche rosse che danno alla pianta un aspetto molto
decorativo. All’inizio dell’autunno l’arbusto si copre di frutti che persisteranno fino alla primavera successiva. I frutti si
sviluppano alla base dei cladodi. Il pungitopo, per il suo piacevole aspetto, è adatto per formare cespugli destinati a rallegrare
qualche angolo del giardino oppure come bordura lungo un recinto.
Consigli e curiosità
Nella provincia di Varese, in Valcuvia, è vietata la raccolta di piante e parti di pianta di pungitopo. I fiori del pungitopo sono
piccoli e riuniti in infiorescenze; ogni infiorescenza o germoglio porta più di sei fiori. Ecco spiegato il motivo per cui non si può
raccogliere nemmeno un germoglio.
Molto note sono le proprietà terapeutiche che prevedono l’utilizzo di diverse parti della pianta. Il decotto di pungitopo, ad
esempio, è un ottimo diuretico ed è usato anche per combattere emorroidi e flebiti, mentre l’estratto secco si utilizza per
l’igiene intima e per lenire i pruriti dovuti ad infiammazione. In alcune zone d’Italia, poi, i germogli del pungitopo vengono usati
persino in cucina e trattati alla stregua degli asparagi, da lessare e condire o da utilizzare per farcire minestre e frittate.
Ingredienti per la frittata di germogli di pungitopo (dosi per 4 persone):
•un mazzetto di germogli di pungitopo
•5 uova
•2 cucchiai di latte
•1 cucchiaio di farina
•1 spicchio di aglio
•sale
•pepe
•olio di oliva
Preparazione
1) Tagliate i germogli di pungitopo in pezzetti di qualche centimetro, poi sbollentateli in acqua salata per un paio di minuti. Scolateli e
insaporiteli in padella con lo spicchio di aglio e un paio di cucchiai di olio di oliva.
2) Sbattete le uova, poi salate e pepate. Unite la farina e il latte e amalgamate. Versate il composto nella padella dove avete cotto i
germogli dopo aver eliminato lo spicchio di aglio. Fate dorare la frittata da entrambi i lati e servitela in tavola tiepida
Al di là dell’utilizzo officinale e culinario, il pungitopo è considerato soprattutto un simbolo di augurio, specie nel periodo natalizio, quando
viene venduto come fiore reciso (il più delle volte a prezzi esagerati). Ed è proprio per questo motivo che in alcune zone d’Italia si è
pensato bene di vietarne la raccolta, inserendolo tra le specie protette. Il nome fa riferimento al fatto che anticamente veniva messo
attorno alle provviste per salvaguardarle dai topi. Con l’espressione “pungitopo maggiore” si intende comunemente l’agrifoglio.
Classe II BS
LA MELISSA
La Melissa è una pianta erbacea spontanea, perenne e rustica, molto
ricercata dalle api ed è appunto per questo motivo che prende il nome dal
greco mélissa. La Melissa è conosciuta anche con i nomi di Citronella,
Cedronella ed Erba Limona per il gradevole profumo di limone che emana
quando è fresca, profumo che perde con l'essiccazione.
Consigli e curiosità
La pianta di melissa è tradizionalmente impiegata per le sue proprietà nel trattamento sintomatico degli
stati neurotonici degli adulti e dei bambini, in particolare nelle turbe minori del sonno, e nei disturbi della
sfera digestiva. La sua azione tranquillizzante, confermata da moderni studi, può essere utilizzata anche
durante le diete dimagranti, specie nei soggetti a tendenza bulimica, originata da turbe nervose, e in quelle
forme di ansia con somatizzazione a livello gastrico, come gastriti nervose. La melissa riduce, infatti, la
produzione di succo gastrico, mentre aumenta la secrezione di mucina, che ha una funzione protettiva nei
confronti della mucosa gastrica. È inoltre un valido aiuto contro dispepsia, nausea, flatulenza, vomito
gravidico per le sue proprietà eupeptiche (favorisce la digestione), aromatiche, stomachiche, spasmolitiche e
carminative (elimina i gas intestinali) e anche perché favorisce la produzione della bile da parte del fegato.
L’olio essenziale ottenuto dalle foglie ha pure proprietà antinfiammatorie e antibatteriche.
L’uso deve, comunque, essere prescritto da un medico o da un valido erborista.
Classe II BS
LA PRIMULA
La primula comune (nome scientifico Primula
vulgaris) è una pianta della famiglia delle
Primulacee, che fiorisce agli inizi della
primavera. Il nome del genere “Primula” deriva
da un’antica locuzione italiana che significa fior
di primavera. All'inizio del Rinascimento questo
termine indicava indifferentemente qualsiasi
fiore che sbocciasse appena finito l'inverno,
solo successivamente il significato del vocabolo
divenne quello attuale.
Consigli e curiosità
Farmacia
Sostanze presenti: vari oli essenziali insieme a flavonoidi, carotenoidi e saponina. Le radici contengono
zuccheri.
Proprietà curative: antispasmodiche (attenua gli spasmi muscolari e rilassa anche il sistema nervoso),
calmanti (agisce sul sistema nervoso, diminuendo l'irritabilità e favorendo il sonno), diuretiche (facilita il
rilascio dell'urina), lassative (ha proprietà purgative), pettorali e sudorifere (agevola la traspirazione e
favorisce la sudorazione). Nel passato veniva usata più largamente contro l'emicrania e i reumatismi; un uso
indiscriminato, però, può causare irritazioni cutanee.
Parti usate: fiori, foglie e rizoma.
Cucina
Le foglie (ma anche i fiori) trattate come il tè possono essere usate per bevande, mentre da giovani (prima
della fioritura) si mangiano in insalata o lessate come gli spinaci o in minestra con altre verdure. In alcune
zone con i fiori si usa fare della marmellata, mentre il rizoma può servire per aromatizzare la birra.
Classe II BS
L’ABETE ROSSO
L’abete rosso (nome scientifico Picea excelsa), appartenente al
gruppo delle conifere, è presente sulle Alpi e in gran parte
dell’Europa. Sempreverde e longevo, può raggiungere i 50 m di
altezza e i 2 m di diametro. Il tronco di forma colonnare
presenta una vasta chioma conica; la corteccia è sottile e di
colore rossastro e con l’età tende ad ingiallirsi e a diventare
grigiastra. Le foglie, aghiformi e lunghe da 1 a 3 cm, sono di un
particolare verde scuro. L’abete è munito di pigne (strobili)
pendenti, che raggiungono la lunghezza di circa 20 cm.
È una pianta rustica e il suo legno ha una grande varietà di
impieghi; per le ottime proprietà di amplificazione viene usato in
particolare nella costruzione di strumenti musicali.
Classe II CS
L’ACETOSELLA
Consigli e curiosità
L’acetosella dei boschi (nome scientifico oxalis acetosella) è una
piccola pianta alta fino a 12 cm, appartenente alla famiglia delle
Oxalidacee.
È una pianta geofita rizomatosa, leggermente pelosa, erbacea,
perenne o biennale, acaule, le cui foglie e fiori sono inseriti
direttamente su un rizoma strisciante. La pianta in sé è esile e per
proteggersi durante la pioggia (o un forte vento) tende a ripiegarsi su
se stessa. Come altre piante primaverili, anche la nostra fiorisce
precocemente prima che gli alberi sovrastanti emettano le foglie,
togliendole così eccessivamente la luce del sole.
È usata in erboristeria come depurativo, diuretico, rinfrescante, facendone un decotto di 20 g di foglie fresche in 1
l d'acqua e bevendone al massimo due tazze al giorno. Le foglie, se masticate, disinfettano i denti e il cavo orale.
Similmente all'acetosa è considerata un buon rimedio per dermatosi e ascessi (applicando le foglie del decotto
precedentemente descritto) e ha pure funzione decongestionante e febbrifuga. Il decotto della radice (20 g in 1 l
d'acqua) rende più elastica la pelle, se se ne bevono due tazze al giorno. La pianta viene utilizzata fresca, poiché,
essiccandola, perde molte delle sue proprietà. I suoi principi attivi sono gli ossalati e gli antrachinoni. Essa contiene
tra l'altro acido ascorbico (vitamina C).
Nel Medioevo si usava come condimento. Al pari dell'acetosa arricchisce di sapore verdure e minestre. Dalle foglie si
può ricavare una bevanda dissetante (quasi una limonata). Le radici possono essere usate come gli asparagi.
Attualmente nell'America del Sud (Perù) si possono trovare nei mercati diversi tuberi di alcune specie di questo
genere (Oxalis crenata, chiamata anche Oxalis tuberosa). I tuberi devono, però, rimanere esposti al sole per diversi
giorni, perché lo sgradevole sapore acido si trasformi in un sapore più gradevole, quasi dolce.
In tutti i casi si deve usare questa pianta con parsimonia in quanto, contiene il velenoso acido ossalico (legato in
forma salina al potassio), che può provocare danni ai reni e anche la morte. È da evitarsi per chi soffre di gotta,
artriti, litiasi.
Quando sta per scoppiare un temporale, le foglie dell'acetosella si rialzano, preannunciando al contadino l'arrivo della
pioggia.
Classe II BS
L’AGLIO ORSINO
L’aglio orsino è una pianta bulbosa, erbacea, perenne, eretta, non molto alta, con fiori bianchi e foglie larghe,
delicate e setose, dall’odore pungente di aglio. Appartiene alla famiglia delle Liliacee, come il tulipano, il
giglio, il mughetto. La si può trovare nei nostri boschi, a volte in popolamenti massivi e fitti.
Consigli e curiosità
La denominazione Allium (il genere) non è facilmente ricostruibile, dato che l’uso e la coltivazione sono noti
da almeno 3000 anni a.C. Il termine, come lo conosciamo noi, era già in uso presso le popolazioni romane. Si
pensa che l’origine sia celtica (dalla parola "all" per caldo, acre, come si presenta l’aglio appena degustato).
Anche i Greci, però, conoscevano questa pianta "bruciante" a causa del suo forte odore (con "allis"
chiamavano probabilmente la foglia larga e a forma di spada che copre l’infiorescenza). Il nome della specie
“ursinum” deriva quasi sicuramente dagli orsi che abitavano i nostri boschi e in primavera, al risveglio dal
letargo, si cibavano di questa pianta per depurare l’organismo dopo il lungo sonno invernale. Queste verdi
foglioline erano una carica di vitamina C dopo il letargo.
L’aglio orsino è commestibile dalla testa ai piedi, ma se ne consumano solo le foglie. Durante la raccolta è
bene fare attenzione a non scambiarlo con la piantina velenosa del mughetto. Ci si accorge della differenza
sfregando le foglie tra le dita: quelle di aglio orsino profumano d’aglio. Questa erbetta aromatica, così vicina
al terreno, può talvolta nascondere tra le sue foglie le uova di un parassita simile alla tenia. È consigliabile
raccogliere prima della fioritura solo una o due foglie da una piantina singola, così da permetterle di
rigenerarsi. In frigo, nel cassetto delle verdure o avvolto in carta da cucina umida, si conserva una
settimana. Lo si può anche congelare, ma il miglior metodo di conservazione consiste nel trasformarlo in
pesto. Gli spätzli all’aglio orsino sono una specialità culinaria primaverile, che tuttavia, se non è accompagnata
da una salsa dello stesso ingrediente o da aglio orsino fresco, non ha un gusto molto specifico. Crudo lo si usa
come l’erba cipollina, sua parente, e allora sì che il suo aroma si fa sentire. In piatti caldi, come risotti,
paste, minestre e salse, è meglio aggiungerlo solo alla fine. È importante come lo si taglia, visto che il gusto
si concentra nel succo che fuoriesce a ogni taglio.
Burro all’aglio orsino. Dosi per 2 porzioni di ca. 1 00 g
40 g di aglio orsino
1 limone
2 cucchiai di yogurt naturale
200 g di burro morbido
1 cucchiaino di sale
1/2 cucchiaino di zenzero in polvere
1/2 cucchiaino di peperoncino in polvere
1/2 cucchiaino di salsa worcestershire
Tritate l’aglio orsino. Grattugiate finemente la scorza di limone. Frullate la scorza con l’aglio
orsino e lo yogurt. Lavorate il burro a spuma con lo sbattitore elettrico. Unite al burro la
miscela di aglio orsino e mescolate per ca. 10 minuti. Condite con sale, zenzero, peperoncino e
salsa worcestershire. Dividete il burro all’aglio orsino in due parti, avvolgetele nella pellicola
trasparente e formate dei rotoli. Lasciate consolidare in frigo per ca. 1 ora.
SUGGERIMENTI
• Formate delle rosette di burro all’aglio orsino mettendo la massa morbida in una tasca da
pasticciere.
• Il burro all’aglio orsino si sposa con vari piatti, ad es. con carne, frutti di mare e verdure al
forno e alla griglia.
• Ben sigillato, il burro all’aglio orsino si conserva in congelatore per 2-3 mesi.
• Sostituite l’aglio orsino con 4 cucchiai di altre erbe tritate (ad es. prezzemolo e dragoncello).
Classe II BS
L’ELLEBORO
Consigli e curiosità
L’elleboro è fra i primi a fiorire, molto prima dell’arrivo della primavera,
anzi l’Helleborus foetidus già in autunno si prepara e sembra proprio non
farcela ad aspettare il ritorno della bella stagione. Spesso bistrattati dalla
fantasia popolare (in alcune regioni sono chiamati “fiori delle bisce”), anche
a causa della loro velenosità o per l’odore non sempre gradevole, gli ellebori
selvatici hanno conosciuto, dopo essere stati in auge per tutto l’Ottocento,
un progressivo abbandono. La loro rivalutazione è piuttosto recente grazie
all’introduzione di varietà da giardino colorate; spesso sono anche usati dai
fioristi più attenti nella composizione di mazzi per la durevolezza e il colore
tenue, che ben può contrastare con colori più vivi. L’odore sgradevole, che
ha meritato all’elleboro selvatico per eccellenza il nome di “fetido”, si perde
dopo circa 24 ore dalla raccolta.
È usato come pianta ornamentale per decorare giardini spontanei, in vaso per gli appartamenti, per la produzione industriale
del fiore reciso. La coltivazione non presenta molte difficoltà: il luogo prescelto non deve essere eccessivamente soleggiato, il
terreno deve essere fertile, ben drenato, con concimazioni periodiche, preferibilmente organiche. La semina non è complicata,
ma richiede cura e soprattutto tempo. I primi risultati non si vedono prima di tre anni. Risultati più immediati si hanno con la
divisione dei cespi.
È una pianta molto velenosa, perché contiene dei glicosidi, tra i quali l'elleborina, la cui azione danneggia gravemente il muscolo
cardiaco; se ne sconsiglia quindi vivamente l'uso. Altra sostanza tossica presente negli ellebori è lo steroide saponigenina.
L'essiccazione non riduce la tossicità della pianta, per cui il fieno contenente ellebori è velenoso.
Sapore ed odore degli ellebori dovrebbero dissuadere chiunque dall’appetibilità delle piante di questo genere, tuttavia,
soprattutto con i bambini, è bene non abbassare mai la guardia. Sono noti, infatti, casi di avvelenamento per ingestione di semi
di elleboro.
Ha, però, proprietà medicinali:
•la polvere ricavata dalle radici e dai rizomi, raccolti in primavera o in autunno e fatti essiccare rapidamente, ha proprietà
cardiotoniche, narcotiche, emetiche (provoca il vomito) e curative degli edemi;
•l'estratto fluido delle radici e del rizoma dell'Helleborus viridis ha proprietà sedative e irritanti dell'intestino con effetto
purgativo drastico;
•per uso esterno si usa come revulsivo (provoca irritazione locale con formazione di bolle) in alcune malattie della pelle.
Classe II BS
L’ONTANO
Classificazione scientifica
Dominio: Eukaryota
Regno: Plantae
Divisione: Magnoliophyta
Classe: Magnoliopsida
Ordine: Fagales
Famiglia: Betulaceae
Genere: Alnus
Alnus è un genere di piante della famiglia delle Betulacee, che comprende alcune specie comune-mente note
come ontani.
Gli ontani sono alberi generalmente di piccola taglia o cespugli. Si sviluppano sino a 8-10 metri,
eccezionalmente raggiungono i 25-30 metri (35 metri l’Alnus rubra).
Caratteristiche
Le foglie sono semplici, caduche, alterne, a margine dentato. I fiori sono riuniti in amenti a sessi separati
sulla medesima pianta (l'ontano è una pianta monoica). Gli amenti maschili sono allungati, quelli femminili ovali
e più corti. L'impollinazione è per lo più anemofila, raramente entomofila. La fioritura avviene prima della
fogliazione. Le infruttescenze hanno un tipico aspetto legnoso e non si disintegrano a maturità,
caratteristiche che aiutano a differenziare gli ontani dalle betulle (genere Betula), unico altro genere della
famiglia.
Sono dei magnifici colonizzatori e per questo spesso vengono utilizzati per bonificare i terreni poveri, umidi,
malsani; infatti attraverso le loro radici fissano l'azoto al terreno, svolgendo appunto la azotofissazione. Il
legno è molto resistente all'acqua (Venezia è tutta costruita su fondazioni di pali di ontano prelevati da
boschi croati).
Ecologia
L’ontano nero è un tipico albero che si accompagna ai corsi d’acqua e, in genere, ai luoghi fangosi; forse per
questo motivo molti autori ritengono che il termine latino Alnus derivi dal celtico “al lan”, che significa “stare
presso le rive”.
Molti ontani stabiliscono simbiosi radicali con attinobatteri azotofissatori della specie Frankiella alni, che
portano alla formazione di tipiche radici laterali chiamate actinorrize. Questo rapporto consente di rendere
disponibile l'azoto atmosferico, che viene trasformato in ammine utilizzabili dalle piante.
Usi
La rapidità di crescita degli ontani e la loro resistenza a condizioni sfavorevoli ne hanno fatto apprezzare
l'uso come essenze nella bioremediation (es. recuperi di cave, siti minerari, aree incendiate).
In arboricoltura da legno, grazie alla già citata azotofissazione, sono utilizzati come specie accessoria per
facilitare l'accrescimento delle altre specie "nobili" (principali) presenti nell'impianto.
Possono avere una valenza ornamentale come piante da giardino o bonsai.
Il legno di ontano è una delle essenze più utilizzate nella liuteria elettrica per la produzione di corpi per
chitarre. Viene anche impiegato come legno per matite.
Classe II BL
Traduzioni
Itinerary 17 – 18 – 19 – 20
Itinéraire 17 – 18 – 19 - 20
Itinerary 17: The Castle of Frascarolo (Induno Olona) – Pass of the Bishop – Valganna
The history
The Castle of Frascarolo, now private property, is at Induno Olona in a privileged and strategic position at
the foot of Mt Monarco at the intersection of Valceresio with Valganna along the road from Varese in the
direction of Switzerland.
Originally a fortress, it was probably built between the 10th and 11th centuries (the first certain news
traces back to the battle of 1160 in which the soldiers of the archbishop of Milan defeated the people of
Como and Milan allied with Barbarossa); after some events it fell into Swiss hands and it was then bought
in 1543 by the Medici family of Marignano. It is thanks to Gian Angelo Medici, the future pope Pio IV, and
to his brother Gian Giacomo, the famous leader called Medeghino, the architectural and pictorial conversion
of the building into a manor; tradition has it that the latter’s sister gave birth to St Carlo Borromeo just in
this place. The building was still further restructured in the 18th century and at the beginning of the 20th
century: with regard to the ancient castle there is only a big medieval tower left.
In the Roman period a very ancient road, which had been built to let legions, merchants and passers-by
pass, wound between Induno and Valganna through the Pass of the Bishop. It is so called because it drew
the boundary line between the diocese of Como and the Dukedom of Milan, controlled by soldiers who also
collected a transit toll to permit the transit. The small votive chapel, beside which there was a small statue
by Giano Bifronte till the Second World War, was probably built on the place of a refuge for these
soldiers. Along the way down in Valganna it is very interesting to look at the “thieves’stone”, a very big rock
with an unusual shape that let highwaymen lurk unseen to rob the unfortunate passers-by also taking
advantage of the fact that uphill the wheels of the carts from Valganna found the obstacle of the stones
scattered on the way. It is told that in the evening of 15 December 1577 St C. Borromeo, while he was
coming back from Switzerland through Valganna, crossed the Pass of the Bishop to go down and spend the
night in the Castle of Frascarolo, where he had stayed above all as a boy.
The walking tour
After getting to Induno Olona by public or private means of transport, you have to walk along the uphill
vehicular road (with a fine view as far as Mt Generoso), which leaves from the Hotel Villa Castiglioni and
that leads to the castle of Frascarolo in few minutes (there is also a small open space near the castle where
you can leave your car). Going beyond it and walking along the house on the right, where the very famous
cyclist Luigi Ganna was born, always in this direction take the path 3V; keep going to Mt Monarco without
turning off at the crossroads. After an hour of easy walk you can reach the Pass of the Bishop (m620). In
that place there is an area with benches and tables to stop over. From here you can go down to Valganna in
forty minutes, arriving down in the valley near the holiday farm St Gemolo. Walking along the easy path
that runs parallel to the main road, you can get quickly to the spring of St Gemolo and to Ganna to use the
public transport to come back to Induno.
The walk, which belongs to the so called “path of Giubileo”, winds in an area next to the Park of Campo dei
Fiori (Field of Flowers) and in its territory that is a really interesting area not only from a historical and
artistic point of view, as told before, but also from a naturalistic and geologic point of view. The thick
woods of chestnut and beech trees (the latter grows in Valganna even at a relatively low altitude) were
essential in the past to support people. They have a thick undergrowth and they are inhabited by the typical
bird population of the Prealpi (foxes, roe deers, wild boars, hedgehogs, badgers, sparrows, black-birds,
great tits…). There are unusual features of Atlantic vegetation in the first part of the way above Induno.
Besides there is the simultaneous presence of volcanic and calcareous formations which are of exceptional
importance: above all on the right side of Valganna you can see calcareous outcrops on the mountains
Monarco, Minisfreddo and Poncione and on the left side the porphyries of Martica. Down in the valley,
where Margorabbia flows, there are also alluvial soils and you can see the characteristic U-shape.
Recommended period of the year for this walk: autumn also because of the wonderful shades of the wood,
or spring. However you can go for this picturesque walk in every season.
Classe II BS
Itinéraire 17: Château de Frascarolo (Induno Olona) – Passo del Vescovo – Valganna
Le château de Frascarolo, actuellement propriété privée, a dans la ville de Induno Olona une position
privilégiée et stratégique dans les contreforts du mont Monarco, à l'intersection de la Valceresio avec la
Valganna, le long de la route qui mène de Varèse en Suisse.
À l’origine il y avait une forteresse, probablement construite entre le Xème et le XIème siècle (les
premières nouvelles sûres datant de la bataille de 1160 dans laquelle les soldats de l’archevêque de Milan
ont vaincu les troupes de Côme et les Milanais alliés de Barbarossa); après plusieurs événements, le château
est tombé dans les mains des Suisses et il a été ensuite acheté en 1543 par la famille Medici de Marignano.
À Gian Angelo Medici, le futur pape Pio IV, et à son frère Gian Giacomo, célèbre capitaine surnommé le
Medeghino, on doit la transformation architecturale et picturale du bâtiment en une villa de maître. Selon la
tradition c’est dans cette villa que serait né Saint Carlo Borromeo de Margherita Medici. La construction a
été ultérieurement remaniée pendant le XVIIIème siècle et au début du XXème: de l’ancien manoir il ne
reste que le grand donjon médiéval. Déjà à l’époque romaine une route très ancienne, construite pour le
passage des légions, des marchands et des passants serpentait entre Induno et la Valganna par le Passo del
Vescovo. Ainsi nommé parce qu'il marquait la frontière entre les diocèses de Côme et Milan, cette dernière
était contrôlée par les soldats qui recueillaient les péages pour le trajet. La petite chapelle votive, dans
laquelle jusqu’à la Deuxième Guerre Mondiale se trouvait une statue de Janus bifrons, est sans doute
construite sur le site d’un abri pour militaires. Le long de la descente en Valganna, il est intéressant
d’observer la «pierre des voleurs», puissant bloc d’une singulière conformation, qui permettait aux brigands
de guetter sans être vus en attendant de dépouiller les malchanceux de passage, en profitant aussi du fait
qu’en montée les roues des charrettes provenant de la Valganna rencontraient un obstacle dans les cailloux
qui jonchaient le chemin. On narre que Saint Carlo Borromeo, le soir du 15 décembre 1577, de retour de la
Suisse et provenant de la Valganna, franchit le Passo del Vescovo pour descendre passer la nuit dans le
château de Frascarolo, où il avait souvent séjourné lorsqu’il était enfant.
Le parcours
Une fois arrivés en voiture ou avec les transports publics à Induno Olona, on doit parcourir le chemin qui
monte avec une belle vue sur le mont Generoso et s'écarte de la Villa Castiglioni; ça ne prend que quelques
minutes pour arriver au château de Frascarolo (un petit emplacement, où laisser la voiture, se trouve aussi
près du manoir). Dépassé ce dernier, en côtoyant sur la droite l’habitation dans laquelle est né le célèbre
cycliste Luigi Ganna, toujours dans la même direction, on s’engage dans le sentier 3V et on poursuit sans
prendre la bifurcation pour le mont Monarco. En une heure environ à pied on arrive au Passo del Vescovo (m.
620). Il faut noter la présence d’un espace avec des bancs et des tables où on peut s’arrêter pour une pause.
De ce lieu on descend pendant environ 40 minutes jusqu’à la Valganna, où on arrive au fond de la vallée près
de l’agritourisme Saint Gemolo. On parcourt le facile sentier parallèle à la route départementale et on peut
arriver très rapidement à la source de Saint Gemolo et puis à Ganna afin d’utiliser les transports publics
pour le retour à Induno.
Le parcours, qui fait partie du sentier appelé «du Jubilé», se déroule dans une zone limitrophe du Parc
Campo dei Fiori et dans le territoire de ce dernier, dans une zone extrêmement intéressante non seulement
sous le profil historique-artistique, comme cité ci-dessus, mais aussi naturaliste et géologique. Les forêts
touffues de châtaigniers et de hêtres (plante cette dernière qui pousse dans la Valganna jusqu’à des
altitudes relativement basses), fondamentales dans le passé pour la subsistance des populations, présentent
un sous-bois riche et sont peuplées par des renards, des chevreuils, des hérissons et par la typique avifaune
préalpine (moineaux, merles, charbonnières…). La présence d’éléments typiques de la végétation atlantique
est singulière dans la première partie du parcours vers Induno. Puis la présence de formations d’origine
volcanique et calcaire est considérable: on peut observer en particulier sur le côté droit de la Valganna des
affleurements calcaires sur les monts Monarco, Minsfreddo et Poncione et, sur le côté gauche, le porphyre
de la Martica. Dans le fond de la vallée où coule le Margorabbia il y a, en outre, des terrains de nature
alluviale et on peut bien déterminer la caractéristique forme à U.
Période de l’an conseillée pour l’excursion: printemps ou automne, surtout pour les tonalités assumées par les
bois. De toute façon le parcours est réalisable et suggestif en toutes les saisons.
Classe II BL
Itinerary 18: The spring and Abbey of St Gemolo (Valganna) – Pass Valicci – Brinzio
The history
The Abbey of St Gemolo in Ganna is one of the most important places of this itinerary from a historical and religious point of view
because it is one of the most significant monastic settlements in the foothills of the Alps. The building is situated on the slopes of Mt
Mondonico, between Valganna and the Valley of Pralugano near the lake of Ganna and it is on the medieval road Regina del Ceneri, a very
important road because it connected Varese to Switzerland through Marchirolo Valley.
The legend tells that towards the year 1000 a bishop was on a journey from the north to Rome; at nightfall he decided to stop and rest in
some fields of Marchirolo Valley. He found out that there were thieves in that area, so he wanted to reinforce the protection of the
camp and he gave this task to his nephew Gemolo; but during the night, the scoundrels were able to steal the bishop’s possessions. Gemolo
pursued them with his friend Imerio and when he reached them he begged them in God’s name to return the properties to their owner.
However in a fit of rage one of the thieves beheaded him with a sword; just in the place where his head fell, water began to flow from
the spring that still today has the stones red with blood according to the legend. Later Imerio was found dead in front of the church of
St Michael in Varese. On the contrary, Gemolo succeeded in getting back to his feet and in riding to the camp, bringing along his own
head; the horse stopped then on the slopes of Mondonico and here the bishop decided to bury his nephew considering the event as a
divine sign.
A chapel named after St Michael was built in this place and later it was dedicated to St Gemolo. Over the years the chapel was
incorporated into the new Romanesque church; it became a Benedectine monastery and in the 12th century it changed into the Cluniac
Order and became an abbey.
Now the Abbey consists of some buildings: the church in the Lombard style consacrated in 1160 by the bishop of Milan, the Romanesque
bell tower of porphyry, the pentagonal shaped cloister with two floors, the guest quarters and the cloister dwellings.
Inside the church there are the well preserved sacred frescoes and the Saint’s relics under the altar that deserve attention. These
remains were found at the beginning of the 17th century during some restoration works. Cardinal Federigo Borromeo started to inquire
into, to know who they belonged to, but for three hundred years nobody was interested in this question. In 1937 the relics were taken to
the Curia of Milan for further inquiries; cardinal Schuster decided the return of the Saint’s remains to Ganna with a solemn service in
1941.
In the rooms on the second floor of the cloister there is the museum of the Abbey founded in 1962. In the first room there are
portraits by the painter Gariboldi, laces of the 19th and the 20th centuries and a collection of books and missals. Among the other works
of art on view there is the sculpture of the wounded Garibaldino and a votive 19th century altar. In the second room there are some
paintings of the 20th century, ceramics and some archeological finds. Today the Abbey hosts cultural events such as poetical, musical and
theatrical performances, concerts, exhibitions of local ceramics and practical demonstrations about the working and the firing of
pottery.
The small chapel dedicated to St Gemolo in the Lombard Romanesque style, which is south of the Abbey near the spring mentioned
before, was just built with the aim to connect it virtually to the cloister.
The Pass Valicci, a panoramic mountain pasture that is evidence of the ancient country civilization, deserves attention too. Finally the
small but ancient village of Brinzio, which is in a dell between Campo dei Fiori (Field of Flowers) and Mt Martica, has a picturesque old
town with old courtyards and roads paved with the local red rock. There is the head office of the regional Park of Campo dei Fiori built
in 1984 and the innovative Museum of Rural Culture of the Prealps, opened in 2008 (see the article “Considerations and suggestions for a
“third way”).
The walking tour
You can get by private or public means of transport to the main road n. 233 before Ganna near the Holiday
Farm Hut St Gemolo. It is possible to leave the car in a small car park.
Then you walk along the Path of Giubileo that leads to the spring of St Gemolo; around here there is also
the chapel with the same name.
After crossing the stream Margorabbia on a small bridge there is a crossroads; taking the path on the
right, you can see the peat and the erratic blocks of the area above all made of porphyry, a very hard red
rock of volcanic origin used to pave the roads. Besides, within the field of a teaching programme, from a
near look-out point for birds, you can see two mountains of volcanic origin: Mondonico in the north and
Martica in the east, as well as the lake of Ganna, a small basin of glacial origin which, with the peat-bog of
Pralugano connected to it, is a Nature Reserve of particular importance.
Going through the wood you arrive finally to an asphalt road near the Abbey of Ganna (30 minutes).
After the stopover at the Abbey you can come back on the same unsurfaced road; after crossing the
bridge on the stream Pralugano, take the path n. 15 (about 4 km) on the right next to the stream. From
here you start walking up a quite hard climb from which you can enjoy a wonderful view over the light
colours of the peat (they are stretches of water among plants), Mt Mondonico and the building of the
Abbey.
Then you can reach a picturesque picnic area with tables and benches in Valicci where you can stop (one
hour).
Continue and walk along the marked path; following the cobbled way down you get to the small village of
Brinzio at Paurett, bounded by the stream Valmolina (20 min.). At Brinzio there is public transport to come
back to Varese.
The walk winds through woods of ashes, alders, oaks, limes and maples that are replaced at higher altitudes
by chestnut and beech trees; the vegetation of the peat-bogs is very rich and complex. The fauna is varied
and remarkable too: there are a lot of species of amphibians and fish and more than sixty species of birds
have been registered.
Recommended period of the year for this walk: autumn and spring.
Classe II CS
Itinéraire 18 : Source et Abbaye de Saint Gemolo (Valganna) – Valico Valicci – Brinzio
Aperçu historique
L’Abbaye de Saint Gemolo à Ganna représente en termes d'histoire et de religion la plus importante étape de ce parcours, car c’est l'un
des monastères les plus importants dans la région des Préalpes. Le complexe est situé aux pieds du mont Mondonico, au croisement de la
Valganna et de la Vallée du Pralugano, aux alentours du lac de Ganna, et il se trouve sur le tracé de la voie médiévale «Regina del Ceneri»,
voie très importante parce qu’elle réunissait Varèse avec la Suisse par la Val Marchirolo.
La légende raconte que vers l’an Mille un évêque fit un voyage du nord vers Rome et, la nuit arrivée, il décida de s’arrêter pour se reposer
dans un champ de la Val Marchirolo. Étant à connaissance de la présence de voleurs en zone, il voulut renforcer la protection du camp et il
donna cette tâche à son neveu Gemolo, mais pendant la nuit les mécréants réussirent à voler les biens de l’évêque. Gemolo se lança à leur
poursuite avec son compagnon Imerio et, quand il les rejoignit, il les pria au nom de Dieu de restituer les biens à leur possesseur.
Toutefois, dans un moment de rage, un des voleurs le décapita avec une épée et, dans le lieu où est tombée la tête, a jailli la source qui,
comme dit la légende, conserve encore aujourd’hui les pierres rougies avec le sang. Imerio, ensuite, a été retrouvé mort devant l’église de
Saint Michel à Varèse. Gemolo, cependant, réussit à se lever et à chevaucher jusqu’au camp, en emportant sa propre tête; puis le cheval
s’est arrêté au pied du Mondonico et là l’évêque a décidé d’enterrer son neveu, en interprétant l’événement comme un signe divin.
Sur le lieu a été érigée une chapelle en honneur de Saint Michel, par la suite redédiée à Saint Gemolo. Au cours des années cette chapelle
a été englobée dans la nouvelle église romane, en assumant la fonction d’un monastère bénédictin et, au XIIème siècle, il est passé à
l’ordre de Cluny, en devenant abbaye.
Actuellement l’Abbaye est composée d’une série de bâtiments: l’église de style lombard a été consacrée en 1160 par l’évêque de Milan, le
clocher roman en porphyre, le cloître à forme pentagonale sur deux étages, la foresterie et les logements des cloitrés.
A l’intérieur de l'église des fresques bien conservées et des reliques sacrées sous l'autel du saint méritent une particulière attention.
Ces restes ont été trouvés au début de 1600, au cours des rénovations. Le cardinal Federigo Borromeo commença ensuite des recherches
pour savoir à qui appartenaient ces restes, mais pendant trois cents ans personne ne s’occupa plus de la question. En 1937 les reliques
furent transportées dans la Curie de Milan pour d’ultérieures recherches; le cardinal Schuster en1941 postula le retour des dépouilles du
saint à Ganna avec une cérémonie solennelle.
Dans les chambres du deuxième étage du cloître se trouve le musée de l’Abbaye, fondé en 1962. Dans la première salle sont conservés des
portraits du peintre Gariboldi, des dentelles du XIXème et XXème siècle, une collection de livres et missels. Parmi les autres œuvres
exposées on trouve une intéressante sculpture du Garibaldien blessé et un autel votif du XIXeme siècle. Dans la deuxième salle, par
contre, sont exposés des tableaux du XXeme siècle, des céramiques et quelques pièces archéologiques. Aujourd'hui l'Abbaye accueille des
événements culturels comme des spectacles poétiques, musicaux et de théâtre, des concerts, des expositions de céramiques locales et
des démonstrations pratiques des procédés de fabrication et de cuisson des céramiques.
La petite chapelle consacrée à Saint Gemolo, de style roman lombard, qui se trouve au sud de l’Abbaye aux environs de la source déjà
citée, a été construite dans le but d’unir idéalement cette dernière avec le complexe claustral.
Le Valico Valicci, alpage panoramique qui témoigne de l’ancienne civilisation paysanne, mérite une citation. Le petit, mais ancien village de
Brinzio, qui se trouve dans une conque entre le Campo dei Fiori et le mont Martica, présente enfin un suggestif centre historique avec de
vieilles courts et des rues pavées en pierre rouge locale. Là se trouve le siège des bureaux du Parc régional Campo dei Fiori, fondé en
1984, et l’innovatif Musée de la Culture Rurale Préalpine, inauguré en 2008 (voir le chapitre «Réflexions et propositions pour une
troisième voie»).
Le parcours
On arrive avec ses propres moyens ou avec les moyens publics par la départementale n.233 avant
l’agglomération de Ganna à proximité de l’agritourisme Chalet Saint Gemolo. Il est possible de laisser la
voiture dans une petite aire de parking.
Puis on se promène le long du «sentier du Jubilé» qui mène à la source de Saint Gemolo, près de laquelle on
trouve aussi la chapelle homonyme.
Traversé le torrent Margorabbia sur un petit pont en bois, on rencontre un carrefour; on prend le sentier à
droite et on peut observer la tourbière et les roches erratiques de cette zone, principalement en porphyre,
une roche rouge très dure qui est d’origine volcanique et qui est aussi utilisée pour paver les routes.
En outre, dans le cadre d’un parcours didactique, on trouve à disposition un poste d’observation pour les
oiseaux d’où on peut observer aussi deux montagnes d’origine volcanique: le Mondonico au nord et la Martica
à l'est, ainsi que le lac de Ganna, petit bassin d'origine glaciale qui, avec la tourbière du Pralugano, constitue
une Réserve Naturelle d'une particulière importance.
En poursuivant le sentier dans le bois, on arrive sur la route près de l’abbaye de Ganna (30 minutes).
Après l’arrêt à l’Abbaye on revient sur le même chemin de terre battue et, franchi le pont sur le rio
Pralugano, on prend le sentier n. 15 (environ 4 km) sur la droite, à côté du torrent. À ce point on commence
une montée assez fatigante, d’où on peut toutefois jouir d’un merveilleux panorama sur les clairs de tourbe
(miroirs d’eau parmi la végétation), le Mondonico et l’ensemble de l’Abbaye.
On atteint ensuite une suggestive aire de pique-nique dans la localité Valicci (une heure); elle est dotée de
tables et bancs, où on peut s’arrêter. On reprend ensuite le sentier marqué et, par la pente pavée, on arrive
dans le village de Brinzio, dans la localité Paurett, délimitée par le rio Valmolina (20 minutes). À Brinzio on
bénéficie des transports publics pour retourner à Varèse.
Le parcours serpente entre les bois de frênes, d’aulnes, de chênes, de tilleuls, d’érables, qui plus en haut
laissent la place aux châtaigniers et aux hêtres; en particulier les associations végétales des zones
tourbières sont riches et articulées. Aussi variée et pertinente est la faune: de nombreuses espèces
d‘amphibiens et de poissons et plus de soixante espèces d’oiseaux ont été recensées.
Période de l’an conseillée pour l’excursion: automne et printemps.
Classe II BL
Itinerary 19: Velate (Varese) – Mt St Francis – The Vellone Valley – Velate
The History
The small village of Velate belonged to the town of Varese. Its name could derive from the sail in the important
local Bianchi family’s coat of arms. Velate is one of the oldest towns of the province and is characterized by period
houses and residences; it was already inhabited in the Roman period and it had strategic importance: on its
territory there are the ruins of a defensive tower with floors belonging now to F.A.I. (Italian National Trust Fund).
It could communicate with other towers, one situated in the park of Festi (ex Zambeletti) Villa in Velate and the
other one overlooking Mt. St Francis and Sacro Monte; these mountains seem to have a visual harmony and their
history has always been linked to the one of this village.
Especially the rocky summit of Sacro Monte, where it is said that St Ambrogio defeated the Arians bringing the
cult of the Virgin, was a real defensive bastion and allowed to dominate from above a wide area, strategic for the
way to Lucomagno, St Bernardino and Coira. Some scholars anyway think that this legendary battle might have taken
place just on Mt. St Francis. It is still possible to see the base of this tower which dates back to the third – fourth
cent. A.D.
There are also the ruins of a church and of a small monastery that date from the period when the Saint from Assisi
was alive. The monastery was called of St Francis in Pole. This name comes from the fact that near the monastery
on the eastern side of the mountain there is the “Field of Poles”, a Lombard burial place. The people used to bury
their warriors into a barrow overtopped by a pole, on the top of which there were the weapons and the helmet or a
wooden dove turned to the place where the soldier had died. The path that goes up the Mt. St Francis was the old
walk which led to the monastery and from there to Sacro Monte before the building of the “way to the Chapels of
the Rosary” at the beginning of the seventeenth century, planned by Father Aguggiari. Just because they were
afraid not to enjoy the benefits of the many pilgrims, at the beginning the inhabitants of Velate didn’t approve the
enterprising Capuchin’s plan. However, it influenced the local economy and art in a positive way; on this point in the
Vellone valley you can still see a quick lime kiln. The end of the glorious history of Mt. St Francis was however
caused by some events after a friar’s murder during the second half of the sixteenth century. St Carlo Borromeo
ordered precise works about che structure and furniture of the church and temporarily he didn’t allow acts of cult.
Finally in 1612 the place was unchurched. In 2002 the first Garden of Friar Sun started; it’s a place of meditation
and prayer; but now the works are in bad repair. From the archaelogic site you can see besides the Sacro Monte,
which has been World Property of Unesco since 2003, the Grand Hotel Campo dei Fiori; this is a masterpiece in the
Liberty style built in 1910-11 and planned by the famous architect Giuseppe Sommaruga.
The walking tour
After getting to Velate by private or public transport (there is a large car park opposite the graveyard) go
beyond St Stefano Square and Rizzi Square reaching Adda Road; go along as far as the wooded area in the
north of the village. After getting past a power plant of ASPEM waterworks, turn on the left into the path
9 that climbs up the side of Mt. St Francis; it takes about 45 minutes to reach the top (m 793). Continuing
on your way, you can reach the vehicular road and walk along for a while always in the direction of Sacro
Monte; after the crossroads you arrive at the Natural Monument of the Stump Fountain already known
during the Roman period; it’s a spring of karstic origin that is evidence of the calcareous nature of the
Massif Campo dei Fiori. This mountain has a complex hypogeum in which there are about 60 caves; some of
them are very interesting but you can’t easily go into also because there are no facilities for common
visitors with the exception of the initial part of the Remeron Cave.
You can go to Velate again after having a circular walking along the southern side of the mountain, going
through the wonderful woods where there are above all chestnut trees. The big specimen of this tree have
hollows and give shelter to bats which have been protected in these last years. Squirrels, dormice, stone
martens, wild boars and foxes are widespread. In Adda Road on the right there is the path 10 (part of the
way Brinzio-Velate); if you go along it you enter the valley of the stream Vellone; in its river-bed there are
the “Potholes”, a natural monument made by the water erosion of the calcareous rock. The path 10 goes
ahead towards the village “First Chapel”; you can also walk following the opposite direction to Casciago.
Recommended period of the year to have this walk: late autumn or the beginning of spring when the absence
of leaves allows you to see attracting views.
Classe II CS
Itinéraire 19: Velate (Varèse) – Mont San Francesco – Vallée du Vellone - Velate
Aperçu historique
Le village de Velate, dont le nom pourrait provenir de la voile qui apparaît dans l’écusson de l’importante famille
locale des Bianchi, était devenu au moyen âge une seigneurie fortifiée de Varèse. Centre parmi les plus anciens de la
province, caractérisé par des villas et des maisons anciennes, il était déjà peuplé à l’époque romaine et il était
stratégiquement important: sur son territoire il y a les vestiges d’une tour de défense à plusieurs étages, qui
actuellement appartient au FAI. Elle avait des contacts avec d’autres tours, situées respectivement dans le parc de
la villa Festi (ex Zambeletti) à Velate et sur les sommets du mont San Francesco et du Sacro Monte, hauteurs qui
apparaissent en parfaite correspondance visuelle et dont l’histoire a toujours été liée à celle du village.
En particulier le sommet rocheux du Sacro Monte, lieu où on dit que Saint Ambroise a vaincu les Aryens en
introduisant le culte de la Vierge, était un véritable rempart de défense, permettant de dominer une grande partie
du territoire et stratégique pour le passage vers le Lucomagno, le San Bernardino et Coira. Certains chercheurs,
cependant, pensent que cette bataille légendaire pourrait avoir eu lieu précisément sur le mont San Francesco. De
cette tour, datant du III-IV siècle d.C., on peut encore voir l’embasement. On peut, en outre, voir les ruines d’une
église et d’un petit couvent, dont les origines remontent à la période où le Saint d’Assisi était encore en vie.
Le monastère était dit de Saint François en Pertica. Le nom peut être expliqué parce que à côté du couvent, dans la
partie orientale de la montagne, se trouve le «Campo delle Pertiche», un lieu de sépulture lombard. Ce peuple avait
l’habitude d’enterrer ses guerriers en une sépulture surmontée d’une perche avec les armes et le casque ou,
quelquefois, une colombe en bois orientée vers le lieu où le soldat était tombé.
Le chemin qui mène au mont Saint François était l’ancien parcours menant au monastère et, à partir de là, au Sacro
Monte, avant la construction au début du XVIIème siècle de la «Voie des Chapelles du Rosaire» conçue par le Père
Aguggiari. Juste parce qu’ils craignaient ne plus profiter des avantages dus au passage des nombreux pèlerins, les
habitants de Velate d’abord ne virent pas d’un bon œil le projet de l’entreprenant capucin. Celui-ci finit, cependant,
par influencer positivement l’économie et l’art local: à cet égard dans la vallée du Vellone on peut encore voir un four
pour la production de chaux vive. La fin de la glorieuse histoire du mont San Francesco a, toutefois, été déterminée
par une série d’événements consécutifs à l’assassinat d’un moine dans la seconde moitié du XVIème siècle. Saint
Carlo Borromeo ordonna d’effectuer des travaux spécifiques sur la structure et sur les ameublements de l’église,
empêchant temporairement que des actes de culte y soient effectués, et le lieu a été définitivement désaffecté en
1612. En 2002 il y est né le premier Jardin de Frère Soleil, un lieu de réflexion et de prière, mais aujourd’hui les
œuvres réalisées sont dans un état d’abandon. Du site archéologique il est bien visible, comme mentionné ci-dessus,
non seulement le Sacro Monte, site du Patrimoine Mondial de l’Unesco depuis 2003, mais aussi le Grand Hôtel Campo
dei Fiori, chef-œuvre de l’Art Nouveau, construit en 1910-11, conçu par le célèbre architecte Giuseppe Sommaruga.
Le parcours
On peut atteindre facilement le village de Velate en voiture ou en bus (on trouve un grand parking en face du
cimetière). Il faut dépasser Place Santo Stefano et Place Rizzi pour arriver Rue Adda, où commence la
zone boisée au nord du village. Après avoir passé une centrale de l’aqueduc A.Spe.M., sur la gauche on prend
le chemin n. 9, qui grimpe le long du côté du mont San Francesco, dont on atteint le sommet (793 m) en 45
minutes environ. Le chemin porte en quelques minutes à la route qu’il faut parcourir pour une centaine de
mètres en tenant toujours la direction du Sacro Monte; peu après la bifurcation on arrive au Monument
Naturel de la Fontaine du Ceppo, déjà connue à l’époque romaine, source karstique qui témoigne de la nature
calcaire du massif du Campo dei Fiori. Celui-ci cache un système articulé hypogée dans lequel il y a environ
60 grottes, dont certaines sont d’un grand intérêt, mais où, toutefois, on ne peut accéder librement parce
qu’elles ne sont pas équipées pour les visiteurs, à l’exception de la Grotta del Remeron dans la partie initiale.
On peut descendre de nouveau à Velate, en faisant une sorte de parcours circulaire, le long du versant sud
du mont, à travers des bois magnifiques où prévaut le châtaignier. Les grands exemplaires de cette plante,
comme les grottes, accueillent facilement les chauves-souris, objet d’une protection spéciale ces dernières
années. Très populaires sont les écureuils, les loirs, les belettes, les sangliers, les renards.
Sur la droite de la rue Adda s’ouvre le chemin n. 10 (tronçon Brinzio - Velate), grâce auquel on peut entrer
dans la vallée de la rivière Vellone, dans le lit de laquelle se trouvent les Marmites des Géants, monument
naturel créé par l’action érosive de l’eau contre le calcaire.
Puis le sentier n.10 continue vers la localité Prima Cappella. On peut aussi parcourir le chemin dans la
direction opposée vers Casciago.
Période de l’année recommandée pour la randonnée: fin de l’automne ou début du printemps, lorsque
l’absence de feuillage permet des vues suggestives.
Classe I BL
Itinerary 20: Orino – Pian delle Noci (The Plain of Wallnuts) – The fortress of Orino – Orino
The History
The fortress of Orino, an ancient stronghold in strategic position on a spur of Valcuvia, is undoubtedly one of the most interesting and
attracting tourist destinations in the area of Varese.
It belongs to the territory of the commune with the same name, a historic small village in a scenic and peaceful position that dates back
to 712 A.D.
The original centre of the fortress probably dates from the Roman period but there are no traces left about it. The first documentary
sources about the stronghold are in the acts of the church Plebana of St. Lawrence at Cuvio and date from the year 1176. As there were
different owners who used the area in the large enclosure even for farming, it is possible that archeological finds have never pointed out.
There are some testimonials of the last period of the 12th century and of the first half of the 13th century: it is said that the fortress
was under the command of renowned figures qualified as “ser” or “dominus”.
Up to now, the study of the walls shows some extension and strengthening works done during the Visconti and Sforza period when the
feudal lords were the Cottas who were the owners till 1728.
At the beginning of the 16th century, after the gradual decay of the Dukedom of Milan, the castle, which controlled the territory of
Valcuvia, was repeatedly occupied by Swiss troops that sacked it.
After the Cottas other local families followed one upon the other: the Cortis, the Bonarias and the Clivios. At the beginning of the 20th
century the fortress was divided among a lot of owners, but then it was reunited under the Moias who started the rebuilding of the
north-east tower and of the enclosure. In 1913 it was given to Massimo Sangalli who carried on with the works introducing essential
changes during the following decades. During the Second World War it was garrisoned by some troops of the army of the Republic of
Salò and then it was neglected; in the end vegetation covered it. Later it was bought by an industrialist from Legnano, Cesare Prandoni,
fascinated by its ruins.
Now it belongs to Mrs Piera Vedani Mascioni who started some works to increase the value of the ruins of the ancient fortress. It is an
isolated building surrounded by woods; it consists of a large four-sided building walled and protected by towers. Inside the wide yard
there is a tank and on the north-west corner there is the Rocchetta.
With regard to the legends about Orino Castle, the most famous tells that Ada, the wife of Marchione, who was the captain of the Swiss
troops in Valcuvia, was killed by her husband in an unspecified year of the 16th century; crazy with jealousy he flung her into a trap and
made Francis, who was her brother and his lieutenant, die after locking him up in the castle dungeons. After discovering what had
happened, the troops rebelled and killed their leader. Till today it is told that Ada’s and Francis’s ghosts live in this place. Another legend
tells that the Arians, after being driven out of Milan because of their heretical doctrine, took refuge in the fortress till the Ambrosian
army occupied the castle of Varese. According to the popular tradition the Arians were put to flight also by the apparition of St
Lawrence wrapped up by flames in the area where today there is a small church dedicated to the saint.
Another mystery is about an underground passage that could start from the vaults of the stronghold tower and could go on as far as the
outside. The tunnel could be so long that, according to the tradition, a hen would have gone into it at Orino and it would have come out at
the presbytery of Cuvio with its chicks born while passing.
Finally the woods surrounding Orino also grow along the slopes of the mountain of Campo dei Fiori (Field of Flowers) and they have always
had a leading role in the expansion of the country civilization of the past.
The walking tour
It is possible to get to Orino by private or public transport; you can park near the graveyard.
From here going into Fiume Road, you can reach XI Febbraio Square, then Gorizia Road and Road to Selva
Piccola, which leads to the path n. 2. At the beginning of the walk you can see the Rock of Ferro, Mt Nudo,
Arcumeggia (the ancient “Arx Media), Mt Crocino, Mt St Martino (famous since the blood October of the
year 1944).
The path goes on a cobbled steep climb, at the end of which there is a beechwood; here a tombstone was
built in memory of three soldiers who died in June 1922 during military exercises.
Continuing on your way and leaving on your right the path that leads to Orino Castle, you can reach
Pian delle Noci (m.713) after a short time.
On this wide plain there are the Italian Alpine Club (CAI – 1937), which was on observation post of the
artillery of the First World War, a large ground of brooms, larches and spruces. There is also an area with
tables.
From Pian delle Noci you can go downhill, going into a steep path that leads to a wood of chestnut trees and
beeches.
Going on you can get to the first crossroads; leaving on the left the road to the Spring Gesiola and
keeping the right you can reach the path n. 10 (Velate-Orino).
After a short time there is another crossroads and, following the road signs, you can go into the path on
the left after leaving the path n. 10.
Go along the road uphill that goes to the fortress of Orino: if the weather is good it is possible to find it
open on Sundays from 3 to 5 p. m.
After the visit, you continue on the path n. 10 that leads again to the village easily after about 15 minutes,
passing by on old wash-house. From there you can reach the town centre and the graveyard where the
circular walking comes to an end.
Recommended period of the year to walk: autumn or spring.
Classe II BS
Itinéraire 20 : Orino – Pian delle Noci – Rocca di Orino - Orino
Aperçu historique
La Rocca d’Orino, ancienne forteresse située dans une position stratégique sur un éperon rocheux de la Valcuvia, constitue sans aucun
doute l’une des plus intéressantes et séduisantes destinations touristiques du “Varesotto”.
Elle rentre dans le territoire de la commune homonyme, bourg historique situé dans une position panoramique et tranquille, dont on
connaissait déjà l’existence depuis 712 d. C.
Le noyau fortifié originel du manoir remonte, probablement, à l’époque romane, mais il n’en reste aucune trace visible. Les premiers
documents sur le château-fort sont contenus dans les actes de l’église Plebana di Saint Laurent à Cuvio et elles remontent au 1176. Vue la
succession de propriétaires qui ont utilisé ce lieu pour des fins agricoles, il est possible que d’éventuelles découvertes de matériels
archéologiques n’aient jamais été signalées. Il y a beaucoup de témoignages de la dernière période du XIIème siècle et de la première
moitié du XIIIème où on dit que la forteresse était sous les ordres d’illustres personnages, qualifiés comme “ser” ou “dominus”.
De nos jours l’examen du mur d’enceinte de la forteresse montre une série de travaux de développement et d’élargissement effectués à
l’époque des Visconti et des Sforza, pendant laquelle les feudataires étaient les Cotta, qui en ont été les propriétaires jusqu’à 1728.
Au début du XVIème siècle, à cause de la chute progressive du Duché de Milan, le manoir, qui avait le contrôle du territoire de la Valcuvia,
a été occupé à plusieurs reprises par les troupes suisses qui le saccagèrent. Après les Cotta se succédèrent une série de familles locales:
Corti, Bonaria e Clivio. Au début du XXème siècle la forteresse était repartie parmi plusieurs propriétaires, mais ensuite elle fut réunie
sous la famille des Moia, qui commencèrent la reconstruction de la tour du nord-est et de la clôture.
En 1913 elle fut cédée à Massimo Sangalli qui poursuivit les travaux avec de substantielles modifications pendant les décennies suivantes.
Pendant la Deuxième Guerre Mondiale elle fut gardée pas quelques troupes de l’armée de la République de Salò et plus tard elle fut
abandonné et recouverte de végétation. Après elle fut achetée par un industriel de Legnano, Cesare Prandoni, charmé de ses ruines.
Actuellement elle est propriété de madame Piera Vedani Mascioni, qui a commencé une série de travaux destinés à valoriser ce qui reste
de l’ancienne fortification. Elle se présent comme une construction isolée, entourée de bois, constituée d’un vaste carré ceint par une
muraille et défendue par des tours. À l’intérieur de la grande cour il y a un réservoir et, au nord-ouest, la Rocchetta.
En ce qui concerne les légendes liées à la Rocca d’Orino, la plus célèbre raconte que Ada, femme de Marchione, capitaine des troupes
suisses qui occupaient la Valcuvia, dans une année inconnue du XVIème siècle, a été tuée par son mari qui, fou de jalousie, la jeta dans un
piège et laissa mourir François, frère de sa femme et son lieutenant, après l’avoir emprisonné dans les cachots du château. Découvert
l’incident, les troupes se rebellèrent et tuèrent leur chef. Encore aujourd’hui on raconte que les fantômes de deux frères, Ada et
François, habitent ce lieu.
Une autre légende raconte que les Aryens, chassés de Milan à cause de leur doctrine hérétique, se réfugièrent dans la forteresse jusqu’à
la conquête du fort de Varèse par l’armée ambroisienne. La tradition populaire veut que les Aryens aient également été mis en fuite par
l’apparition de Saint Laurent enveloppé par les flammes, apparition qui eut lieu à l’endroit où se trouve maintenant une petite église dédiée
au saint.
Un autre mystère est lié à l’existence d’une galerie qui commencerait dans les souterrains de la tour du donjon et continuerait jusqu’à
l’extérieur. La galerie est tellement longue que, selon la tradition, une poule entrée à Orino serait sortie près de la cure de Cuvio avec les
poussins nés pendant le passage.
On signale, enfin, que les bois tout autour d’Orino, qui se développent aussi le long des pentes du massif du Campo dei Fiori, ont toujours
eu un rôle important pour le développement de la civilisation paysanne du passé.
Le parcours
On arrive au village d’Orino avec les transports publics ou privés; on peut se garer près du cimetière.
De là, en prenant Rue Fiume, on arrive à la Place XI Febbraio, ensuite Rue Gorizia et Rue Alla Selva Piccola,
qui permet d’arriver au chemin n. 2. Au début du chemin, il est possible d’observer le Sasso del Ferro, le
mont Nudo, Arcumeggia (l’ancienne “Arx media”), le mont Crocino, le mont San Martino (rendu célèbre par
l’octobre de sang de 1944).
Le chemin poursuit avec une montée raide et pavée, au sommet de laquelle il y a une grande hêtraie; ici a été
érigée une plaque à la mémoire de trois jeunes soldats, tués en juin 1922 pendant des manœuvres militaires.
Si on continue, on quitte le sentier à droite qui mène au fort d’Orino et on arrive vite au “Pian delle Noci”
(713 m).
Dans cette vaste plaine se trouvent le refuge du CAI (1937), qui en origine était un observatoire de
l’artillerie de la Première Guerre Mondiale, une vaste étendue de genêts des charbonniers, des mélèzes et
des épinettes. On signale la présence d’un espace équipé avec quelques tables.
Du “Pian delle Noci” on continue vers la vallée, en prenant un sentier qui conduit dans un bois de châtaigniers
et de hêtres.
En continuant en descente, on arrive a une première bifurcation et, laissée à gauche la rue pour la Source
Gesiola, on continue à droite jusqu’au sentier n.10 (Velate – Orino).
En peu de temps on atteint une autre bifurcation et, en suivant les indications données sur le panneau, on
prend la rue sur la gauche et on abandonne le sentier 10.
On parcourt la montée jusqu’à la Rocca d’Orino: on peut la trouver ouverte les dimanches quand il fait beau,
de 15 h à 17 h.
Après l’éventuelle visite, on prend le chemin n. 10 qui emmène confortablement au village en 15 minutes
environ, en passant près d’un ancien lavoir. De là on atteint le centre du village et le cimetière.
La meilleure période pour la redonnée: automne et printemps.
Classe I BL
Hanno collaborato con la professoressa
Marina Daverio, referente del progetto “Sentieri”, gli insegnanti:
Lucia Consentino
Annamaria Cooper
Danielle Depracter
Carla Imbasciati
Gigliola Lotti
Michele Lumia
Maria Francesca Massi
Carla Melotti
Silvia Pesetti
Un ringraziamento particolare al tecnico informatico, sig.ra Antonella Zocchi,
per la realizzazione del presente cd.