tramas - Festival del film Locarno
Transcript
tramas - Festival del film Locarno
Presenta TRAMAS un film di Augusto Contento 2008, 98’ Contatti : Giancarlo Grande CINEPARALLAX/HOBO SHIBUMI 191, rue du fbg. Poissonnière, 75009, Paris T. +33142811378 | P. +33619230054 E. [email protected] SYNOPSIS E DICHIARAZIONE DEL REGISTA Tramas è un musical thriller raccontato in forma documentaristica, girato a São Paulo, Brasile. Musical poiché le traiettorie dei personaggi vengono condotte da andamenti musicali che misurano percorsi individuali, collettivi e il trascorrere del tempo, interiore ed esteriore. Colonna sonora che traduce la quotidianità, il tentativo di orientarsi dei personaggi, in una coreografia spontanea, imprevedibile, astratta per la sua imprecisa monotonia e macchinosa artificialità. Lo stesso suono, ossessivamente polifonico e poliritmico, viene usato musicalmente per far da contrappunto ai discorsi, a certi movimenti o immagini, per rendere lo spazio visivo un auditorium, un orecchio di Eolo, in cui le cose risuonano - sirene della nostra avvizzita modernità - riverberando il loro canto lontano, atavico. Ogni oggetto diventa sensibile ed acustico, un dispositivo musicale in grado di tramutare il normale in poesia, capace di evocare luoghi passati e futuri. La musica stessa diventa oggetto : nella seconda composizione, in ordine di apparizione del film, il chitarrista georgiano David Daniell trasforma la sua chitarra in un reperto da rigattiere, un grammofono che suona un vinile 78 giri, in cui sentiamo sfrigolare il pulviscolo della memoria, la filigrana delle illusioni smarrite. Un samba astratto, genere tradizionale della musica brasiliana, che emette gli echi spettrali, maliconicamente quieti e rassegnati, di una città integrata nel suo ambiente, di un mondo semplice, naturale e dai valori arcaici, di un’ epoca e una società definitivamente tramontati. Per gli off ho usato dei filtri specifici, riflettendo sulla psicologia dei protagonisti e sulla tipologia degli argomenti. Ho lavorato sui filtri legati alla comunicazione telefonica, quindi segreteria telefonica, vivavoce, skype (la studentessa e la nuova generazione), vecchio centralino chiamate intercontinentali (la favelas luogo straniero, irraggiungibile, affondato in un passato che non diventa mai presente...), poi radio am per la domestica (per rendere il suo vetusto e ingiusto ruolo sociale, il suo villaggio rurale che ha le stesse fattezze della sua morale fiabesca, paesana ed anacronistica), magnetofoni, radiotaxi, walkie-talkie, radio a valvole, a transitor… Thriller perché il principio della trama si basa essenzialmente sul manipolare, su un’entità oscura, ancestrale, – essenza poetica, primigenia e platonica del cinema –, rappresentata nel film da un’ombra femminile che ordisce macchinazioni, monitora, tesse le fila del suo progetto perverso. Entità che nel suo elaborare meccanismi visionari, falsificare gli indizi/immagini che di volta in volta emergono dall’ indagine filmica, esclude ciò che non ritiene osservabile, 2 percepibile, creando così l’idea del vero, ossia un’interpretazione soggettiva, pretestuosamente parziale, della menzogna, giacché la verità è sempre frutto, traccia inconfutabile, dell’inganno. Inoltre in tre parti fondamentali del film, inizio, parte centrale e finale, vengono intervallati da tre interludi - delle vere e proprie pause musicali usate per sottolineare il senso del visto e visibile - che rivestono la funzione di sospendere il senso, di moltiplicarlo nelle sue varie possibilità ed accezioni, per renderlo misterioso, indecifrabile ed inevitabilmente attraente. Di conseguenza il mistero diventa l’elemento chiave della ricerca, dello scoprire (scoprire solo per apprezzare le molteplici sfaccettature del mistero) e del piacere, poiché dovrebbe essere naturale negli uomini decodificare ciò che non si conosce, interrogarsi per scoprire nuovi modi di percepire. Quattro musiche del film sono composte su una concezione thriller. I due pezzi di Peter Zummo vengono utilizzati nelle sequenze dinamiche ed intricate dei mosaici ferroviari e durante il pedinamento di un personaggio femminile. Il trombonista newyorkese ha costruito la sua opera fondendo e mutando varie colonne sonore thriller, ispirate al Lalo Schifrin della coppia Don Siegel/Eastwood, « Point Blank » di Boorman 1968, dai serial polizieschi americani dei ‘70, tipo « Police Story », tratto dalle storie di Joseph Wambaugh, « Street of San Francisco », tra i cui protagonisti spiccava Karl Malden. La seconda musica è eseguita dal dj Daniel Givens, che con le sue texture di free jazz black power, funky, soul in stile Motown, rimodella in maniera più sofisticata e contemporanea atmosfere blaxploitation e certi hard boiled iperrealistici dei ‘70. Le ambientazioni musicali descrivono i sotterranei della città, dei passeggeri schiacciati dai multiformi ingranaggi della metropolitana, l’intrecciarsi dei treni, delle partenze, arrivi, degli adii e dei ritorni. La terza composizione dell’italocaliforniano Gino Robair parte nel secondo interludio dell’ ombra femminile : sentiamo fruscio di nastri deteriorati, bobina, usati come micropercussioni che si tramutano in filigrana dell’immagine, restituendone senso ed intensità, noise emesso dalla percezione dell’ombra femminile. La quarta composizione di Chris Brown viene usata in una delle tante fughe metropolitane e nel finale. Il compositore californiano rielabora il folklore brasiliano, il tropicalismo di Veloso, in chiave suspense, evocando le atmosfere di Bernard Herrmann, compositore delle migliori colonne sonore di Alfred Hitchcock, ma in modo destrutturato, creando variazioni, deviazioni, ramificazioni capillari, che generano una musica prismatica, una visione sfaccettata che emana riflessi e direzioni molteplici. Anche il suono è in parte thriller. Un ammasso di onde radiofoniche, registrazioni che si ripetono, neanche se le voci, le vite, il costante fragore della città, fossero un white noise preregistrato e premeditato. Una comunicazione 3 evidentemente manipolata, controllata, distorta, scelta... Con i filtri sonori ho modificato le voci dei protagonisti, per dare l’impressione che queste provenissero da magnetofoni anni ‘70 (sonorità ricostruite a partire dai registratori utilizzati nel film « The Conversation » di F.F.Coppola, 1974), da microspie (voci ricostruite sullo stesso timbro di Jane Fonda in « Klute » di A.Pakula, 1971). La forma documentaristica è dettata dal fatto che la ricerca del vero si ottiene solo attraverso la finzione della realtà (questa realtà è versione totalizzante della finzione) e della relativa verità che essa propaga ed impone per certificarsi. Fingere significa uscire dalle abitudini della propria identità e routine, non limitarsi ad essere solo se stessi nello squallido monolocale in affitto nelle remote periferie della nostra vita ad orologeria, clockwork. Fingere per trovare, recuperare, il senso più profondo, l’essenza dell’essere, strumento ideale per documentare e testimoniare l’autenticità dell’esistenza, della natura e del mondo. Fingere è la volontà d’ illusione, espressione più alta, sublime, della volontà di verità. Tramas è una riproduzione dello spazio metropolitano in quanto trama complicata, spesso contorta, che modella, spesso piega, i destini degli uomini. Il ruolo principale, quello della cinemetropoli appunto, viene impersonato da un’ombra femminile, espressione di sensualità sfuggente, effimera, divinità pagana e cosmogonica. Desiderio dalle mille sembianze – mia idea di percezione e cinema – che cambia i moventi, i responsabili della realtà a suo piacimento, assecondando le epifanie del momento. Il film parte con la scansione biblica del countdown. Un eco ripetitivo, liturgico risuona nel crepitare del buio intermittente, formato da uno stratificarsi di tessuti organici, umani, animali, vegetali, minerali : un corpo si sta plasmando perché un altro è sul punto di disfarsi. S’inizia, lo sguardo, la consapevolezza dell’essere umano ed il cinema si originano nell’oscurità, nella notte dei tempi (le pitture rupestri dei primitivi costituiscono la prima testimonianza di fotogrammi e sequenze cinematografiche). Camera scura/mente in cui si partoriscono le visioni, le sensazioni di sé, genesi in cui si elabora la sensibilità del proprio corpo. Il primo essere non parla, non scrive, non si vede. L’ essere femminile (è femminile perché la fantasia è il primo senso degli uomini, matrice della loro identità, femminile in quanto corrente, uno degli innumerevoli panta rei del divenire umano) si scopre attraverso il baluginio tremolante della sua ombra e successivamente attraverso i disegni della sua immagine. Ombra che vive in una dimensione liminale – l’orbita, occhio, caverna – in cui confluiscono immaginazione e reale. Tale dimensione assume in Tramas le forme di camere sempre riverberate dalla luce aranciata del crepuscolo, che 4 rappresenta la percezione del declino. Da questi interni « Lei » entra ed esce in continuazione, tentando di usare l’immaginazione per creare o condizionare il reale e viceversa (avvertiamo fisicamente il rumore di questa passione, dell’atto creativo, tramite il free core degli italocanadesi Foodsoon). Camere del crepuscolo – dell’essere che arde, riflette e si consuma – da cui l’ombra manipola il tempo e pertanto il senso della storia, determina la qualità ed il succedersi degli argomenti, dei fatti, s’immedesima, sceglie, inventa i personaggi migliori, coloro i quali possono meglio tradurre la sua visione dello stato delle cose. Gli altri protagonisti del film sono dieci paulistani differenti per età, sesso, classe sociale e background culturale, le cui vite si mescolano, confondono, si riflettono l’un con l’altra, in un dispositivo narrativo rigorosamente speculare, rivelando una visione che prescinde dalle parole e dagli intrighi lineari della storia. Dieci protagonisti che tentano di interpretare se stessi, di comprendere il significato delle loro parole per definire il luogo e il tempo in cui vivono, e le cui testimonianze appaiono estremamente significative : rappresentano al di fuori della loro singolarità, tradizioni, credenze e nazionalismi, intricandosi in un complesso tessuto polifonico. La narrazione si comprime in un giorno di poche ore, con un inizio che prevede una conclusione ma non una fine, né un fine e nemmeno un buio. Giorno sempre uguale perché incompiuto, che nel suo ripetersi distorce il suo senso del tempo e dello spazio. Nella sequenza iniziale del film i primi protagonisti dormono, poi si svegliano, si spostano nelle loro case, filmate e montate come se fossero tante camere di un’unica casa, São Paulo, i cui suoni, ricordi, abitudini, impregnano proustianamente muri, superfici, specchi, gli abiti e le apparenze dei suoi inquilini. Una casa dipinta con i colori saturi, pastosi, ecessivi che cercano di riecheggiare i technicolor ’50 dei melodrammi di Sirk, per far si che gli interni degli immobili diventino interiorità, posti irreali, estremamente fiabeschi per il loro sentimentalismo. Terminati i loro riti religiosi i paulistani si preparono ad uscire. Sergio l’architetto, Duncan lo straniero, Alda la domestica, Silvia la studentessa, Ute la pedagoga, Buzo lo scrittore di periferia, Jorge il taxista, Lucia la gastronoma, De Antiga il rapper, Alex lo chef, percorrono e reinterpretano i loro itinerari abituali, uno spazio interiore, espressione d’irrazionale logica, plasmato da movimento, sguardo e le forme labirintiche del luogo osservato o più probabilmente immaginato. I protagonisti, essi stessi primi spettatori di sé stessi, condividono con gli spettatori le loro esperienze personali, attraverso cui ricostruiamo le "trame" frammentarie, dunque più dettagliate, ramificate e molteplici, della metropoli più grande del Sud America, identikit dell’attualità vecchia ed amoderna e dell’ irrefrenabile desiderio di desiderare. 5 Gli edifici vengono colti solo in movimento, ricostruiti attraverso l’immagine in movimento, poiché è l’azione che scolpisce i contorni delle cose. São Paulo si scorge solo negli spostamenti dei suoi abitanti, perché, come sostengono i paulistani, è una città che non si vede, che non si relaziona in uno spazio pubblico, comune. Nei primi quaranta minuti la vediamo solo con i mezzi di trasporti, nei sotterranei del metro. È una città che si nasconde, che esiste all’interno, nel privato, non la si può ritrarre attraverso i suoi esterni, le facciate, gli stili architettonici. In questa fase le musiche diventano particolarmente esotiche, ossia apparentemente riproducono atmosfere naturalistiche ed intricate, delle land music che ci parlano di specie mai conosciute e spaventose, di figure bizzarre e sospettose, di luoghi fantasmagorici. Nelle tessiture liquide, grumose, del pianista neozelandese Chris Abrahams l’austera avenida Paulista, cuore economico di São Paulo, viene descritta come una giungla inestricabile, una densa vegetazione di cemento ed asfalto. Nel folklore minimalista, tribale, del multi-percussionista Jim Pugliese la città è un territorio ancora inesplorato, alieno e vergine allo stesso tempo, in cui i suoi meccanismi, strutture, sono monoliti da cui risuonano gli echi di civiltà antichissime, estinte, di un passato mai realmente studiato e riconosciuto, che come fantasma si aggira per le sue strade reclamando giustizia. Nel folktronic contemplativo del percussionista/chitarrista australiano Tony Buck il centro antico e decadente della città diventa uno spazio illimitato, epico, un viaggio/rito di passaggio verso la scoperta di nuove frontiere. Nel folk scarabocchiato e svogliato del chitarrista bretone Noël Akchoté la periferia indefinita si trasforma in un territorio bucolico, ludico, uno spazio che si può ancora recuperare. Nell’esecuzione del multi-percussionista svizzero tedesco Günter Müller Liberdade, quartiere giapponese di São Paulo, è un mondo sommerso dalle acque, in cui le prospettive architettoniche, le dinamiche del film ed il paesaggio circostante si trasformano in delicati ricami d’ ikebana. La camera di sorveglianza, costantemente in movimento, pedina i protagonisti del film su treni, taxi, bus, metropolitana, tessendo una ragnatela rizomatica che modifica lo spazio fisico e percettivo. Cinespecchio che svela i misteriosi rituali del quotidiano e le dimensioni distopiche, parallele, degli spazi hypermetropolitani, culturali e sociali che caratterizzano la decadenza nuova di zecca (nuova solo perché recente, ma mai innovativa esteticamente ed eticamente) della città odierna. I quadri tramutano le stanze, le strade, i quartieri, le architetture in una struttura altra, contestualizzata e ridefinita nel tempo reale dello sguardo, nel dipanarsi delle vicende vissute. Una topografia del sentire – che individua i limiti dell’io, del landscape osservato – da cui s’ irradiano le impressioni, la rêverie di ricordi dei dieci protagonisti. Protagonisti che non comunicano mai direttamente la loro vita, come se venissero plagiati da qualcosa o da qualcuno, da una volontà inintelligibile, nemmeno se le loro esperienze risultassero una mera emanazione 6 degli intrecci metropolitani. Si generano degli universi paralleli, virtuali, che si sovrappongono senza incontrarsi, compararsi. La realtà si riduce alla sua essenza di proiezione, di spazio ipnotico. Tutto viene sempre filtrato, articolato, da vari tipi di medium, da meccanismi artefatti, come se le persone non potessero vivere in diretta, in tempo reale, seguendo autonomamente la propria personalità ed esperienza, creature private del libero arbitrio. I tantissimi schermi presenti nel film atomizzano percezione e spazio, li rendono un universo che funziona su una meccanica quantistica, in cui la nostra realtà interiore, onirica, razionale, collettiva, storica, è soltanto uno degli innumerevoli interstizi che caratterizzano lo spazio-tempo. Gli uomini, i passeggeri, si rivedono sempre in differita, attraverso l’immagine trasmessa e veicolata da monitor di sorveglianza, tv, lettori video, dvd, cartoon, S8, 35 mm, fotografie digitali, camere digitali, diapositive, opinioni di qualche illustre commentatore. L’esperienza concreta, pratica, si neutralizza. L’uomo, e di conseguenza il mondo, soccombe e viene sostituito dalle milioni di effigi propagandistiche, di identità ed esistenze virtuali, rifiuti visivi, tossici, che quotidianamente produce e di cui ormai ha perduto il controllo. Gli esseri umani non vengono più sostituiti da sosia, doppi, ultracorpi, come accadeva nei dorati anni cinquanta. Non c’è più bisogno di una seconda o altra creatura. Oggi gli uomini, di spontanea volontà, si trasformano in ultracorpi, alieni da se stessi. Tutti si assomigliano, hanno sembianze familiari, eppure nessuno vive dentro quei corpi, clandestini della propria cultura, memoria e sensibilità. Adesso « Essi vivono » in un’unica identità informe trasmessa, 24 ore su 24, dai media. La fine invece si contrappone nettamente all’inizio, alla concezione archetipica del cinema tradizionale : una fine serve per spiegare, giustificare, avvalorare, l’inizio. Abbiamo attraversato la megalopolis, la vita, accumulando un certo numero di congetture, di simboli, immagini, più o meno vere, più o meno false. Pertanto tale pluralità, una tale moltitudine, non può esprimersi con la fine ma attraverso una serie di finali. Il primo finale comincia con la mia canzone Paula, interpretata dalla cantante altoatesina Margareth Kammerer, dal contrabassista austriaco Werner Dafeldecker e dal batterista australiano Steve Heather, usata più come testimonianza poetica di ciò che non si è visto, un canto della seduzione dedicato al gioco delle apparenze. Entrando nel tunnel scivoliamo nel secondo finale, nelle interiora/viscere della città (esplorare una città significa ricostruire l’urbanistica della propria identità, popolo, nazione, mondo), dell’uomo. Infine si riemerge nel terzo finale, nelle stanze dell’immaginazione ormai reale, del reale immaginifico, dell’ombra e il suo eterno crepuscolo. L’ombra femminile continua a manipolare, a selezionare ed immagazzinare immagini perché lo spettacolo deve continuare a persuadere, a produrre massa indistinta, di allegorie, dati e persone. Il film/storia/tempo deve ripetersi, con 7 dei lievi scarti cronometrici (i secoli), per persuadere gli uomini della sua rapida immobilità, mostrando una realtà che esprime sempre lo stesso senso, benché sia completamente differente da ciò che stiamo vedendo. Per la prima volta ammiriamo il cielo, scopriamo l’interno della camera attraverso cui il film è stato tramato ed ordito, letteralmente ricalcato sulle strutture degli interni e del paesaggio contemplato. Tramas è sul punto di terminare, l’ombra esce, la camera vuota, i monitor accesi. L’orizzonte si scompone nelle tante prospettive frammentarie degli schermi finestre, nelle veneziane di Schrödinger. L’ombra femminile rientra, si sovrappone nel suo incedere sul profilo oscuro della metropoli (quartiere di Vila Madalena fulcro della vita culturale ed artistica di São Paulo), sempre più deformato, indistinguibile, poi se ne va di nuovo, furtivamente, lasciando tutto alla luce rosso sangue, ai dripping del primo tramonto vero. Nel quarto ed ultimo finale la vita dell’uomo viene rappresentata (miniaturizzata, approssimativa per la qualità a bassa definizione, nel monitorino della cinecamera che continua a filmare) dall’ennesimo passaggio sotterraneo del treno che si ripete all’infinito, in dei differenti spazio-tempo, nelle gallerie tenebrose del destino, nella rete metropolitana del destino. Un passaggio di cui nessuno sembra riuscire a cogliere il senso o le prospettive. Il quinto ed ultimo finale è un ritorno alle intermittenze dell’agognato buio, composto ancora da uno stratificarsi di tessuti organici. La mia canzone Amor – interpretata sempre dalla Kammer, dal trombettista berlinese « brut » Axel Dörner, il contrabassista austriaco Werner Dafeldecker e le percussioni riprocessate dello svizzero tedesco Günter Müler –, accompagna il succedersi lapidario, funereo, dei nomi degli autori e dei protagonisti. Le parole delle canzone ci parlano della brama di amare, di amare l’amore, a prescindere da ciò che siamo e ciò che diventeremo e in che luogo abiteremo. Un’amore che nasce dall’assenza, dalla consapevolezza della morte, della tenebra, perché la morte è la mater dell’amore, dell’immaginazione. La morte è una donna, assennata e seducente, che continuamente ci ispira spingendoci verso l’unicità irripetibile della vita. 8 SCHEDA ARTISTICA Regia: Augusto Contento Produzione: Augusto Contento Giancarlo Grande Sceneggiatura: Assistente alla regia e alla scrittura: Direzione della fotografia: Augusto Contento Kênya Zanatta Enrico Mandirola Augusto Contento Augusto Contento Chris Abrahams, Nöel Akchotè, Chris Brown, Jim Pugliese, Margareth Kammerer, Axel Dörner, Günter Müller, Peter Zummo, Gino Robair, Werner Dafeldecker FoodSoon, Daniel Givens Enrico Mandirola Ricardo Filomeno, Gabriel Malaquini Rodrigo Elias (Mary Post) Cristiano Pinheiro, Paolo Segat Pedro Lima, Paolo Segat at SAM Progetto sonoro e musicale: Musiche originali: Musiche non originali: Montaggio immagine: Motion Design: Animazione 3D: Montaggio suono: Mix: PRODOTTO DA Cineparallax/Cineparalleli Hobo Shibumi Pàlé Films-Pirates à l’écran IN COPRODUZIONE CON Filipe Fratino ILA Palma Produzioni/Dream Film 9 SCHEDA TECNICA Titolo originale: Durata: Anno di produzione: Nazionalità: Supporto di registrazione: Supporto di proiezione: Formato: Screening Ratio: Colore/Bianco e Nero: Audio: Versione originale: Sottotitoli: Contatti della Produzione: Telefono: Email: WEB: Sales: TRAMAS 98’ 2008 Francia, Italia, Brasile DVCam DIGIBETA PAL 4:3, 1,33:1 Colore Digital Dolby 5.1 Portoghese Francese Italiano Inglese Cineparalleli Hobo Shibumi 191 rue du Fbg. Poissonnière 75009 Parigi (Francia) +33.(0)9.54.69.30.68 [email protected] www.cinetramas.com Giancarlo Grande +33(0)6.19.23.00.54 [email protected] 10 BIO FILMOGRAFIA DEL REGISTA Augusto Contento è nato a Lanciano (Chieti) nel 1973 e vive a Parigi dal 2000. Onibus, il suo primo documentario, è stato presentato al Museo dell'Immagine e del Suono di São Paulo (Brasile) e ha vinto la Vela d'Oro nel Bellaria Film Festival Anteprima.doc, l'Ovidio d'oro per il miglior film e per la regia al Festival di Sulmona e il premio del miglior documentario all'Ischia Film Location Festival. Tramas, il suo secondo film, è stato selezionato all’International Film Festival Locarno. Augusto Contento ha appena terminato di montare il suo terzo film, Strade Trasparenti. FILMOGRAFIA - STRADE TRASPARENTI, autore/regista/progetto sonoro e musicale, 90’, girato in DvCam, Suono Digital Dolby 5.1, 4:3, 1,33:1, 2008. Prodotto da Cineparallax/Hobo Shibumi (FR) ACQUISTI TV: - YLE, Finlandia - TRAMAS, autore/regista/progetto sonoro e musicale, 98’, girato in DvCam, Suono Digital Dolby 5.1, 4:3, 1,33:1, 2008. Prodotto da Cineparallax/Hobo Shibumi (FR), Pàlé Films (FR) In coproduzione con IlaPalma Produzioni (IT) e Filipe Fratino (BR) SELEZIONE AI FESTIVAL: International Film Festival Locarno (Svizzera), 2008, Bellaria Film Festival (Italia), 2008 PROIEZIONI: - Cité de l’Architecture et du Patrimoine, Parigi (FR) all’interno della manifestazione Séquences d’Architecture - ONIBUS, autore/regista/progetto sonoro, 55’, girato in DvCam, Suono Digital Dolby 5.1, 4:3, 1,33:1, 2007. Prodotto da Cineparallax/Hobo Shibumi (FR) In coproduzione con Pàlé Films (FR), DGT Filmes (BR), Imbarco per Citera (IT). PREMI: - Miglior documentario al Bellaria Film Festival (Italia), 2007 11 - Miglior documentario all’Ischia International Location Film Festival (Italia), 2007 - Miglior film al Sulmona Cinema International Film Festival (Italia), 2007 - Miglior regista al Sulmona Cinema International Film Festival (Italia), 2007 SELEZIONE AI FESTIVAL: Bellaria Film Festival (Italy), 2007, MIS (Museum of Image and Sound) Sao Paulo (Brazil), 2007, A-3Art contemporary art Festival of Paris (France), 2007, Ischia International Location Film Festival (Italy), 2007, FID Marseille Video Library (France), 2007, Rencontres Internationales du Documentaire de Lussas Video Library (France), 2007, Santancargelo dei Teatri Festival delle Arti (Italy), 2007, Sulmona Film Festival (Italy), 2007, Calabria Film Festial (Italy), 2007, Roma Film Festival (Italy), 2007, Quintessence - Festival International du film de Ouidah (Benin), 2008, One World – International Human Rights Documentary Film Festival, Prague (Czech Republic), 2008, opening of the Contemporary Music and Film Festival at Leeds (UK) at the Opera North of Leeds, with the orchestration of composer Mira Calix, performed by Opera North of Leeds Orchestra, U.K., may and june 2008, Pozzuoli Film Festival (Italy), 2008, Flower Film Festival (Italy), 2008, One World – International Human Rights Documentary Film Festival World Tour, Madrid (Spain), 2008. PROIEZIONI: - Cinema Libero Luxorio, Belém, Brasile - Maison de l'Amérique Latine, Parigi, Francia - Casa del Cinema, Roma, Italia ACQUISTI TV: - Raisat Cinema, Italia - STV, Brasile PROGETTI IN PRODUZIONE ° LUNGOMETRAGGI DOCUMENTARI - STRADE D’ACQUA, inizio riprese previsto in luglio 2008, autore e regista, Hdv e Super8, 90’, 16:9, Suono : Digital Dolby 5.1 - PARALLAX SOUNDS – Chicago on the postrock, inizio riprese previsto nel 2009, autore e regista, Hdv e Super8, 90’,16:9, Suono : Digital Dolby 5.1 12 PROGETTI IN SVILUPPO ° LUNGOMETRAGGI - FLAMME FATALE, autore e regista, 35mm Prodotto da Cineparallax/Hobo Shibumi - SURF, autore e regista, 35mm Prodotto da Cineparallax/Hobo Shibumi 13 CONTATTI, DISTRIBUZIONE E STAMPA: Giancarlo GRANDE Cineparallax/Cineparalleli Hobo Shibumi 191, rue du Fbg. Poissonnière 75009, Paris - FRANCE Tel : +33.9.54.69.30.68 Cel : +33.6.19.23.00.54 E-mail : [email protected] Website : www.cineparallax.com 14