La mascherata e la parata, il bordello e la caserma
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La mascherata e la parata, il bordello e la caserma
La mascherata e la parata, il bordello e la caserma Seminario del 22 Dicembre 2014 La separazione in insiemi distinti degli uomini e delle donne concerne dunque il fantasma materno, quale risultato di un’ontologia, di una rappresentazione che si sostiene sull’essere e sull’avere (il fallo). Come effetto il fantasma materno si fissa nell’universale per un affidamento all’ideale e alla rappresentazione del tempo, dunque a un tempo supposto gestibile, misurabile, economizzabile. La separazione ideale fra l’insieme delle donne e quello degli uomini risulta per una proiezione ideologica della differenza fra la mascherata (il trucco, la cosmesi), che in maniera accentuata nel discorso occidentale è stata di competenza delle donne, e la parata (l’uniforme) invece pertinente agli uomini. La conseguenza di questo ideale fissato si è manifestata nel collettivo, specificamente, con l’invenzione del bordello e della caserma. La parata sessuale, che per la sua varietà (danza, corteggiamento, esibizione) resta in ogni caso assai distante dalla rigidità degli schemi fissati con cui si svolge nel mondo animale, essa pure si è bipartita, schierandosi lungo i due fronti opposti della parata intesa proprio come parata militare, esibizione del fallo, da un lato, e mascherata (cosmesi, trucco), dall’altro, ovvero eccesso di esibizione di un oggetto rappresentato e ormai del tutto asservito al discorso. La cosmesi e il trucco, che originariamente avrebbero la funzione di evidenziare l’oggetto come luogo di un mancare, di un precipizio assoluto, di un buco, un punto vuoto, una provocazione assoluta, catturato come è stato nel discorso di questo schieramento opposto fra i sessi, si è piegato anch’esso all’autoritarismo del fallo, della parata militare, in una sorta di regressione e assoggettamento al potere maschile. Con la logica della nominazione viene a mancare un’attribuzione fondante, ideologicamente ritenuta fondante, quale è stata quella tradizionalmente instaurata dal fallo; la distinzione fra gli insiemi sulla base del genere può forse essere sostituita, può semplicemente essere sciolta nella varietà, nella differenza sessuale nella parola, nella relazione con il sembiante. La rigida separazione fra i sessi, con l’emarginazione della donna, è un retaggio della società patriarcale d’occidente. Abbiamo notato come il fallo sia il simbolo di un tale autoritarismo del padre, ovvero come il fallo sia il rappresentante, sul versante della sessualità, del nome del nome. Questo ha comportato una grande rigidità nella rappresentazione del genere maschile e femminile. I generi hanno finito per opporsi in una polarità irriducibile da quando l’Altro è stato negato e da quando l’oggetto sfuggente nella parola è stato rappresentato. Anche le rispettive modalità di esercizio delle pratiche di seduzione, la poesia, la danza, i discorsi d’amore, la parata sessuale e la mascherata, si sono cristallizzate in un’opposizione obbediente unicamente a una logica del potere. A cominciare dalle categorie ideologiche dell’essere e 1 dell’avere che sono state rigidamente impiegate per distinguere il genere maschile da quello femminile. Le cose non possono obbedire a una siffatta logica dell’essere e dell’avere poiché albergano nella parola originaria. Così la differenza. Occorre il sostegno di un discorso ideologico perché l’essere e l’avere siano puntellati come categorie originarie. Condizione della differenza è soltanto la causa, il sembiante, l’oggetto nella parola, il quale non ha supporto, né fondamento alcuno soggiacente. La distinzione sociologica che ha attraversato nel modo più evidente gli ultimi due secoli, quella fra individuo e collettivo, fra genere maschile e femminile, nonostante che almeno la prima sia stata ripresa criticamente da Freud (particolarmente in Psicologia delle masse e analisi dell’Io) per essere ricondotta alle vicende edipiche della libido, ha condizionato la stessa psicoanalisi. Occorre ammettere che In Freud permane lo sfondo sociologico della credenza nella bipartizione originaria fra i sessi, tanto che la libido è da lui connotata in senso maschile. Con la logica della nominazione, logica triale e singolare, qualsiasi bipartizione o dualismo supposto originario si dissolve. L’impianto del fallo è minato alle fondamenta. Abbiamo notato come sia stata l’ideologia di quello che definiamo discorso occidentale ad avere contrapposto in istanze rigidamente separate il parricidio e la sessualità, obliterando la relazione originaria, ovvero il nome funzionale e la differenza sessuale intesa come taglio (sexus) della parola in atto. Sotto l’insegna dell’ideale, quindi della rappresentazione di tale differenza originaria nella parola e della conseguente credenza nella differenza fra i generi maschile e femminile, si è prodotta la separazione e l’esclusione delle donne, la valorizzazione e il rafforzamento della parata, e quindi il fallo innalzato come simbolo non più dell’oggetto mancante, come in Lacan, ma di uno strumento di padronanza. Il fallo è quel significante che continua a reiterare con astuzia la “rigidità” di una distinzione postulata all’origine, autoritaria, ponendosi come perno di congiunzione di campi opposti altrimenti incoercibili, l’insieme degli uomini e quello delle donne, in rapporto alla sessualità. Se il fallo assurge a un’insegna ideale, diventando ciò che sarebbe in grado di rappresentare, se non una realtà concreta, comunque una differenza originaria, il riflesso ideologico è immediato. Ecco la caserma come organizzazione della padronanza fallica, ecco la parata e l’uniforme per governare la differenza originaria, e, appena fuori dalle mura, ecco il bordello, come luogo materno di sfogo della libido accumulata proprio nella caserma. Per tentare di arginare in qualche modo l’impossibile rigetto della differenza sessuale. Nella caserma il linguaggio è scurrile, ovvero l’erotizzazione del discorso è accentuata al parossismo. Il rapporto sessuale è continuamente parodiato, scherzosamente inscenato fra commilitoni, anche per esorcizzare il rischio di una latente omosessualità. In genere il linguaggio scurrile, indecente, non del tutto correttamente definito osceno, compare per una ambivalenza di cui è 2 investito l’oggetto; basta che l’oggetto sia rappresentato o idealizzato perché diventi oggetto anfibologico, biforcandosi in oggetto buono o cattivo, benigno o maligno, oggetto da scartare o a cui abbandonarsi, oggetto da esecrare o venerare, e così via. Oggetto quindi biforcuto, proprio perché sotto l’egida e il dominio del fallo. Sotto l’egida del fallo il compimento dell’atto sessuale è diventato traguardo ideale, anziché un incontro nella parola. Se definiamo l’erotismo come una rappresentazione dell’oggetto sessuale, è allora proprio per via del fallo che s’instaura l’erotismo, nel pieno abbandono alla credenza del gioco immaginario fra l’essere e l’avere. Sotto il primato del fallo, la donna e la madre diventano oggetti ideali, non più sembianti, non più indici di un racconto infinito. Ma allora, confrontate con l’impossibile rinvio del godimento e diventate un ideale, sono diventate anche suscettibili di un mutamento radicale di segno. Vale a dire che ora il rischio è quello di trasformare la donna e la madre (la madre con il suo mito, che la rende tale, cioè indice dell’avvio di un racconto, indice dell’intangibilità dell’oggetto) nella mamma prostituta, che dunque si può almeno comperare. L’incesto, supposto come incomparabile, sommo, godimento, diviene ora improcrastinabile, appare realizzabile. E’ sempre sullo sfondo dell’ideale che si realizza pertanto l’appagamento incestuoso con una prostituta. Il bordello è il luogo in cui è supposta soggiornare la vergine puttana, la madre quale possibile amante. L’Altro è scartato. Ogni polarizzazione (vergine puttana, madre amante), come in definitiva ogni anfibologia fra il bene e il male, è diretta conseguenza dell’innalzamento dell’oggetto all’ideale. Perciò il discorso fallico è necessariamente un discorso di guerra e di morte, così come il fantasma materno è la madre senza l’Altro, e dunque nella chiusura mortale. Con un ideale indistruttibile che insiste pervicacemente sullo sfondo. Ecco da dove origina una politica locale e senza sbocco: idealizzato è il fraintendimento e rigettato il malinteso. Il discorso della caserma sfocia inevitabilmente nel bordello. La parata incrementa e riempie di significato la maschera. La maschera, che in quanto tale non può che rinviare a un’altra maschera, essendo semplicemente lo schermo, l’esca che dovrebbe rinviare a un oggetto sfuggente e inafferrabile, una volta formalizzata, assunta in nome del fallo, risulta marcata anfibologicamente, ovvero contrassegnata da un difetto oppure da un eccesso. La maschera, alternativamente, sarebbe la copertura di un mostro oppure di un volto autentico che dietro di essa si celerebbe. L’oggetto sarebbe dunque affetto da un’assenza di trucco, quale segno di una cosmesi impossibile, oppure marcato da un eccesso. Questa polarizzazione corrisponde all’erotizzazione dell’oggetto. Occorre leggere Pirandello, lo splendido romanzo Uno, nessuno, centomila, per accorgersi che una maschera cela soltanto un’altra possibile maschera. Occorre leggere Bachisio Bandinu (la donna, lo specchio, la maschera) per accorgersi 3 che laddove non impera il discorso ideologico, come nelle maschere sarde dei Boves o dei Mamutones, la maschera non cela nulla. Così la donna sarda non concede nulla allo sguardo dell’uomo. Non si trucca, non si pettina, non si specchia per adeguarsi a una rappresentazione fallica dell’uomo. Non è oggetto erotico, semplicemente è oggetto che si sottrae. Il maquillage della donna sarda è rivolto a nessuno, come un racconto infinito in relazione al quale il destinatario coincide con l’emittente del messaggio. La donna est capra. Si sottrae continuamente all’imperio del nome del nome, in breve, al fallo. La sfilata delle maschere scure dei Mamutones certo può inquietare, con i loro campanacci, i loro balzi e i loro passi sghembi. Ma tutto avviene sempre nella contingenza e nell’avvio di un possibile infinito racconto. Non vi è alcuna significazione, biforcazione morale già istituita, fra angeli e demoni. Nel discorso occidentale sia la parata che la mascherata immobilizzano l’oggetto nell’ideale, nel fallo. La maschera diviene segno di un segno, maschera di una maschera che basta a se stessa. Un puro indice soltanto. La prostituta è la rappresentante inevitabile nella sfera sessuale, del dominio del fallo. Una prostituta non è più in grado di evidenziare l’Altro tempo della sessualità originaria, come avviene di solito con la maschera, l’esca, lo schermo, che si riferisce a un oggetto sembiante. Una prostituta non è più il contrappunto di questo oggetto che seduce in quanto sfuggente, in quanto, appunto è sembiante. Il tempo, l’estraneità e la singolarità dell’immagine, la sua inafferrabilità (ciò di cui può essere invece annuncio e messaggio la moda) sono anch’esse uniformate. L’altro tempo dell’immagine è abolito. Evidenziata è la maschera in quanto codice comune facilmente leggibile, immediatamente interpretabile. Colori sgargianti, provocatoria esposizione di un oggetto che in effetti è ridotto a feticcio, a una merce. Il fallo, maschera di una maschera, trova qui, nella prostituta il suo luogo di legittimazione e di impossibile autentificazione, il suo impossibile luogo di origine. Il bordello legittima e autentifica l’esistenza della caserma; occorre la maschera di una maschera per legittimare la parata. E’ possibile constatare che in entrambi i luoghi, caserma e bordello, l’anfibologia dell’erotismo, che interviene sempre sullo sfondo dell’ideale, sancisce il suo trionfo sulla sessualità originaria nella parola. 4