Recensioni - Giuppi PAONE
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Recensioni - Giuppi PAONE
Jazzitalia - Giuppi Paone: I poeti del vocalese Indirizzi | Saranno Famosi | Newsletter | Forum | Cerca | Links | Son COMUNICATI: Sesta edizione a settembre di Bolgheri Jazz: un fine settimana all'insegna non solo dell'improvvisazione ma anche del buon vino Giuppi Paone I poeti del vocalese L'Epos, 2009, Pagine 190. Parliamo di un originale volume pubblicato dalla casa editrice L'Epos, specializzatasi negli ultimi anni nella pubblicazione di lavori dedicati al jazz e in generale alla musica americana. Argomento del libro è il vocalese, quel genere di jazz vocale in cui vengono adattate delle parole a melodie ricavate da composizioni o improvvisazioni del repertorio jazzistico. A differenza dello scat che adopera suoni improvvisati e parole non sense, scelte per il loro suono e andamento ritmico, il vacalese usa una normale versificazione, spesso scritta sulla base di un assolo registrato. Il libro analizza i capolavori del genere, a partire dai precursori King Pleasure Eddie Jefferson, e Annie Ross (quest'ultima entrerà poi nel supergruppo vocale Lambert, Hendricks e Ross). Lambert, Hendricks & Ross renderanno questo tipo di canto celebre nel mondo e apriranno la via a formazioni di successo come i Manhattan Transfer. Il saggio racconta anche le ultime evoluzioni del vocalese ad opera di Kurt Elling e Al Jarreau e valorizza nomi poco noti del canto jazz, come Mark Murphy e Georgie Annunci Google Fame. I cantanti di vocalese privilegiano inizialmente la versificazione sugli assoli di www.Kappaeffe.it sassofono, perché questo strumento è: …così vicino alla voce umana, sia per l'estensione dello strumento, sia per il timbro, sia per il tipo di fraseggio...(pag.42). Vengono saccheggiati i repertori di Coleman Hawkins, James Moody, Lester Young, Wardell Gray e del grande Charlie Parker il cui "Parker's Mood" diviene un po' la pietra di paragone del genere, interpretato nel corso degli anni da moltissimi vocalist. L'autrice, Giuppi Paone, oltre ad essere una apprezzata vocalist e arrangiatrice, è anche laureata in letteratura americana: un suo punto di forza è proprio quello di procedere ad una analisi testuale dei brani vocalese, mettendo in rilievo la poeticità e i significati profondi dei testi, nell'interazione con la musica. Uno degli aspetti centrali di questa analisi dei testi porta in evidenza alcuni temi peculiari trattati dalle liriche del vocalese: tra essi molto importante è quello che si definisce Jazz history. Sugli assoli di Parker Eddie Jefferson racconta la vita e la grandezza dello stesso Bird Parker, su Body and Soul ci parla del suono di Coleman Hawkins. Attraverso questi "assoli parlati" vengono raccontate le storie, i miti, i luoghi, le gesta del jazz. Franco Bergoglio per Jazzitalia http://www.jazzitalia.net/recensioni/ipoetidelvocalese.asp[16/08/2010 20.48.06] Trascrizione dalla trasmissione radiofonica BATTITI RAI RADIO3 del 28 gennaio 2011 [ascolto del brano musicale “Moody’s Mood For Love”] Pino Saulo: Non si può dire che non fosse già nell’aria. Da quando i dischi erano così diffusi (e quindi da venti anni e più) tutti gli assoli dei grandi jazzisti erano, appunto, nell’aria e tutti li ripetevano, o almeno gli altri jazzisti li citavano per una sorta di omaggio durante le loro improvvisazioni, i crooners ne riprendevano frasi su frasi con il loro scat, tutti i fans provavano a canticchiarli riascoltandoli con ammirazione. Tuttavia in quella serata dei dilettanti, all’Apollo Theater di Harlem a New York, in un giorno di novembre del 1951, fece davvero impressione ascoltare quel giovane che rifiutava l’accompagnamento dell’orchestra per il suo turno alla gara di canto e si faceva invece accompagnare da un giradischi su cui suonava una versione della celebre canzone di Dorothy Fields e Jimmy McHugh "I'm In The Mood For Love" eseguita dal sassofonista James Moody. Clarence Beeks cantava all'unisono con il sax la variazione della melodia da quello improvvisata per un lungo chorus e mezzo. Ma la vera sorpresa era che aveva aggiunto a tutto l’assolo un testo nel quale utilizzava semplici parole del linguaggio comune e addirittura dello slang. Vinse facilmente. La Prestige Records gli fece subito firmare un contratto e da quel momento Clarence Beeks, che era nato ad Oakdale nel Tennessee nel 1922, divenne King Pleasure. La canzone fu ribattezzata "Moody's Mood For Love”. Ed era proprio il brano che abbiamo ascoltato, nell’edizione del 1952, con King Pleasure alla voce, ma c’era anche Blossom Dearie. Il testo invece che abbiamo letto era proprio l’inizio del libro di Giuppi Paone I poeti del vocalese, uscito per la casa editrice L’Epos. Giuppi Paone che è jazzista, cantante, soprano, arrangiatrice, che ha collaborato con musicisti assolutamente diversi tra loro, come Alvin Curran, Giovanna Marini, come Arrigo Cappelletti o ancora Umberto Petrin, Eugenio Colombo, l’Orchestra Mediterranea, con Roberto Laneri, Fabrizio De Rossi Re, è anche insegnante di canto jazz alla Scuola di musica di Testaccio ed è docente di Canto nei Conservatori di Ferrara e Frosinone, ma è soprattutto una appassionatissima studiosa del vocalese. I poeti del vocalese è il titolo appunto di questo libro che è una ricognizione completa su tutto quello che è il fenomeno del vocalese. Una ricostruzione oltretutto fatta attraverso una serie di riferimenti, attraverso una serie di indagini che non si limitano esclusivamente all’aspetto musicale ma che, nei vari capitoli che compongono questo libro, vanno a rintracciare le origini di questa particolare musica e a situarle nel posto giusto, tra oralità e jazz poetry, la poesia jazz, tra l’oralità e la scrittura, andando poi a verificarne i rapporti con altre forme di oralità, soprattutto andando anche a verificarne i rapporti con il bebop. Proprio all’inizio del capitolo: “Il vocalese. Tra oralità e scrittura” Giuppi Paone dà una serie di riferimenti importanti. Pur nascendo dall’unione di testo e musica, non possiamo definire il vocalese come una forma “canzone” e poi D’altro canto, non si tratta neppure di testi poetici in senso stretto adattati a una struttura musicale poiché i testi non riescono ad esistere senza la musica per cui sono stati creati e senza la voce del performer. Pur essendo musica commerciale, seppure di nicchia, non si tratta di musica pop o popolare, poiché le melodie del vocalese non sono facilmente cantabili e tanto meno “canticchiabili”. Pur appartenendo all’ambito jazzistico e rivolto al pubblico del jazz, nel vocalese viene a mancare una delle caratteristiche fondamentali del jazz, che è l’improvvisazione, perché, in qualche modo, il vocalese è “musica scritta”. Inoltre il ruolo del poeta/performer o del cantante/performer non è marginale, ma fondamentale in quanto caratterizza un’interpretazione di tipo emotivo e non semplicemente acrobatico/virtuosistico. Il vocalese, insomma, richiede di essere analizzato – così scrive Giuppi Paone - come fenomeno complesso che si situa in una dimensione straordinaria e scomoda creata dall’incontro non conflittuale bensì convergente tra mentalità della scrittura e mentalità orale. E poi ancora una serie di riferimenti, anche storici, come quando dice che: Varie testimonianze riferiscono che era diffuso tra i giovani del ghetto nero ben prima degli anni 50 cantare temi e interi pezzi di jazz inventando anche estemporaneamente un testo. In questo senso – scrive Giuppi Paone - il vocalese si ricollega a tutte quelle gare di bravura con le parole caratteristiche a vari livelli della cultura afro-americana, come conjuring, come dirty dozens (la gara di insulti), il signifying, il toasting e il rapping e così via. E ancora una notazione molto interessante: Dall’altro canto, però, il vocalese nasce e si sviluppa soltanto grazie alla possibilità tecnica della riproduzione sonora, cioè grazie all’esistenza di mezzi, di media, che comportano un nuovo tipo di oralità/auralità secondaria, mediata. Il vocalese è un testo sovrapposto a un altro testo, dunque un testo uditivo al quadrato, un metatesto. Il più delle volte i testi di vocalese non li troviamo “scritti” sulla carta, ma su supporto sonoro: disco, audiocassetta, cd o altro. Il che non fa che complicare il travagliato e contraddittorio rapporto con la scrittura convenzionale. [ascolto del brano musicale “Twisted”] Pino Saulo: Ecco dunque “Twisted”: un blues sul cui tema e sull’assolo di Wardell Gray, Annie [Ross] canta la storia di una persona “contorta” che racconta allo psicanalista la propria infanzia. così scrive Giuppi Paone perchè, altra particolarità del libro, vengono presentati una serie di esempi musicali e vengono presentati anche i testi, e le differenze tra i vari testi, quindi con uno studio di grande interesse e di grande valore sulla specificità testuale. D’altra parte tra le varie qualità di Giuppi Paone c’è anche quella di una laurea in Letteratura Americana. I vari capitoli del libro si soffermano poi anche su alcuni personaggi-chiave del vocalese: abbiamo parlato di Annie Ross, poi c’è ancora Eddie Jefferson, c’è King Pleasure ovviamente, e c’è anche Jon Hendricks, definito un po’ come il “filosofo” del vocalese. Di tutti i poeti-cantanti della prima generazione del vocalese, soltanto Jon Hendricks fu consapevole dal primo momento del valore artistico della propria scrittura. “Sono soltanto un poeta, sempre e per sempre un poeta. Non sono un musicista. Non leggo neppure la musica. Io sono un poeta contemporaneo. Non sono neppure un bravo paroliere. Penso di essere un poeta”. Hendricks mostra infatti di preferire per sé la definizione di “poeta” piuttosto che “cantante” o “performer”: “Io non ho la tendenza a cantare calante: io canto calante, sono decisamente calante”. Così diceva Jon Hendricks e appunto, il libro ha vari meriti e c’è quello di raccontare con profondissima passione, tutta questa passione traspare in maniera evidente, raccontare uno stile musica, raccontarlo attraverso alcuni cenni sui suoi protagonisti, ma di raccontarlo soprattutto confrontandolo con altri stilemi della cultura musicale afro-americana e dando quindi a questa particolare forma espressiva non più soltanto il valore semplicemente di una “tecnica”, tra l’altro anche, diciamo così, di alto livello virtuosistico, ma evidentemente quello di una vera e propria espressione. E ancora, tra le varie definizioni, troviamo anche la differenza tra vocalese e scat: mentre nello scat – scrive Giuppi Paone - il modo in cui utilizzare tutta la propria gamma di possibilità espressive è affidato alla capacità artistica dello stesso cantante-improvvisatore, nel vocalese si parte da un brano musicale già eseguito, e per di più eseguito da uno strumentista virtuoso, e si richiede di riproporlo, articolando alla velocità richiesta anche un testo significante, e dunque dimostra che un cantante può essere altrettanto bravo e anzi di più di uno strumentista. Libro complesso e estremamente interessante che ha il pregio, non da poco, di restituire in pieno tutta la complessità di questo stile musicale. Giuppi Paone, I poeti del vocalese, pubblicato da L’Epos, e ci lasciamo proprio con un brano di Jon Hendricks tratto dall’album A Good Git Together . Questa è “Feed Me” [ascolto brano musicale “Feed Me”]