Rassegna stampa ossin

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www.ossin.org
Ossin per Gdeim Izik
Rassegna degli articoli pubblicati su www.ossin.org nei mesi di
ottobre, novembre e dicembre 2010 a proposito del Campo
della Dignità e dei tragici avvenimenti seguiti al suo
smantellamento
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Il campo della “dignità” di Gdeim Izik
Intorno alla metà del mese di ottobre 2010, circa settemila saharawi erigono un accampamento
nella località di Gdeim Izik (a 12 km da Laayoune, la capitale del Sahara Occidentale), per
protestare contro l’occupazione marocchina e per denunciare le “sistematiche” torture cui sono
sottoposti i Saharawi, oltre che l’emarginazione della quale soffrono e le pessime condizioni di vita
cui sono costretti. Si auto-esiliano così in questo accampamento, che ricorda i campi nei quali i loro
fratelli separati vivono da trentacinque anni nel deserto algerino.
Le forze di occupazione marocchine circondano l’accampamento, recintandolo con filo spinato,
impedendo (o rendendo più difficoltoso) l’approvvigionamento di cibo, acqua e medicinali, tanto
che il 19 ottobre la Croce Rossa saharawi lancia un appello ai paesi donatori e a tutte le
organizzazioni non governative per garantire “al più presto possibile assistenza umanitaria alle
popolazioni saharawi installate nei campi dell’indipendenza”.
Altri campi intanto sorgono a Dakhla, Smara e negli altri centri del Sahara Occidentale, ma
anche in territorio “marocchino”, per esempio a Sidi Ifni. Ma tutti hanno breve vita,
immediatamente smantellati dalle autorità di sicurezza.
Solo oggi possiamo vedere in questa iniziativa una anticipazione dell’ondata di proteste sociali e
politiche sfociata successivamente nelle cd. “primavere arabe”. Al momento dei fatti in tanti sono
rimasti stupiti da una simile novità. Il governo marocchino è soprattutto preoccupato e, dopo una
specie di trattativa, all’alba del giorno 8 novembre 2010, manda le forze speciali ad assaltare il
campo, espellendo gli occupanti (che hanno oramai toccato il numero di quasi 20.000) e radendolo
al suolo.
Seguono due giorni di sanguinosa guerriglia a Laayoune, all’esito del quale il governo
marocchino annuncia un bilancio di una decina di morti e molti feriti, tutti (o quasi) tra i ranghi
delle forze dell’ordine.
Si tratta delle uniche – sebbene inaffidabili – cifre disponibili, ciò a causa del totale embargo
mediatico e informativo decretato dal governo di Rabat, realizzato attraverso l’espulsione di
giornalisti e osservatori internazionali non graditi e l’arresto di centinaia di miltanti saharawi.
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Sahara Occidentale, ottobre 2010 - Notizie importantissime provengono dal Sahara Occidentale, dove
migliaia di Saharawi hanno avviato una nuova forma di lotta non violenta contro l'occupazione marocchina
http://www.ossin.org/sahara-occidentale/gdeim-izik-accampamento-dignita-sahara-occidentale.html
L’accampamento della Dignità
Una novità, che potrebbe rivelarsi di straordinaria importanza, viene dal Sahara occidentale, dove sembra
che la lotta contro l’occupazione stia assumendo una dimensione di massa.
Da alcuni giorni, circa settemila saharawi hanno eretto un accampamento nella località di Gdeim Izik (a 12
km da Laayoune, la capitale del Sahara Occidentale), per protestare contro l’occupazione marocchina e per
denunciare le “sistematiche” torture cui sono sottoposti i Saharawi, oltre che l’emarginazione della quale
soffrono e le pessime condizioni di vita cui sono costretti.
Si sono così auto-esiliati in questo accampamento, che ricorda i campi nei quali i loro fratelli separati vivono
da trentacinque anni nel deserto algerino.
Le forze di occupazione marocchine hanno circondato questo accampamento e lo hanno recintato con filo
spinato, impedendo (o rendendo più difficoltoso) l’approvvigionamento di cibo, acqua e medicinali, tanto
che il 19 ottobre la Croce Rossa saharawi ha lanciato un appello ai paesi donatori e a tutte le organizzazioni
non governative per garantire “al più presto possibile assistenza umanitaria alle popolazioni saharawi
installate nei campi dell’indipendenza”.
Il movimento di protesta cerca di attirare l’attenzione della comunità internazionale e sollecita una
soluzione del conflitto, che sia rispettosa della giustizia e del diritto.
Intanto a Dakhla, Laayoune, Smara e negli altri centri del Sahara Occidentale, si svolgono manifestazioni di
protesta e di sostegno all’iniziativa degli “esiliati” e altri accampamenti sono stati eretti: uno a dieci
chilometri da Dakhla, sorto per “rivendicare il diritto all’autodeterminazione all’indipendenza”. Sembra che
un violento intervento delle forze di occupazione lo abbia distrutto, disperdendo i manifestanti.
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Un altro accampamento è stato eretto nei pressi di Smara, da parte di più di 14 famiglie, che hanno lasciato
la città occupata di Smara e si sono accampati a 18 km a nord di Oued Saguiet El-Hamra per protesta contro
“le miserabili condizioni di vita nei territori occupati. Anche questo accampamento è stato oggetto di un
violento attacco da parte delle forze di repressione marocchine. Fonti della RASD parlano di 70 feriti nel
corso degli scontri.
Le ultime notizie di fonte saharawi parlano di un nuovo attacco all’accampamento di Laayoune da parte
delle forze di occupazione marocchine, che starebbero usando scavatrici per realizzare delle barricate che
impediscano alle auto di altri manifestanti di raggiungere il campo.
Testimonianza di un anziano abitante di Dakhla, Malainin uld Mohamed Benu:
“Sono partito da Dakhla con la mia famiglia per installarmi nell’accampamento degli esiliati, dove già si
trovano alcuni familiari, per rivendicare i nostri diritti. Durante il cammino siamo stati intercettati da militari
dell’esercito marocchino armati di bastoni, coi quali ci hanno aggrediti e colpiti. Non avevamo bandiere e
non avevamo fatto alcun atto di provocazione. Nonostante ciò, si sono avventati contro tutti i componenti
della mia famiglia, distruggendo i cristalli dell’auto e ferendo delle donne. Alcune hanno riportato delle
fratture e un’altra è stata ferita ad un occhio dai frammenti di cristallo e la si è dovuta ricoverare in un
ospedale.
Nonostante ciò abbiamo deciso di proseguire e intendiamo unirci agli auto-esiliati per rivendicare la nostra
libertà. Chiediamo che i Marocchini se ne vadano dalla nostra terra, che se ne vadano da qui”.
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Sahara Occidentale, 25 ottobre 2010 - Mentre prosegue nel "Campo della Dignità" di Gdeim Izik la più
importante manifestazione di protesta degli ultimi 35 anni, un bambino saharawi di 14 anni, Nayem ElGareh, è stato ucciso dall'esercito marocchino. I soldati hanno aperto il fuoco contro l'auto su cui viaggiava,
perché tentava di entrare nell'accampamento...
http://www.ossin.org/sahara-occidentale/nayem-gareh-guido-milana-accampamento-dignita.html
L'esercito marocchino uccide un bambino
La protesta di massa dei Saharawi, la più importante degli ultimi 35 anni, ha avuto ieri la sua prima vittima.
Nayem el Gareh, un bambino saharawi di 14 anni, è stato ucciso dall’esercito marocchino, allorquando il
veicolo su cui viaggiava ha cercato di superare un posto di blocco, per poter entrare nell’accampamento
della Dignità di Gdeim Izik, a 12 chilometri da Laayoune.
Nell’auto Nissan viaggiavano cinque passeggeri e, oltre all’ucciso, altri due sono stati feriti da colpi d’arma
da fuoco, Zoubayr Gareh, fratello del bambino ucciso, e Daoudi
Ahmed. Entrambi sono ricoverati all'ospedale locale. L’auto si è fermata al primo controllo, ma non a quello
successivo e i soldati non hanno esitato ad aprire il fuoco.
Finora il Marocco ha cercato di usare il bastone e la carota per tenere sotto controllo quella che, per
numero di partecipanti, è senz’altro la più massiccia protesta nel
Sahara occidentale, dal ritiro della Spagna dal territorio 35 anni fa. Continua infatti a crescere la
concentrazione di migliaia di Saharawi e, di pari passo, cresce il nervosismo delle Autorità marocchine,
finora abituate a manifestazioni aventi piuttosto carattere elitario e non di massa.
Tutto è cominciato due settimane fa, quando un gruppo di giovani ha piantato le tende a Gdeim Izik, e
adesso l’accampamento è abitato da diverse migliaia di persone di tutte le età, concentratesi lì per
protestare contro l’occupazione marocchina del territorio e il saccheggio delle risorse naturali del Sahara
Occidentale.
Nel campo vi sono, secondo i partecipanti, più di 10.000 saharawi, ma il loro
numero cresce ogni giorno. La stampa marocchina indipendente riconosce la presenza di almeno 8.000,
mentre secondo il Fronte Polisario il loro numero ammonta tra 15.000 e 20.000 persone. Questo esodo di
massa ha modificato la vita nel territorio, a Laayoune per esempio, dove alcune scuole hanno dovuto
chiudere per mancanza di studenti.
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La posizione ufficiale del governo marocchino é che la protesta si inserisce nell’alveo del malcontento
sociale e che essa ha libertà di esprimersi giacché il Marocco è una democrazia.Il Ministro degli esteri
marocchini, Taieb Fassi-Fihri si è scagliato però contro i “tentativi di strumentalizzazione” del Fronte
Polisario e della RASD che, attraverso il suo presidente, Mohamed
Abdelaziz, ha invitato le Nazioni Unite e la comunità internazionale a fornire protezione ai campi saharawi.
UE: MILANA (PD/S&D), “BAMBINO SAHARAWI UCCISO DAI SOLDATI MAROCCHINI: IL GOVERNO
CHIARISCA SUBITO”
“Il governo del Marocco spieghi subito cosa è successo. Le notizie che giungono dal Sahara Occidentale
sono inquietanti e necessitano di chiarimenti immediati. Un ragazzino saharawi di 14 anni è stato freddato
a colpi di mitra da soldati dell’esercito marocchino mentre cercava di entrare in un campo di protesta
situato a est di El Aaiun. Una protesta pacifica, come tutte le azioni con cui, da 35 anni, il Fronte Polisario
rivendica il proprio diritto all’autodeterminazione. Il governo marocchino spieghi senza indugio cosa è
successo, perché si è deciso di reagire con la violenza alle rimostranze civili, colpendo a morte un bambino
e ferendo altre sette persone”
E’ la dura presa di posizione di Guido Milana, eurodeputato del Pd, membro dell’intergruppo di solidarietà
per il Popolo Saharawi e vicepresidente della commissione Pesca, sulle sconcertanti notizie che arrivano in
queste ore dai campi del Sahara Occidentale.
“Trovo intollerabile - prosegue l’europarlamentare del Pd, che in passato ha più volte fatto visita nei campi
profughi saharawi - che si sia risposto col fuoco alla protesta pacifica di migliaia di uomini, donne, anziani e
bambini che stavano accampandosi presso Agdaym Izik, in pieno deserto, a 15 Km da El Aaiùn per
rivendicare il diritto naturale all'esistenza del loro popolo ed a una terra natale. Pur essendo una situazione
prettamente socio economica, il Marocco per decenni ha avversato i saharawi in quanto minoranza,
umiliandoli, limitandoli, marginalizzandoli. Già da qualche giorno le forze marocchine tentavano di fermare
l’esodo di massa con l'invio di camion, blindati ed elicotteri nei campi di protesta. L’assassinio di oggi è un
fatto di gravità inaudita su cui si deve fare immediatamente chiarezza”.
“In Italia – conclude Milana – tanti sono i cittadini e le associazioni che da anni sostengono la richiesta di
autodeterminazione del popolo saharawi. Mi appello anche a loro affinché massicce siano la richieste di
spiegazioni su quanto accaduto che arriveranno alla mail [email protected] email protetto dal bots spam , deve abilitare Javascript per vederlo dell’ambasciata marocchina in Italia. Non
possiamo più restare a guardare e tollerare le violenze che le autorità marocchine applicano da anni nei
confronti dei saharawi. Non possiamo più lasciare sole le grandi organizzazione umanitarie come Amnesty
International, a difendere giornalisti vittime di repressioni esagerate solo per aver denunciato la corruzione
e aver criticato le autorità coloniali. Occorre oggi unirsi all'appello del Fronte Polisario per una maggiore
assistenza dell'Unione Europea, a completamento e parallelamente all'Agenzia per i Rifugiati delle Nazioni
Unite, per un controllo serio sulle azioni delle forze di sicurezza marocchine, già resesi protagoniste in
passato di massacri perpetrati ai danni della popolazione saharawi”.
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Sahara Occidentale, 27 ottobre 2010 - Il corpo del piccolo Nayem Elghari sarebbe stato sepolto di nascosto
dalle autorità marocchine, che hanno così impedito alla madre di vederlo per l'ultima volta. Ai giornalisti
spagnoli è stato vietato di recarsi a Laayoune. Un altro campo sarebbe stato eretto nei pressi di Smara...
http://www.ossin.org/sahara-occidentale/accampamento-dignita-gdeim-izik-stampa-spagnola.html
Ultime notizie sull’Accampamento della Dignità
Laayoune, 27 ottobre 2010 - Il Ministero saharawi dei territori occupati ha comunicato le generalità delle
persone colpite dal fuoco dell’esercito marocchino, mentre tentavano di raggiungere l’Accampamento della
Dignità di Gdeim Izik, a 18 km da Laayoune. Si tratta di:
1) ELGARHI NAYEM FOIDAL MOHAMED SUEIDI; deceduto
2) ELGARHI ZUBEIR FOIDAL MOHAMED SUEIDI; ferito con colpi d’arma da fuoco all’anca e con dentatura
rotta
3) ALAOUI MOHAMED-LAGDAF HASSANA WALAD; ferita da colpi d’arma da fuoco alle cosce
4) ALAOUI SALEK HASSANA WALAD; ferito da colpi d’arma da fuoco alla gamba
5) DAWDI AHMED EMBAREK BRAHIM; due ferite d’arma da fuoco all’anca e all’addome, è stato operato
all’addome.
6) AHMED ABAY AHMED HAMMADI ; ferito al piede
Attualmente sono ricoverati all’ospedale militare di Laayoune.
Sempre il Ministero Saharawi dei territori occupati ha dato notizia che il 26 ottobre il padre di Nayem
Elgarhi, il bambino saharawi ucciso dall'esercito marocchino nella notte del 24 ottobre, è stato informato
dalla polizia che suo figlio era già stato sepolto.
Il corpo di Nayem Elgarhi sarebbe stato prelevato e sepolto di notte, senza la presenza della sua famiglia e
senza il suo consenso, impedendo ai familiari di vederlo per l’ultima volta.
Secondo il Ministero saharawi dei territori occupati, “il Marocco mira in tal modo ad evitare un funerale di
massa che possa essere occasione di altre manifestazioni Saharawi di protesta” contro l’uccisione del
bimbo.
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Non vi sono dichiarazioni ufficiali del governo marocchino , ma una fonte semiufficiale ha confermato la
avvenuta sepoltura, sostenendo tuttavia che essa è stata effettuata in presenza di tre familiari del bimbo,
membri della sua tribù, tra cui vi erano il padre e uno zio.
Impedito ai giornalisti spagnoli di visitare il campo di Gdeim Izik
Sette giornalisti spagnoli di cinque diversi media sono stati lasciati a terra mentre tentavano di imbarcarsi
sul volo che doveva portarli a Laayoune per coprire le vicende in corso nel Sahara Occidentale.
La Compagnia di bandiera marocchina Royal Air Maroc (RAM) ha annullato senza spiegazioni i biglietti di sei
giornalisti sul volo AT0483 tra Casablanca e Laayoune e ha impedito ad un altro, il cui biglietto non era stato
cancellato, di salire a bordo dell'aereo.
I corrispondenti accreditati a Rabat di TVE e TV3, del giornale El Mundo e della agenzia EFE hanno scoperto,
al loro arrivo all'aeroporto di Casablanca, che i loro biglietti erano stati cancellati e la compagnia aerea non
ha offerto la possibilità di volare verso Laayoune fino al prossimo venerdì. L'ufficio della RAM ha detto solo
che "qualcuno aveva cancellato la prenotazione", senza fornire ulteriori spiegazioni.
Invece, il corrispondente della Catena Ser, il cui biglietto non era stato cancellato, ha potuto accedere alla
sala di imbarco, dove - secondo quanto ha poi dichiarato - le forze di sicurezza gli hanno ritirato la carta
d'imbarco e il personale di RAM gli ha impedito di prendere aereo senza di essa.
Un altro accampamento nei pressi di Smara
Un gruppo di oltre 100 Saharawi avrebbe tentato, sabato scorso, in tre occasioni, a costruire un campo di
protesta per gli sfollati nella zona di Smara, nei pressi delle due sponde del fiume Saguia e Elgaiz. Alla fine è
stato eretto un accampamento a Elgaiz, una piccola località a est di Smara, dove un gruppo di famiglie ha
sfidato le forze d'occupazione marocchine creando 12 aree per tende. Qui si sarebbero trasferite 140
persone, tra cui 40 donne. A mezzogiorno del 25 ottobre sono sopraggiunte forze dell’esercito e della
Gendarmeria marocchina a dare man forte alla polizia locale, agli ordini del Pascià della città.
I militari hanno brutalmente attaccato le persone con manganelli e bastoni ed hanno circondato il campo
per smantellare e distruggere tutti i beni dei profughi saharawi. Dopo l'intervento, molti Saharawi sono
fuggiti verso il fiume Seluan. Per rappresaglia, la sera stessa, le autorità della città hanno ordinato il
sequestro di 18 taxi che avevano trasportato i profughi nel campo. Il numero di feriti dopo l'operazione ha
superato il numero di 50, secondo i difensori dei diritti umani saharawi in città.
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Marocco, ottobre 2010 - Per il Marocco si tratterebbe di una protesta di carattere esclusivamente socioeconomico, il Polisario ne rivendica invece la valenza politica di lotta per l’indipendenza. In realtà
l’accampamento della dignità di Gdem Izik sembra essere qualcosa di molto più complesso, una
manifestazione che si sottrae a tutti gli schemi conosciuti
http://www.ossin.org/sahara-occidentale/gdem-izik-ahmed-daudi-indipendenza.html
Gdem Izik: indipendenza o protesta sociale?
di Nicola Quatrano
Per il Marocco si tratterebbe di una protesta di carattere esclusivamente socio-economico, il Polisario ne
rivendica invece la valenza politica di lotta per l’indipendenza. In realtà l’accampamento della dignità di
Gdem Izik sembra essere qualcosa di molto più complesso, una manifestazione che si sottrae a tutti gli
schemi conosciuti
Il 26 ottobre scorso, il giornale marocchino Albayane riportava la notizia dell’uccisione del piccolo Najem elGuareh, presso l’accampamento della Dignità di Gdeim Izik in un articolo dal titolo “Le bugie dell’agenzia di
stampa algerina”. Ecco la traduzione fedele:
“La morte del giovane saharawi Najem El Guareh a Laayoune, nel corso di uno scontro a fuoco tra un
gruppo di pregiudicati e le forze dell’ordine, è stato – come ci si poteva spettare peraltro – sfruttato
scandalosamente dall’Algeria e dalla sua creatura, il “Polisario”, in occasione della visita di Christopher Ross
nella regione. L’agenzia ufficiale algerina pretende che “l’esercito marocchino abbia mitragliato l’auto a
bordo della quale si trovavano i Saharawi, mentre questi portavano cibo, acqua e medicine “ nel campo
d’Izik, vicino a Laayoune.
La vittima viene presentata dall’APS come il “fratello di un ex prigioniero politico, El-Gharhi Daoudi” (sic).
Secondo le nostre fonti a Laayoune, il giovane Najem El Guareh non è stato ferito da pallottole, ma è stato
investito dal 4x4 pick-up che si è rovesciato su di lui, a seguito del conflitto a fuoco.
Per contro suo fratello, il presunto prigioniero politico, è stato ferito da colpi d’arma da fuoco al ventre.
Secondo le nostre fonti, egli si trova in condizioni critiche ma i medici dell’ospedale militare lo hanno
“miracolosamente salvato”, ieri.
Scontro a fuoco tra pregiudicati e forze dell’ordine
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Il presunto “prigioniero politico” è conosciutissimo dalla popolazione di Laayoune, come pregiudicato e
contrabbandiere notorio, soprattutto di sigarette e stupefacenti. Più volte condannato per delitti di diritto
comune, “aveva intenzione di bruciare il campo di Izik”, perché ne era stato cacciato, il giorno prima, dopo
un tentativo di stupro dagli abitanti che lo avevano legato ed espulso, quindi avvisato le autorità locali,
chiedendo che gli fosse impedito di accedere al campo.
D’altronde un comunicato del ministero dell’interno afferma che “27 bottiglie molotov ed altre armi bianche
sono state sequestrate nella sua auto”.
Il capo della banda, Daoudi alias Djija, era accompagnato da una decina di complici, tre dei quali sono stati
arrestati. Hanno precedenti giudiziari e sono conosciuti come devianti sociali. Gli altri complici del 4x4 da cui
sono partiti i primi colpi d’arma da fuoco mentre tentava di forzare il posto di blocco della gendarmeria,
sono attivamente ricercati. Egli è conosciuto per essere stato talvolta strumentalizzato da qualche
separatista.
La sua visita al campo, insieme ad una decina di energumeni, doveva seminare zizzania e strumentalizzare
una rivendicazione legittima dei cittadini.
D’altronde occorre ricordare che la famosa Aminattou Haidar è stata cacciata, la settimana scorsa dai
manifestanti del capo. E analogo trattamento è riservato agli attivisti al soldo di Algeri.
Anche il deputato Ramid (PJD) ed altri rappresentanti di partiti nazionali sono stati ringraziati gentilmente
dai protestanti che rifiutano “ogni interferenza politica su una rivendicazione di cittadini”.
Il 27 ottobre, anche Aujourd’hui le Maroc ha scoperto che nei pressi di Laayoune è successo qualcosa di
grave e – riprendendo i dispacci che finalmente l’agenzia di stampa ufficiale, la MAP, si è decisa a dedicare
alla vicenda – ha scritto un articolo nel quale parla dell’arresto di un tal Ahmed Daoudi, alias “Djija”, che
sarebbe responsabile dello scontro a fuoco con la gendarmeria marocchina, nel corso del quale è morto il
piccolo Najem. Il giornale arriva a chiedersi per quale ragione una banda di criminali si portasse con sé un
bambino di 14 anni, ma non fornisce risposta, e non menziona nemmeno il fatto che tra i feriti ricoverati
all’ospedale militare di Laayoune figura anche una donna.
“Tutto è cominciato – racconta il cronista Kawtar Tali ricopiando i comunicati della MAP – nella notte tra il
22 e il 23 ottobre. Ahmed Daoudi si trovava nel campo ma, in stato di ebbrezza e sotto l’azione di sostanze
stupefacenti, si è abbandonato ad atti di violenza che hanno determinato la sua espulsione dal campo”.
Dunque, secondo Aujourd’hui le Maroc, egli ha forzato il blocco della polizia, perché voleva rientrare nel
campo insieme ad altri malviventi, per “creare disordine e vendicarsi dell’espulsione”. Quanti erano? Sette
in tutto. Tanto pazzi evidentemente da voler mettersi contro 20.000 persone! Ma, afferma sempre il
giornale, nell’auto che conducevano sono state trovate delle bottiglie molotov e delle armi bianche.
Comunque, secondo Aujourd’hui le Maroc, questo Ahmed Daudi è davvero un poco di buono. Tanto da
essere stato condannato ben cinque volte per furto aggravato e altri atti di violenza e, una volta, addirittura
per omosessualità!
Scende in campo la macchina della propaganda ufficiale
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In un evidente sforzo di accreditare una versione dei fatti diversa da quella che, oramai, ha fatto il giro del
mondo, l’agenzia ufficiale MAP ha lanciato una serie di dispacci sull’argomento. In particolare, nel tentativo
di smentire la tesi che il piccolo Najem sia stato sepolto di nascosto e in tutta fretta, riferisce che il corpo
del povero bimbo ucciso sarebbe stato inumato alla presenza dei familiari, dopo l’espletamento
dell’autopsia. Sarebbe stato interessante divulgare glie siti di questa autopsia, per sapere se effettivamente
il bimbo è stato ucciso da colpi d’arma da fuoco o piuttosto schiacciato dal ribaltamento del 4x4, come
ipotizza Albayane. Ma niente, non una parola viene spese sull’argomento. Si afferma invece più volte che
l’autorizzazione all’interro sarebbe stata firmata dal padre, che vi ha apposto addirittura le sue impronte
digitali. La MAP non dà notizia di quanto apparso sulla stampa spagnola a proposito della denuncia
presentata dalla madre del piccolo contro gli assassini del figlio e delle sue dichiarazioni a proposito del
fatto che il bimbo sarebbe stato assassinato mentre tentava di entrare, insieme alla sua famiglia, nel campo
per unirsi ai manifestanti.
Un altro dispaccio riferisce delle dichiarazioni del ministro delle comunicazioni, portavoce del governo,
Khalid Naciri. Egli ha affermato, a proposito delle proteste della popolazione di Laayoune, che esse sono
legittime, in quanto rivendicazioni di carattere esclusivamente sociale ed economico, senza alcun risvolto
politico. Aggiungendo che i manifestanti hanno dimostrato “grande attaccamento alla cittadinanza”
marocchina, deludendo coloro che volevano strumentalizzare la protesta in nome dell’indipendentismo.
A chi, come me, è abituato a leggere gli atti della polizia marocchina nei confronti dei dissidenti (saharawi e
marocchini), queste affermazioni – di evidente fonte poliziesca – non forniscono alcuna rassicurazione. La
polizia marocchina è abituata a mentire e costruisce sistematicamente prove false. Niente di strano che lo
abbia fatto anche questa volta.
Quello che mi pare importante nei due articoli che ho riportato è un’altra cosa, una cosa che dovrebbe
essere oggetto di grande attenzione da parte dei militanti per l’indipendenza saharawi.
E il punto è che effettivamente la protesta in corso ha natura eminentemente sociale e politica e non
prende posizione sul tema dell’indipendenza del Sahara Occidentale.
Protesta sociale
Diverse persone che ho contattato telefonicamente mi hanno confermato che i rifugiati del campo hanno
deciso di non issare nessuna bandiera marocchina… ma neppure nessuna bandiera della RASD. E che i
manifestanti non perdono occasione per ribadire che la loro protesta è unicamente diretta contro
l’emarginazione sociale ed economica di cui è vittima la popolazione saharawi.
Vero è anche che quasi tutti i militanti per l’indipendenza si sono recati al campo e sono stati accolti
fraternamente, come è vero anche che la gran parte dei rifugiati nutre simpatie per il Polisario e desidera
l’indipendenza del Sahara occidentale. Vero è ancora che la loro scelta di caratterizzare la protesta solo sul
versante delle rivendicazioni economico-sociali è anche una scelta di prudenza, consapevoli come sono che
manifestare per l’indipendenza significherebbe provocare un intervento brutale delle forze di sicurezza e,
probabilmente, un massacro.
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Ma è vero anche che la ragione principale della protesta non è la rivendicazione dell’indipendenza… ma è
la fame, è la mancanza di lavoro, è l’assenza di prospettive per i figli.
Aminattou Haidar non è stata cacciata dal campo, come afferma Albayane. La nota militante saharawi si è
recata 3 volte a rendere visita ai rifugiati ed è stata accolta con gratitudine e simpatia. Quando però, alla
terza visita, ha comunicato l’appoggio del Polisario, vi è stato qualcuno che non ha gradito e le ha chiesto di
non politicizzare la manifestazione.
Dunque l’iniziativa di Gdeim Izik ha un carattere complesso, non facilmente riducibile negli schemi tipici
della lotta per l’indipendenza. Essa interpella soprattutto il Marocco, per la sua incapacità – nonostante
tutto il denaro investito nelle “province del sud” – di dare risposte ai bisogni elementari della popolazione.
Ma interpella anche il Fronte Polisario e i militanti per l’indipendenza, chiamati a misurarsi coi problemi
sociali della regione, che sono drammatici e, per la soluzione dei quali, non basta la prospettiva futura e
incerta di un referendum per l’autodeterminazione.
D’altra parte il carattere di massa di questa manifestazione dimostra che l’egemonia politica in questa
regione deve fare i conti con i drammatici problemi sociali che essa denuncia. In Sahara vincerà chi riuscirà
a fornire risposte e prospettive a questi bisogni. Al momento, né l’ipotesi tutta mediatica dell’autonomia,
né quella esclusivamente politica dell’indipendenza hanno speranza di farcela.
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Sahara Occidentale, ottobre 2010 - Riceviamo una lettera di El Ghalia Djimi dal Sahara Occidentale sui
caratteri della protesta in corso nel campo di Gdeim Izik e altrove
http://www.ossin.org/sahara-occidentale/ghalia-djimi-gdeim-izik-resistenza-saharawi.html
Lettera dal Sahara
Il movimento degli accampamenti di El Aayoune e di altre città che è stato violentemente represso a
Boujdour, La Playa, Smara e Dakhla dal dieci ottobre non è del tutto un movimento spontaneo, ma ha avuto
dei precedenti in altre iniziative, che pure sono state violentemente represse, con centinaia di feriti e
decine di arresti. Per ricordare alcune delle iniziative con le quali la popolazione autoctona saharawi ha
lottato per rivendicare i suoi diritti socio-economici (solo questi, dal momento che le autorità vietano le
rivendicazioni politiche), possiamo citare: i fatti di Laayoune del settembre 1999, quando polizia ed esercito
marocchini sono intervenuti mobilitando anche centinaia di milizie civili marocchine dotate di armi bianche
contro i cittadini saharawi. Ancora, le manifestazioni socio-economiche a Smara che hanno impedito la
prevista visita del re Mohammed VI nel 2002 o 2003, e anche in questa occasione la repressione violenta
che ha accompagnato questi fatti ha provocato decine di feriti e di prigionieri. E non bisogna dimenticare
tutti i piccoli avvenimenti rivendicativi dei diritti socio-economici che vi sono stati dappertutto nei territori,
da Dakhla a Boujdour, a Tarfaya, Tantan, Guelmin e Assa, a partire dalla fine degli anni 1990, quando il
Marocco comincia a raccontare di essere diventato uno Stato di diritto e democratico.
Prima di allora, i Saharawi dei territori occupati non potevano assolutamente parlare, tenuto conto
dell’embargo mediatico e militare imposto alla regione.
Dunque non è corretto né giusto sostenere che i fatti di questi giorni siano occasionali e spontanei. E’
successa la stessa cosa quando è sorto il movimento per il rispetto dei diritti umani. Preso atto delle
violazioni gravi commesse dallo Stato marocchino nei territori occupati, un piccolo gruppo di dodici exdesaparecidos liberati nel 1991 (Comité du Coordination Délégué des ex disparus saharaouis) ha assunto
l’iniziativa di lavorare su questo dossier. Essi sono stati bloccati e posti in residenza controllata fino al 1998,
quando hanno potuto allontanarsi dalla regione e trasferirsi a Rabat, dove hanno potuto lavorare grazie al
sostegno di ONG internazionali, come Amnesty International e di rappresentanti diplomatici, soprattutto
degli USA. Da allora il movimento è cresciuto costantemente.
E’ vero che l’imponenza dell’accampamento di Laayoune ha potuto definitivamente smentire le grandi
menzogne che il Marocco ha diffuso nel mondo per convincere la comunità internazionale, soprattutto
l’Unione Europea, quando si è trattato di firmare gli accordi commerciali in materia di pesca, di vendita di
fosfati, dei prodotti agricoli di Dakhla, della vendita della sabbia delle dune del Sahara Occidentale
occupato, e di turismo marittimo, per sostenere che la popolazione autoctona beneficia del ricavato di
questi accordi. Quanto sta accadendo smaschera il vero volto dello stato marocchino. E quando noi,
difensori dei diritti umani, abbiamo segnalato in ogni occasione alla comunità internazionale e alle
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delegazioni che visitano ufficialmente il territorio le difficili condizioni di vita della maggioranza della
popolazione autoctona saharawi, che è quella che paga più di tutti i prezzi del conflitto col genocidio, la
separazione delle famiglie, l’emarginazione, le sparizioni, gli arresti arbitrari, la repressione e l’intimidazione
quotidiana, impedendo a noi difensori dei diritti umani di contattarli, quando abbiamo segnalato questo, ci
hanno definito separatisti comprati dall’Algeria.
Dunque questo esodo massiccio dei Saharawi da Laayoune rafforza la nostra credibilità e mostra con
chiarezza la realtà delle condizioni di vita miserabili dei Saharawi e pone la Comunità internazionale (ONU,
EU, Coscienza Universale) davanti alle sue responsabilità morali e storiche per risolvere questo conflitto
dimenticato.
Infine non si può estrapolare mai qualsiasi iniziativa del popolo oppresso dal contesto del conflitto. Bisogna
porsi sempre la domanda sul perché questa popolazione viene tanto emarginata, repressa e tutti i suoi
diritti fondamentali sono violati dal 1975. Perché viene punita in forma collettiva? Perché hanno aperto il
fuoco sui civili del campo di Laayoune, nonostante vi sia un accordo di cessate il fuoco da 19 anni? E perché
un bambino è stato ucciso? Per quale ragione si fa tutto questo contro la popolazione autoctona?
La risposta è perché i loro figli, figlie e genitori sono membri del Fronte Polisario, perché i mariti delle
donne sparite per 16 anni erano soldati dell’esercito popolare di liberazione di Saguia El Hamra e Rio de Oro
e perché sono loro sotto occupazione e difendono l’autodeterminazione del popolo saharawi, con
pacifismo e coraggio dal 1975.
El Ghalia Djimi
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Sahara Occidentale, 8 novembre 2010 - Le forze ausiliarie dell’esercito marocchino assaltano all'alba il
campo della Dignità di Gdeim Izik. Secondo l’agenzia di stampa ufficiale marocchina (MAP) vi sarebbero
stati 4 feriti tra gli occupanti, 2 morti e 70 feriti tra le forze dell'ordine (di cui 4 versano in condizioni
critiche), 65 arresti. Ma la MAP mente. Secondo le informazioni che abbiamo raccolto a Laayoune, sarebbe
in corso un massacro. Di un morto almeno saharawi siamo in grado di fornire il nome: Mahmoud Gargar
Babba, di 34 anni
http://www.ossin.org/sahara-occidentale/gmeil-izik-massacro-laayoune-sahara-occidentale.html
Massacro a Laayoune
Da giorni l’agenzia di stampa ufficiale MAP si affannava a dire che l’accampamento della Dignità di Gmeil
Izik (e le altre manifestazioni in corso in tutto il Sud del Marocco, oltre che nei territori occupati del Sahara
Occidentale) erano una “legittima” manifestazione di protesta sociale, cui le pubbliche autorità stavano
preoccupandosi di dare risposte adeguate e soddisfacenti. “Legittima”, perché non aveva niente a che
vedere (secondo le fonti ufficiali) con rivendicazioni di carattere politico (leggi: con la rivendicazione della
indipendenza).
Quello del Governo marocchino era un tentativo di stemperare la reale valenza “politica” di queste
manifestazioni ed impedire che esse potessero essere utilizzate, nel corso dei negoziati in corso sotto
l’egida dell’ONU, per quello che realmente sono: la dimostrazione della presenza di una forte opposizione
alla occupazione marocchina nel Sahara occidentale, di una mancata normalizzazione del territorio sotto la
“pax marocchina”.
Davano fastidio, queste manifestazioni, anche per la coincidenza con le celebrazioni del trentacinquesimo
anniversario della “Marcia verde”, la pagliacciata populista con la quale il non rimpianto re Hassan II aveva
tentato di occultare la realtà dell’occupazione militare del territorio del Sahara Occidentale.
E poi il numero dei manifestanti andava via via crescendo, assumendo dimensioni davvero di massa.
Seppure è impossibile fornire cifre precise, il numero di 20.000 appare tutt’altro che esagerato.
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Infine la situazione, nel campo, si stava radicalizzando. Se l’iniziale protesta aveva davvero una valenza
principalmente di carattere economico-sociale, i sentimenti indipendentisti si stavano col tempo
consolidando e propagandosi anche tra le persone meno politicizzate.
Insomma si è creata una situazione intollerabile per il governo marocchino. Così questa mattina all’alba
centinaia di appartenenti alle Forze Ausiliarie hanno preso d’assalto il campo, evacuandolo e dandolo alle
fiamme. La ridicola versione ufficiale è che l’intervento si è reso necessario per “liberare le persone
anziane, le donne e i bambini plagiati da un gruppo di personaggi pregiudicati e ricercati per delitti
comuni”.(MAP, 8 novembre 2010, ore 17.45)
Abbiamo tradotto “plagiati”, ma l’espressione francese utilizzata è “se trouvant sous l’emprise”, vale a dire:
soggetti all’influenza.
Naturalmente la versione ufficiale è che l’obiettivo dell’operazione era quella di arrestare pacificamente i
“pregiudicati” e che, tuttavia, le forze dell’ordine si sono viste impedire l’accesso al campo da una reazione
violenta che è ricorsa anche a bottiglie incendiarie e bombole di gas.
Di qui l’ineluttabilità della repressione che ha provocato, stando a quanto riferito dalla MAP, 4 feriti tra i
civili, due morti tra le forze dell’ordine, 70 feriti sempre tra le forze dell’ordine (di cui 4 in gravi condizioni).
E 65 arresti per resistenza.
Le persone che siamo riuscite a raggiungere telefonicamente ci parlano invece di un massacro. Nel campo
vi sarebbero stati dei morti tra la popolazione civile, di uno dei quali si conosce anche il nome, Mahmoud
Gargar Babba, di 34 anni. D’altra parte è del tutto inverosimile che nel corso di scontri vi possano essere
state tante vittime da una parte (l’esercito marocchino) e quasi nessuno dall’altra, tanto più che, tra le due
forze in campo, una solo era dotata di armi da fuoco, l’esercito.
Ma la repressione non si è fermata qui. Alla notizia della distruzione del campo, manifestazioni imponenti
sono scoppiate nella città di Laayoune, e anche qui vi è stato un intervento brutale delle forze di
occupazione. L'agenzia MAP nega che vi siano state vittime, ma le persone che abbiamo contatto
telefonicamente ci parlano di diversi morti, forse 12 e, comunque, dai video che immediatamente sono
stati postati su Youtube, si può vedere il volto di una città in preda al disordine, con carcasse di automobili
date alle fiamme, gente infuriata e fumo che si leva in varie parti.
L’ineffabile agenzia MAP ha parlato di alcune manifestazioni in Laayoune di cittadini che rivendicano la
marocchinità del Sahara. Secondo quanto ci viene riferito dalle persone che abbiamo contattato, invece, si
tratterebbe di squadracce che, con l’appoggio dell’esercito, penetrano nelle case saharawi, saccheggiano
tutto e, addirittura compiono atti di violenza sessuale.
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La situazione resta tesissima e nessuno può davvero immaginare che cosa succederà. Quello che è certo è
che nessuno può affermare in buona fede oggi che il Marocco sia un paese che “fa dei progressi sulla strada
della democrazia”. La repressione sanguinosa in corso in queste ore nelle vie di Laayoune era stata
preparata dalla cacciata di Al Jazeera dal Marocco, una testimone scomoda che andava eliminata prima del
delitto.
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Sahara Occidentale, 9 novembre 2010 – Una massiccia retata nelle strade e nelle case dei saharawi di
Laayoune, con centinaia di arresti, e le scorribande di squadracce di coloni civili spalleggiati dall’esercito,
hanno caratterizzato l’intera giornata. Per le Autorità di occupazione, “è tornata la pace”
http://www.ossin.org/sahara-occidentale/frattini-saharawi-carmen-motta-paolo-ferrero.html
“Fecero un deserto e lo chiamarono pace” (Publio Cornelio Tacito, De vita Iulii
Agricolae)
Una massiccia retata nelle strade e nelle case dei saharawi di Laayoune, con centinaia di arresti, e le
scorribande di squadracce di coloni civili spalleggiati dall’esercito, hanno caratterizzato l’intera giornata.
Per le Autorità di occupazione, “è tornata la pace”
La MAP, la bugiardissima agenzia di stampa ufficiale del Makhzen in un breve dispaccio dice che la calma è
tornata a Laayoune, il traffico è tornato a scorrere, la tensione è finita e la calma regna nuovamente in città.
Un grande aiuto al ritorno della normalità – dice il dispaccio – è stato offerto dai cittadini che hanno dato
man forte alle forze dell’ordine.
Si tratta in realtà di squadracce che, sostenute dalle milizie, hanno aggredito cittadini saharawi, sono
penetrati nelle loro case, picchiando, derubando e (si dice) anche violentando.
La realtà, per come viene descritta dalle persone che siamo riuscite a contattare a Laayoune è molto
diversa da come la dipinge la propaganda ufficiale.
La giornata è stata caratterizzata da una retata senza precedenti, con centinaia di arresti. Che coinvolgono
perfino ragazzi giovanissimi: si ha notizia per esempio che, questa mattina, Lamin Malaainin, di 17 anni, è
stato prelevato dalle forze di sicurezza che hanno bloccato il pulmino che lo stava conducendo a scuola nel
complesso scolastico IQRA.
Di moltissime persone non si hanno più notizie, non si sa se siano vive , morte o detenute arbitrariamente.
Molti feriti non osano affidarsi alle cure degli ospedali e la gente ha paura di rientrare nelle case, dove sono
esposti alle azioni violente dell’esercito e delle ronde di coloni.
Intanto le bugie di regime stanno cominciando a lasciare posto alle cifre reali, dal momento che le stesse
fonti ufficiali ammettono che il numero di morti supera quello comunicato nelle prime ore.
Dal canto suo il Ministero dell’informazione della RASD (la Repubblica araba democratica saharawi)
conferma la cifra già fornita di 11 morti, 723 feriti e 159 dispersi. “Questo bilancio provvisorio – prosegue la
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nota – rischia purtroppo di aggravarsi, viste le dimensioni del barbaro attacco delle forze armate reali
appartenenti a diversi corpi, soprattutto i Détachements d’Intervention Rapide (DIR), dislocati dalla zona
del Muro della vergogna… Le forze di aggressione marocchine hanno usato proiettili, bombe lacrimogene,
bastoni, sassi e cannoni ad acqua contro una popolazione civile, pacifica e indifesa, composta da più di
26.000 persone, per lo più donne, bambini e vecchi”.
Fonti locali ci hanno parlato di manifestazioni in varie città del Sahara occidentale e del Sud del Marocco: ad
Agadir, dove gli studenti saharawi hanno tenuto un sit-in di protesta all’Università, a Guelmim, a Dakhla,
dove le manifestazioni sarebbero state violentemente represse dalla polizia.
Il segnale di attacco era venuto dal Despota di Rabat in persona, il re Moahmmed VI che, nel corso del
discorso di celebrazione del 35° anniversario della marcia verde ha reiterato “la ferma determinazione del
Marocco nella difesa delle province del Sud” e a non “permettere alcuna violazione o messa in discussione
della marocchinità della zona del Sahara posta ad est del muro difensivo (il muro della vergogna)”
Le reazioni in Italia
Le vicende del Sahara Occidentale hanno provocato emozione perfino nella distratta Italia. Si registrano
una serie di prese di posizione.
Il Ministro degli Esteri, Franco Frattini, ha espresso in una nota “grande preoccupazione” per gli scontri
seguiti all’azione di sgombro dell’accampamento saharawi nel Sahara occidentale. “Siamo estremamente
preoccupati per le vittime e i numerosi feriti causati dagli scontri”, ha aggiunto invitando le parti “a
proseguire costruttivamente il negoziato in corso sotto gli auspici delle Nazioni Unite per trovare una
soluzione pacifica al conflitto e mantenere la necessaria calma e moderazione per evitare scontri che
causerebbero ulteriori vittime civili e spargimenti di sangue”.
La CGIL, aveva già ieri diramato un comunicato:
“In queste ore l’esercito del Marocco ha attaccato e sta smobilitando con l’uso della forza militare e con
grande brutalità un accampamento nei pressi di Al Ayoun (Sahara Occidentale) dove la popolazione
Saharawi si era riunita da diversi giorni per rivendicare la fine della repressione, il rispetto dei diritti umani
ed il ricorso ad un referendum per l’autodeterminazione secondo le risoluzioni dell’Onu.
Di fronte alla crescente mobilitazione pacifica del popolo Saharawi ancora una volta il Marocco ricorre alla
forza ed alla repressione brutale,che non risparmia neppure donne e bambini.
Dalle prime frammentarie notizie che ci pervengono centinaia di feriti sono stati ricoverati all’ospedale e gli
scontri continuerebbero.
La Cgil richiede con forza un intervento immediato ed adeguato da parte del Governo Italiano e della
Unione Europea nei confronti del Marocco per esigere il rispetto dei diritti umani e per garantire al popolo
Saharawi di poter esprimere liberamente la propria volontà politica, mettendo fine alla repressione
poliziesca e militare.
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Da parte loro le Nazioni Unite debbono agire per garantire il rispetto delle risoluzioni del Consiglio di
Sicurezza e dell’Assemblea Generale ed utilizzare la propria Missione militare presente nel Sahara
Occidentale (MINURSO) per garantire i diritti e la sicurezza del popolo Saharawi nei territori occupati dal
Marocco".
Il Ministro della gioventù, Giorgia Meloni, ha detto che “Nel giorno in cui si ricorda il vento di libertà che
fece cadere il Muro di Berlino, fa male vedere le terribili immagini che ci arrivano dal Marocco, e che
raccontano di oltre dieci morti e circa settanta feriti civili nelle operazioni di repressione ai danni della
popolazione saharawi”.
Giacomo Filibeck, responsabile Africa, Euromediterraneo e Medio oriente del Forum Esteri del Partito
Democratico ha dichiarato: “Alla luce dei recenti drammatici sviluppi a El Aayun, occorre che la comunità
internazionale, proprio nel momento in cui si dovrebbero riprendere a New York i colloqui diretti tra
Marocco e Fronte Polisario, faccia sentire forte la propria voce a tutela della vita e dei diritti dei saharawi”.
I deputati PD Carmen Motta e Paolo Grimoldi, dell’intergruppo parlamentare di amicizia con il popolo
saharawi, hanno chiesto che “il governo intervenga immediatamente attraverso il Ministro degli esteri
affinché il Marocco cessi l’azione violenta nei confronti della popolazione saharawi e ripristini le
indispensabili condizioni per garantire i diritti umani ad un popolo che, pacificamente, sta chiedendo
migliori condizioni di vita”.
Il segretario nazionale del PRC/Federazione della Sinistra, Paolo Ferrero e il responsabile esteri Fabio
Amato hanno diramato una nota già ieri, 8 novembre: “L’atroce massacro contro la popolazione saharawi
che il governo marocchino sta perpetrando nella città di Laayoune nella generale disattenzione della
comunità internazionale è un crimine contro l’umanità che va fermato subito. Chiediamo che si ponga
immediatamente fine a questa sanguinosa repressione. La comunità internazionale, il governo italiano e
l’Unione Europea devono intervenire e condannare senza equivoci l’azione criminale del governo
marocchino. Il diritto del popolo saharawi all’autodeterminazione non può essere più negato”.
Il deputato Pdl Renato Farina ha dichiarato che “La repressione con uso sproporzionato della forza operata
da esercito e polizia marocchini nel campo saharawi di Laayoune è un fatto grave, tanto più mentre sono in
corso dialoghi all’ONU, e il Consiglio d’Europa manifesta una seria apertura all’ingresso di Rabat
nell’istituzione di Strasburgo”.
Infine oggi, 9 novembre, il Consiglio Comunale di Napoli ha adottato una mozione all’unanimità, con la
quale, preso atto degli “atti di repressione violenta da parte delle forze militari marocchine… culminate con
l’uccisione di un ragazzino di 14 anni, Nayem El-Gareh” e, in seguito, con l’assalto al campo della Dignità di
Gmeil izik, impegna “il Consiglio, la Giunta e, per il tramite del Sindaco, il Governo italiano a porre in essere
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ogni azione presso la Comunità internazionale per raffreddare il conflitto, ripristinare la legalità, in
attuazione del consolidato deliberato ONU”.
Ultim'ora
In serata il Ministero per i Territori occupati della RASD (Repubblica Araba Democratica Saharawi) ha
divulgato notizie raccapriccianti: alle di 15,30 di oggi sarebbero stati rinvenuti i corpi senza vita di tre
Sahrawi nel fiume Saguia el Hamra. Due di essi sarebbero stati uccisi da colpi di arma da fuoco, il terzo
schiacciato da un'auto.
Verso le cinque del pomeriggio, un bambino di sette anni Saharawi sarebbe stato ucciso nel quartiere di
Duerat, nel corso delle scorribande violente delle ronde di coloni, spalleggiate dall'esercito marocchino.
Infine, tra il quartiere Hay El Awda e il fiume Saguia el Hamra, sarebbero stati ritrovati i corpi di altri quattro
Saharawi. Sono in corso ricerche per la loro identificazione.
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Sahara Occidentale, 10 novembre 2010 - Rabat nega la scomparsa di un attivista saharawi e fonti
ospedaliere hanno confermato la morte di altri due ufficiali delle forze di sicurezza marocchine .- Il Polisario
denuncia l’uccisione di 19 persone e le notizie che ci pervengono da Laayoune parlano di cadaveri ritrovati
nei pozzi o che giacciono ancora nelle strade. Il Ministro degli esteri spagnolo, Trinidad Jimenez, ha chiesto
che sia consentito ai giornalisti di entrare a Laayoune
http://www.ossin.org/sahara-occidentale/arresti-laayoune-repressione-marocco-manhasset.html
Il Marocco riconosce che 163 saharawi sono stati arrestati a Laayoune
Rabat nega la scomparsa di un attivista saharawi e fonti ospedaliere hanno confermato la morte di altri due
ufficiali delle forze di sicurezza marocchine .- Il Polisario denuncia l’uccisione di 19 persone e le notizie che
ci pervengono da Laayoune parlano di cadaveri ritrovati nei pozzi o che giacciono ancora nelle strade.-Il
Ministro degli esteri spagnolo, Trinidad Jimenez, ha chiesto che sia consentito ai giornalisti di entrare a
Laayoune
Le autorità marocchine hanno arrestato 163 persone per i disordini provocati dal violento smantellamento
del campo Saharawi vicino a Laayoune, come ha annunciato questa mattina il capo della polizia, Mohamed
Dkissi. La cifra è superiore ai 159 dispersi lamentati ieri dal Fronte Polisario, l'organizzazione di lotta per
l'indipendenza per il territorio. Il Marocco ha anche smentito la scomparsa dell’ attivista saharawi Ennâama
Asfari, 40 anni, denunciata invece dal Polisario. Nel frattempo, fonti ospedaliere hanno riferito del decesso
di altri due ufficiali delle forze di sicurezza marocchine, a causa delle ferite subite nel corso dell’azione di
smantellamento del campo di Gmeil Izik. Sale dunque a dieci il bilancio ufficiale delle vittime tra le forze di
sicurezza. Re Mohamed VI ha dichiarato in un dispaccio diffuso dalla agenzia di stampa ufficiale MAP che
pagherà di tasca sua le spese di sepoltura e di ospedalizzazione dei militari feriti.
Da parte sua, il Polisario ha portato a 19 il bilancio dei morti tra la popolazione saharawi, denunciando lo
“stato di terrore" in atto in Sahara Occidentale, dove i funzionari marocchini lasciano i cadaveri in strada
per diffondere il panico tra la popolazione. La notte scorsa, il ministro degli Esteri spagnolo, Trinidad
Jimenez, in viaggio in America Latina, ha chiamato Rabat per chiedere che i giornalisti fossero autorizzati a
entrare in zona. Il rappresentante della Repubblica Araba Saharawi Democratica (RASD) e del Fronte
Polisario all'Onu, Amhed Bukhari, si è rammaricato che il governo spagnolo abbia deciso di gettare "acqua
sul fuoco” provocato dal Marocco col recente attacco militare contro il campo di Izik Agdaym.
Egli ha inoltre ammesso che la delegazione Saharawi aveva valutato la possibilità di ritirarsi dalla riunione
informale di Manhasset, ma ha poi deciso di andarvi ugualmente per "tenere aperta la prospettiva di pace."
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"La posizione del governo spagnolo è stato molto al di sotto delle necessità, come quella dei francesi che
sono alleati del Marocco", ha detto Bukhari a Radio Nacional spagnola. Aggiungendo: "Avevamo sperato
che la Spagna avrebbe assunto posizioni più nette, almeno per venire in difesa della popolazione civile".
Il ministro degli Esteri del Marocco, Taib Fassi Fihri, ha avvertito la necessità di "un nuovo slancio" nei
negoziati sul Sahara occidentale, mentre Khatri Addouh, il capo della delegazione Saharawi ai colloqui
informali in corso vicino a New York, ha insistito sulla "legittimità della causa" del Fronte Polisario, sancita
dal diritto dei Saharawi alla "libertà e all’indipendenza".
Ancora notizie drammatiche
Intanto, da Laayoune, continuano a giungere messaggi drammatici. E’ della serata di ieri la segnalazione del
rinvenimento dei corpi senza vita di tre Saharawi nel fiume Saguia el Hamra. Due di essi sarebbero stati
uccisi da colpi di arma da fuoco, il terzo schiacciato da un'auto.
Verso le cinque del pomeriggio di ieri, un bambino di sette anni Saharawi sarebbe stato ucciso nel quartiere
di Duerat, nel corso delle scorribande violente delle ronde di coloni, spalleggiate dall'esercito marocchino.
Ieri sera ancora, tra il quartiere Hay El Awda e il fiume Saguia el Hamra, sarebbero stati ritrovati i corpi di
altri quattro Saharawi.
Oggi ancora un nostro corrispondente ci informava del ritrovamento di sette cadaveri in un pozzo.
Notizie che speriamo non siano confermate, ma che segnalano una situazione terribile e tutt’altro che
pacificata. Lo stesso corrispondente ci diceva che le autorità starebbero ripulendo la città e cancellando
tutte le “prove del delitto”, prima di autorizzare l’ingresso della stampa straniera
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Sahara Occidentale, novembre 2010 - I drammatici messaggini sms che ci arrivano da Laayoune
http://www.ossin.org/sahara-occidentale/laayoune-sms-campo-dignita-repressione-saharawi.html
Messaggini da Laayoune
La situazione a Laayoune e nel Sahara Occidentale, dopo la violenta azione di polizia che ha portato allo
smantellamento del campo della Dignità di Gmeil Izik, è ben più drammatica di come viene dipinta dai
comunicati ufficiali. Attualmente sembra che le autorità marocchine stiano per autorizzare l’ingresso nei
territori della stampa straniera e che, a questo fine, stiano cercando di cancellare le tracce del delitto.
Solo allora sarà forse possibile avere un quadro preciso di quello che è accaduto in questi giorni
drammatici.
Intanto noi di Ossin cerchiamo di raccogliere le informazioni come possiamo. Dai comunicati ufficiali delle
Autorità marocchine, da quelli della RASD (Repubblica Araba Democratica Saharawi), dalla stampa spagnola
(la più attenta a quanto sta accadendo). Ma abbiamo anche delle fonti dirette, soprattutto amici che, con
difficoltà, riusciamo a contattare per telefono.
Qualcuno ci manda dei messaggini sms per tenerci aggiornati sulle ultime novità.
E sono proprio queste brevi comunicazioni, il cui contenuto non sappiamo quanto sia attendibile, che, nella
loro sequenza, danno il quadro della serietà della situazione.
E’ per questo che vi proponiamo gli ultimi ricevuti, senza commenti, nella loro cruda drammaticità.
8.11.2010, ore 19.40 : “Uno dei morti si chiama gangar babi 34 anni”
9.11.2010, ore 11.03 : “I marocchini escono dalle loro case in avenue Smara scortati dall’esercito come una
sfida”
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9.11.2010, ore 15.22 : “C’è una campagna di arresti in tutti i quartieri di Laayoune”
9.11.2010, ore 17.14 : “Quello che sta accadendo a Laayoune è un genocidio”
10.11.2010, ore 12.06 : “Sette persone sono state trovate morte gettate in un pozzo dove stava il campo”
10.11.2010, ore 16.16 : “Le autorità marocchine decidono di invitare qualche giornalista dopo la
cancellazione dei segni questa sera”
11.11.2010, ore 12.53 : “Dei coloni marocchini hanno versato benzina su un vecchio saharawi che abita
dietro la moaque(?) nella via di Tantan ed hanno appiccato il fuoco su di lui ma non si conosce il suo stato
dopo l’incidente”
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Sahara Occidentale, novembre 2010 - il Consiglio di sicurezza dell'ONU, per iniziativa del Messico, si
prepara ad aprire un’inchiesta sui violenti attacchi delle forze di occupazione marocchina al campo di
Gdeim Izik e che sono proseguiti con una feroce caccia all’uomo nella città occupata di Laayoune
http://www.ossin.org/sahara-occidentale/onu-saharawi-christopher-ross-bernard-kouchner.html
L’Expression , 11 novembre 2010 (trad. Ossin)
Il Marocco sotto accusa al Consiglio di sicurezza
di Mohamed Touati
L’attuale presidente, l’ambasciatore inglese Mark Lyall Grant, consulta gli altri paesi membri dell’organo
esecutivo dell’ONU per fissare la data della riunione e stabilirne le modalità
Mohammed VI non uscirà bene dal massacro seguito allo smantellamento del campo di Gdeim Izik,
devastato, messo a ferro e fuoco dalle forze di occupazione marocchine. Infatti, mentre il terzo incontro
informale tra Marocco e Fronte Polisario si è chiuso martedì senza alcun progresso conosciuto, il Consiglio
di sicurezza, per iniziativa del Messico, si prepara ad aprire un’inchiesta sui violenti attacchi delle forze di
occupazione marocchina al campo di Gdeim Izik e che sono proseguiti con una feroce caccia all’uomo nella
città occupata di Laayoune.
Questa operazione militare ha provocato la morte di 11 persone, 723 feriti e 159 dispersi, oltre ai 163
arresti comunicati ieri dalle fonti ufficiali marocchine. Il bilancio resta purtroppo provvisorio. La comunità
internazionale indignata e preoccupata ha vivamente reagito a questo massacro pianificato ed eseguito a
porte chiuse.
“Il Consiglio di Sicurezza dell’ONU ha avviato martedì una procedura, su richiesta del Messico, per
convocare una seduta informativa sui violenti attacchi contro i cittadini saharawi in Sahara Occidentale
dopo l’assalto di lunedì delle forze marocchine contro il campo di Gdeim Izik”, ha segnalato l’agenzia di
stampa saharawi SPS in un dispaccio datato 10 novembre.
La stessa fonte ha aggiunto che il presidente del Consiglio di sicurezza può contare sugli altri 14 membri che
hanno già espresso la loro “volontà e il loro sostegno” alla richiesta del Messico che il Dipartimento delle
operazioni di pace dell’ONU presenti un rapporto su quello che è accaduto nei territori del Sahara
Occidentale. La Francia, tradizionale alleata del trono alawita ha reagito. “C’è un problema di urgenza
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perché a Laayoune gli scontri sono stati violenti e gli incidenti gravissimi. Si ignora il numero dei feriti e dei
morti, sia in città che nel campo di tende”, ha riconosciuto il ministro francese degli affari esteri.
Di qui a immaginare, tuttavia, che Parigi intenda ritirare il suo appoggio al piano di autonomia marocchino
per il Sahara occidentale, ce ne corre. “La Francia, come d’altra parte il Consiglio di Sicurezza, giudica
interessante la proposta marocchina, che merita di essere discussa”, aveva dichiarato Bernard Kouchner in
una intervista al magazine Jeune Afrique nel maggio del 2009. “Questa proposta di autonomia costituisce la
base più pertinente per uscire dall’impasse. La Francia incoraggia i negoziati sulla proposta marocchina…”
ha rilanciato, all’inizio del mese di luglio, il Primo ministro francese François Fillon. Sul piani diplomatico, gli
sforzi fatti dall’inviato speciale del segretario generale dell’ONU per tentare di superare lo status quo nel
quale galleggia il conflitto del Sahara Occidentale sembrano essere stati annullati dagli avvenimenti
drammatici che hanno segnato i territori occupati.
Il terzo ciclo di discussioni informali tra il Fronte Polisario e il Marocco, che si è svolto tra l’8 e il 9 novembre
a Manhasset, vicino a New York, si è chiuso martedì sera sulla constatazione del fallimento. Il Marocco,
come era prevedibile, è rimasto fermo sulla sua proposta di autonomia in spregio alla risoluzione 1920
adottata dal Consiglio di Sicurezza il 30 aprile 2010, che garantisce al popolo saharawi il diritto a
pronunciarsi liberamente sul suo avvenire nell’ambito di un referendum di autodeterminazione.
“Il Marocco e il Fronte Polisario hanno tenuto un’ampia e franca discussione sulle proposte di ciascuno sul
Sahara Occidentale, in uno spirito di reciproco rispetto nonostante il fatto che ciascuna delle parti abbia
respinto la proposta dell’altra come base dei futuri negoziati”, ha confidato il rappresentante personale di
Ban Ki Moon per la regione. Christopher Ross ha annunciato un altro incontro tra i due belligeranti.
“I partecipanti hanno deciso di incontrarsi di nuovo nel mese di dicembre e all’inizio del prossimo anno per
proseguire, con un nuovo approccio, il processo di negoziati richiesto dalla risoluzione del Consiglio di
Sicurezza delle Nazioni Unite”, ha dichiarato un diplomatico USA. Fino a quando le porte del dialogo
resteranno aperte? Una sola opzione può mettere fine al conflitto del Sahara Occidentale: la tenuta di un
referendum di autodeterminazione. La palla è nel campo…. marocchino.
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Sahara Occidentale, 12 novembre 2010 - "Io sottoscritto Manu Chao, di professione cantante, mi ribello
contro quello che sta accadendo in Sahara Occidentale..." Un appello nel blog di Manu Chao:
http://www.ossin.org/sahara-occidentale/appello-manu-chao-repressione-saharawi.html
Appello di Manu Chao contro la repressione in Sahara Occidentale
Io sottoscritto Manu Chao, di professione cantante
Mi ribello ai fatti insopportabili che stanno accadendo nei territori Saharawi occupati dal Marocco.
Chiedo la cessazione immediata delle violenze, torture, sparizioni forzate di persone ecc. attualmente in
corso a Laayoune e nel resto dei territori occupati. Atti barbari costituenti l’opera nefasta dell’esercito
marocchino.
Mi auguro che l’Unione Europea esiga immediatamente dal governo marocchino la cessazione delle
violenze esercitate contro la popolazione saharawi nei territori occupati del Sahara occidentale.
Chiedo che l’ONU assuma le necessarie misure perché sia rispettato l’art. 2 della Dichiarazione Universale
dei diritti dell’uomo.
E che siano ugualmente applicate le risoluzioni adottate per i territori non autonomi.
Chiedo all’Unione Europea che esiga dall’ONU che il Consiglio di sicurezza attribuisca alla Minurso effettivi
poteri di controllo sul rispetto dei diritti umani, informandone direttamente il Consiglio di sicurezza.
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Penso anche che l’ONU abbia l’obbligo di proteggere la popolazione dei territori non autonomi mentre
sono in attesa della celebrazione del referendum di autodeterminazione, così come impongono le
risoluzioni dell’Assemblea generale, del Consiglio di sicurezza e dell’Unione africana.
Chiedo ai governi spagnolo e francese la cessazione immediata della vendita di armi al governo marocchino,
con le quali l’esercito uccide, tortura e reprime il popolo saharawi.
Chiedo alla comunità internazionale di esigere che il governo marocchino consenta la libera circolazione ai
giornalisti nei territori, affinché essi possano raccontare cosa succede. In altri termini il libero accesso ai
territori occupati per tutta la stampa internazionale, cosa che non accade oggi.
Chiedo che l’Unione europea esiga la liberazione immediata dei saharawi illegalmente detenuti oramai da
più di una settimana.
Ci sono anche centinaia di persone sparite… Dove sono?
Chiedo che la comunità internazionale faccia pressione in modo fermo e urgente sul governo marocchino
perché cessi la barbarie e l’ingiustizia.
Grazie della vostra attenzione
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Sahara Occidentale, novembre 2010 - L'ONU ha respinto la proposta di inviare una missione nei territori
occupati del Sahara Occidentale, per verificare che cosa è realmente accaduto a Gmei Izik. Il Fronte
Polisario è deluso, naturalmente, e avverte che potrebbe riprendere le armi per difendere il suo popolo
dalla repressione marocchina
http://www.ossin.org/sahara-occidentale/mohamed-abdelaziz-ahmed-boukhari-gmeil-izik.html
L’Expression, 18 novembre 2010 (trad. Ossin)
Il Marocco reprime in Sahara Occidentale. L’ONU chiude gli occhi
di Mohamed Touati
Il Fronte Polisario si prepara probabilmente a rivedere la sua posizione nei confronti del processo di pace
Lo statu quo nel quale si trova il Sahara Occidentale è diventato insopportabile. La pazienza dei Saharawi ha
dei limiti. E ci hanno tenuto a farlo sapere. “Se non vi saranno progressi a breve termine, il Fronte Polisario
sarà costretto a riconsiderare la sua posizione nei confronti dell’insieme del processo”, ha avvertito il
rappresentante della RASD presso l’Organizzazione delle Nazioni Unite. La pace nel Sahara Occidentale è
appesa a un filo.
“Se l’ONU non si decide ad adempiere alle sue stesse promesse ripetute per risolvere il conflitto e non si
decide a fare qualcosa per proteggere il nostro popolo, saremo obbligati a farlo noi stessi”, ha avvertito il
diplomatico saharawi. Centinaia di rifugiati saharawi hanno chiesto al Fronte Polisario di riprendere le armi.
Un dispaccio dell’agenzia di stampa saharawi (SPS) del 13 novembre 2010 ha riferito che essi “hanno
manifestato la loro disponibilità a prendere le armi ed a sacrificarsi per la liberazione del loro paese” in un
messaggio indirizzato al presidente saharawi Mohamed Abdelaziz.
La sanguinosa aggressione contro i rifugiati saharawi del campo di Gdeim Izik ha messo a nudo l’incapacità
dell’Organizzazione delle nazioni unite a proteggere le popolazioni saharawi dei territori occupati dalla
repressione posta in essere dalle forze di occupazione marocchine. I responsabili saharawi hanno tenuto a
porre il Consiglio di sicurezza di fronte alle sue responsabilità. “Il sangue di diverse decine di cittadini
saharawi, sparso in questi ultimi giorni dopo l’attacco militare marocchino, è stata la dolorosa conseguenza
dell’incapacità del Consiglio di sicurezza a proteggere la popolazione saharawi in vista della soluzione della
contesa tra il Sahara occidentale e il Marocco che permetta l’autodeterminazione del popolo saharawi, così
come richiesto da numerose risoluzioni del Consiglio di sicurezza e dal diritto internazionale”, ha scritto il
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rappresentante del Fronte Polisario all’ONU in una lettera indirizzata lunedì al presidente del Consiglio di
sicurezza.
Ciò che è accaduto l’8 novembre a Laayoune è stato mantenuto nell’ombra più completa grazie al black-out
imposto dalle forze marocchine. L’informazione è stata bloccata e i giornalisti non favorevoli al progetto di
autonomia marocchina, considerati persona non grata, sono stati mandati via o espulsi. La Comunità
internazionale aveva diritto di sapere. “Io ho inviato una lettera in tal senso al presidente del Consiglio di
sicurezza dell’ONU. Bisogna che si conosca tutta la verità su quanto è accaduto”, ha confidato Ahmed
Boukhari all’AFP.
Il rappresentante del Fronte Polisario non sembra tuttavia farsi molte illusioni sull’esito della sua iniziativa.
“Temiamo che non si saprà mai ciò che è realmente accaduto. Il solo mezzo per fare luce è inviare una
missione che accerti i fatti. Altrimenti non potremo continuare a negoziare come se niente fosse successo.
Noi abbiamo diritto alla verità, a tutta la verità”, ha aggiunto. Secondo un bilancio provvisorio fatto dal
Polisario, l’assalto omicida contro il campo di Gdeim Izik avrebbe provocato decine di morti e più di 4500
feriti. “Ci troviamo a un bivio. Lo statu quo non è più un’opzione. L’impegno continuo del Fronte Polisario in
questo processo è stato male interpretato. Il popolo del Sahara occidentale non può attendere
indefinitamente un processo dell’ONU che dura diversi decenni, che niente altro ha prodotto se non una
occupazione oppressiva, il furto delle sue risorse naturali, e una popolazione saharawi divisa da un muro
militare fortificato lungo 2700 km”, ha scritto nella sua lettera a Sir Mark Lyall Grant il diplomatico
saharawi.
Annunciati per il mese di dicembre prossimo a Ginevra, i negoziati tra il Fronte Polisario e il Marocco
emanano un forte odore di polvere.
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Sahara Occidentale, novembre 2010 - Parigi ha riaffermato martedì il suo sostegno incondizionato a Rabat,
nel conflitto del Sahara Occidentale, ricorrendo al suo diritto di veto per impedire una risoluzione di
condanna da parte del Consiglio di sicurezza dell’ONU nei confronti dell’aggressione delle forze marocchine
contro i civili saharawi del campo di Gdem Izik, lo scorso 8 novembre, e l’invio di una missione di inchiesta
nei territori
http://www.ossin.org/sahara-occidentale/francia-veto-onu-marocco-minurso.html
La Liberté – 18 novembre 2010 (trad. Ossin)
Il Consiglio di Sicurezza si è limitato a deplorare la violenza dei fatti di Laayoune. La
Francia pone il veto alla condanna del Marocco
di Merzak Tigrine
Parigi ha riaffermato martedì il suo sostegno incondizionato a Rabat, nel conflitto del Sahara Occidentale,
ricorrendo al suo diritto di veto per impedire una risoluzione di condanna da parte del Consiglio di sicurezza
dell’ONU nei confronti dell’aggressione delle forze marocchine contro i civili saharawi del campo di Gdem
Izik, lo scorso 8 novembre, e l’invio di una missione di inchiesta nei territori. Come ci si poteva aspettare, il
Consiglio di sicurezza non è stato messo in grado di assumere delle iniziative nel corso del dibattito sulle
violenze perpetrate l’8 novembre 2010 nel campo di Gdem Izik, dove si erano rifugiati più di 25.000
saharawi per protestare contro l’occupazione marocchina.
La Francia l’ha impedito. L’organo esecutivo dell’ONU ha solo deplorato la violenza usate dalla forze
marocchine senza condannarla.
Non solo, ma la Francia ha anche respinto col suo veto la proposta di una missione di inchiesta dell’ONU nei
territori.
Nel corso di questa riunione, che è durata più di tre ore, sono stati presentati due rapporti, rispettivamente
dall’inviato personale del segretario generale delle Nazioni Unite per il Sahara occidentale, Christopher
Ross, che ha relazionato sugli ultimi sviluppi del processo di negoziato tra il Fronte Polisario e il Marocco, e
del Dipartimento delle operazioni di mantenimento della pace dell’ONU. Secondo Ahmed Boukhari, il
rappresentante del Fronte Polisario all’ONU, il Dipartimento ha detto chiaramente “che la missione delle
nazioni unite per l’organizzazione di un referendum in Sahara Occidentale (Minurso) è stata posta dal
Marocco nell’impossibilità di fare accertamenti e di conoscere i dettagli dell’assalto militare lanciato dalle
forze marocchine contro i campi saharawi e non ha potuto, conseguentemente, relazionare in modo
dettagliato su questi tragici avvenimenti”.
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Per tale ragione, diversi membri del Consiglio di sicurezza hanno sostenuto la proposta di inviare una
missione di inchiesta nei territori. “Proposta che non ha avuto un esito positivo a causa del rifiuto della
Francia, che è stato il solo membro del Consiglio di sicurezza a opporsi, nel corso di questa riunione,
all’invio di una missione di inchiesta”, ha detto Boukhari che ritiene che “la Francia abbia paura della verità.
Altrimenti non si potrebbe giustificare il suo comportamento”. Intervenendo nel corso della riunione, il
presidente dell’organo esecutivo dell’ONU, Sir Mark Grant Lyall, ha espresso “il sostegno del Consiglio di
Sicurezza alla Minurso e alla missione che le è affidata, e ha chiesto alle due parti in conflitto (Fronte
Polisario e Marocco) di restare impegnati nel processo di negoziati sotto l’egida dell’ONU”. Ha poi
dichiarato alla stampa, dopo la riunione, che il Consiglio di sicurezza “deplora la violenza che vi è stata
durante gli avvenimenti della settimana scorsa nei campi saharawi”. Il Fronte Polisario prende dunque nota
del rammarico espresso dal Consiglio di sicurezza e considera che il fatto che fosse stata indetta questa
riunione del Consiglio significava che questo aveva “deciso di studiare la situazione vista la gravità degli
avvenimenti”, ma “si rammarica del fatto che la proposta di inviare una missione di inchiesta non ha potuto
essere accolta a causa dell’opposizione della Francia”, ha dichiarato Ahmed Boukhari.
E ha aggiunto: “Noi continueremo senza requie ha chiedere l’invio di una missione di inchiesta come
continueremo a chiedere l’attivazione di un meccanismo di protezione dei diritti dell’uomo in capo alla
Minurso, il cui avvio si dimostra sempre più urgente ala luce di quanto accade nel Sahara Occidentale”. Ha
insistito sul fatto che “la storica sollevazione del popolo saharawi nei territori occupati era un forte
messaggio inviato alla comunità internazionale per accelerare il processo di decolonizzazione attraverso
l’organizzazione di un referendum di autodeterminazione che consenta al popolo saharawi di decidere
liberamente del proprio destino”.
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Sahara Occidentale, novembre 2010 - Tel Quel, settimanale indipendente fino a quando non si tocca il
tema del Sahara Occidentale, ha pubblicato un servizio “esclusivo” da Laayoune nel quale si attribuisce agli
aggrediti la responsabilità delle violenze. Va bene, ma perché allora non si consente l'ingresso nei territori
ai giornalisti e agli osservatori indipendenti? Perché il Marocco (e la Francia sua alleata) hanno impedito
l’apertura di una inchiesta da parte dell’ONU?
http://www.ossin.org/sahara-occidentale/adim-izik-yassine-bouguettaya-chioukh-marocco.html
Vuoi vedere che adesso le vittime sono i soldati marocchini?
Tel Quel, settimanale indipendente fino a quando non si tocca il tema del Sahara Occidentale, ha pubblicato
un servizio “esclusivo” da Laayoune nel quale si attribuisce agli aggrediti la responsabilità delle violenze. Va
bene, ma perché allora non si consente l'ingresso nei territori ai giornalisti e agli osservatori indipendenti?
Perché il Marocco (e la Francia sua alleata) hanno impedito l’apertura di una inchiesta da parte dell’ONU?
Per quanto ci riguarda, continuiamo a pensare che in Sahara Occidentale vi sia un aggressore (Marocco) e
un aggredito (popolo saharawi), e tuttavia non abbiamo problemi a pubblicare anche versioni differenti
degli avvenimenti, per quanto ci sembrino incredibili. Leggerle è utile intanto per comprendere quali sono gli
obiettivi della propaganda ufficiale marocchina
Layoune a ferro e fuoco
di Driss Bennani, inviato speciale (Tel Quel n. 447 - novembre 2010 – trad. Ossin)
Laayoune. Di solito è già all’aeroporto che si può capire che aria tiri in città. Ed è chiaro che questo martedì
9 novembre la “temperatura” del capoluogo del Sahara sia molto alta. Sulla pista, diverse decine di uomini
in divisa lavorano intorno a due grandi veicoli militari, mentre un elicottero della Gendarmeria reale si
appresta a decollare. Fuori, sette veicoli delle Forze Armate Reali controllano l’ingresso del parcheggio,
incredibilmente vuoto. I militari, appostati ai checkpoint, sono equipaggiati con giubbotti antiproiettili,
caschi con visiere, maschere antigas e scudi antisommossa. Nel centro città si assiste a un’incessante sfilata
di camion militari e staffette di polizia. I poliziotti appostati intorno agli edifici pubblici o nei grandi incroci
sono armati con fucili a pompa. L’atmosfera è pesante, opprimente.
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A peggiorare le cose, Laayoune appare disperatamente deserta in questo pomeriggio inoltrato, per quanto
soleggiato. I negozi sono chiusi, come anche le banche, le amministrazioni, le scuole o i caffè. La città non si
è ancora ripresa dal suo “lunedì nero”. Per più di cinque ore, poco dopo lo smantellamento del campo di
Agdim Izik, diverse centinaia di manifestanti hanno messo a ferro e fuoco diversi quartieri, bruciato decine
di auto e saccheggiato molti negozi, caffè e edifici pubblici. “E’ stata una cosa mai vista, ci dice un
testimone. Non avevamo mai raggiunto un tale livello di violenza in Sahara. La situazione era totalmente
fuori controllo. E’ stato necessario l’intervento dell’esercito perché fosse ristabilito l’ordine”. I danni sono
visibili. Dei veicoli completamente bruciati bloccano ancora il passaggio in certe strade. Edifici interi sono
stati evacuati. Sportelli automatici delle banche sono sventrati, cocci di vetro e di pietre (molte
pietre)cospargono l’asfalto. Gli scontri sono stati particolarmente violenti e il bilancio è pesantissimo.
Undici persone (tra cui dieci poliziotti) hanno perso la vita nelle ultime 48 ore. L’apocalisse era tuttavia
prevedibile. Cronologia.
Giovedì 4 novembre: segnali premonitori
Tutto comincia dunque giovedì 4 novembre. Tre settimane dopo l’innalzamento del campo di Agdim Izik a
est di Laayoune, i dirigenti marocchini hanno oramai un’idea fissa: evacuare l’accampamento prima di
sabato 6 novembre, anniversario della marcia Verde. Nella sede della wilaya le riunioni si susseguono. Il
ministro dell’interno vi partecipa personalmente e dà prova, secondo le nostre fonti, di una “grande
capacità di ascolto e di molto sangue freddo”. Alla fine della giornata si trova infine un accordo. Il wali e i
rappresentanti degli abitanti del campo firmano anche un processo verbale congiunto. E’ l’epilogo… o
quasi. “Durante la riunione, racconta la nostra fonte, i negoziatori di Agdim Izik hanno preteso che non vi
fossero saharawi che occupano posti di comando nell’amministrazione marocchina e hanno effettivamente
ottenuto il trasferimento di Khelli Henna Ould Errachid e di qualche altro wali dell’amministrazione
centrale. Questo non faceva presagire niente di buono”, Intorno alle 22.30, i rappresentanti del campo
sono tornati alla sede della wilaya. Avevano un brutta cera. Gli abitanti del campo hanno – come sembra –
respinto i termini dell’accordo. Esigono che il processo verbale venga firmato dal ministro dell’interno in
persona. “Impossibile, la cosa delegittimerebbe ancor più l’autorità locale”, rispondono gli alti dirigenti del
ministero. Al termine di una maratona di riunioni, la wilaya di Laayoune si impegna alla fine ad aprire uno
sportello nel campo, per facilitare le operazioni di registrazione degli abitanti che aspirino a beneficiare dei
lotti di terreno e delle pensioni elargite dalla Previdenza sociale. Le due parti si salutano nella tarda serata.
Venerdì 5 novembre: i negoziati non approdano a nulla
All’inizio della mattinata una delegazione ufficiale guidata dal wali della regione giunge al campo di Agdim
Izik. “Era incaricata, conformemente agli accordi raggiunti il giorno prima, di organizzare l’apertura dello
sportello nel campo e ad assicurarsi che tutto procedesse bene”, spiega un funzionario della wilaya di
Laayoune. Una formalità insomma. Ma l’accoglienza loro riservata dai responsabili del campo è tutt’altro
che amichevole. Decine di giovani, a piedi o su fuoristrada, formano una catena umana tutto intorno alle
tende montate in pieno deserto. Gli slogan sono particolarmente virulenti, addirittura minacciosi. I nuovi
giunti non sono visibilmente i benvenuti. Che cosa spiega questo mutato atteggiamento? “I negoziatori del
campo avrebbero così voluto protestare contro la presenza dei chioukh (capi delle tribù, allineati sulle
posizioni del Marocco, ndt)nella delegazione ufficiale. Ma era solo un pretesto, afferma una fonte
associativa a Laayoune. La verità è che lo smantellamento del campo va contro gli interessi personali o
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politici di alcuni dei responsabili di Agdim Izik”. Dopo qualche ora di attesa, il wali e i suoi accompagnatori
tornano sui loro passi. Sono arrabbiatissimi coi responsabili del campo. Viene improvvisata una riunione di
crisi a Laayoune. “Questa gente non cerca una soluzione. Vogliono invece prolungare la crisi”, conclude un
alto responsabile del ministero dell’interno. Sabato, la celebrazione del 35° anniversario della marcia Verde
trascorre dunque in un’atmosfera molto tesa nelle principali città del Sahara. Nel suo discorso, il re non fa
alcun riferimento alla situazione di Agdim Izik. Si rivolge piuttosto ai Saharawi di Tindouf, assicurando loro
la sua protezione e la sua benevolenza. “E’ un modo – spiega un osservatore – di non attribuire un profilo
nazionale agli avvenimenti di Laayoune”. Ma in Sahara non sfugge a nessuno il mutamento di tono. La città
trattiene il respiro. L’intervento militare è imminente. Bisogna solo trovare un pretesto.
Domenica 7 novembre: si prepara una risposta
Nel corso della giornata, il procuratore generale di Laayoune dichiara che “allo stato attuale vi sono dei
vecchi, delle donne e dei bambini da considerare sequestrati nel campo di Agdim Izik”. Un po’ troppo
grossa vero? Non proprio, risponde un avvocato di Laayoune: “Vi sono persone che avevano delle vere
rivendicazioni sociali e che hanno cercato di smontare le loro tende dopo avere ricevuto terre epensioni,
ma è stato loro impedito. Non sono molte, ma lo Stato aveva la giustificazione legale per smantellare il
campo con la forza”(Secondo questo avvocato, se dei banditi tengono in sequestro delle persone,
mettiamo in una banca, lo Stato avrebbe la giustificazione legale per distruggere l’intero quartiere, ndt).
A metà mattinata, la strada di comunicazione verso il campo è oramai bloccata e centinaia di auto vengono
rimandate indietro verso Laayoune. Alle 17 qualche veicolo tenta di forzare un posto di blocco della
Gendarmeria reale. Le forze dell’ordine rispondono con lanci di bombe lacrimogene. La tensione è al
massimo. Nella serata una decina di persone riesce in qualche modo a raggiungere il campo. Ma nessuno
dormirà questa notte. Racconta una fonte associativa: “Noi cercavamo ancora di calmare gli animi
all’interno del campo, quando alcune autorità ci hanno chiesto di andarcene nella prima serata. I negoziati
erano terminati, dicevano”.
Lunedì 8 novembre: il giorno più lungo
L’assalto viene realizzato alle 6 e 30. Il dispositivo di sicurezza mobilitato è impressionante. Camion militari,
centinaia di gendarmi, poliziotti ed elementi delle Forze ausiliarie circondano il campo. Vengono collocati
degli altoparlanti che chiedono agli abitanti di lasciare le tende e dirigersi verso i bus messi a loro
disposizione sulla strada verso Smara. E’ il caos. Il movimento della folla è disordinato. Fuoristrada corrono
a forte velocità in diverse direzioni. “Nel momento in cui le prime persone hanno cominciato ad
abbandonare il campo, altre hanno attaccato le forze dell’ordine con bottiglie Molotov e lanci di pietre”,
racconta un testimone che ha assistito alle operazioni di evacuazione. Due camion-cisterna militari
rispondono con getti d’acqua calda. Senza grandi risultati. Il campo si stende su diversi ettari, ed è dunque
difficilmente controllabile. Le tende vengono progressivamente smantellate, ma i militari avanzano su un
territorio minato. Alcuni cadono in vere e proprie imboscate. “Si sono resi conto di avere a che fare con
vere e proprie milizie addestrate al combattimento”, analizza un osservatore locale.
Alle 8, due ore appena dopo l’inizio delle operazioni, 80 militari sono già ricoverati d’urgenza all’ospedale
militare di Laayoune. Accusano traumi cranici e ferite d’arma bianca. Durante gli scontri, alcuni sono anche
freddamente (e atrocemente) uccisi. “A un certo punto, racconta un poliziotto, un gendarme si è ritrovato
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solo tra le tende. E’ stato allora circondato da una ventina di persone. Dopo averlo riempito di botte, uno
degli assalitori l’ha sventrato con un coltello e ha urinato sul suo cadavere”. Un altro militare, appartenente
alle Forze Ausiliarie questa volta, è stato attaccato da alcuni giovani che si trovavano a bordo di una jeep.
“Essi lo hanno prima steso per terra, poi gli hanno rotto la testa con una grossa pietra. E come se non fosse
sufficiente, lo hanno sfigurato assestandogli diversi colpi al viso. Era già morto quando, alla fine, lo hanno
intenzionalmente schiacciato sotto le ruote dell’auto”, racconta il padre di Yassine Bouguettaya, inumato a
Laayoune mercoledì 10 novembre. (L’inviato speciale di Tel Quel riporta solo le testimonianze degli
aggressori, si guarda bene dal riprendere le denunce delle vittime, i saharawi, ndt)
Alla fine saranno (almeno) 10 elementi delle forze dell’ordine a perdere la vita nel corso di questi scontri.
Come si spiega un bilancio così pesante? “I militari avevano ricevuto l’ordine preciso di non fare ricorso alle
armi da fuoco. Lo smantellamento del campo doveva avvenire pacificamente (sic!), senza alcuna vittima
civile”, spiega un militare che vuole restare anonimo. Sarà, ma come è possibile non sparare quando la
propria vita è in pericolo? “La disciplina di questi militari è stata sbalorditiva, quasi sovrumana, afferma un
responsabile dell’amministrazione territoriale di Laayoune. Se avessero fatto ricorso alle armi da fuoco, vi
sarebbe stata una vera e propria carneficina, tenuto conto della densità della popolazione del campo e la
complessità del terreno di operazioni” (Ed è proprio una carneficina ciò che denunciano sia il Fronte
Polisario che i militanti saharawi di Laayoune, mentre il Marocco vieta l’ingresso di osservatori indipendenti
nei territori, lasciando entrare solo giornalisti “embedded” come l’inviato speciale di Tel Quel, ndt).
Orrore in città
Poco prima delle 9, la situazione degenera pericolosamente. Gli insorti forzano i posti di controllo e si
dirigono verso la città. Vi giungono dalla strada per Smara. Decine di Land-Rover, con ognuna a bordo
decine di giovani incappucciati, armati di coltelli o randelli, seminano il terrore a Laayoune. “Non tutti
provenivano dal campo, riferisce un giornalista locale. Alcuni si sono uniti agli insorti provenendo dalle loro
case del centro città”. A metà mattinata, l’avenue di Smara (una delle più importanti arterie di Laayoune)
cade nelle mani degli insorti. Vi installano delle barricate improvvisate e saccheggiano il CRI, la Corte
d’Appello, la sede dell’Anapec, la sede della regione, oltre a diversi uffici amministrativi… Danno fuoco a
decine di auto e distruggono molti negozi, appartenenti per la maggior parte a coloni marocchini. A qualche
centinaio di metri da piazza Dchira, i manifestanti incendiano un deposito di vernici al pian terreno di uno
stabile di quattro piani. La deflagrazione è assordante. Lo stabile è avvolto immediatamente da una spessa
coltre nera. Viene evacuato d’urgenza.
Gli insorti avanzano adesso verso la città. Collocano delle bandiere del Polisario sulle vetrine di alcuni
negozi, gridando freneticamente Allah Akbar. Anche le banche sono prese a bersaglio. Le casseforti di due
sportelli automatici, nonostante siano solidamente incassate nel muro, sono letteralmente divelte dai
manifestanti. Laayoune vive le sue ore peggiori dai moti del 1999.
Nel caos, un membro delle Forze Ausiliarie viene freddamente sgozzato da uno degli insorti, nel bel mezzo
della folla. I manifestanti formano un cerchio di pietra intorno alla spoglia e l’esibiscono come un trofeo di
guerra. Un altro funzionario viene schiacciato da una Land Rover che cercava di fuggire dopo aver dato
fuoco ad un ufficio pubblico. “La rapidità di esecuzione e l’organizzazione di queste truppe è spaventosa,
riferisce una fonte che ha assistito a questi atti di vandalismo. Ogni gruppo di insorti era composto da una
trentina di persone a piedi, seguito da quattro auto piene di coltelli, bottiglie Molotov e di pietre. Davanti a
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ogni gruppo, una guida indicava i luoghi da attaccare e quelli da lasciare stare”. Cosa faceva la polizia
intanto? “La maggior parte delle forze di sicurezza era ancora impegnata nel campo. Nel centro della città, i
rari poliziotti presenti si limitavano a dare la caccia a qualche gruppo e poi battevano in ritirata aspettando
rinforzi”, racconta un testimone. Alla fine della mattinata gli insorti controllavano diversi quartieri della
città. Spesse nuvole di fumo nero vagano nel cielo di Laayoune.
All’assalto di Laayoune TV
Alle 11.30 gruppi di insorti forzano la barriera di sicurezza della televisione regionale di Laayoune. Più di
venti persone si introducono nei locali dell’emittente. “Volevano bruciare lo studio e cercavano di mettere
le mani sul direttore della stazione. Secondo loro, Laayoune TV è uno strumento della propaganda
marocchina che bisognava a ogni costo distruggere”, confida un giornalista presente al momento
dell’attacco. Interviene d’urgenza il prefetto di polizia, scortato da un battaglione militare. Gli insorti
scappano ma riescono a bruciare due auto e sequestrano un agente della Scurezza. Questo sarà rilasciato
qualche ora più tardi. “Questa insurrezione non è stata improvvisata, spiega un responsabile dei servizi di
sicurezza. I ribelli avevano un messaggio da trasmettere. Essi hanno attaccato solo i beni dei coloni
marocchini per terrorizzarli e spingerli ad andarsene. Bruciando veicoli ed edifici pubblici, intendevano
contestare la sovranità marocchina in Sahara. Uccidendo i militari e risparmiando i civili, assumono metodi
da milizia e dichiarano guerra aperta alle autorità”. Vi è stato decisamente un salto di qualità.
Poco prima di mezzogiorno, si organizza la risposta dei coloni marocchini. Gruppi di giovani e meno giovani
scendono in strada, decisi a difendere i loro negozi e i loro beni. E assalgono quasi esclusivamente edifici di
proprietà di saharawi e si rendono protagonisti di diversi atti di vandalismo. “Alcuni hanno perfino eretto
dei posti blocco dove occorreva gridare “Viva il re” per passare senza problemi”, racconta un testimone (ciò
che il testimone non racconta, o l’inviato speciale non riporta, è che questi coloni erano protetti e sostenuti
dalla polizia mentre compivano atti di saccheggio, ndt)
Alle 13 l’esercito entra in città. I militari sono accolti da salvatori o da liberatori, con grida e slogan
nazionalisti (dai coloni naturalmente, non dai saharawi, ndt). Molti coloni montano addirittura sui veicoli
militari e agitano nervosamente la bandiera marocchina. L’operazione di smantellamento del campo
intanto si avvia al termine. 65 persone sono fermate. Si contano centinaia di feriti, soprattutto tra le forze
dell’ordine (oltre ai decessi). A mezzogiorno la città è quasi irriconoscibile. Le truppe prendono posizione
nei principali incroci. I militari assaltano con violenza alcune abitazioni alla ricerca dei fuggitivi. In serata,
vetture con altoparlanti “raccomandano” alla gente di rientrare in casa. Laayoune si lecca silenziosamente
le sue ferite.
Martedì 9 novembre: non è più Laayoune…
Alle prime luci dell’alba la città offre uno spettacolo desolante. “Attraversando l’avenue Smara, mi sono
sentito come a Bagdad o a Gaza sotto le bombe. Non avrei mai creduto di vivere una simile esperienza”,
afferma un militante associativo di Laayoune. Le scuole restano chiuse, e anche i negozi, i caffè, le banche,
gli uffici dell’amministrazione. A mezzogiorno una fila interminabile si forma davanti ad una delle rare
boulangerie aperte. Nelle case ci si pone delle domande: chi sono i responsabili della rivolta? Cosa volevano
ottenere? Come spiegare tanta violenza?
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“A Laayoune vi è stato prima di tutto un pericoloso disservizio in termini di sicurezza, tuona un osservatore.
Lo Stato avrà forse avuto ragione a smantellare il campo, a non ricorrere alle armi, ma perché non ha posto
in sicurezza la città? Eppure le autorità sapevano che migliaia di persone, per lo più scontente, si sarebbero
riversate a Laayoune, che avrebbero potuto fomentare disordini. Il comportamento delle autorità e
inspiegabile”.
Malgrado i nostri ripetuti tentativi, nessun responsabile locale né alcun rappresentante del ministero
dell’interno ha voluto rispondere alle domande che abbiamo loro rivolte a questo proposito. Anche
l’identità dei fautori dei disordini resta un mistero. “I militanti indipendentisti non hanno mai ucciso
nessuno. Degli abitanti scontenti non possono spontaneamente mettere a ferro e fuoco la città. Di fatto,
tenta di analizzare un osservatore, ci siamo trovati di fronte a delle vere e proprie milizie addestrate per
questo genere di operazioni. Una sorta di cellula dormiente che ha approfittato dell’occasione per passare
all’azione”. Un’altra fonte, vicina agli ambienti giudiziari, spiega che “diverse frange di popolazione si sono
di fatto coalizzate per realizzare l’insurrezione”. Ci sono certamente attivisti indipendentisti estremisti,
abituati alle bottiglie molotov e agli scontri con le forze dell’ordine. A questi si sono certamente aggiunti
abitanti e responsabili del campo di Agdim Izik, furiosi per lo smantellamento del loro “piccolo regno” ed
anche qualche sfaccendato, esaltato dal caos generalizzato.
Ma nel gruppo, precisa la nostra fonte, “c’è senz’altro della gente che aveva un programma ben preciso e
dei metodi criminali importati, come quello di sgozzare i militari”. Il riferimento all’Algeria è appena velato.
Molti insorti sono giovani che hanno raggiunto in massa il Marocco, l’estate scorsa, provenienti dai campi di
Tindouf, senza alcun controllo di identità, prosegue la nostra fonte. Sono stati spalleggiati dalla mafia del
contrabbando, a corto di affari dopo che il Marocco ha bloccato l’accesso delle frontiere a sud”. Secondo le
ultime notizie, dei algerini sarebbero stati arrestati questa settimana a Laayoune. Che cosa vi facevano?
Sono coinvolti negli atti di violenza che hanno sconvolto la città? Mistero. “Si sa per contro che molte
persone fermate potrebbero essere perseguite per atti di terrorismo, davanti al tribunale competente, a
Rabat e Salé”, confida una fonte giudiziaria. Uno scoop.
Mercoledì 10 novembre: le voci si rincorrono
La città si sveglia con una voce inquietante. Gli insorti ancora in libertà avrebbero cominciato a rapire i
bambini. Falso allarme. Alcuni militanti e giornalisti ricevono minacce di morte per telefono. Molti hanno
scelto di lasciare momentaneamente i loro domicili e di istallarsi in hotel, o a casa di parenti o amici. “Vuol
dire che non è ancora finita, sospira un militante associativo. L’ordine è forse ristabilito, ma il panico si
impossessa di tutti gli abitanti”. A partire da mezzogiorno, la vita riprende dolcemente in tutte le principali
avenue di Laayoune. Ogni tanto si vedono camion trasportare le auto bruciate durante i moti. “Ci vorranno
almeno due settimane per pulire e non meno di un anno perché gli immobili e gli uffici saccheggiati siano
sistemati del tutto”, afferma un deputato locale. A mezzogiorno arrivano il ministro dell’interno e il
direttore generale della DGSN (servizi di informazione), ma si chiudono negli uffici della wilaya.
Poco dopo la preghiera di Al Asr, uno dei militari uccisi nel corso degli scontri di lunedì viene inumato nel
cimitero del quartiere industriale di Laayoune. Per le autorità vi è solo un governatore locale. Le esequie
ufficiali (si possono a questo punto definire così?)si concludono nel giro di qualche minuto. Il padre del
defunto riceve la bandiera nella quale era avvolta la spoglia di suo figlio. Frena le lacrime, mentre getta un
ultimo sguardo alla tomba ancora fresca, senza dubbio contrariato per la scarsa considerazione riservata a
un soldato caduto per la patria.
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Comunicazione. Servizio minimo
I militari caduti a Laayoune vengono inumati con discrezione, uno dopo l’altro, in diverse città del paese.
Perché non hanno diritto a esequie ufficiali, visto che sono morti nell’esercizio delle loro funzioni?
Perché il Marocco non comunica (o lo fa assai timidamente) i dati delle perdite subite tra gendarmi,
poliziotti e Forze ausiliarie? “Il comportamento delle autorità è molto strano. Parlando di questi morti, le
autorità potrebbero migliorare il morale delle truppe massicciamente presenti nel Sahara occidentale.
Politicamente queste comunicazioni permetterebbero anche di sottolineare il carattere criminale e
selvaggio dei fautori dei disordini e di qualche indipendentista”, considera una fonte giornalistica a
Laayoune. I responsabili del ministero dell’interno giocano in realtà la carta della prudenza. “Le accuse nei
confronti degli arrestati potrebbero essere gravissime – precisa una fonte poliziesca di Laayoune – come
anche le connessioni che potrebbero essere scoperte con delle organizzazioni straniere. Tutto questo sarà
comunicato a tempo debito. Ma, per il momento, i responsabili preferiscono rispettare la procedura ed
evitare un fracasso che potrebbe togliere credibilità a tutta l’operazione”. (e il giornalista “embedded” se la
beve… ndt)
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Sahara Occidentale, novembre 2010 - Alcune testimonianze raccolte dal quotidiano spagnolo El Pais
smentiscono la versione ufficiale del Governo marocchino, secondo cui l’esercito non avrebbe fatto uso di
armi da fuoco durante l’assalto al campo di Gdeim Izik e gli arrestati non sarebbero stati torturati
http://www.ossin.org/sahara-occidentale/lasiri-salek-ahmed-gachbar-baillal.html
El Pais, 23 novembre 2010 (trad. Ossin)
Smentita la versione ufficiale del Governo marocchino
di Tomas Barbulo (inviato speciale)
Alcune testimonianze raccolte dal quotidiano spagnolo El Pais smentiscono la versione ufficiale del Governo
marocchino, secondo cui l’esercito non avrebbe fatto uso di armi da fuoco durante l’assalto al campo di
Gdeim Izik e gli arrestati non sarebbero stati torturati
Lasiri Salek assicura che si trovava nell’accampamento di Gdeim Izik il giorno 8 ottobre, quando è arrivata la
polizia marocchina per smantellarlo; oggi mostra una ferita d’arma da fuoco al braccio sinistro. Ahmed
Gachbar Baillal entrò coi suoi piedi nel commissariato di Laayoune il 9 ottobre e ne uscì tre giorni dopo,
incapace di sostenersi sulle proprie gambe; adesso sta su una sedia a rotelle.
Entrambi i testimoni contraddicono due affermazioni categoriche rilasciate domenica dal governatore di
Laayoune, Mohamed Jelmouss, ai corrispondenti stranieri della capitale del Sahara Occidentale. La prima,
che le forze dell’ordine non fecero uso di armi da fuoco durante l’assalto all’accampamento saharawi, né
durante la successiva repressione dei moti che hanno scosso la città. La seconda, che i detenuti non sono
stati torturati.
Lo stretto controllo al quale la polizia sottopone gli informatori ha reso impossibile un incontro faccia a
faccia tra El Pais e Lasiri Salek. Come altri saharawi feriti nel corso dei fatti di Gdeim Izik, egli rimane
nascosto. Non ha avuto nemmeno il coraggio di andare in ospedale. Così ha dovuto girare un video con le
sue dichiarazioni e inviarlo tramite una persona di fiducia. Sullo schermo, Lasiri Salek, di 29 anni, mostra i
fori di ingresso ed uscita di un proiettile nel suo avambraccio sinistro. Aggiunge che, insieme a lui, è stato
ferito da due proiettili, alla spalla e alla gamba, un amico il cui nome non rivela. Egli sostiene inoltre di aver
visto una donna attinta da colpi d'arma da fuoco, il cui destino gli è ignoto. "Molte persone nella mia stessa
situazione sono rimasti feriti nel campo," aggiunge.
Baillal Gachbar Ahmed, 38 anni, che accetta di ricevere El Pais anche se tre ufficiali di polizia hanno seguito
il giornalista fino alla porta della sua casa. "So che quando ve ne andrete mi porteranno in commissariato
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per interrogarmi, ma non ho paura", ha detto dalla sedia a rotelle nella sua casa del quartiere di Colominas
Nueva.
Baillal, che ha la carta d'identità spagnola (numero 4539558700), dice che otto poliziotti armati di mitra lo
hanno arrestato il giorno 9 a casa sua, gli hanno bendato gli occhi e legato le mani dietro la schiena per
portarlo via in auto. "Non sapevo dove mi trovavo. Sentivo persone che urlavano e piangevano intorno a
me." Lo hanno picchiato con bastoni e cinghie per ore. "Ero stato più volte a Gdeim Izik e mi hanno
interrogato su tutta la mia vita", dice. Il giorno 10, un poliziotto gli diede un calcio sui reni e cadde a terra.
"Ho detto loro che non potevo camminare né muovermi, e per tutta risposta mi hanno urlato: muori! Poi
mi hanno tolto la benda dagli occhi. A questo punto ho capito che mi trovavo nella stazione di polizia che
sta vicino alla wilaya (sede del governo). Quattro poliziotti mi hanno afferrato per le braccia e le gambe e
mi hanno portato davanti ad un alto funzionario, che mi ha ordinato di uscire. Ho insistito sul fatto che non
riuscivo a muovermi e ho chiesto un'ambulanza, ma lui me la ha negata. Mi ha detto: 'Vuoi uscire? Non dire
mai ciò che è successo qui, altrimenti ti porto in un posto dove non vedrai più il sole.' Mi hanno lasciato
ferito in una stanza". La notte del giorno 11 l'ufficiale è ritornato. "Se non cammini, non esci di qui ", ha
detto. Poi ha dato disposizione perché due persone lo portassero via dal commissariato e lo mettessero in
un taxi. In questo modo è arrivato fino alla porta della sua casa.
"Mio fratello mi ha trasportato all'ospedale Ben Mehdi, ma la polizia non mi fece entrare", dice. Il giorno
dopo è tornato al centro medico, ma un medico gli disse che le macchine a raggi X non funzionavano. La sua
famiglia ha deciso allora di portarlo da un medico privato, che gli ha prestato le prime cure e gli ha detto
che aveva una lesione alla zona lombare. "Lui dice che non posso muovermi per un mese. Poi si vedrà."
Questi non sono gli unici testimoni che contraddicono la versione ufficiale marocchina di quanto è accaduto
a Laayoune. Baghi, una donna di 40 anni sorella di un attivista indipendentista in prigione da anni, assicura
che alle otto del mattino del giorno 8, quando era cominciata da sole due ore l'evacuazione di Gdeim Izik e
ne mancavano ancora due perché cominciassero i disordini in città, alcuni gendarmi e poliziotti hanno
sfondato la porta della sua casa a calci. "Mi ricordo dell'ora perché stavo preparando la colazione per i miei
bambini, quando sono entrati e hanno cominciato a distruggere tutto", dice, indicando le rovine in quella
che era la sua casa. "Sono entrati nelle case dei saharawi come sono entrati nel loro campo".
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Sahara Occidentale, 25 novembre 2010 - Il Parlamento europeo (PE) ha oggi approvato a larghissima
maggioranza una risoluzione che condanna l'assalto delle forze armate marocchine contro il campo Izik
Gdeim e chiede l'istituzione di un meccanismo delle Nazioni Unite per monitorare i diritti umani in Sahara
occidentale. L'eurodeputato Luigi De Magistris (uno dei proponenti della mozione) ha dichiarato:
"Continueremo a monitorare con attenzione il comportamento delle parti, che potrebbero influire sul
nostro consenso a rinnovare nuovamente l'accordo di pesca Ue con il Marocco, il prossimo marzo 2011"
http://www.ossin.org/sahara-occidentale/de-magistris-parlamento-europeo-gdeim-izik.html
Il Parlamento Europeo condanna il Marocco
Il Parlamento europeo,
- Viste le pertinenti risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite sul Sahara occidentale,
- Vista la risoluzione 1920 (2010) del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, che ha esteso il mandato
della Missione delle Nazioni Unite per l'organizzazione di un referendum nel Sahara occidentale (MINURSO)
- Dato recenti relazioni del Segretario Generale del Consiglio di sicurezza dell'ONU, del 14 aprile 2008, il 13
aprile 2009 e 6 aprile 2010, sulla situazione nel Sahara occidentale
- Visto il Patto internazionale sui diritti civili e politici, ratificato dal Marocco 3 Maggio 1979,
- Visto l'accordo euromediterraneo di associazione tra l'Unione europea ei suoi Stati membri da un lato, e il
Regno del Marocco, dall'altro, e in particolare l'articolo 2
- Vista la dichiarazione dell'Unione europea del 7 dicembre 2009, relativa alla sessione 8 UE-Marocco e la
dichiarazione congiunta del primo Vertice UE-Marocco, che si tiene 7 MARZO 2010,
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- Visto in particolare le conclusioni tratte dalle visite nel mese di settembre 2006 e gennaio 2009 dalla
delegazione ad hoc del Parlamento europeo per il Sahara Occidentale, chiedendo la proroga del mandato
della Missione delle Nazioni Unite per il referendum Sahara Occidentale (MINURSO), previo accordo di
tutte le parti interessate, per monitorare il rispetto del carico per i diritti umani nel Sahara occidentale, e ha
inoltre chiesto alla Commissione se del caso, attraverso la sua delegazione a Rabat, a monitorare la
situazione dei diritti umani nel Sahara occidentale e di inviare regolarmente missioni,
- Viste le sue precedenti risoluzioni sul Sahara occidentale, in particolare quella del 27 ottobre 2005 (1)
- Vista la dichiarazione di Catherine Ashton, alto rappresentante dell'Unione europea sul Sahara
occidentale, in data 10 Novembre, 2010
- Le dichiarazioni del Consiglio e della Commissione il 24 novembre 2010 sulla situazione nel Sahara
occidentale
- Visto l'articolo 110, comma 4, del suo regolamento,
A. Considerando che migliaia di Saharawi sono fuggiti dalle loro città e creare tende alla periferia di El
Aaiun, la costruzione del campo Gdeim Izik per protestare pacificamente contro la loro svantaggi sociali,
politici ed economici e le loro condizioni di vita,
B. considerando che, dopo diverse settimane, il loro numero ammonta a circa 15 000 persone, secondo gli
osservatori delle Nazioni Unite, che il dialogo è stato stabilito con le autorità,
C. Considerando che, Domenica 24 ottobre Nayem El-Garhi, un giovane saharawi 14, è stato ucciso e altri
cinque sono stati feriti dalle forze militari marocchine mentre cerca di conquistare il campo, nel sobborgo di
El Aaiun ,
D. Considerando, 8 novembre 2010, un numero imprecisato di persone, tra poliziotti e guardie di sicurezza
sono stati uccisi durante un'operazione condotta dalle forze di sicurezza marocchine di smantellare campo
protesta Gdeim Izik considerando che è riportato anche un numero significativo di vittime civili in quanto le
forze di sicurezza hanno usato gas lacrimogeni e manganelli per evacuare il campo,
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E. Considerando che questi incidenti si è verificato il giorno di apertura a New York, il terzo round di
colloqui informali sulla situazione del Sahara occidentale, coinvolgendo il Marocco e il Fronte Polisario e
l'Algeria e la Mauritania, qualità di paesi osservatori,
F. considerando che i giornalisti, i membri dei parlamenti nazionali e regionali dell'Unione europea e dei
membri del Parlamento è stato negato l'accesso alla città di El Aaiun e Gdeim campo Izik, e alcuni di loro
sono anche stati espulsi da El Aaiun
G. Considerando che il cittadino spagnolo Hamday Buyema Babi morti di morte violenta in circostanze che
non sono ancora state istituite,
H. Considerando che, dopo oltre 30 anni, il processo di decolonizzazione del Sahara Occidentale rimane
incompiuto
I. Considerando che l'Unione europea continua ad essere preoccupato dal conflitto in corso nel Sahara
occidentale e le sue conseguenze e le implicazioni per la regione, compresa la situazione dei diritti umani
nel Sahara occidentale, e sostiene pienamente gli sforzi del Segretario Generale ONU e il suo inviato
speciale per trovare una soluzione politica giusta, durevole e reciprocamente accettabile per consentire la
determinazione del popolo del Sahara occidentale, come previsto nelle risoluzioni delle Nazioni Unite,
J. Considerando che diversi studi hanno dimostrato che il Sahara occidentale, le risorse naturali sono state
sfruttate senza alcun beneficio per la popolazione locale,
1. esprime la sua profonda preoccupazione per il deterioramento della situazione nel Sahara occidentale e
condanna fermamente i violenti incidenti che si sono verificati nel campo Izik Gdeim quando fu smantellato
e nella città di El Aaiun;
2. invita tutte le parti a mantenere la calma e di astenersi da ulteriori atti di violenza;
3. deplora la perdita di vite umane ed esprime la sua solidarietà alle famiglie delle vittime, feriti e dispersi;
4. Prende atto della creazione, da parte del Parlamento del Marocco, una commissione di inchiesta per
indagare sui fatti che hanno portato l'intervento delle autorità marocchine, ma ritiene che l'ONU è
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l'organizzazione migliore in grado di condurre un'inchiesta internazionale indipendente per chiarire la,
morti e sparizioni eventi;
5. deplora gli attacchi alla libertà di stampa e di informazione che sono stati esposti a molti giornalisti
europei e invita il Regno del Marocco per permettere alla stampa, osservatori indipendenti e le agenzie
umanitarie il libero accesso al Sahara occidentale e muoversi liberamente e deplora il divieto di accesso
imposto dal Sahara occidentale le autorità marocchine per i parlamentari, i giornalisti, i media e gli
osservatori indipendenti;
6. sottolinea la necessità di invitare gli organismi delle Nazioni Unite a proporre la creazione di un
meccanismo di monitoraggio dei diritti umani nel Sahara occidentale;
7. Accoglie con favore la ripresa delle riunioni informali tra il Marocco e il Fronte Polisario, sotto l'egida
dell'inviato speciale del Segretario generale dell'ONU, anche in un ambiente il più teso, e invita gli attori
regionali a svolgere un ruolo costruttivo;
8. ribadisce il suo sostegno per la ripresa dei colloqui informali tra le parti in conflitto per raggiungere una
soluzione politica giusta, durevole e reciprocamente accettabile, in linea con le pertinenti risoluzioni del
Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite;
9. invita la Commissione ad assicurare che tutta la necessaria assistenza umanitaria, con un aumento dei
finanziamenti è data ai rifugiati saharawi che vivono nella zona di Tindouf, il cui numero varia in base alle
stime, tra 90.000 e 165.000 per aiutarli a soddisfare le loro esigenze di base in termini di cibo, acqua, alloggi
e
cure mediche, e migliorare le proprie condizioni di vita;
10. esprime la propria preoccupazione per la detenzione e le presunte molestie saharawi dei diritti umani
nel territorio del Sahara occidentale e chiede che i diritti umani in quel territorio o imprigionato in Marocco
sono trattati con rispetto norme internazionali e dovrebbero essere processati in modo rapido ed equo;
11. invita l'UE ad insistere affinché il Regno del Marocco a rispettare il diritto internazionale in materia di
sfruttamento delle risorse naturali nel Sahara occidentale;
12. Incarica il suo Presidente di trasmettere la presente risoluzione al Consiglio, alla Commissione e l'Alto
Rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, Segretario generale Segretario
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generale dell'Unione africana, la delegazione del Parlamento europeo per le relazioni con i paesi del
Maghreb, la carica di parlamentare euro-mediterranea, al governo e al parlamento del Marocco, al Fronte
Polisario e ai parlamenti e ai governi di Algeria e Mauritania. "
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Sahara Occidentale, 5 dicembre 2010 - Impedito l'ingresso in Laayoune ad Inès Miranda Navarro e Dolores
Travieso Darias, due osservatori internazionali che intendevano assistere al processo contro i prigionieri
politici saharawi D. Otman Chtouki, D. Mohamed Yaddasi, D. Abdelfatah Derkaoui e D. Hamed Elkamelm.
Ines Miranda sarà in Italia, a Napoli, ospite di Ossin. Sarà possibile ascoltare la sua testimonianza nel corso
di un incontro che si terrà il prossimo 11 dicembre alle ore 10.00, nella Sala Santa Chiara di piazza del Gesù
Nuovo
http://www.ossin.org/sahara-occidentale/ines-miranda-dolores-travieso-osservatori-internazionali.html
Il Marocco ha impedito l’ingresso nella città di Laayoune, territorio non autonomo del Sahara Occidentale,
agli avvocati Sig.ra Ines Miranda Navarro e Sig.ra Dolores Travieso Darias, responsabili dell’osservatorio
internazionale del Consiglio Generale dell’Avvocatura spagnola
Gli avvocati del Consiglio generale dell’Avvocatura spagnola (CGAE) si sono recati domenica 5 dicembre
2010 da Gran Canaria a Laayoune con il volo NT 6100, con l'intenzione di partecipare come osservatori
giuristi internazionali al processo penale previsto per il lunedì mattina, 6 dicembre 2010 alle ore 9.00,
dinanzi al Tribunale marocchino di primo grado nella città di Laayoune (in territorio non autonomo del
Sahara occidentale), contro D. CHTOUKI Othman, D. YADDASI MOHAMED, D. Abdelfatah DERKAOUI e D.
Hamed ELKAMELM, tutti i prigionieri politici Saharawi.
All’arrivo del velivolo all'aeroporto di Laayoune, è stato annunciato ai passeggeri che non poteva scendere
nessuna persona che non avesse passaporto marocchino, mentre l'aereo veniva circondato da armati della
polizia marocchina.
Successivamente, il capo della polizia dell’aeroporto è salito sulla scaletta e ha chiesto agli avvocati il
passaporto spagnolo, e richiesto di spiegazioni da parte degli avvocati su cosa stesse succedendo, dal
momento che essi assistono da 8 anni ai processi contro i Saharawi, ha risposto loro che in questa
occasione la situazione era diversa, e che non potevano scendere dall'aereo e dovevano tornare alle
Canarie.
Il capo della polizia si è allontanato dalla scaletta per discutere in mezzo alla pista con altri poliziotti, cui ha
mostrato il passaporto e la lettera di accreditamento della CGAE, che conteneva anche la presa di
conoscenza da parte del Ministro degli affari esteri e della cooperazione del governo della Spagna .
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Pochi minuti dopo è tornato sull’aereo per restituire i passaporti agli avvocati spagnoli e confermare loro
che era proibito il loro ingresso, consegnando loro la carta di imbarco del volo NT 6101 che era pronto a
ripartire. Gli Osservatori internazionali chiedevano di poter parlare con i responsabili di tale decisione,
ricevendo una risposta negativa, essendo loro totalmente vietato di scendere dall'aereo. Gli avvocati hanno
dichiarato che si stava commettendo un atto illegale, che gli agenti della polizia marocchina stavano agendo
al di fuori della legge e contro il diritto internazionale, per cui avrebbero dovuto rispondere delle azioni
legali che sarebbero state intraprese contro di loro.
La signora Ines Miranda e la signora Dolores Travieso sono membri e responsabili della attività di
osservatorio internazionale della CGAE fin dalla sua costituzione nel 2002, e la signora Miranda ne è la
coordinatrice da allora. Gli avvocati spagnoli hanno partecipato più di 200 sessioni di cause intentate contro
attivisti dei diritti umani saharawi detenuti nel Sahara occidentale e in Marocco.
Il rifiuto di ingresso nel territorio non autonomo del Sahara Occidentale ai due avvocati osservatori
internazionali da parte della polizia marocchina costituisce un nuovo strumento usato dalla potenza
occupante contro i civili saharawi, in violazione del Patto internazionale sui diritti civili diritti e politici, il
Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali, la Dichiarazione Universale sui diritti umani, il
Diritto Internazionale Umanitario, la risoluzione della IV convenzione di Ginevra del 1949 sulla difesa e la
protezione della popolazione nei territori occupati, e le Convenzioni internazionali sulla protezione dei
diritti umani e delle garanzie processuali fondamentali.
Isole Canarie, 5 dicembre 2010
F.to Ines Miranda Navarro e Dolores Travieso Darias
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Marocco, novembre 2010 - Al giornalista marocchino Ali Lmrabet è stato impedito di andare a Laayoune.
Lmrabet è uno dei pochissimi giornalisti marocchini liberi e indipendenti, per questo motivo è stato
imprigionato per anni e, attualmente, è interdetto dalla professione. Dunque é un testimone quanto mai
"inaffidabile" per le autorità marocchine, al quale non si può consentire di vedere ciò che accade realmente
a Laayoune
http://www.ossin.org/marocco/ali-lmrabet-stampa-marocco-strage-laayoune.html
El Watan – 13 novembre 2010 (trad. Ossin)
Vietato l’ingresso a Laayoune al giornalista Ali Lmrabet
di Chahredine Berriah
E’ la prima volta che un marocchino non può viaggiare liberamente all’interno del proprio paese. Ieri,
venerdì, al giornalista indipendente marocchino Ali Lmrabet, conosciuto per la sua opposizione al potere
reale, è stato brutalmente impedito di recarsi a Laayoune, capitale del Sahara occidentale, mentre tentava
di partire dall’aeroporto Mohammed VI di Casablanca
In un comunicato che ci ha trasmesso dalla capitale economica del regno dello sceriffato, il nostro collega
Ali Lmrabet racconta la sua ennesima peripezia con le autorità del suo paese. “Oggi (ieri, venerdì) alle
14.30, all’aeroporto Mohammed VI di Casablanca, mentre stavo per prendere il volo delle 16.10 per
Laayoune, quattro poliziotti in borghese si sono precipitati verso il bancone della Royal Air Maroc e hanno
bloccato manu militari il lavoro delle hostess che distribuivano i biglietti ai viaggiatori in partenza per il
Sahara”.
Secondo Lmrabet, dopo qualche minuto, tutte le hostess hanno lasciato il loro posto di lavoro e si sono
avvicinate a un gruppo di agenti e responsabili (certamente della DST, i servizi di informazione), che, nel
corso di tutta questa strana operazione, sono restati in continuo contatto telefonico con uno o più
misteriosi interlocutori.
“Finalmente – ha aggiunto – l’hostess della Royal Air Maroc mi ha detto che l’aereo era completo, che il mio
nome era stato inserito nella lista di attesa e che, di conseguenza, non potevo partire per Laayoune. Un
falso, perché l’agenzia che mi aveva venduto l’aereo aveva avuto assicurazioni circa la disponibilità del
posto”.
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“A conferma di ciò, il fotografo Mourad Borja ha potuto prendere senza problemi l’aereo per Laayoune,
nonostante avesse acquistato il biglietto un giorno dopo di me. Nell’aereo, Borja mi ha segnalato che 12 o
14 posti erano rimasti liberi”.
Nello stesso senso, l’avvocato e militante per i diritti dell’uomo, Mohamed Messaoudi, che ha assistito a
tutta la scena e ha preso l’aereo con una delegazione dell’AMDH, mi ha confermato per telefono da
Laayoune che “una decina di posti erano rimasti liberi”.
Ed ha aggiunto: “E’ la prima volta da molto tempo che un cittadino marocchino non può viaggiare
liberamente all’interno del proprio paese. Se il Marocco ufficiale considera il Sahara come facente parte del
territorio nazionale, in questo modo fornisce una prova eclatante del contrario”.
Si è interrogato infine: “Di cosa mi si rimprovera perché questo regno si prenda gioco delle sue stesse leggi?
Si nasconde qualcosa a Laayoune? Sono oramai sei anni che sono interdetto dallo scrivere per una
decisione medioevale. E’ come se mi avessero voluto tagliare le mani per impedirmi di scrivere e la lingua
per impedirmi di esprimermi. Lo stato marocchino vuole impedirmi di esercitare il mio mestiere e allo
stesso tempo di far vivere la mia famiglia (…) Io dico così: in un modo o nell’altro farò sentire la mia voce!”
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Marocco, novembre 2010 - “I giornalisti professionisti (e assimilati) accreditati sono tenuti a esercitare la
loro professione nel rispetto della sovranità nazionale…”, avverte (e minaccia) con toni fascisti il ministro
della comunicazione e portavoce del governo marocchino
http://www.ossin.org/marocco/abc-spagna-william-hague-alistair-burt.html
L’Expression, 14 novembre 2010 (trad. Ossin)
La stampa internazionale nel mirino di Mohammed VI
di Mohamed Touati
“I giornalisti professionisti (e assimilati) accreditati sono tenuti a esercitare la loro professione nel rispetto
della sovranità nazionale…”, avverte il ministro della comunicazione e portavoce del governo marocchino
La caccia ai giornalisti che denunciano la repressione e le violenze perpetrate dalle forze di occupazione
marocchine contro i Saharawi è cominciata. Dopo aver deciso di chiudere gli uffici di Al Jazeera, le autorità
marocchine se la prendono con l’Agence France Presse (AFP) e attaccano violentemente l’agenzia di stampa
algerina APS. Trovandosi, il ministro marocchino della Comunicazione ha deciso di ritirare l’accreditamento
del corrispondente del quotidiano spagnolo ABC. A chi tocca adesso?
Ma con quali scuse Rabat cerca di giustificare il black-out mediatico imposto ai territori occupati, per
tentare di domare la resistenza pacifica del popolo saharawi, e la sanzione inflitta al giornalista di ABC?
“Denunciando con forza il comportamento di certi corrispondenti dei media spagnoli accreditati sul
territorio nazionale, il ministero precisa che tra le violazioni della deontologia professionale registrate a
questo proposito, vi è il comportamento privo di qualsiasi professionalità che continua a mantenere il
corrispondente del quotidiano ABC accreditato in Marocco, che impone l’applicazione dell’art. 22 della
legge sullo statuto dei giornalisti professionisti”, argomenta un dispaccio dell’agenzia MAP. Ma sono
argomenti non troppo convincenti. Che cosa rimprovera in realtà il Potere marocchino al nostro collega
spagnolo? “Le derive di certi corrispondenti spagnoli sono giunte a un livello tale che non è più possibile
ignorarle, soprattutto dopo che hanno denunciato la presenza di centinaia di cadaveri di vittime civili nelle
strade di Laayoune”, rende noto un comunicato divulgato dal Ministero di Khalid Maciri.
La verità è che il Potere marocchino spara a zero contro chiunque sostenga la causa del popolo saharawi.
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Ed è dunque naturale, possiamo dire, che l’APS sia stata criticata dall’agenzia di stampa ufficiale
marocchina che, a quanto pare, è incaricata di fare questo servizietto sporco: sparare su tutti quelli che
contestano la marocchinità del Sahara occidentale e sostengono il diritto dei Saharawi all’indipendenza.
“L’agenzia di stampa algerina, APS, ha confermato giovedì la sua fedeltà ad una lunga tradizione di
menzogne…” , scrive, senza alcun ritegno, MAP in un dispaccio datato 12/11/2010. “E’ l’ospedale che si
prende gioco della carità”, avrebbe detto un vecchio proverbio francese. Insomma, che cosa viene
rimproverato alla APS? Quando ha attribuito delle dichiarazioni prive di ogni fondamento al ministro
inglese degli affari esteri, William Hague, a proposito dei recenti avvenimenti di Laayoune, l’APS, in qualità
di portavoce del governo algerino, le cui mire espansioniste sono ormai chiare, ha detto puramente e
semplicemente che Hague avrebbe dichiarato che “le circostanze dell’incidente sono ancora poco
conosciute e noi abbiamo chiesto che fossero adottate delle misure per la protezione dei nostri concittadini
che si trovano in Marocco”, riferisce l’agenzia di stampa marocchina che ha aggiunto: “Contattato dalla
MAP per verificare tali dichiarazioni, il portavoce del ministero inglese degli Affari esteri ha espresso il suo
stupore per simili menzogne, divulgate dall’agenzia algerina”. La MAP non se ne abbia, ma il governo
inglese è andato anche più oltre: “Noi stiamo prendendo in considerazione da qualche tempo di inviare una
missione di controllo sul rispetto dei diritti dell’uomo nella regione (Sahara Occidentale). Gli avvenimenti di
questi ultimi giorni ci spingono a farlo immediatamente”, ha dichiarato venerdì a Algeri Alistair Burt,
ministro inglese incaricato per il Medio oriente e per l’Africa del Nord. La MAP non ha nemmeno
risparmiato l’agenzia ufficiale di stampa spagnola che pure ha avuto quello che si merita. EFE ha diffuso una
foto di bambini feriti alla testa ricoverati in un ospedale, vittime della repressione marocchina, ripresa dai
grandi giornali spagnoli.
“EFE ne ha fatto un’altra delle sue, coinvolgendo la stampa spagnola in una nuova diffamazione contro il
Marocco”, segnala l’agenzia marocchina. Il Makhzen sviluppa un complesso di persecuzione? La MAP non
ha perso l’occasione di aggiungere al suo carniere anche l’Agence France Presse. “Non passa giorno senza
che l’AFP manifesti il suo lato oscuro: quello della soggettività, della parzialità e della deformazione dei
fatti, soprattutto quando si tratta di avvenimenti relativi al Marocco e alle sue giuste cause”, segnala in un
lungo dispaccio datato 12.11.2010, che assomiglia a un comunicato. E per quale ragione occorre biasimare
l’agenzia di stampa francese? “Gli esempi di parzialità e di partito preso dell’AFP sono numerosi: l’ultimo in
ordine di tempo è la copertura degli avvenimenti di Laayoune di lunedì scorso”, chiarisce il testo
dell’agenzia marocchina. “Queste informazioni sono infarcite di menzogne messe in giro da nemici del
Marocco mossi da odio viscerale”, aggiunge amaramente la MAP. “Il Marocco ha fatto grandi passi verso la
Modernità e il Progresso… E se l’AFP sceglie di passare sotto silenzio queste conquiste… Se ne assume
l’intera responsabilità sul piano morale ed etico”, minaccia il messaggio al vetriolo trasmesso attraverso
l’agenzia ufficiale di stampa marocchina. La morsa che si stringe intorno al trono marocchino dopo il
massacro perpetrato dalle forze armate contro il campo di tende saharawi di Gdeim Izik e che prosegue
nelle città ribelli di Laayoune e di Smara, terrorizza il Makhzen. Posto sul banco degli accusati dalla
comunità internazionale, è sul punto di subire anche un cocente smacco diplomatico. Quanto alla guerra
dei media: é una Waterloo!
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Sahara Occidentale, dicembre 2010 - La missione di Ossin è proseguita con un breve soggiorno a Laayoune.
I due osservatori sono stati pedinati continuamente, in modo intimidatorio
http://www.ossin.org/sahara-occidentale/laayoune-luciano-capuano-pedinamento.html
Missione a Laayoune
La missione di Ossin è proseguita con un breve soggiorno a Laayoune. I due osservatori sono stati pedinati
continuamente, in modo intimidatorio
Dopo l’udienza del processo di Casablanca del 17 dicembre, e la conferenza stampa tenuta nella mattinata
del giorno successivo a Rabat, nella sede dell’AMDH (Associazione marocchina per i diritti dell’uomo), la
missione prevede una breve tappa a Laayoune, la capitale del Sahara Occidentale occupato. Siamo in due,
Nicola Quatrano e Luciano Capuano.
Ricordiamo brevemente gli ultimi episodi che hanno scosso e insanguinato il Sahara Occidentale, dopo lo
smantellamento del campo di Gmeil Izik.
Il campo di Gmeil Izik, a 12 km da Laayoune, è stata l’ultima manifestazione pacifica, in ordine di tempo,
della resistenza saharawi. In migliaia hanno cominciato, all’inizio di ottobre, ad “auto esiliarsi” ed hanno
eretto un campo di tende vicino a Laayoune, per protestare contro l’emarginazione, la mancanza di lavoro,
le discriminazioni. Il campo ha rapidamente raggiunto il numero di 12.000 persone, con punte di 20.000.
Non era una manifestazione dichiaratamente politica (i saharawi sapevano bene che inserire tra le loro
richieste anche quella dell’indipendenza avrebbe provocato l’immediato intervento dell’esercito), ma
piuttosto di carattere economico e sociale. Certo, però, il sentimento dominante dei protagonisti di quella
lotta era di opposizione all’occupazione.
Nonostante i manifestanti abbiano evitato qualsiasi cenno alla questione dell’indipendenza, il governo
marocchino ha avuto paura che quel campo potesse diventare un centro di lotta contro l’occupazione e il
giorno 8 novembre, all’alba, ha mandato l’esercito per raderlo al suolo.
Bilancio ufficiale, secondo il Marocco: 11 morti tra i militari, molti feriti da ambo le parti, un solo morto tra i
manifestanti. E’ un bilancio ridicolo, perché non si comprende come possa essere successo che vi siano stati
11 morti da una sola parte. Il Polisario denuncia invece decine di morti e più di 4500 feriti tra i manifestanti,
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sia durante l’attacco al campo che nel corso della successiva repressione delle manifestazioni scoppiate a
Laayoune. Vi sono stati anche molti arresti.
La verità completa di quanto è accaduto non si sa, perché il Marocco ha imposto un embargo mediatico
nella zona. Aveva già espulso Al Jazeera dal paese, ha espulso diversi giornalisti stranieri, ha impedito che a
Laayoune si recasse Ali Lmrabet, uno dei pochissimi giornalisti marocchini indipendenti (per questo motivo
tenuto molti anni in carcere e attualmente interdetto dalla professione). Gli unici giornalisti e osservatori
cui è stato consentito di accedere ai territori sono quelli di provata fedeltà.
Recentemente il Consiglio di Sicurezza dell’ONU ha respinto (con il “veto” della Francia) la proposta
messicana di inviare una missione di informazione nei territori. Il Parlamento europeo ha invece sollecitato
(con una recente risoluzione adottata a grande maggioranza) una inchiesta indipendente sugli accadimenti.
Sulle prospettive della nostra missione regna la più grande incertezza, giacché continuano a giungere
notizie da Laayoune, di osservatori, giornalisti e membri delle istituzioni cui viene negato l’accesso. Solo la
settimana scorsa, agli avvocati spagnoli Ines Miranda Navarra e Dolores Travieso è stato addirittura
impedito di scendere dall’aereo, dove sono rimaste in attesa che ripartisse per la Spagna.
Si tratta di verificare se questi episodi segnalano la volontà delle autorità di impedire l’accesso a tutti gli
stranieri, oppure se si tratta di ritorsioni contro la Spagna, rea di essere particolarmente sensibile al
problema delle violazioni di diritti dell’uomo in Sahara Occidentale.
Va premesso, per meglio descrivere i fatti, che – a onta delle dichiarazioni ufficiali circa la “marocchinità”
del Sahara Occidentale – recarsi a Laayoune, o in qualsiasi altra località del Sahara Occidentale, non è come
andare a Marrakech o ad Agadir. E’ piuttosto come andare in un altro paese. Se ci si reca in auto, o in
autobus, occorre passare per diversi posti di controllo, sia della polizia che della gendarmeria, dove ti
chiedono all’infinito le stesse cose: passaporto, professione, motivo della visita. Procedure lente di
registrazione del tuo passaggio, la cui vera natura non si comprende se sia una bulimia burocratica di
controllo o piuttosto una strategia tesa a scoraggiare l’arrivo di persone indesiderate. Se si giunge in aereo
da Casablanca, nonostante sia un volo “interno”, c’è egualmente il controllo dei documenti e – per gli
stranieri – il supplemento delle solite domande sulla professione e sulle ragioni della visita.
Questa volta le procedure sono state insolitamente rapide, anche se al nostro passaggio si sono interessati
diversi funzionari. Una fugace domanda sulla professione e sull’albergo in cui avremmo alloggiato. Circa i
motivi della visita, abbiamo sinceramente dichiarato che venivamo a “vedere Laayoune dopo i fatti del
novembre scorso”.
Se le procedure di passaggio sono state insolitamente “leggere”, il controllo cui siamo stati sottoposti nel
corso delle poche ore di permanenza è stato strettissimo. Sono state impegnate diverse auto: una Fiat
Palio, un furgoncino, due motorette e – saltuariamente – addirittura un blindato.
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Il pedinamento è stato costante e scoperto. Gli uomini che ne erano incaricati non hanno fatto niente per
tenersi nascosti, anzi sembrava quasi che facessero di tutto per farsi notare. C’era per esempio un
furgoncino bianco che ci precedeva quando camminavamo per la città a piedi. Si fermava qualche metro
davanti a noi e, quando stavamo per raggiungerlo, ripartiva per arrestarsi a un centinaio di metri più avanti.
Quando ci siamo seduti ai tavolini di un caffè, potevamo vedere il furgoncino girare intorno all’isolato dove
ci trovavamo, poi arrestarsi e riprendere poco dopo il giro. La stessa cosa era per gli uomini in motoretta
che ci seguivano passo passo, come se il loro compito non fosse tanto quello di controllarci, quanto
piuttosto di ricordarci a ogni momento che eravamo controllati.
Quando, il giorno 19, siamo stati a pranzo a casa di Elghalia Djimi (ex desaparecida saharawi e
vicepresidente dell’ASVDH – associazione saharawi delle vittime delle violazioni dei diritti umani da parte
dello stato marocchino), gli uomini che ci controllavano sono rimasti in strada. Ad un certo punto hanno
incaricato un vicino di casa della signora Djimi di venire ad informarsi se noi eravamo ancora lì.
Va in ogni caso rilevato che, in molte altre occasioni, gli ospiti della signora Djimi sono stati allontanati dalla
sua abitazione, mentre a noi hanno consentito di incontrarla.
Tutte queste attenzioni hanno prodotto conseguenze negative sulla nostra missione. La sera del 18, al
nostro arrivo, abbiamo incontrato M.A., un uomo che era stato nel campo di Gmeil Izik. Ci interessava
particolarmente parlare con lui perché appartiene a quella categoria di giovani non politicizzati che hanno
partecipato massicciamente alla protesta popolare, e che costituiscono il dato più interessante della
vicenda.
M.A. è stato contento di incontrarci. E’ stato gentile ed ospitale, voleva condurci a cena a casa sua ma,
quando si è accorto che eravamo costantemente pedinati, ha cominciato a innervosirsi e ha preferito
andare a mangiare in un piccolo ristorante. Subito dopo, è stato felicissimo di accettare la proposta che gli
abbiamo fatto di salutarci e rinviare la discussione ad un prossimo futuro.
La valutazione che abbiamo fatto è che questi comportamenti non possono avere che una spiegazione.
Questa continua presenza, questo continuo mostrarsi, questo fare di tutto perché ci sia chiaro che siamo
pedinati non può ragionevolmente avere che una spiegazione: si tratta di intimidazione. Si vuole creare
disagio preoccupazione nei visitatori non graditi, per scoraggiarne la presenza.
Dunque deve ribadirsi la denuncia già fatta in occasione della terza udienza del processo contro i sette
militanti saharawi di Casablanca: le autorità marocchine impediscono (nel caso degli osservatori spagnoli) o
tentano di dissuadere (nel nostro caso), con gli strumenti della intimidazione e dell’ostruzionismo, la
presenza di osservatori indipendenti ai processi contro i militanti saharawi e nei territori del Sahara
Occidentale occupato.
Laayoune, 19 dicembre 2010
Luciano Capuano, Nicola Quatrano
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