Un`estate in Provenza

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Un`estate in Provenza
Un'estate in Provenza
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SCHEDA TECNICA
DATA USCITA: 13 aprile 2016
GENERE: Commedia
ANNO: 2014
REGIA: Rose Bosch
ATTORI: Jean Reno, Anna Galiena, Aure Atika, JeanMichel Noirey, Charlotte de Turckheim
SCENEGGIATURA: Rose Bosch
FOTOGRAFIA: Stéphane Le Parc
MONTAGGIO: Samuel Danési
PRODUZIONE: Légende Films, Gaumont, France 2
Cinéma
DISTRIBUZIONE: Nomad Film Distribution
PAESE: Francia
DURATA: 105 Min
TRAMA
Nella campagna provenzale accarezzata dal maestrale giungono in vacanza dai nonni Léa, Adrien e
il fratellino Théo, sordo dalla nascita. Non è la vacanza dei loro sogni e in meno di ventiquattro ore
è scontro generazionale con il nonno Paul, un olivicoltore rigido e burbero che non hanno mai
conosciuto a causa di un vecchio conflitto familiare con la madre. Ben presto però il passato
tempestoso di Paul si riaffaccia e i trasgressivi anni Settanta fanno ritorno sullo sfondo incantevole
della Provenza mettendo in luce il suo lato più umano e affettuoso. Ecco che le differenze tra la vita
di città e di campagna si annullano e le due generazioni possono finalmente incontrarsi dando vita
a una vacanza indimenticabile.
RECENSIONI
di Silvia Fumarola La Repubblica
Il primo paese è a due chilometri, il primo cinema a dieci chilometri" protestano seduti sul treno.
Non è un viaggio felice quello di Léa, Adrien e Théo verso la casa del nonno, eppure l'estate che
passeranno nella campagna della Provenza cambierà la loro vita. E' una storia di formazione e un
ritratto di famiglia incompleta - padre assente, madre che affida i figli ai genitori per poter fare il
suo dottorato a Montreal - quello raccontato da Rose Bosch nel film Un'estate in Provenza (titolo
originale Avis de mistral. Bosch intreccia con tenerezza storie di ex hippies- i nonni Paul e Irène, gli
irresistibili Anna Galiena e Jean Reno, da farsi adottare - e quella dei tre nipoti: gli adolescenti Léa
(Chloé Jouannet), Adrien (Hugo Dessioux) e il piccolo Théo (Lukas Pelissier), sordomuto dalla
nascita. Arrivati da Parigi nel casale di campagna con tutte le riserve del caso, i ragazzi non
accettano la ruvida accoglienza del nonno, Paul (che si capisce, da padre ha avuto un rapporto di
incomprensione con la figlia), innamorato della natura e dei suoi ulivi. "Gli ulivi per me non sono
alberi, quando grandina sono preoccupato per loro. A Parigi non ti accorgi del tempo che passa, io
voglio accorgermene". La vita fa il suo corso: Léa s'innamorerà del pizzaiolo che sfida i tori, bello
come il sole ma non esattamente il principe azzurro, il fratello prenderà una cotta per la gelataia
sexy Magali, la Galiena e Reno ritroveranno gli amici della loro giovinezza vagabonda stile Easy
rider e i nipoti scopriranno un altro volto dei nonni. Nelle foto lei sembra Janis Joplin, "era la dea
dell'amore" dicono gli amici con barbe bianche, stile nonni di Hair (la colonna sonora spazia da
Simon & Garfunkel a Dylan, dai Deep Purple ai Coldplay). La morale è semplice: solo l'amore ci
salva la vita, si cresce sbagliando e gli errori si possono riparare. Ma soprattutto, per crescere c'è
sempre tempo e si soffre un po', anche da adulti, come insegna Jean Reno. Nel film i silenzi del
personaggio sono importanti. L'intera giovinezza di Paul si è svolta nel caos, nel furore, per questo
si rifugia tra gli ulivi; gli alberi gli ridonano uno scopo e i nipoti lo costringono a confrontarsi con se
stesso e il mondo. Compie un vero e proprio viaggio senza mai lasciare la sua regione. Trovo
adorabile che un uomo così taciturno riprenda a parlare proprio con il suo nipotino sordomuto".
Da La Repubblica, 12 marzo 2016
di Bruna Alasia Dazebao
Attori affiatati, un ottimo Reno, la spontaneità dei ragazzi che subito ti conquista, l'ambiente
bucolico, la bella fotografia (di Stéphane Le Parc)... Eppure, dietro la buccia solo edificante di una
commedia per famiglie, Rose Bosch, anche autrice della sceneggiatura, è polemica (verso la
generazione contestataria degli anni 70, oggi conservatrice, qui rappresentata dai personaggi di
Galiena e Reno) e politica (perché lo sfondo è lo stereotipo della provincia come rifugio dai vizi
della capitale, o della grande città).
Certe semplificazioni possono non piacere, naturalmente, ma l'autrice è caparbia, sfida il luogo
comune, rivendica l'appartenenza diretta ai mondi e alle storie che mette in scena. A proposito di
Un'estate in Provenza, lei è nata e cresciuta lì, nei luoghi dove è ambientato il film.
di Francesco Di Brigida Il Fatto Quotidiano
Nata insieme al cinema (non è per dire: classe 1895, si registra come la prima casa di produzione in
assoluto) la Gaumont stavolta ci porta un potpourri di umorismo e baruffe familiari, amori
contrastati e paesaggi da buen ritiro con Un'estate in Provenza. La nonna sprint interpretata da
Anna Galiena porta senza preavviso i suoi tre nipoti parigini a passare la bella stagione a casa sua,
nella regione più "mediterranea" di Francia. Sua figlia si sta separando, ma il problema più grosso è
che ha interrotto i rapporti con il padre da quasi vent'anni, giusto il tempo di mettere al mondo e
crescere un giovane tombeur de femmes, un'adolescente avviluppata tra velleità
vegano/ambientaliste e il sogno del primo amore, più un bambino sordo, probabilmente quello
che ascolta meglio. [...]
Che Rose Bosch avesse bisogno di una pausa ludica dopo l’impegnato, coinvolgente e acclamato
Vento di primavera - scrupolosa ricostruzione del Rastrellamento del Velodromo d’Inverno - è la
prima cosa che viene in mente se si pensa o si vede Un’estate in Provenza,. Cambiare aria e genere
è lecito, più che lecito, così come tuffarsi nella contemplazione di scenari bellissimi e rassicuranti
da racchiudere in inquadrature un po’ "cartolinesche". Va bene anche preferire alle grandi guerre i
piccoli conflitti e ai drammi universali le quotidiane pseudo-tragedie di un nucleo ristretto di
individui.
Allora perché perché in patria questa commedia campagnola che non rinnega mai la sua natura di
feel good movie è stata giudicata, con durezza e severità, una summa di luoghi comuni?
Per cominciare, qualcuno se l’è presa con gli adolescenti del film, criticati per la loro dipendenza da
Facebook. Non è vero che sono ossessionati dai social media. Al contrario, rendono l'invenzione di
Zuckerberg una specie di MacGuffin (come si vedrà più in là), e poi c’è molto più spessore nei
personaggi di Leà e di Adrien che in tanti teenager di film francesi più o meno recenti, ad esempio
la Lolita di Un momento di follia, cronaca di un’altra vacanza estiva, ma con scappatella. Nei nipoti
del burbero Paul, emergono piuttosto e in particolare quell'incompiutezza e quella trascurabile
incoerenza che segnano la più critica delle età di passaggio, fase della vita incantevole e nello
stesso tempo struggente. Magari Un’estate in Provenza non scandaglia abbastanza profondamente
le anime dei due ragazzi, ma da affresco di una coralità sa di dover dosare le attenzioni e quindi
passa oltre.
Dove sono quindi i tanto criticato cliché del film? Secondo noi nella rappresentazione del folclore
del Sud, tutto sorrisi, tamburelli e bevute goliardiche. La regista, effettivamente, viene alla
Provenza e quindi non ha peccato di mancanza di sincerità nel suo ritratto, semmai si è lasciata
andare a un bozzettismo che semplifica la storia e soprattutto alcuni personaggi secondari. Fra loro
non ci sono i vecchi amici di Paul e iréne, che arrivati a cavallo delle loro motociclette gettano luce
sul passato dei "nonni", che sono stati dei fricchettoni giramondo e dei senza regole. Nelle scene di
cui sono protagonisti, la nostalgia non guasta, perché quelli sì che erano tempi gloriosi e
perché intonando "Knockin’ On Heaven’s Door", il cantautore Hughes Aufray - che fa giusto un
cameo - per un istante porta la magia.
E’ dall’arrivo di questa banda di attempati hippy che il Paul di Jean Reno comincia ad acquistare
tridimensionalità e quindi a diventare qualcosa di più di un antipatico Scrooge. Certo, non sempre
l’attore lascia venir fuori una simile "rotondità" fatta di malinconia mista a rabbia…. Eppure,
quando lo vediamo adeguarsi al ritmo silenzioso degli ulivi o comunicare con il giovanissimo Lukas
Pélissier, riconosciamo il grande mattatore di Leon e di Le grand bleu.
A proposito di Lukas Pélissier, che interpreta il bambino sordomuto Théo e che anche nella vita non
sente e non parla, è ai suoi occhi che il film inizialmente si affida, mostrandoci il suo viaggio in
treno mentre scorrono i titoli di testa e si sente "The Sound of Silence" . E’ una sequenza
meravigliosa, che ci fa credere che Un’estate in Provenza sia il racconto di uno sguardo. Invece il
punto di vista cambia, si moltiplica, lasciando spesso indietro il muto osservatore e perdendo un
po' il fuoco. Ecco, se la Bosch avesse continuato in questa direzione, di sicuro avrebbe emozionato
di più.
Con un’Anna Galiena che abbiamo ritrovato volentieri, Un’estate in Provenza ha il merito di non
soffermarsi, come fanno fin troppi film che trattano di dinamiche familiari e famiglie disfunzionali,
sul solito rapporto genitori/figli. A confrontarsi stavolta sono nonni e nipoti, pianeti in apparenza
lontani che possono tranquillamente far parte dello stesso sistema solare. Bene prezioso i nonni,
come sa chi ha conosciuto i propri.
LA REGISTA
Sceneggiatrice, regista e produttrice cinematografica francese,
Rose Bosch è conosciuta in Italia per il film Vento di primavera,
diretto nel 2010, film che racconta la retata del Velodromo
d'Inverno, nella quale ci fu un arresto di massa degli ebrei
effettuato dalla polizia francese, complice dei nazisti.
FILMOGRAFIA
Animal (2005)
Vento di primavera (La rafle) (2010)
Un'estate in Provenza (Avis de mistral) (2014
INTERVISTA A ROSE BOSCH
di Antonio Sancassani
Da dove arriva l’idea di partenza del film?
R. B: Dai miei nonni. Li ho conosciuti a stento, ma ne conservo un ricordo poetico. È un gran vuoto.
E poi avevo voglia di descrivere un conflitto generazionale tra nonni e nipoti. Amo il fatto che i
nonni di oggi siano gli hippy di ieri. Essi hanno protestato contro la guerra in Vietnam, contro il
consumismo, sono stati a Woodstock… È un confronto interessante quello in atto con la
generazione “Y”, ribelle ma molto consumista.
Il film rende omaggio a questi nonni…
R. B.: Questi nonni non sono mai stati così presenti e importanti. Oggi corrono in soccorso delle
famiglie più sconquassate. Loro sono ancora in forma e quindi gli si chiede molto. Si meritavano un
omaggio…
Nel tuo ultimo film “Vento di primavera” Jean Reno interpretava un medico ebreo, e nel tuo ultimo
film un nonno…
R. B.: In “Vento di primavera” Jean Reno è un semplice medico alle prese con delle forze a lui
superiori. Mi ero già ripromessa di affidargli un altro ruolo. Avevo scritto l’idea di un film sulla
Provenza e sulla mia famiglia circa dieci anni fa. E ho fatto leggere a Jean lo script sperando che mi
riservasse la parte di Paul.
Il personaggio di Paul ti è familiare?
R. B.: Paul somiglia molto agli uomini catalani della mia famiglia. Parte di loro si trasferì in Provenza
dopo la guerra di Spagna. Ho vissuto lo stesso a casa mia!
Si sente dire spesso «Senza questo attore non avrei fatto il film». Nel tuo caso è così?
R. B.: Assolutamente vero! Ho condiviso con Jean delle cose essenziali. Come le origini iberiche
(senza farne un folklore), la passione per la terra delle Alpilles, che nonostante sia a 2 ore dai treni
ad alta velocità, resta l’ultimo Far West. Sia io che Jean sentiamo il bisogno di vivere in questo
clima estremo, che passa da -10 a 40 gradi, abbiamo bisogno del Maestrale. Nella nostra famiglia si
coltivano uliveti da generazioni. Dal canto suo anche Jean ha i suoi uliveti e conosce tutto di questi
alberi. Chi altro avrebbe potuto interpretare Paul?
Come mai hai scelto di far interpretare Théo da un bimbo sordomuto di 7 anni?
R. B.: All’inizio ho creduto che il personaggio del piccolo Théo fosse stata un’ispirazione
proveniente dalla lavorazione del film “Vento di primavera”, dove ho avuto modo di dirigere un
piccolo attore sordo. Poi ho realizzato che in un certo senso anche io sono stata una bambina
“sorda”, dato che mio padre mi parlava in catalano. Quando mi chiedeva una mano a lavorare
l’orto non comprendevo nulla di quello che diceva.
Come hai lavorato per dirigere un attore sordo?
R. B.: Mi interessava inserire all’interno del film un bambino che parlasse un’altra lingua. Il film non
ruota attorno all’handicap di Thèo. Ho semplicemente ingaggiato un attore. Lukas Pélissier è pieno
di vita, determinato, ha senso dello humor ed è scrupoloso e preciso quando recita.
(www.cinemamexico.it, 4 maggio 2016)