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Fuori Collana
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(Collana diretta da Dino Paris)
© 2005 Oreste Sagramola
ISBN: 88-7853-006-9
Iª edizione febbraio 2005
Edizioni SETTE CITTÀ
Via Mazzini 87
01100 Viterbo
tel 0761354620
fax 0761270939
[email protected]
www.settecitta.it
Oreste Sagramola
Educazione e pedagogia
in Giovanni Bosco
SETTE CITTÀ
Introduzione
Nell’Ottocento romantico e risorgimentale, la nuova
atmosfera culturale e le urgenti istanze di formazione della
coscienza civile e politica del popolo, onde “fare gli Italiani
dopo aver fatto l’Italia” – come esorta acutamente Massimo
D’Azeglio – sollecitano un’educazione autentica quale fattore
essenziale allo scopo.
Nello sforzo di rinnovamento educativo e scolastico si
distingue l’opera di studiosi, uomini di governo e di scuola,
non di rado divisi da vedute politiche conservatrici o progressiste, da impostazioni metodologiche tradizionali o moderne,
dall’appartenenza all’ambito laico o cattolico, ma tutti ugualmente protesi verso la meta dell’affermazione della dignità
dell’uomo.
Nella pedagogia dell’‘800, autori come Giuseppe Mazzini, Giandomenico Romagnosi e Carlo Cattaneo, accentuano il carattere nazionale e politico dell’educazione, mentre
la nutrita schiera dei pensatori e maestri cattolici (Antonio
Rosmini, Vincenzo Gioberti, Ferrante Aporti, Gino Capponi, Raffaello Lambruschini) ne privilegia gli aspetti morali e
religiosi.
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In questo complesso e articolato panorama, si distingue, per profondità di intuizioni e per ricchezza e multiformità di opere, la figura di Giovanni Bosco, sacerdote piemontese,
che Angiolo Gambaro definisce educatore e pedagogista nella
pienezza della tradizione cattolica. “Ebbro di Dio e pieno di
umanità operante, fisso lo sguardo al Cielo e sensibilissimo
ai doveri di solidarietà che lo stringono verso i compagni di
viaggio sulla terra, è il più singolare dei creatori e degli organizzatori d’imprese educative che sia balzato alla luce della
storia moderna. Senza partecipare ai fermenti del suo secolo,
ne avvertì i gravi bisogni e le insopprimibili tendenze, vi si
adattò con la tranquilla elasticità del Cristianesimo sempre
antico e sempre nuovo, perché inesauribile ed eterno, con
l’accettazione integrale del suo tesoro di verità e di mezzi salutari, con la leale subordinazione alla gerarchia ecclesiastica,
con l’adeguazione gioiosa delle esigenze della fede alle necessità delle anime e alle condizioni della vita1.
La missione di Don Bosco, allo stesso tempo religiosa,
educativa e sociale, consiste innanzitutto nel prendersi cura
della gioventù «povera, abbandonata, pericolante» per riscattarla dalla sua triste condizione attraverso un progetto di vita
che mira a formare «onesti cittadini e buoni cristiani». Questo fine, apparentemente semplice e invece difficile, talvolta
contrastato, con tempi lunghi di realizzazione, richiede, per
attuarsi in ampio raggio, strutture e strumenti che Giovanni
Bosco crea in misura imponente (oratori festivi, scuole serali,
scuole diurne, scuole di arti e mestieri, laboratori per giovani
artigiani, colonie agricole, istituti industriali, collegi, interna1
Cfr. A. Gambaro, La pedagogia del Risorgimento, in: Nuove questioni di storia della pedagogia, Editrice La Scuola, Brescia 1977,
vol.2, pp. 764 - 765
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ti, ospizi di beneficenza, propaganda della buona stampa, assieme ad una congregazione religiosa, quella dei Salesiani, che
diffonde i principi e gli insegnamenti del fondatore nei vari
continenti), ponendo sempre alla base delle sue istituzioni il
rispetto della persona umana anche nei soggetti più emarginati, il controllo della libertà, uno spirito religioso aperto e
sereno, l’impulso dato alle attività artigianali, la valorizzazione del lavoro quale via per sfuggire all’ozio, il rispetto della
nazionalità.
Giovanni Bosco non è un teorico della pedagogia, né
un tecnico della didattica, né uno studioso dei problemi scolastici, come lo sono, rispettivamente, Rosmini, Lambruschini, Aporti, Rayneri. Però sa attingere alla sua vita e alla sua
profondità spirituale quelle intuizioni risolutive che connotano la sua educazione e la collocano saldamente su tre essenziali piedistalli: la ragione, per conoscere e capire i ragazzi; la
religione, per guidarli al fine della salvezza; l’amorevolezza e
bontà, come sostanza del rapporto educativo.
Pur restio in linea di principio ai sistemi educativi in
genere, Don Bosco tuttavia si consegna di diritto alla storia
della pedagogia con il suo “Sistema preventivo nell’educazione della gioventù” (1877). Tale metodo, inteso come amorevole e premurosa prevenzione dell’errore da preferire sempre
alla dolorosa repressione di esso, è sentito e proclamato da
Giovanni Bosco come una identità educativa sua propria
e della congregazione salesiana in questa lettera dell’agosto
1885 indirizzata a Don Giacomo Costamagna e ai Salesiani di
Argentina: “Il sistema preventivo sia proprio di noi. Non mai
castighi penali, non mai parole umilianti, non rimproveri severi in presenza altrui. Ma nelle classi suoni la parola: dolcezza, carità e pazienza. Non mai parole mordaci, non mai uno
schiaffo grave o leggero. Si faccia uso dei castighi negativi, e
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sempre in modo che coloro che siano avvisati, diventino amici nostri più di prima o non partano mai avviliti da noi”.2
La grandezza e l’attualità dell’opera educativa di Giovanni Bosco sono provate dalla fecondità e dalla diffusione
che alcuni suoi principi hanno anche oggi. Certamente, un
giudizio obiettivo sull’opera e le concezioni del sacerdote piemontese deve osservare alcune necessarie avvertenze metodologiche: la considerazione del carattere religioso della sua
educazione; l’estensione che questa ha avuto, in quantità e
qualità, nel tempo che ci separa da lui; la condizione dei giovani di oggi certamente molto diversa da quella dell’epoca di
Giovanni Bosco.
La storia si incarica - osserva Giuseppe Calandra - di
porre una chiara distanza tra il concetto boschiano di prevenzione, fondato su “una assistenza educativa che assume
forma e sostanza di letterale insistenza del maestro sull’allievo, tale da predeterminare ogni suo passo, ogni suo pensiero,
ogni sentimento”, e quello elaborato oggi da una padagogia
fondata su basi psicologiche e sociali, che “si richiama ad un
autonomo senso di responsabilità, coltivato progressivamente
nell’alunno col promuovere il sorgere in lui di attitudini intellettuali e pratiche attraverso la disciplina della spontaneità,
che è liberazione e libertà”.3
Pur con questo limite, la pedagogia di Don Bosco appare illuminante e lungimirante per altri versi. Il suo principio dell’amorevolezza del docente verso l’allievo riceve oggi
Lettera riportata in: P. Braido, Il sistema preventivo di Don Bosco, Torino 1955, p. 40
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Cfr. G. Calandra, La pedagogia italiana dell’Ottocento, in: La
pedagogia , Casa Editrice Francesco Vallardi, Milano 1977, vol.
8, p. 809
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avallo da alcune correnti scientifiche contemporanee (vedi,
per esempio, la “psicologia umanistica” di Abraham Harold
Maslow e la teoria della “non direttività” di Carl Ranson Rogers) che considerano l’affettività fattore essenziale di crescita
dello scolaro.
L’impegno educativo boschiano, come risposta significativa alla forte domanda di rigenerazione umana; la rilevanza sociale e il peso culturale che Don Bosco attribuisce all’educazione, trovano precisa conferma, nel ‘900, per esempio
nell’opera e nella dottrina pedagogica di Maria Montessori.
Infine, l’alta e “provocatoria” lezione che Giovanni Bosco dà alla società del nostro tempo, tanto spesso disattenta o
addirittura violenta verso l’infanzia, additandole il primario
compito di occuparsi della adolescenza e dei problemi di essa
che non sono solo materiali e sociali (povertà, marginalità),
ma anche esistenziali e morali (disagio e devianze giovanili,
carenze di valori e di ideali).
L’Autore
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