Indice - LA VITA AL CENTRO

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Indice - LA VITA AL CENTRO
Indice
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Trenta quaranta tutto il mondo canta di Dolziana Chiotto
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Il volo della farfalla. Perché mi occupo di educazione. di Luisella Piazza
Capitolo primo
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Cos’è la biodanza
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L’etica biocentrica
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Il principio biocentrico
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Educazione biocentrica
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Educazione biocentrica per la biodanza
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Metodologia biocentrica
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Educazione affettiva
Capitolo secondo
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L’approccio di Marta Nussbaum “Non per profitto”
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L’approccio di Giuliana Mieli “Il bambino non è un elettrodomestico”.
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L’approccio di Alessandro Bertirotti “La mente ama”,
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L’approccio di Gloria Germani “A scuola di felicità e decrescita” il progetto Alice,
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Ritmo: la vita che pulsa.
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La musica in biodanza.
Capitolo terzo:
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Conclusioni “La biodanza fa la differenza”
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La scuola biocentrica di Torino “La vita al centro, bambini e genitori”
51Bibliografia
Trenta Quaranta tutto il mondo canta
di Dolziana Chiotto
Tranta quaranta
Tut al mund a canta
Canta lo gallo
Risponde la gallina
Madama Franceschina
Seduta sla finestra
Cun tre culumbe an testa
Cun tre culumbe an man
Suta i punti ad Milan
Suta i punt ad Tortona
A pistavu l’erba buna
L’erba buna ben pistà
Franceschina namurà
Namurà din cavaliè
Pisa pisa antel bicer
Tuira tuira cun al dil
Tasta tasta sa lè saurì
Questa è la prima canzone che ho imparato da bambina. Avevo due anni e me la facevano
cantare continuamente, forse perché trovavano divertente che una bimba così piccola sapesse
cantare una filastrocca così lunga, in dialetto e senza sbagliare neanche una parola. Lavorando
con i bambini ho scoperto che non è poi così strano, specialmente per quel che riguarda le femmine. Il mio amor proprio ne ha sofferto un po’, ma me ne sono fatta una ragione.
Questo però non mi ha fatto perdere l’amore per la musica e per il canto anzi, ha sviluppato
in me una grande capacità di ricordarmi le parole delle canzoni che ascolto, anche a distanza di
anni. Ancora oggi alcuni miei amici mi chiamano jukebox perché basta una parola e a me viene
immediatamente da associare una canzone e in genere mi ricordo parole, titolo e interprete.
In casa mia si cantava molto. Mio padre cantava nel coro degli alpini. Io e lui cantavamo
sempre specialmente mentre io lavavo i piatti. Cantavamo le canzoni che mi aveva insegnato
lui, quelle degli alpini e quelle della sua generazione. Questo mi ha fatto sentire molta nostalgia quando se n’è andato, purtroppo molto presto. Papà mi ha trasmesso anche l’amore per il
ballo. Il ballo liscio: il valzer, il tango, la mazurka, la polka. Ho imparato prestissimo a ballare
e mi piace tantissimo ancora adesso. Quando posso vado a ballare, anche se ormai solo più le
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persone anziane sanno ballare il liscio. Non importa, io, quando capita, vado con mia madre e
il suo compagno che hanno settantacinque anni e mi diverto molto.
Quando nel 1970 i miei genitori hanno preso in gestione una grande bocciofila sono entrata
in contatto con il mondo dei giocatori di bocce e di carte e con gli ubriachi. Il bel mondo del
canto insieme a papà si è interrotto perché non c’era più tempo per farlo. I miei genitori lavoravano sempre e non avevano più molto tempo per noi. Anche l’educazione scolastica, purtroppo,
ne ha risentito. E così, per tutto quel tempo, ho fatto quel che ho potuto per sopravvivere a quel
mondo. Per fortuna amavo leggere, perché ho avuto, ed ho ancora, una zia che mi ha trasmesso
l’amore per la lettura. Ricordo che mi nascondevo per poter leggere tranquilla. Leggere era
considerato un po’ una perdita di tempo perché c’era molto da lavorare e i miei avevano bisogno anche del mio aiuto. Non ricordo di aver incontrato maestri di vita in quel periodo oltre zia
Ivana. I maestri sono venuti dopo, quando sono cresciuta e mi sono fatta una mia vita.
Carminio, che oggi è mio marito, è arrivato a farmi scoprire, oltre all’amore, un patrimonio
musicale molto più ampio. Lui è un ricercatore musicale sopraffino, ama il blues, il rock, il jazz
anche se non ha memoria per titoli ed interpreti. Per quello ci sono io che sopperisco. Io mi
ricordo il titolo, il gruppo e anche i componenti del gruppo. Carminio è anche un bravissimo
ballerino. Ci siamo conosciuti in discoteca e io avevo gusti musicali che si limitavano alla musica
leggera e alla musica da discoteca. Lui invece mi ha fatto scoprire i Pink Floyd, i Genesis, gli Eagles, i Fletwood Mac, Miles Davis, Ray Charles e molti altri ma, soprattutto, le canzoni e la musica
di Pino Daniele. “Quanno chiove” è la nostra canzone.
Alcune musiche di questi gruppi le ho poi ritrovare nelle sessioni di Biodanza.
Poi è arrivato il nostro primo figlio Leonardo e il mio patrimonio musicale si è ulteriormente
arricchito. Canzoni e filastrocche per bambini che arrivavano dall’asilo, dallo Zecchino d’oro,
dalla scuola. Io le imparavo a memoria molto più in fretta di lui. Anzi, a dire il vero, a me piacevano molto di più che a lui. Io ricordo ancora le canzoni che cantavo all’asilo.
Quando ci siamo trasferiti da Brandizzo a Torino ho conosciuto Cristiana, un’amica di mia
cognata che aveva bisogno di una baby sitter per Delia, la sua terzogenita. Dalla loro famiglia ho
imparato molte cose sull’educazione e sull’importanza del ritmo nella vita di un bambino. Con
loro ho cominciato un nuovo percorso di consapevolezza che poi ha indirizzato le mie scelte
future. Lavorare con Delia mi ha fatto desiderare intensamente di avere un altro figlio e poco
dopo è arrivata Emma, la mia secondogenita.
Attraverso Delia ed Emma il desiderio di lavorare coi bambini è cresciuto a tal punto che
ho deciso di iniziare un’ esperienza di micro nido. Ho così partecipato ai corsi che il Comune
metteva a disposizione delle mamme interessate.
Nel frattempo Cristiana mi ha fatto conoscere Luisella.
Luisella è stata la chiave di svolta nella mia vita. Ancora oggi mi accompagna nel mio percorso di educatrice. Insieme alle nostre figlie, allora piccole, Emma e Letizia, abbiamo fondato
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l’asilo steineriano. Insieme abbiamo seguito il percorso educativo delle scuole Waldorf, formandoci come insegnanti. L’esperienza della scuola steineriana non ha fatto che rinforzare la mia
intuizione dell’importanza del ritmo, non solo musicale, ma cosmico. Attraverso la pedagogia
steineriana ho potuto consolidare anche la parte musicale attraverso lezioni di canto. Ho imparato tantissime canzoncine per bambini, rinforzando così la mia memoria musicale. Ho potuto
di nuovo cantare con gioia insieme ai bambini come facevo con mio padre quando ero piccola.
Avevo bisogno di una struttura pedagogico-educativa, perché nella mia vita è mancata, e la pedagogia steineriana me l’ha data. Ma non bastava e la struttura, per me, per come sono fatta io,
era troppo rigida. Mancava una parte fondamentale: l’educazione che parte dal cuore.
Poi, sempre attraverso la mia dolce amica, sorella e compagna, Luisella, ho incontrato la
biodanza, che è per me una pedagogia per la vita. Insieme ad essa ho potuto incontrare un’altra
maestra di vita: Tiziana. Una donna meravigliosa che è diventata insieme a Luisella una terza
sorella. Insieme abbiamo fondato la scuola biocentrica ” La vita al centro. Bambini e genitori”
che è adesso il nostro mondo. Un mondo fatto di persone che lavorano insieme per un progetto comune. Questo progetto è l’educazione affettiva.
Al centro di questo progetto ci sono sempre i bambini, ma non solo, c’è la vita di tutti gli
esseri della terra e della terra stessa.
Oltre al percorso educativo, nella nostra scuola si canta e si suona. Facciamo Biodanza con
i bambini, con i disabili, con i genitori e con tutti quelli che lavorano con noi nella scuola. Attraverso la biodanza si possono esplorare mondi musicali di ogni genere. Con la biodanza ho
potuto scoprire il potere integrante della musica per l’essere umano.
In Biodanza la ricerca musicale si basa sulle emozioni che il brano musicale suscita nell’animo umano.
E quando canterai la tua canzone
la canterai con tutto il tuo volume
lasciando qualcun altro a commentare,
chè tu devi andare.
Luciano Ligabue
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Il volo della farfalla
Perché mi occupo di educazione
di Luisella Piazza
È tempo di ringraziare tutti coloro che
sento come presenze davvero significative
nella mia vita, nel mio percorso professionale
e in quello umano che sono facce diverse
di una stessa medaglia.
Prima di tutto ringrazio i miei figli,
Daniele, Nicolò e Letizia,
per avermi dato e per continuare
a darmi la possibilità di essere madre,
perché grazie a loro le domande
sono sempre aperte, perché mi fanno
sperimentare l’attaccamento viscerale e la distanza,
perché mi allenano ad una maternità universale,
mi aiutano a comprendere che non c’è niente di nostro
e che l’amore può solo essere libero da ogni interesse e gratuito.
Grazie a Delia e Maria Sole, mie ex allieve,
per aver dato alla mia vita professionale
nuove prospettive e punti di vista.
Maria Sole dopo il mio primo stage di biodanza e neosciamanesimo,
mi corre incontro e mi abbraccia, non l’aveva mai fatto prima.
Sua mamma Roberta, ora amica molto cara
e compagna di “visione” della vita,
mi dice: “Ma cosa hai fatto? Sei diversa!”
I bambini sanno tutto senza bisogno di parlare.
Grazie all’amica Cristiana per aver creduto
prima di me nella farfalla che potevo diventare.
Un grazie ancora alla mia compagna di viaggio Dolziana,
alla sua forza naturale, al suo cuore grande
e alla sua presenza quotidiana ed infine
un grande grazie a Tiziana, amica, maestra di vita,
compagna di viaggio, presenza attenta,
forza della natura, cuore grande.
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E venne il giorno
In cui il rischio
Che avrebbe corso
Restando chiusa nel bocciolo
Era più doloroso
Del rischio
Che avrebbe corso
Sbocciando.
Anais Nin
L’educazione è il tema conduttore della mia vita, il filo rosso.
Sono stata, come molti, credo, una bambina depauperata dei suoi talenti, chiusa in un posto
a me estraneo. Non biasimo più nessuno. È tempo di vivere con tutta l’energia e il coraggio che
abbiamo, siamo qua per portare qualcosa di buono, il resto è superfluo.
Da bambina guardavo da dietro i capelli coni miei occhi incerti schiere di adulti disperati,
facevano finta, tutti, e io mi chiedevo se essere grandi fosse così, cercavo qualcuno che mi raccontasse del sole che sorge al mattino, della meraviglia dell’universo, qualcuno appassionato
davvero ma trovavo solo visi rifatti, abiti eleganti e tanta solitudine. Mi sono detta tante volte: “Io
farò diverso” e così è stato, ringrazio il mondo che ho visto da bambina perché mi ha data tanta
forza per cercare di costruirne uno migliore.
In questo percorso ho avuto degli angeli custodi terreni che hanno rinsaldato il mio desiderio.
Ringrazio la mia maestra delle elementari, donna rivoluzionaria nel suo abito da suora, ho
ricevuto da lei un affetto sincero, l’amore per i suoi bambini; era all’inizio della sua carriera,
diventava rossa quando si emozionava; ricordo il suo odore, un posto sicuro.
Cercavo adulti che fossero modelli di vita: nelle superiori ho incontrato un professore che
mi ha regalato la gioia di studiare, la passione per il sapere non fine a se stesso, il sapere che ci
trasforma, quello che diventa azione sociale, quello che brucia sulla pelle.Un insegnante che
agiva la democrazia con atti di risoluta autorevolezza e la fiducia incondizionata verso l’essere
umano. Mi occupo di educazione perché ho incontrato questi e altri (pochi, ma sufficienti) maestri di vita che mi sono stati al fianco con gesti di amorevolezza quotidiana, le mie ferite sono
state leccate con compassione e tenerezza. L’educazione è la via che mi fa sentire più vicina
all’essere umano, insieme alla natura è la via che mi fa ben sperare ogni giorno, che mi aiuta a
diventare sempre un po’ più umana, che mi fa sentire fragile, esposta e pronta a trovare insieme
risposte possibili. Da ragazza scelsi di fare, finito il liceo, la scuola per educatori e lì iniziò la mia
vita, non quella scelta dagli altri, strada meravigliosa un po’in salita, seria, anche troppo, ma una
strada dove il rapporto con gli altri esseri umani era al centro, con i bambini, con le famiglie in
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difficoltà, con quelli che chiamano matti, con il mondo che odora della vita, tutta. Lavorai molti
anni nel campo del disagio. Ma anche lì è venuto il tempo di un cambiamento, non ci si può travestire da salvatori del modo, non abbiamo nessuna verità in tasca e non sappiamo cosa è bene
o male per qualcun altro. In campo sociale a mio avviso questa è la prima cosa da imparare. Un
lavoro che mi insegnò molto, soprattutto a comprendere che vale sempre la pena cambiare il
punto di vista, allargare l’orizzonte e comprendere quando un sistema non può o non riesce
a modificarsi. Per questo mi piacerebbe tornare nel campo del disagio portando la biodanza,
perché lì mi sentirei di essere con l’altro, in un processo di reciprocità affettiva. L’arrivo del mio
primo figlio mi portò dritto alla ricerca, in campo medico (scoperta e scelte di cure alternative
per la sua salute) e in campo educativo, facendomi vedere che allenando l’istinto, che tanto è
represso, sappiamo di cosa i nostri figli hanno bisogno e così come cani da caccia cerchiamo
fino a che non troviamo. Con il suo rifiuto viscerale a un’educazione che non teneva conto
dei bisogni dei bambini, Daniele mi portò alla pedagogia steineriana, ad approfondire questa
educazione fino a formarmi come insegnante. Fondai insieme ad altri pochi la scuola steineriana di Grugliasco (Torino) e, insieme a Dolziana, la scuola materna. L’esperienza della scuola
steineriana mi ha dato molto, ma qualcosa mancava a questo processo: mancava tutto ciò che
ho incontrato con l’educazione biocentrica. La pedagogia steineriana mi ha dato una struttura,
di cui avevo bisogno, ma quando la struttura è rigida, le mura diventano strette, manca l’aria e
soprattutto manca il cuore.
Incontrando la biodanza, che è per me una pedagogia per la vita, ho come rimesso insieme
i pezzi di una ricerca iniziata in modo inconsapevole già dall’infanzia. La scuola biocentrica e il
meraviglioso team di persone con le quali lavoro mi hanno ancora di più stimolato e radicato
nella necessità e nell’urgenza di continuare ad occuparmi di educazione studiando e ricercando, con presenza e cura quotidiana. La scuola biocentrica “La vita al centro. Bambini e genitori”
è un microcosmo dove ogni giorno si cerca di vivere il principio biocentrico, mettendo al centro la salvaguardia della vita in tutte le sue forme. Così la pedagogia non è solo un” affare” per
bambini, ma coinvolge a macchia d’olio gli adulti, la società, la politica, l’economia, l’etica e la
propria visione spirituale della vita. Come esseri umani in cammino vogliamo lavorare per una
società nuova che abbia alla base l’educazione affettiva e veda come unica possibilità di sopravvivenza della specie il vincolo amoroso. Ecco il motivo della scelta di questa monografia.
In questi anni di lavoro con la scuola biocentrica ricerchiamo costantemente pedagogisti,
sociologi, psicologi, economisti che come noi sentono l’urgenza di cambiare il mondo e riconoscono l’affettività come base di un vivere comune.
Una delle cose che mi hanno sempre attratto in Rolando Toro è la sua natura eclettica, il suo
modo di approfondire tematiche differenti, il suo aver cercato e collegato aspetti scientifici con
la vita quotidiana, essersi interessato di musica, poesia, politica, pedagogia, filosofia, intuendo il
filo che unisce tutte queste parti creando un sistema così profondamente integrato e integrante.
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Questa è la modalità che mi ha sempre appassionato nello studio: cercare le connessioni e
sentire di non essere sola in questo mondo, in quanto il pianeta è sempre stato denso di intuizioni, scoperte e ricerche che riconoscono il mistero della vita e desiderano salvaguardarlo.
Ecco perché cercherò i collegamenti con il principio biocentrico in quattro testi appassionanti. Studiando questi testi spesso mi si apriva il cuore e esclamavo: “Ma questa è l’educazione
biocentrica, ma questi sono i postulati della biodanza, ma questo è quello che facciamo nella
scuola biocentrica…” Credo sia importante cercare queste connessioni, per non sentirsi pazzi
solitari e per testimoniare come la biodanza e il principio biocentrico abbiano un grande valore
epistemologico e siano un valido sostegno in campo educativo e antropologico.
I testi che prenderò in esame sono:
– Non per profitto di Marta Nussbaum;
– Il bambino non è un elettrodomestico di Giuliana Mieli;
– La mente ama di Alessandro Bertirotti;
– A scuola di felicità e decrescita: Alice project di Gloria Germani.
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Capitolo 1
Cos’è la biodanza.
Rolando Toro, il creatore della Biodanza, amava definirla come “la poetica dell’incontro umano”: «La Biodanza all’inizio è comparsa con discrezione nella mia vita. Poi lentamente ha preso forza,
risvegliando l’interesse delle persone, suscitando cambiamenti sorprendenti in alcuni dei partecipanti, e soprattutto creando un sentimento di rinascita e speranza nella vita. Molte forze si sono manifestate dentro di
me per condurmi finalmente all’ideazione di questo insieme di arte, scienza e amore. Sentivo la possibilità del
contatto puro con la realtà viva, attraverso il movimento, i gesti e l’espressione dei sentimenti. La musica era
il linguaggio universale, l’unico che tutti potevano comprendere nella Torre di Babele del mondo; la danza
era la forma ideale per integrare corpo e anima, e poteva comunicare a tutti i partecipanti felicità, tenerezza
e forza. Fu da questo insieme di esperienze e sensazioni che sorse il desiderio di formare piccoli gruppi per
danzare, cantare e incontrarsi con la musica».
Rolando Toro, psicologo e antropologo cileno(1924-2010), ha tenuto la cattedra di psicologia
dell’arte e dell’espressione all’istituto di estetica dell’Università di Santiago del Cile, ed è stato
docente del Centro studi di Antropologia Medica della Scuola di Medicina dell’ Università. Ha
iniziato le sue prime esperienze con Biodanza, nell’Ospedale Psichiatrico di Santiago e nell’Istituto di Estetica dell’Università Cattolica del Cile.
Dopo i genocidi delle guerre mondiali, Rolando Toro osservò come il genere umano, nell’epoca della cultura repressiva, fosse affetto da una vera e propria forma di ignoranza affettiva,
come se dovesse in qualche modo riappropriarsi dei gesti per potersi collegare agli altri, alla
vita, all’istinto e alle relazioni umane.
Il termine biodanza deriva dal termine greco “bios” che significa vita e la parola “danza” che
significa movimento integrato, pieno di senso. Biodanza è metaforicamente la danza della vita.
La Biodanza è un sistema di integrazione affettivo-motoria e di rinnovamento organico che
propone una nuova visione della vita, risvegliando la nostra sensibilità addormentata, integrando la parte affettiva con quella istintiva attraverso il movimento umano naturale, la danza e la
musica. In Biodanza vengono favorite e stimolate tutte le emozioni più integranti e salutari, in
grado di stimolare benessere e salute.
La Biodanza non è una tecnica individuale, ma si svolge sempre in un gruppo di persone.
Il gruppo di Biodanza è come un utero; è protettivo e nutriente e ci contiene, come nell’utero
materno ritroviamo il calore, il ritmo, il movimento e il contatto, delimita uno spazio di libertà
perché è accogliente e non giudica.
Nel gruppo ognuno ha il suo proprio movimento e le persone sono rispettate per quello che
sono, possiamo guardare le persone nella loro essenza, possiamo cambiare, diventando quello
che siamo veramente.
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La biodanza stimola integrazione psicofisica attraverso una struttura che si riproduce in tutte
le sessioni, formata da musica, movimento e vivencias.
Il sistema è formato da esercizi che si chiamano vivencias, che sono ispirati al significato
primordiale della danza e sono strutturati partendo dai nostri gesti naturali e finalizzati a sviluppare le potenzialità affettive. Sono esperienze vissute che producono emozioni, sensazioni di
essere vivi nel qui e ora. La vivencia è l’attimo presente, è dare più vita alla vita, è ciò che accade
nel qui ed ora, grazie proprio a quell’incontro e a quella musica.
Attraverso la vivencias possiamo vivere le cose per quello che siamo in quel momento, per
quello che è la nostra storia.
La vivencia ha una profondità inimitabile perché esprime tutto quello che siamo, è l’esperienza, è l’unico modo di apprendimento perché noi apprendiamo da quello che viviamo.
Nel 1965 Rolando Toro cominciò le sue esperienze in Biodanza con i malati mentali e, dirigendo gli incontri di danza, si rese conto che alcuni esercizi sviluppavano il senso di identità e
coscienza corporea, mentre altri portavano ad una diminuzione dei limiti corporei e allo stato
di trance.
Da queste riflessioni nacque una prima bozza del modello teorico.
Questo modello, confrontandosi con la realtà, ha subito delle modifiche negli anni successivi.
Il modello teorico di Biodanza può essere visualizzato come un asse verticale alla base del
quale c’è l’essere umano con il suo potenziale genetico, la sua inimitabilità, la sua unicità e tutto
ciò che potrà diventare se gli saranno consentiti sviluppo ed espressione. Al vertice c’è l’integrazione, ovvero la crescita in armonia con l’unità cosmica.
Possiamo immaginare l’essere umano come una pianta. Il potenziale genetico rappresenta i
semi, dai quali esso può sviluppare le sue possibilità. Questi semi dentro noi possono svilupparsi
o meno, in un terreno o in un altro; ciò dipende da diversi fattori che possono essere positivi
o negativi, tossici o nutritivi, a seconda che stimolino o inibiscano l’espressione del potenziale.
La Biodanza, attraverso esercizi-danze, lavora in modo armonico per sviluppare pienamente
le cinque espressioni di base: vitalità, sessualità, creatività, affettività e trascendenza, integrandole tra di loro, consentendo al “seme” di ognuno di germogliare e crescere armoniosamente.
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Etica biocentrica
Il principio biocentrico richiede, per essere pienamente compreso, di essere applicato alla
nostra vita quotidiana, creando una nuova etica del vivente.
Il significato di etica è: “Ricerca di uno o più criteri che consentono all’individuo di gestire adeguatamente la propria libertà nel rispetto degli altri” oppure “Determinazione di quello che può essere definito
come il senso dell’esistere umano, il significato profondo, etico–esistenziale della vita del singolo e del cosmo
che lo include.”
Lévinas parla di etica in questi termini: “L’etica è la responsabilità per l’altro, la responsabilità del
vincolo con l’altro e la sua fonte è la trascendenza”. Il principio biocentrico parte proprio da questo
vincolo con l’altro e con l’universo. È la linea della trascendenza che ci dona la chiave della visione etica del mondo, la nostra possibilità di fare esperienza di essere parte del tutto.
Edgar Morin afferma che più prendiamo coscienza di essere persi nell’universo, impegnati
in una avventura ignota, più abbiamo bisogno di essere legati ai nostri fratelli e sorelle in umanità. Ancora Morin: “Ogni atto etico, ripetiamolo è di fatto un atto di relianza, relianza con l’altro, con i
suoi, con la comunità, relianza con la comunità, con l’umanità ed infine con il cosmo.”
Leopold, nel suo testo “L’etica della terra” parla del concetto di comunità in questi termini:
“Tutte le forme di etica che si sono sviluppate finora si basano su un’unica premessa; l’individuo è membro
di una comunità di parti interdipendenti. I suoi istinti lo spingono a competere per la sua posizione nella
comunità, ma l’etica lo spinge anche a cooperare. L’etica della terra allarga semplicemente i confini della
comunità per includere suolo, acque, piante e animali o, in un’altra parola sola, la terra.”
Leopold ci parla di una consapevolezza di essere “compagni di viaggio” degli altri esseri riconoscendo alla natura un valore proprio, indipendente da quello che dà loro l’essere umano.
“L’uomo è dunque un semplice cittadino della sua comunità e non un conquistatore della terra”. Leopold
continua affermando che l’educazione attuale non fa riferimento ad alcun obbligo nei confronti della terra al di sopra di quelli dettati dal proprio interesse: “L’etica si può applicare solo verso
qualcosa che siamo in grado di vedere, sentire, comprendere e amare… mi sembra inconcepibile che un rapporto etico con la terra possa esistere senza provare per essa amore, rispetto e ammirazione e senza un’ alta
considerazione del suo valore.”
Leopold afferma che l’educazione attuale e l’economia vanno in una direzione opposta a
quella di sentirsi parte della terra e questo minaccia l’evoluzione; l’uomo moderno è separato
e scisso, tra lui e la terra ci sono troppi intermediari e questo non gli dà la possibilità di fare
l’esperienza di questo rapporto.
Aggiungerei, come dice Rolando Toro, che l’uomo moderno ha dimenticato l’istinto e il suo
rapporto con il primordiale, che la nostra è una società che non salvaguarda la vita. Ecco perché
nella nostra scuola biocentrica è così importante che si faccia esperienza del rapporto con la
terra e con la natura, che si recuperi il collegamento con i nostri istinti e con la comunità.
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Paul W.Taylor ci dice come sia diversa un’etica centrata sulla vita da un’etica centrata sull’uomo, quando sostituiamo la parola “dignità di uomo” con la parola “valore intrinseco”, il valore
di cui è dotato ogni singolo organismo vivente, parliamo di un’etica del rispetto, rispetto per la
vita e per ogni forma di vita. Tolleranza, solidarietà attiva, rispetto, sono il nucleo etico intorno
al quale si muove il principio biocentrico. Abbracciare l’etica del rispetto significa riordinare il
nostro universo morale cambiando il nostro atteggiamento nei confronti della natura. Il punto
di vista umano diventa secondario rispetto all’agire per il bene della natura.
L’etica nasce quando avviene l’integrazione tra coscienza e affettività, si coltiva e si fonda
sull’affettività ed è l’atteggiamento con il quale ci muoviamo per il benessere dell’altro. L’affettività intesa come coltivare una visione trascendente; nell’espansione di coscienza noi comprendiamo la rete della vita, comprendiamo la concezione dell’universo e il valore della trasformazione. Prendendoci cura dell’altro sviluppiamo un’ecologia umana. L’etica è un apprendimento
vivenciale, è azione che si basa e matura nell’esperienza. L’etica biocentrica porta in sé un grande cambio di paradigma.
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Principio biocentrico
Lasciate tranquilli
quelli che nascono.
Lasciate spazio
perché possano vivere.
Non preparate già
tutto pensato.
Non leggete a tutti
gli stessi libri.
Lasciate che siano loro
a scoprire l’alba,
a dare un nome ai loro baci.
Pablo Neruda
Il Principio Biocentrico è un concetto su cui si fonda un cambio di paradigma, è il concetto
di base di tutto il sistema biodanza.
“Nasce dalle scoperte realizzate nel campo della biologia genetica, della scienza dell’evoluzione, della teoria dei sistemi e dello studio biochimico. Suo punto di riferimento è l’Universo considerato come un immenso
sistema vivente. Tutto ciò che esiste, dalla particella-onda fino alle super-nove, dalle sabbie del deserto e le
rocce delle montagne fino ai pensieri e alle emozioni, tutto è vita.” Rolando Toro
La vita è al centro di tutto ciò che esiste, l’universo è organizzato in funzione della vita stessa,
l’universo è un sistema vivente molto complesso che si ispira alle leggi della vita. L’universo è
dunque il frutto della vita stessa. La vita non è il risultato di processi chimici, ma è il motore
propulsivo dell’universo. La vita è, secondo questo approccio, il progetto-forza che conduce,
attraverso milioni di anni, l’evoluzione del cosmo. L’evoluzione dell’universo è in realtà l’evoluzione della vita stessa. Rolando ha approfondito il pensiero di diversi scienziati e fisici (come
Prigogine, Newman) che con la teoria del caos, sostengono che i processi che generano la vita,
iniziano nelle zone “dissipative”, lontano dai sistemi dell’ordine, zone che costituiscono il terreno propenso alla vita. La vita è un attrattore biologico nel caos cosmico.
Il regno della vita abbraccia tutto ciò che esiste, dalla pietra fino ai pensieri più sottili e il
movimento, la danza, tutto è un atto vivente. Nel corso dei secoli l’allontanarsi dell’uomo dalla
matrice cosmica ha generato gravi danni al pianeta e all’uomo stesso. La dissociazione anima/
corpo, uomo/natura hanno portato alla crisi attuale in cui tutto il pianeta è coinvolto. Se sentiamo profondamente in noi questa connessione con la vita, ecco che siamo capaci di valorizzare
tutto l’esistente.
“La vivencia della vita” è il dato di partenza; ciò che ogni essere vivente può realizzare parte
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dal fatto e dalla consapevolezza di essere vivo. A partire dal principio biocentrico possiamo percepire l’universo come un gigantesco ologramma vivo scoprendo lì le radici di una cultura della
vita. Il principio Biocentrico non si ispira a idee religiose, non introduce una divinità esterna
come fautore della vita , ma si ispira a principi generali del vivente e si fonda su una visione
cosmologica della vita. Siamo connessi con il tutto e facciamo parte di questo tutto, sentiamo la
famigliarità con tutte le forme viventi sviluppando rispetto e cura per la vita. Siamo fatti della
stesse sostanze biochimiche delle stelle, degli animali, abbiamo le stesse origini e molti nostri
funzionamenti organici sono simili a quelli degli animali.
Il principio biocentrico è dunque alla base di ogni processo umano: politica, economia,
scienza, legge, educazione, medicina, tutto deve ruotare intorno alla vita. La cultura dovrebbe
essere organizzata in funzione della vita, ma le attuali forme culturali propongono modelli che
vanno contro la vita. Il principio biocentrico nasce da un messaggio anteriore alla cultura, che
partendo dagli impulsi che generano processi viventi propone il potenziamento della vita e
l’espressione dei suoi poteri evolutivi. Nostro compito è apprendere o meglio ri-apprendere a
vivere, con un approccio che porta alla realizzazione di un’educazione biocentrica, perno di
un’educazione all’affettività, come base per ogni apprendimento.
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Educazione biocentrica
È dunque questo che chiamano vocazione
La cosa che fai con gioia
Come se avessi il fuoco nel cuore
E il diavolo in corpo?
Josephine Baker
Rolando Toro, grande osservatore dei sistemi sociali ed economici, sentì l’urgenza di una
rivoluzione del modo di educare. Egli descrive la nostra civiltà moderna come una società alla
deriva, in quanto questa epoca legge i fatti solo nella loro esteriorità, basandosi su una crescita
tecnologica che non va di pari passo con lo sviluppo interiore. La vita umana è svuotata di significato in quanto ha perso la connessione con il vivente e con l’istinto.
Per Rolando gli stati di infermità sono collegati alla nostra incapacità di stabilire biofeedback
con tutto ciò che vive, con l’ambiente. Noi viviamo in una solitudine esistenziale, perdendo la
nostra capacità di essere creatori.
L’educazione di oggi non risveglia la creatività, non lavora per lo sviluppo dei potenziali umani, non stimola il risveglio affettivo, il piacere di vivere e la libertà intellettuale. Nello stile di vita
attuale l’educazione è al servizio del potere politico ed economico (vedere capitolo su Marta
Nussbaum “Non per profitto”) con programmi di sterilizzazione psicologica.
Ciò che serve ora è stimolare la vitalità, la creatività, l’entusiasmo, l’autostima. Per educare
è necessario avere l’eros, la passione, passione per insegnare, passione per vivere, per fare della
nostra vita un’ opera d’arte.
Molti altri sociologi, filosofi e pensatori condividono questa visione dell’umanità attuale, in
particolare il sociologo Edgar Morin.
Morin, che conosceva e lavorava con Rolando, oggi è presente a diversi convegni sull’educazione biocentrica e lavora nell’università biocentrica di Paraiba, in Brasile. Egli ha approfondito
il tema educativo definendo sette saperi fondamentali per l’educazione:
– Superare le cecità della conoscenza: l’errore e l’illusione
– Agire i principi di una conoscenza pertinente: collegamento, analisi e sintesi
– Insegnare la condizione umana, accogliendo e conoscendo le culture diverse
– Insegnare l’identità terrestre
– Affrontare le incertezze
– Insegnare la comprensione di sé e dell’altro.
– Fondare l’etica del genere umano
Desidero soffermarmi su alcuni di questi saperi; ad esempio: affrontare le incertezze. Morin
parla di come a tutti i livelli, persino in ambito scientifico, si dibatta su problemi irrisolvibili,
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quali l’origine e il futuro dell’universo, mentre vivere è navigare in un mondo di incertezza
attraverso piccole isole di certezza. L’educazione ha il compito di aprirci all’incertezza, allo
sconosciuto, perché soltanto sentendo la mia fragilità posso aprire spazi di comprensione per
l’altro, per il diverso.
Insegnare la comprensione di sè e dell’altro, è un compito fondamentale dell’educazione, di
cui c’è particolare bisogno oggigiorno per sviluppare una comunicazione più umana. La comunicazione non produce comprensione, oggi nell’era della grande comunicazione sembra non
esserci comprensione. Abbiamo perso una comprensione dei processi che portano alla conoscenza degli avvenimenti e anche una comprensione intima di noi e dell’altro. La comprensione
umana richiede: “…un processo di empatia, di identificazione e di protezione. Sempre intersoggettiva la
comprensione richiede apertura, simpatia, generosità...” come Morin dice nel suo testo “I sette saperi
necessari all’educazione del futuro”.
Morin parla dell’etica della comprensione come un arte per comprendere l’incomprensione, la comprensione che non scusa e non accusa, non stigmatizza, riconosce l’errore come parte
della vita e quindi anche di ognuno di noi. “Se sappiamo comprendere prima di condannare , saremo
sulla via dell’umanizzazione delle relazioni umane”
Il settimo sapere, l’etica del genere umano, vede l’umanità e la terra come una patria non più
astratta ma come una reale patria in pericolo, questo sentire ci accomuna, finalmente tutti. Così
Morin ci esorta ad una visione globale del pianeta, e ci richiama a salvare l’umanità realizzandola! “...l’umanità ha cessato di essere una nozione solamente ideale, è divenuta una comunità di destino
e solo la coscienza di questa comunità può condurla a una comunità di vita; l’umanità è ormai soprattutto
una nozione etica: è ciò che deve essere realizzato da tutti in tutti e in ciascuno.”
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L’educazione biocentrica per la biodanza
“Una cultura biocentrica è una cultura il cui punto di riferimento assoluto
è il rispetto incondizionato della sacralità della vita.
Cultura che ti insegna ad amare e proteggere la vita,
ad aumentarla, a farla fiorire.
Una cultura che metta la vita al centro, che la esalti: che ascolti l’istinto,
che protegga la salute, che celebri l’amore, che valorizzi il piacere,
che incoraggi l’espressione artistica e la connessione con la natura.
Una cultura che ci inviti a fare delle nostre vite e delle nostre relazioni
con tutti gli esseri viventi, delle opere d’arte.”
Rolando Toro
Dal principio biocentrico nasce e si incarna l’educazione biocentrica, che ragiona in un’etica
biocentrica, ed è anche una metodologia, un modo di pensare e agire l’educazione, un vero e
proprio sistema educativo. La maestra è la vita: essa fa da centro teorico e metodologico per
l’educazione.
Il termine educare deriva dal verbo latino e-ducere ovvero tirare fuori, estrapolare, aiutare a
far emergere potenzialità e qualità spesso nascoste, significato molto più profondo del termine
istruire, che si basa semplicemente su una trasmissione di nozioni.
Per questo l’educazione biocentrica riguarda in primo luogo lo sviluppo di regole interiori
per vivere.
La finalità principale di questo approccio educativo è: la gioia di vivere, l’amore, inteso come
centro generatore e protettore della vita stessa, e la costruzione di un mondo dove questo sia
possibile. L’obiettivo è di ristabilire le funzioni originarie che permettono la conservazione e
l’evoluzione della vita creando “fin dalla prima infanzia, modelli interni di vincolo con la natura, comunione amorosa e coscienza etica.” Comprendiamo così che questa visione educativa è per tutte le
età, inizia già nel grembo materno e ci accompagna fino al nostro ultimo respiro. Educarci alla
vita, scegliendo situazioni e persone che ci fanno stare bene, promuovendo azioni che siano in
funzione di una realizzazione di benessere personale e collettivo è sicuramente un compito per
tutta la vita.
Così scrive Rolando Toro: “Ciò che desideriamo dire è che il punto di partenza della educazione deve
essere la ristrutturazione affettiva… Apprendere ad apprendere. Apprendere a vivere. Questo è quello che
occorre sapere. Nei programmi scolastici occorre fare alcuni cambiamenti. Io non sto squalificando l’ educazione tradizionale , però occorre fare dei cambiamenti profondi , viceversa non ci sarà speranza per la specie
umana. La gente ancora non si rende conto che occorre pensare in forma macroscopica , osservare i problemi
dall’alto”
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L’educazione biocentrica è un’ educazione che tiene conto dell’ambiente in cui si è inseriti,
non è un’educazione individualista, ma un’educazione alla socialità, un percorso che ogni individuo mette in pratica nella sua comunità, sviluppando quelle capacità che da sempre hanno
permesso la vita dell’essere umano sul pianeta; il costruire insieme, la solidarietà, il rispetto
della diversità, a partire dal riconoscimento e dallo sviluppo di tutte le potenzialità individuali.
James Hillman nel suo libro “Il codice dell’anima” descrive la teoria della ghianda e dice:
“…la teoria della ghianda, l’idea, cioè che ciascuna persona sia portatrice di un’unicità che chiede di
essere vissuta e che è già presente prima di poter essere vissuta…
…Dobbiamo prestare particolare attenzione all’infanzia per cogliere i primi segni della nostra essenza
all’opera, per afferrare le sue intenzioni e non bloccarle la strada…”
L’educazione biocentrica tiene conto dell’unicità di ogni singolo dando strumenti metodologici perché il bambino, in connessione con se stesso, con la natura e con gli altri possa riconoscersi.
È un riconoscimento che parte da un rapporto autentico con la vita. Rolando Toro continua:
“...Nelle scuole i bambini devono essere a contatto diretto con la natura, con la terra, con il fuoco e l’aria
pura; con le piante, i fiori e i frutti, con i lavori di semina e coltivazione agraria, con gli animali, con il
canto e la danza, con la preparazione degli alimenti, con giochi di lotta e fuga, con l’osservazione e la cura
dell’ambiente. Una realtà educativa così descritta è una realtà che è pienamente inserita nella vita e che
dall’esperienza della vita trae le basi epistemologiche per l’apprendimento.”
Hillman continua: “Le mani vanno tenute occupate; il gioco va organizzato e sorvegliato, le piccole
incombenze condotte a termine. Importanti le attività di costruzione, fabbricazione di oggetti, cucito, ricamo, lavoretti di falegnameria, artigianato, riparazioni, manutenzione….La lezione della natura, il cibo
primordiale dell’anima, estratto dai prati, dai fiori e dalla vita rurale, nonché dalle spiagge e dagli scogli,
dalle maree, dal rumore del mare e dai venti… L’immaginazione non può realizzarsi senza l’immersione nel
mondo naturale o quanto meno senza l’incontro sia pure occasionale con le sue meraviglie.”
L’educazione biocentrica è una prevenzione verso la violenza ed è una pedagogia per la
pace, una pedagogia della mediazione.
Ecco altre parole di Rolando sull’urgenza della trasformazione di un sistema anti-vita:
“Io non propongo la trasformazione totale dell’educazione, ma propongo l’introduzione della Biodanza
nel sistema educativo come mediazione, come un primo passo in un sistema che è profondamente sbagliato.
La ricchezza più importante che ha un paese è nel sistema nervoso dei suoi abitanti. Non è il rame, né i
cereali, né gli aerei o le forze armate: la ricchezza è il sistema nervoso delle persone. Però questo contrasta
con la distribuzione dei fondi che i paesi operano. Comparate voi il budget disposto per le forze armate con
quello previsto per l’educazione e vedrete come tutto questo è grottesco, qui si vede la poca importanza che ha
l’essere umano. All’educazione vanno le briciole della spesa nazionale. Ai professori non resta che portare la
loro tristezza e le loro preoccupazioni economiche agli alunni invece di poter lavorare con tranquillità. La
missione di un professore è una missione sacra, è una missione sottile, è una missione meravigliosa. Ma
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come convincere i politici a mutare questa posizione? Seducendoli e sviandoli attraverso un movimento di
piccoli gruppi ed infiltrandosi poco a poco, fino a infettare completamente il sistema.”
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Metodologia biocentrica
dall’articolo di Rolando Toro “Educazione biocentrica”
Il sapere si costruisce attraverso:
– l’ascolto e l’osservazione della natura e dell’essere umano
– la sperimentazione
– le escursioni
– ascoltando e rispettando l’altro
– coltivando la comunicazione
– esprimendo la propria fantasia, desideri, pensieri
– muovendosi liberamente
– creando poesie, canzoni, danze, pitture
I principali obiettivi sono:
– Apprendere a vivere
– Stimolare l’espressione dell’identità
– Sviluppare i potenziali genetici individuali
– Favorire l’integrazione con il simile e con l’ambiente
– Stimolare l’espressione degli istinti e lo sviluppo affettivo
– Favorire azioni che permettano la conservazione e l’evoluzione della vita in ogni sua forma
Gli scopi e le risorse dell’educazione biocentrica sono:
1. Cura dell’affettività
L’educazione dell’affettività nel bambino deve essere la finalità essenziale
con il superamento di qualsiasi discriminazione sociale, razziale o religiosa.
2. Presa di contatto con la propria identità:
Esercizi di sfida personale di fronte alle difficoltà.
Coraggio per difendere i punti di vista propri.
Connessione con la propria forza.
3. Cura dell’espressività e comunicazione:
Manifestare le emozioni attraverso la comunicazione verbale e non verbale.
Esercizi di creatività artistica: poesia, musica, danza, pittura, manipolazione, teatro.
Sviluppo dell’espressione verbale.
4. Sviluppo della percezione del proprio corpo e destrezza motoria:
sviluppo di fluidità, coordinazione, sinergismo, eutonia, assertività motoria.
5. Acquisizione dell’apprendimento vivenciale:
Laboratori di apprendimento esperienziale della natura: geologia, botanica,
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zoologia e astronomia.
Laboratori di Biodanza
7. Integrazione alla natura e sviluppo della coscienza ecologica:
Escursioni in natura, al mare ed in montagna.
Ricerca del nido ecologico
8. Sviluppo e ampliamento della percezione:
Esercizi di percezione musicale e delle opere d’arte plastica
Percezione delle situazioni umane
Espansione della coscienza etica
Percezione della natura attraverso i sensi
Cori e danze nella natura
Nella pratica della scuola biocentrica, nel lavoro con i bambini si fa fede agli obiettivi dell’educazione biocentrica e le valutazioni del nostro lavoro educativo vengono fatte in base alle
acquisizioni di questi obiettivi, che nella pratica quotidiana con i bambini vengono ampliati,
approfonditi, sviluppati. 21
Educazione affettiva
Vi è una forza estremamente potente per la quale la Scienza finora non ha trovato
una spiegazione formale. È una forza che comprende e gestisce tutte le altre,
ed è anche dietro qualsiasi fenomeno che opera nell’universo e che non è stato
ancora individuato da noi. Questa forza universale è l’Amore.
Quando gli scienziati erano alla ricerca di una teoria unificata dell’universo,
dimenticarono la più invisibile e potente delle forze.
L’amore è Luce, visto che illumina chi lo dà e chi lo riceve.
L’amore è Gravità, perché fa in modo che alcune persone si sentano attratte da altre.
L’amore è Potenza, perché moltiplica il meglio che è in noi,
e permette che l’umanità non si estingua nel suo cieco egoismo.
Albert Einstein
Tutte le qualità del cognitivo, del creativo, della crescita, della capacità semantica, provengono da un fondo affettivo che è irrinunciabile.
La mancanza di affettività, sia nell’educazione che in terapia, è la causa del fallimento di
queste due discipline.
Uno sguardo obiettivo alla storia del XX secolo ci rivela una condizione conflittuale: da un
lato, un progresso tecnologico e scientifico di straordinaria grandezza; dall’altro una decadenza
affettiva che ci mostra apertamente la nostra miseria.
Viviamo in un contesto di violenza globale: violenza nelle case, violenza nella scuola, violenza nel mondo del lavoro, violenza urbana, violenza politico-sociale, violenza etnica e religiosa.
L’umanità soffre di una tragica dissociazione tra intelligenza e affettività, e la disorganizzazione
affettiva che ne deriva conduce all’autodistruzione.
La maggioranza degli educatori, ed anche degli psicologi, non capisce che l’apprendimento, la creatività e la qualità della vita scaturiscono da una fonte comune: l’affettività. Per questa
ragione risulta essenziale comprendere il concetto di intelligenza affettiva come fondamento
dell’educazione.
I sistemi educativi debbono essere profondamente modificati in tutto il mondo per poter
cambiare il corso delle violenze istituzionalizzate.
Questo cambio deve cominciare con l’applicazione del principio biocentrico nell’educazione, nella politica, nella giurisprudenza, nell’economia e nella medicina. E deve iniziare nelle
scuole con l’integrazione dell’affettività nel bambino.
L’educazione è inconcepibile senza il fondamento affettivo. L’intelligenza concettuale ha le
sue radici nell’affettività. Se l’educazione non introduce la dimensione affettiva come fattore
essenziale nella metodologia, tutta la sua attività risulterà banale e distruttiva.
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L’educazione all’affettività deve cominciare nella prima infanzia, includendo i genitori. Un
adulto che non ha raggiunto in sé una struttura affettiva profonda durante l’infanzia è un potenziale distruttore anche se ha a sua disposizione la tecnologia più avanzata.
Rolando pensava che l’umanità non ha speranza di sopravvivere continuando a costruire automi con un’identità solamente nazionale o professionale, senza coltivare l’empatia e un senso
profondo di identificazione tra gli esseri umani:
Per Rolando Toro l’affettività ha una genesi bio-sociologica; è infatti legata all’istinto della
solidarietà all’interno della specie, agli impulsi gregari, alle tendenze altruistiche e ai rituali di
legame. Questi impulsi biologici della cooperazione, integrazione, e solidarietà, diventano negli
esseri umani dei sentimenti altruistici che costituiscono la genesi dell’amore.
“L’affettività è quindi uno stato di profonda affinità verso tutte le espressioni della vita ed è anche la
manifestazione dei legami affettivi tra gli esseri umani, la percezione degli altri abbraccia tutto il corpo, non
solo le emozioni”.
L’affetto dev’essere coltivato come inclinazione aperta e permanente di cure e di empatia
con tutto ciò che è vivo, uno stato di infinito amore per la vita, per la natura e per le persone.
Tutte le diverse forme di intelligenza hanno una fonte comune, l’affettività. Per capire questo, è necessario esaminare le relazioni tra percezione, abilità motoria, memoria, apprendimento, elaborazione del linguaggio simbolico e struttura affettiva.
L’affetto non è un’emozione, ma un sentimento, più radicato e persistente nel tempo, con
una memoria che approfondisce il legame.
L’affetto secondo Rolando Toro è il tessuto sottostante di tutte le funzioni mentali, quindi
rispetto ad un approccio tradizionale che vede il centro dell’intelligenza nella funzione cognitiva (intelligenza razionale) o nella funzione emozionale (intelligenza emotiva), per noi la base
di ogni processo mentale, è lo sfondo affettivo che permea tutte e quattro le funzioni mentali:
percezione, movimento, memoria, apprendimento del linguaggio.
Questo sfondo viene chiamato da Toro: Nucleo affettivo.
Anche la memoria ha dei filtri che selezionano e riorganizzano le risorse intorno a esperienze affettive e non dipende solo dagli elementi neurologici.
L’apprendimento dunque dipende da motivazioni affettive e non puramente cognitive. Infatti l’evoluzione del linguaggio nel bambino è legata alla creazione di un ambiente semantico
amorevole da parte degli educatori.
La proposta di Intelligenza affettiva di Rolando tende quindi a integrare e a integrarsi con le
altre forme di intelligenza razionale/cognitiva ed emotiva:
l’affetto è un potente organizzatore di pensiero e di azione, risveglia l’intuizione, la curiosità
e l’innovazione, va al di là del ragionamento lineare completo e sequenziale, (causa ed effetto)
e regola tutti i processi decisionali della vita.
Nella sua conferenza presso la nostra scuola Biocentrica, Giuliana Mieli, autrice del libro “Il
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bambino non è un elettrodomestico” dice:
“Lo studio del codice vivente si sposta dal mondo delle idee al mondo degli affetti. Noi non organizziamo
le idee secondo una logica fatta di numeri e di forme, ma diamo loro un significato affettivo in rapporto alle
relazioni che abbiamo. La fisiologia affettiva è alla base di ogni studio. Non si può pensare di curare una
persona senza avere conoscenza di questa fisiologia. I nostri affetti non sono degli optional, sono organizzati
biologicamente per la sopravvivenza della specie. Sono scritti nel nostro DNA, anche se nessuno lo dice mai.”
Quando questa frase è risuonata nella nostra scuola, mi è venuto da sorridere perché è proprio il fondamento su cui si basa il nostro progetto.
Un progetto che prevede una comunità affettiva che circonda tutti quelli che ne fanno parte.
I bambini, i genitori, gli educatori e tutti coloro che in qualche modo contribuiscono affinché
tutto funzioni nella scuola; dal tecnico del computer, all’amica che viene a pulire l’asilo nel fine
settimana ai ragazzi che vengono ad animare le feste di compleanno.
Un amorevole contatto fisico, più rispettoso e sensibile è d’importanza vitale per crescere,
curare ed educare, migliorando la qualità delle relazioni d’amore, d’amicizia e deve spostarsi
ad ambiti più ampi.
L’educazione affettiva deve espandersi a tutto il vivente.
Educazione affettiva per esempio è far vedere ai bambini come nasce una farfalla, rendendoli partecipi di questo grande mistero che è la creazione, facendo vivere loro esperienze vere,
come coltivare un orto, in modo che vedano che le cose per nascere hanno bisogno di lavoro e
di cure amorevoli. Sperimentando, attraverso il contatto con la natura, i bambini imparano che
non tutto è scontato.
Si stimolano, in questo modo, l’espressione dei potenziali sani di ognuno migliorando così la
comunicazione con se stessi, con gli altri.
Attraverso un approccio affettivo i bambini imparano a distinguere ciò che è nocivo da ciò
che è sano e nutritivo, scoprendo il piacere di essere se stessi, di sentire e di esprimere la solidarietà, la cooperazione e la fiducia negli altri, riconoscendo ed accettando diversità ed unicità
come risorsa e ricchezza. Apprendono a dare limiti in modo chiaro ed assertivo e a informare
l’altro delle proprie necessità e desideri.
Con l’educazione affettiva viene stimolata l’espressione di tutte le emozioni. Attraverso l’espressione creativa si facilita la possibilità di trasformare in espressione sana anche le emozioni
che creano conflitto (quali ad esempio l’aggressività, la frustrazione ecc.)
Educazione affettiva è un aiuto per sentirsi parte e in armonia con la natura, cogliendone la
bellezza, sviluppando un atteggiamento ecologico e di rispetto profondo nei confronti dell’ambiente e della Vita; si impara a proteggere ed accrescere la capacità di sentire allegria, gioia e
piacere di vivere.
Dando una dimensione affettiva all’educazione si crea una nuova metodologia per lo sviluppo di una educazione creativa.
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Noi pensiamo che senza una motivazione affettiva non ci possa essere né apprendimento né
creatività.
“Il bambino impara ciò che vive”: con questa frase si apre un decalogo che una famosa casa farmaceutica aveva distribuito anni fa, che diceva così:
Se vive nel rimprovero, diverrà più intransigente
Se vive nell’ostilità, diverrà più aggressivo
Se vive nella derisione, diverrà più timido
Se vive nel rifiuto, diverrà uno sfiduciato
Se vive nella serenità, diverrà più equilibrato
Se vive nell’incoraggiamento, diverrà più intraprendente
Se vive nell’apprezzamento, diverrà più comprensivo
Se vive nella lealtà, diverrà più giusto
Se vive nella chiarezza, diverrà più fiducioso
Se vive nella stima, diverrà più sicuro di sé
Se vive nell’amicizia, diverrà un vero amico per il suo mondo.
L’educazione biocentrica co-costruttrice di un mondo nuovo.
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Capitolo 2
L’approccio di Marta Nussbaum:
Non per profitto
E quindi dovremo sforzarci e lavorare, lavorare sodo,
per concretizzare i nostri sogni.
Quei sogni che sono sì per l’India ma anche per ogni altra nazione al mondo,
perché tutti i popoli oggi sono talmente stretti
che nessuno di essi può pensare di starsene in disparte.
La pace dovrà essere indivisibile e comune,
così la libertà e la prosperità o altrimenti sarà il disastro
per un mondo che non può più vivere in frammenti isolati.
J. Nehru, Discorso alla vigilia dell’indipendenza dell’India, 14 agosto del 1947
Nell’intento di divenire co-costruttori di un mondo possibile per tutti, ho sentito forte il
legame tra i nostri argomenti e quelli che tratta Marta Nussbaum .
Marta Nussbaum, docente universitaria, autrice di molti libri a sfondo sociologico tra i quali
“Giustizia sociale e dignità umana”, “La fragilità del bene”, nel testo “Non per profitto” evidenzia come
le scuole di tutto il mondo e il sapere in generale sia incline ad una educazione improntata su
conoscenze sempre più settoriali, invece di imparare a lavorare per educare alla complessità e
sviluppare intelligenze flessibili, aperte e creative.
Lavorare per sviluppare la libertà di pensiero, la forza dell’immaginazione, l’autonomia del
giudizio, per salvaguardare la democrazia e per creare un’ umanità matura e responsabile. Rolando Toro ci insegna, quando lavoriamo la linea della creatività, come sviluppare nella nostra
vita questa possibilità ci renda liberi, capaci di entrare a pieno nella propria vita e trasformarla,
di trovare strade per esprimersi e non farci esprimere dagli altri.
Nel suo libro la Nussbaum spiega come i modelli scolastici attuali siano fondati principalmente sulla crescita economica senza comprendere quanto questo possa nuocere alla democrazia.“…Produrre crescita economica non significa produrre democrazia. Né significa produrre una popolazione sana, impegnata ed istruita in seno alla quale le opportunità di una buona vita siano alla portata
di tutte le classi sociali.” Rolando Toro parla più volte del malessere di questa società che va continuamente nella direzione opposta alla vita.
La visione sociologica di M.N. mi riporta alla frase di Rolando, “mettere più vita nella vita”. È
un appello a tutto tondo, guardare dove va il mondo, vedere le scelte anti-vita insite nei processi
economici e nell’addormentamento affettivo che lentamente viene attuato. M.N crede in un’educazione che risvegli l’umanità e sappia sua direzione dovrà necessariamente andare nel senso
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opposto a quello che le potenze internazionali attuano.
Scegliamo gesti, situazione, persone che salvaguardino la vita e facciamolo come la visione di
Rolando ci insegna, ogni attimo!
Se una nazione proponesse un tipo di istruzione democratica, promuoverebbe principalmente un’attenzione all’altro, per garantire ad ognuno le giuste opportunità di vita sviluppando
la capacità di ragionare sui problemi politici, di preoccuparsi per la vita degli altri, di riconoscere ogni cittadino come avente stessi diritti, di sostenere ogni tappa della vita umana (infanzia,
adolescenza, famiglia, anziani, malattia, morte), di pensare al bene della propria nazione e di
sentirsi parte di un mondo ben più ampio. M. N. afferma che nessuno di noi può sentirsi estraneo all’interdipendenza globale, l’economia globale ci lega tutti gli uni agli altri, tutte le nostre
decisioni come consumatori toccano altri in chissà quale parte del mondo. Non possiamo più
esimerci dal comprendere questa realtà e quindi l’istruzione dovrebbe prepararci ad essere cittadini del mondo e non a vederci come singole parti staccate dalle altre.
Rolando Toro più volte ha parlato dell’importanza di sentirsi parte degli altri, riconoscendoci nell’altro. Abbiamo bisogno dell’altro e non esiste l’autonomia o l’indipendenza così come
un certo sistema ci vuol far credere, questa visione individualista è quella che ci rovina, che ci
tiene separati, mentre invece la nostra possibilità di evoluzione è nella comunità.
La complessità della vita si apprende vivendo, facendo esperienza e incominciando ad insegnarla ai giovani, mettendo insieme diverse visioni e conoscenze, continuando ad interrogarsi
con l’assoluta consapevolezza che un insegnamento socratico basato sulla democrazia ci allena
ad un’ apertura interiore, mentre un insegnamento basato sul profitto di fatto aliena l’uomo.
Rolando cita spesso questi nostri tempi moderni come tempi di alienazione, di scissione tra
mente e corpo, tra natura e cultura, un tempo dove non c’è spazio per un apprendimento affettivo. Dunque il compito principale delle nostre scuole per formare cittadini di una democrazia
sana sarebbe quello di aiutare gli studenti a guardare il mondo dal punto di vista delle altre
persone. Imparare a confrontarsi con la complessità della vita, con la propria fragilità, riconoscersi bisognosi degli altri, sviluppare un’ autentica sensibilità verso l’altro, trovare molteplici
occasioni di cooperazione. È necessario incoraggiare la responsabilità avendo fiducia nelle
capacità di ogni singolo bambino, promuovere un pensiero critico e imparare a portare avanti con coraggio anche un pensiero dissenziente. La Nussbaum cita come esempio l’università
fondata in passato da Tagore in India denominata: “Visvabharati” che significa: “tutto il mondo
è nostra patria”, dove l’apprendimento era basato sui principi socratici di democrazia. Tagore
invitava gli allievi ad estraniarsi dal proprio punto di vista e ad assumere quello di un altro per
comprenderlo dall’interno. Tagore poneva continuamente domande agli allievi e li stimolava
alla ricerca delle risposte tramite il dialogo secondo il metodo socratica: una scuola che lasciava
lo spazio alla domanda, al dubbio.
Questa è una modalità che salvaguarda la vita, anche Edgar Morin nel primo congresso euro-
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peo di educazione biocentrica tenuto a Nantes nel Luglio del 2011 e nel suo libro “I sette saperi
dell’educazione” parla dell’importanza di un’educazione alla comprensione umana, ad insegnare
ad affrontare le incertezze, a riconoscere la fragilità e la complessità della vita, ad insegnare il
significato di “essere umano”, ad insegnare l’epoca in cui stiamo vivendo.
Il progetto educativo della nostra scuola biocentrica si fonda su questi stessi elementi.
La visione di Rolando e Morin si sposano con la visione scolastica di Marta Nussbaum e con
l’esperienza che lei cita sulla scuola di Tagore, una comunità dove i bambini prendevano parte
attivamente alla vita quotidiana, le lezioni erano basate sull’esperienza e veniva dato molto spazio alle arti e alla creatività. Tagore sosteneva che il ruolo principale dell’insegnamento delle arti
era quello di sviluppare la comprensione per gli altri e la propria formazione interiore. L’educazione biocentrica sottolinea l’importanza di rimanere collegati alla vita sviluppando l’arte di
vivere, stimolando il bambino a crescere nella sua identità, facendo continuamente esperienza
della vita. Che i bambini possano giocare con ciò che la vita ci dona, che possano sviluppare la
loro creatività e che apprendano che solo tramite l’affettività si può arrivare all’altro.
Marta Nussbaum continua sostenendo che imparare a vedere l’altro a tutto tondo è un lavoro di una vita, le cui basi si mettono nell’infanzia. Aiutiamo i bambini ad uscire gradualmente
dal narcisismo della primissima infanzia, giusto ed indispensabile, ma che prolungato nel tempo crea individui incapaci di empatia.
Lavorando con i bambini constato come questa nostra epoca non ci permetta di contribuire
alla crescita di “esseri umani”. A causa delle nostre incertezze ci chiudiamo nelle nostre piccole
case, dove vogliamo il bene dei nostri figli, senza più ricordarci che il loro bene sta semplicemente nell’essere accompagnati nel mondo con amorevolezza, senza sostituirci ad essi, con semplicità, con fiducia verso la vita e verso le loro infinite capacità. I nostri figli e figlie impareranno
dai nostri sogni, dalle nostre visioni, dalle nostre azioni, dalla fiducia che abbiamo nel mondo.
Non impareranno dal nostro trattenerli, non impareranno se li soffochiamo, se non li lasciamo crescere, se partiamo dai nostri bisogni non soddisfatti, dalle nostre paure. Vivendo così isolati ci creiamo continue ideologie che ci mettono al riparo, crediamo che amare sia proteggere
dal sapore amaro della frustrazione e così creiamo bambocci che non sanno stare al mondo, in
nome di una libertà che di fatto è una vera schiavitù.
Aiutiamo il bambino a sviluppare le proprie competenze pratiche, così non tratterà l’adulto
come suo servitore, ma si riconoscerà nella possibilità di cooperare. Infine coltiviamo la fiducia
nel mondo, riconosciamoci parte di questo mondo e per citare le parole di M.N.... “il controllo
totale non è né possibile né buono, il mondo è un posto dove tutti noi manifestiamo debolezze e abbiamo bisogno di sostegno in qualcun altro….vedere il mondo come un luogo in cui non si è soli, un luogo dove altre
persone hanno la loro vita e i loro bisogni e hanno il diritto di vederli soddisfatti”.
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L’approccio di Giuliana Mieli:
Il Bambino non è un elettrodomestico
Giuliana Mieli è madre di tre figli, laureata in filosofia e psicologia clinica, ha lavorato per
molti anni nei centri di salute mentale ed è stata consulente per venti anni presso alcuni ospedali nei reparti di ostetricia e ginecologia, seguendo le donne prima e dopo il parto. Si è dedicata,
inoltre, alla formazione affettiva del personale sanitario in diverse ASL.
Nel suo libro, “Il bambino non è un elettrodomestico”, Giuliana descrive la società attuale come
un contesto dove i legami affettivi vengono ignorati e trascurati. Descrive le tappe della maturazione affettiva dell’individuo, evidenzia come la risposta ai bisogni affettivi di base sia una condizione biologica ineluttabile per lo sviluppo e l’esistenza della vita e dell’essere umano stesso.
Trascurare l’importanza dell’affettività significa creare una società malata, con gravi sofferenze psichiche e ciò si ripercuote anche sulla maternità, in cui sempre maggiori donne si trovano
in difficoltà ad affrontare quello che in realtà sarebbe l’evento più naturale e istintuale: mettere
al mondo una creatura.
Giuliana Mieli in anni di lavoro ha trasmesso con passione l’importanza di restituire e diffondere l’affettività negata come valore indispensabile per cambiare il mondo.
Ho avuto la fortuna di conoscere personalmente Giuliana perché è stata invitata a tenere due
conferenze nella nostra scuola biocentrica durante convegni da noi organizzati ed è intervenuta
al forum internazionale di Vicenza affrontando tematiche educative dal punto di vista dell’educazione affettiva.
L’approccio di Giuliana è a parer mio molto interessante, in sintonia con l’educazione biocentrica; traspare da lei la sua lunga esperienza e la sua combattività, che nascono dalla consapevolezza di come il contatto e l’affetto fanno crescere sani.
In primo luogo ciò che mi colpisce nel suo libro è l’aspetto dei fondamenti biologici degli
affetti. L’impostazione scientifica occidentale non ci ha dato la possibilità di comprendere pienamente la complessità dei fattori in gioco nell’evoluzione e nella sopravvivenza della specie.
L’aspetto affettivo è sempre rimasto escluso dalle teorie scientifiche, così come il pensiero
che la sopravvivenza della specie non necessiti solo di cibo ma anche di un tempo e di uno
spazio per gli affetti. Sono le sensazioni e le emozioni che ci parlano della realtà, la corteccia
celebrale non si orienterebbe senza queste prime informazioni, l’affetto e la razionalità sono
complementari e non separate.
La biodanza parla di integrazione, solo con l’integrazione dei nostri tre centri (razionale,
emozionale ed istintuale) possiamo muoverci in armonia e in feedback con l’ambiente.
Alla base dei sentimenti e delle emozioni troviamo meccanismi biologici specifici che li alimentano. “È solo affascinante pensare che l’adrenalina stia alla base del movimento di attaccamento o
che ossitocina e prolattina nutrano gli scambi affettuosi della sessualità o del puerperio, che le endorfine
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accompagnino il nostro piacere e la nostra felicità…” Parliamo di un sistema meraviglioso che lavora
in équipe.
Purtroppo però l’uomo occidentale si è staccato da questa visione e Giuliana cita un filosofo
importante come Fornari, nel suo testo “Il codice vivente” che ci illumina su questa visione occidentale.
“La teoria della conoscenza dell’uomo occidentale è stata dominata dal concetto della relazione tra intelletto e le cose che sono fuori di lui… ma i nostri pensieri nudi li riceviamo, sotto forma di affetti, dal codice
vivente.
Lo sviluppo del pensiero filosofico occidentale ha dimenticato che il soggetto trova la sua fondazione su
una base biologica, che è ancora più materiale delle strutture socio- economiche e che è primariamente abitata
dai simboli del codice vivente che funzionano come metafora primaria del mondo della vita”.
Tutto ciò per sottolineare come il nostro mondo occidentale neghi gli affetti, da cui non è
possibile prescindere, negando così la sopravvivenza della specie.
Oggi gli affetti vengono negati dalla modalità alienante della vita moderna, dalla velocità, dal
consumismo, dal togliere il diritto ad una maternità naturale e non medicalizzata.
“Capire che l’affettività è naturalmente e biologicamente strutturata in codici affettivi significa estendere
alla vita delle emozioni la scoperta che l’energia che alimenta la vita non è un flusso impersonale, una
scarica senza scopo, ma è organizzata all’interno di comportamenti che garantiscono e sostengono la sopravvivenza”.
E Rolando continua: “Penso che sia arrivata l’ora di dare all’educazione un approccio orientato verso
la sopravvivenza e a ristabilire le funzioni originarie della vita… Il processo educativo inizia nel ventre
materno, con la disposizione animica da parte dei genitori di protezione e cura…”
Giuliana Mieli descrive con particolare attenzione cos’è la cura, ci porta a riconoscere le
tappe evolutive dell’infanzia fino all’età adulta come un dialogo tra sè e il mondo, un dialogo
costante di amore intriso di gesti e azioni, un dialogo che ha bisogno di basi sicure, di accudimento presente, di intimità tra genitori e figli, quell’intimità che riusciamo a creare nelle sessioni di biodanza, un luogo accogliente, non giudicante, un contatto affettivo, basi per una crescita
sana, e per una crescita senza violenza, un bisogno primario per tutte le età.
E continua: “In realtà l’unico vero antidoto di fronte alla durezza della vita o alle false lusinghe di una
società pericolosa è la capacità di costruire con i propri figli, nelle intimità delle proprie relazioni, un solido
modello affettivo alternativo, più vero che funga da esempio, fatto di sentimenti vissuti, di condivisioni appassionate, di entusiasmi, di amori, di impegno, di accettazione della fatica e del dolore.”
La cosa meravigliosa è che la maestra di vita è la natura, è lei che ci guida e ci fa comprendere, ad esempio, che quando un bambino mette i denti è pronto per mangiare e che lo svezzamento è necessario per iniziare un amorevole processo di distacco in cui il rapporto con la
madre assumerà nuove sfumature.
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L’approccio di Alessandro Bertirotti
“La mente ama”
Alessandro Bertirotti è antropologo e psicologo, docente universitario, ha scritto diversi libri
tra cui “La mente ama” testo approfondito dalla nostra équipe della scuola biocentrica in quanto
ha all’interno molti collegamenti con il principio biocentrico.
L’autore del libro è stato invitato nella nostra scuola per tenere una conferenza all’interno
del nostro convegno annuale: “Scuola come. Alternative possibili.”
Il testo mette in evidenza come la scienza occidentale abbia perso di vista l’importanza dell’amore come base del funzionamento della mente. Bertirotti parla di ciò che accade nella mente,
quando istauriamo relazioni affettive con ciò che ci circonda. Ciò che spinge a vivere, ad esistere
come umanità e come universo in genere è una forza, un volere ragionevolmente amoroso. Il
cervello umano funziona secondo le stesse leggi dell’universo. Il sentimento di comunanza con
l’universo è l’espressione di un atavica solidarietà mistica tra la parte e il tutto.
Da sempre l’umanità si è fatta domande sul senso della vita e l’uomo con l’evoluzione e il suo
passaggio alla stazione eretta è entrato sempre di più in dialogo con la natura.
L’uomo, che guardava le stelle e imparava da esse, sa di essere collegato con il cosmo, di
essere parte di esso.
Citando l’autore “...si forma così all’interno dell’evoluzione della nostra specie la consapevolezza che la
nostra vita sia espressione di una identica manifestazione naturale, senza la quale nemmeno noi saremmo
presenti in questo mondo. Ecco che cosa intendo per solidarietà mistica: l’unione con il tutto.”
Il principio biocentrico afferma proprio questo, il riconoscersi parte del tutto.Questa certezza che unisce l’umanità con tutte le particelle del pianeta per Bertirotti si trova nei processi
del ragionamento stesso, nel percorso dell’evoluzione del pianeta e anche lui come Rolando
afferma che il motore della vita, l’attrattore principale è l’amore inteso come forza propulsiva
che dà origine alla vita stessa.
La vita genera l’universo e non il contrario. Se assumo di essere parte del tutto posso anche
supporre di poter modificare in qualche misura quello che mi sta attorno così come posso essere modificato dalle cose del mondo. Siamo parte integrata e integrante della vita stessa, siamo
strettamente correlati a tutto ciò che è intorno a noi, dipendiamo da tutto e da tutti e non siamo
un isola in mezzo al mare, possiamo trasformare i nostri singoli orticelli in terreni comuni, l’uomo non è fatto per stare solo, sua caratteristica è la gioia del condividere, dai gesti più semplici
al sapere più nobile.
Avere la certezza che dipendiamo da tutto e da tutti non è un atto di mancanza di rispetto
per le singole individualità, ma la consapevolezza che ad esempio respiriamo tutti la stessa aria,
che abbiamo bisogno degli altri per vivere e che come il nostro umore è influenzato dal sole
durante una giornata, così uno sguardo o un sorriso ricevuto può cambiare completamente
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il nostro stato d’animo. Ancora Bertirotti: “Siamo animali sociali perché abbiamo bisogno di vivere
assieme ad altri esseri umani sia della nostra specie che di altre specie. Se l’obbiettivo della crescita personale
fosse quello di pensare con la propria testa e basta, la natura non ci avrebbe messo nelle condizioni di essere
ospitati da un utero, e dentro il corpo di un altro individuo. Siamo figli di un relazione affettiva e biologicamente determinata, e mai potremmo negare questa relazione che è alla base del nostro benessere generale,
sia personale che sociale”
Marta Nussbaum affronta questa dimensione dell’essere tutti collegati da un punto di vista
sociologico ed economico, Bertirotti da un punto di vista scientifico-filosofico, Giuliana Mieli da
un punto di vista pedagogico, filosofico e Rolando unisce tutte queste parti, regalando spunti
per approfondire la visione biocentrica della vita.
Bertirotti continua parlando di imitazione ed apprendimento affermando che: “Senza imitazione non esiste apprendimento né coinvolgimento in ciò che accade attorno a me. È un principio della mente
antico come la nostra specie, che tra origine dalla convinzione di essere parte di un tutto cosmico, …perché
l’essere umano impara a stabilire una comunicazione attraverso l’imitazione…” Ecco che ritorna questa
certezza, mi sento di dire che l’apprendimento avviene secondo modalità che richiamano la
relazione e l’osservazione del mondo. Il bambino impara per imitazione, e sicuramente il canale preferenziale di questo apprendimento è la madre o chi ne fa le veci nei primi anni di vita;
ma la nostra umanità intera dalla notte dei tempi impara dalle manifestazioni della vita stessa,
impara a sopravvivere decodificando questi messaggi. Impariamo dall’esperienza, è lei la grande
maestra, l’esperienza ci nutre. La natura, ad esempio, nella sua perfezione ci fornisce un istinto
che ci consente di cercare il seno per attaccarsi e dà alla madre gli ormoni necessari a produrre
il sostentamento per il neonato.
La vita è l’esperienza! L’apprendimento affettivo parte da questa consapevolezza: sono tramite di vita perché l’imitazione si renda possibile e si indirizzi verso la sopravvivenza, la salute,
la bellezza l’amore.
Altra parola chiave: “la complessità”. Questa teoria sulla quale si lavora da anni mette in evidenza la coesistenza in questo mondo di caos e ordine, dunque anche nella vita quotidiana di
ognuno di noi non c’è una netta demarcazione tra ciò che è ordinato e ciò che non lo è.
La realtà è complessa ed incerta, e anche Bertirotti sostiene l’importanza di comunicarlo ai
giovani, di insegnare l’imprevedibilità e la precarietà della vita. “…dal mio punto di vista, aderire
al concetto di complessità, significa abbandonare soluzioni causali lineari e inserire all’interno della stessa
complessità anche tutto ciò che è imprevedibile ora per l’uomo … la complessità in effetti richiede alla mente
umana di imparare a non avere una ragione soltanto, ma molte contemporaneamente.”
La complessità ci regala anche la possibilità di sviluppare maggiore creatività e di comprendere che il nostro sistema vivente è un sistema creativo. “Con la teoria della complessità, al contrario di
quanto accade con la visione classica, si impara una grande lezione, e cioè che i sistemi viventi sono creativi,
solo quando si trovano lontano da uno stato di equilibrio asintotico, quando sono cioè al margine del caos”.
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L’approccio di Gloria Germani
Alice project
A scuola di felicità e decrescita
Gloria Germani è una filosofa e scrittrice, si dedica soprattutto al dialogo tra oriente e occidente per la costruzione di quella rivoluzione culturale che permetta di fronteggiare le tante
crisi che stiamo vivendo, in questo testo porta l’esperienza del “Progetto Alice”, una scuola interculturale e interreligiosa che pone al centro del suo programma la conoscenza di se stessi e
l’amore nei confronti del mondo e di ogni creatura vivente. Questa scuola è stata fondata in
India nel 1994 da Valentino Giacomin, maestro italiano. Il testo racconta di questa scuola con
un modello pedagogico che può sembrare lontano dalle tematiche finora trattate, in quanto si
fonda su un apprendimento spirituale legato al buddismo. In realtà questa scuola coltiva un’educazione alla sostenibilità e alla pace, un’educazione alla consapevolezza e alla ricerca di una
felicità slegata dai beni materiali e dal consumismo, per la costruzione di un mondo migliore.
Uno degli obbiettivi principali del Progetto Alice é la soddisfazione della vita: “Il nostro è un
progetto educativo-scolastico e la scuola ha il dovere di insegnare un buon modo di pensare da cui dipenda
la felicità degli studenti... Nel Progetto Alice non si negano i metodi della scienza occidentale che, ad esempio,
divide il corpo in migliaia di parti, ma dopo averlo frantumato si spiega ai nostri studenti che non ci sono
testa, mani, braccia, corpo ma il tutto è unito a se stesso e al resto dell’universo. Questa è scienza olistica”
Il testo continua citando una frase del fisico austriaco Fritjof Capra nel “Tao della fisica” a proposito delle scoperte della fisica contemporanea; “Ci obbligano a considerare il mondo in un modo
molto simile a quello degli indù, dei buddhisti e dei taoisti… molto simile a quello dei mistici di tutti i tempi
e di tutti i luoghi. ”
Interessante questo senso di unità con il tutto, l’unione cosmica che ritroviamo nel principio
biocentrico e nella linea della trascendenza. La nostra scuola biocentrica ha una visione trascendente della vita e cerca di portarla nell’ insegnamento e nelle pratiche quotidiane di condivisione della vita. Nell’educazione primaria i bambini iniziano la giornata con un momento di
meditazione e anche nella scuola materna, tenendo naturalmente conto delle differenti età. Un
momento per richiamarci ad essere presenti a noi stessi in connessione con gli altri.
Ancora il testo descrive molto chiaramente le problematiche sociali di questo tempo ancora
più sentite in una realtà come l’India dando contemporaneamente spunti di riflessione per
noi occidentali... “C’è bisogno di un nuovo paradigma che dia ai ragazzi una diversa visione della vita.
Forse, allora potremo fermare la caduta libera... Cosa fanno tutti gli studenti educati al valore del denaro
in un mondo in crisi economica, con un altissimo tasso di disoccupazione? La scuola ha una responsabilità
enorme, soprattutto adesso.”
Secondo Alice project la chiave di svolta sta nell’educazione, l’educazione è la chiave per
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costruire un mondo nuovo. La filosofia di Alice è una scienza della mente: “È la nostra mente che
costruisce la nostra effimera e passeggera realtà. È lei che tesse, per così dire, la realtà assecondando infinite
influenze che si intrecciano tra di loro. Una delle leggi fondamentali per la realizzazione di un mondo nuovo
è incominciare a considerarsi in interdipendenza...” La legge dell’interdipendenza per cui nessuna
cosa, persona, microorganismo, atomo è una realtà autonoma, esiste di per se e indipendente
da altri.
L’interdipendenza non è solo un modo nuovo di sentire la vita, è una realtà oggettiva, una
visione olistica della scienza e una possibilità per un educazione che non sia più arcaica ma che
tenga conto di tutte le connessioni. Valentino Giacomin continua: “Quali saperi offre oggi la scuola
sia alle elementari che alle superiori? Saperi frammentari, tipici del modello meccanicista cartesiano-newtoniano, in una parola saperi arcaici.”
In questo libro viene riportato l’esempio dello stato del Bhutan che dichiara che “La felicità
nazionale complessiva è più importante del prodotto nazionale complessivo”.
Il primo ministro del Bhutan nel 2010 ad una seduta dell’ONU, sostiene che tutti i problemi
finanziari, alimentari, cambiamenti climatici, calamità naturali e povertà che ci assillano ora
derivano dal modo in cui viviamo la nostra vita. “Se ciò che la gente ricerca più di ogni altra cosa è la
felicità, allora è responsabilità dei governi e dei leader indicare i modelli che possano condurvi”
Cos’è dunque la felicità? Con la biodanza abbiamo imparato che la ricerca della felicità riguarda l’amare e l’essere amati, avere un nido, stare con le persone che ci valorizzano, fare un
lavoro che ci piace, portare la nostra creatività nel mondo, sentirci collegati con tutti e con il
tutto. Ecco la posizione del Bhutan rispetto a questo argomento: “…la felicità non può esistere se
gli altri soffrono, quindi la felicità c’è solo se è condivisa, pertanto va perseguita la felicità complessiva e
mai individuale. Inoltre la felicità è uno stato dell’essere che può essere raggiunto quando sono in equilibrio
i bisogni del corpo e quelli della mente.”
Credo che nelle nostre scuole dovremmo educare prima di tutto a non sentirci separati dal
resto del mondo e dagli altri, educare a manifestare pienamente la nostra umanità, a fare la nostra parte per un bene comune. Questo ho appreso e condivido con tutte le letture confrontate
in questa monografia e con l’educazione biocentrica.
L’augurio per tutti i bambini del mondo è di essere co-costruttori di un mondo migliore per
tutti.
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Ritmo: vita che pulsa
Vicino alle montagne
Spianato sotto i sassi
Il suolo del campo risuona
Ti dice: la terra è un tamburo
Pensaci
Noi, per seguire il ritmo,
dobbiamo fare attenzione ai nostri passi
Joseph Bruchac (poeta Abenaki)
Da sempre gli esseri umani hanno sentito di appartenere a qualcosa di più grande, a una
complessa armonia interna. E da sempre l’essere umano ha sentito che ci sono alcune leggi che
reggono l’universo. Sono leggi ritmiche, cicli che si ripetono nella natura, nelle stelle, che si
ripetono nel nostro corpo.
Tutto quello che è vivo è compenetrato di movimenti che si ripetono in modo regolare. La
terra, l’animale, l’uomo ed anche il cosmo si basano su leggi ritmiche.
Il nostro cuore pulsa in modo ritmico: contrazione e rilassamento.
Il respiro si muove ritmicamente: inspirazione ed espirazione
Il ritmo di attivazione dei nostri organi è ciclico. Ogni due ore si attiva un nuovo circuito
dentro di noi, mentre gli altri riposano.
Il nostro movimento si basa su un ritmo: poggiare il piede e staccare.
Tutto questo è armonioso e integrante. Noi siamo immersi in questo processo di integrazione.
Tutti i cicli sono uno dentro l’altro e allo stesso tempo sono interdipendenti. Mantengono la
diversità nell’armonia.
Possiamo osservare così che ogni ripetizione ritmica non è identica all’altra.
Ritmo è flessibilità, in confronto al tempo musicale, che è fissazione.
Il ritmo ha la possibilità di integrare ed equilibrare. Ha a che fare con la compensazione di polarità, è un delicato gioco intorno alla “via di mezzo”, è la misura d’oro.
Il ritmo è fluidità.
Tutto quello che si svolge in modo regolare necessita di uno sforzo minore, diventa ovvio e
dà sostegno e sicurezza.
Tutto quello che si ripete, s’imprime nelle nostre abitudini e forma la nostra personalità, la
nostra forza di volontà.
Oggi è facile emanciparsi da tanti ritmi: trasformiamo la notte in giorno, si possono comprare pomodori freschi tutto l’anno, le macchine sostituiscono l’uomo in numerose attività ritmiche (cucire, lavare, frullare, impastare, vangare, seminare ecc.)
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La nostra epoca agitata è tutt’altro che ritmica!
Dobbiamo fare molto lavoro su di noi per poterci centrare e sentire di nuovo quanto la natura sia piena di ritmo.
Le fasi lunari, il giorno e la notte, le stagioni dell’anno, il movimento dei pianeti, il ritmo
degli alberi al soffio del vento, il ritmo incessante della pioggia quando cade sulla terra.
Il ritmo esiste nel canto degli uccelli, nel frullare delle ali di una farfalla, nel canto dei grilli
e delle cicale.
Rudolf Steiner, ideatore dell’antroposofia nonché fondatore della pedagogia Waldorf dice:
“Il ritmo è ciò che risana nella vita, ciò che porta alla completezza, ciò che unisce gli opposti. Il ritmo è per
metà fisico e per metà spirituale”.
Il ritmo è una colonna portante ed è il filo conduttore per l’educazione del bambino piccolo.
E parliamo di educazione nel senso più profondo del termine. Educare deriva dal greco
“e-ducere” che significa “tirare fuori” dal bambino quelli che sono i suoi talenti naturali, aiutarlo a
scoprire il proprio modo di essere e tutto quello che ha da scoprire ed imparare.
Il ritmo del giorno, della settimana e delle stagioni, offrono meravigliose occasioni per curare questo elemento così importante ed educativo. Il bimbo impara attraverso la ripetizione ed
il ritmo.
Il ritmo e il canto sono stati il primo strumento che l’umanità ha usato per comunicare parole e pensieri, poi il canto è divenuto strumento per comunicare sentimenti e gioia di “cantare
per cantare”.
Parente stretta della lingua parlata, la voce cantata si manifesta e si evolve naturalmente, organizzandosi in modi e forme via via più ricche e complesse, fin dai primi mesi di vita.
Il bambino nel grembo materno, già al quinto mese della gravidanza ha sviluppato l’udito e
già reagisce ai suoni acuti che sente fuori, può già avere delle reazioni, ad esempio muoversi se
sente un clacson che suona. Proviamo a immaginare questo piccolo essere, che in un ambiente così protetto, dentro l’acqua, sente il respiro, il battito cardiaco e soprattutto la voce della
mamma, questa voce che anche dopo la nascita rimane unica, un punto di riferimento per il
bambino che la sa riconoscere benissimo dalle altre voci, così come sa riconoscere benissimo le
voci dei fratelli, del padre, tutte voci che ha sentito da dentro.
“Mezz’ora dopo la nascita il bambino è già pronto a entrare in duetto con la mamma, a farsi eco di lei,
mostrando di avere un impulso innato, che coincide con la sua stessa vita, a cercare la madre o la persona
che si prenderà cura di lui, per farsi specchio, subito ed entrare in un dialogo ritmico. Non fatto di parole,
che non possiede, di significati, che non conosce, ma di movimenti, sguardi, vocalizzazioni. Da cui apprenderà tutto ciò che gli occorre per vivere. Il neonato ha un interesse vitale a coordinare i pochi movimenti che
è in grado di fare, con i movimenti e le espressioni materne. Per lui mimare le facce della mamma e andare
ritmicamente a tempo con lei, è la forma stessa della sopravvivenza”.
E a quattro settimane o poco più il neonato si aspetta che l’adulto corrisponda al suo ritmo.
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Sollecita e contrasta i segnali dell’adulto, li influenza, li orienta, e ne è influenzato e orientato.
Si entra nella vita facendo e ascoltando musica. Musica non formalizzata, ma musica.
Per il bambino in fasce, il tono della voce della madre equivale al timbro di uno strumento
musicale e le note emesse con gli allegri giochi della sua voce producono in lui intense emozioni.
Il bambino al quinto mese di vita è già in grado di stare seduto ed è già in grado, se stimolato
da un ritmo, di battere le manine. Se si gioca col bambino in questo modo si vedrà che alla fine
del primo anno è già in grado di battere il tempo di una canzoncina.
Non tiene il tempo come noi e per tutta la canzoncina ma sa già battere il tempo, perché nel
suo primo anno di vita impara a camminare e a coordinare destra e sinistra in modo regolare.
A questa età il tempo della musica è molto vicino al bambino.
Nel libro di Paolo Apolito “Ritmi di festa”, Colwyn Trevarthen, psicologo neozelandese e
professore emerito dell’università di Edimburgo, studia da anni la natura musicale della specie
umana sostiene che la musicalità ritmica dell’essere umano poggia su quella del suo corpo: “È
lo stesso camminare eretti con andatura bipede che fa musicali gli umani, mentre camminiamo, ci giriamo,
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destra a sinistra, protendiamo i fianchi ondeggiando, facciamo gesti intricati con le mani, parliamo, ogni
cosa in frasi coordinate di fluido ritmo. Imparando a camminare, da piccoli, secondo il modo di camminare
del nostro angolo culturale di mondo, diventiamo capaci di distribuire la poliritmia del nostro corpo.”
Nel secondo anno il bambino impara a parlare e parlare è la parte ritmica della musica. Se
c’è un ritmo in una canzone è perché le note seguono le parole e viceversa.
Osservando a fondo vedremo come il ritmo nella musica esprime il sentimento e come una
stessa melodia cantata o suonata con un ritmo diverso dia un risultato differente.
Una stessa melodia cantata con un ritmo più veloce tende ad eccitare il bambino mentre se la
si canta in modo più lento il bambino tende a tranquillizzarsi proprio perché il ritmo è collegato
al sentimento.
Nel terzo anno è facile che il bambino riesca a ricordare la melodia delle canzoni. Se vive
in un ambiente favorevole al suo sviluppo musicale avviene che il bambino a tre anni canti una
canzoncina perfettamente intonata.
Spinto per natura al ritmo e alla musica, già nel ventre materno, e diventato essere musicale
secondo le convenzioni musicali dell’ambiente che lo circonda, seguendo i parenti, i vicini, la
sua “tribù”, dentro i suoi contesti culturali – proprio come avviene per le lingue – sarà pronto
da adulto ad entrare nella vita sociale, in musica con gli altri, che come lui si muovono in flussi
musicali.
Questo è importante per tutti noi esseri umani. Gli altri che si muovono con noi in questi
flussi musicali, ci affascinano e ci attraggono. Una naturale simpatia ci calamita ed entriamo in
relazione e allora non resistiamo alla musicalità di base degli altri. Soprattutto nelle relazioni
emotivamente significative, le quali hanno sintonie temporali, e sono tanto più dense quanto
più le persone sono empatiche, e allora i movimenti si fanno davvero musicali, perché attrazione, amore, amicizia, simpatia, condivisione, si esprimono ritmicamente in forme che assomigliano a melodie e armonie.
Tuttavia ad un certo punto della vita per qualcuno diventa difficile “andare a tempo”. Seguire
semplicemente il ritmo di una musica sembra quasi impossibile. Queste persone il più delle
volte non se ne rendono conto. Sono convinte di seguire il ritmo finché qualcuno non fa loro
notare che non è così.
Perché accade questo? Che cosa non funziona in questo caso?
Pensare ad un ritmo significa associarvi un corpo in movimento e un gesto che lo esegue, che
deve derivare dall’esercizio di una certa forza muscolare. L’esperienza ritmica è una capacità
figurativo/gestuale basata sull’agilità e sulla creazione di sequenze di movimento dove il corpo
ha bisogno di conoscere automaticamente lo spazio da percorrere e il tempo che serve per
percorrerlo, nonché l’energia necessaria perché il movimento sia adeguato alla sequenza da
eseguire e all’accentuazione da dare. Tutto questo è dato dalla possibilità di stabilire in modo rapido una comunicazione tra la mente che concepisce ed il corpo che esegue: dipende dal buon
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funzionamento del sistema nervoso che organizzerà gli ordini di contrazione e rilassamento
della muscolatura. La presenza di una qualche resistenza nel sistema muscolare, o un disturbo
nel sistema nervoso, può produrre un disordine cerebrale e un’inquietudine generale nei quali
il cervello non trova la calma; il risultato sarà una mancanza di fiducia in se stessi.
Una persona che ha senso del ritmo possiede sempre un buon equilibrio corporeo, una grazia fisica e un’ armonia nei gesti.
A volte per alcune persone è difficile anche applaudire a ritmo con le altre persone. Possono
battere le mani a tempo se sono da soli ma non riescono a farlo insieme agli altri.
“Applaudire insieme agli altri non riflette solo godimento estetico, ma anche un sentimento di unità
sociale, l’applauso riscalda chi applaude quasi quanto chi è applaudito. Non è difficile applaudire a tempo
con gli altri perché non è difficile stare a tempo con gli altri. Ma la testimonianza di chi non riesce a farlo
mostra come sia necessario il possesso di una particolare risorsa, propria di una musicalità comunicativa”.
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La musica in biodanza
“La musica è una legge morale: essa dà un’anima all’universo,
le ali al pensiero, uno slancio all’immaginazione,
un fascino alla tristezza, un impulso alla gaiezza,
e la vita a tutte le cose.
Essa è l’essenza dell’ordine ed eleva ciò che è buono, giusto e bello,
di cui essa è la forma invisibile,
ma tuttavia splendente, appassionata ed eterna.”
Platone, 400 a.C. (dai Dialoghi)
“La
musica è il linguaggio della trascendenza. Il che spiega la complicità che crea
tra gli esseri umani. Li immerge in un universo dove cadono le frontiere.
Al mondo della musica si accede veramente solo quando si oltrepassa l’umano.
La musica è un universo, estremamente reale seppure inafferrabile ed evanescente.
Un individuo che non possa penetrarvi, perché insensibile alla sua magia, è privo
della ragione stessa di esistere. Il supremo gli è inaccessibile.
Comprendono la musica soltanto quelli a cui è indispensabile.
La musica deve farti impazzire, altrimenti non è nulla.”
Emil Cioran (filosofo rumeno)
La musica trasforma la nostra identità quanto più la nostra identità lo permette, se la sua
struttura egoica non è troppo grande. Per essere creatori musicali bisogna poter entrare in stati
di coscienza diversi, essere aperti. Bisogna quasi essere dei medium.
Ogni creatore musicale
è come un medium, perché riceve le vibrazioni dal mondo. La sua identità diventa sensibile,
come un diapason. Così anche noi, quanto cominciamo a danzare la musica, nell’essere la musica, apriamo i nostri sensi e le nostre percezioni senza più i blocchi difensivi che ci portano a
dirigere il nostro movimento. Se noi pensiamo che il nostro movimento debba essere estetico
o sensuale o di altro tipo, allora blocchiamo l’ingresso alle percezioni musicali, facendo sì che
questo processo non avvenga. Noi possiamo essere la musica, possiamo rendere sottili i nostri
limiti corporei e trasformarci così in uno strumento che riceve. Tutto il nostro corpo riceve
la musica e la esprime nel movimento, senza lasciare spazio al pensiero. Tutte le musiche in
biodanza sono musiche di trasmutazione. Per questo sono state scelte. L’essere umano è parte
integrante di un universo musicale. Questa consapevolezza, che parte da intuizioni primordiali
sui miti delle creazioni, percorre la storia dell’umanità e non è altro che una ripresa del tema
di tutta la vita in genere. Con la musica si praticavano riti di guarigione. Anche oggi studi scientifici hanno potuto sperimentare che il suono è come un’ onda, una propagazione di energia.
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Le ultime ricerche nel campo del suono hanno portato alla creazione di una scienza chiamata
“cimatica”, che studia l’effetto morfogenetico delle onde sonore. Ogni onda sonora prende una
forma precisa (la morfogenesi è la genesi delle forme). Si studiano le forme che il suono fa
prendere all’acqua, alla sabbia e alle polveri di vario genere. Tutto questo fa parte del nostro
universo. Noi non possiamo pensare che quello che è stato prima di noi non sia dentro di noi.
Noi siamo il risultato finale di quello che c’è stato prima di noi, sia a livello fisico che a livello
psicologico e a livello emotivo. Noi siamo il risultato di un mondo che evolve, quindi neanche
la musica può esserlo. La musica di adesso nasce riflettendo, “risuonando” con la realtà di oggi,
domani sarà diversa perché diverse saranno situazioni e percezioni.
“La percezione musicale non è soltanto un atto uditivo. La musica si ascolta con tutto il corpo: di più, con
tutti i tessuti corporei. È simile al fenomeno della nutrizione e i suoi effetti involvono non soltanto la sfera
psichica e le emozioni, ma influiscono sui livelli di risposta ipotalamica, sull’equilibrio neurovegetativo e
sull’omeostasi. Gli organi presentano diverse risonanze a fronte dei diversi passaggi di un’opera musicale;
questa risonanza ha una dimensione fisica, come stimolo tattile e cinestesico. Nel campo della musicoterapia
si è dimostrato l’influenza di ritmi musicali sul ritmo del cuore e di certe musiche sulla pressione arteriosa.
Credo pertanto di non esagerare quando affermo che la percezione musicale è un’esperienza di totalità. Percepiamo la musica con il nostro apparato cognitivo, con la nostra sensibilità, con tutta la gamma delle nostre
emozioni, con i nostri istinti, con i nostri organi e, in sintesi, con tutto quanto rappresenta il nostro sistema
vivente.” Rolando Toro
Le musiche usate dalla Biodanza, selezionate e classificate da Rolando Toro, sono a mio parere un patrimonio importantissimo per tutta l’umanità.
Esse devono corrispondere ad alcuni criteri che devono essere considerati nella scelta dei
brani da utilizzare in Biodanza, vale a dire: la coerenza tra il Preludio e lo sviluppo musicale,
contenuto emotivo definito e intenso, tema musicale stabile e che esprima uno stato d’animo
elevato.
Inoltre le musiche in Biodanza sono scelte in base alla loro funzionalità, cioè alla linea di
vivencia che si desidera potenziare: vitalità, creatività, affettività, sessualità e trascendenza. Naturalmente, lo stesso brano può eventualmente servire diverse linee variando la consegna.
La musica è uno dei fiori all’occhiello di Biodanza, ha il potere di deflagrare emozioni e sentimenti e dare senso ai movimenti che ne nascono; selezione e scelta sono di fondamentale importanza perché la vivencia che ne scaturisce sia profonda e in accordo con la proposta di lavoro.
Il criterio non è estetico, ma funzionale. Un movimento musicale integrato ci porta ad una
danza integrata. Si sceglie una musica cosiddetta organica, cioè rispettosa dei bisogni fisiologici
di base (velocità e frequenza cardiorespiratoria), il cui utilizzo aumenti i livelli di regolazione
omeostatica del corpo del danzatore.
Si definiscono musiche organiche quasi tutte le forme di musica tradizionale contenenti
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gli attributi biologici come fluidità, armonia, ritmo, tono e unità del sentimento; sono brani
strutturati da un nucleo emotivo e con uno scopo fortemente espressivo, capace di risvegliare la
stimolazione motoria e viscerale profonda.
Per Rolando Toro deve esistere una coerenza tra l’organicità della vita e l’organicità della
musica, questo concetto non è facile da spiegare in termini razionali, lo si potrebbe decodificare
in termini di armonia, potremmo dire che, come nella vita esiste una armonia, la stessa si deve
ritrovare nella musica. È come se l’autore inconsciamente fosse chiamato a riprodurre musicalmente l’organicità della vita.
La musica di Mozart è individuata da Toro come una musica organica o biologica per eccellenza, mentre come esempi di musica inorganica cita la musica elettronica contemporanea o la
musica dodecafonica, cioè musiche che rompono l’unità dei temi musicali, che rinnegano l’armonia, che introducono dissonanze, ritmi spezzettati ed atonali, stridori e rumori, inducendo
movimenti dissociati.
La Biodanza evita l’utilizzo di queste musiche, ad esclusione di casi particolari, quali brevi
esperienze in sessioni di creatività.
La semantica musicale è una proposta di ricerca dei significati emozionali che vengono indotti dall’ascolto di determinate musiche. Toro cita le esperienze di Michel Imberty, musicologo, filosofo e psicologo, Professore all’Università di Parigi Ouest Nanterre la Défense. Imberty
è uno studioso di rilevanza internazionale che si occupa dei problemi psicologici legati alla
percezione e alla comprensione del significato del tempo musicale, sia nel bambino sia nell’adulto, in relazione alla storia delle opere e degli stili musicali. In particolare si è interessato alla
musica del XX secolo e all’evoluzione delle strutture temporali musicali sia dal punto di vista del
compositore sia dell’ascoltatore.
Le scelte musicali nelle linee di vivencia
Secondo Toro, che riprende le ricerche di Imberty, i criteri di una semantica musicale in
Biodanza sono :
1) Coerenza tra introduzione e sviluppo del tema musicale.
Le prime battute di un tema musicale contengono in embrione tutto il suo sviluppo, che
riprende uno o più temi già annunciati, quindi l’introduzione deve essere in grado di indurre
uno schema di risposta affettivo-motoria- espressiva che determinerà il movimento della danza
favorito dall’emergere della vivencia. Musiche dissociative che rafforzano immobilità o forniscono una base per movimenti ripetitivi e meccanici, non fanno parte del repertorio musicale di
Biodanza.
2) Contenuto emozionale definito ed intenso.
Il tema musicale deve esprimere un contenuto emozionale definito ed intenso, come per
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esempio allegria, sensualità, dolcezza, etc. Questo contenuto deve essere coerente con la linea
di vivencia che si sta lavorando nella sessione di Biodanza .
3) Tema musicale stabile.
Oltre all’intensità emotiva della musica, è necessario che il tema emozionale (o il clima musicale) rimanga stabile. Combinazioni di diversi significati emozionali nella stessa musica impediscono una vivencia coerente e armoniosa.
4) Tema musicale che concorra alla espressione di uno stato d’animo.
In ogni persona, la vivencia musicale avrà una diversa risonanza e alcuni saranno mobilitati
più di altri. Tuttavia, il modello musicale induttore punterà sempre ad operare sui cinque grandi potenziali umani (vitalità, creatività, sessualità, affettività, trascendenza), così che una musica,
accoppiata con un certo movimento, dovrà produrre in ciascun membro del gruppo esperienze
simili, anche se di diversa intensità e tonalità in funzione del grado di sensibilità di ogni membro
del gruppo .
Inoltre, uno studente avanzato all’interno di un gruppo di principianti, vivrà l’esperienza più
intensamente, perché la sua capacità di sentire è facilitata e la repressione è diminuita.
Rolando Toro ha indicato la correlazione tra l’espressione dei cinque potenziali umani e le
musiche e gli esercizi utilizzati: per ogni potenziale (o linea di vivencia ) sono utilizzati certi tipi
di musica, scelta in base alla loro funzionalità. Elenchiamo qui di seguito le caratteristiche desiderabili di una musica per le diverse linee di vivencia.
a) Linea di vitalità
Solitamente si inizia e conclude una sessione di Biodanza con la linea di vitalità attraverso
una “ronda” (cerchio di persone danzanti) di attivazione. La “ronda” è un mandala che simbolicamente rappresenta uno spazio di trasformazione e di contenimento affettivo.
La scelta dei brani dipenderà da ciò che si intende attivare e risvegliare. generalmente si usano canzoni di carattere gioioso, euforico e stimolante, sia all’inizio che alla fine della sessione
di Biodanza.
Per esperienze come camminare, saltare, giocare (che sono esercizi chiave per unire il gruppo), sincronizzazioni, danze ritmiche ed espressive, variazioni, si usano musiche marcate e rapide, euforiche, con un ritmo gioioso, che eleva lo slancio vitale.
Per le esperienze di fluidità, respirazione e movimenti segmentari, si utilizzano musiche con
un tempo meno marcato, con una progressione più lenta, più rassicurante, permettendo movimenti più volatili, leggeri, fluidi e rallentati.
b) Linea di creatività
Per la linea della creatività, la Biodanza usa della musica con ritmi di diversa intensità e melodie di diverso tipo e carattere. La cosa importante è che la musica ci ispiri la navigazione nel
regno dell’ immaginario, aprendo la strada alla spontaneità e allo scherzo.
Solamente scherzando la persona è libera di creare e solo attraverso la creatività potrà scopri-
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re chi è veramente avendo così l’opportunità di esprimere se stessa.
La musica in questa linea dovrebbe incoraggiarci a provare il nuovo, ad osare, a creare usando il corpo, coltivando la sensibilità ed esprimendosi in movimenti e forme sempre più armoniosi e piacevoli.
Attraverso la stimolazione di questa linea di vivencia la persona prende gradualmente coscienza di essere il creatore della propria vita e se ne assume la piena responsabilità.
c) Linea di affettività
Le musiche utilizzate in questa linea di vivencia sono di solito collegate ai sentimenti (ma non
per questo sentimentali).
La connessione tra la musica e il sentimento può essere fatta risalire ai primi rapporti con la
madre.
Per le “ronde” di affettività, di culla e di accarezzamento vengono utilizzate ninne nanne che
danno protezione e sicurezza ai partecipanti, evocando i primi momenti della vita infantile,
consentendo quella che Toro definisce, con un neologismo, la riparentalizzazione dell’individuo, esse hanno un alto potere di guarigione, rinforzano il senso di appartenenza, di fiducia, di
sicurezza, di riposo e di protezione.
Al suono di queste musiche , il nostro bambino interiore si sente amato.
Per questa linea, la Biodanza usa le musiche che enfatizzano la melodia (sequenza di suoni).
La melodia può essere lirica, di carattere romantico e affettivo, a volte con un erotismo delicato, gentile, caldo, riportando il soggetto partecipante all’infanzia.
Spesso fa nascere sentimenti di tenerezza, solidarietà, cooperazione, compassione e pace,
mobilitando la nostra energia amorevole, il nostro desiderio di incontro e legame.
L’ascolto di queste musiche potenzia lo sviluppo della capacità di ascolto del corpo, permettendo di usare il corpo come un mezzo per entrare in empatia con gli altri.
d) Linea della sessualità
Le musiche di questa linea sono intensamente emotive, melodiche, erotiche, sensuali e di
carattere passionale.
Possono avere tempi veloci o lenti. Tendono ad amplificare la percezione dei cinque sensi, in
particolare il tocco, e stimolano il piacere cinestesico.
Con un unico movimento dell’anca, per esempio, possiamo sentire la forza della connessione tra il suono e l’area pelvica. Le musiche possono essere cantate da voci rauche o vellutate.
Strumenti come il sassofono tenore, clarinetto o la cornetta silenziata possono avere grande
effetto.
Spesso la nostra cultura provoca in alcune regioni del corpo gravi blocchi, che ostacolano il
piacere e il godere di una vita sessuale completa, intensa e piacevole.
Rolando Toro afferma che con molta progressività è possibile sbloccare queste aree e indurre
le persone a considerare il corpo come un tempio sacro e non come fonte di peccato, e a con-
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siderare la sessualità come una forza rispettabile e importante per la creazione. Perché l’istinto
sessuale è collegato alla conservazione della vita, non solo della nostra, ma della vita in generale,
che permette il mantenimento della specie.
e) Linea della trascendenza
Quando la Biodanza lavora la linea della trascendenza vuole far entrare i partecipanti in contatto con l’armonia, il sublime, l’oceano, l’eterno senza limiti.
Le musiche di questa linea sottolineano l’armonia (combinazione simultanea di vari suoni)
e sono associati con stati di elevazione dell’anima e di illuminazione, inducendo sensazioni di
tranquillità e armonia interiore.
Promuovono generalmente un viaggio verso l’ignoto, l’inconscio, l’intramontabile, che porta alla sensazione di fusione, dissoluzione del sé, l’unità trascendente di tutte le forme di vita.
La musica può anche promuovere l’esperienza di estasi con sé, con gli altri e con l’universo.
Queste canzoni evocano immagini che espandono la consapevolezza, aiutano a sintonizzare
l’orecchio per ascoltare l’universo.
È la notte la vera musica che sento
Rane, grilli, i suoni della natura
La musica è il canto della terra.
Bob Marley
La musica
dalla terra arriva al cuore
e ti scalda l’anima
Con la musica
Puoi planare sopra l’acqua
anche quando è gelida
Pino Daniele
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Capitolo 3
Conclusioni
“La biodanza fa la differenza”
L’incontro con la biodanza ha trasformato e migliorato la qualità delle nostre vite. La passione per l’educazione e le nostre scelte che già si erano evidenziate precedentemente, con la
biodanza hanno preso ulteriormente motivazione e slancio, la nostra identità si è rafforzata
dandoci il coraggio di prendere decisioni anche drastiche per aderire a ciò che ci faceva stare
meglio. Quando ci siamo licenziate dalla scuola steineriana abbiamo fatto un atto di coraggio,
non avevamo un altro lavoro, ma ognuna noi aveva incominciato ad intuire che quella realtà le
faceva male.
Considerazioni di Luisella
Con la biodanza ho portato alla luce il mio potenziale affettivo, ho potuto manifestare l’amore che avevo dentro e sentire che potevo vivere in nome di quell’amore. Moltissime cose sono
cambiate nella mia vita, l’approccio intellettuale è andato via via scemando, lasciando il posto
alla via del cuore, che ogni giorno, con cadute e risalite cerco di percorrere. Il rapporto con i
miei figli è di gran lunga migliorato, è aumentata l’allegria, la fiducia e il mio potenziale creativo. Il mio interesse per la ricerca in campo educativo si è ampliato, da qui la scelta di lavorare
nella monografia sullo studio di testi differenti. Mi sembra di realizzare un sogno che avevo da
ragazza, dicevo spesso “Se mi pagassero per studiare!” Certo non sono pagata per studiare, ma
studio per passione, continuo a formarmi e trovo sempre stimoli nuovi. Facendo la scuola per
diventare facilitatori sono rimasta affascinata dalla quantità di testi proposti da Rolando sulle varie discipline, sono nate curiosità nuove, nuovi collegamenti e così anche la mia mente è nutrita
da un sapere vivo ed emozionato.
L’affettività è aumentata anche nella mia vita sociale, la visione rivoluzionaria della biodanza, l’attenzione all’altro senza discriminazione, l’assoluta certezza nell’incontro hanno parlato
al mio cuore dandomi la forza di integrare sempre di più la biodanza nella mia vita. La scuola
biocentrica e le conoscenze pedagogiche che stiamo approfondendo hanno suscitato in me il
desiderio di continuare ad approfondire le tematiche educative, permettendomi di focalizzare
un mio desiderio: lavorare in un gruppo per continuare la ricerca nell’ambito dell’educazione
biocentrica.
Considerazioni di Dolziana
Quando ho lasciato la scuola steineriana non facevo ancora biodanza, avevo solo provato
qualche serata ed uno stage, ma avevo capito che in qualche modo quella “tecnica” mi rappre-
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sentava. La possibilità di stare in un gruppo, la forte componente affettiva ed emozionale e la
possibilità di danzare con la musica in modo non strutturato erano componenti assolutamente
allettanti. Ho faticato un po’ a farlo accettare in famiglia, ma poiché era finalizzata al mio lavoro
è stata infine accettata. Ho iniziato un giovedì e da allora non ho più smesso. Ed è stato chiarissimo per tutti (anche per la famiglia) che non avrei più smesso. Ho compreso subito l’importanza
pedagogica della biodanza percependo il suo potenziale, penso che sia uno strumento per la
pace nel mondo.
Anche i miei gusti musicali sono cambiati. Io amo la musica, mi piace cantare e ballare ma
con la biodanza questo piacere non è più fine a se stesso. Adesso ascolto la musica con orecchio
diverso, apprezzandone tutte le sfumature. Sono diventata più sensibile e non tollero più certe
musiche troppo dissociate. Quando ascolto una musica che mi piace cerco di capire se va bene
per la biodanza e per quale vivencia e man mano che approfondisco la mia esperienza sento di
riuscirci sempre di più. Desidero continuare a formarmi e mi piacerebbe lavorare nel campo
della ricerca della semantica musicale.
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La scuola biocentrica di Torino
La vita al centro, bambini e genitori”
Non insegnate ai bambini
non insegnate la vostra morale
è così stanca e malata
potrebbe far male
forse una grave imprudenza
è lasciarli in balia di una falsa coscienza.
Non elogiate il pensiero
che è sempre più raro
non indicate per loro
una via conosciuta
ma se proprio volete
insegnate soltanto la magia della vita.
Giro giro tondo cambia il mondo.
Non insegnate ai bambini
non divulgate illusioni sociali
non gli riempite il futuro
di vecchi ideali
l’unica cosa sicura è tenerli lontano
dalla nostra cultura.
Non esaltate il talento
che è sempre più spento
non li avviate al bel canto, al teatro
alla danza
ma se proprio volete
raccontategli il sogno di
un’antica speranza.
Non insegnate ai bambini
ma coltivate voi stessi il cuore e la mente
stategli sempre vicini
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date fiducia all’amore il resto è niente.
Giro giro tondo cambia il mondo.
Giro giro tondo cambia il mondo.
Giorgio Gaber
Dall’incontro con Tiziana e con la biodanza è emerso sempre più forte in noi il desiderio di
continuare a lavorare per costruire un mondo migliore, a misura di essere umano partendo dai
bambini. A questo punto del percorso la scelta non poteva che essere l’educazione biocentrica,
così abbiamo fondato l’associazione “La vita al centro, bambini e genitori”. Questa scelta è nata
da una passione e da un sogno condiviso, la passione per l’educazione, ma non solo, la passione
per la vita in tutte le sue forme. Le cose avvengono quando il tempo è maturo, allora tutto si
rende possibile, la nostra spinta ideale è stata sostenuta e si è potuta realizzare grazie anche ad
una donazione.
Siamo partite con il solo giardino d’infanzia e con pochi bambini.
Nel giro di poco tempo la nostra realtà è cresciuta, attualmente l’associazione conta quasi
200 associati tra cui cinquanta famiglie con bambini che frequentano il nido, o il giardino d’infanzia fino all’educazione primaria. Nei nostri intenti c’era il desiderio di creare una comunità
di esseri umani che crescesse insieme nella serenità, nella cura e nella stima reciproca valorizzando i potenziali di ognuno. Ad oggi ci sentiamo di dire che stiamo portando avanti questo
intento e che davvero stiamo lavorando insieme per la realizzazione di un’educazione a misura
di bambino ed anche per una vita sostenibile per tutti.
Per spiegare meglio questo concetto vorremmo citare le parole di EtainAddey nel suo libro
“Acque profonde. Abbracciare la vita”: “…nei secoli recenti della storia umana, abbiamo visto sgretolarsi le
nostre tribù, poi frantumarsi la famiglia allargata e quindi dissolversi la famiglia nucleare perché la coppia
non regge. Ora siamo tutti single e solo adesso ci rendiamo conto di come si stia sgretolando anche la personalità del singolo, e questo perché ogni singola persona in realtà avrebbe bisogno della tribù per sentirsi in
una condizione pienamente umana. Senza la tribù, veniamo dispersi, come la sabbia dalle onde del mare…”
Sentiamo che “fare tribù” significhi prenderci cura non solo dei bambini ma anche degli
adulti che li circondano, prenderci cura reciprocamente gli uni degli altri, sentendo che solo
insieme la realtà si può trasformare in meglio.
La nostra vuole essere una comunità di esseri umani che, partendo dal comune l’interesse
per l’educazione, metta al centro la vita, ogni forma di vita esistente sul pianeta.
Nella nostra associazione tutti sono invitati a dare il proprio contributo per costruire una
nuova modalità esperienziale, culturale e pedagogica.
Attraverso la regolare condivisione di esperienze, finalità e reciproco sostegno nell’educa-
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zione si crea una rete tra i bambini, le famiglie e la vita dell’associazione costruendo legami
di mutuo aiuto, per cercare insieme soluzioni ai momenti di crisi, per riconoscere i passi della
crescita, per sviluppare la solidarietà e donarci opportunità che portino serenità al nostro vivere.
In questo processo la pratica della biodanza unisce educatori, bambini e genitori.
Perché per costruire una comunità bisogna stare bene insieme e questo con la biodanza avviene regolarmente. Perché la Biodanza ha una visione che va controcorrente, è la ricerca di un
nuovo modo di vivere insieme agli altri, e per vivere meglio abbiamo bisogno di un sentimento
di intimità e di unione perché queste sono le necessità naturali dell’essere umano.
La nostra associazione non ha come unica finalità la scuola ma vuole anche essere un luogo
di promozione di una cultura biocentrica includendo percorsi di formazione per operatori
biocentrici e la scuola di formazione per operatori di biodanza e vuol essere un luogo di ricerca
in campo educativo applicando la biodanza anche in ambiti sociali, aprendosi al territorio e ad
altre comunità per promuovere confronti e per dare e avere possibilità di crescita continua.
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Bibliografia
Il codice dell’anima, James Hillman, Adelphi
L’etica della terra, Aldo Leopold,
Educazione biocentrica, Tiziana Coda Zabet
Inconscio vitale principio biocentrico, dispense IBF
I sette saperi necessari all’educazione del futuro, Edgar Morin, Cortina
L’educazione biocentrica, Rolando Toro, Rivista online Pensamento biocentrico
Articoli vari, Rolando Toro, sito Biodanza Italia
Non per profitto, Marta Nussbaum, Il Mulino
Il bambino non è un elettrodomestico, Giuliana Mieli, Urrà
La mente ama, Alessandro Bertirotti, Lucia Pugliese
Alice project, a scuola di felicità e decrescita, Gloria Germani, Terra Nuova
Il Tao della fisica, Fritjof Capra, Adelphi
Ritmi di festa, Paolo Apolito, Il Mulino
La sfida della volontà, M. Meyerkort, Aedel
Acque profonde. Abbracciare la vita, Etain Addei, Fiorigialli
La musica in biodanza, dispense IBF
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